Pinerolo, lavoro, arte, artigianato, cultura

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Pinerolo, lavoro, arte, artigianato, cultura
n. 4
Anno 6, Aprile 2015
1
INDIALOGO
Supple m e n t o d i I n d i a l o g o . i t , a u t o r i z z . N . 2 d e l 16.6.2010 del Tribunale di Pinerolo
Pinerolo,
lavoro,
arte,
artigianato,
cultura
Bruno
Manghi,
sociologo:
le nuove
frontiere del
lavoro
Dibattito sul
Polo Culturale/3
Luigi Pinchiaroglio e il progetto di Lapis
Maria Luisa Cosso e le politiche culturali nel Pinerolese
Buone News
A cura di Gabriella Bruzzone
come prendersi cura della propria città
Gli Imbianchini di Bellezza
Quasi 18mila abitanti e case di un bianco
abbagliante. Questa è Pisticci, cittadina
lucana in provincia di Matera, protagonista
in questi ultimi mesi di un’iniziativa tanto
geniale quanto lodevole.
Ogni città ha la sua storia da raccontare,
trasmessa talvolta a voce, talvolta tramite
le sue strade e i suoi edifici, ma che in ogni
caso deve essere preservata e rispettata. È
quello che stanno facendo gli Imbianchini
di Bellezza, un gruppo di volontari il cui
obiettivo è ripristinare la bellezza del centro
storico di Pisticci a colpi di calce. L’idea è
del circolo Legambiente Pisticci, affiancato
dalle associazioni Allelammie, Avis Pisticci,
Lucanamente Lab e Ceramiche Laviola, e
vede coinvolti residenti e non – tutti volontari
– che condividono il medesimo scopo.
Il sabato pomeriggio, quando il tempo lo
permette, volontari di ogni età si ritrovano
al rione Dirupo per restituirgli l’aspetto di
un tempo, quel suo bianco abbagliante
caratteristico della zona. Si cercano di
capire la storia e le esigenze del luogo,
intervenendo non solo sul colore degli
edifici ma anche sulla loro manutenzione,
rimuovendo i rifiuti e dando un apporto
concreto
di
riqualificazione
urbana.
Vengono utilizzate tecniche antiche, che
mantengono
un’attenzione
particolare
verso l’ambiente e l’ecocompatibilità.
L’interesse verso la propria città è un
modo per valorizzarla e non dimenticarla
ma anche per creare aggregazione tra chi
in queste strade è nato e cresciuto e chi
invece se ne è innamorato dopo, come
la pittrice inglese Anna Parker, attiva nel
progetto da subito.
L’apporto dato dagli Imbianchini di
Bellezza è concreto e riconosciuto, anche se
in realtà si tratta solo di una piccola tappa
sul percorso. L’intento è infatti di realizzare
un progetto più ampio che coinvolga
professionisti, ricercatori e personalità del
territorio per ridare vita alla loro città, al
contesto socio-urbanistico, alla sua storia e
alle tecniche del passato.
L’iniziativa si può collocare nel contesto
della Rigenerazione Urbana Sostenibile che
ha visto molte cittadine italiane, al pari di
Pisticci, protagoniste nella manutenzione
e valorizzazione dei luoghi. Si tratta di una
svolta importante che consente al cittadino
di intervenire con idee e atti concreti in
base alle esigenze effettive dell’ambiente e
dei suoi abitanti.
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Informazione e cultura locale per un dialogo tra generazioni
S
o
m
m
a
r
i
o
|Seminare per l’artigianato
2
Si semina in autunno e si semina in primavera, non
solo nel mondo legato alla terra e ai frutti che poi
si raccolgono, ma anche in quello socio-culturale,
attraverso l’incubazione di progetti che poi si
realizzano qualche mese dopo raccogliendone i
frutti. Così fanno le associazioni e gli enti, che dopo
aver approvato i bilanci consuntivi e preventivi,
impostano i progetti da realizzare nell’autunno,
cercando anche di intercettare qualche bando
europeo o locale per finanziarli.
Con questo preambolo vogliamo arrivare
all’evento clou dell’autunno pinerolese, la “Rassegna
dell’artigianato”, che ormai da anni si trascina in modo
stanco, ripetitivo e comatoso dove di artigianato
c’è ormai poco. Ci auguriamo che Agliodo e il suo
staff siano già al lavoro, alla ricerca di idee nuove
e di persone che siano in grado di portare proposte
innovative: in particolare ci piacerebbe che fosse
presente un artigianato di qualità e tecnologico che
anche nel territorio non manca.
Uno degli elementi di crescita di un territorio, ci
insegnano gli economisti avveduti, è il valorizzare il
capitale umano di qualità che lì c’è. Ci permettiamo
di portare come esempio il progetto delle “quattro
abbazie” che affidato ad una onlus di giovani
trentenni, creativi, ha saputo coinvolgere altre
associazioni storiche del territorio per valorizzare un
patrimonio millenario.
Ci auguriamo che anche Agliodo abbia il
coraggio di aprire la progettazione della Rassegna
dell’artigianato alle forze giovani e creative della
città per rilanciare una rassegna ormai spenta.
È una delle ultime occasioni di riscatto di una
amministrazione non proprio brillante.
Antonio Denanni
4Primo piano
Buone News
gli imbianchini di bellezza
intervista a bruno manghi
6In città
dibattito sul polo culturale/3 -lapis
8Politica giovane young
10
intervista a maria luisa cosso
Giovani & Lavoro
startup e percorsi di validazione
11Lettere al giornale
12
13
un aprile che non passa
Teatro
risate sotto le bombe
Il Passalibro
il gusto di fare ciò che si sente
14Lettera a...
il pesce più crudele
15Donne del Pinerolese
intervista ad anna maria bermond
16Per Mostre e Musei
anche l’arte distrutta in nome di dio
17 Vita internazionale
jessica cairo e luca restagno
18Musica emergente
19
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Cose dell’altro mondo
libertà civili e politiche
Visibili e Invisibili
giovani amnesty e libera
Giovani & Tecnologia
PINEROLO INDIALOGO
Direttore Responsabile
Antonio Denanni
Hanno collaborato: Emanuele Sacchetto, Alessia Moroni, Elisa
Campra, Gabriella Bruzzone, Maurizio Allasia, Andrea Obiso,
Stella Rivolo, Andrea Bruno, Chiara Gallo, Cristiano Roasio,
Nadia Fenoglio, Giulia Pussetto, Francesca Costarelli, Michele
F.Barale, Chiara Perrone, Marianna Bertolino, Federico Gennaro,
Isidoro Concas, Sara Nosenzo, Valentina Scaringella
Con la partecipazione di Elvio Fassone
photo
Francesca De Marco, Giacomo Denanni
Pinerolo Indialogo, supplemento di Indialogo.it
Autorizzazione del Tribunale di Pinerolo, n. 2 del 16/06/2010
Associazione Culturale Onda d’Urto Onlus
redazione
Tel. 0121397226 - Fax 1782285085
E-mail: [email protected]
22Andare al cinema
the yellow traffic light
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budgee
foxcatcher
Viaggiare
wondering lapland
24Amici di Pinerolo Indialogo
http://www.pineroloindialogo.it
http://www.pineroloindialogo.it/eventi
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http://www.issuu.com/pineroloindialogo
in ci t t à
Primo piano
Intervista a Bruno Manghi
44
di Antonio Denanni
Oggi nel lavoro conta il capitale umano
«Il Polo culturale ha un senso se nella nostra immaginazione riusciamo a inventare qualcosa per cui tra 5-10 anni in quel luogo incontriamo dei giovani»
In questi giorni il dibattito forte in città
è sul Polo culturale che si vorrebe realizzare
intorno alla ristrutturazione della caserma
Bochard. Noi da tempo sosteniamo che il
progetto e l’impegno economico ipotizzato ha
senso se è un volano per il rilancio della città:
cioè se crea occasioni di lavoro soprattutto
per i giovani.
Parliamo di lavoro con
Bruno Manghi, che nel
mondo del lavoro come
sindacalista
e
come
ricercatore ci ha passato
una vita.
Incominciamo dall’attualità
cittadina, il Polo culturale,
che idea si è fatta? È
un progetto realistico o
un sogno dal beneficio
economico incerto?
Bisogna partire dalla
decisione che si è presa
di acquisire un’area molto vasta. Poiché
questo è avvenuto, qualcosa bisogna fare.
Deve essere un luogo attivo e non può
dare quell’idea di decadenza e di vuoto che
rischia di avere. La cosa importante è se nella
nostra immaginazione riusciamo a inventare
qualcosa per cui tra 5-10 anni in quel luogo
a vario titolo (per studiare, per divertirsi, per
socializzare, per lavorare...) incontriamo dei
giovani. Se ragioniamo in questi termini la
scelta è positiva. Però la regola dev’essere
che ci sia un investimento privato, che a mio
parere non è eludibile. Questo significa anche
che il sistema pubblico deve offrire al privato
delle agevolazioni, in modo che le attività che
vi si andranno a svolgere possano mantenersi
in modo autonomo. Naturalmente ci deve
essere un concorso di idee che deve essere
sottoposto al vaglio pubblico.
Veniamo ai grandi temi del lavoro. Il
manifatturiero che ha dato lavoro e ricchezza
nell’800-900 è in un declino irreversibile o ha
ancora un futuro?
Il manifatturiero italiano è irrinunciabile.
Noi non possiamo rinunciare al nostro saper
fare di qualità, che è una nostra caratteristica
italiana. Nella competizione mondiale sarà
sempre questo saper fare di medio-alta
qualità che ci renderà competitivi.
Quali sono oggi nel mondo
le “grandi forze” che creano
lavoro?
Se l’Occidente va avanti a
livello economico sulla base
della qualità dei suoi prodotti,
il capitale umano diventa
strategico.
