sommario - Giustizia Sportiva.it
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Anno II Pubblicazione numero 1 2006 GiustiziaSportiva.it Rivista Giuridica Direzione e Fondatori Enrico Crocetti Bernardi Antonino de Silvestri Enrico Lubrano Paolo Moro Jacopo Tognon Comitato di Redazione Giuseppe Agostani Alessia Bellomo Marco Mazzucato Emanuele Paolucci Michela Pigato Jacopo Tognon Direttore Responsabile Mario Liccardo _____________________________________________________________ Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004 al numero 1902 del Registro Stampa ‐ Periodico quadrimestrale ‐ INDICE DEL FASCICOLO 1° PARTE PRIMA DOTTRINA ANTONINO DE SILVESTRI, Il lavoro nello sport dilettantistico pag. 4 (Atti del Convegno Nazionale “Sport e Diritto del Lavoro” – Torino, 13 e 14 gennaio 2006) NELLO VENANZI, Il vincolo di giustizia arbitrale nelle controversie di tipo pag.36 economico tra calciatori (allenatori, direttori tecnico-sportivi, ecc.) professionisti e le società sportive tra la L. 91/1981 e la L. 280/2003 (Atti del Convegno Nazionale “Sport e Diritto del Lavoro” – Torino, 13 e 14 gennaio 2006) LEONARDO CARBONE, Profili generali della tutela previdenziale degli sportivi ALESSIO RUI, Sfruttamento diritti Tv criptati: un sistema da ridefinire. pag .56 pag.85 Problematiche, contraddizioni e sperequazioni legate all’attuale sistema distributivo degli introiti PARTE SECONDA NOTE A SENTENZA GIUSEPPE GLIATTA , La sentenza Simutenkov: una applicazione pag.95 dell’effetto Bosman agli accordi di partenariato della comunità PARTE TERZA GIURISPRUDENZA DECISIONE COMM. DISCIPLINARE FRIULI VENEZIA GIULIA del 10.10.2005 : l’ articolo 17 del codice di giustizia sportiva per i dilettanti DECISIONE CORTE FEDERALE F.I.G.C. del 11.04.2006 : il caso “ Genoa” pag .122 pag.128 PARTE PRIMA DOTTRINA SOMMARIO: ANTONINO DE SILVESTRI, Il lavoro nello sport dilettantistico pag. 4 (Atti del Convegno Nazionale “Sport e Diritto del Lavoro” – Torino, 13 e 14 gennaio 2006) NELLO VENANZI, Il vincolo di giustizia arbitrale nelle controversie di tipo pag.36 economico tra calciatori (allenatori, direttori tecnico-sportivi, ecc.) professionisti e le società sportive tra la L. 91/1981 e la L. 280/2003 (Atti del Convegno Nazionale “Sport e Diritto del Lavoro” – Torino, 13 e 14 gennaio 2006) LEONARDO CARBONE, Profili generali della tutela previdenziale degli sportivi ALESSIO RUI, Sfruttamento diritti Tv criptati: un sistema da ridefinire. Problematiche, contraddizioni e sperequazioni legate all’attuale sistema distributivo degli introiti pag .56 pag.85 Il lavoro nello sport dilettantistico IL LAVORO NELLO SPORT DILETTANTISTICO di Antonino De Silvestri (*) CONVEGNO NAZIONALE “ SPORT E DIRITTO DEL LAVORO ” (Torino 13 e 14 gennaio 2006) organizzato dal CENTRO NAZIONALE STUDI DI DIRITTO DEL LAVORO “D. NAPOLETANO” SEZIONI PIEMONTE, LIGURIA, LOMBARDIA, VENETO. ****** SOMMARIO: 1) La dicotomia professionismo-dilettantismo e la “fattualità” della prestazione sportiva; 2) Il progressivo svuotamento di contenuto dello status di dilettante; 3) Il professionista di fatto: soluzioni dottrinali e riflessi di costituzionalità; 4) Le diversificate risposte regolamentari delle federazioni sportive nazionali; 5) La giurisprudenza statuale e arbitrale; 6) Le problematiche di arbitrabilità delle controversie del professionista non ufficializzato; 7) La tutela del professionista di fatto tra illegalità, incongruità, insicurezze e carenze di disciplina: la proposta di legge Moroni. 1) La dicotomia professionismo-dilettantismo e la “fattualità” della prestazione sportiva. Il diritto sportivo, materia interdisciplinare con poco più di mezzo secolo di vita, non ha l’eguale in nessun’altra disciplina giuridica quanto a incertezza nelle nozioni fondanti, rapidità di evoluzione del contesto di riferimento, difficoltà di coordinamento tra le sue fonti, eterogenee e spesso contrastanti tra loro nonché, per entrare direttamente in argomento, a problematiche di inquadramento dei propri particolarissimi istituti. DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico Al di là delle questioni definitorie dello stesso fenomeno ludico e quelle circa l’applicazione del metodo pluralistico ordinamentale, è innanzi tutto la “trasversalità” dello sport, e cioè la sua attitudine, in ragione dei molteplici valori di cui è portatore, ad essere astrattamente ricompreso in più proposizioni normative con differenti sfere di applicazione, ad offrire amplissimi spazi all’elaborazione suppletiva dell’interprete, costretto a confrontarsi sia con le prescrizioni di provenienza sportiva delle federazioni nazionali e internazionali, sia con le norme comunitarie e sia, da ultimo, con quelle costituzionali e legislative di volta in volta ritenute applicabili (amplius, sulle problematiche di carattere generale, in DE SILVESTRI 2003, pp. 5 ss, nonché, quanto agli aspetti costituzionali, in DE SILVESTRI 2005, passim). E’ noto come, in Italia, manchi tuttora una legge di principi in tema di sport, tale non potendo certo considerarsi il D. Lgs. 23 luglio 1999 n. 242 (cosiddetto decreto Melandri) come modificato dall’ulteriore D. Lgs. 8 gennaio 2004 n. 15 (cosiddetto decreto Urbani-Pescante), emanato solo per disciplinare gli aspetti istituzionali dell’organizzazione sportiva nazionale in sostituzione dell’abrogata legge n. 426/1942. Il nostro legislatore, infatti, è intervenuto esclusivamente su specifici segmenti di interesse della materia sportiva che, per dirompenza e problematicità, non potevano tollerare ulteriori ritardi, primo fra tutti quello relativo al professionismo sportivo, con la conseguenza che temi, quali quelli che oggi ci occupano, ripetutamente denunciati ma raramente approfonditi dalla scarsa e frammentata dottrina, risultano rimessi all’autonomia organizzativa delle singole federazioni sportive e, soprattutto, alle decisioni, non sempre puntuali, della giurisprudenza arbitrale e della magistratura nazionale, oltre che a quelle, decisamente più calzanti, dei giudici comunitari. Un giurista che, poco più di trent’anni fa, si interrogava sul vincolo di giustizia e sulla giustiziabilità statuale delle pretese endoassociative, aveva ritenuto di poter concludere che quelle problematiche nemmeno sfioravano il mondo dei dilettanti, posto che questi, del tutto privi di diritti soggettivi per le attività prestate in ambito federale, non avevano nemmeno la teorica possibilità di adire i giudici dello Stato (CUDIA 1973, pp. 229 ss). Era quella un’affermazione che nessuno oggi si sentirebbe più di sottoscrivere, ma che costituiva l’indubbio portato sia della configurazione dello sport dilettantistico di allora, fenomeno socio-culturale di massa a carattere prettamente amatoriale, sia della scarsa attenzione per il settore da parte dei giuristi dell’epoca, non ancora pronti a coglierne le notevolissime implicazioni giuridiche quantomeno sotto il profilo associativo. Risale, comunque, proprio alla fine di quegli anni Settanta un radicale mutamento di quadro dell’intero contesto sportivo nazionale che costrinse ben presto le istituzioni sportive, da un DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico lato, a rivedere l’ormai anacronistica identificazione, di stampo olimpico, di ogni forma di sport con quello puro, cioè dilettantistico, che portò alla progressiva apertura a varie forme di economicismo (DE SILVESTRI 1983, pp 115 ss, 137 ss) ed il nostro legislatore, dall’altro, ad abbandonare la tradizionale posizione di agnostico disinteresse e ad emanare la legge n. 91/1981 sul professionismo sportivo. E fu proprio nel corso dell’iter di quella legge, tra l’altro, che i suoi estensori dovettero sperimentare la singolare e perdurante riottosità della materia sportiva ad essere inquadrata nei tradizionali schemi giuridici, essendo com’è noto la scelta in favore della subordinazione il frutto del ribaltamento del testo originario, che aveva invece optato per la configurazione del professionismo sportivo come lavoro autonomo (DE SILVESTRI 1988, pp. 198-199). Superato l’impatto, all’epoca fortissimo, che quella legge provocò soprattutto sul calcio professionistico, del quale troppo frettolosamente era stata preannunciata la fine a cagione dell’abolizione del vincolo, ed accertato invece che il sistema teneva benissimo, anche perché l’avversione per l’economicismo aveva definitivamente ceduto il posto al matrimonio, all’epoca felicissimo, tra industria e sport, furono le problematiche del dilettantismo, a decorrere dagli anni Novanta, ad attrarre l’attenzione degli specialisti (vedi, per tutti, MORO 1999, passim). Ciò è avvenuto a diversi livelli, variamente intersecati tra loro, perché il concetto di dilettantismo, mai considerato dal legislatore se non sotto il profilo meramente fiscale, (MARTINELLI 2005, p. 38; CROCETTI BERNARDI 2003, p. 757) ricomprende in sé, al di là dell’unicità del vocabolo, prestazioni sportive assolutamente eterogenee tra loro. Occorre a questo punto ricordare come l’atleta sia parte di due collegati, ma distinti rapporti, quello di tesseramento con la rispettiva federazione, e quello di vincolo con la società di appartenenza (DE SILVESTRI 2000, p. 520 ss). Il primo è sicuramente di natura associativa non potendo revocarsi in dubbio, a seguito dell’espressa attribuzione della personalità giuridica di diritto privato alle federazioni e del riconoscimento del principio di democrazia interna ad opera degli artt. 15 comma 2 e 16 comma 1 del decreto Melandri, che associati delle medesime siano, oltre alle affiliate, anche gli atleti e le altre persone fisiche tesserate, anche se gli statuti federali fanno reticente riferimento solo alle prime. Decisamente più arduo, come vedremo, è definire la natura del secondo, perché accanto al dilettante in senso tradizionale, ovvero all’ amateur, colui cioè che si dedica allo sport inutilitaristicamente, per mera passione, come pratica salutistica del tempo libero, per definizione assolutamente antinomica al concetto di lavoro, esiste anche un altro dilettante e cioè quello che, ad DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico onta della qualifica formale, percepisce invece compensi, spesso lauti ed a titolo di esclusivo sostentamento. E se nel caso del dilettante puro anche il rapporto di vincolo integra un ulteriore rapporto associativo, unico essendo il centro di interesse e risolvendosi la partecipazione alla gara nell’adempimento del patto che vede accomunati atleti e società intorno al fine comune della pratica sportiva e, se possibile, della vittoria, altrettanto non può dirsi per il dilettante retribuito. Occorre evidentemente, in tale ultimo caso, qualificare in termini giuridici la percezione delle somme di danaro, perché ove la misura e la rilevanza di queste dovesse indurre a considerare le prestazioni dell’atleta in termini di scambio con la società controparte, e non più come apporto nel comune negozio associativo, si aprirebbe inevitabilmente la strada alla ricostruzione della vicenda in termini di lavoro. Le riflessioni e l’azione comunitaria in favore dello Sport per Tutti, nato dal dibattito sul tempo libero e sui compiti del Welfare State, con le sottolineature delle funzioni che lo sport non professionale svolge nei settori sociale, culturale, sanitario ed educativo, fece innanzi tutto emergere lo strettissimo rapporto che lega l’attività dilettantistica o amatoriale, a prescindere dal suo inserimento nei circuiti federali od olimpici, ai diritti essenziali della persona e, a livello nazionale, la pregnanza precettiva dell’art. 2 della Costituzione, che riconosce “i diritti inviolabili dell’uomo” sia come singolo, sia “nelle collettività sociali”, quali indubbiamente sono le federazioni e le società sportive, “in cui si svolge la sua personalità” (ex plurimis RUOTOLO 1998, pp. 408 ss). Si individuarono, così, le specifiche esigenze di tutela dell’atleta dilettante dai possibili abusi vessatori delle associazioni alle quali pur volontariamente aveva aderito, ed avendo come punto di riferimento l’art. 18 della Costituzione, che accanto alla libertà positiva di associarsi non poteva non tutelare quella negativa di dissociarsi, il dibattito si incentrò in particolare sull’istituto del vincolo a tempo indeterminato, tanto da indurre dapprima la nostra massima federazione nazionale a modificarne profondamente la struttura (amplius in DE SILVESTRI 2002, pp. 31 ss) e, successivamente, lo stesso CONI, nel marzo del 2004, ad introdurre tra i principi Fondamentali degli Statuti delle federazioni e degli altri organismi associativi, appunto quello della “temporaneità” del vincolo. Non poteva però passare inosservato il fenomeno del “dilettante che lavora”, individuato con i diversi nomi di “professionismo di fatto”, di “dilettantismo retributivo”, di “professionismo marron” ovvero di “professionismo irregolare”, che peraltro non riguarda solo il nostro Paese, DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico posto che anche nel resto dell’Europa è nota la figura dello shamateur e dello scheinamateur (per un excursus nei diversi Stati vedi LOMBARDI 2002, pp. 97 ss). In Italia il problema, paradossalmente, è nato proprio dalla legge n. 91/1981, emanata allo scopo specifico di far emergere e disciplinare gli aspetti lavoristici delle prestazioni sportive perché la stessa, com’è largamente noto, non ha affatto disciplinato il lavoro nello sport nella sua interezza, ma solo quello che si svolge nell’ambito delle federazioni sportive qualificate come professionistiche e cioè, secondo la originaria delibera del Consiglio Nazionale del CONI del 2 maggio 1988, LA Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), la Federazione Ciclistica Italiana (F.C.I.), la Federazione Italiana Golf (F.I.G.), la Federazione Motociclistica Italiana (F.M.I.) e la Federazione Pugilistica Italiana (F.P.I.), a cui si è aggiunta, a decorrere dal 30 giugno 1994, la Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.). E’ significativo, al proposito leggere quanto incidentalmente affermato dal TAR Lazio (Sezione Terza – ter, 12 maggio 2003, n. 4103) nel ricorso intentato da Catarina Pollini contro la G.S. Comense e la F.I.P.: “certamente la mancata applicazione al settore del basket femminile della legge 23 marzo 1981 n. 91 è la vera causa della vicenda quando, come nel caso in esame, appare difficile configurare come dilettantistica un’attività sportiva comunque connotata dai due requisiti richiesti dall’art. 2 (remunerazione comunque denominata e continuità delle prestazioni) per l’attività professionistica”. La realtà è che l’impostazione legislativa è stata vista, sin dall’inizio, come riproduttiva nell’ordinamento statuale dell’antitesi dilettantismo-professionismo, solo in origine fondata sul carattere gratuito della prestazione dilettantistica. L’equivoca disciplina formale ha finito ben presto, però, con l’entrare in rotta di collisione con la diversa e sempre più incombente realtà fattuale, caratterizzata invece dalla presenza di varie forme di monetizzazione e con il comportare, così, il superamento dell’illusoria proposizione che ipotizzava la presenza di lavoro solo ed esclusivamente in ambito professionistico. Ora, se il dibattito sul filone associativo del dilettantismo sembra senz’altro avviato a soluzione, essendo ormai diffuso il convincimento che la pratica dell’attività sportiva dilettantistica, ricompresa tra i diritti di libertà personale, come tali indisponibili e irrinunciabili, si pone come limite funzionale all’indiscriminato dispiegarsi del potere autodisciplinare delle organizzazioni – associazioni sportive, altrettanto non può certo affermarsi del filone lavoristico nel cui ambito, al di là delle perduranti ambiguità terminologiche e concettuali, regnano tuttora sovrane, da un lato, una disarmante disparità di soluzioni all’interno delle federazioni interessate e, dall’altro, una singolare DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico incertezza giurisprudenziale, fatta eccezione, come già segnalato, per quella comunitaria, l’unica che in materia continua a mostrarsi rigorosa e coerente. 2) Il progressivo svuotamento di contenuto dello status di dilettante. La dicotomia professionista-dilettante è sorta nella seconda metà dell’Ottocento, quando in Inghilterra ebbero origine le moderne discipline sportive. All’epoca gli atleti assunsero la posizione di dilettanti, sia perché le attività praticate erano per loro natura inutilitaristiche e sia perché, appartenendo a classi socialmente agiate, non avevano affatto bisogno di lavorare e di ricavare un reddito sostitutivo dallo sport. Da quel momento la qualifica di dilettante fu imposta quale requisito per l’ammissione alle gare nel rispetto del principio della par condicio dei partecipanti e, idealizzata e sublimata, fu recepita quale fattore costitutivo ed imprescindibile della dottrina olimpica, fondata sulla incompatibilità tra homo ludens e homo faber. Il quadro, come si è ricordato, cominciò a mutare negli anni Settanta, a fronte di un professionismo sempre crescente e, soprattutto, della presa di coscienza, da parte del mondo dello sport, di poter sfruttare a fini economici, grazie ai media, il relativo e immenso serbatoio di popolarità. L’ipocrisia dello shamateurism, consistente nel chiudere un occhio verso le sempre più frequenti sovvenzioni mascherate sotto forma di rimborsi spese, cedette così il posto all’esplicita riammissione alle olimpiadi di discipline squisitamente professionistiche una volta sdegnosamente espulse e, successivamente, alla diretta gestione dei proventi dello spettacolo olimpico. Attualmente il Comitato Olimpico Internazionale dispone di Top Olimpic Programes, consistenti in giganteschi schemi di marketing internazionale gestiti integralmente da un’apposita società svizzera che negozia direttamente i compensi per la concessione dell’esclusiva televisiva, ed ha promosso la creazione di trust funds per il controllo dei guadagni degli atleti sotto la supervisione delle Federazioni Internazionali, che hanno fattivamente concorso nello sviluppo del sistema sino ad assumere esse stesse il ruolo di veri cartelli (NAFZIGER 1996, pp 224 ss; quanto alla dimensione economica delle prossime olimpiadi estive di Pechino, davvero esorbitante, vedi in particolare le stime contenute già in ABI, ICE e CONFINDUSTRIA 2002, pp. 40 ss).. Il termine dilettante nella Carta Olimpica oggi non esiste più, ed attualmente la Regola 45 si limita a rimandare, per l’ammissione degli atleti ai giochi, alle prescrizioni delle corrispondenti federazioni internazionali, mentre la norma di attuazione della medesima si limita sterilmente ad affermare, da un lato, che l’iscrizione e la partecipazione dei concorrenti non devono essere DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico condizionate da considerazioni finanziarie e, dall’altro, che agli stessi è fatto divieto di pubblicizzare nomi e immagini … per il sol fatto che il relativo sfruttamento se lo è riservato il CIO. Non possono ritenersi prive di significato, a livello nazionale, la circostanza che lo Statuto del CONI, all’art. 6 lett. d), faccia uso dell’ endiadi “attività sportiva dilettantistica o comunque non professionistica”, fornendo così un riscontro normativo alla eterogeneità e alla connotazione in negativo dell’attuale concetto di dilettantismo, né quella, ulteriore, che l’espressione sia completamente scomparsa dal testo dei recenti Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate e delle Associazioni Benemerite, approvati il 23 marzo 2004, facendosi egualmente in questi esclusivo riferimento, al n. 22, all’attività “professionistica e non professionistica”. Avendo la dicotomia assolto alla funzione storica di consentire la selezione degli atleti olimpici, ci si sarebbe coerentemente dovuto attendere l’abolizione della stessa anche all’interno delle FSI, ed in tal senso si è in effetti determinata la FIBA mentre le altre, mantenendo la figura del dilettante, condizionano a loro volta i precetti qualificativi delle rispettive federazioni nazionali. La realtà è che lo status di dilettante, svuotato dei contenuti per cui era stato concepito, appare ormai, com’è stato icasticamente osservato, “un relitto del sistema” (TOGNON 2003, P. 670). Lo sport non appare più, o meglio non appare solo “uno sforzo lussuoso che si profonde a piene mani senza speranza di ricompensa” (ORTEGA Y GASSET 1964, p. 278) e l’economicismo ne costituisce ormai, in varia misura, un aspetto integrante, tanto da legittimare l’opinione di chi “vede lo sport professionistico ogni qualvolta vi sia lo sport-spettacolo-business” (CROCETTI BERNARDI, 2003, p. 757). Non è un caso, del resto, che soprattutto nell’ultimo decennio, abbia trovato larga diffusione la prassi, in ambito dilettantistico, della stipula di contratti, variamente denominati (di ingaggio, di prestazione sportiva, di prestazione sportiva dilettantistica, di collaborazione sportiva), ovvero elusivamente titolati come accordo o scrittura privata, che in concreto risultano articolati, quanto ai contenuti, come quelli “tipo”, frutto di contrattazione collettiva dei professionisti ufficializzati. Quanto osservato circa la possibile, e comunque assai frequente monetizzazione delle prestazioni non ricomprese nella disciplina della legge n. 91/1981, induce pertanto ad una prima, sicura conclusione circa l’inidoneità dello status formale di dilettante ad offrire alcun parametro all’interprete per risolvere questioni operative al di là dell’ambito meramente endoassociativo. La circostanza è assolutamente pacifica a livello comunitario. DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico Risale, infatti, a oltre un trentennio fa la nascita del consolidato indirizzo giurisprudenziale che considera l’attività sportiva soggetta comunque alla disciplina comunitaria, sulla scorta dell’unico presupposto che la stessa sia configurabile come economica ai sensi dell’art. 2 del Trattato. Tale filone interpretativo, costantemente confermato nelle successive pronunce, dopo essere stato ribadito, seppur incidentalmente, nell’arcinota sentenza Bosman del 1995 (punti 73 e 74), in cui la Corte di Giustizia, definendo così la sua futura e complessiva competenza in tema di lavoro sportivo, ha avuto modo di precisare come l’unico parametro in tal senso non possa che essere quello dello svolgimento di prestazioni retributive, ha avuto il suo definitivo epilogo nelle sentenze Deliege e Kolpak. Nella prima la Corte, nel sottolineare apertamente l’inutilità della qualifica attribuitasi unilateralmente da una federazione a scapito dell’approfondimento della natura dell’attività svolta in concreto dall’atleta, ha espressamente affermato come anche gli amateurs possano invocare l’applicazione del Trattato ove prestino servizi che permettono di organizzare spettacoli, anche se non pagati dalle società che ne beneficiano (amplius in MUSUMARRA 2005, pp 39 ss e AGNINO 2002 p. 898 ss). Nella seconda, la stessa Corte, dopo aver constatato, al punto 16, che Kolpak, giocatore di pallamano, era vincolato con la società di appartenenza da un contratto di lavoro, essendo obbligato, “contro il corrispettivo di una retribuzione mensile fissa, a fornire in forma subordinata prestazioni nell’ambito dell’attività di allenamento e degli incontri organizzati dalla sua società e che si tratta, in proposito, della sua principale attività professionale”, ha espressamente considerato lo stesso, al successivo punto 21, uno “sportivo professionista” (Sentenza 8 Maggio 2003, Deutscher – Handallbund e V c/ Maros Kolpak). Pur regnando l’incertezza, come vedremo, sul trattamento da riservarsi in concreto al professionista di fatto, anche da noi la giurisprudenza è comunque concorde sulla necessità di riguardare l’aspetto fattuale del rapporto, negando ogni ruolo alla eteronoma qualificazione di dilettante. Il concetto si trova scolpito nell’ordinanza 18 ottobre 2001 del Tribunale di Pescara (amplius in TOGNON 2003, pp 668 e 672 e AGNINO 2002, pp 900 e 902), in cui si afferma testualmente che “la distinzione tra professionismo e dilettantismo nella prestazione sportiva si mostra priva di ogni rilievo, non comprendendosi per quale via potrebbe mai legittimarsi una discriminazione del dilettante”. DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico Anche l’appartenenza al settore dilettantistico delle società che fruiscono delle prestazioni degli atleti, infine, è del resto inidonea a precludere più penetranti valutazioni sostanziali, sia in ambito comunitario che interno. Sotto il primo profilo, devono infatti considerarsi senz’altro imprese in senso tecnico, ai sensi dell’attuale art. 48 del Trattato, le società sportive che, indipendentemente dalla forma giuridica assunta nei Paesi di appartenenza, organizzano spettacoli sportivi a pagamento, negoziano diritti televisivi e fanno operazioni di sponsorizzazione e di merchandising (VIGORITI 2001, p. 625). In ambito nazionale, parimenti, sono numerosi i casi in cui società sportive costituite in forma di associazioni non riconosciute sono state assoggettate a fallimento nonostante militassero in campionati non professionistici, e ciò sulla scorta della ovvia considerazione che, a quei fini, rileva esclusivamente l’oggettiva imprenditorialità, la circostanza cioè che le stesse esercitino, abitualmente e sistematicamente, attività di organizzazione, allestimento e attuazione di spettacoli sportivi. Ed analogamente deve argomentarsi anche a proposito delle società sportive di capitali senza scopo di lucro di recente previsione, posto che nel sistema vigente non vengono in considerazione le finalità soggettive di guadagno quanto, come appena rilevato, l’oggettiva ed astratta attitudine a conseguire comunque un profitto (FORMICA 1995, pp. 798 ss, ove sono riportati numerosi precedenti in termini). 3) Il professionista di fatto: soluzioni dottrinali e riflessi di costituzionalità. Benché la legge n. 91/1981 contenga proposizioni di carattere generale, quali quella sulla libertà di esercizio dell’attività sportiva anche dilettantistica (art. 1) e l’altra, ora abrogata, sulle federazioni sportive nazionali (art. 14), e pur non essendo la sua sfera di applicazione limitata affatto al massimo sport nazionale la circostanza, evidente a tutti, che la stessa sia stata emanata allo scopo specifico di risolvere le problematiche del calcio professionistico ha finito, in un primo momento, con il polarizzare l’interesse dell’opinione pubblica e della maggior parte degli stessi specialisti esclusivamente su questo. I più attenti non tardarono a rilevare, però, a fronte della progressiva diffusione, con i relativi risvolti di popolarità e di remuneratività per i suoi protagonisti, di diverse discipline sportive, oltre che dello stesso calcio dilettantistico organizzato su base nazionale (DE SILVESTRI 1986, p. 6), che per il raggiungimento di risultati apicali occorreva “un livello tale di preparazione e di DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico impegno” consentito solo all’atleta “professionista” e che la qualifica di dilettante, finalizzata alla partecipazione ai giochi olimpici, “impediva l’emersione e l’adeguata tutela, nell’ordinamento generale, di diritti patrimoniali e non” (così FERRARO 1987, pp. 4 e 5). La legge apparve perciò ben presto iniqua e discriminante nella misura in cui, presupponendo la formale qualificazione professionistica della federazione di appartenenza, sottraeva alla sua sfera di applicazione tutti i casi di professionismo di fatto, assoggettando così a diversa disciplina rapporti di lavoro che avrebbero viceversa meritato un identico trattamento per essere contraddistinti da analogo contenuto (VIDIRI 1993, p. 210; ROTUNDI 1991, p. 59). La questione della disparità di trattamento si è riproposta con insistenza sul finire degli anni Novanta quando, a cagione del vertiginoso salto di qualità di tutta una serie di attività sportive qualificate come dilettantistiche, anche all’interno delle stesse federazioni professionistiche, lo spazio occupato dal professionismo di fatto è aumentato a dismisura sino a divenire ben più ampio di quello ufficializzato dalla legge n. 91/1981(BELLAVISTA 1997, pp. 524 ss), e ciò anche in riferimento alle prestazioni di ulteriori figure funzionali allo svolgimento delle predette attività quali i tecnici, i direttori sportivi e gli assimilati. Si è così tornati a sottolineare come atleti appartenenti a diverse federazioni prive di settore professionistico (es. i pallavolisti rispetto ai cestisti), ovvero a diversi settori della medesima federazione (es. i calciatori dei Campionati Nazionali Dilettanti rispetto a quelli di C/2), fruiscano di trattamenti diversi, pur ricevendo somme di denaro spesso più consistenti dei loro colleghi ufficializzati e pur offrendo, nell’ambito di discipline sportive svolte egualmente sotto l’egida del CONI, prestazioni assolutamente identiche (TOGNON 2005, pp. 9-10; CROCETTI BERNARDI 2003, pp. 757 ss ; DE SILVESTRI 2002, pp. 37 ss.;.). E sono state proposte vecchie e nuove prospettive di soluzione, tutte incentrate comunque sulla considerazione che, sul piano del trattamento, occorre prescindere dalla qualificazione formale privilegiando la sostanza dei rapporti (MUSUMARRA 2004, p. 167; CROCETTI BERNARDI 2003, p. 757), avendo come parametro esclusivo l’economicità della prestazione (TOGNON 2005, p. 10), e dando in ogni caso per scontata, esclusa la presunzione di subordinazione di cui all’art. 3 della legge n. 91/1981, la possibilità di ravvisare un rapporto di lavoro (VALORI 2005, pp. 200 e 201; SPATAFORA 2004, p. 62), necessariamente autonomo o subordinato (MARTINELLI 2005, p. 39), ove l’attività sportiva sia remunerata a fronte di impegni e obblighi sostanzialmente identici a quelli del professionista. DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico Riprendendo un suggerimento già avanzato in precedenza (MERCURI 1987, p. 519), si è di nuovo ventilata la possibilità di applicare anche ai dilettanti che lavorano, pur in difetto della qualificazione formale, la legge n. 91/1981, direttamente (REALMONTE 1997, p. 376) o in via analogica (ICHINO 1992, p. 100), e la tesi ha trovato un certo seguito sia in isolate sentenze di merito degli anni Ottanta, sia in alcuni lodi arbitrali (amplius in CROCETTI BERNARDI 2002, pp. 89-90) e sorprendentemente, in una recente sentenza di Cassazione, che ha ritenuto applicabile l’art. 4/5° della legge ad un rapporto intercorso nell’ambito della F.I.S.G. (amplius sub 5). La chiara definizione dei professionisti dettata dall’art. 2, che considera tali quelli che “conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali” ed il divieto di applicazione analogica per le leggi speciali imposto dall’art. 14 delle preleggi induce senz’altro a concludere, come ritenuto dai più, che occorra però far capo, per gli specifici problemi di trattamento del professionista di fatto, alle norme di diritto comune dettate in linea generale per ogni rapporto di lavoro (per tutti VALORI 2005, op.loco citt., nonché, da ultimo, Corte d’Appello di Roma, 8 giugno 2005, Bonfrisco Angelo c/ F.I.G.C. e A.I.A., inedita, che ha dichiarato non estensibili analogicamente agli arbitri, non ricompresi nell’art. 2, le norme speciali della legge n. 91/1981). Più complessa è la questione della disparità di trattamento tra professionisti ufficializzati e professionisti di fatto, che non sembra in ogni caso poter trovare utile sbocco nei dubbi di legittimità costituzionale della legge n. 91/1981 che, anche di recente, sono stati sollevati (PESSI 2004, p. 36). La legge, infatti, è stata emanata in piena età della decodificazione, caratterizzata, com’è noto, dal rovesciamento di funzioni del codice civile: “non diritto generale, ma residuale, non disciplina di fattispecie più ampie, ma di fattispecie vuote, prive cioè di quegli elementi di fatto, di quelle note individuanti, che suscitano l’emersione di nuovi principi nelle leggi speciali” (IRTI 1986, p. 27). Essa dunque, lungi dal prevedere un lavoro subordinato atipico, come da molti si è ritenuto e si continua a ritenere (da ultimo SANINO 2002, p. 281), risponde perciò ad una propria logica autonoma che non può affatto precludere, come è apparso del resto chiaro anche ai suoi primi commentatori (BIANCHI D’URSO- VIDIRI 1982, p. 9), la possibilità di ricorrere comunque, ove ne ricorrano le condizioni, ai generali schemi codicistici del lavoro autonomo e dello stesso lavoro subordinato. Se non sembra dunque possibile predicare direttamente l’incostituzionalità della legge n. 91/1981, pone per altro verso seri problemi di conformità al dettato costituzionale la circostanza che l’alternatività tra la tutela speciale offerta da questa e quella generale codicistica, che presentano DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico differenze tutt’altro che trascurabili (si pensi alle deroghe stabilite dai commi 8 e 9 dell’art. 4, al trattamento pensionistico ed assistenziale, nonché all’arbitrabilità oggettiva delle controversie ex art. 412 ter c.p.c.), risulti rimessa al Consiglio Nazionale del CONI ( art. 2 legge n. 91/1981 e 5 lett. a) D. lgs. N. 242/1999) e, attualmente, in virtù dei Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate e delle Associazioni Benemerite alle stesse federazioni, “mediante specifica previsione statutaria, in presenza di una notevole rilevanza economica del fenomeno e a condizione che l’attività in questione sia ammessa dalla rispettiva Federazione internazionale” (Principio n. 23). Una tale disciplina, che consegna al gradimento delle singole federazioni – persone giuridiche private la scelta se dotarsi o meno di un settore professionistico, e che rappresenta senz’altro un regresso rispetto a quella precedente, che almeno demandava alla potestà regolamentare del CONI, e quindi ad una fonte di diritto secondaria, l’emanazione (di fatto mai avvenuta: amplius, criticamente, in CROCETTI BERNARDI 2004, pp. 136 e 137) di direttive specifiche, non sembra affatto in linea con l’imperativa tutela offerta dalla Costituzione ai rapporti di lavoro. Non si vede, infatti, come rimettere all’autodeterminazione di privati la scelta del modello di tutela in presenza di prestazioni lavorative del medesimo contenuto se si considera che la Corte Costituzionale, in due sentenze assai note agli specialisti (amplius, per tutti, in SCOGNAMIGLIO 2001, pp. 95 ss e D’ANTONA 1995, pp. 63 ss), ha precluso persino allo stesso legislatore la disponibilità del tipo contrattuale, facendogli divieto di assegnare un diverso nomen iuris a rapporti di intrinseco e oggettivo stampo lavoristico. 