Ci
vogliono
persone che sanno fare, che
migliorano sempre il loro
saper fare e creano ricchezza
anche indirettamente, perché
dove si concentrano dei nuclei
umani giovanili altamente
qualificati automaticamente il
sistema dei servizi intorno migliora, perché vi
è più possibilità di spesa (sono questi lavori
che in termini di quantità generano nei servizi
più lavoro: l’economista italo-americano E.
Moretti dice in rapporto 1 a 5).
Come valorizzare il capitale umano e cosa
fare per attrarne di più in una piccola città di
provincia come Pinerolo?
La ricercatrice Mazzuccato ha scritto un
libro dal titolo “Lo stato innovatore” (libro
fondamentale insieme a quello di E.Moretti,
“La nuova geografia del lavoro”) dove sostiene
con una ricerca qualificata che nessuna delle
novità che vi sono nella Silicon Valley o altrove
sarebbero state possibili se a monte non vi
fosse stato un investimento pubblico mirato
e serio sul capitale umano. Nell’affermare
ciò distingue tra capitale paziente e capitale
impaziente. Il capitale impaziente viene
impegnato per periodi corti (rientro in 5-6
anni), il capitale paziente è quello che vuole
un ritorno anche molto in là nel tempo, ma
«I giovani devono andare fuori, anche all’estero: hanno già una visione planetaria»
vuole però che ci sia un ritorno per la società.
Tutti gli investimenti nell’educazione sono
capitale paziente. E senza il capitale paziente
non si pongono le condizioni perché il capitale
impaziente investa. Questo capitale paziente
è il luogo ove la politica può agire, anche a
livello locale.
Un altro elemento che crea lavoro sono le
imprese che fanno innovazione...
Sì, però è sempre l’intelligenza umana che
traina l’innovazione e la mette alla prova. Il
capitale umano serve perché l’innovazione ha
due aspetti, uno progettuale che interviene
per modificare il prodotto e l’altro fattuale
per gestire il processo; ma questo è possibile
se il capitale umano sta dietro a queste cose.
L’artigianato di qualità può avere un ruolo nel
creare lavoro e nel rilancio del territorio?
Sì, se sarà di qualità avrà un futuro in
tutti i settori. La piacevole sorpresa in questi
ultimi 15 anni, ad esempio, è il rilancio
dell’agricoltura di qualità con l’aumento
dei posti di lavoro (a Torino ci sono delle
boutiques del pane!).
Gli economisti dicono che l’impresa è
“qualsivoglia attività umana organizzata
che soddisfa i bisogni”. C’è a suo parere
nel territorio qualche bisogno inevaso che
potrebbe essere fonte di impresa?
Non si produce una cosa qui per soddisfare
un bisogno solo locale. Questa è follia.
Si produce una cosa qui per soddisfare un
bisogno che c’è magari a 500 km. Ragionare
su un bisogno locale per creare un’impresa è
un’analisi limitata. Ci vuole sempre qualcuno
che dica “mi va” e questa è una scommessa.
Come dice De Rita, è l’offerta che determina
la domanda! Tu offri una cosa, se viene presa
vuol dire che hai indovinato, se no non hai
indovinato. Il bisogno lo scopri quando offri
qualcosa: è l’offerta che stana la domanda!
Veniamo ai giovani, in particolare quelli
laureati. Il territorio è in grado di assicurare
loro prospettive di futuro o devono per forza
ragionare in termini di migrazione? Tra l’altro
ha ancora senso in un mondo globalizzato
parlare di “italians in fuga”.
Nooo! I giovani devono andare fuori. Il
futuro è la grande circolazione (ma lo è stato
anche il passato). Questi sono ragionamenti
stanchi e vecchi che gli adulti fanno sui
giovani influenzandoli malamente. Questi
ragazzi hanno già una visione planetaria.
Il territorio si impoverisce se non arrivano
nuovi giovani e se non si fanno bambini, non
se quelli che ci sono vanno via. Naturalmente
oltre che incoraggiarli, bisogna dare loro
anche un minimo di preparazione.
Si parla tanto di valorizzare il capitale umano
– come lei ha detto sopra -. Non trova che
ci sia anche un grande spreco di capitale
umano, soprattutto di giovani laureati?
Sì, concordo, c’è un grande spreco. A Torino
per fare un esempio, c’è la proletarizzazione
degli avvocati: un giovane avvocato
guadagna meno di un metalmeccanico!
Così è per altre lauree. C’è uno spreco, si
fa studiare troppo a lungo, senza un impiego
lavorativo corrispondente. C’è una mitologia
della cultura astratta, che è antimanuale.
Ci sono i giovani disoccupati, i giovani
“Neet”(non cercano lavoro e non studiano),
ma ci sono in base alla nostra esperienza
anche i giovani “amareggiati” o sfruttati.
Cioè le aziende offrono a questi giovani del
lavoro, ma a compenso zero, senza neanche
la dignità di un compenso simbolico. Che
cosa ne pensa?
Quando la disoccupazione è elevata è
chiaro che c’è chi ci marcia, che coglie
l’occasione per risparmiare. I giovani fanno
bene a rifiutare questo tipo di proposte.
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IN CITTÀ
Dibattito sul Polo culturale - Bochard /3
di Luigi Pinchiaroglio - Lapis
Un’occasione per (ri)pensare la Città
«La procedura di appalto in projectfinancing appare la più idonea»
La realizzazione di un Polo culturale è un
obiettivo ambizioso che l’Amministrazione
comunale di Pinerolo ha assunto con coraggio
e determinazione. Un obiettivo il cui esito
positivo dipenderà da molti fattori. Provo ad
elencarne alcuni:
• L’eccellenza del risultato architettonico
e funzionale, che dovrà consentire la
realizzazione di un’ampia “Piazza dei
saperi”, “trasparente” alla città e al
territorio, dove gli incontri fra culture
e generazioni, attraverso processi di
formazione, informazione, comunicazione
e
socialità,
p o s s a n o
trovare
un
luogo
ideale
d’integrazione.
• La capacità di
contemplare
nel
progetto
l’intera offerta
culturale
fornita
dai
diversi soggetti
che
operano
in Città, con
una
visione
volta
alla
valorizzazione, in chiave culturale e
turistica, dell’intero patrimonio storicoarchitettonico del Comune.
• L’applicazione delle moderne tecnologie,
nei campi dell’autosufficienza energetica,
dell’informazione, della comunicazione, dei
sistemi multimediali e della domotica, unita
all’offerta di servizi e funzioni a supporto del
Polo in grado di garantirne la sostenibilità
economica anche in fase di gestione.
• La costruzione di una rete diffusa di
relazioni con il territorio del Pinerolese, la
Città Metropolitana e la Città di Torino,
finalizzate a far diventare il Polo un
attrattore di interessi culturali e turistici a
livello di area vasta, creando opportunità
di sviluppo economico, occupazionale e di
crescita sociale.
Fattori tutti molto importanti, indispensabili
per il successo dell’iniziativa, ma non sufficienti.
Sulla base di questa asserzione, la proposta
formulata dal Laboratorio Pinerolese per la
città e il territorio Smart (LAPIS) ha inteso
individuare un percorso metodologico/
procedurale basato sulla convinzione che il Polo
Bochard possa rappresentare un’occasione
unica per (ri)pensare le modalità d’ideazione,
gestione e realizzazione delle trasformazioni
urbane di Pinerolo, e delle relative forme di
partecipazione, con lo sguardo rivolto alla
Città futura. Il
vero approccio
smart,
sotteso
alla realizzazione
del Polo culturale,
non è quindi
solo da ricercarsi
nelle
soluzioni
architettoniche,
funzionali,
tecnologiche che
si adotteranno, le
quali, è scontato,
d o v r a n n o
essere all’apice
dell’innovazione e
della ricerca, ma si esprimerà soprattutto nella
capacità di Pinerolo e dei Pinerolesi di trarre
spunto dal Polo per avviare una nuova cultura
del governo del territorio.
Questa visione, propedeutica a ragionamenti di
più ampio respiro, richiederebbe di:
• prendere in considerazione tutte le aree, i
fabbricati, le funzioni e i servizi interessati
dal nuovo Polo culturale, interni ed esterni
alla Bochard;
• recepire il disegno di una nuova viabilità
con il relativo riequilibrio modale e
individuare un nuovo piano della sosta;
• definire le relazioni e le sinergie fra le varie
aree della Città, nonché le strategie di
intervento.
Tuttavia, in considerazione dei tempi
6
“La capacità dei Pinerolesi di trarre spunto dal Polo per avviare una nuova cultura del governo del territorio”
imposti dal Ministero, non
è possibile procedere per
questa via immediatamente.
Pertanto lo studio di fattibilità
che occorre redigere dovrà
contenere in embrione alcune
delle
scelte
urbanistiche
future. Nello stesso tempo
i contenuti dello studio non
potranno prescindere dalle
fonti di finanziamento e
dalle modalità di appalto
delle opere. Per questo
motivo esso dovrà essere
corredato da una valutazione
del beneficio finanziario per
l’Amministrazione, derivante
dall’applicazione
di
una
procedura
piuttosto
che
un’altra. Una valutazione
che dovrà tenere conto del
costo d’investimento per la
realizzazione degli interventi
e del costo dell’opera nel
corso di tutta la sua vita utile,
prendendo in considerazione
le spese di manutenzione e
di gestione, nonché le diverse
tipologie di rischi associati al
progetto che possono tradursi
in elementi di costo.
Se questo è lo scenario,
la procedura di appalto in
projectfinancing appare la più
idonea. Essa prevede, sulla
base delle scelte indicate
nello studio di fattibilità, la
Concessione delle fasi di
progettazione,
costruzione
e gestione di parte degli
interventi,
individuando
campi di azione in grado di
rendere gli investimenti di
potenziali investitori privati
economicamente remunerativi
e finanziariamente sostenibili.
Nel rimandare al dettaglio
del
documento
(v.http://
www.laboratoriosmart.it/wpcontent/uploads/2015/03/
Contributo-Lapis-Poloculturale.pdf) per l’esame degli
aspetti relativi alle ipotesi di
funzioni da assegnare ai nuovi
spazi ottenibili dal recupero del
complesso Bochard, spazi che
ovviamente devono favorire
la
socialità,
l’inclusione,
l’innovazione (da qui l’idea
di prevedere anche volumi
da adibire al social housing,
a incubatore di imprese
artigianali,
laboratori
per
FabLab, ecc.), la proposta
include il completamento
della risistemazione di Palazzo
Vittone e prevede due
principali assi di intervento/
gestione, che possono essere
attrattori di investimenti privati
a sostegno dell’intervento
complessivo:
1. Produzione di energia
elettrica
da
impianti
fotovoltaici ubicati sulle
coperture di proprietà del
Comune di Pinerolo e del
complesso Bochard, per
una produzione di energia
elettrica stimata in circa
1.300.000
kWh/anno,
che corrisponde a circa
il 65-70% dei consumi
2013 per gli edifici di
proprietà
comunale
e ad una riduzione di
emissioni di CO2 pari a
circa 900.000 kg/anno. Il
numero di persone teoriche
equivalenti servite in un
anno con l’energia elettrica
prodotta corrisponde a
circa 2.300 p/anno.
2. Realizzazione di parcheggi
interrati in alcune piazze
della Città (esclusa Piazza
Vittorio Veneto), per un
totale di 885 posti auto di
cui 585 a rotazione e 300
pertinenziali (dei quali una
parte a servizio del centro
storico) con sistemazione
superficiale
a
verde
pubblico.
A fronte della stima di massima
dei costi indicata in tabella
(in prima battuta: ~75% a
carico del Concessionario,
~ 5% del Comune, ~ 20%
altre fonti: Fondi, Fondazioni,
ecc), si ipotizza la costituzione
di una Fondazione per la
valorizzazione e la gestione
del patrimonio dell’intero Polo
culturale e dei beni culturali
comunali che, oltre a svolgere
la funzione di coordinamento
delle attività fra i vari soggetti
(pubblici e privati) ad essa
aderenti, avrà il compito
di assicurare flessibilità e
tempestività nel reperimento
delle risorse economiche.
Stima di massima dei costi
Intervento
Complesso Bochard (nelle sue diverse
articolazioni indicate nel documento)
Impianti fotovoltaici
Parcheggi
Secondo, terzo e quarto lotto Palazzo Vittone
Totale (escluse spese tecniche, IVA, ecc.)
Costi (Euro)
21.500.000
7.000.000
22.500.000
4.000.000
55.000.000
7
Politica giovane young
a cura di Emanuele Sacchetto
Intervista a Maria Luisa Cosso
«A Pinerolo manca una politica culturale in grado di riunire le tante belle
iniziative in un contenitore comune»
La mostra sul Beato Angelico al Castello di Miradolo fino al 28 giugno 2015
Alla Fondazione Corte Cosso è da poco finita la
mostra su San Sebastiano e ora avete inaugurato
quella sul Beato Angelico. Ce ne parla?
La mostra su San Sebastiano fu voluta da Sgarbi,
con cui nacque una proficua collaborazione. In
tale occasione esponemmo numerosi quadri di
Tiziano, con un’attitudine di studio, ricerca, e non
solo di mera presentazione-affissione delle opere.
A ragione di tale esposizione, raggiungemmo il
picco di più di 1000 visitatori
in un giorno solo. In seguito,
grazie al nostro modo di
lavorare con attenzione per i
quadri, il sistema di sicurezza,
l’iiluminazione e gestione in
generale, ottenemmo Raffaello e
oggi ospitiamo con grande gioia
il Beato Angelico, con l’appena
restaurato trittico sul Giudizio
Universale, alcune miniature e la
splendida Madonna dell’umiltà.
La nostra politica è sempre stata
quella di non pagare mai per il
prestito delle opere, quanto
piuttosto di contribuirne al restauro.
Per gestire una Fondazione come la sua,
occorre più disponibilità economica, capacità
imprenditoriali o competenze artistiche?
Tutte e tre le cose sono fondamentali.
Naturalmente di denaro ce n’è un enorme
bisogno. Mi spiace usare questo termine, ma
oggi questo lavoro è mecenatismo. Il nostro
è per ora un progetto in perdita. Ci sono spese
molto consistenti relative ai trasporti delle opere
d’arte, alle assicurazioni, ecc... Forse un giorno
si potrà vivere in attivo con un’impresa d’arte.
Oggi purtroppo questo non è possibile. In merito
alla gestione imprenditoriale certamente questa è
fondamentale non essendo troppo diversa questa
dalla gestione di un’azienda. Infine le competenze
artistiche sono indispensabili e per ogni mostra
abbiamo un curatore, che si occupa di tutti gli
aspetti conseguenti come abbiamo detto, lo
studio, la ricerca e non solo la presentazioneaffissione delle opere.
Il Comune di Pinerolo, come saprà, sta
progettando la realizzazione di un Polo Culturale
alla ex caserma Bochard. Cosa ne pensa?
Non so molto nello specifico del progetto,
se non della volontà dell’amministrazione di
spostarvi la Biblioteca Civica. In merito mi
sento di ricordare quanto
pregio abbia la nostra
Biblioteca e quanto questa
sia
poco
valorizzata,
tenendo alcune delle
più
importanti
opere
addirittura nelle cantine
che alla prima pioggia si
allagano. Dunque ben
venga questo progetto a
patto che non sia un mero
spostamento ma implichi
una valorizzazione. A tal
proposito è necessario
uno studio imprenditorialegestionale per realizzare un’opera del genere. Al
di là dei sogni di un Polo Culturale a Pinerolo, ci
sono domande molto concrete da porsi. Quali
spazi e opportunità dà la Bochard? Quanti metri
quadrati? Quale accessibilità? Insomma una
lodevole iniziativa che ha bisogno di progetti
molto concreti per produrre qualcosa di buono.
I pinerolesi si sono dimostrati interessati in questi
anni alle mostre da voi proposte?
I pinerolesi iniziano soltanto adesso ad
accorgersi della nostra presenza. In un bilancio
realizzato dopo tre anni di mostre, abbiamo
verificato che soltanto il 26% dei visitatori erano
di Pinerolo e dintorni. La maggior parte dei turisti
li abbiamo avuti da Lugano, Brescia, Bergamo,
Bologna, Londra,... Questo ci ha portati a dover
realizzare una sorta di turismo organizzato, aiutati
dall’Associazione Guide Turistiche. In particolare,
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«Abbiamo verificato che solo il 26% dei visitatori sono di Pinerolo e dintorni»
quando un gruppo viene da lontano per vedere
la nostra mostra, ha poi voglia di visitare il centro
di Pinerolo, e dunque noi li accompagnamo.
Tuttavia, Pinerolo ha scarsa capacità gestionale
del turismo.
Pinerolo ha in questi anni subito una crisi
identitaria, che le ha impedito di emergere come
invece altre realtà vicine. A cosa pensa sia
dovuta questa situazione di stallo?
A Pinerolo le belle iniziative non mancano
certo. Abbiamo alcune realtà che sono molto
importanti come il Teatro Sociale e l’Accademia
di musica. Tuttavia ciò che è mancato in questi
anni è il coordinamento, le iniziative comuni.
Manca una politica culturale con gestione
manageriale che sia in grado di riunire le tante
belle iniziative in un contenitore comune, dando
loro un senso identitario della città. Ci vuole una
concreta programmazione globale delle attività
culturali di Pinerolo, che le valorizzi e le renda il
più possibile partecipate dalla nostra comunità.
Lei ha investito non solo nel Castello di Miradolo,
ma anche in altre attività (una pasticceria e un
ristorante) nel centro storico di Pinerolo. Sono
questi investimenti imprenditoriali o quale
amante di questa città?
Certamente il mio è amore per questa città.
Per ora l’investimento è solo un costo e chissà
per quanto tempo rimarrà tale. In particolare, per
quanto attiene la pasticceria, c’è stata la volontà
di farne rivivere l’animo originale di fine ‘800. Il
mio è stato da sempre amore per Pinerolo, tanto
che pur avendo viaggiato e incontrato diverse
realtà per lavoro, ho sempre portato con me
questa città. Dunque credo che il miglior modo
per amarla è ridarle vita, valorizzarla.
Parlando del progetto universitario di Pinerolo,
cosa è mancato perché decollasse? Era un
obiettivo utopico?
Il SUMI purtroppo nacque con buone idee,
ma vennero sviluppate malissimo, anche a
causa delle persone
che nel tempo sono
cambiate all’interno,
che non credendo
al progetto, hanno
impedito che questo
decollasse. Per quanto
riguarda invece il corso
di Infermieristica a
Pinerolo, che voleva
rievocare
quello
glorioso nell’Ospedale
Agnelli, qui mi sento
di dire che c’è stata
una totale incapacità di gestione della questione
da parte di Pinerolo. L’amministrazione se l’è
fatta letteralmente portare via da sotto il naso.
Quando ci sarebbe stato bisogno di puntare i
piedi per ottenere qualcosa, il Sindaco è cascato
dalle nuvole.
Parliamo di giovani laureati. Il nostro territorio
offre loro un modo di realizzarsi oppure devono
ragionare in termini globali?
Io credo fermamente che i giovani all’estero
debbano andare. Ma credo anche che sia
necessario tornare perché non si può impoverire
l’Italia in questo modo. Purtroppo nel nostro
paese l’impresa non si aiuta e questo fa sì che
ci sia uno spreco di capitale umano. Tuttavia la
capacità innovativa italiana, la libertà di pensiero
della tecnica è molto elevata. I giovani italiani
devono riscoprire queste loro potenzialità e
applicarle a partire da qui. Per quanto riguarda
le opportunità che il nostro territorio offre loro,
porto l’esempio della Corcos, questa società
multinazionale per il 50% italiana: ebbene tre
direttori a livello mondiale su quattro erano
proprio di Pinerolo. È necessario investire sui
giovani, coprendo loro le spalle perché possano
fare sperimentazione; questo si traduce in
innovazione e rilancio per il nostro territorio.