4) Le diversificate risposte regolamentari delle federazioni sportive nazionali. Il problema del professionismo di fatto non riguarda in egual misura le varie F.S.N., differente essendo la popolarità e la spettacolarità, e quindi l’idoneità delle varie discipline a distribuire risorse economiche ai protagonisti delle corrispondenti prestazioni sportive, anche se tutte sono in ogni caso interessate a non estendere l’area del professionismo ufficializzato ed a contenere comunque in ambito endoassociativo ogni possibile, relativo contenzioso. Ciò spiega come la maggior parte di esse considerino perciò sufficiente la generica previsione che vincola tesserati e affiliate a devolvere tutte le controversie non tipizzate, e quindi non espressamente regolamentate, alla residuale competenza di un collegio arbitrale. Valga, per DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico tutte, l’esempio della Federazione Italiana Rugby la quale, dopo aver prescritto l’indiscriminato impegno “a non adire altre autorità che non siano quelle federali”, impegna comunque tesserati ed affiliate a rimettere al giudizio di un collegio arbitrale, espressamente disciplinato, “la risoluzione di qualsiasi controversia che dovesse insorgere per qualsivoglia fatto o causa connessa all’attività federale e che non rientri nella competenza normale di Organi Federali” (artt. 53 e 54 Statuto FIR). Le Federazioni più direttamente interessate si sono invece occupate ex professo della materia, dando però risposte diversificate se non, addirittura, di segno opposto. La F.I.G.C., che già prevedeva all’art. 94 ter delle NOIF alcune forme di erogazione nell’ambito dei Campionati Nazionali Dilettanti, avendo cura in ogni caso di precisare, già allora, che in materia doveva ritenersi “esclusa, come per tutti i calciatori non professionisti, ogni forma di lavoro autonomo o subordinato”, ha preso lo spunto dalla legislazione tributaria per procedere ad una coraggiosa riforma al dichiarato fine di colmare la “palese discrasia tra calcio legale (la prescritta gratuità della prestazione dilettantistica) e calcio reale (le consistenti e sempre più frequenti dazioni di denaro)”e per combattere altresì la prassi, sempre più radicata da parte delle relative società, di stipulare, con i propri calciatori, “accordi economici contra legem che prevedevano importi particolarmente consistenti da corrispondersi in nero” (DE SILVESTRI 2002, pp. 45 e 46). L’aggancio per rivisitare l’intera materia, già disciplinata dal legislatore tributario nel senso dell’inclusione tra i “redditi diversi” da quelli derivanti da attività lavorativa delle indennità di trasferta, dei rimborsi forfetari di spesa, dei premi e dei compensi erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche (art. 81/1° lett. m. TUIR), è stato offerto dalla legge 21/11/2000 n. 342 collegata alla relativa legge Finanziaria che, prevedendo all’art. 37 una esenzione di imposta sino a 10 milioni delle vecchie lire (ora 15.000 euro), per i compensi erogati da società dilettantistiche ed una ritenuta d’acconto secca per gli importi successivi ricompresi entro il tetto di 50 milioni (ora € 25.822,00=), ha consentito a quella federazione di legittimare solo gli accordi contenuti nei limiti della normativa fiscale e di sconfessare apertamente quelli superiori, dichiarandoli nulli e integrativi di illecito disciplinare. La riforma, entrata in vigore nella stagione 2002-2003 unitamente a quella del vincolo e rivisitata prima di quella in corso, si incentra sulla modifica dell’art. 29 delle NOIF, relativo alla definizione del “non professionista” e, soprattutto, sulla riformulazione del successivo art. 94 ter il quale, oltre a legittimare, rendendoli obbligatori, gli accordi economici con i calciatori del Campionato Nazionale Dilettanti, prevede anche un apposito organo giustiziale di Lega, la DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico Commissione Accordi Economici (CAE), per la risoluzione dei relativi contenziosi (i termini dell’intera riforma in DE SILVESTRI 2002, pp 45 ss). Pur generalmente apprezzate nel loro tentativo di fornire al calcio dilettantistico apicale un assetto regolamentare tale da attutire, se non eliminare, le disparità di trattamento con i professionisti delle serie inferiori, le modifiche sono state variamente accolte in dottrina. Accanto a manifeste perplessità, fondate soprattutto sulla constatazione che, potendo il calciatore dilettante, per effetto della riforma, percepire una retribuzione annuale netta superiore a quella di un calciatore professionista di Serie B, non si vedeva come non inquadrare “l’ accordo” di cui all’art. 94 ter delle NOIF tra i contratti di lavoro (MUSUMARRA 2004, p. 169; CROCETTI BERNARDI 2003, p. 767), non sono mancati tentativi di giustificare la riforma anche sul piano strettamente giuridico. Si è in particolare ritenuto di poter riguardare i calciatori non professionisti, abilitati a stipulare accordi e a ricevere le relative erogazioni, come categoria intermedia tra i dilettanti, che eseguono prestazioni sportive a titolo gratuito, ed i professionisti, soggetti alla legge n. 91/1981 (DE CRISTOFARO, 2003, pp. 12 ss), e si è altresì sostenuto che, nel caso del dilettante, legato comunque con la società di appartenenza in un rapporto sinallagmatico di natura atipica, l’eventuale attività economica, svolta comunque in via accessoria e non principale, tale da non giustificare una tutela previdenziale sarebbe perciò giustiziabile, in caso di controversia, innanzi al giudice civile, e non del lavoro (GUADAGNINO 2003, p. 5). L’altra federazione professionistica con rilevante componente dilettantistica, e cioè la Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.), ha seguito una strada parzialmente diversa e, occorre pur dirlo, intrinsecamente contraddittoria. Questa federazione, ha infatti previsto, nel proprio Statuto, una clausola compromissoria di devoluzione ad un giudizio arbitrale irrituale di carattere residuale rispetto agli specifici ambiti di competenza degli organi giustiziali, facendo però salve le controversie per le quali è esclusa per legge “la compromettibilità in arbitri (art. 44/1° St., nonché art. 161 R.O.) precisandosi, per altro verso (art. 4 bis RE), che per i giocatori o giocatrici dilettanti “è esclusa ogni forma di lavoro sia autonomo che subordinato”. Al di là delle dichiarazioni di principio, la costituzione del vincolo dilettantistico ai livelli apicali avviene però attraverso la stipula di contratti il cui contenuto lavoristico appare a tutti evidente e che ricevono tutela alla stessa stregua di quelli dei professionisti ufficializzati, essendo il modulo arbitrale espressamente legittimato da un apposito organo di giustizia, la Commissione DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico Vertenza Arbitrali (C.V.A.) preordinato appunto alle incombenze federali concernenti la clausola compromissoria ed i relativi lodi (art. 57 St.). Un’altra federazione professionistica, quella ciclistica (F.C.I.), operando una scelta ispirata a pragmatismo assoluto, ha invece previsto tout court un “contratto di lavoro sportivo per ciclista dilettante”, con tanto di allegato “prospetto retributivo”, in cui le parti “si danno reciprocamente atto che il rapporto di lavoro tra loro instaurato è un rapporto di lavoro autonomo dilettantistico fuori dal campo di applicazione delle legge n. 91/1981, quindi senza vincolo di subordinazione”, ed in cui si prevede che la società dilettantistica, apertamente definita “datore di lavoro”, si “obbliga a sottoscrivere in favore ed in nome del ciclista una quota del fondo ad hoc costituito presso la F.C.I. dell’importo di euro 500,00 annuo” pena, per il caso di inadempienza, l’esclusione dalle competizioni previste nel calendario federale. Nonostante la conclamata natura lavoristica del contratto, tutte le relative controversie sono ciononostante devolute, all’art. 8 del medesimo, “alla cognizione esclusiva di un Collegio arbitrale costituito nei modi e nelle forme previste dall’art. 42 dello Statuto e dell’art. 27 del Regolamento di Giustizia della F.C.I.”. La Federazione Italiana Pallavolo (F.I.P.A.V.) la quale, ancorché formalmente dilettantistica, registra nei propri campionati a livello apicale un numero sempre crescente di professionisti di fatto, sta evidentemente attraversando un periodo di grosso travaglio. Dopo avere espressamente previsto una clausola compromissoria di rimessione al giudizio di un collegio arbitrale la risoluzione di ogni controversia (art. 57 Statuto previgente), ivi comprese quelle relative ai rapporti economici tra società ed atleti (vedi gli artt. 110-118 Reg. Giurisdiz. 20002001) ed avere inserito, nella propria circolare di indizione dei Campionati Nazionali di Serie A1 e A2 femminili, la prescrizione di una fideiussione supplementare ove i “contratti” depositati in Lega superassero l’ammontare complessivo di euro di 600.000, nell’ultima edizione dello Statuto essa non riporta più alcuna clausola compromissoria, ma disciplina solo il vincolo di giustizia (art. 20 Statuto approvato il 7 Novembre 2004), lasciando con ciò intendere di volersi disinteressare a livello endoassociativo del contenzioso economico relativo alle prestazioni sportive. 5) La giurisprudenza statuale e arbitrale. L’irrilevanza della qualifica di dilettante ai fini dell’accertamento di un concreto rapporto di lavoro, subordinato o autonomo, si trova pacificamente affermata nella giurisprudenza della magistratura specializzata a decorrere già dal primo lustro degli anni Ottanta, quando svariati DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico professionisti di fatto, spesso a fine carriera hanno, in maniera sempre crescente, cominciato a violare il vincolo di giustizia per far valere le loro ragioni in sede giudiziale. Apparirebbe in ogni caso un fuor d’opera citare in modo massivo le numerosissime sentenze, in larga parte inedite, che nel tempo si sono succedute in materia, sia perché le stesse sono riportate dalla già ricordata dottrina specialistica (in particolare, in ordine cronologico, MARTINELLI 1993, ZANOTTI 1995, MORO 1999, DE SILVESTRI 2002, GUADAGNINO 2003, MARTINELLI 2005) e sia perché in esse, in relazione alla specificità dei singoli casi concreti evocati in giudizio, ci si è limitati a fare applicazione dei generali criteri che inducono a qualificare una prestazione come lavoristica, sia in termini di subordinazione che di autonomia. Anche se ciò, per la verità, non sempre è avvenuto puntualmente in quanto, per una sorta di ritrosia concettuale, le prestazioni del dilettante sono state spesso automaticamente inquadrate nello schema della parasubordinazione, escludendo apoditticamente la possibilità che le stesse potessero essere invece qualificate in termini di subordinazione (in tal senso, con le relative citazioni, ZANOTTI 1995 p. 637). Sono comunque frequentissimi i casi in cui, al di là di ogni astratto pregiudizio, la magistratura specializzata ha ampiamente motivato, con decisioni anche risalenti, le ragioni che l’hanno portata ad accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il professionista di fatto e la società dilettantistica di appartenenza. Senza appesantire inutilmente la trattazione, mi limiterò a ricordare, tra le tante, due sentenze, esemplari per chiarezza e linearità, una della Pretura di Grosseto (1 Agosto 1995, US Grosseto c/ Fabi Alfredo, inedita) e l’altra del Tribunale di Forlì (Sez. Lavoro, 28 novembre 1996, Casotti Daniele c/ F.I.G..C., riportata a stralci da CROCETTI BERNARDI 2003, p. 759, ove risultano citate ulteriori, analoghe decisioni). Nella prima il giudicante, esaminando le previsioni di un contratto stipulato da un calciatore del Campionato Nazionale con la relativa società, del tutto simili a quelle del contratto tipo previsto dalla legge n. 91/1981 per i professionisti, ha ravvisato senz’altro nelle stesse un contratto di lavoro sportivo retribuito, vietato dall’allora vigente art. 94 bis della NOIF, ma “non per questo però nullo nell’ordinamento giuridico statale”, avendo ritenuto nella specie che il calciatore era “un professionista irregolare, passibile di sanzioni insieme alla società, ma non certamente un non professionista”. Si legge significativamente, nell’altra, che “quanto all’effettiva natura subordinata del rapporto de quo il Collegio non ha dubbi: una semplice lettura del contratto ne evidenzia la caratterizzazione dello stesso con gli elementi tipici del lavoro subordinato … Peraltro, come DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico chiarito ampiamente dal Pretore nella sentenza impugnata, i divieti e in genere le disposizioni interne dell’ordinamento sportivo non possono certo ripercuotersi nell’ordinamento giuridico italiano, per il quale assumono rilevanza unicamente le fonti normative appunto statuali”. Considerazioni analoghe sono riportate in numerosissimi lodi i quali, se spesso si limitano a riconoscere la spettanza delle somme richieste senza nemmeno porsi il problema della qualificazione della fonte contrattuale, altre volte hanno invece fatto espresso riferimento alla natura di lavoro subordinato delle prestazioni offerte (vedi, ex multis, i due lodi emessi in ambito FIPAV nel corso dell’anno 2002 di cui si dirà nel paragrafo che segue). E’ poi all’opposto il caso di denunciare come, sulla scorta del chiaro e consolidato indirizzo della S.C., secondo cui la qualificazione di un rapporto lavoristico come subordinato presuppone necessariamente la soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che deve estrinsecarsi nell’emanazione di ordini specifici, oltre che nell’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle prestazioni, si sia di recente pervenuti all’inaccettabile conclusione di considerare lavoratori subordinati e, quindi, professionisti di fatto, anche gli arbitri. E’ questo, infatti, il senso della sentenza 8 aprile 2005 del Tribunale di Torino il quale, nell’assolvere l’allora Presidente di Lega Professionisti di Serie A e B Avvocato Luciano Nizzola dalle relative omissioni contributive esclusivamente sotto il profilo soggettivo, ha comunque accertato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la stessa Lega e gli arbitri della CAN, facendo peraltro improprio riferimento al disposto della legge n. 91/1981 (amplius, in senso analogamente critico, in GUADAGNINO 2005, pp. 1 ss.. Per l’esclusione del rapporto di lavoro subordinato vedi, invece, Tribunale di Roma, sent. n. 8712 del 25 marzo 2003, Bonfrisco Angelo c/ FIGC e AIA, inedita, confermata in appello, cit, che ha invece correttamente ravvisato, nel “preteso potere gerarchico disciplinare”, il “concretizzarsi degli obblighi associativi” finalizzati al regolare svolgimento della gara, escludendo quindi che gli emolumenti percepiti dagli arbitri possano considerarsi “retribuzione in senso strettamente tecnico”). Non può, da ultimo, non citarsi con stupore una recente sentenza della S.C. (Cass. Civ. Sez. Lav. 1 agosto 2003 n. 11751, Hockey Club Milano 24 srl c/ Massara John) che, nel confermare la piena validità di un lodo emesso nell’ambito di una federazione dilettantistica quale la F.I.S.G., ha ritenuto di poter fare riferimento alla legge n. 91/1981, la quale, come dovrebbe ormai essere chiaro, può trovare applicazione solo ed esclusivamente nell’ambito del professionismo ufficializzato. DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico 6) Le problematiche di arbitrabilità delle controversie del professionista non ufficializzato. Solo i professionisti ufficializzati e le loro controparti, le società professionistiche, possono devolvere in arbitrato i relativi contenziosi d’ordine lavoristico. Ad una tale conclusione si perviene dal coordinamento di numerose disposizioni di legge, sia generiche che specificamente previste in materia sportiva, ed in particolare: a) l’art. 1966 del Codice Civile, che disciplina la capacità a transigere limitandola espressamente ai diritti disponibili; b) l’art. 409 c.p.c., che regola le controversie individuali di lavoro, sia subordinato (n. 1) che parasubordinato (n. 3); c) l’art. 5 della legge 11 agosto 1973 n. 533 che regola l’arbitrato in tema di lavoro; d) gli artt. 806-808 c.p.c., che ammettono all’arbitrato rituale le controversie di cui all’art. 409 ove ciò sia previsto in sede di contrattazione collettiva; e) l’art. 4 co. 1 della L. n. 91/1981 che prevede la contrattazione collettiva solo nell’ambito dal professionismo ufficializzato; f) l’art. 412 ter c.p.c., come modificato dai due decreti legislativi n. 88/1998 e 387/1998, che disciplina compiutamente l’arbitrato irrituale in materia di lavoro. Ai professionisti di fatto che intendono azionare i loro diritti d’ordine lavoristico è invece fatto divieto di ricorrere sia all’arbitrato rituale che a quello libero. Quest’ultimo può infatti essere utilizzato validamente per il contenzioso in tema di lavoro solo in presenza di contrattazione collettiva, secondo il disposto del citato art. 412 ter c.p.c., ovvero “nei casi previsti dalla legge”, come dispone il comma 1 dell’art. 5 della legge n. 533/1973, parimenti citata, che a differenza dei commi 2 e 3, non è stato abrogato dal ricordato decreto legislativo n. 88/1998, ma i professionisti di fatto non possono beneficiare né della prima previsione, riservata esclusivamente a quelli ufficializzati, né della seconda, nessuna definizione legislativa esistendo in proposito. Dovendosi pertanto escludere in radice la possibilità di compromettere in arbitri le controversie concernenti gli atleti formalmente dilettanti, nonché tutti gli altri soggetti, in particolare tecnici e dirigenti, ma anche medici e paramedici, le cui prestazioni rivestono in concreto natura lavoristica, ogni altra questione riguardante la validità delle clausole compromissorie che tanto pretendono dovrebbe perciò ritenersi superflua. E’ però il caso di accennare, in considerazione delle ricorrenti formulazioni che non consentono, nonostante l’espressa prescrizione legislativa a pena di nullità, l’opzione alternativa per la tutela giudiziaria e l’impugnativa dei lodi, che se la presenza di tali vizi non comporterebbe DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico comunque problemi di validità in considerazione del pacifico indirizzo della S.C. di considerare automaticamente inserite le previsioni mancanti (da ultimo, in tal senso, la citata Cass. 1 agosto 2003 n. 11751), resterebbe pur sempre aperto il problema della natura vessatoria o meno delle clausole compromissorie concernenti i professionisti di fatto. E ciò sia di quelle espressamente apposte da questi nei relativi contratti individuali, e sia di quelle statutarie o regolamentari, previste cioè dalle federazioni di appartenenza, asseritamente accettate per relationem per il tramite delle richieste di tesseramento e di affiliazione contenenti l’impegno di accettare le norme endoassociative di cui si è dichiarato di aver preso visione. Dottrina e giurisprudenza largamente prevalenti ritengono, al proposito, del tutto inconferente il richiamo all’art. 1341 cc, che esigerebbe la separata approvazione per iscritto della clausola, sul presupposto che la prescrizione non sarebbe ontologicamente armonizzabile con tipologie contrattuali, quali quelle di specie, caratterizzate non da contrapposizione, ma da confluenza di interessi, con esclusione quindi di ogni possibile prevaricazione da parte del predisponente. La realtà però è che, così argomentando, si finisce con il confondere e sovrapporre il rapporto di tesseramento, e le relative controversie, per il quale il discorso si attaglia perfettamente in ragione della sua natura associativa, con quello di vincolo, che nel caso del professionista di fatto è invece di lavoro, e quindi di scambio (amplius in DE SILVESTRI 2004, pp 124 ss), prova ne è che il giudice naturale di quest’ultimo non può che essere individuato in quello del lavoro ai sensi dell’art. 3 comma 1 della legge n. 280/2003, che com’è noto tiene ferma “la giurisdizione del giudice ordinario (specializzato) sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti”. La materia, dunque, deve ritenersi tuttaltro che pacifica, come del resto la dottrina più attenta non ha mancato di riscontrare sin dai primi anni Novanta, quando gli espressi dubbi circa la natura vessatoria delle clausole compromissorie sportive hanno consentito la formazione ed il consolidamento da parte della S.C., dell’opposto indirizzo interpretativo (amplius, in senso apertamente critico, e per ulteriori citazioni, in CARINGELLA 1993, pp. 487 ss). Per lungo tempo, e tuttora abitualmente ignorati, specie nell’ambito di quelle federazioni, in particolare la F.I.P. e, sino alla scorsa stagione la F.I.P.A.V., che disciplinano compiutamente le procedure arbitrali per le controversie dei dilettanti, i problemi di comromettibilità di queste, emersi progressivamente a decorrere dalla fine degli anni Novanta, sono ora sufficientemente noti. Nel lodo del 31 marzo 1999 tra la Firenze Volley s.p.a. e la pallavolista Schultz Cristine, veramente esemplare per chiarezza, linearità ed esaustività di motivazione il Collegio, rilevato che DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico il contratto portato alla sua cognizione regolava un rapporto qualificabile senz’altro in termini di lavoro, che le relative controversie rientravano in ogni caso tra quelle elencate nell’art. 409 c.p.c., ed accertato perciò che la clausola compromissoria in esso apposta era “inficiata da nullità insanabile e rilevabile d’ufficio, in quanto compromette(va) in arbitri in materia devoluta al Pretore in funzione di Giudice del lavoro in forza di norma inderogabile” ha deciso, “conseguentemente, di non proseguire oltre nella procedura in quanto ogni atto sarebbe (stato) travolto da nullità”. A tale lodo fa da pendant la sentenza del Tribunale del Lavoro di Rovigo (n. 441/00 sent., 16 giugno 2000, est Bigetti, Pandolfi Daniele c/ U.S. Ochiobello, inedita), in cui il Giudice, a fronte dell’eccezione di carenza di giurisdizione, prevedendo il contratto concluso tra le parti la clausola compromissoria che devolveva ogni relativa controversia ad un Collegio costituito secondo le modalità previste dalla F.I.P.A.V., richiamando gli artt. 412 ter, 409 e 808 c.p.c. e 5 della legge 11 agosto 1973 n. 533, si è invece pronunciato nel merito, avendo accertato nella specie la ricorrenza di un rapporto di parasubordinazione, come tale non compromettibile in arbitri. La questione si è riproposta un paio di anni dopo quando, il 13 aprile 2002, è stato emanato un ulteriore lodo declinatorio della giurisdizione nella controversia tra l’allenatore Daniele Bagnoli e la Daytona Valley Spa di Modena a cui ha fatto seguito, in data 20 febbraio 2003, la sentenza tra le stesse parti del Tribunale di Modena in funzione di Giudice del lavoro (n. 90/03 Sent., est. Stanzani, inedita), che ha ovviamente affermato la propria giurisdizione e concluso nel merito. Anche se la stragrande maggioranza delle controversie dei professionisti di fatto ha continuato ad essere risolta con il modulo arbitrale, a decorrere da quel periodo il problema si è comunque posto, in tutta la sua gravità, ed i difensori delle parti hanno preso con sempre maggior frequenza a sollevare la questione della compromettibilità. E’ singolare dover constatare, però, come nel prosieguo si sia assistito ad un curioso arroccamento della giurisprudenza arbitrale, spiegabile solo con l’intento di favorire comunque la composizione delle liti e di supportare, al tempo stesso, le traballanti previsioni regolamentari delle rispettive federazioni. Si sono al proposito prospettate diverse linee argomentative, tutte forzate e chiaramente inaccettabili. Un primo ordine motivazionale si fonda sulla considerazione che vorrebbe l’art. 412 ter c.p.c. a presidio esclusivo degli interessi del lavoratore, al quale solo spetterebbe, pertanto, la facoltà di far valere la nullità della clausola compromissoria e del conseguente procedimento arbitrale, mentre nessuna eccezione potrebbe essere sollevata nel caso di vocatio in ius della società DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico (lodo 1 luglio 2003, Terenzio De Benedictis c/ C.U.S. l’Aquila Rugby, inedito). Appare però di tutta evidenza l’arbitrarietà di una siffatta conclusione, posto che la rilevabilità d’ufficio della nullità sia della clausola che del relativo lodo è assolutamente pacifica in giurisprudenza (ex plurimis, tra le più risalenti, Cass. Civ., Sez. I, 14 febbraio 1977 n. 649). Un altro tentativo di fondare la compromettibilità in arbitri delle controversie di lavoro sportivo dilettantistico è quello, svolto nella comparsa conclusionale del procedimento De Benedictis – C.U.S. l’Aquila Rugby sopra citato, che tende a superare il disposto dell’art. 412 ter c.p.c. utilizzando i Principi Informatori degli Statuti Federali, cui le federazioni devono (ora non più, essendo stati sostituiti dai Principi Fondamentali approvati il 23 marzo 2004) necessariamente uniformarsi parificandoli, in quanto promananti dall’ente pubblico- CONI, alla fonte legislativa prescritta. E’ però altrettanto evidente che la natura regolamentare, e quindi di fonte secondaria degli stessi non autorizza(va) per nulla una siffatta conclusione, che non risulta peraltro mai accolta in alcun lodo. Più interessante ed articolato appare invece il tessuto argomentativi inaugurato, a quanto consta, con il lodo Malaja (12 febbraio 2002, Lilia Malaja c/ Rovereto Basket, inedito) e recepito, successivamente, in altri lodi (19 maggio 2005, Paul Roux c/ Rugby Viadana s.r.l., inedito). Il presupposto da cui si muove è che, per effetto del tesseramento e dell’affiliazione, le persone e le società acquisiscono uno status dal quale derivano specifici diritti e obblighi di natura endoassociativa, alcuni dei quali non insorgono direttamente nei confronti della federazione, ma si collocano nell’ambito del rapporto che si istituisce con la società di appartenenza. Questi ultimi, si legge ancora nel lodo Malaja, “possono ben avere contenuto patrimoniale”, ma si tratterebbe, in ogni caso, di accordi “ accessori ed esterni” al rapporto di tesseramento, ed in ogni caso “eventuali”, posto che molti atleti giocano senza percepire alcun compenso: ciò, ovviamente, purché non si tratti di professionisti ufficializzati, per i quali l’accordo di carattere economico con la società non solo non può riguardarsi come accessorio ed eventuale, ma si pone anzi come requisito indispensabile per poter ottenere il tesseramento. Si sostiene, da ultimo, che gli accordi dei professionisti di fatto, “che hanno valenza anche nell’ordinamento generale”, potrebbero trovare tutela per il tramite dei procedimenti arbitrali previsti in quanto “filtrati” dall’ordinamento federale in quanto la cognizione dei relativi collegi non avrebbe “ad oggetto diretto l’accordo concluso, contratto di lavoro per l’ordinamento generale”, ma solo lo stesso “quale fatto fonte delle situazioni giuridiche di carattere economico”. DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico A dir poco semplicistico, ed in ogni caso sicuramente elusivo di ogni problematica, appare infine l’ordine motivazionale scelto da un recentissimo lodo in ambito F.I.P. per respingere l’avanzata eccezione di difetto di giurisdizione “per essere intercorso tra le parti un rapporto di lavoro subordinato” (21 novembre 2005, Gianluca Ghedini c/ A.S. Amicizia & Sport Napoli, inedito). Si argomenta in esso che la questione della validità o meno della clausola compromissoria apposta nel contratto oggetto del giudizio sarebbe addirittura “totalmente irrilevante, atteso che la controversia avrebbe comunque dovuto essere devoluta al Collegio Arbitrale sulla base delle norme contenute nei Regolamenti F.I.P.”, e cioè gli artt. 1 R.E., 115 e 161 e ss. R.O. che prevedono, rispettivamente, l’accettazione delle norme statutarie e regolamentari da parte del giocatore e della società e, quindi, della relativa procedura arbitrale nelle stesse previste. Si aggiunge, ancora, che l’attore, proponendo il ricorso ex art. 164 R.O., avrebbe attivato “non già la clausola compromissoria contenuta nel contratto inter partes, ma quella prevista dall’art. 40 dello Statuto e degli articoli 161 ss del Regolamento Organico F.I.P.” e si conclude, con l’affermazione che, secondo l’art. 4 bis del R.E., deve in ogni caso escludersi che l’attività svolta in ambito dilettantistico “possa essere ricondotta nell’ambito del rapporto di lavoro autonomo o subordinato”. Gli arbitri non si sono resi conto, evidentemente, che il loro argomentare prova troppo in quanto il lodo emesso, dichiaratamente, solo ed esclusivamente valore endoassociativo, con la conseguenza che alla parte soccombente non potrebbe perciò precludersi, senza rischio di vedersi opporre l’ exceptio compromissi, il ricorso al Giudice del lavoro. Non può, conclusivamente, non prendersi atto, in realtà, al di là di ogni artificio dialettico inidoneo a cancellare l’eventuale, sostanziale natura lavoristica della prestazione sportiva, che il chiaro e inderogabile disposto dell’art. 412 ter del codice di rito non consente affatto di devolvere in arbitri alcuna delle controversie di cui ai nn. 1 e 3 del successivo art. 409, e che, pertanto, i lodi comunque emessi potranno sempre essere disattesi dai soccombenti che ritenessero di ricorrere al giudice naturale del lavoro precostituito per legge (art. 24 Cost.) Esattamente in tal senso si è determinato infatti il Tribunale di Bari (Sez. Lavoro, sent. n. 6270/03 del 10 marzo 2003, Bari Volley s.r.l. c/ Falsarella Regione, inedita) in cui la società, condannata al pagamento di una somma di danaro, si è opposta al relativo decreto ingiuntivo ottenendone come richiesto la revoca, in quanto “l’atleta aveva posto a fondamento della domanda monitoria esclusivamente un lodo” che doveva “essere considerato nullo per violazione della norma DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico imperativa di cui all’art. 808 comma 2 c.c.” analogamente, per i medesimi motivi, alla clausola compromissoria del “contratto di collaborazione inter partes”, a nulla rilevando “la circostanza che l’opponente avesse inizialmente accettato il giudizio arbitrale”. 7) La tutela del professionista di fatto tra illegalità, incongruità, insicurezze e carenze di disciplina: la proposta di legge Moroni. Piuttosto che “collocati in una specie di limbo giuridico o di spazio vuoto dal diritto” (Bellavista 1997, p. 525) i professionisti di fatto si dibattono, ben più gravemente, tra l’espressa illegalità delle disposizioni federali che, pur a fronte degli imperativi e inderogabili precetti costituzionali in tema di lavoro, ne hanno regolato i rapporti ed il contenzioso per il tramite della fuorviante categoria di dilettanti, le incongruenze di una legislazione fiscale ingiustamente favorente da un lato ma elusiva, per altro verso, degli istituti previdenziali-assicurativi e, da ultimo, le più generali carenze sia a livello di norme codicistiche, inadatte e di incerta applicazione, che di legislazione speciale, decisamente velleitaria nella pretesa di disciplinare, discriminandola sulla scorta di qualificazioni eteronome, l’analoga classe di prestazioni dei professionisti ufficializzati. Le stesse connotazioni negative valgono, a ruoli invertiti, per le società dilettantistiche che si avvalgono delle loro prestazioni le quali, al di là della circostanza che esse dispongano o meno di strutture e risorse quali quelle delle loro consorelle professionistiche, si trovano ciononostante esposte a tutte le conseguenze, anche d’ordine penale, derivanti dall’accertamento di rapporti di lavoro. Né possono essere sottaciute le difficoltà operative alle quali le stesse vanno incontro in ragione della qualifica formale e gli aggiustamenti ai quali spesso deve ricorrere il legislatore per far fronte alle loro esigenze. Paradigmatico il caso degli sportivi stranieri. La legge Turco-Napolitano (D. Lgs. 25 luglio 1998 n. 286) prevedeva, infatti, che il permesso di soggiorno potesse essere rilasciato, per ragioni di coerenza sistematica, solo agli sportivi professionisti. Tali avrebbero dovuto essere esclusivamente quelli ufficializzati, anche se nella prassi era invalso l’uso di etichettare come tali anche gli atleti di federazioni dilettantistiche. L’attuale art. 27 n. 5 bis della legge Bossi-Fini, (legge 30 luglio 2002 n. 189), emendato su esplicita richiesta del CONI, prevede, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, l’endiadi “attività sportiva professionistica o comunque retribuita”, dizione quest’ultima che finisce con il costituire un indiretto riconoscimento legislativo del professionismo di fatto. DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico Legislatore peraltro il quale, autorizzando con la legge finanziaria 2005 una sovvenzione “a sostegno delle realtà calcistiche femminili F.I.G.C. Divisione Calcio Femminile di Serie A, A2 e B” è andato ancora oltre nel riconoscimento del fenomeno, stabilendo che “i contributi a sostegno dell’attività professionistica delle suddette squadre non sono commutabili con altro genere di finanziamenti” (art. 1, commi 530 e 534 della legge 30 dicembre 2004 n. 311). Nel variegato panorama nazionale continuano ad esistere, certamente ed in larga maggioranza, società ed associazioni sportive dilettantistiche strutturate su base associativa anche nei rapporti con gli atleti ed incentrate, pertanto, sul volontariato delle prestazioni. Delle esigenze di queste si è fatto carico il legislatore fiscale, con una serie di interventi agevolativi che se si giustificano per società e associazioni che operano meritoriamente nel sociale, o comunque in ambito strettamente amatoriale, non si attagliano certo ai ben diversi casi in cui, sotto l’ombrello protettivo dell’omnicomprensiva e formale qualificazione dilettantistica, esse muovono invece, con criteri imprenditoriali, ingentissime somme di denaro per lo svolgimento di attività sportive a livello apicale e, soprattutto, corrispondono ad atleti, tecnici e figure assimilate emolumenti talmente elevati che riesce davvero difficile, come pretende il TUIR, considerare “ redditi diversi” da quelli derivanti da attività di lavoro autonomo o subordinato, esenti quindi da ogni obbligo assicurativo contro gli infortuni sul lavoro o da contributi previdenziali. Non sono forse tali norme fiscali fortemente in odore di incostituzionalità, se si considera che l’articolo 38 prevede l’incondizionato diritto, per i lavoratori, “a che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” ? E non fa per altro verso sorridere la circostanza che sportivi, che guadagnano centinaia di migliaia di euro, utilizzino la prima fascia dei loro compensi, sino ad euro 7.500.00, per godere delle relative agevolazioni? ( così MARTINELLI 2003, p.7 ). Quando è stata emanata la legge n. 91 del 1981, il legislatore è stato fortemente influenzato, sulla scorta dei criteri all’epoca vigenti, dal timore di non pregiudicare la partecipazione alle olimpiadi di svariate discipline qualificandole come professionistiche. Oggi, come ho già riferito, una siffatta preoccupazione non esiste più , e le stesse federazioni sportive internazionali, quando non hanno abolito la qualifica di dilettante, ne adottano una che appare, peraltro, del tutto in linea con i principi lavoristici , nel senso che considerano tale chi è vincolato con la società di appartenenza solo ed esclusivamente da un rapporto di natura associativa. E’ il caso, per citare il più eclatante, del vigente Regolamento F.I.F.A. in materia di DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico status e trasferimento dei calciatori, che all’articolo 2 considera professionista “ colui che ha un contratto scritto con una società e che in cambio della propria prestazione riceve un pagamento superiore alle spese effettivamente sostenute nell’esercizio dell’attività calcistica. Tutti gli altri calciatori sono considerati dilettanti”. Occorre, a questo punto, trarre delle conclusioni. Le federazioni sportive nazionali, a partire da quella calcistica, non solo non hanno adeguato i propri regolamenti a quelli imposti dalle corrispondenti federazioni sportive internazionali, ma li hanno invece strutturati (esemplare appunto il caso della Federcalcio) in aperto contrasto con gli stessi. A livello comunitario il professionista di fatto, dunque anche italiano, non presenta specifici problemi di trattamento, nel senso che la sua tutela prescinde completamente da parametri eteronomi e formali, quale quello di dilettante eventualmente attribuitogli dalla federazione di appartenenza. A livello nazionale lo stesso professionista di fatto deve invece misurarsi, oltre che con la legislazione fiscale, con le incerte ed obsolete norme codicistiche che lo rimpallano continuamente tra due schemi legali che, oltre ad essere assai spesso vicini, mal si attagliano entrambi alle fattispecie di lavoro sportivo. In un tempio di lavoristi quale quello che mi ospita, non ritengo di dover aggiungere nulla sul ben noto travaglio che, ormai da lungo tempo, occupa i giuslavoristi sulla crisi di nozioni fondanti, quali l’autonomia e la subordinazione, né sul palese disagio della giurisprudenza a fronte della continua emersione di fattispecie promiscue (paradigmatica quella del maestro di tennis), costretta in ogni caso a qualificare con gli schemi del passato figure che vengono invece dal futuro, ovvero ad accordare o negare in blocco, in base a circostanze marginali nell’economia dei rapporti instaurati, il compatto sistema delle relative garanzie ( amplius in DE LUCA TAMAJO, 2005, pp 3 ss ). E se il mondo del lavoro ha potuto in certa parte attenuare le tensioni che in tema di qualificazione dei rapporti si erano addensate ai confini della subordinazione mediante la creazione del tertinum genus del lavoro a progetto, di una tale possibilità non si è potuto avvalere il lavoro dilettantistico, per il quale sopravvive dunque l’area delle collaborazioni continuative e coordinate con tutti i relativi problemi di contiguità con quella della subordinazione. Tra i rapporti sottratti dal comma 3 dell’art 61 del D. Lgs. 10 settembre 2003 n. 276 alla applicazione del lavoro a progetto figurano, infatti, né poteva essere altrimenti, “ i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche “, che continuano perciò ad avere cittadinanza giuridica all’interno dei fluidi ed esigui dati normativi disegnati dall’art. 409 n.3 cpc, con la conseguenza che i professionisti di fatto restano così esclusi dagli apporti di flessibilità, di trasparenza e di certezza del mercato del lavoro che sono alla base del decreto Biagi . E’ dunque necessario rivedere l’intera materia, ed il primo passo dovrà essere compiuto, ovviamente dal legislatore. Toccherà poi al CONI e alle federazioni sportive nazionali interessate al fenomeno adeguare le loro prescrizioni, nell’ambito di quel trend del contemperamento che, ormai da oltre un decennio, caratterizza i rapporti tra ordinamento statuale e ordinamento sportivo (amplius, in tema, in DE SILVESTRI 2004, pp. 10-11), alle leggi di quest’ultimo. Senza concrete possibilità di approvazione, essendo ormai imminente lo scioglimento del Parlamento, giace innanzi alla Camera dei Deputati la proposta di legge n. 5605, presentata il 9 febbraio dello scorso anno dall’on.le Moroni e da altri, composta di otto articoli, che sotto la rubrica, decisamente riduttiva, di “disposizioni in materia di tutela previdenziale degli sportivi”, disciplina in realtà la prestazione sportiva a titolo oneroso nella sua interezza. Dalla lettura della relazione introduttiva si evince chiaramente che le proposta, riconducibile essenzialmente alla “previdenza sociale” di cui all’art. 117 secondo comma, lettera o) della Costituzione e alle ormai note e discriminanti “differenze di genere” tra professionisti ufficializzati e di fatto nell’ambito di discipline sportive dal medesimo contenuto, oltre che tra uomo e donna finisce però, per il tramite della categoria degli “sportivi”, con il creare una nuova tipologia di lavoratori destinata ad affiancarsi a quelli soggetti all’applicazione della legge n. 91/1981 ed obbligati, come questi, ad iscriversi obbligatoriamente al Fondo pensioni gestito dall’ENPALS (art. 1). Il nuovo assetto, direttamente riferibile ai professionisti di fatto, si incentra sull’instaurazione, “con la stipula di un contratto”, di un “rapporto di prestazione sportiva, tecnica e didattica a titolo oneroso”, considerato senz’altro di natura lavoristica, “sia essa effettuata in forma autonoma che subordinata”, purchè esercitata da soggetti abilitati dalle relative FSN, “anche in modo non esclusivo, a fronte di un compenso in qualsiasi forma corrisposto” (artt. 1, 2 e 3). Sono inoltre previste la possibilità della contrattazione collettiva con conseguente predisposizione di un contratto-tipo, nonchè l’apposizione di una clausola compromissoria per la devoluzione del contenzioso ad un collegio arbitrale (art. 4) e sono ancora disciplinati in dettaglio DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico le categorie dei soggetti assicurati (art. 5), le modalità di versamento dei contributi e alle relative aliquote (art. 5), il regime pensionistico e l’estensione delle disposizioni di tutela e sostegno della maternità (art. 6), il riscatto dei periodi dei attività sportiva prestata anteriormente (art. 7) e quindi, da ultimo, la modifica, con l’integrazione dei rappresentanti degli sportivi e delle società sportive, del Consiglio di indirizzo e vigilanza di cui al d.p.r. 24 novembre 2003 n. 357 (art. 8). Se è vero che il diritto nasce vecchio, nel senso che le emergenze sociali precedono sempre la relativa disciplina formale, dopo quanto sinora affermato, non posso non prendere atto, con soddisfazione, che il legislatore ha finalmente maturato il convincimento che ormai è giunto il tempo, come si legge nella stessa relazione introduttiva, di “dare il giusto riconoscimento alla prestazione sportiva in quanto tale, indipendentemente dalla categoria di appartenenza o della disciplina sportiva praticata”. Devo dire subito, però, che se la proposta, destinata inevitabilmente a cadere per l’imminente scioglimento delle Camere, costituisce senz’altro un’ottima base di discussione, e quindi un punto di partenza, non potrà però a mio avviso costituire un soddisfacente punto d’arrivo. Restano innanzi tutto da chiarire i rapporti con la legge n. 91/1981. La creazione di due classi di lavoratori, ancorata pur sempre all’eteronoma autodeterminazione di ciascuna federazione, e la conseguente differenziazione di tutela che ne consegue non solo non risolve, ma per certi versi accentua, in presenza di due leggi che regolerebbero la stessa materia, il problema della disparità di trattamento di prestazioni sportive dal contenuto analogo: paradigmatico il caso dei cestisti e dei pallavolisti di serie A/1. Occorre poi riflettere sulla filosofia di fondo che deve ispirare l’intervento legislativo. Se è necessario, da un lato, far fronte alla “fuga dal diritto del lavoro”, ottemperando al dettato costituzionale e offrendo la relativa tutela a prestazioni sportive di indubbia natura lavoristica, non può per altro verso cadersi nell’eccesso opposto di una irrealistica ipertutela che, oltre a danneggiare gravemente, forse in modo irreparabile, le società di appartenenza non gioverebbe nemmeno, in larga parte, agli stessi destinatari. Il testo proposto soffre, infatti, dello stesso vizio concettuale che ha portato il legislatore fiscale, che ha disciplinato senz’altro in chiave agevolativa sport amatoriale, indubbiamente meritevole di tanto e sport di vertice, che si avvale di prestazioni finalizzate al sostentamento ed al guadagno. L’omnicomprensiva prescrizione secondo cui sarebbero sottoposte alla legge, e quindi “lavorizzate”, tra l’altro indiscriminatamente, a prescindere cioè dalla loro natura autonoma o DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico subordinata, tutte le prestazioni sportive, tecniche e didattiche, anche quelle dei medici e paramedici, già iscritti ad un albo e soggetti, perciò, al versamento di contribuzione previdenziale e, soprattutto anche quelle episodiche, o comunque brevi e di basso livello, destinate a non raggiungere mai il minimo per beneficiare di un trattamento di quiescenza, appare dunque in larga parte inutile, e comunque eccessiva. Sarebbe forse più opportuno rivisitare, come da più parti auspicato, l’ormai obsoleta legge n. 91/1981, disciplinando in modo unitario e graduato, anche sotto il profilo fiscale, tutte le prestazioni sportive individuando, con una delicatissima operazione di pesi e di misure, che lasci comunque largo spazio ai rimborsi, anche forfetari di spesa quelle che, per svolgersi nell’ambito di discipline comunque di vertice, necessitano realmente di tutela lavoristica e previdenziale. (*) Avvocato del Foro di Vicenza, Docente nell’Università di Teramo DOTTRINA Il lavoro nello sport dilettantistico BIBLIOGRAFIA : - ABI – CONFINDUSTRIA – ICI, Olimpiadi 2008 a Pechino: opportunità d’affari per le aziende italiane, Bexcel Management Consultant – Ambrosetti, 20 maggio 2002; - AGNINO F., Statuti sportivi discriminatori ed attività sportiva : quale futuro ?, in “ Il Foro italiano “, 2002; - BELLAVISTA A., Il lavoro sportivo professionistico e l’attività dilettantistica, in “ Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale “ , 1997; - BIANCHI D’URSO F., VIDRI G., La nuova disciplina del lavoro sportivo, in “Rivista di diritto sportivo”, 1982; - CARINGELLA F., Considerazioni in tema di giudizio cautelare sportivo, in “Rivista di diritto sportivo” 1993; - CROCETTI BERNARDI E., Giurisdizione ordinaria e lavoro sportivo, in AA.VV “La giustizia sportivaanalisi critica della Legge 17 ottobre 2003, n. 280”, Experta edizioni, Forlì, 2004. - CROCETTI BERNARDI E., Le discriminazioni nei confronti degli atleti stranieri, in AA. 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DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … IL VINCOLO DI GIUSTIZIA ARBITRALE NELLE CONTROVERSIE DI TIPO ECONOMICO TRA CALCIATORI (ALLENATORI, DIRETTORI TECNICO- SPORTIVI, ECC.) PROFESSIONISTI E LE SOCIETÀ SPORTIVE TRA LA LEGGE 91/1981 E LA LEGGE 280/2003 di Nello Venanzi (*) CONVEGNO NAZIONALE “ SPORT E DIRITTO DEL LAVORO ” (Torino 13 e 14 gennaio 2006) organizzato dal CENTRO NAZIONALE STUDI DI DIRITTO DEL LAVORO “D. NAPOLETANO” SEZIONI PIEMONTE, LIGURIA, LOMBARDIA, VENETO. ****** Ringrazio, innanzi tutto, il Centro Studi D. Napoletano per l’invito a questo interessante convegno proprio qui a Torino, in prossimità della apertura dei Giochi Olimpici Invernali che rappresentano l’evento più significativo ed atteso da tutti gli appassionati delle attività sportive. Per me, praticante sportivo quasi esclusivamente a video o nelle tribune degli stadi, questa è sembrata una ottima occasione per una riflessione sul complesso e, in alcuni casi, controverso rapporto fra ordinamento statale e ordinamento sportivo con riferimento ai relativi sistemi di giustizia ed in particolare alle cause di lavoro nel settore calcistico. Evito accuratamente qualsiasi considerazione sul fondamento giuridico ed istituzionale della nozione di pluralismo degli ordinamenti giuridici e sui limiti di autonomia degli stessi rispetto ai principi ed alle regole generali dell’ordinamento statale. Ai fini del tema che mi è stato assegnato e che devo trattare credo che sia sufficiente partire dal dato normativo fissato, da ultimo, dall’art. 1 della L. 280 / 2003 di conversione ( con molte modifiche) del D.L. 220 dell’agosto 2003, decreto emanato dal Governo in fretta e furia per consentire l’inizio del campionato di calcio 2003 / 2004 dopo le vicende e le contrastanti pronunce sportive e dei TAR sui casi Catania, Salernitana, Genova e Fiorentina, che rischiavano di non consentire il regolare inizio e svolgimento del campionato di quella stagione, non essendo certo quali DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … e quante squadre dovevano considerarsi retrocesse e partecipanti, quindi, ai campionati di serie A, B e C.. D’altronde questa dell’emergenza è una caratteristica di quasi tutti i provvedimenti legislativi dettati dall’ordinamento statale per regolamentare situazioni critiche dell’ordinamento sportivo a partire dalla L. 91 del 1981, emanata per evitare il blocco del c.d. calcio -mercato allora disposto dall’autorità giudiziaria L’art. 1 della L. 280 / 2003, dicevo, ha espressamente ribadito e riconosciuto l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, confermandone l’autonomia, “salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica, di situazioni giuridiche soggettive, connesse con l’ordinamento sportivo”. Questo mi sembra il punto utile dal quale partire. Più complesso è rispondere alla domanda di quali siano le situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo che giustificano ed autorizzano l’intervento dell’ordinamento statale e, quindi, il ricorso alla giustizia ordinaria . Per comodità di chi seguirà questa relazione riporto di seguito il testo delle norme che, forse, non sono di comune conoscenza ed uso da parte dei giuslavoristi. LEGGE 17 OTTOBRE 2003, n. 280: conversione in legge, con modificazioni, del decreto – legge 19 agosto 2003, n. 220, recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva. ART. 1 - PRINCIPI GENERALI – 1. La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale. 2. I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo. DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … ART. 2 – AUTONOMIA DELL’ORDINAMENTO SPORTIVO 1. In applicazione dei principi di cui all’art. 1, è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; (- cd controversie tecniche -) b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive; (- cd controversie disciplinari - ) c) (lettera soppressa); (- cd. controversie associative o amministrative - ) d) (lettera soppressa); “ “ “ “ 2. nelle materie di cui al comma 1, le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l’onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Comitato Olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui agli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23.7.1999, n. 242, gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo. ART. 3 – NORME SULLA GIURISDIZIONE E DISCIPLINA TRANSITARIA 1. Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all’articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all’art. 4 della Legge 23 marzo 1981, n. 91. (ndr cioè i contratti individuali di lavoro sulla base del tipo concordato a livello collettivo) - omissis – DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … Dalla riconosciuta “autonomia”, che sussisteva ovviamente anche prima della L. 280 / 2003, dell’ordinamento sportivo discende il potere regolamentare del CONI e delle singole Federazioni sportive di dettare le norme organizzative, statutarie, disciplinari, per lo svolgimento delle singole discipline sportive. Il tema che mi è stato assegnato, forse in considerazione dell’esperienza che ho maturato per un paio di anni (2000 – 2001) in qualità di Presidente del Collegio Arbitrale della FIGC presso la Lega Nazionale Professionisti a Milano (serie A e B), è quello di trattare la questione del c.d. vincolo di giustizia sportiva, con particolare riferimento al rapporto di lavoro professionistico tra calciatori, allenatori ecc. e società calcistiche. Di che si tratta ? Si tratta, in generale, del dovere per gli aderenti e appartenenti all’ordinamento sportivo (società, atleti, dirigenti ecc.) di adire gli organi della giustizia sportiva per la risoluzione di ogni possibile controversia collegata e/o nascente dall’ordinamento sportivo. Detto così si tratta di una nozione talmente generale da risultare generica e inutile per segnare i confini tra giustizia sportiva e giustizia ordinaria statale. Tradizionalmente, la giustizia o meglio le controversie negli ordinamenti sportivi, vengono distinte in quattro grandi categorie (vedi retro pag. 3): 1. controversie disciplinari – Si tratta di violazioni delle norme federali. Tali provvedimenti di giustizia possono avere rilevanza per l’ordinamento statale quando comportino la modifica di status (l’esclusione) del soggetto rispetto all’ordinamento sportivo. 2. quelle c.d. tecniche, che riguardano le norme tecniche organizzative e regolamentari adottate dalle singole Federazioni per lo svolgimento delle singole attività sportive, rispetto alle quali l’ordinamento statale non ha alcuna giurisdizione; 3. quelle c.d. amministrative o associative che riguardano le regole di associazione sportiva o di correttezza gestionale ritenute necessarie per la corretta gestione delle società o associazioni sportive. Ed infine: 4. le controversie economiche che riguardano, in generale, i rapporti patrimoniali e contrattuali fra associati - Federazione Sportiva e singole società -. E proprio di questo ultimo tipo di controversie, le cd. controversie economiche, che attengono più strettamente al rapporto di lavoro sportivo tra atleti ecc. e società sportive, di cui vorrei occuparmi. DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … L’ordinamento statale ha, nel 1981, con la L. 91, dettato le regole del rapporto di lavoro subordinato sportivo. Anche in quel caso, abbiamo detto, per evitare il blocco del calcio mercato disposto da un allora Pretore. Legge 23 marzo 1981, n. 91 “Norme in materia di rapporto tra società e sportivi professionisti - omissis Art. 3 – (Prestazione sportiva dell’atleta) La prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato regolato dalle norme contenute nella presente legge. Essa costituisce, tuttavia, oggetto di contratto di lavoro autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti: a) l’attività svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo; b) l’atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento; c) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno. Art. 4 – (Disciplina del lavoro subordinato sportivo) Il rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto, conformemente all’accordo stipulato, ogni tre anni dalla federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessati. La società ha l’obbligo di depositare il contratto presso la Federazione sportiva nazionale per l’approvazione. Le eventuali clausole contenenti deroghe peggiorative sono sostituite di diritto da quelle del contratto tipo. Nel contratto individuale dovrà essere prevista la clausola contenente l’obbligo dello sportivo al rispetto delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici. DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … Nello stesso contratto potrà essere prevista una clausola compromissoria con la quale le controversie concernenti l’attuazione del contratto e insorte fra la società sportiva e lo sportivo sono deferite ad un collegio arbitrale. La stessa clausola dovrà contenere la nomina degli arbitri oppure stabilire il numero degli arbitri ed il modo di nominarli. Il contratto non può contenere clausole di non concorrenza o, comunque, limitative della libertà professionale dello sportivo per il periodo successivo alla risoluzione del contratto stesso né può essere integrato durante lo svolgimento del rapporto, con tali pattuizioni. Le Federazioni sportive nazionali possono prevedere la costituzione di un fondo gestito da rappresentanti delle società e degli sportivi per la corresponsione della indennità di anzianità al termine dell’attività sportiva a norme dell’art. 2123 del c.c. Ai contratti di cui al presente articolo non si applicano le norme contenute negli art. 4, 5, 13, 18, 33, 34 della legge 20 maggio 1970. n. 300 e negli articoli 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604. Ai contratti di lavoro a termine non si applicano le norme della legge 18 aprile 1962, n. 230. L’articolo 7 della Legge 20 maggio 1970, n. 300, non si applica alle sanzioni disciplinari irrogate dalle Federazione Sportive nazionali. Omissis Quindi, dal punto di vista giuslavoristico, il legislatore ha espressamente previsto e qualificato il rapporto di lavoro tra lo sportivo professionista (atleta, allenatore, direttori tecnici sportivi, preparatore atletico, ecc. ) e le società sportive come contratto di lavoro subordinato. Le caratteristiche di tale contratto di lavoro subordinato sportivo sono, oltre ovviamente alla assunzione nominativa diretta: 1) la qualifica di lavoratore – atleta professionista (non dilettante) riconosciuta dalla Federazione Sportiva; 2) la non applicazione della legge sul contratto a termine (allora L. 230 / 1962 ed oggi,probabilmente, il D. Lgs. 368 / 2001) 3) il deposito del contratto individuale di lavoro, predisposto in forma scritta, secondo lo schema concordato a livello sindacale Lega – A.I.C., presso la Federazione Sportiva per l’approvazione. 4) Il divieto di stipula di patti di non concorrenza; DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … 5) La possibilità di inserimento nei contratti di lavoro di una clausola compromissoria per il deferimento delle controversie ad un collegio arbitrale. Al rapporto di lavoro subordinato tra sportivo professionista e società sportiva non si applicano le norme dello Statuto dei lavoratori di cui all’art. 4 (controllo a distanza – impianti audio visivi) in quanto la prestazione sportiva è vista da tutti sia durante le gare che negli allenamenti, art. 5 (controllo malattia ed assenze) in quanto c’è il medico sociale, art. 13 (mansioni e trasferimenti) in quanto l’allenatore sceglie chi deve giocare e chi sta a disposizione, art. 18 (licenziamento e reintegrazione), artt. 33 e 34 (collocamento e richieste nominative), nonché le norme della L. 604 / 66 sul licenziamento individuale, salvo quella che prevede la nullità (art. 4) del licenziamento per motivi discriminatori. La legge prevede, infine, la non applicabilità delle norme di cui all’art. 7 S.L. per le sanzioni disciplinari c.d. sportive, intendendosi per sanzioni sportive quelle irrogate (tipo squalifica o multe) dalla Federazione Sportiva. Per quanto attiene, invece, alle vere e proprie sanzioni disciplinari nell’ambito del lavoro subordinato dalle società, Vi dirò più avanti quando tratterò dei compiti del Collegio Arbitrale. Per completezza ci sono solo da ricordare i casi previsti dall’art. 3 della Legge, nei quali non si configura un rapporto di lavoro subordinato ma un rapporto di lavoro autonomo per uno sportivo convocato per una singola manifestazione o per un meeting o per un atleta senza vincoli di allenamento con prestazione di durata non superiore a otto ore settimanali, 5 giorni al mese o 30 gg. in un anno. Su tale disciplina legale del rapporto di lavoro sportivo dettata dal legislatore nazionale con la L. 91 / 1981, si è poi inserita la contrattazione collettiva tra calciatori, allenatori, direttori tecnico – sportivi ecc., la quale ha dettato l’ulteriore normativa che regolamenta sul piano economico e normativo il rapporto di lavoro subordinato dello sportivo professionista. Per quanto riguarda i calciatori professionisti si tratta dell’Accordo Economico Collettivo (il contratto Collettivo Nazionale di Lavoro) tra i calciatori professionisti (serie A, B, C1 e C2), la F.I.G.C. e la Lega Nazionale Professionisti (l’Associazione datoriale delle società calcistiche), al quale faceva rinvio l’art. 4, 1° comma, della L. 91 / 1981. Il contratto collettivo (l’A.E.C.) è stato stipulato solo nel luglio 1989 ed è stato recentemente modificato e rinnovato nel luglio 2005. Il contratto collettivo (l’A.E.C.) disciplina il trattamento economico e normativo dei calciatori professionisti (serie A, B, C1 e C2). DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … Analoghi contratti (A.E.C.) sono stati conclusi dalle rispettive associazioni sindacali per gli allenatori, i direttori tecnico sportivi ecc.. Per quanto attiene al vincolo di giustizia sportiva l’art. 25 del vecchio A.E.C. e l’art. 21 dell’attuale A.E.C. prevedono: Art. 21 – Clausola compromissoria. Procedimento arbitrale. 21.1. In conformità a quanto previsto dall’art. 4, quinto comma, della L. 23 marzo 1981, n. 91 e successive modificazioni, nonché dall’art. 3, primo comma (ultimo periodo) , della legge 17 ottobre 2003, n. 280, il contratto individuale di prestazione sportiva deve contenere una clausola compromissoria in forza della quale la soluzione di tutte le controversie aventi ad oggetto l’interpretazione l’esecuzione o la risoluzione di detto contratto ovvero comunque riconducibili alle vicende del rapporto di lavoro da esso nascente sia deferita alle risoluzioni del C.A., - (Collegio Arbitrale) - che si pronuncerà in modo irrituale 21.2. Con la sottoscrizione del Contratto le parti si obbligano – in ragione della loro comune appartenenza all’ordinamento settoriale sportivo, dei vincoli conseguentemente assunti con il tesseramento o l’affiliazione, nonchè della specialità della disciplina legislativa applicabile alla fattispecie – ad accettare senza riserve la cognizione e le risoluzioni della C.A. 21.3. Il regolamento prevede, anche ad integrazione dei precedenti articoli: a – le modalità di devoluzione delle controversie ed i relativi termini; b – la procedura di nomina degli arbitri di nomina di parte del Presidente e degli eventuali Conciliatori; c – le formalità procedurali, anche relative all’espletamento dei mezzi istruttori ed alla produzione di documenti e memorie; d – il termine entro il quale deve essere emesso il lodo, le possibilità di proroga e l’obbligo di comunicazione alle parti interessate con le relative modalità; e – i criteri per le determinazione degli eventuali compensi agli arbitri, ove previsti nel Regolamento. Si tratta di una vera e propria clausola compromissoria, inserita nell’ A.E.C. (CCNL) - che inequivocabilmente deferisce tutte le controversie aventi ad oggetto l’interpretazione, l’esecuzione e la risoluzione del contratto di lavoro subordinato sportivo, ovvero comunque riconducibili alle DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … vicende del rapporto di lavoro da esso nascente alle risoluzioni del Collegio Arbitrale, che si pronuncerà in modo irrituale. Per la verità che si trattasse di arbitrato irrituale, diretto cioè alla composizione della controversia mediante una regolamentazione negoziale dei contrapposti interessi con un negozio di mero accertamento, il c.d. arbitrato – giudizio, non si è mai dubitato, per lo meno a livello di Collegio Arbitrale. Una sola precisazione per quanto attiene alle sanzioni disciplinari nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato (non quelle c.d. sportive), l’art. 15 del precedente A.E.C. e l’art. 11 del nuovo accordo, prevedono che i provvedimenti disciplinari, dall’ammonizione scritta sino alla risoluzione del contratto (licenziamento), siano adottati su proposta della società, con decisione / valutazione dello stesso Collegio Arbitrale, il quale, valutati i fatti, le inadempienze contestate, la tempestività della contestazione e la proporzionalità della sanzione disciplinare richiesta, potrà eventualmente confermarla o derubricarla con una diversa e più lieve sanzione. Per concludere questa breve panoramica sulle norme dell’ordinamento statale e dell’ordinamento sportivo che riguardano il cd. vincolo di giustizia, ancorchè limitatamente alle cd. controversie economiche, possiamo affermare: l’art. 4 della L. 91/1981 ha previsto la possibilità di inserimento di una clausola compromissoria, a livello di contratti individuali di lavoro, per la definizione da parte di un collegio arbitrale delle controversie tra società sportiva e sportivo concernenti l’attuazione del contratto. L’art. 2 della L 280/2003 prevede l’”onere” per gli appartenenti all’ordinamento sportivo di adire gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo nelle materie di cui al 1 comma e cioè relative: 1) all’osservanza e alla applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle singole federazioni sportive. 2) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione e applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive. 3) l’art. 3 della L. 280 / 2003 prevede che esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti ogni altra controversia avente ad oggetto atti del CONI o delle Federazioni Sportive è di competenza del Giudice Amministrativo. 4) Solo l’art. 21 (ex art. 25) dell’A.E.C. (CCNL) prevede una vera e propria clausola compromissoria in forza della quale le parti contraenti si impegnano “ad accettare senza riserve la cognizione e le risoluzioni della C.A.” del Collegio Arbitrale. DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … Quest’ultima norma dell’A.E.C. sembra configurare o meglio configura un vero e proprio arbitrato irrituale obbligatorio. L’obbligatorietà dell’arbitrato irrituale, per effetto di quanto previsto dal C.C.N.L. (A.E.C.), è supportata sul piano sanzionatorio dalla norma di cui all’art. 27 dello Statuto Federale della F.I.G.C. (recentemente modificato) che prevede: a) TITOLO I LE GARANZIE ART. 27 EFFICACIA DEI PROVVEDIMENTI FEDERALI E CLAUSOLA COMPROMISSORIA 1. I tesserati, le società affiliate e tutti i soggetti organismi e loro componenti, che svolgono attività di carattere agonistico, organizzativo, decisionale o comunque rilevanti per l’ordinamento Federale, hanno l’obbligo di osservare il presente Statuto ed ogni altra norma federale. 