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territorio
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Giovani & Lavoro
di Aurora Fusillo
quando il lavoro me lo creo
Startup e percorsi di validazione
In tempo di carenza di lavoro il tentativo di
avviare una startup sovente è un ripiego al non
far nulla in attesa di tempi migliori, ma a volte
è anche una scommessa con sé stessi che può
trasformarsi in un’occasione professionale a
lungo termine e dare grandi soddisfazioni - a
patto che si trovi l’idea giusta e la si realizzi nel
modo migliore.
L’avvio di una startup può avvenire in modo
artigianale, da una passione o da un input
personale o amicale, ma sempre più spesso oggi
ci si appoggia anche
a vere e proprie
organizzazioni
di
consulenza
specializzate
nell’accompagnare
le giovani imprese
durante
i
loro
primi mesi di vita..
Una
di
queste
organizzazioni
è
THE
DOERS,
società innovativa di
Torino che attraverso dei percorsi formativi ed
esperienziali aiuta i team di aspiranti imprenditori
a testare la propria idea di business per ridurre
i rischi e aumentare la probabilità di successo.
Attraverso percorsi di validazione strutturati,
THE DOERS accompagna i giovani che vogliono
avviare un’attività in proprio alla verifica di
come la propria idea possa trasformarsi in un
progetto di impresa. L’obiettivo è diminuire il
numero di errori commessi nella primissima
fase di vita del progetto e il rischio di fallimento
connesso. Questo accompagnamento è
fondato sul metodo Lean Startup, molto
diffuso negli Stati Uniti, è scandito dai passi
del processo di Customer Development, e si
avvale di una “cassetta” di strumenti specifici
e continuamente aggiornati. L’obiettivo di
entrambi è organizzare lo sviluppo della startup
in modo che l’impatto con il mercato avvenga
il prima possibile e con il minimo investimento,
allocando via via più risorse man mano che il
progetto diventa meno rischioso e il mercato
più noto e sicuro.
“Imparare ad utilizzare il metodo Lean Startup
come strumento concreto e affidabile per tutti
gli aspetti del mio business è stata una vera
rivoluzione: non avrei
mai pensato di poter
realizzare la mia idea in
modo così strutturato
e
confortevole,
sentendomi
sempre
sicura di ciò che
stavo facendo”, ci
ha raccontato Irene
Ameglio,
startupper
lean e oggi partner di
THE DOERS.
La sede di THE
DOERS, si trova a Torino, in Via Mantova, 36;
cell.: 339.3723401; mail: [email protected].
Per saperne di più sui percorsi di validazione
per startup e accedere a molte risorse utili per
aspiranti imprenditori, consultare il sito internet
www.thedoers.co.
Inoltre, sabato 9 maggio 2015 (dalle 9 alle 12)
ci sarà un workshop gratuito presso la sede
dell’associazione Onda d’Urto (Via Vigone,
22, Pinerolo, TO) dove il team THE DOERS
approfondirà alcuni argomenti del percorso di
validazione, tra cui Business Model e Minimum
Viable Product. Il workshop è aperto ad
aspiranti imprenditori, startuppers, innovatori
d’impresa, enti pubblici e curiosi.
Dall’idea al business model
workshop gratuito a cura di The Doers
Sabato 9 maggio, ore 9-12
presso ONDA d’URTO, Pinerolo, Via Vigone 22
10
PINEROLO
Lettere al giornale
11
di Elvio Fassone
Un Aprile che non passa
70 anni di libertà (non solo dall’invasore in divisa)
Aprile 1945 - aprile 2015. Settant’anni,
l’arco di una vita. Tutti gli anni celebriamo il 25
Aprile, e, per la verità, lo commemoriamo con un
distacco crescente. Ma questo 70° anniversario
ha un valore simbolico più intenso degli altri,
perché ci obbliga a fare i conti con una realtà già
ieri percepita con apprensione e oggi consacrata
definitivamente: dobbiamo considerare scomparsi
i testimoni diretti di quella pagina fondamentale
della nostra storia. Alcuni ancora sopravvivono,
e il nostro affetto li vorrebbe immortali, ma
sappiamo che la realtà è quella.
Più nessuno ci racconterà quella pagina, più
nessuno dirà “credetemi, perché io c’ero”. Più
nessuno porterà quella testimonianza disadorna
ma vitale, che viene dall’avere partecipato ad un
momento che ha cambiato il corso della storia.
La sua e la nostra.
Forse ai giovani questa evenienza non pare
così significativa, in fondo tutto scivola nell’oblio:
invece è necessario riflettere su che cosa significa,
per loro e per tutti, questo pericolo di essere
ulteriormente privati di radici che ci può rendere
ancor più spaesati, questa “memoria” confinata
ormai solamente nella pancia dei computer,
questo presente che lamenta la perdita del futuro
e il rifiuto del passato, ma rinuncia a costruire il
primo e a difendere il secondo.
La scomparsa dei testimoni della Liberazione,
eccettuati pochi superstiti, obbliga noi a
prenderne il posto. Non possiamo raccontare i
fatti, ma possiamo far rivivere lo spirito di allora,
ricostruire l’ethos collettivo che generò quei fatti.
Perché la Resistenza non fu, se non per pochi,
una spinta ideologica, un’azione concertata,
una guerra di armati. Per la maggior parte fu
un moto di ribellione contro un’intollerabilità, un
sentimento di dignità offesa che rifiutò il protrarsi
della bruttura. Fu una scelta radicale, compiuta
da pochi, fruita da tutti. La faccia nobile della
nostra esistenza di oggi.
Allora di fronte al rischio dell’oblio perché non
ci sarà più chi racconta, dobbiamo guardare ai
“vecchi ragazzi di ieri, che muoiono in piena
gioventù” (così Luis Sepulveda), e comprendere
che la Resistenza non finisce con loro, perché
continua ad essere declinata in mille modi in
chiave moderna.
Infatti la libertà, per cui essi si batterono,
non è solamente libertà dall’invasore in divisa,
ma dall’invasore mentale occulto, che ci rende
succubi dell’egoismo, del calcolo, dell’idea
trionfante delle “libere volpi fra libere galline”.
Quella perseguita allora non fu una libertà intesa
come rifiuto del limite (la seduzione di oggi), ma
libertà come liberazione di tutti.
E il coraggio non è solo resistere alle torture
per non tradire, ma oggi assume il volto del
rifiuto opposto alla corruzione, all’arrivismo,
all’indifferenza verso la sofferenza sociale. Così
come la solidarietà non è soltanto il proteggersi a
vicenda contro il fuoco nemico, ma il distribuire
con equità il carico della globalizzazione e della
crisi, il sostenere chi più ne sopporta il peso
brutale, il contrastare la violenza in tutte le sue
forme, da quella del fanatismo a quella dello
sfruttamento a quella, meno avvertita, della
prepotenza nelle relazioni e del rifiuto di ogni
regola per auto-affermarsi.
La Resistenza esce da quel tanto di mito di
cui l’abbiamo avvolta, ma rimane come un
racconto fondativo della nostra comunità. Il suo
fascino è nella cantata di Calvino, per il quale “a
vent’anni la vita è oltre il ponte”. Il suo statuto
è nell’improbabile trovarsi “scalzi, laceri, eppure
felici”. La sua durata, che la preserva dall’oblio,
sta nell’ammonimento di Freud, “ciò che hai
ereditato dal padre riconquistalo, se vuoi goderne
davvero”.
Sabato 11 aprile, alle ore 20,45, al Teatro “Piemont” di Perosa Argentina, avrà luogo la
rappresentazione di “Avevamo vent’anni”, da parte dei ragazzi delle SMS del Pinerolese
Teatro
arte&
spettacolo
12
di Sara Nosenzo
tra commedia e storia
Risate sotto le bombe
Otto settembre 1943, un piccolo teatro
in provincia di Genova ospita le prove
generali di una compagnia appena formata,
di fortuna. Quando tutto è dilaniato dalla
guerra, non rimane che l’arte più nobile:
la recitazione, al servizio del popolo per
rallegrare gli animi.
Ad essere onesti la commediola musicale,
così viene definita dalla voce fuoricampo,
inizia prima che si apra il sipario. I
personaggi sfilano davanti al tendone rosso
introducendo i protagonisti: le prime sono
due
sorelle
del trio Sorelle
Marinetti (Nicola
Olivieri, Andrea
Allione e Marco
Lugli), Scintilla
e la maggiore
Turbina,
il
p u b b l i c o
non può non
accorgersi
che le sorelle
sono in realtà
interpretate
da attori. Un
misterioso impresario salverà le sorti delle
sorelle?
Si apre il sipario, da Milano si arriva a un
piccolo paese di provincia. Durante le prove
gli attori e i musicisti si devono riparare nel
logoro scantinato del teatro a causa di un
attacco aereo. Mussolini è stato arrestato,
gli inglesi volano sulle città sganciando
bombe, nessuno è al sicuro e non si può
far altro che passare il tempo. È così che
all’unanimità si decide di continuare a
provare per accrescere la possibilità di
vincere il concorso che garantirà alla miglior
compagnia un buon numero di spettacoli
sicuri a Genova. Il malcontento aleggia
tra i personaggi, sofferenti per la fame
e le promesse non mantenute da Altiero
Fresconi, l’impresario che ad ogni scena
perde credibilità davanti ai suoi collaboratori.