2. I soggetti di cui al comma precedente, in ragione della loro appartenenza settoriale sportivo o dei vincoli assunti con la costituzione del rapporto associativo, accettano la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla F.I.G.C. dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materie comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale, nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico. 3. Le controversie tra i soggetti di cui al comma 1 o tra gli stessi e la Federazione, per le quali non siano previsti o siano esauriti i gradi interni di giustizia federale possono essere devolute, su istanza della parte interessata, unicamente alla cognizione conciliativa ed arbitrale della Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport presso il CONI, secondo quanto disposto dai relativi regolamenti e dalle norme federali. Non sono soggette a procedimento di conciliazione o arbitrato le controversie decise con lodo arbitrale in applicazione delle clausole compromissorie previste dagli accordi collettivi o di categoria e, fermo restando il tentativo obbligatorio di conciliazione ai sensi dell’art. 12 dello Statuto CONI, non sono soggette a procedimento di arbitrato le controversie di natura tecnico disciplinare decise in via definitiva dagli organi di giustizia federali relative ad omologazioni dei risultati sportivi o che abbiano dato luogo a sanzioni soltanto pecuniarie, ovvero a sanzioni comportanti: a) la squalifica o inibizione di tesserati, anche se in aggiunta a sanzione pecuniarie, inferiori a 120 giorni; b) la squalifica del campo; c) penalizzazioni di classifica; DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … 4. Il Consiglio Federale, per gravi ragioni di opportunità, può autorizzare il ricorso alla giurisdizione statale in deroga al vincolo di giustizia. Ogni comportamento contrastante con gli obblighi di cui al presente articolo, ovvero, comunque, volto ad eludere il vincolo di giustizia comporta l’irrogazione delle sanzioni disciplinari stabilite dalle norme federali; 5. In deroga alle disposizioni di cui ai commi precedenti, avverso i provvedimenti di revoca o di diniego dell’affiliazione può essere proposto ricorso alla Giunta Nazionale del CONI entro il termine perentorio di 60 giorni dalla comunicazione del provvedimento. Non mi pare che il secondo comma dell’art. 27 dello Statuto della F.I.G.C. si possa definire o contenga una vera e propria clausola compromissoria ancorchè generale, dal contenuto molto ampio e indeterminato. Sembra, piuttosto, l’impegno generale, in forza del quale gli appartenenti all’ordinamento sportivo si obbligano ad accettare le regole dell’ordinamento ed a far valere le proprie pretese nelle materie comunque attinenti all’attività sportiva e nelle relative vertenze di carattere tecnico disciplinare ed economico, esclusivamente dinanzi agli organi della giustizia sportiva. Si tratta di un principio generale, di una dichiarazione con la quale gli appartenenti all’ordinamento sportivo dichiarano di accettare e di essere assoggettati alla c.d. giustizia sportiva, nelle materie comunque attinenti all’attività sportiva e nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico. Tale vincolo di giustizia interna è sanzionato dal codice di giustizia sportiva FIGC con gravissimi provvedimenti disciplinari che possono comportare persino la revoca delle affiliazioni per le società e del tesseramento per le persone fisiche (cfr. art. 27, n. 4 Statuto Federale ed art. 11 bis codice di giustizia sportiva della F.I.G.C.) 1 1 art. 11 bis codice di giustizia sportiva F.I.G.C.. Violazione clausola compromissoria. 1 - Ai soggetti tenuti all’osservanza delle norme federali che pongono in essere violazioni o azioni comunque tendenti alla elusione dell’obbligo di cui all’art. 27, comma 2, dello statuto, fatta salva l’applicazione di misure maggiormente afflittive, sono comminate le seguenti sanzioni: a) penalizzazione di almeno tre punti in classifica per le società e le associazioni; b) inibizione o squalifica non inferiore a mesi 6 per i calciatori e per gli allenatori e ad anni uno per tutte le altre persone fisiche; Fatta salva ogni diversa disposizione, oltre all’applicazione delle sanzioni previste dal presente articolo, deve essere irrogata un’ammenda. 2 - Successivamente all’erogazione delle sanzioni adottate con provvedimento definitivo, ove risulti che la violazione della clausola compromissoria persista, il Presidente Federale diffida i soggetti di cui al comma 1, assegnando un termine di venti giorni, ridotto in caso di urgenza a giorni 10, per rinunciare ad ogni azione intrapresa e agli eventuali effetti prodotti. Decorso inutilmente il suddetto termine, ai soggetti che non abbiano ottemperato, si applicano per tale ulteriore violazione le sanzioni previste dal comma 1. DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … Come si è detto, la norma statutaria (l’art. 27 dello Statuto Federale) prevede l’obbligo per i tesserati di accettare la giustizia sportiva nelle materia attinenti l’attività sportiva e nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico. Il punto è capire e definire meglio che cosa debba intendersi per “vertenze di carattere economico attinenti l’attività sportiva”. Stiamo parlando dei contratti di lavoro subordinato e delle relative cause di lavoro o, invece, di multe o altre sanzioni, anche economiche, applicate a società o calciatori dagli organi di giustizia sportiva ? L’art 3 della l. 280 / 2003 (norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria) prevede che “ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario su rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti,” è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie inserite nei contratti di lavoro subordinato sportivo. La norma statutaria (l’art. 27) prevede una sola possibilità di deroga al vincolo di giustizia sportiva attraverso un provvedimento di preventiva autorizzazione da parte del Consiglio Federale, (massimo organismo direttivo) della F.I.G.C. Tale provvedimento di autorizzazione deve essere motivato e concesso solo per gravi ragioni di opportunità. Quali siano le gravi ragioni di opportunità, per la verità non è specificato dalla norma e, per esperienza, mi risulta che la deroga non venga quasi mai concessa, almeno a livello di Federazione Calcistica. In altre Federazioni sportive mi dicono che la deroga venga più facilmente concessa, quanto meno per il recupero delle spettanze dovute dalle società sportive agli atleti o meglio agli “sportivi professionisti” dipendenti subordinati.. Questo è il quadro normativo nel quale si colloca il c.d. vincolo di giustizia sportiva che nell’ambito sportivo e degli addetti ai lavori viene generalmente, ma non unanimamente, esteso anche alle cause di lavoro tra calciatori, allenatori ecc. e società sportive. Questa soluzione, l’arbitrato irrituale obbligatorio, non mi pare, però, convincente e condivisibile. Definita la natura del rapporto di lavoro subordinato sportivo ed i rimedi legalmente e contrattualmente previsti per la tutela dei diritti delle parti, il problema da affrontare è quello di stabilire se, nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, come tale definito da una legge dello DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … Stato - L. 91 / 1981 - , siano o meno vigenti ed applicabili le disposizioni di cui gli artt. 4 e 5, L. 533 / 1973 e 412 ter e quater cpc. L’art. 4 L. 533/73 aveva modificato l’art. 808, secondo comma, c.p.c. che, oggi, prevede“Le controversie di cui all’art. 409 possono essere decise da arbitri solo se ciò sia previsto nei contratti ed accordi collettivi di lavoro purchè ciò avvenga, a pena di nullità senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l’autorità giudiziaria. La clausola compromissoria contenuta in contratti od accordi collettivi o in contratti individuali di lavoro è nulla ove autorizzi gli arbitri a pronunciare, secondo equità ovvero dichiari il lodo non impugnabile.” (Arbitrato rituale) Art. 5 L. 533/1973 - “Nelle controversie riguardanti i rapporti di cui all’art. 409 c.p.c. l’arbitrato irrituale è ammesso soltanto nei casi previsti dalla legge, ovvero dai contratti ed accordi collettivi”. “In questo ultimo caso, ciò deve avvenire senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l’autorità giudiziaria.” (Arbitrato irrituale) Nel rapporto di lavoro subordinato sportivo, dunque, la possibilità di ricorso all’arbitrato irrituale è prevista dalla L. 91 / 1981, art. 4, 5° comma, e dalla L. 280 / 2003, art. 3, 1° comma, attraverso il rinvio alla contrattazione collettiva (art. 25, vecchio A.E.C. ed art. 21 nuovo A.E.C.) Dal contrasto, apparentemente insanabile, - dirò dopo perché secondo me solo apparentemente insanabile - tra le norme di legge, di statuto, di contratto collettivo (A.E.C.) che ho sopra ricordato, appare molto difficile stabilire un limite, se c’è, al c.d. vincolo di giustizia sportiva. Ho detto contrasto apparentemente insanabile, riferendomi all’art. 27 dello Statuto Federale rispetto agli art. 4 della L. 91/1981 ed agli art. 2 e 3 della Legge 280/2003, perché l’art. 27, a ben vedere, prevede l’obbligo per gli appartenenti all’ordinamento sportivo di “accettare la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla F.I.G.C. dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materie comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale, nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico. Dubito che le vertenze di lavoro tra calciatori (allenatori ecc.) e le società calcistiche possano rientrare in tale categoria (le c.d. vertenze economiche) così come i Collegi arbitrali non rientrano e non fanno parte dell’ordinamento di giustizia federale. Il contrasto, quindi, è limitato alla norma dell’AEC (art. 25 del vecchio AEC e 21 del nuovo AEC), dove, effettivamente, l’arbitrato irrituale è previsto come obbligatorio e non facoltativo, anche per i diritti soggettivi nascenti dal contratto di lavoro subordinato sportivo. Ritengo che la regola generale e costituzionale del giusto processo e l’accesso per tutti alla giurisdizione, sancito dagli art. 24 e 102 Cost., siano realmente assicurati solo nell’ipotesi che si DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … tratti di arbitrato facoltativo e non obbligatorio, per effetto del prevalere, nella gerarchia delle fonti, della legge rispetto al contratto collettivo e/o alla norma statutaria.. La volontà del legislatore statale espressa nell’art. 1, secondo comma, della L. 280 / 2003 “(salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica, di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo)” mi sembra ulteriormente confermata oltreché dagli art. 4 e 5 L. 533/1973 anche dall’art. 412 ter c.p.c., nella parte, primo comma, in cui prevede, in materia di lavoro subordinato, la possibilità e non l’obbligo per le parti di concordare e di deferire caso per caso, o meglio, vertenza per vertenza, ad arbitri anche costituiti in camere arbitrali stabili, la soluzione della controversia. La posizione dell’ordinamento statale rispetto alla possibilità di ricorso all’arbitrato, rituale o irrituale, nelle controversie di lavoro può essere oggi, alla vigilia dell’entrata in vigore del D. Lgs. del 22.12.2005 emanato dal governo in attuazione della delega di cui all’art. 1, lettera b) della legge delega n. 80 / 2005 per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato, così riassunta: 1) l’art. 808. 2° comma c.p.c., per l’arbitrato rituale ammette la possibilità di inserimento di una clausola compromissoria nei contratti e negli accordi collettivi di lavoro purchè ciò avvenga, a pena di nullità, senza pregiudizio delle parti di adire l’autorità giudiziaria. La clausola compromissoria contenuta nei contratti collettivi o individuali di lavoro è altresì nulla ove autorizzi gli arbitri a pronunciare secondo equità ovvero dichiari il lodo non impugnabile. 2) l’art. 5 L. 533 / 1973 per l’arbitrato irrituale prevede che lo stesso sia ammesso solo nei casi previsti dalla legge ovvero dai contratti collettivi, senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l’autorità giudiziaria. 3) L’art. 412 ter c.p.c. prevede la possibilità, che le parti all’esito del tentativo obbligatorio di conciliazione, possano concordare di deferire ad arbitri la risoluzione della controversia mediante arbitrato irrituale a condizione che i contratti e gli accordi collettivi lo prevedano, stabilendo le regole di funzionamento del collegio arbitrale irrituale e, in particolare, stabilendo un termine “entro il quale l’altra parte potrà aderirvi”. In conclusione l’ordinamento statale prevede e riconosce la possibilità di ricorso allo strumento dell’arbitrato in materia di lavoro solo a condizione di facoltatività e non di obbligatorietà dello stesso. Per l’ordinamento statale le controversie nell’ambito dei rapporti di lavoro in generale, quindi, anche quelle relative al rapporto di lavoro sportivo subordinato, possono essere deferite al giudizio DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … arbitrale solo se tale possibilità è prevista dalla legge e dagli accordi collettivi, in ogni caso, salvaguardando la possibilità per le parti di adire l’AGO, l’Autorità Giudiziaria Ordinaria. La scelta spetterebbe, dunque, caso per caso, alle parti, concordemente tra loro, ovvero all’attore, che deve trasmettere il proprio ricorso alla controparte, la quale sarà libera di accettare o meno il giudizio arbitrale, provvedendo alla nomina del proprio arbitro di parte, o dichiarando di rifiutare l’arbitrato preferendo ricorrere al giudizio ordinario del Tribunale del Lavoro, così come previsto, ad esempio, dall’art. 7, 7° comma, della L. 300 / 1970, in tema di sanzioni disciplinari. Al riguardo, rimane aperto, nell’ambito del rapporto di lavoro sportivo il problema della impugnazione delle sanzioni disciplinari (quelle previste dall’A.E.C., non quelle sportive), per le quali, come si è detto, il sistema, o meglio l’A.E.C., prevede che la società faccia solo una proposta di sanzione che poi il Collegio Arbitrale, in contraddittorio tra le parti, concretamente dovrà determinare. In un sistema di questo tipo si può dubitare che il Giudice ordinario abbia la possibilità di accertare la legittimità della sanzione disciplinare solo “proposta” dalla società calcistica in assenza di un vero e proprio provvedimento. In questi casi, forse, la sola sanzione disciplinare effettiva, come tale individuata dal Collegio Arbitrale, potrebbe essere impugnata, per i vizi deducibili ex art. 412 quater c.p.c., unitamente al lodo arbitrale irrituale, avanti al Tribunale del Giudice del lavoro, territorialmente competente (quello della sede del Collegio Arbitrale). Questo mi sembra il quadro normativo che definisce, oggi, più esattamente il vincolo di giustizia sportiva nell’ambito delle c.d. controversie economiche o meglio nell’ambito del rapporto di lavoro sportivo subordinato, nel rispetto di quanto stabilito dalla L. 280 / 2003 all’art. 1, secondo comma, quando fissa il limite dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, “salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche connesse con l’ordinamento sportivo,” come è sicuramente quella del lavoratore sportivo professionista nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato. Per altro devo subito precisare che contrario avviso ha recentemente ed autorevolmente espresso la Corte Federale, che è il massimo organismo di giustizia della FIGC, statutariamente preposto, tra l’altro, all’interpretazione delle norme statutarie, quando il 31.3.2004, con decisione pubblicata il 16.4.2004 (all. 1), ha stabilito che: “l’autonomia dell’ordinamento sportivo configura questo come un ordinamento settoriale, dotato di proprie regole, che lo Stato riconosce in diverse occasioni come idonee a disciplinare i rapporti che si ricollegano alle attività sportive, senza intromissioni da parte dell’ordinamento generale. Gli DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … effetti dei comportamenti tenuti dai soggetti di questo ordinamento e le misure adottate nei loro confronti non assumono rilevanza per il diritto positivo. Certo un limite a tale autonomia settoriale si rinviene nel caso in cui i rapporti insorti nell’ordinamento sportivo assumano rilevanza per l’ordinamento generale. In tale caso, qualunque siano gli effetti dell’ordinamento autonomo, lo stato interviene con le proprie disposizioni. E ciò costituisce un limite all’autonomia. Questo è il senso dell’articolo 2 del decreto legge n. 220 del 2003, come convertito dalla legge 280 del 2003, laddove si esprime in termini di riserva all’ordinamento sportivo della disciplina di determinati rapporti. Ma anche quando tali rapporti assumono rilievo per l’ordinamento generale e questo sarebbe il caso dell’eventuale nullità della clausola compromissoria prevista dall’ordinamento sportivo, non per questo se ne può trarre la conclusione che perdano del tutto rilievo le implicazioni dell’ordinamento particolare sportivo. Ne deriva che, anche in ipotesi, di nullità della clausola per il diritto positivo, non per questo se ne dovrebbe di per sé trarre la conseguenza della nullità della stessa clausola per il distinto ed autonomo ordinamento sportivo. In altri termini, la riconosciuta autonomia dell’ordinamento sportivo consentirebbe di ricollegare alla stessa fattispecie effetti diversi nell’ordinamento generale ed in quello sportivo. Ma vi è di più. L’ordinamento statale, proprio per la tradizionale autonomia dell’ordinamento sportivo, con la legge 23 marzo 1981, n. 91, e successive modificazioni, espressamente prevede con riferimento al rapporto di lavoro subordinato sportivo, la validità della clausola compromissoria con la quale le controversie derivanti dal rapporto tra società sportiva e sportivo siano deferite ad un collegio arbitrale. Dunque, la validità della clausola compromissoria non può essere messa in discussione (cfr. comunicato ufficiale 16/cf del 13.3- 16.4.2004 – all. 1) Ovviamente e con molta modestia, mi sia consentito dire che non condivido tale interpretazione della Corte Federale. Se l’ordinamento statale prevede che in materia di controversie nell’ambito dei rapporti di lavoro subordinati, ancorché nella fattispecie sportiva, l’arbitrato irrituale debba e possa essere solo facoltativo e non obbligatorio, ne consegue che la legittima scelta di una delle parti di rifiutare la soluzione arbitrale preferendo il ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria, non può configurare alcuna violazione, legalmente o disciplinarmente rilevante, dell’ordinamento sportivo. Se la Federazione sportiva, la F.I.G.C., in base all’interpretazione dell’art. 27 dello Statuto dettata dalla Corte Federale, dovesse applicare in questi casi la sanzione sportiva prevista dal Codice di DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … giustizia sportiva (art. 11 bis) e cioè la penalizzazione di almeno 3 punti in classifica per le società e/o l’inibizione o squalifica non inferiore a 6 mesi per calciatori, allenatori ecc., si esporrebbe, a mio giudizio, a gravi rischi, anche di natura risarcitoria, in caso di annullamento o di accertamento della illegittimità della sanzione disciplinare sportiva e/o di interpretazione difforme della clausola statutaria di cui all’art. 27. La reazione o meglio il tentativo autoprotezionistico dell’ordinamento sportivo di mantenere al proprio interno, attraverso una nozione allargata di vincolo sportivo, anche la tutela dei diritti soggettivi nascenti dai rapporti di lavoro subordinato sportivo, mi sembra davvero poco comprensibile o condivisibile. Lo stesso ordinamento sportivo, d’altronde, nel proprio codice di giustizia sportiva e nello statuto federale non prevede i collegi arbitrali come propri organi interni di giustizia. Il Collegio Arbitrale decide le controversie con arbitrato irrituale su mandato delle parti e non della Federazione Sportiva. In conclusione, devo aggiungere che l’esperienza del funzionamento del Collegio Arbitrale di Milano (serie A e B) mi è parsa molto soddisfacente ed efficiente, in quanto garantisce tempi di risoluzione delle controversie molto rapidi, soprattutto se raffrontati con quelli dei Tribunali del Lavoro, ed anche una discreta uniformità di giudizio dovuta alla conoscenza “specialistica” degli A.E.C. (calciatori, allenatori e le altre figure professionali) da parte dei componenti i collegi arbitrali. In pochi casi la parte soccombente ha dimostrato di non accettare la definizione della lite da parte del Collegio Arbitrale, e in questi casi, bisogna dirlo, più per fini dilatori che per vero e proprio dissenso dal giudizio arbitrale. L’ordinamento statale (art. 412 quater c.p.c.) consente, in ogni caso, l’impugnazione del lodo avanti il Tribunale del lavoro ove ha sede il Collegio Arbitrale entro il termine fissato, a pena di decadenza, di 30 giorni, dalla notificazione del lodo arbitrale. Tuttavia se avesse ragione la Corte Federale della FIGC nel ritenere che tali controversie rientrano nel vincolo di giustizia sportiva, con conseguente obbligatorietà del Collegio Arbitrale, anche l’eventuale impugnazione del lodo arbitrale irrituale sarebbe sottratta alla cognizione dell’AGO, salva la preventiva autorizzazione (per la quale, forse, non ci sarebbero neppure i tempi tecnici) da parte del Consiglio Federale. Il giudizio di impugnazione del lodo irrituale è solo rescindente ed ha per oggetto la validità (inefficacia, nullità ed annullabilità) del lodo arbitrale per violazione di norme inderogabili di legge o di contratto e/o per vizi del negozio giuridico dovuti ad errore, violenza o dolo, con conseguente rimessione delle parti ad un nuovo arbitrato irrituale. DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … La sentenza in unico grado (cfr. 412, 1° comma, quater c.p.c.) non è appellabile, ma solo ricorribile per Cassazione ex art. 360, n. 1, c.p.c. Così esposti e chiariti i limiti ed i dubbi in merito alla estensione del c.d. vincolo di giustizia sportiva nelle controversie di lavoro subordinato sportivo e la facoltatività dell’arbitrato irrituale previsto dalla legge ma non dalla contrattazione collettiva (A.E.C.), nonostante il diverso e contrario autorevole parere della Corte Federale, potrei considerare concluso il compito a me affidato. Ma la questione ha, a mio avviso, una portata ben più ampia e generale, che non riguarda solo le poche migliaia di sportivi professionisti (in alcuni casi anche economicamente privilegiati), alla quale vorrei solo accennare in conclusione di questa mia relazione. Sappiamo tutti quali siano le difficoltà nella quali si trova oggi, dopo oltre 30 anni dalla entrata in vigore della L. 533 / 1973, il processo del lavoro e sappiamo come i tempi di definizione delle cause (in primo grado, in appello ed in Cassazione) si siano progressivamente dilatati fino ad avvicinarsi a quelli della giustizia civile ordinaria. Sappiamo anche quante siano le cause arretrate pendenti soprattutto nei Tribunali del Centro Sud. Il problema, quindi, della insufficienza della giurisdizione statale a soddisfare le domande di giustizia del lavoro e della previdenza, è certamente reale ed ineludibile La strada di una parziale privatizzazione della giustizia del lavoro con il ricorso agli arbitrati, ancorché previsti da contratti collettivi, mi sembra, tuttavia, molto rischiosa se non delimitata entro limiti e principi solidi ed inderogabili: 1) l’effettiva volontarietà, la genuinità del consenso delle parti, a devolvere la singola controversia alla soluzione arbitrale, ancorché in presenza di una clausola compromissoria generale inserita nei contratti collettivi. 2) La non obbligatorietà e la facoltatività, quindi, del ricorso alla soluzione arbitrale; 3) L’obbligo di decisione da parte degli arbitri della controversia secondo diritto e non secondo equità. 4) L’impugnabilità avanti all’A.G.O. del lodo arbitrale per violazione di norme di legge e di contratti, oltrechè per i vizi procedurali. Questa, secondo me è la strada dalla quale non è possibile deviare. Soluzioni alternative, quali quelle previste nello stralciato disegno di legge 848 bis di riforma del mercato del lavoro, sono solo scorciatoie molto pericolose che rischiano di istituire un circuito privatistico di giustizia di serie B, sia per il riferimento all’equità, sia per una evidente questione di costi. DOTTRINA Il vincolo di giustizia arbitrale … Il recentissimo D. Lgs del 22.12.2005, in corso di pubblicazione, ha modificato radicalmente la disciplina dell’arbitrato dettando nuove regole anche per quanto riguarda le controversie di lavoro e/o i rapporti di cui all’art. 409 c.p.c.. In attesa di conoscere più approfonditamente e dettagliatamente la nuova disciplina dell’arbitrato è necessario sospendere ogni giudizio. L’esperienza (positiva) del Collegio arbitrale sportivo, quella dei collegi contrattualmente previsti per la giustificatezza dei licenziamenti dei dirigenti, quelli previsti per il pubblico impiego, si dovranno in futuro e sempre più confrontare, sul piano della qualità, della efficacia ed efficienza del servizio erogato, con quello offerto dalla giustizia statale. Dalla alternatività tra giustizia statale ed arbitrato i lavoratori ed i datori di lavoro avranno, caso per caso, la possibilità di scegliere la soluzione privatistica, anziché quella pubblica e generale per la definizione delle loro controversie. La scelta sarà orientata dai costi, dai tempi e dalle capacità professionali degli arbitri. Certamente, però, il tentativo di rendere obbligatoria, attraverso l’arbitrato secondo equità, il ricorso ad una giustizia privatistica, necessariamente di serie B, non mi pare rispettoso dei precetti costituzionali di cui agli art. 3, 24 e 102 Cost. (*) Avvocato del Foro di Milano DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… PROFILI GENERALI DELLA TUTELA PREVIDENZIALE DEGLI SPORTIVI di Leonardo Carbone (*) SOMMARIO: 1. - Caratteri generali della previdenza degli sportivi. 2. - La gestione delle risorse finanziarie. 3. - Le norme in materia di tutela previdenziale degli sportivi. 4.- Ambito di operatività della tutela Enpals per gli sportivi. 5. - Gli sportivi non professionisti 6. - I calciatori dilettanti. 7.- La nuova disciplina dell’attività sportiva dilettantistica (riflessi previdenziali, fiscali, lavoristici). 8. - Rapporti di lavoro sportivo e rapporto previdenziale. 9. - La disciplina del d.lgs. 30.4.1997, n.166. 10. - Limitazioni nella tutela previdenziale ed assistenziale degli sportivi. 11. - La tutela previdenziale dei calciatori stranieri (comunitari ed extracomunitari). 12. - Circolarità dei calciatori e riflessi previdenziali. 13. - Ricongiunzione e totalizzazione: nozione e differenze. 14. - La”nuova” totalizzazione del decreto legislativo n. 42 del 2 febbraio 2006. DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… 1. – Caratteri generali della previdenza degli sportivi . All’inizio degli anni settanta l’allargamento della “platea” dei soggetti rientranti nell’ambito di una tutela previdenziale ai fini pensionistici, si era ormai completata a seguito della estensione della tutela previdenziale anche ai lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti); mancava una tutela previdenziale per gli sportivi. Tale lacuna nei confronti degli sportivi non era, peraltro, più giustificabile, atteso che l’ordinamento aveva ormai realizzato un sistema di sicurezza sociale “esteso” a tutti i lavoratori subordinati ed autonomi ( e non solo), al fine di assicurare a tutti i cittadini in condizione di bisogno i mezzi necessari per vivere. L’inerzia del legislatore nell’assicurare agli sportivi una tutela previdenziale terminò con la legge n.366 del 1973, che ha esteso anche agli sportivi (sia pure limitatamente ad alcune “categorie” di sportivi) la tutela previdenziale. La tutela previdenziale degli sportivi professionisti trova indubbio fondamento nell’art.38, comma 2, Cost., il quale nell’attribuire ai lavoratori il diritto a che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria, non opera alcuna distinzione tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi: la garanzia costituzionale non può certo incontrare limiti in dipendenza della natura subordinata o autonoma del rapporto di lavoro, l'esigenza di tutela degli sportivi professionisti avendo, a tal proposito, lo stesso incontestabile fondamento materiale, etico, sociale e giuridico che ha la corrispondente tutela degli altri lavoratori. In ordine alla previdenza degli sportivi, occorre evidenziare come gli sportivi siano passati da una fase di disinteresse nei confronti della propria previdenza, alla considerazione via via più matura ed attenta dell’importanza di questo aspetto della propria condizione professionale. Gli sportivi hanno sempre difeso rigorosamente la peculiarità della loro “professione”, e quindi la peculiarità e “specificità” della loro previdenza, in ragione anche della carriera professionale più breve di tali lavoratori rispetto agli altri. Ed infatti, la tutela previdenziale per gli sportivi (professionisti) e per alcune “figure” professionali operanti nel mondo dello sport – come verrà meglio illustrato in seguito – ha trovato una prima tutela (anche se limitata) nella legge 14 giungo 1973 n.366, con la quale è stata attribuita DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… all’Enpals la tutela di quella particolare forma di spettacolo che è lo sport; in tal modo l’attività sportiva è stata inquadrata, ai fini previdenziali, nel settore dello spettacolo1. L’Enpals, è un ente di diritto pubblico, posto sotto la vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il regime previdenziale dell’Enpals è un regime previdenziale sostitutivo ( e non esonerativo) dell’assicurazione generale obbligatoria, ed opera in alternativa a quest’ultimo , che ha una competenza generale residuale. In generale il presupposto della costituzione del rapporto giuridico previdenziale, inteso nel senso di rapporto intercorrente tra gli enti previdenziali e i soggetti protetti ed avente come contenuto il diritto di questi ultimi alle prestazioni previdenziali, è in linea generale, lo svolgimento di fatto di una attività lavorativa, intesa sia come lavoro subordinato che come lavoro autonomo e professionale (l’attività lavorativa è configurata, quindi, come presupposto necessario del rapporto previdenziale). Anche con riferimento al regime previdenziale degli sportivi, ciò che assume giuridico rilievo all’effetto della costituzione del rapporto assicurativo previdenziale, è l’effettiva prestazione di attività sportiva (oltre che ad altre particolari condizioni, come riportate nei successivi paragrafi). Verificatesi le condizioni previste dalla legge (esercizio attività sportiva e condizioni “particolari”), il rapporto giuridico previdenziale sorge automaticamente: l’assicurazione sociale si instaura ope legis, senza bisogno di una specifica manifestazione di volontà da parte dei soggetti interessati. Eventuali comportamenti richiesti dalla legge allo sportivo, o alla società sportiva (come ad esempio, domanda iscrizione all’ente, comunicazioni reddituali, versamenti contributi), rientrano nella sfera di manifestazione di conoscenza o di ricognizione o di conferma, senza peraltro avere valore costitutivo. La costituzione del rapporto giuridico previdenziale, che ha il suo fondamento nell’interesse pubblico e la sua base positiva nell’art.38 cost., attraverso la quale si realizza la garanzia costituzionale, non può dunque derivare né dipendere dalla volontà dei soggetti protetti o dall’ente previdenziale. Dal fatto che il rapporto giuridico previdenziale degli sportivi si instaura ope legis deriva l’ulteriore conseguenza della sua autonomia dall’attività sportiva; in altri termini, sebbene il primo sorga sul presupposto della seconda, lo stesso rimane, però, giuridicamente indipendente rispetto a questa ultima. Il rapporto previdenziale è, quindi, distinto ed autonomo rispetto al rapporto di 1 Cfr. M.T. Spadafora, Diritto del lavoro sportivo, Torino, 2004, 173; A. Guadagnino, La previdenza dei calciatori, in Informazione previdenziale, 1997, 661; L.Carbone, La previdenza degli sportivi professionisti, Foro it., 2002, I, 118; L. Siniscalchi, Profili previdenziali del lavoro sportivo: la legge 23 marzo 1981 n.91, in Dir. lav., 1988, I, 289; M. Cinelli, Sull’inquadramento a fini previdenziali del lavoro sportivo, Giust. Civ., 1995, I, 1385 DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… lavoro, inteso (nella specie) nel senso di attività sportiva, perché i due rapporti sono tra loro distinti per diversità degli elementi essenziali, nonché in quanto l’attività sportiva costituisce il presupposto di fatto, e soltanto questo, della costituzione automatica del rapporto previdenziale. Il reperimento dei mezzi necessari alla realizzazione della previdenza degli sportivi avviene mediante l’imposizione dell’obbligo del pagamento dei contributi previdenziali sia alle società sportive che agli stessi sportivi (sia pure in misura ridotta)2. L’obbligo del pagamento dei contributi previdenziali all’ente previdenziale di categoria (Enpals) sorge immediatamente al verificarsi delle condizioni soggettive ed oggettive previste dalla legge. Sono inifluenti sulla insorgenza dell’obbligazione contributiva (da calcolarsi in misura percentuale sul compenso corrisposto allo sportivo) sia la domanda di iscrizione all’ente da parte della società sportiva che eventuali comportamenti imposti dalla legge ai soggetti protetti. In ordine agli eventi, al verificarsi dei quali l’ente previdenziale (Enpals) interviene, la “posizione” degli sportivi non si differenzia da quella degli altri lavoratori. Infatti, i rischi sociali, in ordine ai quali la legge ricollega la tutela previdenziale, sono l’età (biologica o lavorativa), l’invalidità, l’inabilità, la morte. 2. – La gestione delle risorse finanziarie. La previdenza in generale può essere gestita secondo due principiali sistemi: a “capitalizzazione” o a “ripartizione”. Con il sistema a capitalizzazione si ha l’accantonamento dei contributi versati in fondi di riserva ed il pagamento delle prestazioni con i frutti derivanti dall’accantonamento; la contribuzione è prelevata oggi in vista della erogazione delle pensioni, e, quindi, dei bisogni di domani. Tale sistema ha il grave inconveniente di entrare in crisi in periodi di accentuata svalutazione monetaria. Con il sistema a ripartizione, invece, si ha l’utilizzazione dei contributi riscossi in ciascun periodo per l’erogazione delle prestazioni dovute in tale periodo; l’onere delle prestazioni da corrispondere in un dato periodo viene ripartito fra tutti gli iscritti alla gestione previdenziale. In tale sistema la contribuzione è prelevata oggi per sopperire all’erogazione delle pensioni e quindi ai bisogni di oggi. 2 A. Guadagnino, Gli obblighi contributivi delle società di calcio e la tutela previdenziale dei calciatori, Padova, 1998. DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… La previdenza degli sportivi ha adottato il sistema finanziario a ripartizione. Sul punto occorre evidenziare che l’eventuale adozione del sistema c.d. contributivo non andrebbe ad influire sul sistema a ripartizione, atteso che il sistema contributivo (di cui alla l.n.335 del 1995) influisce solo sui criteri di calcolo della pensione, ma non sul sistema finanziario a ripartizione. 3. – Le norme in materia di tutela previdenziale degli sportivi. La Cassa nazionale di assistenza per i lavoratori dello spettacolo, istituita con contratto collettivo 28.8.1934, assume la denominazione di “Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo” (Enpals), con l’entrata in vigore del d.lgvo C.P.S. del 16.7.1947, n.708. Con l’emanazione del d.P.R. 31 dicembre 1971 n.1420, la tutela previdenziale del settore è stata ulteriormente perfezionata. Tale decreto ha infatti stabilito condizioni assicurative e contributive di maggior favore per le categorie artistiche e tecniche dei lavoratori dello spettacolo, in ragione della saltuarietà e brevità dell’attività lavorativa, nonché della natura delle retribuzioni o compensi percepiti da tali lavoratori. Il quadro delineato è stato poi ulteriormente arricchito con l’attribuzione all’Enpals della tutela assicurativa di quella particolare forma di spettacolo costituita dallo sport (l.14 giugno 1973, n.366). Detta assicurazione, istituita in un primo tempo per i soli giocatori e allenatori di calcio, è stata successivamente estesa – con la l. 23 marzo 1981 n.91 – a tutti gli sportivi professionisti. Più di recente, in linea con il processo di armonizzazione dei regimi previdenziali sostitutivi intrapreso con la l.23 ottobre 1992 n.421, ed in attuazione dei principi contenuti nell’art.2, commi 22 e 23 , della l.8 agosto 1995 n.335, il legislatore delegato ha provveduto ad armonizzare al regime generale dell’Inps, sia il regime pensionistico dei lavoratori dello spettacolo iscritti all’Enpals (d.lgs. 30 aprile 1997, n.182), sia quello per gli iscritti al Fondo pensioni per gli sportivi professionisti istituito presso l’Enpals (d.lgs. 30 aprile 1997, n.166; l. 27 dicembre 2002, n.289, art.43, comma 1; d.P.R. 24 novembre 2003, n.357, art.9) DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… Le assicurazioni pensionistiche nei confronti degli sportivi professionisti sono gestite dall’Enpals come “Fondo speciale” autonomo, con un proprio bilancio che costituisce allegato al bilancio generale dell’ente medesimo (art.2, l.366/73)3. 4. – Ambito di operatività della tutela Enpals per gli sportivi. Numerosi sono i soggetti che operano nell’ambito dell’ordinamento sportivo4: oltre agli atleti5, altre figure sono “protagoniste” del mondo dello sport, rendendo possibile lo svolgimento 3 Per la gestione ed il controllo di tale Fondo, l’art.5 della l. n.366/73 (ora abrogato - congiuntamente all’art.9 della l.n.91 del 1981 - dall’art.9 del d.P.R. 24 novembre 2003, n.357, per effetto di quanto disposto dall’art.43, comma 1, della l. 27 dicembre 2002, n.289) disponeva che, fermo restando le attribuzioni del Consiglio di Amministrazione e del Comitato esecutivo dell’Enpals, per il Fondo speciale è costituito un Comitato di vigilanza di cui fanno parte, tra l’altro: due rappresentati delle società sportive; due rappresentanti dei giocatori di calcio; un rappresentante degli allenatori di calcio. Lo stesso art.5 prevedeva che la nomina dei suindicati rappresentanti avvenisse su designazione delle rispettive organizzazioni sindacali di categoria a base nazionale. La partecipazione delle categorie interessate al Comitato di Vigilanza è importante, solo ove si consideri che spettano al Comitato di Vigilanza (art.6 l.366/73) : vigilare sulle regolarità della affluenza dei contributi dovuti al Fondo speciale e sulla regolare liquidazione delle prestazioni; fare proposte al Comitato Esecutivo dell’Ente per gli investimenti delle attività del Fondo in base alle direttive di massima stabilite dal Consiglio di Amministrazione; decidere definitivamente, in via amministrativa ed in sostituzione del Comitato Esecutivo dell’Ente, sui ricorsi riguardanti le prestazioni a carico del Fondo; formulare tempestivamente le previsioni sull’andamento del Fondo, proponendo i provvedimenti ritenuti necessari per assicurarne l’equilibrio; dare pareri sulle questioni relative alla applicazione delle norme che regolano l’attività del Fondo, che gli vengono sottoposte dal Ministero del lavoro e dall’Enpals; dare parere sulla misura dei contributi. 4 Cfr., sull’ordinamento sportivo in generale, M.T. Spadafora, Diritto del lavoro sportivo, Giappichelli, Torino, 2004. In particolare a pagina 33 si afferma che “il rapporto di lavoro subordinato dello sportivo professionista è destinatario di una specifica disciplina che – secondo una relazione di species a genus – si innesta in quella generale dettata dalle norme del diritto del lavoro in parte adattandola alle proprie esigenze e in parte discostandosene”. Del resto non si può ignorare che la configurazione dell’attività sportiva come attività lavorativa comporta l’applicazione alla stessa di tutti i principi e norme costituzionali in materia di lavoro: il lavoro subordinato professionistico trova la sua specifica disciplina nella legge n.91 del 1981, nonché, laddove non incompatibili o non espressamente escluse, in tutte le altre norme dettate per il lavoro subordinato in generale. Cfr. M. De Cristofaro, Legge 23 marzo 1981 n.91. Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti, in Nuove leggi civ. comm., 1982, 580. 5 Lo status di atleta si acquista nel momento in cui chi pratica uno sport, entra a far parte dell’ordinamento sportivo medinate l’iscrizione presso la federazione dello sport praticato (c.d. cartellinamento); con il tesseramento presso la federazione l’atleta acquista il relativo status, e cioè diventa titolare di una serie di diritti ed obblighi nei confronti degli altri atleti, dell’associazione sportiva, della federazione di appartenenza, ed in generale nei confronti di tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo. Sulla natura giuridica del tesseramento degli atleti come atto amministrativo, Cass., sez. un., 9 maggio 1986 n.3091, in Riv. dir. sport., 1986, 192;Cons. Stato 30 settembre 1995 n.1050, Foro it., 1996, III, 275; G. Vidiri, Il caso Maradona: la giustizia sportiva e quella ordinaria a confronto, in Foro it., 1991, III, 337; G. Vidiri, Le federazioni sportive nazionali tra vecchia e nuova disciplina, in Foro it., 2000, 1479. DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… dell’evento sportivo (es., giudici, arbitri6, ufficiali di gara). Non tutti i soggetti che “concorrono” allo svolgimento dell’evento sportivo, sono, però soggetti rientranti nell’ambito di operatività dell’Enpals. Con l’art.1 della legge 14.6.1973 n.366, l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall’Enpals per i lavoratori dello spettacolo, è stata estesa ai giocatori di calcio vincolati da contratto7 con società sportive affiliate alla FIGC (Federazione Italiana Gioco Calcio), e che svolgono la loro attività in campionati di serie A,B,C, oppure, in caso di diversa riorganizzazione dei campionati, in quelli corrispondenti. La stessa assicurazione, in base all’art.1, comma 2, della l.366/73 è estesa agli allenatori di calcio vincolati con società sportive affiliate alla FIGC e che svolgono professionalmente la loro attività in campionati di divisione nazionale ed agli allenatori federali che operano direttamente alle dipendenze della FIGC. L’assicurazione invalidità, vecchiaia e superstiti è stata estesa, poi, ad opera del combinato disposto degli art.2 e 9 della l. 23.3.1981 n.91, agli sportivi professionisti (così titola l’art.2 della l.91/81), legge che definisce sportivi professionisti “gli atleti8, gli allenatori9, i direttori tecnicosportivi10 ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo onerosa con carattere di 6 Gli arbitri svolgono la loro attività gratuitamente salvo il rimborso spese ed eventuale indennità. Gli arbitri non sono pubblici ufficiali in ragione della rilevanza strettamente privatistica dei conflitti che sono chiamati a conporre. In dottrina, M.Sanino, Diritto sportivo, Padova, 2002, pag.61. 7 Cfr. Cass. 8 giugno 1995 n.6439, Foro it., Rep.1998, voce Sport, n.58, in cui si afferma che il rapporto contrattuale intercorso tra professionista sportivo (nella specie, direttore tecnico) e la società destinataria delle prestazioni – ove manchi un contratto tipo redatto d’intesa tra la competente federazione sportiva nazionale e i rappresentanti delle categorie interessate, come previsto dalla disciplina in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti – integra i requisiti di un rapporto di lavoro subordinato e non di un lavoro subordinato (di tipo) sportivo; Trib. Napoli 27 ottobre 1994, Foro it., Rep. 1995, voce Sport, n.55. 8 L’atleta è lo sportivo che scambia prestazioni agonistiche con retribuzione, cioè colui che, nell’ambito di una pratica sportiva agonistica trae il proprio sostentamento dall’attività sportiva ; in tal senso, la Figc definisce professionista solo il giocatore che pratica l’attività sportiva come lavoro primario. 9 Le normative federali indicano sia gli allenatori , che i preparatori atletici, con la qualifica di tecnici, vale a dire coloro ai quali sono affidati compiti e funzioni di tipo tecnico sportivo. In particolare l’allenatore deve provvedere alla istruzione e allenamento degli atleti, mentre il preparatore atletico è abilitato alla preparazione fisico-atletica degli atleti. Gli allenatori, in particolare, sono quei soggetti che in base alle norme della federazione, svolgono compiti di selezione, allenamento ed istruzione degli atleti, mentre i preparatori atletici provvedono alla cura della formazione atletica dello sportivo. 10 Per il regolamento del settore tecnico della Figc i direttori tecnici sono abilitati alla conduzione tecnica di squadre di ogni tipo e categoria e compete loro collaborare agli indirizzi tecnici di tutte le squadre della società per la quale sono tesserati e di partecipare alla loro attuazione, d’intesa con i tecnici responsabili di ciascuna squadra. Infatti il regolamento della Figc redatto nella riunione del consiglio federale dell’8.6.1991 così definisce il direttore sportivo: “E’ direttore sportivo, indipendentemente dalla denominazione, la persona fisica che svolge, per conto delle società sportive professionistiche, attività concernenti l’assetto organizzativo della società, ivi compresa espressamente la gestione dei rapporti anche contrattuali fra società e calciatori o tecnici e la conduzione di trattative con altre società sportive, aventi ad oggetto il trasferimento dei calciatori e/o la stipulazione delle cessioni dei contratti secondo le norme dettate dalla Figc”. Il Direttore sportivo, quindi, è al pari degli allenatori e dei giocatori, uno sportivo professionista, come tale soggetto alla specifica disciplina dell’ordinamento di settore. DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI, e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica” 11 . Ne consegue che restano fuori dall’ambito di operatività della legge in questione, le attività sportive non regolamentate dal CONI e tra queste anche quelle per le quali le federazioni non abbiano provveduto a tracciare il discrimine tra dilettantismo e professionismo 5. – Gli sportivi non professionisti . Gli sportivi non professionisti, e comunque gli sportivi che sono fuori dall’ambito di operatività degli artt. 2 e 9 della l.23.3.1981, n.91 (ad esempio, gli sportivi che esercitano l’attività sportiva nell’ambito di una disciplina non regolamentata dal CONI), non rientrano nell’ambito di tutela previdenziale erogata dall’Enpals . Gli sportivi non professionisti, infatti, non possono rientrare né nella gestione separata prevista dall’art.9 l.n.91 del 1981 per la tutela pensionistica degli sportivi professionisti, né nella tutela pensionistica generale erogata dall’Enpals per i lavoratori dello spettacolo, attesa la elencazione tassativa delle categorie di lavoratori soggetti alla iscrizione obbligatoria all’Enpals ai sensi dell’art.3 del d.lgs. C.P.S. 16.7.1947, n.708. Né gli sportivi non professionisti in generale, possono farsi rientrare nella categoria di soggetti previsti dall’art.3 del citato d.lgs.CPS n.708 del 1947, quali gli addetti agli impianti sportivi e gli impiegati amministrativi e tecnici dipendenti dagli enti ed imprese esercenti spettacolo, stante la loro estraneità dai compiti svolti da quest’ultima categoria. Nel nostro ordinamento previdenziale manca una norma specifica che disciplina gli aspetti previdenziali della prestazione dello sportivo non professionista; di conseguenza, in caso di Diversa è la posizione per i c.d. agenti dei calciatori per i quali il Consiglio Nazionale Forense, nel mese di ottobre 2005 (Italia oggi del 6.10.2005) ha stabilito la incompatibilità con l’iscrizione all’albo professionale forense dell’agente del calciatore iscritto nell’albo degli agenti dei calciatori; e ciò in quanto l’attività del procuratore (o agente del calciatore) ha natura commerciale e dunque è incompatibile con l’esercizio della professione forense. L’avvocato, comunque, può svolgere l’attività professionale forense nell’interesse dei calciatori osservando l’ordinamento professionale. 11 Ad oggi le Federazioni che hanno istituito al proprio interno il settore professionistico, sono le seguenti: - Federazione ciclistica italiana; - Federazione italiana gioco calcio; - Federazione italiana golf; - Federazione motociclistica italiana; - Federazione italiana pallacanestro; - Federazione pugilistica italiana. DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, occorre fare riferimento alla tutela previdenziale residuale spettante all’Inps: lo sportivo professionista è assicurato presso l’Enpals mentre l’impiegato amministrativo della società sportiva è assicurato presso l’Inps. E ciò in quanto, il problema della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro degli sportivi non professionisti esclusi dall’ambito di operatività della l.n.91 del 1981, va risolto ricorrendo alle norme generali dell’ordinamento giuridico. Nel caso di sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la società sportiva e lo sportivo non professionista, il regime previdenziale è quello dell’Inps, atteso che quest’ultimo ha una competenza generale residuale. Per la tutela pensionistica dei calciatori dilettanti, si rinvia al successivo paragrafo . 6. – I calciatori dilettanti. Ai fini della tutela previdenziale (ma non solo) assume particolare importanza la distinzione tra atleti professionisti ed atleti dilettanti12. Per gli atleti professionisti lo svolgimento dell’attività sportiva costituisce oggetto di un rapporto di lavoro; gli atleti dilettanti, invece, svolgono l’attività sportiva per divertimento o svago, senza alcun fine di lucro ed obbligo contrattuale, e senza retribuzione, anche se per “prassi” costante gli atleti dilettanti ricevono rimborsi spese e premi in genere, che garantiscono un trattamento economico “vicino” a quello dell’atleta professionista13 (atleta professionista, invece, è colui che fa dello sport la sua principale attività al fine di conseguire un guadagno). I calciatori che svolgono attività sportiva per società associate nella Lega Nazionale Dilettanti (LND), sono esclusi da ogni tutela pensionistica14 (si rinvia, comunque, per la tutela previdenziale dei calciatori dilettanti al successivo paragrafo ) . Ed infatti, sia l’art.9 della l.n.91 del 1981 (riferito solo agli sportivi professionisti), che l’art.1 della l.n.366 del 1973 (che riporta una elencazione tassativa delle categorie di lavoratori soggetti alla iscrizione all’Enpals), escludono i calciatori dilettanti (ed i calciatori non professionisti) dalla tutela previdenziale ivi prevista. 12 J.Tognon, Il rapporto di lavoro sportivo: professionisti e falsi dilettanti, in www.Giuslavoristi.it. Sulla posizione della percezione da parte dell’atleta dilettante di compensi monetari, Trib. Milano 3 aprile 1989, in Foro it., 1989, I, 2951. La distinzione tra atleti professionisti e dilettanti è rimessa alle rispettive federazioni. 14 Sul tema, A. Guadagnino, Il trattamento previdenziale dei calciatori “non professionisti”, in Inf. Previdenziale, 2003, 418. 13 DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… Del resto, il rapporto che lega il calciatore dilettante ad una società associata alla Lega Nazionale Dilettanti non può, in linea di principio essere qualificato rapporto di lavoro15 . Mancando un rapporto di lavoro (subordinato o autonomo) non può “sorgere” alcun rapporto giuridico previdenziale. E le stesse norme della F.I.G.C. (artt. 29 e 94 ter delle Norme Organizzative Interne : N.O.I.F.) escludono per i calciatori “non professionisti”, e quindi anche per i dilettanti, ogni forma di lavoro, sia essa autonomo che subordinato (è escluso ogni forma di retribuzione per l’esercizio della pratica sportiva a livello dilettantistico, salvo alcuni rimborsi spese – peraltro espressamente limitati nell’importo – che non possono qualificarsi retribuzione)16. Né le norme federali depongono nel senso di poter ricondurre nell’alveo del lavoro il rapporto tra un calciatore dilettante (o non professionista) e la società di appartenenza17. I compensi e i gettoni di presenza corrisposti da una federazione nazionale sportiva dilettantistica in favore di collaboratori coordinati e continuativi, non beneficiano del regime fiscale agevolato previsto dall’art.69, comma 2, del Tuir, e sono pertanto assoggettati a tassazione ordinaria. L’Agenzia delle Entrate, infatti, con risoluzione 3 giugno 2005, n.7418 ha affermato che i compensi in questione non sono inquadrabili nell’art.67, comma 1, lett.m) del Tuir, e quindi non 15 Cfr. E. Indraccolo, La natura del rapporto tra calciatore e società sportiva militante in campionati nazionali dilettantistici, in Corti Marchigiane, 2005, 3, 743; G. Martinelli, Lavoro autonomo e subordinato nell’attività sportiva dilettantistica, in Riv. dir.sportivo, 1993, 17; G. Giugni, La qualificazione di atleta professionista, in Riv. dir. sport, 1986, 166; G.Lener, Una legge per lo sport?, Foro it., 1981, V, 298; P. Vidiri, La disciplina del lavoro sportivo autonomo e subordinato, in Giust. Civ., 1993, II, 209; M. De Cristofaro, Legge 23 marzo 1981 n.91, in Nuove leggi civili commentate, 1982, 575; A. Mercuri, Sport, in Novissimo Dig. It., Appendice, Torino, 1987, 512. 16 Spadafora, Diritto del lavoro sportivo, Giappichelli, Torino, 2004, pag.62 ritiene che ai rapporti di lavoro degli sportivi dilettanti “è legittimo ritenere che, se pure non trovi applicazione la legge n.81/91, troveranno applicazione le norme di diritto comune e, ricorrendo i requisiti di cui all’art.2094 c.c., la normativa dettata in linea generale per ogni rapporto di lavoro subordinato, ivi comprese le norme interne e comunitarie, che non consentono alcuna discriminazione tra lavoratori in ragione della loro nazionalità”. Sul tema, Trib. Pescara 18 ottobre 2001, in Foro it., 2002, I, 897, afferma che la “distinzione tra professionismo e dilettantismo nella prestazione sportiva si mostra, pertanto, priva di ogni rilievo, non comprendendosi per quale via potrebbe mai legittimarsi una discriminazione del dilettante”. 17 Naturalmente, nulla vieta al calciatore di agire in giudizio per l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata. In tal caso, è necessario, però, fornire la prova della sussistenza di tutte le caratteristiche del lavoro subordinato. Nel caso di accertamento – giudiziale - di un rapporto di lavoro subordinato tra calciatore dilettante ( o calciatore non professionista) e società, l’ente previdenziale presso cui va assicurato è l’Inps e non l’Enpals. Per la natura di rapporto di lavoro subordinato tra un calciatore ed una società di calcio dilettantistica anche in caso di violazione delle norme federali, , in giurisprudenza, Trib. Ancona 4.7.2001, in Corti Marchigiane, 2005, 739; Trib. Grosseto 11.9.2003 n.518 (in cui si afferma la sussistenza di un contratto di lavoro sportivo retribuito, vietato dalle norme federali, ma non per questo nullo nell’ordinamento giuridico statale). In dottrina, G. Napoletano, La nuova disciplina dell’organizzazione sportiva italiana: prime considerazioni sul decreto legislativo 23.7.1999 n.242, di riordino del CONI, in Riv. dir. sportivo, 1999, 622; A. De Silvestri, Potestà genitoriale e tesseramento minorile, in Riv. dir. sportivo, 1991, 309. 18 In Guida al lavoro n.25 del 17 giugno 2005, pag.80 ed in Dir. e Pratica Lav., 2005, 26, 1464. Sul tema, B. Massara, Federazioni sportive dilettantistiche: tassazione compensi co.co.co., in Guida al Lavoro 2005, n.25 del 17 giugno 2005, pag.80. DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… sono soggetti al regime tributario agevolato (ma alla tassazione ordinaria), per le seguenti motivazioni: 1. – non sono riconducibili ai compensi per prestazione rese nell’esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica (previsti dal primo periodo dell’art.67), in quanto non finalizzati alla concreta realizzazione di manifestazioni sportive dilettantistiche; 2. – non sono riconducibili ai compensi per co.co.co. aventi natura amministrativa-gestionale rese in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche (previsti dal secondo periodo dell’art.67), in quanto la federazione committente, non rientra nelle categorie giuridiche delle società e associazioni sportive dilettantistiche. 7. – La nuova disciplina dell’attività sportiva dilettantistica (riflessi previdenziali, fiscali, lavoristici). Il settore sportivo dilettantistico con l. 27.12.2002 n. 289, come modificato dall’art.6 del d.ll. 30.6.2005, conv. in legge con modificazioni, dalla l. 17.8.2005 n.168,ha “ricevuto” nuove regole che interessano gli aspetti previdenziali, fiscale e lavoristico19. Per gli aspetti previdenziali,l’art.51 della l 289/2002 ha esteso agli sportivi dilettanti tesserati in qualità di atleti, dirigenti e tecnici alle Federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associative e agli enti di promozione sportiva, l’assicurazione obbligatoria per i casi di infortuni avvenuti in occasione e a causa dello svolgimento delle attività sportive, dai quali sia derivata la morte o una inabilità permanente. L’art.4, comma 205, della l.350/2003 ha stabilito che con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (entro un anno dall’entrata in vigore della legge) sono stabiliti le modalità tecniche per l’iscrizione all’assicurazione obbligatoria presso l’ente pubblico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1.4.1978 n.250, nonché i termini, la natura, l’entità delle prestazioni ed i relativi premi assicurativi. L’art.6, comma 4, della l.17.8.2005 n.168 (conversione in legge del d.l. n.115 del 2005) , che ha sostituito il comma 2 bis dell’art.51 della l.27.12.2002 n.289, ha statuito nuove modalità, stabilendo che con decreto ministeriale, dopo avere sentito le federazioni sportive dilettantistiche e gli enti di promozione sportiva, da emanare a decorrere dal 1.8.2005 ed entro il 31.12.2006, sono stabilite le nuove modalità tecniche per l’iscrizione all’assicurazione obbligatoria degli sportivi dilettanti, nonché la natura,l’entità delle prestazioni e i relativi premi assicurativi 19 F. Paltrinieri, Nuove disposizioni per l’attività sportiva dilettantistica, in Dir. e pratica Lav., 2003, 23, 1508. DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… (l’obbligo assicurativo antinfortunistico per gli sportivi dilettanti tesserati in qualità di atleti, dirigenti e tecnici alle Federazioni sportive nazionali, viene quindi sospeso dal 1 luglio 2005 al 31 dicembre 2006). A decorrere dall’entrata in vigore della l.n.168/2005, sono abrogate le disposizioni in materia di assicurazione obbligatoria degli sportivi, di cui al decreto del Ministro per i beni e le attività culturali 17.12.2004 (in GU. n.97 del 28.4.2005). Sempre con riferimento agli aspetti previdenziali, l’art.90, comma 3, della l.n.289/2002 ricomprende i redditi provenienti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale, di natura non professionale, resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche, tra i redditi “diversi” di cui all’art.81, comma 1, lettera m) del Tuir. Pertanto la nuova configurazione di tali redditi come non rientranti tra i redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente, preclude la possibilità di imporre i contributi previdenziali della gestione separata Inps alle società e associazioni sportive dilettantistiche per i rapporti di collaborazione di carattere amministrativo gestionale20. L’Inail ha chiarito21 che a seguito dell’esclusione ad opera dell’art.90, comma 3, l.n.289/2002, dal 1 gennaio 2003, dai redditi di collaborazione coordinata e continuativa, dei compensi erogati ai lavoratori che intrattengono con società ed associazioni sportive dilettantistiche “rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale, anche per questi lavoratori non sono più dovuti i premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Ne consegue che i collaboratori coordinati e continuativi che ricevono indennità per attività amministrativo-gestionale esercitate per conto di associazioni o di società sportive dilettantistiche (quali ad esempio, le attività di segreteria o di contabilità svolte con l’ausilio di personal computer), non sono più da assicurare contro gli infortuni sul lavoro. In ordine alle “modalità” di svolgimento dell’attività sportiva dilettantistica, il comma 17 dell’art.90 l.289/2002, prevede che le società e associazioni sportive dilettantistiche devono indicare 20 Circ. Inps n.42 del 26.2.2003. Con tale circolare l’Inps precisa come in precedenza il legislatore aveva classificato “redditi diversi”, ad esempio, i compensi erogati per l’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche, dal Coni, dalle federazioni sportive nazionali, dagli enti di promozione sportiva (art.37 l.342/2000). 21 Circ. Inail 19.3.2003 in Dir. e Pratica Lav., 2003, 14, 912.. Con delibera del Consiglio di indirizzo e vigilanza del 9.6.2003 n.4 (in Dir. e pratica lav., 2003, n.25) si sofferma sulla materia, affermando come l’esclusione dalla tutela assicurativa dei lavoratori parasubordinati in questione si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza e di tutela di cui agli artt. 3 e 38 Cost. nonché con i presupposti dell’assicurazione sociale gestitata dall’Inail. E ciò in quanto la ricorrenza della tutela assicurativa, non dovrebbe essere rimessa alla identificazione della natura del reddito percepito dai soggetti, dal momento che i destinatari di tale tutela son identificati esclusivamente dal TU n.1124/65 e successive modificazioni ed integrazioni. Inoltre, qualora l’attività di carattere amministrativo gestionale svolta nell’ambito di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa fosse prestata in favore di committenti diversi dalle associazioni sportive dilettantistiche, la stessa sarebbe soggetta all’obblig assicurativo. DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… nella denominazione sociale la finalità sportiva e la ragione o la denominazione sociale dilettantistica, e possono assumere una delle seguenti forme : a) associazione sportiva priva di personalità giuridica disciplinata dagli articoli 36 e seguenti del codice civile; b) associazione sportiva con personalità giuridica di diritto privato ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10.2.2000 n.361; c) società sportiva di capitali costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le finalità di lucro. E’ previsto (comma 18 art.90 l.289/2002) che con uno o più regolamenti, emanati ai sensi dell’art.17, comma 2, l.n.400/1988, nel rispetto delle disposizioni dell’ordinamento generale e dell’ordinamento sportivo, sono individuati : - i contenuti dello statuto e dell’atto costitutivo delle società o delle associazioni sportive dilettantistiche; - le modalità di approvazione dello statuto, di riconoscimento ai fini sportivi e di affiliazione ad una o più Federazioni sportive nazionali del Coni o alle discipline sportive associate o a uno degli enti di promozione sportiva riconosciuti dal Coni, anche su base regionale; - i provvedimenti da adottare in caso di irregolare funzionamento o di gravi irregolarità di gestione o di gravi infrazioni all’ordinamento sportivo. E’ stata istituita (comma 20) presso il Coni il registro delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche distinto nelle seguenti tre sezioni: associazioni sportive dilettantistiche senza personalità giuridica; associazione sportiva con personalità giuridica; società sportive dilettantistiche costituite nella forma di società di capitali. L’uso degli impianti sportivi in esercizio da parte degli enti locali territoriali è aperto a tutti i cittadini e deve essere garantito, sulla base di criteri obiettivi, a tutte le società e associazioni sportive (commi 24-25); le palestre, le aree di gioco e gli impianti sportivi scolastici, compatibilmente con le esigenze dell’attività didattica e delle attività sportive della scuola, devono essere posti a disposizione di società e associazioni sportive dilettantistiche aventi sede nel medesimo comune in cui ha sede l’istituto scolastico o in comuni confinanti. Per quanto riguarda il fisco, il comma 1 dell’art.90 l.289/2002 prevede che le disposizioni della l.398/1991 e le altre disposizioni riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche, si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… lucro. Gli atti costitutivi e di trasformazione delle società e associazioni sportive dilettantistiche, nonché delle Federazioni sportive e degli enti di promozione sportiva riconosciuti dal Coni direttamente connessi allo svolgimento dell’attività sportiva, sono soggetti all’imposta di registro in misura fissa (comma 5, art.90 cit.). E’ previsto (comma 8 art.90) altresì, che il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000,00 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario. I dipendenti pubblici possono (comma 23, art.90 cit.) prestare la propria attività, nell’ambito delle società e associazioni sportive dilettantistiche, fuori dall’orario di lavoro, purchè a titolo gratuito e fatti salvi gli obblighi di servizio, previa comunicazione all’amministrazione di appartenenza; ai medesimi soggetti vengono riconosciute esclusivamente le indennità ed i rimborsi di cui all’art.81, comma 1, lett.m) del dPR n.917/86. Viene estesa, poi, come già evidenziato, l’applicazione dell’art.81, comma 1, lettera m), cit. ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale resi all’associazione, purchè non abbiano natura libero-professionale. Sale inoltre a 7.500,00 euro (dai 10 milioni precedenti) la fascia reddituale esonerata dalla tassazione corrisposta dall’associazione ai collaboratori22. Per quanto riguarda le società dilettantistiche, l’art.7 della l.27.7.2004, n.186, che ha convertito in legge il d.l. n.136/2004, ha specificato che le agevolazioni fiscali per le società e associazioni sportive sono previste soltanto se riconosciute dal CONI. In pratica, la disciplina dell’art.90 della l.n.289 del 2002 è applicabile alle società dilettantistiche, soltanto se le società sportive abbiano ottenuto il riconoscimento del Coni, quale garante dell’unicità dell’ordinamento sportivo nazionale23 22 Sul trattamento fiscale dei compensi erogati a sportivi dilettanti ed ai soggetti che svolgono collaborazioni coordinate e continuative di carattere amministrativo-gestionale nei confronti delle associazioni o società sportive dilettantistiche, Gi.B., Compensi erogati da associazioni sportive dilettantistiche e 770, in Guida al lavoro, 2004, 35, del 3 settembre 2004, pag. 33. 23 Cfr., A.Succi, Sport dilettante, bonus non per tutti, in Italia oggi del 30.7.2004. DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… 8. – Rapporto di lavoro sportivo e rapporto previdenziale. Per la costituzione del singolo rapporto di lavoro è richiesto, a pena di nullità, la stipula di un contratto24 in forma scritta da depositare (onere cui può provvedere anche direttamente il lavoratore) presso la Federazione sportiva nazionale per l’approvazione. Il controllo delle federazioni sportive è limitato alla sola regolarità formale del contratto ed alla sua corrispondenza al modello concordato con i rappresentanti delle due parti contraenti; l’approvazione da parte della Federazione del contratto costituisce una condicio iuris che condiziona il perfezionamento della fattispecie contrattuale e, quindi, la produzione degli effetti voluti dalle parti, sicchè in sua mancanza è negata qualsiasi efficacia al vincolo contrattuale25. L’art.4 della l.n.91 del 1981 sottrae il contratto di lavoro sportivo alla disciplina generale del contratto a termine, stabilendo che le parti possono apporre al rapporto di lavoro sportivo un termine non superiore a cinque anni dalla data di inizio del rapporto. Eventuali termini superiori sono da ritenersi nulli e vengono sostituiti di diritto dal termine massimo. Occorre evidenziare che la legge sul lavoro sportivo stabilisce che possono stipulare contratti con atleti professionisti solo le società sportive costituite nella forma di società per azione o di società a responsabilità limitata (art.10 l.n.81/91), senza ricorrere alla normativa sul collocamento (l’art.4 della l.n.81/91 prevede che il rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso si costituisce mediante assunzione diretta dello sportivo professionista)26. La legge sul lavoro sportivo (art.4, comma 8, l.n.91/81) esclude i rapporti di lavoro con gli sportivi professionisti dal campo di applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti di cui alla l.n.604/66 ed art.18 l.n.300/70, con possibilità per le parti di recedere liberamente dal contratto con il solo limite del preavviso, salvo il recesso immediato per giusta causa. Ne consegue che nei rapporti di lavoro a tempo determinato, le parti possono liberamente recedere dal contratto con il 24 Ai sensi dell’art.5 della l.n.91/81 le parti possono apporre al rapporto di lavoro sportivo un termine non superiore a cinque anni dalla data di inizio del rapporto (con la possibilità di successivi contratti a termine senza le limitazioni stabilite dal d.lgs. n.368/2001), con possibilità di cessione del contratto ai sensi dell’art.1406 e segg. cod. civ.. 25 Conf. Cass. 12 ottobre 1999, n.11462, Foro it., Rep.2001, voce Sport, n.42, ed in Riv. Dir. Sport, 1999, 530, con nota di Vidiri. 