La commedia in due atti si sviluppa di
pari passo con gli avvenimenti storici. Il
fascismo è caduto, gli alleati vengono a
liberare l’Italia. Le carte in gioco cambiano,
come gli abiti di scena. La componente
musicale dello spettacolo, in tutto dodici
canzoni, rigorosamente cantate e suonate
dal vivo, intrattengono e divertono la platea,
permettendo agli spettatori di apprezzare
non solo la voce, ma anche le espressioni
facciali e ciò che accade alla prima metà dei
personaggi mentre la seconda è impegnata
nelle prove “dal
vivo”.
Il ritmo è
trascinante e la
bravura del cast
sfuma gli errori
di pronuncia a
cui è soggetto
maggiormente
Gianni Fantoni,
nel
ruolo
di
Altiero Fresconi.
Degna di nota
è la scenografia
che
riproduce
per intero uno scantinato completo
di scale utilizzate dagli stessi attori. I
costumi ripercorrono bene gli anni narrati
e permettono più facilmente di calarsi nella
storia del nostro paese. Il sogno italiano di
questa compagnia che cerca e investe tutto
per una seconda occasione, una rinascita
dalle ceneri.
La storia spazia dal genere romantico
al musicale, al politico, ripercorrendo fatti
reali e fittizi con coerenza e credibilità. Le
battute degli attori coinvolgono e rilassano
l’atmosfera drammatica dell’ambientazione
lasciando solo sorrisi sotto le bombe.
Unica pecca i continui problemi con i
microfoni: spesso le voci non si sentivano
distintamente, creando confusione e
fastidio nel seguire la storia narrata.
12
Il Passalibro
Società
di Valentina Scaringella
Paola Mastrocola
Il gusto di fare ciò che si sente
Puntate il cannocchiale su di voi,
per favore. Bene, e ora osservate il vostro
cielo. Li vedete? Come che cosa! No, non
sono astri. Sì, certo, brillano. A volte, poi,
così intensamente da far quasi male. Quei
punti interrogativi che costellano la nostra
esistenza. Quale senso abbiamo noi? E
soprattutto: noi un senso lo abbiamo?
Domande che, ne L’esercito delle
cose inutili di Paola Mastrocola, si pone
anche Raimond. Uno che pensa che
nulla capiti per caso.
Come gli incontri che si
fanno lungo la propria
strada. Anche quando
non si sa quale strada
sia. Se il suo cammino
e quello di Res non
si fossero incrociati,
niente sarebbe infatti
accaduto. Niente si
sarebbe
scritto
di
Variponti, il Paese delle
cose inutili. Ah, non
lo avete mai sentito
nominare?
Volete
sapere dov’è? Beh,
è un po’ ovunque. E,
se non il suo nome, di
certo conoscete i suoi
abitanti. O, forse, persino ci abitate. Dite
di no?
Non vi è mai capitato di
contemplare la luna? O, fermi a un
semaforo, di assistere allo spettacolo di
un giocoliere? O di mettervi a raccogliere
conchiglie sulla spiaggia? O di vedere
qualcuno trapiantare primule o scalare
una montagna? E non sapete dei libri
invenduti? Non avete dei dizionari di latino
e di greco lasciati in disparte? Il ricordo
d’una poesia? E gli animali abbandonati? I
genitori dai figli distanti? I nonni dai nipoti
lontani? Li avete mai visti? Ecco. Perché
questa è la storia di chi non viene o non
viene più considerato utile.
Quella in cui si può riconoscere
l’anziano messo in panchina, addirittura
fuori da ogni fuoricampo, perché oramai
impossibilitato a sostenere il ritmo del
gioco a eliminazione di una società in
corsa. L’adulto che vuole darsi da fare, ma
il da fare purtroppo non lo ha, perché non
gli è concessa a priori alcuna opportunità.
Il giovane dalla passione non condivisa,
a cui vien detto che ciò che conta è solo
l’interesse materiale. E, tra i
tanti altri, il ragazzino che quella
sua personalità in evoluzione
se la vede schiacciata, messa
in dubbio e derisa da famiglia e
compagni di scuola.
Come Guglielmo, l’amico
undicenne di Raimond. Nato
a Torino. Alle prese con
un fratello minore e una
sorella maggiore. E, oltre a
dei genitori o troppo assenti
o troppo ingombranti nella
loro intermittente presenza,
con le prime pene d’amore
e un’accanita banda di bulli.
In soccorso del quale accorre
proprio
l’apparentemente
inutile. Una volta ritrovati il
senso e la gioia del suo essere quel che
è. Grazie a un’insolita corrispondenza:
perché può capitare di ricordarsi di sé
soltanto quando si è ricordati dagli altri.
Non è infatti facile sottrarsi alla
vorace pattumiera della cultura dello
scarto, capace di trasformare tutto e tutti
in usa e getta. E allora? Diventiamo fonti
rinnovabili di cambiamento, difendendo
il nostro significato e quello altrui. Come
Raimond. Incoraggiati dalle parole di
Seneca a Lucilio (epist. 8): le cose più
importanti le fa proprio chi pare non far
nulla!
13
13
dal tempo
Lettera a...
di Cristiano Roasio
Lettera al mondo... e al mio vicino
Il pesce più crudele
Vorrei poter appiccicare un grosso pesce
di carta ritagliato da un quotidiano pieno
di tragedie sempre uguali, sulla schiena
stanca, voltata e impassibile, del mondo.
E lo vorrei guardare, spiare nel suo eterno
rotolare tra le galassie, con quel buffo e
insensato orpello insignificante eppure
così divertente, e ridere di lui. Vorrei dare
una gomitata al mio vicino e fargli notare
la mia trovata che su quelle spalle brulle
e antiche affiora come un vulcano che
si credeva spento ma ora ha ripreso ad
eruttare, a singhiozzi, scosso da risate, e
accorgermi che quando lui, il mio vicino,
vedrà la carta di giornale, il suo viso, sempre
del vicino, esploderà in una risata e dirà:
“certo che sei proprio un tipo simpatico,
ma non sono cose da fare queste!”. Vorrei
continuare a seguire questo tonto e grasso
pianeta diventato ormai lo zimbello di
tutti i passanti. Nel risveglio crudele della
primavera, tra vestiti sempre più corti che
non fanno altro che ricordare a quella pelle
rosea quanto poco le resti da sorridere, in
una sinfonia distorta di uccellini epilettici
che canta non tanto la gioia quanto la
propria autodeterminazione distruttiva,
non lo perderei di vista un attimo, perché
qualcuno, magari chi ha già subito in
passato lo scherzo del pesce, potrebbe
farglielo notare e allora tutto il gioco
finirebbe in una palla di carta stracciata,
o peggio in un terremoto infastidito e
sdegnato. Ma se avessi la fortuna di
conservare quel divertimento, vorrei far
ridere la luna, sì, lei sarebbe l’ultima a
vedere quel buzzurro mondo tirarsi su
la coperta di stelle e buio e accorgersi
finalmente che tutti hanno riso di lui, che
nulla è serio e nulla merita più di un’alzata
di spalle. Spalle piene di pesci d’aprile.
E invece no. Ancora una volta, proprio
in questi giorni, mi sembra ovvio che alla
forza di gravità non si scappa, la stessa
forza di gravità capace di staccare quel
pesce dalle spalle del mondo e trascinarlo
a terra, in mille pezzi, in rottami incendiati.
Quella stessa forza fisica capace di far
impazzire il mio vicino che alle gomitate
predilige le mitragliate, ai pesci d’aprile
preferisce dogmi su cosa e come mangiare,
ridere e scherzare. E ci sono anche quelli
che invece del pesce d’aprile in carta sono
soliti ritagliarlo dalle banconote, convinti
che così il pesce sia migliore, più ricco e
più divertente. Non c’è niente di peggio
che dare un senso a ciò che non ce l’ha.
Aprile è il mese più crudele – genera
lillà dal suolo morto, mescola
memoria e desiderio, smuove
pigre radici con piogge primaverili.
14
Società
Donne del Pinerolese
15
15
a cura di Sara Nosenzo
Intervista ad Anna Maria Bermond
“Un amore durato quarant’anni”
Ci racconta la sua esperienza di docente?
Venivo da una famiglia di insegnanti ed era
scontato che le ragazze si sarebbero dedicate
all’insegnamento. In realtà io sognavo di diventare
medico, ma, ai miei tempi, non era facile appagare i
propri desideri, e mio padre mi iscrisse d’autorità alla
facoltà di lettere. Mi laureai velocemente e anche
brillantemente, ma senza gioia. La sorpresa arrivò
quando mi trovai di fronte a una scolaresca: erano
ragazzine delle medie. I loro occhi curiosi, interroganti,
i loro volti che si accendevano di
interesse, l’accorgermi di quanto
bene o quanto male potessi fare
loro con le mie parole e il mio
atteggiamento fecero scattare in
me qualche cosa che non mi ha mai
abbandonato: mi sono innamorata
del mio lavoro. E ho continuato
ad amarlo per quarant’anni. Un
insegnante può fare tanto, in
particolare un professore di lettere:
puoi affrontare temi che vanno al
di là del programma scolastico, che
danno prospettive a una vita intera.
Ricordo che in quinta liceo cercavo
sempre, per la classe che avrei abbandonato, una
poesia che potesse essere un ricordo, una bussola
nelle vicende della vita. Talvolta, qualche ex alunno/a,
incontrandomi, me la ricorda ancora , come se ci
fosse un’intesa speciale tra noi. E’ stato bello, per
me, insegnare. Tanto che continuo ancora adesso,
all’Unitre.
Un’altra sua passione è la poesia. E’ così da sempre?