26 Per quanto riguarda l’applicabilità della normativa sul collocamento obbligatorio alle società sportive professioniste che intrattengono con gli atleti contratti di lavoro subordinato, disciplinati in toto dalla legge n.91 del 1981, per la parte in cui gli stessi debbono essere computati nella base di calcolo per la determinazione della quota di riserva, in senso dubitativo, cfr. EUFRANIO MASSI, Atleti professionisti e collocamento obbligatorio: computo nella quota di riserva, in Diritto e Pratica Lavoro 2002, 39, 2556. Sui criteri distintivi del lavoro subordinato rispetto a quello autonomo nell’ambito del lavoro sportivo, Cass. 18 giungo 1998 n.6114, in Foro it., Rep.1998, voce Lavoro (rapporto) n. 568; Cass. 20 giungo 1997 n.5520, in Riv. it. Dir. lav., 1997, II, 701. DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… solo limite del preavviso, salvo il recesso immediato per giusta causa. Nei contratti di lavoro a tempo indeterminato, invece, trova applicazione l’art.2119 cod. civ., in base al quale le parti possono recedere unilateralmente dal rapporto prima del termine esclusivamente in presenza di una giusta causa. In ordine alla tipologia del rapporto di lavoro tra sportivi professionisti e società sportive, occorre evidenziare come la prestazione di lavoro a titolo oneroso dell’atleta costituisce oggetto di un contratto di lavoro subordinato. Tuttavia, va ritenuta la sussistenza di un contratto di lavoro autonomo, in presenza di alcune particolari condizioni (art.3 l.n.91 del 1981), quali : - attività svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo; - atleta contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione o allenamento; - prestazione pur continuativa ma non superiore a otto ore settimanali oppure a cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno. Ove non ricorrano le suesposte condizioni, al rapporto di lavoro con l’atleta professionista deve essere riconosciuta natura subordinata. La norma di cui al comma precedente, però, trova applicazione limitatamente agli “atleti”, e non anche nei confronti degli altri appartenenti alla categoria di prestatori di lavoro in questione (allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici), per i quali il giudizio sulla natura subordinata o meno del rapporto va formulato sulla base delle modalità concrete di svolgimento del rapporto 27 (tali soggetti, però, anche nel caso di rapporto di lavoro autonomo, devono essere assicurati presso l’Enpals nel Fondo speciale sportivi professionisti). Occorre, comunque, ribadire che l’obbligo assicurativo dei datori di lavoro, ai sensi dell’art.9 della l.23 marzo 1981 n.91, sussiste solo rispetto agli sportivi professionisti lavoratori subordinati e non anche rispetto agli stessi sportivi aventi un rapporto di lavoro autonomo, ancorché caratterizzato da onerosità e continuità della prestazione, per i quali l’assicurazione obbligatoria riveste i caratteri di specialità e grava esclusivamente sugli stessi lavoratori28. Occorre, però, 27 Conf. Cass. 28 dicembre 1996, n.11540, Foro it., Rep.1996, voce Sport, n.35. Conf. Cass. 25 luglio 2001, n.10159, in Foro it., 2002, I, 118, con nota di L.Carbone (fattispecie relativa a maestri della federazione italiana tennis). 28 DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… evidenziare, che nel caso di rapporto autonomo la società è tenuta al versamento dei contributi i quali, però, sono a totale carico dello sportivo professionista assicurato (art.9 l.n.91/1981). La costituzione del rapporto giuridico previdenziale, attraverso la quale si manifesta e si realizza la garanzia di cui all’art.38 Cost., non deriva né dipende dalla volontà dei soggetti protetti o dall’ente pubblico previdenziale. Verificatesi le condizioni previste dalla legge il rapporto previdenziale sorge automaticamente: l’assicurazione sociale si instaura ope legis, senza bisogno di una specifica manifestazione di volontà da parte dei soggetti interessati. In tale sistema di insorgenza automatica ipso iure, è di tutta evidenza che eventuali comportamenti richiesti dalla legge alla società sportiva ( o allo sportivo professionista) rientrano nella sfera di manifestazione di conoscenza o di ricognizione o di conferma, senza peraltro avere valore costitutivo; da ciò ne consegue che la domanda di iscrizione all'Enpals è irrilevante ai fini dell’insorgenza del rapporto giuridico previdenziale. 9. - La disciplina del d.lgs. 30.4.1997, n.166. La previdenza degli sportivi professionisti non è “sfuggita” alla riforma in atto del sistema previdenziale italiano.29 Ed infatti, in attuazione della delega conferita dall’art.2, commi 22 e 23, lettera a), della l.8.8.1995 n.335, con d.lgs. 30.4.1997 n. 166 sono state dettate nuove norme in materia di regime pensionistico per gli iscritti al Fondo pensioni per gli sportivi professionisti istituito presso l’Enpals. Con il d.lgs. 30.4.1997, n.166, anche per gli sportivi professionisti iscritti all’Enpals, è stato “ridefinito” il loro sistema previdenziale, allo scopo di garantire (agli iscritti al Fondo pensioni per gli sportivi professionisti istituito presso l’Enpals) la tutela prevista dall’art.38 Cost.., in quanto, come già in precedenza evidenziato, la tutela previdenziale degli sportivi professionisti trova 29 Sulla previdenza dei calciatori, L.CARBONE, La previdenza degli sportivi professionisti, Foro it., 2002, I, 119; A.GUADAGNINO, Gli obblighi contributivi delle società di calcio e la tutela previdenziale dei calciatori, APS Editore, 1998; L.SINISCALCHI, Profili previdenziali del lavoro sportivo: la legge 23 marzo 1981 n.91, in Il Dir.lav., 1988, I, 289. In tema di diritto sportivo, Il rapporto di lavoro sportivo, Maggioli editore, Rimini, 1989, atti del Convegno promosso dal Centro Nazionale Studi di Diritto del Lavoro D.Napoletano, sezione Marche, svoltosi ad Ascoli Piceno il 19.12.1987; MENNEA, Il procuratore sportivo di calcio e le figure giuridiche ad essa assimilabile, in Impresa, n.2/1995, pag.283; MENNEA, Diritto sportivo, con elementi di diritto civile e tributario, Mediamix edizioni scientifiche, Milano, 1993; DURANTI, L’attività sportiva come prestazione di lavoro, in Riv.it.dir.lav., 1983, I, 706; PICCARDO, Commento all’art.2 della legge 23 marzo 1981 n.91, in Le nuove leggi civile commentate, 1982, 562; BIANCHI-D’URSO-VIDIRI, La nuova disciplina del lavoro sportivo, in Riv. diritto sportivo, 1982, 8; MAZZOTTA, Una legge per lo sport? Il lavoro sportivo, Foro it., 1981, V, 302; DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… indubbio fondamento nell’art.38, comma 2, Cost., il quale nell’attribuire ai lavoratori il diritto a che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria, non opera alcuna distinzione tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi: la garanzia costituzionale non può certo incontrare limiti in dipendenza della natura subordinata o autonoma del rapporto di lavoro, l'esigenza di tutela degli sportivi professionisti avendo, a tal proposito, lo stesso incontestabile fondamento materiale, etico, sociale e giuridico che ha la corrispondente tutela degli altri lavoratori. Con il citato d.lgs. n.166/97 sono stati definiti – sia pure con applicazione graduale - nuovi criteri di calcolo dei trattamenti pensionistici attraverso la commisurazione dei trattamenti alla contribuzione, le condizioni di accesso alle prestazioni con affermazione del principio di flessibilità, l’armonizzazione dell’ordinamento pensionistico degli sportivi professionisti a quello dell’assicurazione generale obbligatoria nel rispetto, però, della pluralità e peculiarità degli organismi assicurativi30. Infatti il d.lgs. 30.4.1997, n.166 ha esteso agli sportivi professionisti tutta una serie di norme dettate in materia di assicurazione generale obbligatoria. In particolare con tale decreto è stato disposto che: - a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto di attuazione, l’aliquota contributiva (a carico dei lavoratori e delle società) è stabilita nella misura in vigore nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti (art.1, commi 1 e 2); - agli sportivi professionisti viene esteso lo stesso regime di calcolo della pensione a secondo della anzianità contributiva maturata al 31.12.1995, così come previsto per gli iscritti al regime dell’assicurazione generale obbligatoria. 10. - Limitazioni nella tutela previdenziale ed assistenziale degli sportivi. Permangono per gli sportivi professionisti limitazioni di tutela, che il recente d.lgs. 166/97 non ha eliminato, non essendo “estesi” agli sportivi professionisti quelle forme di protezione che l’ordinamento pone nei confronti di tutti i lavoratori, subordinati o autonomi. 30 A. GUADAGNINO, La previdenza dei calciatori, in Inf. prev., 1997, 661 si pone il dubbio “se tuttora permangono le ragioni che hanno indotto il legislatore del 1973 (ma anche quello del 1981) a dettare per questa categoria di lavoratori un differenziato regime previdenziale: in questa ottica una futura collocazione dei calciatori professionisti all’interno dell’assicurazione generale obbligatoria Ivs potrebbe costituire un’eventualità meno remota che in passato”. DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… Infatti, non si applicano le disposizioni concernenti il trattamento economico di malattia e la tutela economica per le lavoratrici madri (art.1, comma 3, l.366/73)31 nonché la tutela delle prestazioni economiche per la tubercolosi; l’assegno per il nucleo familiare; la tutela della disoccupazione involontaria; per la tutela contro gli infortuni e malattie professionale (si veda, ora, l’art.6 del d.lgs. n.38 del 2000)32; la tutela delle integrazioni salariali. Occorre, comunque, ricordare che, come norma transitoria e finale, l’art.5 del d.lgs. 166/97 prevede che “Per quanto non disciplinato dalla normativa del Fondo, come modificata dal presente decreto, trovano applicazione le disposizioni in vigore nell’assicurazione generale obbligatoria”. 11. – La tutela previdenziale dei calciatori stranieri (comunitari ed extracomunitari). Gli sportivi professionisti appartenenti ad uno Stato membro della CE hanno diritto di circolare liberamente ed esercitare la propria professione nel territorio italiano, instaurando un rapporto di lavoro subordinato secondo le regole ordinarie (art.48 Trattato CEE 25 marzo 1957). Per gli sportivi extracomunitari che intendano svolgere la loro attività presso società italiane, l’ingresso nello Stato è consentito, indipendentemente dal rispetto delle quote annuali di ammissione degli stranieri, previa dichiarazione nominativa di assenso del CONI, su richiesta della società destinataria delle prestazioni sportive (l.n.91 del 1981). La dichiarazione nominativa sostituisce l’autorizzazione al lavoro33. Per gli sportivi professionisti stranieri, sia comunitari che extracomunitari, ai fini del versamento dei contributi previdenziali, si applicano le norme comuni a tutti gli altri lavoratori. La problematica della pensione relativa ai giocatori stranieri che militano in Italia (e versano i contributi previdenziali all’Enpals), invece, va affrontata distinguendo i calciatori extracomunitari da quelli provenienti dalla Comunità Europea 34. A) Calciatori comunitari. 31 Per tale categoria non sono, quindi, dovuti i contributi per le indennità economiche di malattia e maternità: circ. Enpals n.200 del 2 ottobre 1997. 32 L’art.8 della l. 91/81 prevede espressamente che “Le società sportive devono stipulare una polizza assicurativa individuale a favore degli sportivi professionisti contro il rischio della morte e contro gli infortuni, che possono pregiudicare il proseguimento dell’attività sportiva professionistica”. 33 Dichiarazione nominativa, visto di ingresso e permesso di soggiorno, non possono essere rinnovati e, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, non possono essere utilizzati per un diverso rapporto di lavoro. 34 Cfr. MENNEA, La sentenza Bosnam: effetti a lungo termine, cit.. La Corte di Giustizia CE, sez. V, 8 maggio 2003, C-438-00 ( in Guida al Lavoro 2003, n.23 del 6.6.2003, pag.35) ha confermato la libera circolazione degli sportivi professionisti. DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… Gli sportivi professionisti appartenenti ad uno Stato membro della Comunità europea hanno il diritto di circolare liberamente ad esercitare la propria professione nel territorio italiano, instaurando un rapporto di lavoro secondo le regole ordinarie. Per i calciatori provenienti da Federazioni che fanno parte dell’Unione Europea, i contributi versati in Italia, non vengono trasferiti al paese di provenienza del calciatore ma vengono “segnalati” dall’ente che ne fa richiesta per accertare il diritto alla pensione (in caso di richiesta da parte del calciatore). Per il calciatore che ha svolto attività lavorativa in Italia e nei paesi convenzionati o nei paesi dell’Unione Europea, si applica il principio della totalizzazione ai fini pensionistici, con la conseguenza che: - il diritto alla pensione viene accertato sommando tutti i periodi di lavoro svolti dall’interessato nei paesi che hanno stipulato convenzione o nei paesi UE; - l’importo della pensione viene determinato da ogni paese in proporzione soltanto ai contributi versati nel paese stesso secondo il sistema del pro-rata. La totalizzazione ha lo scopo di accertare l’esistenza del diritto alla pensione sommando i periodi contributivi italiani ed esteri, e non comporta il trasferimento di contributi dagli altri paesi ( o verso altri paesi). La totalizzazione è ammessa a condizione che il lavoratore abbia un periodo minimo di contributi nel paese che applica la convenzione. Se non c’è questo periodo minimo, i contributi vengono utilizzati dall’altro Stato. Per i regolamenti CEE questo periodo minimo è di 52 settimane. Per gli accordi bilaterali è stabilito in modo diverso da Stato a Stato. Il calciatore “emigrante” può maturare il diritto alla pensione nazionale (autonoma) senza ricorrere alla totalizzazione dei periodi assicurativi. Quando il diritto alla pensione si raggiunge con la totalizzazione dei contributi versati in Italia e negli altri paesi, il calcolo della pensione italiana viene effettuato “pro-rata”, cioè determinato in proporzione ai soli contributi versati nel Paese che liquida la pensione. Per poter comprendere meglio il sistema di calcolo, ecco un esempio. Un calciatore ha versato in Italia 14 anni di contributi ed in Germania 12 anni. Senza totalizzazione l’interessato non avrebbe diritto alla pensione di vecchiaia italiana in quanto non raggiungerebbe il requisito contributivo minimo. L’Enpals liquida, però, ugualmente la pensione perché nel complesso sono stati versati 26 anni. Ovviamente la pensione sarà calcolata solo sui 14 DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… anni di contributi versati in Italia. La Germania liquiderà la propria pensione sui 12 anni di contribuzione tedesca. B) Calciatori extracomunitari. I calciatori provenienti da Federazioni di paesi “extracomunitari” non convenzionati (ai fini della sicurezza sociale) con lo Stato italiano35, che avessero cessato l’attività calcistica in Italia rientrando nel proprio paese d’origine,prima dell’entrata in vigore (10.9.2002) della legge n.189 del 2002, avevano la facoltà di chiedere all’Enpals, nel caso non avessero maturato presso tale ente il diritto a pensione (20 anni di contribuzione all’Enpals ed una età di 47anni se donna e 52 se uomo), in base all’art.3, comma 13, della legge 8.8.1995 n.335,la restituzione dell’importo dei contributi versati presso l’ente dalla società sportiva durante il periodo in cui avevano militato in Italia (I calciatori italiani tesserati per società svizzere, possono invece chiedere all’ente previdenziale svizzero la restituzione dei contributi versati in Svizzera). Tale articolo, infatti, prevedeva che “I lavoratori extracomunitari che abbiano cessato l’attività lavorativa in Italia e lascino il territorio nazionale, hanno facoltà di richiedere, nei casi in cui la materia non sia regolata da convenzioni internazionali, la liquidazione dei contributi che risultino versati in loro favore presso forme di previdenza obbligatoria maggiorati del cinque per cento annuo”. A partire dalla data di entrata in vigore della legge n.189 del 2002 (10.9.2002), che ha abrogato l’art.3, comma 13, della l.n.335 del 1995, è venuta meno, per i calciatori extracomunitari, la possibilità di chiedere il rimborso della contribuzione da essi versata, contribuzione che rimane acquisita alla gestione previdenziale dell’Enpals. Occorre comunque evidenziare che in caso di “rimpatrio”, il calciatore extracomunitario conserva i diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati e può goderne, indipendentemente dalla vigenza di un accordo di reciprocità, al compimento dell’età fissata dalla legge per il diritto a pensione. 12. - La circolarità dei calciatori e riflessi previdenziali. Nel caso di “circolarità” dei calciatori36, in ordine alla possibilità di conseguire un’unica pensione da parte dei calciatori che siano stati iscritti, nel corso della loro vita lavorativa (non solo 35 Paesi dell’Unione europea ai quali si applicano i regolamenti in materia di sicurezza sociale: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia, Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia, Angheria. Stati appartenenti all’Accordo sullo spazio economico europeo: Islanda, Liechtenstein, Norvegia. Stati ai quali si applica la Convenzione Europea del 14.12.10972: Turcia. 36 Sulle vicende circolatorie delle prestazioni lavorative e la ricongiunzione delle posizioni assicurative, cfr. L.CARBONE, La tutela previdenziale dei liberi professionisti, Torino, UTET, 1998, 182. DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… come calciatore), a diverse gestioni pensionistiche (ad esempio, all’Enpals come calciatore; all’Inpdap come dipendente pubblico; ad una Cassa di previdenza categoriale per liberi professionisti), la legge 7.2.1979 n.29 e la legge 5.3.1990 n.45 consentono di ottenere la ricongiunzione della posizione assicurativa presso un unico ente, per percepire un trattamento pensionistico rapportato all'intero periodo lavorativo. Occorre comunque evidenziare, che in presenza di contribuzione versata sia all’Inps (nella gestione dei lavoratori dipendenti) che all’Enpals, è possibile, ai sensi dell’art.16 dPR n.1420/71, presentare domanda di pensione all’uno o all’altro degli enti predetti. Tale domanda dà diritto alla liquidazione di una sola prestazione previa totalizzazione dei contributi versati o accreditati presso gli enti medesimi, cui fa seguito il trasferimento di tali contributi all’assicurazione che eroga la prestazione. Il criterio secondo il quale viene stabilita la competenza ad erogare la prestazione è quello della prevalenza contributiva; pertanto sarà l’ente presso cui sono stati accreditati il maggior numero di contributi utili per il diritto alla pensione ad erogare la pensione richiesta. La prevalenza contributiva viene determinata dal rapporto dei requisiti pensionistici Inps ed Enpals. In tutti i casi la competenza di cui sopra è attribuita all’Enpals qualora l’assicurato possa far valere presso tale ente i requisiti previsti per il diritto alla prestazione richiesta con la sola contribuzione Enpals. La competenza è assegnata, comunque, all’Enpals per le particolari disposizioni vigenti per le pensioni agli sportivi professionisti. Quando la competenza a decidere la domanda di pensione è attribuita all’Enpals, l’Inps trasferisce i contributi versati all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, vecchiaia e superstiti, con la maggiorazione degli interessi. Viceversa qualora la competenza a decidere la domanda di pensione, è attribuita all’Inps, l’Enpals trasferisce i contributi versati ed accreditati , con la maggiorazione degli interessi composti. La legge n.45/90 e la l.n.29 del 1979, costituiscono un passo avanti notevole per la tutela dei calciatori, in un momento in cui è in corso una fase di mobilità strutturale: gli ultimi anni si sono caratterizzati per frequenti fenomeni di mobilità sia all’interno del mondo del lavoro subordinato sia tra forme di lavoro dipendente ed attività libero professionale. La normativa citata elimina anche gran parte dei motivi di disagio nei casi di interruzione dell’iscrizione del calciatore all’Enpals prima del raggiungimento dell’età pensionabile ( ed il calciatore, con una “vita professionale” DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… media di 8/10 anni, difficilmente raggiunge all’Enpals il requisito dei 20 anni di contributi necessari per il diritto alla pensione). Con riferimento alla circolarità degli sportivi professionisti ( e non solo) occorre evidenziare la possibilità di totalizzazione dei periodi assicurativi. Infatti, ai sensi della l.23.12.2000 n.388, così come modificata dalla l.n.243/2004, al lavoratore che non abbia maturato il diritto a pensione in alcuna delle forme pensionistiche a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive della medesima, nonché delle forme pensionistiche gestite dagli enti di cui al d.lgs. n.509 del 1994, è data facoltà di utilizzare cumulandoli per il perfezionamento dei requisiti per il conseguimento dei trattamenti pensionistici, i periodi assicurativi non coincidenti posseduti presso le diverse gestioni, qualora tali periodi separatamente considerati, non soddisfino i requisiti minimi stabiliti dagli ordinamenti delle singole gestioni (si rinvia, comunque, al paragrafo successivo, sugli effetti della totalizzazione e della ricongiunzione). 13. – Ricongiunzione e totalizzazione: nozione e differenze. Ai fini del perfezionamento del diritto alle prestazioni previdenziali (ed in particolare della pensione), la vigente normativa previdenziale prevede un periodo contributivo minimo, che varia a secondo delle prestazioni. Tale periodo contributivo si può raggiungere anche sommando i periodi di iscrizione ( e contribuzione) presso più enti previdenziali; infatti, è possibile cumulare tutti i periodi contributivi “esistenti” presso diverse gestioni previdenziali al fine di ottenere un unico trattamento pensionistico rapportato all’intera vita lavorativa. Per “cumulare” e “riunire” tutti gli spezzoni contributivi delle diverse gestioni previdenziali, sono previsti due strumenti37: 37 Sul tema della ricongiunzione e totalizzazione dei periodi assicurativi, di recente: G. Ferraro, La flessibilità previdenziale nell’evoluzione del lavoro e delle professioni, Il diritto del lavoro, 2002, I, 365; L.Foglia, Il principio comunitario della “totalizzazione dei periodi assicurativi e previdenziali” nella legge n.388/2000: verso una maggiore flessibilità previdenziale, id., 2001, I, 221; E. Ghera, Sicurezza sociale e libera circolazione dei lavoratori: principi fondamentali e soggetti, id., 1999,I, 121; P.Sandulli, Tecnica della totalizzazione e prestazioni di sicurezza sociale nelle prospettive di revisione del Regolamento n.1048/71, ibid., 131; L.Cuzzocrea-A.Fiorenza, Normativa internazionale di sicurezza sociale vincolante l’Italia, con particolare riferimento alla totalizzazione dei periodi assicurativi ai fini della concessione delle prestazioni previdenziali, Prev. sociale, 1990, 925; A. Fiorenza, I diritti previdenziali dei lavoratori migranti nella giurisprudenza della corte di giustizia delle comunità europee, Rivista di studi europei, 1970, 1, 60; A. Sgroi, Tutela della posizione previdenziale del lavoratore migrante e ambito di applicazione dell’istituto della totalizzazione, Riv. giur.lav. e prev. soc., 2003, II, 627; id., Trasferimento o cumulo dei contributi: modelli legislativi e scrutini di costituzionalità, Giur. It., 2002, 1,I, 2031; L. Fascina, La parziale applicazione del principio della totalizzazione dei periodi contributivi nell’ordinamento previdenziale italiano, Giur. Cost., 2002, 1584; P.Bozzao, Totalizzazione dei periodi contributivi e adeguatezza della prestazione, Giur. It., 1999, 1,I, 2233; M.Siena, DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… a) la ricongiunzione dei periodi assicurativi di cui alla l.n.29 del 1979 e n.45 del 1990; b) la totalizzazione dei periodi assicurativi, di cui al d.m. 7.2.2003, n.57 (ed ora del d.lgs. n.42/2006). La totalizzazione è, con la ricongiunzione, uno degli istituti del nostro ordinamento previdenziale, che sono diretti ad agevolare l’utilizzazione integrale delle contribuzioni versate presso enti (o gestioni) previdenziali diversi del nostro paese, oppure – nei casi regolati da fonti dell’Unione europea (o internazionale) – anche di altri paesi – in dipendenza dello svolgimento di lavori diversi oppure, rispettivamente, della loro prestazione nel territorio di paesi, parimenti diversi, da parte dello stesso lavoratore – ai fini del diritto e della misura del trattamento pensionistico. A differenza della ricongiunzione – che consente la concentrazione di tutte le posizioni contributive presso l’ente ( o la gestione), prevedibilmente destinato (o destinata) ad erogare la pensione in base al proprio regime, all’uopo trasferendovi tutte le contribuzioni – la totalizzazione si limita, tuttavia, a consentire soltanto il cumulo – in virtù di una sorta di finzione giuridica (fictio iuris) – di tutte le contribuzioni versate in favore dello stesso lavoratore, ai fini del diritto e della misura della pensione, appunto, mentre restano, presso ciascun ente o gestione, le contribuzioni – che vi risultano versate – ed a loro carico – in base al criterio del pro rata – soltanto una quota di pensione, in proporzione dell’anzianità assicurativa e contributiva, dal lavoratore maturata presso la gestione medesima 38. Il principio della totalizzazione ha trovato applicazione nel nostro ordinamento soltanto nei casi per i quali risulta espressamente previsto39. La totalizzazione, quindi, non è principio generale del nostro ordinamento; rappresenta, al contrario, una eccezione rispetto alla regola, che impone la utilizzazione dei contributi ai fini delle prestazioni presso le stesse gestioni previdenziali nelle quali sono versati. La totalizzazione rappresenta uno strumento alternativo alla ricongiunzione, ed è incompatibile con la stessa. Ricongiunzione e totalizzazione: il difficile cammino verso la flessibilità previdenziale, Dir. e lavoro Marche, 2002, 331. 38 In termini Cass. 1 dicembre 2004 n.22558, Foro it., Rep. 2004, voce Previdenza sociale, n.1073.. Non è stata a suo tempo esercitata la delega che era stata conferita al Governo dall’art.35, comma 2, lettera c, l.n.153/1969 per attuare il principio della pensione unica, determinandone la misura con la totalizzazione di tutti i periodi coperti da contribuzione obbligatoria, volontaria e figurativa, mediante l’applicazione del principio del pro rata. 39 DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… La ricongiunzione può essere gratuita,quando avviene “d’ufficio”, oppure onerosa, quando avviene a “domanda”40. La ricongiunzione è lo strumento che prevede il trasferimento presso una unica gestione previdenziale delle diverse posizioni contributive, dietro versamento della c.d. riserva matematica. Lo sportivo professionista titolare di pensione di vecchiaia ha diritto di ottenere la ricongiunzione presso l’ente previdenziale categoriale, ai sensi della l.n.45 del 1990, dei periodi di contribuzione accreditata in suo favore presso altre forme obbligatorie di previdenza per i lavoratori dipendenti o autonomi41. Con la ricongiunzione si ha, quindi, il trasferimento della contribuzione presso un unico ente, e la pensione viene liquidata in base al coacervo di tutta la contribuzione acquisita, senza alcuna limitazione per i “tipi” di pensione (quindi, la contribuzione ricongiunta, è utile anche per la pensione di anzianità e invalidità). La pensione spettante dopo il provvedimento di ricongiunzione ai sensi della l.n.45 del 1990, deve essere calcolata sulla base di tutti gli anni ricongiunti anche se, per il pagamento degli oneri di ricongiunzione, la cassa di previdenza ha accordato il beneficio della rateazione, e tale rateazione non è ancora conclusa42: infatti, la ricongiunzione dei periodi assicurativi, ai sensi della l.n.45/90, è operativa in tutta la sua portata già nel momento stesso in cui il richiedente accetta stabilmente, con il pagamento dell’importo corrispondente ad almeno tre rate, il connesso onere economico, senza che possa differenziarsi la situazione di chi paga in unica soluzione e di chi paga ratealmente43. L’onere “sopportato” dal professionista per la ricongiunzione non è deducibile fiscalmente44. La totalizzazione (che è sempre gratuita), invece, non comporta il trasferimento della contribuzione da una gestione all’altra45. La totalizzazione comporta il computo virtuale di tutti i 40 Il Ministero del Tesoro, con circolare n.21 del 28 marzo 1981, ha precisato che se l’ammontare complessivo dei contributi (per capitale e interessi) trasferito da una gestione all’altra, supera l’importo della riserva matematica dovuta e relativa alla ricongiunzione onerosa (l.n.29 del 1979), l’eccedenza rimane in ogni caso acquisita all’amministrazione accentrante; l’eccedenza non va, quindi, rimborsata agli interessati, e non va valutata come contribuzione ai fini pensionistici. 41 Trib. Napoli 20 novembre 1998, Foro it., Rep.2000, voce Avvocato, n.199, ed in Prev. forense, 1999,4,83. 42 Conf. Cass. 13 dicembre 1999, n.13987, Foro it., 2000, I, 1203;; Trib. Milano 16 ottobre 1998, Foro it., 1999, I, 1357. 43 Cass. 14 settembre 2000, n.12142, id.,Rep.2001, voce Previdenza sociale, n.635. 44 Corte cost. 5 marzo 1999, n.61, Foro it., 2000, I, 217. Contra, Comm. Trib.centrale 15 luglio 1996, n.3813, id., Rep.1996, voce Redditi (imposte), n.315 (in cui si afferma che dalla scelta in favore della ricongiunzione, deriva automaticamente e necessariamente l’obbligo il cui adempimento costituisce proprio quella “ottemperanza a disposizioni di legge” che deve caratterizzare il versamento del contributo previdenziale perché esso possa essere interamente deducibile ai fini irpef. 45 Cfr., L. Carbone, “Totalizzazione” (chi l’ha vista?), in Prev. forense, 2000, 2, 62; A. Daniele, La totalizzazione dei periodi contributivi, Inf. Previdenziale, 2001, 672. DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… contributi al solo fine del perfezionamento del diritto alla pensione presso i vari enti (il requisito contributivo per il diritto a pensione, si perfeziona sulla base di tutti i periodi di contribuzione esistenti nelle varie gestioni); la somma o totalizzazione è, quindi, fittizia, in quanto i contributi rimangono nella gestione dove sono stati accreditati, cioè non vengono trasferiti. Ciascun ente, poi, liquiderà, la pensione in base ai propri contributi ed alla propria normativa. La misura della pensione viene commisurata ai contributi versati nelle varie gestioni e determinata in “pro rata temporis”. In ordine alle modalità di liquidazione della pensione di vecchiaia da totalizzazione, le gestioni interessate, ciascuna per la parte di propria competenza, determinano il trattamento proquota secondo le regole del proprio ordinamento, vigente al momento della presentazione della domanda. Per quanto concerne la “giurisdizione” per le questioni in materia di ricongiunzione, sussiste il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, a favore dell’autorità giudiziaria ordinaria relativamente ai provvedimenti con i quali non venga accolta la richiesta di ricongiunzione 46. In materia di “riparto” della giurisdizione relativamente alle controversie sulla “ricongiunzione”, è devoluta alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti la controversia nella quale la ricongiunzione pretesa ha, bensì, per oggetto il trasferimento di contributi versati ad una cassa di previdenza professionale, ma in funzione della loro destinazione alla gestione previdenziale competente ad erogare e liquidare una pensione a carico dello Stato, mentre spetta alla giurisdizione del giudice ordinario, giudice del lavoro, la domanda avente ad oggetto la condanna, ad es. della cassa di previdenza professionale, alla restituzione di contributi eventualmente non trasferibili presso lo Stato, essendo tale controversia fondata su un petitum sostanziale individuabile esclusivamente nel rapporto previdenziale intercorso col primo di detti enti ed assolutamente estraneo al trattamento pensionistico erogabile dal secondo47. Il mancato versamento, entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione della competente gestione, dell’importo delle prime tre rate, in cui la gestione abbia suddiviso l’onere del lavoratore interessato, comporta la rinuncia all’esercizio della facoltà di ricongiunzione prevista dagli artt. 1 e 2 della l.n.29/79 e non già la rinuncia solo al tipo di rateizzazione accordata all’interessato, che potrebbe quindi ottenerne una successiva e diversa48. 46 47 48 Cons. Stato, sez. VI, 19 settembre 1988, n.1043, id., Rep.1989, voce Previdenza sociale, n.961. v. Cass., sez.un., 10 maggio 2001, n.193, id., Rep.2001, voce Pensione, n.13. Cass. 4 febbraio 1988, n.1182, id., Rep.1988, voce cit., n.991. DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… 14. – La”nuova” totalizzazione del decreto legislativo n. 42 del 2 febbraio 2006. L’art.11 del d.l. 30.9.2005, n.203, convertito, con modificazioni, dalla l.2.12.2005, n.248 (“trasfuso” poi nell’art.8 del d.lgs. n.42 del 2006), prevede che ai fini della copertura finanziaria derivanti dall’esercizio del criterio di delega di cui all’art.1, comma 2, lettera o), della l.23.8.2004, n.243, è autorizzata la spesa di 160 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2006. Con tale norma sono stati superati i problemi di copertura finanziaria del provvedimento, favorendo l’approvazione del d.lgs. n.42 del 2.2.2006, di attuazione della delega conferita al Governo dalla l.n.243/2004 in materia di totalizzazione. Con il d.lgs. n. 42 del 2 febbraio 2006 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.39 del 16.2.2006), entrato in vigore dal 3 marzo 2006, (adottato in base all’art.1, comma 1, lett.d) l.n.243/2004), è stata data attuazione a quanto prevede la l.n.243 del 2004 in materia di totalizzazione. La “nuova” disciplina sulla totalizzazione di cui al d.lgs. n.42 del 2.2.2006, si applica a decorrere dal 1 gennaio 200649. In base al d.lgs. n.42/2006, il lavoratore può “totalizzare” i diversi periodi di iscrizione nelle varie gestioni pensionistiche a condizione che : - abbia almeno 20 anni di contribuzione complessivi e 65 anni di età; - abbia 40 anni di contribuzione complessiva a prescindere dagli anni di età; - tutti i periodi da totalizzare abbiano una durata di almeno 6 anni. La totalizzazione, a seguito del d.lgs. n.42/2006 è permessa anche se con il cumulo dei vari anni di contribuzione non viene raggiunto il minimo contributivo in tutte le gestioni interessate alla totalizzazione. In base all’art.7 del citato decreto legislativo, l’art.71 della l.n.388 del 2000, ed il relativo regolamento di attuazione emanato con il decreto ministeriale 7.2.2003 n.57, sono espressamente abrogati (la disciplina abrogata, rimane comunque in vigore per le domande presentate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n.42 del 2.2.2006, se più favorevole). E’ stata razionalizzata la disciplina dell’istituto della totalizzazione, nel rispetto del precetto della Corte costituzionale n.61/1999 ed in linea con i più recenti orientamenti europei; è stato così ridisegnato l’istituto della totalizzazione con caratteristiche di maggiore flessibilità. Ed infatti il 49 Con riferimento alla previgente disciplina ed alle problematiche relative ai liberi professionisti, L. Carbone, “Totalizzazione e ricongiunzione dei periodi assicurativi nella previdenza dei liberi professionisti, in Foro it., 2004, III, 609. DOTTRINA Profili generali della tutela previdenziale… d.lgs. n.42/2006 consente al lavoratore di ottenere un’unica pensione anche se ha svolto attività diverse con iscrizione a più enti pensionistici Sono state, così, abrogate le vigenti disposizioni che prevedono una totalizzazione limitata: infatti, prima del d.lgs. n.42 del 2006, era possibile fare ricorso alla totalizzazione solo per le pensioni di vecchiaia e inabilità, e non anche per la pensione di anzianità, e solo nel caso in cui avendo versato contributi in più gestioni previdenziali, non si raggiungeva un diritto autonomo di pensione in nessuna delle gestioni. Anche dopo la nuova disciplina della totalizzazione, è possibile, comunque, ricongiungere la propria posizione contributiva presso l’ultima gestione di appartenenza ai sensi della l.n.45 del 1990, corrispondendo la riserva matematica dovuta (anziché utilizzare l’istituto della totalizzazione). (*) Avvocato del Foro di Ascoli Piceno DOTTRINA Sfruttamento dei diritti Tv criptati… SFRUTTAMENTO DEI DIRITTI TV CRIPTATI : UN SISTEMA DA RIDEFINIRE. PROBLEMATICHE, CONTRADDIZIONI E SPEREQUAZIONI LEGATE ALL’ ATTUALE SISTEMA DISTRIBUTIVO DEGLI INTROITI di Alessio Rui (*) Nel panorama calcistico italiano ed internazionale, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un crescendo di interesse attorno al dibattito sulla vendita e sullo sfruttamento dei diritti radiotelevisivi. Tale interesse trova la sua motivazione nel fatto che gli addetti ai lavori hanno individuato proprio nella vendita dei summenzionati diritti la fonte di introiti più cospicua e florida al fine di rimpinguare le casse delle società calcistiche e, sequenzialmente, i guadagni di tutti coloro che gravitano attorno al pianeta calcio. Purtroppo, però, nonostante il gran parlare su questo argomento, il concetto di “diritti radiotelevisivi” appare al grande pubblico ancora misconosciuto, soprattutto per ciò che concerne le modalità di vendita ed il sistema di divisione dei proventi che ne derivano. Proprio il grande pubblico, andrebbe, pertanto, meglio erudito sui pericoli e sulle conseguenze di una speculazione eccessiva, anche in virtù dell'avvicinarsi del momento in cui andranno rinegoziati i contratti oggi vigenti. Al fine di chiarire meglio l'ambito della nostra riflessione, chi scrive non può esimersi, prima di addentrarsi nelle considerazioni di natura giuridico-economica, dall'indicare i confini tra le varie tipologie di diritti mediatici legati al campionato di calcio italiano. La prima inevitabile differenza è quella tra i diritti televisivi e radiofonici . Sullo sfruttamento di questi ultimi non incentreremo la nostra attenzione, anche se ancorati ad un'idea romantica del calcio, duole constatare come alcune storiche trasmissioni radiofoniche stiano subendo un'inevitabile svalutazione a causa dell'avvento delle pay tv. In merito allo sfruttamento dei diritti televisivi, sarà bene trattare in maniera differenziata la categoria dei diritti in chiaro da quella dei diritti “criptati”, individuando con quest'ultima terminologia il diritto d'esclusiva ad appannaggio delle cosidette emittenti a pagamento ( emittenti i DOTTRINA Sfruttamento dei diritti Tv criptati… cui programmi possono essere recepiti solo previa stipula di contratti ad hoc da parte dell'utente e visibili solo a mezzo di piattaforme satellitari o digitale terrestre). Per quanto riguarda il concetto di diritti “in chiaro”, trattasi, invece, della possibilità di trasmettere eventi o spezzoni di evento da parte del servizio pubblico televisivo o delle emittenti private siano esse a carattere nazionale (Mediaset, La 7, ecc...) o locale. La nostra analisi si soffermerà prevalentemente sulle modalità di sfruttamento della vendita dei diritti criptati. Tale scelta risulta dovuta alla luce dell'enorme flusso economico che essi smuovono e delle svariate considerazioni di natura giuridica cui si presta il fenomeno che ne consegue. Prima di analizzare l'attuale situazione, sarà doveroso ricostruire una breve storia di quella che è stata la genesi dello sfruttamento dei diritti televisivi criptati in Italia. A tal uopo, l'anno zero andrà senza dubbio individuato nella data del 31 agosto 1993 ( I giornata della stagione 1993-1994), quando, per la prima volta, una partita del massimo campionato di calcio venne trasmessa in diretta da un'emittente a pagamento. La partita in questione fu Lazio-Foggia e l'importanza che tuttora riveste quale spartiacque tra il vecchio ed il nuovo modo di gestire i diritti Tv è assai maggiore rispetto allo spettacolo tecnico dato, nell'occasione, dalle squadre in campo. L'emittente che potè fregiarsi di diffondere l'evento, allora denominata TELE+, offrì, per tre anni, ad ogni giornata di campionato, una partita di serie A con orario posticipato ed una di serie B anticipata al sabato. Come si può notare, l'impatto della Pay Tv risultò da subito forte, inducendo gli organi preposti a modificare gli orari canonici degli eventi calcistici, sino ad allora ritenuti “sacrali.” Alla base dell'offerta di TELE+ vi era un accordo con la Lega Calcio che le aveva, previa delega delle società appartenenti, ceduto i diritti e che ne avrebbe diviso i proventi in via eguale tra le società di serie A e di serie B. Come anticipato, tale sistema durò per tre anni, sino a quando, al termine della stagione 1995-1996, seguendo l'esempio di quanto accadeva in altri campionati nazionali, l'emittente a pagamento acquistò dalla Lega Calcio anche i diritti relativi alle partite pomeridiane (per intendersi quelle giocate di domenica pomeriggio). Si trattava di un ulteriore quanto importante salto in avanti, poiché la Lega permetteva, seppur a suon di quattrini, di dare in diretta le immagini relative a partite che si giocavano in contemporanea tra loro. DOTTRINA Sfruttamento dei diritti Tv criptati… Il sistema di vendita di tali diritti era strutturato in maniera tale da consentire a chiunque ne avesse interesse di vedere tutte le partite di una squadra, (solitamente la squadra del cuore), rimanendo, comunque, in atto la messa in onda di un posticipo serale. Anche in questo caso, la Lega vendette i diritti a TELE+ con il medesimo sistema di ripartizione dei proventi. Rispetto all'accordo del 93, i soldi incassati dalla Lega aumentarono a dismisura e le società poterono così contare su una nuova ed importantissima fonte di introiti, null'importando loro la diminuzione di pubblico negli stadi che, complice la visione in TV, diventava inevitabile. Vi fu un proliferare di esercizi pubblici ove la gente che non poteva contare sull'utenza satellitare domestica si riuniva per seguire le gesta della squadra del cuore, con grave e sequenziale calo di spettatori per i campionati dilettantistici ove erano soliti recarsi gli appassionati impossibilitati a seguire dal vivo le gare di A e B. Contestualmente, vi fu, come da malcostume italiano, un proliferare di schede contraffatte comunemente denominate “pirata” che permettevano la visione delle gare evitando di sottoscrivere gli abbonamenti con la Pay Tv. Così facendo, i costi del servizio rimasero molto più alti rispetto a quanto succedeva all'estero. Chi utilizzava i sistemi illegali, da parte sua, si difendeva sostenendo che lo faceva proprio per aggirare l'esosità di tali costi. Insomma un circolo vizioso da cui si è usciti solo da un paio d'anni con la creazione di sistemi satellitari e digitali non riproducibili illegalmente. Di questo passo si arrivò al termine della stagione 1998-1999, quando due nuovi ed importantissimi elementi si apprestavano a modificare radicalmente il panorama relativo allo sfruttamento dei diritti in Italia In primo luogo vi fu l'esigenza (per motivi di anti-trust) che le piattaforme satellitari risultassero più d'una, al fine di evitare una posizione di monopolio in capo a TELE+. Nacque così STREAM, alla quale vendettero i loro diritti sette società della nostra serie A.. Questa circostanza ci introduce da sola al secondo fatto nuovo: la vendita dei diritti non avvenne più da parte della Lega Calcio ma ogni società veniva lasciata libera di negoziare la trattativa singolarmente per quanto riguarda le partite da giocarsi in casa. A corollario di tali importanti novità si aggiunse la circostanza secondo cui al tifoso veniva concesso di acquistare solo le partite a cui era interessato, senza dover obbligatoriamente sottoscrivere l'abbonamento per un numero plurimo di matchs. DOTTRINA Sfruttamento dei diritti Tv criptati… L'effetto più importante di tale innovazione fu che ogni società potè contare sui proventi direttamente derivanti dal proprio contratto di vendita e non più dalla eguale divisione degli introiti provenienti dalla vendita collettiva. Si sviluppò, così, il concetto di “contrattazione e vendita singola dei diritti” da parte di ogni società. In tal modo aumentò la sperequazione tra i clubs con maggior numero di tifosi e le piccolemedie squadre, costrette, queste ultime, a negoziare la vendita dei diritti relativi alle proprie prestazioni casalinghe su cifre nettamente inferiori. Nonostante qualche cambiamento, primo fra tutti la non comunanza degli orari di inizio delle gare, dovuta vieppiù anche ad impegni per competizioni internazionali, il sistema attualmente in vigore è ancorato tuttora alla negoziazione singola, ad appannaggio di ogni società. Nel frattempo, anche a causa della sproporzione tra i costi sostenuti e gli incassi accumulati, nel 2003, STREAM e TELE+ davano vita ad una fusione da cui nasceva l'attuale SKY. Al fine di non creare una situazione di monopolio in capo a quest'ultima veniva creata, a sua volta, all'inizio della stagione 2002 / 2003, una nuova piattaforma denominata “GIUOCO CALCIO” destinata a scomparire solo dopo pochi mesi, incapace di rispettare le scadenze relative ai pagamenti da corrispondere. Ciò che a noi interessa, prima ancora di addentrarci nelle riflessioni di stampo economico, è capire se un sistema di vendita quale è quello oggi in vigore abbia da considerarsi legittimo. Per far ciò, non possiamo non partire dal concetto di contratto di vendita. L'art.1470 c.c. descrive quest'ultima come il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o di un altro diritto, verso il corrispettivo di un prezzo. Conseguentemente, a prescindere dalla natura dell'oggetto, la vendita sottintende il passaggio del diritto di proprietà. Ad avviso di chi scrive, tale diritto non può che spettare alla Lega Calcio in qualità di creatrice nonché organizzatrice di un evento ( campionato di calcio) del quale le singole partite rivestono il carattere di “sottoevento”, essendo tutte finalizzate al compimento di un torneo che vede la partecipazione di tutte le squadre per lo stesso numero di partite. A contrario, siamo d'accordo sulla negoziazione singola nel caso di partite amichevoli o di eventi non direttamente dipendenti da un ente organizzatore. A suffragio di quanto poc'anzi esposto, ci giunge l'esempio del sistema in vigore negli altri Paesi calcisticamente evoluti (Spagna a parte, sulla quale torneremo nelle more della riflessione), ove la vendita collettiva non viene assolutamente posta in discussione. DOTTRINA Sfruttamento dei diritti Tv criptati… Ci si chiede, allora, perché in Italia viga un sistema diverso. Le risposte potrebbero essere molteplici; in realtà, nella speranza di non apparire faziosi, riteniamo che il motivo principale sia di natura prettamente economica. Inutile negare che la vendita collettiva, con equa ripartizione degli introiti, sia stata osteggiata dai clubs economicamente più forti e, quindi, più influenti. Attualmente, il campionato italiano di serie A vede tre società percepire emolumenti enormemente più alti rispetto alle altre. Ovviamente, stiamo parlando dei clubs con maggior numero di tifosi e con maggior appeal per le emittenti televisive, tanto da indurre queste ultime a ricoprirli di danaro, creando un'enorme sperequazione tra le casse di questi e quelle delle rimanenti società. Insomma, per chiarire gli aspetti della vicenda: alle società che già risultano più forti economicamente viene dato un enorme e formidabile “vantaggio”, garantendo centinaia di milioni di Euro (tramite PAY TV, digitale terrestre e telefonia mobile) in più rispetto agli avversari. A chi, come noi, si permette di evidenziare tale sperequazione, i rappresentanti dei suddetti clubs replicano che la maggior parte dei tifosi appassionati di calcio ha a cuore le gesta della propria squadra ed è la presenza delle squadre con maggior seguito a smuovere i grandi flussi di audience televisivo. Se, come già anticipato, tale argomentazione poco convince da un punto giuridico, men che meno potrà affascinare da un punto di vista etico. Vero è che la maggior parte degli appassionati concentra le proprie simpatie nei confronti delle squadre blasonate, ma altrettanto vero è che la peculiarità del campionato sta nell'affrontare una squadra diversa ad ogni giornata. Insomma: siamo proprio sicuri che se, per ipotesi, Milan e Juventus si affrontassero ogni domenica, la loro sfida non perderebbe in quanto a fascino? Si aggiunga che, da un punto di vista strettamente calcistico, il sistema attualmente in vigore ha prodotto un ulteriore gap tra le grandi e le medio piccole squadre, dilatando, di pari passo alla distanza economica, anche quella tecnica che ne è direttamente connessa. A tali osservazioni, già portate più volte alla ribalta da fonti ben più autorevoli, le maggiori società ribattono con una sorta di “terrorismo psicologico” minacciando, in caso di ritorno alla divisione equa, di staccarsi dalla Lega Calcio e di avviare la procedura per la creazione di un campionato europeo per Clubs sullo stile di quanto avvenuto nel Basket. Chi scrive, e con lui molti altri appassionati ed esperti, non è convinto dell'efficacia di tale “minaccia” per due importanti aspetti. In primo luogo, perchè alla base del fenomeno calcio vi è e vi sarà sempre l'interesse per le vicende del campionato nazionale ed, in seconda battuta, perchè con il sistema attuale, le grandi DOTTRINA Sfruttamento dei diritti Tv criptati… squadre possono contare su una doppia fonte di introiti rappresentata dai diritti relativi al Campionato nazionale e da quelli della Champions League. Ad ogni modo, come già anticipato, in quasi tutti i paesi calcisticamente evoluti il sistema di vendita e ripartizione in vigore da noi non viene nemmeno preso in considerazione. A fare eccezione è solo la Spagna dove, però, al fine di “convincere” le piccole squadre ad accettare la contrattazione singola, è stata fatta loro un'importantissima “concessione” quale quella di istituire il sorteggio arbitrale integrale che ha dato la possibilità a squadre come Deportivo, Valencia, Villareal, Osasuna, Real Sociedad, di occupare con discreta continuità le zone più alte della classifica, interrompendo l'annoso duopolio Barcellona-Real Madrid. Tornando al contesto italiano, coloro i quali auspicano un ritorno alla contrattazione collettiva, da qualche giorno possono contare su un elemento in più, ovvero il recentissimo intervento dell'Antitrust che si è pronunciata a favore dell'antico sistema o di una modifica a quello attuale, tale da calmierare il gap esistente a livello economico, di cui si è dibattuto in precedenza. Non potrà essere taciuto nemmeno l'atteggiamento di scarsa coerenza delle più importanti società del nostro Paese che nel contesto italiano osteggiano un ritorno all'antico sistema ma, contestualmente, sono d'accordo affinchè quel sistema di distribuzione permanga durante la fase a gironi della Champions League. Il perchè di tale “strano”atteggiamento è presto spiegato. Se in Italia i tre clubs più importanti possono spartirsi la maggior parte degli introiti, in Europa vi sono società ( Real Madrid su tutte) con un appeal maggiore delle nostre che permetterebbe loro, qualora si seguisse il sistema in vigore da noi, di ottenere guadagni superiori ai nostri clubs. Sui pericoli connessi all'attuale sistema di ripartizione è intervenuto, durante l'estate del 2004, perfino il Presidente della Repubblica, evidenziando i propri timori per le conseguenze cui potrebbe portare un'eccessiva speculazione da parte delle società più influenti. Nell'occasione, chi di dovere ha preferito non raccogliere l'appello della massima carica istuzionale ma una nuova linfa sulla strada del cambiamento è stata data da nuovi personaggi entrati da poco nel mondo del calcio che, sorpresi dal sistema di “sottili ricatti” e dall'eccesiva influenza dei clubs e, soprattutto, dei dirigenti più importanti, ha portato alla luce il problema, trovando degli importanti alleati soprattutto tra i rappresentanti delle piccole squadre. Così facendo, passando per la creazione di un consorzio, un buon numero di società è riuscito a far fronte comune avverso le speculazioni delle grandi, ottenendo un risultato impensabile fino a poco tempo fa quale DOTTRINA Sfruttamento dei diritti Tv criptati… l'assegnazione al Vicepresidente di Lega (rappresentante di tale consorzio) di una serie di poteri atti a ridimensionare, se non addirittura bloccare, l'esecutività negli atti dell'attuale Presidente. Ora, si attende con curiosità di vedere come verrà gestita questa “patata bollente” al momento di rinegoziare i contratti televisivi ma è un dato di fatto che in Lega Calcio si respiri un'aria nuova. Chi legge potrebbe essere, a questo punto, tentato di chiedersi perchè, a fronte di poche squadre che si spartiscono la parte maggiore degli introiti, gran parte dei rappresentanti in Lega abbia accettato l'attuale sistema. In realtà, all'inizio anche i clubs più piccoli hanno un visto un vantaggio perchè l'entità degli importi a loro spettanti era maggiore di quella che sarebbe stata dividendo quanto ottenuto da una contrattazione collettiva. Alla luce dei fatti, però, l'aumento dei loro proventi si è rilevato infinitesimamente inferiore rispetto a quello toccato ai clubs più blasonati, e il gap che ne è derivato ha reso la vita delle piccole medio squadre ancor più dura, nonostante un aumento degli introiti. (Per intendersi; se sono abituato a ricevere 10 ed, improvvisamente mi viene dato 11 dovrei essere contento ma se il mio antagonista da 10 passa a 30 va da sé che mi era più conveniente il sistema precedente.) Chi scrive ritiene che lo “scontro a muso duro” tra le opposte fazioni non possa produrre nulla di proficuo: allo stesso tempo, però, non sarà semplice accordarsi sul sistema di distribuzione da adottare nel momento in cui dovranno essere rinegoziati i contratti. Qualora fosse davvero impossibile tornare all'antico, ci permettiamo di indicare un paio di strade percorribili: in primo luogo, si potrebbe valutare la possibilità di porre dei limiti sul compenso spettante ad una singola società, rapportato alla somma incassata complessivamente. Per esempio: nessuna società dovrebbe poter contare su una somma superiore del 50% rispetto alla complessità degli introiti. Alternativamente, si potrebbe pensare ad un sistema in cui i proventi derivanti dalla contrattazione singola vadano in parte alla società che li ha negoziati ed in parte a far cassa comune, da dividere egualmente. (ciò che succederebbe se una squadra trattenesse per sé il 50% di quanto percepito e versasse il 50% nelle casse comuni della Lega dove andrebbe ad accomunarsi al 50% delle altre squadre, da dividersi in termini eguali). Queste sono idee che ci permettiamo di suggerire al fine di prevenire un duro scontro tra le opposte fazioni che andrebbe solo a detrimento del calico italiano. Bisognerà, peraltro, tenere presente come le offerte risulteranno economicamente inferiori rispetto a quelle che diedero vita ai DOTTRINA Sfruttamento dei diritti Tv criptati… contratti oggi vigenti e come si siano moltiplicati i mezzi di visione attualmente disponibili, stante l'avvento del digitale terrestre e della telefonia mobile. Insomma, trattasi di un panorama in continua evoluzione, all'interno del quale, presumibilmente, sarà impossibile indicare un unico sistema di sfruttamento da considerarsi valido a prescindere. Sarà necessario valutare, di volta, in volta il momento storico-calcistico-economico per indicare la strada da seguire e studiare dei sistemi di pagamento rateale da parte delle emittenti, in modo tale da fronteggiare la pressione economica senza troppi affanni, considerato come il danaro dalle stesse versato risulti, oggigiorno, la forma di guadagno più ingente su cui contare da parte delle nostre società e come tale da assicurarsi nella maniera più affidabile per i tempi a venire. (*) Avvocato del Foro di Venezia DOTTRINA PARTE SECONDA NOTE A SENTENZA SOMMARIO: GIUSEPPE GLIATTA , La sentenza Simutenkov: una applicazione dell’effetto Bosman agli accordi di partenariato della comunità pag.95 La sentenza Simutenkov SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione) 12 aprile 2005 (*) «Accordo di partenariato Comunità-Russia – Art. 23, n. 1 – Effetto diretto – Condizioni di lavoro – Principio di non discriminazione – Calcio – Limitazione del numero di giocatori professionisti cittadini di Stati terzi che possono essere schierati in una squadra in una competizione nazionale» Nel procedimento C-265/03, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dall’Audiencia Nacional (Spagna) con decisione 9 maggio 2003, pervenuta in cancelleria il 17 giugno 2003, nel procedimento Igor Simutenkov contro Ministerio de Educación y Cultura, Real Federación Española de Fútbol, LA CORTE (Grande Sezione), composta dai sigg. V. Skouris, presidente, P. Jann, C.W.A. Timmermans e A. Rosas, presidenti di sezione, C. Gulmann, A. La Pergola, J.-P. Puissochet, J. Makarczyk, P. Kūris, M. Ilešič (relatore), U. Lõhmus, E. Levits e A. Ó Caoimh, giudici, avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl cancelliere: sig. R. Grass vista la fase scritta del procedimento, viste le osservazioni scritte presentate: – per il sig. Simutenkov, dal sig. Álvarez de la Rosa, abogado, e dalla sig.ra F. Toledo Hontiyuelo, procuradora; – per la Real Federación Española de Fútbol, dai sigg. J. Fraile Quinzaños, abogado, e J. Villasante García, procurador; – per il governo spagnolo, dal sig. E. Braquehais Conesa, in qualità di agente; NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov – per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. F. Hoffmeister e D. Martin, e dalla sig.ra I. Martínez del Peral, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’11 gennaio 2005, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato e di cooperazione che istituisce un partenariato tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Federazione russa, dall’altra, sottoscritto a Corfù il 24 giugno 1994 e approvato a nome delle Comunità con decisione del Consiglio e della Commissione 30 ottobre 1997, 97/800/CECA, CE, Euratom (GU L 327, pag. 1; in prosieguo: l’«accordo di partenariato Comunità-Russia»). 2 Tale domanda è stata presentata nel contesto di una controversia tra il sig. Simutenkov, da un lato, e il Ministerio de Educación y Cultura (Ministero della Pubblica Istruzione e della Cultura) e la Real Federación Española de Fútbol (Federazione spagnola di calcio; in prosieguo: la «RFEF») in ordine ad un regolamento sportivo che limita il numero di giocatori di Stati terzi che possono essere schierati in competizioni nazionali. Contesto normativo 3 L’accordo di partenariato Comunità-Russia è entrato in vigore il 1° dicembre 1997. L’art. 23, n. 1, che figura nel titolo IV dell’accordo stesso, intitolato «Disposizioni riguardanti le attività commerciali e gli investimenti», all’interno del capitolo I, a sua volta intitolato «Condizioni di lavoro», così dispone: «Conformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato membro, la Comunità e i suoi Stati membri evitano che i cittadini russi legalmente impiegati sul territorio di uno Stato membro siano oggetto, rispetto ai loro cittadini, di discriminazioni basate sulla nazionalità per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento». 4 L’art. 27 dell’accordo di partenariato Comunità-Russia recita quanto segue: «Il consiglio di cooperazione formula raccomandazioni per l’applicazione degli articoli 23 e 26». 5 L’art. 48 dell’accordo di partenariato Comunità-Russia, che figura all’interno dello stesso titolo IV, così recita: NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov «Ai fini del presente titolo, nessuno dei suoi elementi vieta alle parti di applicare le rispettive leggi e normative in materia di ingresso e soggiorno, occupazione, condizioni di lavoro e di stabilimento delle persone fisiche e fornitura di servizi, purché non le applichino in modo da vanificare o compromettere i vantaggi risultanti per una delle parti da una disposizione specifica dell’accordo (…)». Controversia nella causa principale e questione pregiudiziale 6 Il sig. Simutenkov è un cittadino russo che, all’epoca dei fatti della controversia nella causa principale, risiedeva in Spagna, ove era in possesso di un permesso di soggiorno e di un permesso di lavoro. Essendo stato assunto come calciatore professionista in forza di un contratto di lavoro concluso con il Club Deportivo Tenerife, era in possesso di una licenza federale come giocatore non comunitario. 7 Nel mese di gennaio del 2001 il sig. Simutenkov ha presentato, con l’intermediazione di tale club, una domanda alla RFEF, affinché questa sostituisse la licenza federale di cui era titolare con una licenza identica a quella di cui dispongono i giocatori comunitari. A sostegno di tale domanda invocava l’accordo di partenariato Comunità-Russia. 8 Con decisione 19 gennaio 2001, la RFEF ha respinto tale domanda in applicazione del suo regolamento generale e dell’accordo concluso il 28 maggio 1999 con la lega nazionale di calcio professionistico (in prosieguo: l’«accordo del 28 maggio 1999»). 9 Ai sensi dell’art. 129 del regolamento generale della RFEF, la licenza di calciatore professionista è un documento rilasciato da tale Federazione che consente la pratica di tale sport come associato ad essa e di essere schierato in partite e competizioni ufficiali come calciatore appartenente a una determinata squadra. 10 L’art. 173 dello stesso regolamento generale così dispone: «Costituisce requisito generale che devono soddisfare i calciatori per iscriversi e ottenere la licenza come professionisti, salvo le deroghe che prevede il presente regolamento, possedere la cittadinanza spagnola o quella di uno degli altri paesi che costituiscono l’Unione europea o lo Spazio economico europeo». 11 L’art. 176, n. 1, del citato regolamento generale prevede quanto segue: «1. Le squadre iscritte a competizioni ufficiali di ambito nazionale e a carattere professionistico possono iscrivere calciatori stranieri non comunitari nel numero che viene stabilito negli accordi conclusi al riguardo tra la RFEF, la lega nazionale di calcio professionistico e l’associazione dei NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov calciatori spagnoli, nei quali viene disciplinato, inoltre, il numero di calciatori di quella categoria che possono giocare contemporaneamente. (...)». 12 Ai sensi dell’accordo del 28 maggio 1999, il numero di giocatori non cittadini degli Stati membri che possono essere contemporaneamente schierati in campo per la prima divisione è limitato a tre per le stagioni 2000/2001 - 2004/2005 e, per quanto riguarda la seconda divisione, a tre per le stagioni 2000/2001 - 2001/2002 e a due per le tre stagioni successive. 13 Ritenendo che la distinzione tracciata da tale regolamentazione tra i cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo (in prosieguo: «SEE») e i cittadini di Stati terzi fosse, in relazione ai giocatori russi, incompatibile con l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia e che limitasse l’esercizio della sua professione, il sig. Simutenkov ha presentato ricorso dinanzi al Juzgado Central de lo Contencioso-Administrativo (Tribunale amministrativo) contro la decisione 19 gennaio 2001, che respingeva la sua domanda di nuova licenza. 14 Poiché tale ricorso è stato respinto con decisione 22 ottobre 2002, il sig. Simutenkov ha presentato appello contro di essa dinanzi all’Audiencia Nacional (Tribunale competente per l’intero territorio in determinati ambiti penali, amministrativi e della legislazione sociale), che ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se l’art. 23 dell’accordo di partenariato [Comunità-Russia] osti a che una federazione sportiva applichi ad un atleta professionista cittadino russo come quello della causa principale, regolarmente impiegato da una società calcistica spagnola, una normativa in forza della quale le società possono utilizzare nelle competizioni in ambito nazionale solo un numero limitato di calciatori provenienti da Stati terzi non appartenenti allo Spazio economico europeo». Sulla questione pregiudiziale 15 Mediante la sua questione, il giudice del rinvio chiede se l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia debba essere interpretato nel senso che osta all’applicazione ad un atleta professionista di cittadinanza russa, regolarmente impiegato da una società con sede in uno Stato membro, di una norma dettata dalla federazione sportiva dello stesso Stato ai sensi della quale le società sono autorizzate a schierare in campo, nelle competizioni organizzate su scala nazionale, solo un numero limitato di giocatori originari di Stati terzi che non sono parti all’accordo SEE. NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov 16 Il sig. Simutenkov e la Commissione delle Comunità europee sostengono che l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia osta ad una norma quale quella contenuta nell’accordo del 28 maggio 1999. 17 La RFEF, al contrario, a sostegno della sua posizione invoca l’espressione «[c]onformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato membro», che figura all’inizio del citato art. 23, n. 1. Da tale riserva deduce che la competenza attribuitale dalla legge di rilasciare le licenze ai calciatori e la regolamentazione sportiva da essa adottata devono applicarsi in via preferenziale rispetto al principio di non discriminazione enunciato dalla stessa disposizione. Sostiene altresì che il rilascio di una licenza e le regole ad esso afferenti rientrano nell’ambito dell’organizzazione delle competizioni e non riguardano le condizioni di lavoro. 