Da ragazzina la poesia mi annoiava, anche perché
mi facevano studiare prima filastrocche, poi Il cinque
maggio o simili amenità. Finalmente incontrai Omero,
e qui cambiò tutto. Del Leopardi ho ancora presente
la commozione che provai leggendo L’Infinito. Molta
poesia del Novecento è bellissima, anche se, a volte,
ardua e fa parte delle mie letture serali. Ho iniziato
a scrivere poesie per me stessa, come meditazione,
come sfogo di emozioni e inquietudini. Non pensavo
a pubblicarle, anche perché nella poesia ti sveli
completamente, e io sono abbastanza timida. Mio
marito, però, scoprì il mio scartafaccio segreto, gli
piacque, lo portò alla casa ed. Effatà che decise di
pubblicarlo. Nacque così il mio primo libro di “quasi
preghiere” “Ed io scivolerò fra le Tue braccia”. E
qui capitò una cosa inattesa : tante persone, spesso
sconosciute, mi scrivevano, o mi fermavano per
la strada, persone semplici, spesso anziane, ma
anche, ricordo, due ragazze giovanissime, per dirmi
“grazie”, che le mie poesie le avevano consolate,
accompagnate, commosse. Che gli avevano fatto
bene, dato speranza. Allora pensai che se questo
era l’effetto delle mie parole e dei miei pensieri, non
dovevo tenere per me questo “dono”: così è nato
il secondo libro “Sottovoce Ti parlo”, di cui è stata
necessaria una seconda edizione.
Forse, chissà, ce ne sarà un terzo...
Lei non è pinerolese di nascita. Ci
parla di questa nostra città, dei suoi
pregi e dei suoi difetti?
Venni a Pinerolo a ventidue anni,
fresca di laurea, abbandonando
tutte le mie amicizie a Casale
Monferrato. Fu difficile ambientarmi.
Però mi accorsi che in quegli anni
Pinerolo era una città viva, piena
di fervore. Ogni sera c’era un
dibattito. Nascevano, e purtroppo
morivano, nuove riviste: per es. La
Fornace o Cronache del pinerolese,
di cui fui anche costante collaboratrice. Anche
economicamente era una città fiorente. L’impressione
fu dunque positiva, anche se non fu facile stringere
amicizie. Però, dopo qualche anno, venni accettata
anche io! Al punto che nel ‘96 venni eletta consigliera
comunale e risultai la più votata. Mi diedi da fare,
in quegli anni: feci nascere la commissione per le
Pari Opportunità, e lavorai perché la legge contro i
maltrattamenti alle donne, che giaceva da anni in
Senato, venisse mandata avanti. Raccogliemmo
una quantità di firme e le consegnammo al senatore
Mancino che era venuto a Pinerolo. Quasi non ci
credevamo, ma proprio da noi quella legge ebbe
la spinta per riprendere il cammino. Feci nascere la
Banca del Tempo, tuttora in attività. Oggi, Pinerolo
mi sembra in regresso: la crisi c’è dappertutto, ma
la nostra città ne appare particolarmente segnata:
negozi chiusi, strade dissestate.... Però culturalmente
è ancora viva. Per esempio da due anni tengo un
Gruppo di lettura presso la Biblioteca. Ci troviamo
mensilmente per discutere di un libro scelto insieme.
Ebbene, il gruppo si va allargando, il che significa
segue a pag.21
interesse e partecipazione.
società
Per Mostre e Musei
di Chiara Gallo
l’arte millenaria tra le vittime
Anche l’arte distrutta in nome di Dio
Cadono le teste delle antiche statue
assire, come cadono le teste dei cristiani
in Medioriente: la mano che tiene l’ascia
è sempre la stessa, quella dell’Isis. L’IS o
ISIL, o ancora ISIS, come si fa chiamare
ora il nuovo Stato Islamico, Califfato
proclamato da Abu Bakr al-Baghdadi nel
2014, sta continuando a mietere vittime,
non solo sul piano umano, anche sul piano
artistico culturale. Ha assicurato finora la
distruzione di 290 siti: 24 distrutti, 189
danneggiati gravi e 77 da verificare.
Una furia inspiegabile ed ingiustificata
dettata solo dalla volontà di cancellare
ogni traccia della storia nell’intera zona
dell’ex Mesopotamia, ora sotto il controllo
dell’estremismo islamico. Siria e Iraq
hanno riportato finora i danni peggiori. Ad
essere devastate le antiche mura di Ninive,
attuale Mossul, le rovine di Nimrud,
capitale degli antichi Assiri, i resti della
città di Hatra, fondata nel lontano III secolo
a.C. dai Seleucidi, e, più recentemente, ci
giungono notizie anche della distruzione
delle antichissime mura di Tal Hafar.
La conta delle devastazioni sembra
non finire più. Ma cosa spinge questi
combattenti di Allah ad un accanimento
così feroce verso quello che è il loro
stesso passato? Perchè decapitare statue
millenarie che simboleggiano la cultura e la
bellezza di questi luoghi? Le risposte sono
molteplici e neanche poi tanto scontate.
Quella più diffusa e “ufficiale” riguarda
l’intento degli jihadisti di proseguire con la
loro politica del terrore verso l’Occidente,
abbattendo simboli che fanno riferimento a
culti che non rispondono al nome dell’unico
vero Dio. Cancellando, smantellando e
deturpando templi, statue, come se fossero
militari in carne e ossa, l’Isis intende urlare
al mondo la propria supremazia non solo
sul territorio, ma anche sulla storia e sulla
tradizione che appartiene a tutti. Un’altra
motivazione è quella che riguarda la
divulgazione del messaggio islamista, non
tanto verso l’Occidente, quanto verso lo
stesso mondo arabo in ascolto sui social
network.
Vi è infine un’ultima risposta alle tante
domande suscitate da questa rabbia
incontrollata, quella economica. Questa è
certo la ragione meno evidente, ma forse
la più importante: vendendo sul mercato
nero i preziosi reperti iracheni e siriani
ad acquirenti, più che altro occidentali, i
combattenti dello Stato islamico riescono
a garantire liquidi alle proprie linee,
aumentando così il loro potere sul territorio
e, purtroppo, nel mondo.
16
17
ndo
così per il mo
Vita internazionale
di Alessia Moroni
Intervista a Jessica Cairo e Luca Restagno
Waiting for...Australia!
Aspettando l’Australia
Una coppia. Un viaggio. Un sogno. Ecco
come si può riassumere la chiacchierata
con Jessica Cairo, laureanda in Scienze
Biologiche, e Luca Restagno, laureato in
Economia e prossimo al conseguimento
della Laurea Magistrale. Tutto questo
ovviamente prima della loro partenza per
l’Australia, prevista per Novembre.
Con un bagaglio culturale non indifferente
andranno dall’altra parte del mondo
per circa due anni, al fine di lavorare ed
imparare perfettamente l’Inglese.
Come vi siete organizzati in vista della
partenza e dell’avventura che vi attende?
Luca: ci siamo divisi i compiti, lei si
sta occupando degli obbiettivi a lungo
termine, come cercare i corsi di laurea,
mentre io sto raccogliendo informazioni
più imminenti, come la base di soldi di
cui disporre fin dall’inizio e cercare dei
possibili lavori.
Jessica: questo mese dovremo fare il
visto ed abbiamo già fatto i passaporti.
Alla fine è circa un anno che progettiamo
questa esperienza. Subito abbiamo
pensato all’Europa, poi al Canada, ma alla
fine la scelta è stata l’Australia.
È dunque molto tempo che ci pensate.
Com’è stata la ricerca di informazioni?
J: molto divertente ed è stata una
scoperta, non pensavamo ci fossero così
tanti italiani in Australia e parlare con loro
è stato un grande aiuto.
L: gli italiani che vivono in Australia
fanno molti video per far capire come sono
lì la vita ed il lavoro. Abbiamo dunque
contattato amici di amici anche tramite
Facebook, tutti italiani, che – perché no –
pensiamo di ritrovare là.
Qual è la città dove pensate di andare? E
che lavoro cercherete una volta arrivati?
L: subito avevamo pensato a Perth,
ma risultava troppo lontana dalle altre
città. Inizialmente andremo a Sydney e
poi a Brisbane, che è una città dal clima
favorevole e più piccola rispetto a Sydney.
J: stiamo imparando a fare bene le
pizze, per arrivare lì già con un mestiere
specifico e trovare un lavoro nel settore
dell’hospitality.
L’idea, se ho capito bene, è di stare
qualche anno in Australia e poi tornare in
Europa. Pensando a priori, cosa intendete
fare una volta tornati?
J: dipende. Da una parte mi piacerebbe
rimanere in Australia e trovare un corso
di Laurea Specialistica nel mio settore.
Altrimenti ho comunque in mente di
continuare gli studi in Europa, più
precisamente pensavo al Nord Europa.
Come vi sentite nel partire insieme e nel
dover convivere come coppia per la prima
volta?
L: è una cosa positiva, dopo cinque anni
insieme. È una specie di prova, ma prima
o poi dovremo farlo, no?
17
musica
Officine del suono
di Isidoro Concas
M u s i c a emergente
I The Yellow Traffic Light
I The Yellow Traffic Light sono un gruppo shoegaze
attivo dal 2011 con due EP ed una densa esperienza
live che dal bacino di Torino si sta espandendo in
tutto il nord Italia: è di poche settimane fa l’uscita
di un video live registrato all’Edonè di Bergamo di
un loro pezzo inedito. Il gruppo sta continuando a
lavorare, e noi abbiam voluto conoscerli meglio.
Allora, voi nascete come trio con influenze dallo
psych-rock anni ’60-‘70, ma dal vostro secondo
EP, Dreamless, avete virato decisamente più verso
un sound shoegaze e neopsych: nei vostri live
spuntano accenni dream pop e space rock, ed in
tutto questo avete anche cambiato formazione.
Come siete giunti a quell’impasto sonoro che è, ad
ora, il vostro suono?
Diciamo che principalmente sono stati due i fattori
che hanno portato la
band al progressivo
cambiamento
di
sonorità e attitudine
sia nel suonare sia
nel comporre i brani
di
Dreamless
e
soprattutto delle new
entries di questi mesi. Il
cambio di formazione,
forse meno essenziale
del secondo fattore,
ha comunque contribuito nel cammino che ci ha
portato dalla psichedelia doorsiana e pinkfloydiana,
cui comunque siamo ancora legati, alle sonorità
shoegaze e dream pop degli ultimi brani. Quando
infatti Federico e Lorenzo sono entrati nel gruppo e
Angelo lo ha nel frattempo lasciato, la loro diversa
esperienza e modo di approcciarsi all’esecuzione
dei brani, composti principalmente da Jacopo,
ha portato una forte ventata di cambiamenti nel
sound generale, che è diventato più corposo e nel
frattempo si è svecchiato dalle prime influenze 60’s
e 70’s. Sicuramente sono però gli ascolti sia dei
singoli membri che quelli condivisi da tutti e quattro
ad aver portato al suono che ora ci rappresenta
maggiormente. Partendo da Jacopo e anche da
Luca, infatti, la band si è avvicinata allo Shoegaze
e quindi sia ai gruppi storici della scena (da My
bloody valentine agli Adorable, dagli Spaceman 3 ai
Jesus and Mary Chain) sia alle band odierne che ne
ripropongono, ognuna alla sua maniera, le classiche
tinte eteree e sognanti (dai TOY ai DIIV sino all’indie
pop dream degli Alvvays senza tralasciare la scena
più psichedelica che ci lega ancora al passato con
i Tame Impala e se vogliamo anche gli inglesi
SPLASHH).
Né nella vostra biografia, né nelle vostre interviste
c’è un accenno al motivo per cui vi chiamate così.
Come avete scelto il vostro nome?
Il nostro nome nasce da un’idea pseudo-filosofica
venuta ben tre anni fa a Luca. The Yellow Traffic Light
significa semplicemente semaforo giallo, ma lui ne ha
proposto una sua personale (e condivisa dalla band)
interpretazione: il semaforo giallo rappresenta infatti il
punto focale del comportamento sia sociale che più in
generale umano degli individui. Secondo questa teoria
dal semaforo giallo si evince la personalità di ognuno: se
si è persone decise e razionali, non si hanno problemi ad
attraversare; se invece si è previdenti, insicuri, irrazionali,
si aspetta che esso diventi rosso oppure si tentenna fino
all’ultimo. Ultimamente sempre Luca ha rivisitato questa
teoria dopo aver consumato
la serie tv “Twin Peaks”,
dove viene detto riguardo al
semaforo giallo : “Does it mean
to speed up or to slow down?”.
A voi la scelta.
Poche settimane fa avete
pubblicato il video live di Fall,
un brano che presentate come
“nuovissimo”, e che presenta
atmosfere più uptempo di
quelle di Dreamless e richiami
più marcati allo psych-rock. Avete inoltre pubblicato
una foto in studio annunciando di star scrivendo altro
materiale: cosa bolle in pentola, in casa TYTL? Quali
sono i vostri progetti futuri?
Sì e tra l’altro cogliamo l’occasione per ringraziare
Daniele Ti, videomaker della Exibhition Night, la
serata da cui il video di “Fall” è tratto. Fall presenta
un ritmo molto più sostenuto e motorik alla TOY
ispirato alle ritmiche kraut-rock dei Neu!. Gli intrecci
basso-chitarristici sono invece più vicini come sound
ai brani guitars-driven degli eterei newyorkesi DIIV.
Prossimamente abbiamo in programma di far uscire
in autoproduzione un videoclip e un brano singolo in
free download sulla nostra pagina Bandcamp, ma di
ciò ancora non possiamo rivelarvi nulla. In seguito
il nostro progetto oltre a cercare date per questa
stagione in Italia e perché no anche in Europa, è
quello di tornare in sala di registrazione a Settembre
per lavorare su un nuovo freschissimo EP che
racchiuderà tre dei brani, tra cui presumibilmente
Fall, che meglio rappresentino il nostro suono
attuale. Perciò mantenetevi sintonizzati sulla nostra
pagina facebook e su youtube perché presto ci
saranno novità.
18
Cosedell’altromondo
di Massimiliano Malvicini
4 marzo 1848-25 aprile 1945 Le libertà
civili e politiche: da atto a conquista
I mesi primaverili scandiscono i passi della
storia d’Italia: a marzo e ad aprile sono
numerose le date e le ricorrenze che, seppur
riferite ad eventi molto distanti tra di loro,
raffiugurano un terreno comune della nostra
vicenda nazionale: la ricerca della piena
garanzia delle libertà di cittadinanza attiva.
Risale al lontano 1848 la Carta fondamentale
che delineava le prime
seppur timide garanzie
di libertà individuali ed
associative e delineava
l’architettura ministeriale
dell’allora
Regno
di
Sardegna.
Il documento, concesso
da Carlo Alberto durante
la grande stagione di riforme liberali e
di movimenti democratici - che viene
storicamente definita come il lungo ’48 che prenderà il nome di Statuto albertino,
verrà utilizzata come fondamento di ordine
costituzionale anche nel Regno di Italia
(proclamato ufficialmente il 17 marzo 1861
presso Palazzo Carignano a Torino) fino
all’entrata in vigore della nostra Costituzione
nel gennaio del 1948.
La ricerca per le libertà però non finisce qui.
Alle vicende ottocentesche si aggiungono gli
avvenimenti che portarono entro la primavera
del 1945 alla Liberazione delle regioni
alpine e padane dalle
truppe nazi-fasciste. La
ricorrenza che simboleggia
la Liberazione,porta in
dono anche la piena
affermazione delle libertà
civili, sociali e politiche che
non erano solo più degli
astratti principi ma erano
ormai divenuti parte di una cultura collettiva.
Sebbene ci volesse la tutela costituzionale e
molti decenni prima che il sistema di garanzie
progettato avesse pieno dispiegamento, la
data del 25 aprile continua a simboleggiare un
evento cruciale nella storia del nostro Paese.
1 aprile 2015 – La Palestina ammessa
alla Corte penale internazionale
Il Segretario delle Nazioni Unite ha
recentemente affermato che lo Stato di
Palestina diventerà uno
dei membri del Tribunale
penale internazionale dal
prossimo 1 aprile.
Materialmente parlando,
ciò significa che da questa
data esso potrà depositare
le denunce per “crimini di
guerra” verso tutti quei
soggetti che, a parere
dell’Autorità
Nazionale
Palestinese, hanno violato
le sue prerogative sovrane
e territoriali (anche se, da questo punto di
vista, la vicenda giudiziaria sembra molto
intricata).
La decisione del tribunale dell’Aja
appare piuttosto controversa
anche rispetto agli ultimi
avvenimenti sia nazionali
che internazionali aventi
ad
oggetto
“l’entità
palestinese”: l’ammissione
al TPI potrebbe sbloccare la
vicenda dal punto di vista
del diritto umanitario e dei
conflitti armati, ma non
si capisce come potrebbe
aiutare
a
districare
la
situazione dal punto di vista
della sovranità territoriale in Medio oriente.
19
ni
diritti uma
Visibili & Invisibili
20
gruppo giovani amnesty international
In Venezuela un anno dopo
Esattamente un anno fa in questa rubrica parlammo
delle proteste contro il governo in Venezuela, alle
quali le autorità avevano risposto con numerosi
arresti e violenze. Nel periodo tra il febbraio e
il luglio del 2014 43 persone persero la vita,
centinaia vennero torturate o ferite
e 3351 vennero arrestate, per la
maggior parte arbitrariamente.
Circa un anno dopo, un rapporto
di Amnesty International fa luce
sulla situazione ad oggi. Tra gli
arrestati, 1014 potrebbero ancora
essere incriminati e 25 attendono
il processo in carcere. Secondo
le informazioni a cui Amnesty ha
avuto accesso, alcuni gruppi filogovernativi avevano esercitato violenze e fatto
irruzione in case private con il benestare delle forze
dell’ordine. I responsabili sono spesso sfuggiti alla
giustizia a causa di indagini e operazioni giudiziarie
fallimentari. Inoltre, i famigliari delle vittime, gli
avvocati e gli attivisti che hanno chiesto giustizia
hanno subito intimidazioni e aggressioni. Al posto
di lavorare per il dialogo, il Ministero della Difesa a
gennaio ha dichiarato che in caso di manifestazioni
sarà possibile ricorrere alle forze armate al
completo, alle quali sarà permesso
utilizzare armi da fuoco. Il 14
febbraio a Táchira la polizia ha
ucciso con un colpo alla testa un
quattordicenne che protestava
contro il governatore locale. Pochi
giorni dopo il sindaco di Caracas
ha subito un arresto giudicato
sospetto. Amnesty International
ha sottolineato che queste misure
e la generale impunità a seguito degli
abusi di potere da parte delle forze dell’ordine finiranno per
incentivare ulteriori violazioni dei diritti dei Venezuelani.
Pertanto, il nostro sostegno e la nostra attenzione per la
situazione non devono cessare.
Sabato 21 marzo 200mila persone hanno
sfilato in un corteo lungo tre chilometri che ha
invaso le strade di Bologna sin dalle prime ore
del mattino. Don Luigi Ciotti era alla testa del
corteo seguito da Piero Grasso, presidente del
Senato e altri nomi illustri, oltre ai famigliari
delle vittime. Piazza VIII agosto
ha accolto la folla giunta da
tutta Italia in occasione dei 20
anni di Libera e per ricordare,
come ogni anno il primo giorno
di primavera, tutte le vittime di
mafia. Una lettura impegnata e
consapevole di 1035 nomi che
rappresentati da palloncini bianchi sono volati
verso il cielo, al quale guarda “una Chiesa
che sa tenere anche gli occhi rivolti a terra”
come ha affermato Don Ciotti. Il suo discorso
è stato fortemente significativo e ha ricordato
a tutti noi giovani la partecipazione di Papa
Francesco, lo scorso anno alla giornata di
Latina, e l’importanza di questa presenza
insieme alle sue parole, ha inoltre sottolineato
come sia ormai errato ed obsoleto parlare
di infiltrazione mafiosa e di quanto sia
necessario parlare di occupazione
di
quest’ultima,
infatti
“è
presente negli appalti pubblici
e davanti agli occhi di tutti”.
Parole forti quelle del fondatore
di Libera, quelle di un uomo che
chiede che questa giornata
venga riconosciuta come
“Giornata della memoria
e dell’impegno” in ricordo
delle vittime di mafia a livello
nazionale e che domanda
con forza che anche in Italia
venga introdotto il reddito
di cittadinanza, presente in quasi tutti i Paesi
europei, motivo per cui “l’Italia deve smetterla
di arrivare sempre dopo”. Parole importanti
e meritevoli di attenzione son state anche
quelle di alcuni familiari delle vittime e quelle
del nostro presidente del Senato, unitamente
al discorso del sindaco di Bologna.
Questa è stata una giornata piena di emozioni
e di voglia di cambiamento, desiderio di
camminare insieme affinché la verità possa
veramente illuminare la giustizia.
La verità illumina la giustizia
società
Giovani,Tecnologia@Innovazioni
a cura di Greta Gontero
Budgee
Sarebbe bello avere un robot personale
che ci segue ovunque noi vogliamo? Per
chi lo desidera è nato Budgee, un robot
che segue il proprio “padrone” e gli porta
borse, pacchetti, bagagli…
Fa sempre comodo in
effetti avere un assistente
personale che aiuti a
portare pesi vari (da zaini a
borse della spesa) e meglio
ancora se lo fa in silenzio!
A questo proposito la
FiveElementsRobotics ha
creato Budgee, un vero e
proprio robot che segue
(tramite frequenze radio)
un
dispositivo
messo
addosso al proprietario,
il quale può decidere
una distanza predefinita.
Budgee è molto facile da usare: basta
infatti schiacciare un pulsante sulla sua
testa per accenderlo e attivarlo in modalità
manuale o predefinita.
Dal punto di vista strutturale
possiede alla base una sorta
di carello con sacca, la quale
può contenere circa venti kg,
e ha una testa con due occhi
luminosi (il cui colore piò
essere scelto dal cliente).
Infine Budgee può
raggiungere circa 7 km/h
di velocità ed è in grado di
riconoscere eventuali ostacoli
sul percorso, evitando così di
scontrarvisi.
Attualmente il costo del
prodotto si aggira attorno ai
1400 dollari.
Onda d’Urto / Appuntamenti
Via Vigone 22 - Pinerolo
• Giovedì 16 aprile alle 18,30, Apericena delle idee
• Mercoledì 22 aprile, ore 20,45, Corso di Fitoterapia con
la dott. Valeria Armand
• Venerdì 24 aprile, ore 18, Serate di Laurea
• Ogni mercoledì, dalle 15 alle 18, informazione sui bandi
Intervista ad Anna Maria Bermond,
segue da pag.15
Lei è moglie di Elvio Fassone, nostro autorevole
collaboratore. Ci racconta qualche aneddoto della
vostra vita coniugale?
Dopo cinquant’anni di matrimonio gli aneddoti sono
innumerevoli. Mi piace ricordare i nostri primi anni: io
insegnavo, Elvio studiava in modo pesantissimo per
sostenere gli esami da magistrato. Il mio stipendio era
smilzo: 54.000 lire. L’affitto era di 22.000. Non c’era
posto al nido per il mio bimbo, e la donna che gli badava
quando ero a scuola costava 20.000. L’avanzo era
davvero esiguo. Per arrotondare, Elvio inventava rebus
e sciarade per la Settimana Enigmistica, io scrivevo
novelle che, se venivano accettate, costituivano
un’entrata di ben 20.000 lire. Quando arrivavano
questi supplementi si festeggiava...Fu un periodo
durissimo, ma lo ricordiamo con grande affezione.
Per concludere, una domanda sui giovani. Trova che
sul territorio si facciano politiche adeguate per creare
per i giovani occasioni per il futuro?
E’ un terreno che conosco poco, anche perché in
questi anni mi sono piuttosto occupata degli anziani,
spesso lasciati soli e dimenticati. Mi pare che a
Pinerolo, tranne la realtà delle scuole, di gruppi teatrali,
di forme vive di volontariato, come quella del vostro
giornale, esista ben poco. Penso però che i giovani,
se hanno creatività, inventiva, voglia di impegnarsi e
studiare abbiano infinite possibilità.
21
società
Andare al cinema
di Andrea Obiso
Foxcatcher/Una storia americana
Regia: Bennett Miller. Attori Principali: Steve Carrell, Channing
Tatum, Mark Ruffalo, Sienna Miller, Anthony Michael Hall
Mark e David Schultz sono due
campioni di lotta libera, affrontano
assieme
le
problematiche
sia
in
combattimento che fuori, preparandosi
al meglio per gli imminenti Mondiali.
Mentre si stanno allenando in una
fatiscente palestra americana Mark riceve
una chiamata dal misterioso miliardario
John E. Du Pont, che si dimostra interessato
a finanziare i due fratelli e tutta la loro
squadra per creare il “Team Foxcatcher”.
Tra l’iniziale indecisione di David, le
vittorie di Mark e l’evidente conflitto con
la madre, Du Pont realizza il suo sogno.
Ma il clima, nella tenuta Foxcatcher,
diventa ogni giorno più surreale.
Steve Carrel, partiamo da lui. Alzi
la mano chi pensava potesse essere
un attore di livello dopo una carriera
fatta di risate facili ed altrettanto facile
buonismo. Qui diventa John E. Du
Pont, personaggio quasi sconosciuto e
incredibilmente complesso da portare in
scena, eppure così reale e genuinamente
inquietante nella trasposizione di Carrel.
A fargli da contorno una serie di attori
che si confermano (Mark Ruffalo) o che
si scoprono del tutto capaci e affidabili
(Channing Tatum) e una regia come
sempre molto funzionale alla vicenda.
Bennet Miller in particolare si dimostra un
abile trasformista, dopo Truman Capote, A
Sangue Freddo e L’arte di vincere cambia
ancora registro, lasciando la letteratura, i
numeri e il baseball cimentandosi con una
vicenda surreale, scomoda ed inquietante.
Ciò che meno convince tuttavia rimane
la lentezza con cui scorre la narrazione,
ovviamente la lentezza non è un difetto
in sé (anzi), ma nel momento in cui perde
armonia con il particolare frammento
che si va a raccontare smette di essere
una valore aggiunto, rischiando così
di perdere mordente sullo spettatore.
In Foxcatcher per fortuna questo accade
raramente, ed il film risulta godibile ed
appassionante.
22
società
Appunti di viaggio
A cura di Angelica Pons
A 450 km dal Polo Nord
Wondering Lapland
Sì eravamo proprio curiosi, curiosi della neve,
della vita in una landa tanto fredda, curiosi e
già colmi di stupore solo dal nome delle aurore
boreali, e persino dell’emozione che può dare lo
“sleddogs”, la slitta coi cani.
Abbiamo colmato solo un pezzetto di questa
curiosità, perché il Nord ha un fascino senza
eguali: siamo rimasti estasiati e speriamo di
tornarvi.
E’ facile. Il Nord Europa è ben organizzato,
civilizzato, tecnologico.
Voli frequenti con scalo in Germania collegano
la penisola. La nostra meta è Ivalo, 450 km dal
Polo, dove troviamo una stanza in un villaggio
sperduto in mezzo alla neve, Ukonjärvi Holiday
Village, sull’Inari Lake.
La neve fa tornare bambini! Trascorriamo tre
giorni a ridere e ciaspolare – ciaspole affittate da
Anne di Easy adventures, 10 euro tot – e si va in
lungo ed in largo nel candore a perdita d’occhio,
nell’aria purissima, su laghi gelati e foreste
ariose di pinetti e betulle, tra fiocchi danzanti,
raggi di sole, raffiche di vento. L’unica collinetta
è il belvedere dove sono lasciati i residuati bellici
di un aeroplano e di un carrarmato, oltre ad un
museo a cielo aperto di antiche barche e casette
lapponi; c’è pure una motoslitta degli Anni ’70 e
un caffè chiuso, perché la strada è impraticabile
(2 m di neve) e in questa stagione non sale
nessuno. Da lì si rimirano i monti siberiani e le
distese innevate. Non paghi di tanta bellezza
cantiamo per evocare l’aurora. Che arriva,
puntuale, nei -20° della notte, prima con un
velo lieve che scompare e riappare danzando
lungo tutta la volta stellata disegnando archi,
volute, canne d’organo, tende e zampe d’orso.
L’incontro con la natura è disarmante. Dagli
scoiattolini ed uccellini (siberiantip) cui la nostra
ospite dà da mangiare, ai timidi ptarmigan, uccelli
mimetici come grossi polli bianchi dagli occhietti
neri, alla giovane renna che ci osserva curiosa
e saltella via, volando sulla superficie piatta,
percorsa raramente da un gatto delle nevi, sulla
cui traccia poggiamo le nostre racchette.
Sento il rimbombo del mio bastoncino sotto
i 60 cm di ghiaccio. Visitiamo un parco dove
sono custodite in semi-cattività le rarissime volpi
artiche, ma l’entusiasmo è tanto pure per i nostri
nuovi amici, con la slitta: buoni, sottili e forti
gli husky finlandesi, la capomuta ha 13 anni
«ma non lo sa», dice ridendo la guida, Sistina.
Alle nostre soste – siamo absolutebeginners!
– abbaiano e ululano di gioia, pare che dicano:
«Facci ripartire» e mangiucchiano la neve perché
hanno caldo.
Un saluto a Nemo, il lupacchiotto di Riitta
Liisa, la gentile signora inglese che ci ha ospitato,
il marito dall’Olanda: «Ma che cosa vi ha spinti
a vivere qui, d’inverno scende a -50°?».«La
natura» è la risposta.
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Sono amici di Pinerolo InDialogo e di Onda d’Urto 24