18 Il governo spagnolo, dal canto suo, fa proprie le osservazioni della RFEF, sostenendo in particolare che, in virtù della regolamentazione nazionale e della giurisprudenza che la interpreta, la licenza federale non rientra tra le condizioni di lavoro, ma costituisce un’autorizzazione amministrativa che funge da abilitazione per la partecipazione alle competizioni sportive. 19 Al fine di rispondere utilmente alla questione proposta, occorre verificare in primo luogo se l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia possa essere invocato da un privato dinanzi ai giudici di uno Stato membro e, in secondo luogo, in caso di risposta affermativa, determinare la portata del principio di non discriminazione enunciato da quella norma. Sull’effetto diretto dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia 20 Si deve rilevare che, poiché la questione dell’effetto delle disposizioni dell’accordo di partenariato Comunità-Russia nell’ordinamento giuridico delle parti a tale accordo (in prosieguo: le «parti») non è stato da questo disciplinato, spetta alla Corte risolverla, al pari di qualunque altra questione d’interpretazione relativa all’applicazione di accordi nella Comunità (sentenza 23 novembre 1999, causa C-149/96, Portogallo/Consiglio, Racc. pag. I-8395, punto 34). 21 A questo proposito occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, una disposizione di un accordo concluso dalle Comunità con paesi terzi dev’essere considerata direttamente applicabile quando, avuto riguardo alla sua lettera, nonché all’oggetto e alla natura dell’accordo, stabilisce un obbligo chiaro e preciso che non è subordinato, nel suo adempimento o nei suoi effetti, all’intervento di alcun atto ulteriore (sentenze 27 settembre 2001, causa C-63/99, Gloszczuk, Racc. pag. I-6369, punto 30, e 8 maggio 2003, causa C-171/01, Wählergruppe Gemeinsam, Racc. pag. I-4301, punto 54). NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov 22 Dalla lettera dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia risulta che tale disposizione sancisce, in termini chiari, precisi e incondizionati, il divieto per ciascuno Stato membro di assoggettare a trattamento discriminatorio rispetto ai propri cittadini, a causa della loro cittadinanza, i lavoratori russi, per quel che concerne le loro condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento. I lavoratori che beneficiano della detta disposizione sono quelli di cittadinanza russa legalmente impiegati nel territorio di uno Stato membro. 23 Tale principio di parità di trattamento detta un obbligo di risultato preciso e, per sua stessa natura, può esser fatto valere da un amministrato dinanzi all’autorità giudiziaria nazionale, affinché questa disapplichi le disposizioni discriminatorie, senza che risulti necessaria a tal fine l’adozione di misure di applicazione integrative (sentenze 29 gennaio 2002, causa C-162/00, PokrzeptowiczMeyer, Racc. pag. I-1049, punto 22, e Wählergruppe Gemeinsam, cit., punto 58). 24 Quest’interpretazione non è rimessa in discussione dall’espressione «[c]onformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato membro» che figura all’inizio del citato art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia, né dall’art. 48 dello stesso. Infatti, tali disposizioni non possono essere interpretate nel senso che consentono agli Stati membri di limitare discrezionalmente l’applicazione del principio di non discriminazione enunciato al detto art. 23, n. 1, in quanto un’interpretazione del genere condurrebbe ad uno svuotamento di contenuto di tale disposizione, privandola così di ogni effetto utile (sentenze Pokrzeptowicz-Meyer, cit., punti 23 e 24, e 8 maggio 2003, causa C-438/00, Deutscher Handballbund, Racc. pag. I-4135, punto 29). 25 Né l’art. 27 dell’accordo di partenariato Comunità-Russia osta a un effetto diretto dell’art. 23, n. 1, dello stesso. Infatti, il fatto che tale art. 27 preveda che l’applicazione dell’art. 23 sia effettuata sulla base di raccomandazioni del consiglio di cooperazione non subordina l’applicabilità di quest’ultima norma, nella sua esecuzione o nei suoi effetti, all’intervento di un atto ulteriore. Il ruolo che il detto art. 27 attribuisce a quel consiglio consiste nel facilitare il rispetto del divieto di discriminazione, ma non si può considerare che ne limiti l’applicazione immediata (v., a questo proposito, sentenze 31 gennaio 1991, causa C-18/90, Kziber, Racc. pag. I-199, punto 19, e 4 maggio 1999, causa C-262/96, Sürül, Racc. pag. I-2685, punto 66). 26 La constatazione che il principio di non discriminazione enunciato all’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia ha un effetto diretto non è contraddetta, del resto, dall’oggetto e dalla natura di quest’ultimo. 27 Secondo l’art. 1 del detto accordo, questo ha l’obiettivo di istituire un partenariato tra le parti volto a promuovere, in particolare, lo sviluppo di strette relazioni politiche tra le parti, di NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov scambi e di armoniose relazioni economiche tra di loro, della libertà in materia politica ed economica, nonché la realizzazione della progressiva integrazione tra la Federazione russa e una più ampia zona di cooperazione in Europa. 28 Il fatto che l’accordo si limiti in questo modo all’istituzione di un partenariato tra le parti, senza prevedere un’associazione o una futura adesione della Federazione russa alle Comunità, non è tale da impedire l’effetto diretto di alcune delle sue disposizioni. Risulta infatti dalla giurisprudenza della Corte che, quando un accordo istituisce una cooperazione tra le parti, talune disposizioni in esso contenute possono disciplinare, alle condizioni ricordate al punto 21 della presente sentenza, direttamente la situazione giuridica dei privati (v. sentenze Kziber, cit., punto 21; 15 gennaio 1998, causa C-113/97, Babahenini, Racc. pag. I-183, punto 17, e 16 giugno 1998, causa C-162/96, Racke, Racc. pag. I-3655, punti 34-36). 29 Stante quanto sopra, occorre dichiarare che l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia ha un effetto diretto, cosicché i soggetti ai quali esso si applica hanno il diritto di avvalersene dinanzi ai giudici degli Stati membri. Sulla portata del principio di non discriminazione enunciato all’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia 30 La questione proposta dal giudice del rinvio è analoga a quella presentata alla Corte nella causa conclusasi con la citata sentenza Deutscher Handballbund. In tale sentenza la Corte ha dichiarato che l’art. 38, n. 1, primo trattino, dell’accordo europeo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica slovacca, dall’altra, firmato a Lussemburgo il 4 ottobre 1993 ed approvato a nome delle Comunità dalla decisione del Consiglio e della Commissione 19 dicembre 1994, 94/909/CECA, CE, Euratom (GU L 359, pag. 1; in prosieguo: l’«accordo di associazione Comunità-Slovacchia»), doveva essere interpretato nel senso che esso osta all’applicazione ad uno sportivo professionista di cittadinanza slovacca, regolarmente occupato da una società stabilita in uno Stato membro, di una normativa emanata da una federazione sportiva del medesimo Stato secondo cui le società sono autorizzate a far scendere in campo, in occasione delle partite di campionato o di coppa, solo un limitato numero di giocatori originari di paesi terzi che non sono parti dell’accordo SEE. 31 Tale art. 38, n. 1, primo trattino, era del seguente tenore: «Nel rispetto delle condizioni e modalità applicabili in ciascuno Stato membro (…) il trattamento accordato ai lavoratori di nazionalità della Repubblica slovacca legalmente occupati nel territorio di uno Stato membro è esente da qualsiasi discriminazione basata sulla nazionalità, per NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento, rispetto ai cittadini di quello Stato membro». 32 La Corte ha dichiarato, in particolare, che una norma limitante il numero di giocatori professionisti cittadini dello Stato terzo interessato che potevano essere schierati nel campionato nazionale era relativa alle condizioni di lavoro ai sensi dell’art. 38, n. 1, primo trattino, dell’accordo di associazione Comunità-Slovacchia, in quanto aveva un impatto diretto sulla partecipazione agli incontri di campionato di un giocatore professionista slovacco già regolarmente occupato nello Stato membro ospitante (sentenza Deutscher Handballbund, cit., punti 44-46). 33 La Corte ha altresì dichiarato che l’interpretazione accolta a proposito dell’art. 48, n. 2, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 39, n. 2, CE) nella sua sentenza 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc. pag. I-4921), secondo cui il divieto di discriminazione fondato sulla nazionalità si applica a norme emanate da associazioni sportive per stabilire le condizioni alle quali gli sportivi professionisti esercitano un’attività retribuita ed osta a una limitazione, fondata sulla nazionalità, del numero di giocatori che possono essere schierati contemporaneamente in campo, poteva essere trasposta all’art. 38, n. 1, primo trattino, dell’accordo di associazione Comunità-Slovacchia (sentenza Deutscher Handballbund, cit., punti 31-37 e 48-51). 34 Si deve constatare che l’enunciato dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità- Russia è molto simile a quello dell’art. 38, n. 1, primo trattino, dell’accordo di associazione Comunità-Slovacchia. Infatti, la sola differenza significativa nel testo di queste due disposizioni risiede nell’utilizzo dell’espressione «la Comunità e i suoi Stati membri evitano che i cittadini russi (…) siano oggetto (…) di discriminazioni basate sulla nazionalità», da un lato, e «il trattamento accordato ai lavoratori di nazionalità della Repubblica slovacca (…) è esente da qualsiasi discriminazione basata sulla nazionalità», dall’altro. Ora, alla luce della constatazione di cui ai punti 22 e 23 della presente sentenza, secondo cui la lettera dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia esprime, in termini chiari, precisi e incondizionati, il divieto di discriminazione fondato sulla nazionalità, la differenza tra le due versioni poc’anzi descritta non osta alla trasposizione dell’interpretazione accolta dalla Corte nella sentenza Deutscher Handballbund, cit., all’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia. 35 Vero è che, contrariamente all’accordo di associazione Comunità-Slovacchia, l’accordo di partenariato Comunità-Russia non ha l’obiettivo di creare un’associazione al fine della progressiva integrazione dello Stato terzo in questione nelle Comunità europee, ma è volto a realizzare la «progressiva integrazione tra la Russia e una più vasta zona di cooperazione in Europa». NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov 36 Tuttavia, non emerge affatto né dal contesto né dalla finalità del detto accordo di partenariato che questo abbia inteso attribuire al divieto di «discriminazioni basate sulla nazionalità[, rispetto ai loro cittadini,] per quanto riguarda le condizioni di lavoro» un significato diverso da quello risultante dal senso comune di tali termini. Conseguentemente, al pari dell’art. 38, n. 1, primo trattino, dell’accordo di associazione Comunità-Slovacchia, l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia istituisce, a favore dei lavoratori russi legalmente impiegati sul territorio di uno Stato membro, un diritto alla parità di trattamento nelle condizioni di lavoro della stessa portata di quello riconosciuto in termini analoghi ai cittadini degli Stati membri dal Trattato CE, il quale osta a una limitazione fondata sulla nazionalità come quella controversa nella causa principale, come dichiarato dalla Corte nelle analoghe circostanze delle citate sentenze Bosman e Deutscher Handballbund. 37 Peraltro, nelle sentenze Bosman e Deutscher Handballbund la Corte ha dichiarato che una norma come quella di cui alla causa principale è relativa alle condizioni di lavoro (sentenza Deutscher Handballbund, cit., punti 44-46). Ne consegue che è irrilevante il fatto che l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia si applichi solamente per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento e non si estenda, quindi, alle norme relative all’accesso al lavoro. 38 Occorre poi necessariamente constatare che la limitazione fondata sulla nazionalità non riguarda incontri specifici fra rappresentative nazionali, ma si applica a tutti gli incontri ufficiali tra società calcistiche e, quindi, alla parte essenziale dell’attività esercitata dai calciatori professionisti. Come pure dichiarato dalla Corte, una simile limitazione non può essere considerata giustificata da considerazioni sportive (citate sentenze Bosman, punti 128-137, e Deutscher Handballbund, punti 54-56). 39 Inoltre, nelle osservazioni presentate dinanzi alla Corte non si è fatto valere nessun altro argomento idoneo a giustificare obiettivamente la disparità di trattamento tra i giocatori professionisti cittadini di uno Stato membro o di uno Stato parte dell’accordo SEE, da un lato, e i giocatori professionisti di cittadinanza russa, dall’altro. 40 Infine, come dichiarato al punto 24 della presente sentenza, l’espressione «[c]onformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato membro», che figura all’inizio dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia, e l’art. 48 dello stesso accordo non possono essere interpretati nel senso che consentono agli Stati membri di limitare discrezionalmente l’applicazione del principio di non discriminazione enunciato dalla NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov prima di tali due disposizioni, in quanto un’interpretazione del genere condurrebbe a svuotare di contenuto tale disposizione, privandola così di ogni effetto utile. 41 Alla luce delle considerazioni che precedono, la questione proposta dev’essere risolta dichiarando che l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia dev’essere interpretato nel senso che osta all’applicazione ad un atleta professionista di cittadinanza russa, regolarmente impiegato da una società con sede in uno Stato membro, di una norma dettata da una federazione sportiva dello stesso Stato ai sensi della quale le società sono autorizzate a schierare in campo, nelle competizioni organizzate su scala nazionale, solo un numero limitato di giocatori originari di Stati terzi che non sono parti all’accordo SEE. Sulle spese 42 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute per presentare osservazioni alla Corte, diverse da quelle delle dette parti, non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: L’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato e di cooperazione che istituisce un partenariato tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Federazione russa, dall’altra, sottoscritto a Corfù il 24 giugno 1994 e approvato a nome delle Comunità con decisione del Consiglio e della Commissione 30 ottobre 1997, 97/800/CECA, CE, Euratom, dev’essere interpretato nel senso che osta all’applicazione ad un atleta professionista di cittadinanza russa, regolarmente impiegato da una società con sede in uno Stato membro, di una norma dettata da una federazione sportiva dello stesso Stato ai sensi della quale le società sono autorizzate a schierare in campo, nelle competizioni organizzate su scala nazionale, solo un numero limitato di giocatori originari di Stati terzi che non sono parti all’accordo sullo Spazio economico europeo. NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov LA SENTENZA SIMUTENKO : UNA APPLICAZIONE DELL’EFFETTO BOSMAN AGLI ACCORDI DI PARTENARIATO DELLA COMUNITA’ di Giuseppe Gliatta (*) 1. Simutenkov richiede il rilascio della licenza federale alle medesime condizioni dei giocatori comunitari 2. Una questione preliminare: l’efficacia diretta dell’art. 23, n.1, dell’accordo di partenariato 3. La portata del principio di non discriminazione 4. Gli effetti della sentenza Simutenkov 1. Simutenkov richiede il rilascio della licenza federale alle medesime condizioni dei giocatori comunitari La sentenza in esame fissa il principio secondo cui il divieto di discriminazione in base alla nazionalità, contenuto nell’accordo di partenariato intercorso tra la CE e la federazione russa, rende illegittima l’applicazione ai calciatori professionisti di nazionalità russa della regola dettata dalla federazione sportiva spagnola che limita (rispetto ai cittadini comunitari) la loro possibilità di partecipare a determinati incontri sportivi1. 1 Cfr. M. CASTELLANETA, In caso di accordo con uno Stato terzo la Corte fa scattare l’effetto Bosman, in Diritto Comunitario e Internazionale, n.3, 2005, pag. 71 e s. Più in generale sui rapporti fra l’ordinamento sportivo e il diritto comunitario nella giurisprudenza, v. V. FRATTAROLO, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, Milano, 2005, pag. 68 e ss. Dello stesso autore, sul tema in generale dei profili giuridici del rapporto di lavoro sportivo, v. Il rapporto di lavoro sportivo, Milano, 2004; sullo stesso tema, fra gli altri, v. M. T. SPADAFORA, Diritto del lavoro sportivo, Torino, 2004; G. VALORI, Il diritto nello sport: principi, soggetti, organizzazione, Torino, 2005; M. COLUCCI, Lo sport e il diritto: profili istituzionali e regolamentazione giuridica, Napoli, 2004; M. COCCIA, Diritto dello sport, Firenze, 2004. NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov La pronuncia è emanata all’interno del procedimento C-265/03 e ha a oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art.234 CE, presentata nel maggio del 2003 dalla Audiencia Nacional spagnola (tribunale amministrativo di appello), all’interno del procedimento istauratosi tra Igor Simutenkov, da una parte, la Real Federación Española de Fútbol (RFEF) e il Ministero di Educazione e Cultura, dall’altra. Igor Simutenkov all’epoca dei fatti della controversia principale è un cittadino russo che risiede in Spagna ed è in possesso di un permesso di soggiorno e un correlativo permesso di lavoro. E’ titolare di un contratto di lavoro in qualità di calciatore professionista con il club Deportino Tenerife, nonché di una licenza federale spagnola per calciatori non appartenenti alla Comunità europea e allo Spazio Economico Europeo. Tale licenza gli permette di praticare il calcio come atleta federale e di giocare con la squadra di appartenenza nelle partite ufficiali. La normativa federale, tuttavia, stabilisce che nelle competizioni e negli incontri ufficiali possano essere schierati un numero limitato di giocatori provenienti da Stati terzi non appartenenti allo Spazio Economico Europeo2. Segnatamente, l’art 176 del regolamento generale RFEF sancisce: «Le squadre iscritte a competizioni ufficiali di ambito nazionale a carattere professionistico possono iscrivere calciatori stranieri non comunitari nel numero che viene stabilito negli accordi acclusi al riguardo tra RFEF, la Liga Nacional de Fútbol Profesional e la Asociación de Futbolistas Españoles, nei quali viene disciplinato, inoltre, il numero di calciatori di tale categoria che possono giocare contemporaneamente»3. Per poter superare i limiti derivanti da tale statuizione, Simutenkov nel gennaio 2001 decide di presentare una richiesta alla RFEF di conversione della licenza federale in quella di calciatore comunitario. La domanda viene prontamente rifiutata in base alle norme di cui agli articoli 173 e ss del Regolamento e in particolare sulla base dell’art.173 che dispone: «Costituisce requisito 2 Si tratta di un modello in linea con i regolamenti UEFA che trova applicazioni molto simili nei vari Stati; in Italia, l’art.40 del regolamento della Figc stabilisce che «Le società che disputano il Campionato di serie A possono altresì tesserare non più di cinque calciatori provenienti o provenuti da federazioni estere, se cittadini di paesi non aderenti all’UE (e allo E.E.E.). 3 L’art 176, n.2, fa poi riferimento al numero di licenze per ogni stagione e al numero di giocatori non comunitari che è possibile schierare contemporaneamente. Relativamente al primo punto, si sancisce un numero in prima divisione pari a 5 nel 2000/2001, 4 in ciascuna delle tre stagioni seguenti e 3 nella stagione 2004/2005; in seconda divisione il numero è di 4 nella stagione 2000/2001, di 3 per gli anni 2001/ 2002 e 2002/2003 e infine di 2 per la stagione 2004/2005. In relazione al secondo punto, si stabilisce nello specifico che non potranno giocare contemporaneamente più di 3 calciatori non comunitari in prima divisione, mentre in seconda divisione il numero scende a 2 a partire dalla stagione 2001/2002. NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov generale che devono soddisfare i calciatori per iscriversi e ottenere la licenza come professionisti, salvo deroghe che prevede il presente regolamento, possedere la cittadinanza spagnola o quella di uno degli altri paesi che costituiscono L’unione europea e lo Spazio economico europeo». Avverso questa decisone, il signor Simutenkov decide di presentare ricorso innanzi al tribunale amministrativo (Juzgado de lo Social) di Santa Cruz di Tenerife, con il quale si chiede la tutela al diritto di non discriminazione in base alla nazionalità fissato nell’accordo di partenariato tra la Comunità e la Russia, che al suo art. 23 recita: «Conformante alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato membro, la Comunità e i suoi Stati membri evitano che i cittadini russi legalmente impiegati sul territorio di uno Stato membro siano oggetto, rispetto ai loro cittadini, di discriminazioni basate sulla nazionalità per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento». Nel ricorso dunque si afferma che sia contraria a tale divieto di discriminazione la distinzione tracciata dal citato art.173 del regolamento RFEF tra cittadini comunitari e cittadini russi in relazione al rilascio della licenza comunitaria, che si riverbera sul diritto di partecipare alle gare senza limitazione di sorta. Il signor Simutenkov in tal senso ritiene che venga violato il suo diritto di parità di trattamento e chiede che una tale disparità venga riconosciuta e superata in base alla normativa comunitaria di cui all’accordo di partenariato. In primo grado, il ricorso viene respinto in data 22 ottobre 2002, ma la sentenza viene impugnata in appello innanzi alla Audiencia Nacional che ha deciso di sospendere il giudizio e investire la Corte di giustizia europea della seguente questione pregiudiziale: «Se l’art.23 dell’accordo di partenariato osti a che una federazione sportiva applichi a un atleta professionista cittadini russo come quello della causa principale, regolarmente impiegatola una società calcistica spagnola, una normativa in forza della quale le società possono utilizzare nelle competizioni in ambito nazionale solo un numero limitato di calciatori provenienti da Stati terzi non appartenenti allo Spazio economico europeo». La Corte di appello dunque ritiene di dovere risolvere in via pregiudiziale una tale questione, per poi decidere se riconoscere o meno al signor Simutenkov il diritto al rilascio di una licenza identica a quella a cui hanno diritto i calciatori spagnoli o altrimenti appartenenti all’Unione europea o allo Spazio economico europeo. Di contro la RFEF oppone un duplice ordine di obiezioni. Anzitutto, si controbatte che dal primo inciso dell’art.23 - «[c]onformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato membro» - si deduce che debba considerarsi preferenziale, rispetto al divieto di discriminazione, la competenza della federazione di rilasciare le licenze ai giocatori e la regolamentazione sportiva adottata dalla stessa RFEF. In secondo luogo, si obietta che in ogni caso NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov il rilascio di una licenza non costituisce oggetto delle condizioni di lavoro (tutelate dall’accordo di partenariato), ma attiene all’organizzazione delle competizioni. Parallelamente, le motivazioni addotte dalla RFEF vengono fatte proprie anche dal Governo spagnolo che si unisce alla richiesta di respingimento della domanda pregiudiziale. Di contro, l’avvocato generale - sig.ra Christine Stix Hackl - presenta le sue conclusioni l’11 gennaio 2005 e accoglie le ragioni del ricorrente, proponendo alla Corte una soluzione giuridica articolata che affronta vari questioni preliminari e si esprime in definitiva a favore dell’accoglimento della questione pregiudiziale4. Infine la Corte con sentenza del 12 Aprile del 2005 decreta l’accoglimento della questione pregiudiziale adducendo una serie di argomentazioni che meritano di essere approfondite per l’interesse rivestito. 2. Una questione preliminare: l’efficacia diretta dell’art. 23, n.1, dell’accordo di partenariato Anche se la questione non viene fatta oggetto di specifico punto di controversia da parte del giudice a quo, l’avvocato generale e la Corte ritengono di dover decidere in via preliminare se l’art.23, n.1, debba o meno essere considerato direttamente applicabile alla specifica posizione giuridica del singolo ricorrente. Quest’aspetto ricopre una importanza notevole nella struttura della sentenza della Corte e ancor di più in quella del parere rilasciato dall’Avvocato generale. E infatti, può affermarsi che la risoluzione, in termini positivi5, di tale quesito rappresenta forse l’aspetto più innovativo della pronuncia in esame, che viceversa per la parte rimanente non fa che limitarsi, in definitiva, ad applicare principi già affermati in due precedenti sentenze6 della stessa Corte di giustizia. Quest’ultima chiarisce, anzitutto, che l’accordo di partenariato Comunità-Russia non disciplina l’aspetto dell’effetto attribuito alle disposizioni dell’accordo medesimo, cosicché spetta alla Corte risolvere la questione, al pari di ogni profilo ermeneutico attinente all’efficacia degli accordi nella 4 Le conclusioni dell’avvocato generale sono consultabili su diversi siti, tra cui www.lex.unicit.it Per una interpretazione opposta che conduce alla non vincolatività dell’articolo in esame, v. M. CREMONA, Citizens of Third Countries: movement and employment of migrant workers within the European Union, in Legal Issues of European integration, 1997, pag. 87; M. MARESCEAU - E. Montaguti, The Relations between the European Union and Central and Eastern Europe: A legal Appraisal, in Common Market Law Review, 1995, pag. 1327. 6 Sulle quali si tornerà tra poco. 5 NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov Comunità7. In tal senso, è giurisprudenza costante che gli accordi fra la Comunità e i paesi terzi debbano considerarsi direttamente applicabile quando stabiliscono un obbligo chiaro e preciso, non subordinato, nel suo adempimento o nei suoi effetti, all’intervento di alcun atto ulteriore8. Nel caso in esame, l’accordo analizzato nel suo testo originario9, ossia quello stilato in lingua inglese, non sembra lasciare spazio a dubbi interpretativi, in quanto adotta una formula chiara e inequivocabile rispetto all’obbligo che deve essere adempiuto («shall ensure») dalle parti contraenti. In termini perentori viene sancito l’obbligo dello Stato di evitare che i lavoratori di cittadinanza russa, legalmente impiegati nel territorio di uno Stato membro, possano subire discriminazioni a causa della loro cittadinanza in relazione alle condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento. Un tale principio di parità di trattamento «detta un obbligo di risultato preciso e, per sua stessa natura, può esser fatto valere da un amministrato dinanzi all'autorità giudiziaria nazionale, affinché questa disapplichi le disposizioni discriminatorie, senza che risulti necessaria a tal fine l'adozione di misure di applicazione integrative»10. 7 Nella motivazione la Corte richiama a sostegno il seguente precedente: sentenza 23 novembre 1999, causa C-149/96, Portogallo/Consigliio, Racc. pag. I-8395, punto 34). 8 In questi termini nella sentenza in esame, che richiama alcuni importanti precedenti della stessa Corte: sentenze 27 settembre 2001, causa C-63/99, Gloszczuk, Racc. pag. I-6369, punto 30, e 8 maggio 2003, causa C-171/01, Wählergruppe Gemeinsam, Racc. pag. I-4301, punto 54. 9 L’avvocato generale si sofferma molto sulla questione linguistica, che viceversa sembra essere data per scontata dalla Corte. Più precisamente si chiarisce il perché tra le varie versioni (difformi, almeno in parte) del testo dell’accordo di partenariato debba preferirsi quella in lingua inglese, che meglio delle altre si esprime in termini di obbligatorietà dell’accordo medesimo. In tal senso, l’avvocato generale afferma: «Per accertare il significato dell'art. 23 dell'accordo potrebbe prendersi quale punto di partenza il minimo comune denominatore di tutte le versioni linguistiche, assumendo l'esistenza di un semplice obbligo ad impegnarsi. Tuttavia, un metodo di questo tipo non è corroborato né da argomenti convincenti, né dalla prassi della giurisprudenza della Corte. Un'altra possibile soluzione potrebbe consistere nell'individuare il testo più chiaro, quindi nell'eliminare testi atipici o versioni che contengano errori di traduzione. Tale modalità di procedere è in via di principio possibile e si riscontra altresì nella giurisprudenza della Corte; tuttavia, nella fattispecie all'esame, nella quale appunto non si ha un solo testo che diverge da tutti gli altri, essa non permette di pervenire ad alcuna soluzione convincente. La tesi secondo la quale occorrerebbe prediligere le versioni linguistiche che stabiliscono un obbligo sembrerebbe essere avallata anche da un metodo interpretativo menzionato dalla Commissione, quello secondo il quale risulta decisiva la maggioranza delle versioni linguistiche. Tale metodo si riflette anche nella giurisprudenza della Corte. Avverso tale impostazione è possibile però addurre l'argomentazione della Corte, in base alla quale in determinate circostanze occorre prediligere una singola versione linguistica rispetto alla maggioranza delle altre. 19. Ciò induce a ritenere necessario il ricorso ad un metodo completamente diverso, ovvero quello in base al quale occorre partire dal testo originario, quindi da quella versione dell'accordo che è servita da testo di partenza per le traduzioni nelle altre lingue 10 Così il punto 23 della pronuncia in esame, in cui fra l’altro la Corte richiama i seguenti precedenti: sentenze 29 gennaio 2002, causa C-162/00, Pokrzeptowicz-Meyer, Racc. pag. I-1049, punto 22, e Wählergruppe Gemeinsam, Racc. pag. I-4301, punto 58. NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov Dopo aver affermato la natura giuridica obbligatoria dell’accordo11, la Corte si sofferma a precisare come una tale vincolatività diretta non venga meno a causa della riserva dettata dall’inciso «conformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato membro», così come viceversa affermato in giudizio dalla RFEF e dal governo spagnolo12. Allo stesso modo, non si deve ritenere ostativa, a parere della Corte, la speculare disposizione di cui all’art.48 dell’accordo di partenariato, che recita: «Ai fini del presente titolo, nessuno dei suoi elementi vieta alle parti di applicare le rispettive leggi e normative in materia di ingresso e soggiorno, occupazione, condizioni di lavoro e di stabilimento delle persone fisiche e fornitura di servizi, purché non le applichino in modo da vanificare o compromettere i vantaggi risultanti per una delle parti da una disposizione specifica dell'accordo (…)». Già da tempo, infatti, la Corte13 aveva affermato il principio secondo il quale clausole similari non possono essere interpretate in modo da permettere agli Stati membri di sottoporre a condizioni o limitare discrezionalmente il principio di non discriminazione, in quanto si giungerebbe a «uno svuotamento di contenuto di tale disposizione, privandola così di ogni effetto utile»14. 11 Ancora una volta, sullo specifico argomento, il parere dell’avvocato generale appare più dettagliato e soddisfacente, in particolare per via delle ulteriori argomentazioni addotte: « La volontà delle parti di stabilire un chiaro obbligo, più forte del semplice obbligo ad impegnarsi, è dimostrata dai documenti presentati dalla Commissione, che sono serviti alla preparazione dei negoziati. Anche una contrapposizione rispetto ad accordi dello stesso genere depone a favore del carattere obbligatorio dell'art. 23, n. 1, dell'accordo. Un confronto con l'art. 24, n. 1, dell'accordo con l'Ucraina, nonché con l'art. 23, n. 1, dell'accordo con la Moldavia mostra che tali disposizioni parallele contengono espressamente la locuzione “si impegnano ad assicurare”. Che l'art. 23, n. 1, dell'accordo stabilisca un obbligo che va al di là del semplice obbligo di impegnarsi è dimostrato inoltre dalla circostanza, confermata dai documenti relativi ai negoziati, che la Russa abbia manifestato un auspicio in tal senso». 12 L’avvocato generale al punto 25, ricorda: «Contro il carattere obbligatorio e quindi contro l'efficacia diretta dell'art. 23 dell'Accordo potrebbe deporre la seguente restrizione prevista all'inizio del n. 1 dell'articolo: “Conformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato membro (…)”. In conformità alla giurisprudenza della Corte relativa ad una simile regolamentazione negli accordi europei i termini “nel rispetto delle condizioni e modalità applicabili in ciascuno Stato membro” non possono tuttavia essere interpretati nel senso di consentire agli Stati membri di sottoporre a condizioni o di limitare discrezionalmente l'applicazione del principio di non discriminazione enunciato da tale disposizione, giacché un'interpretazione del genere avrebbe l'effetto di svuotare di contenuto tale disposizione privandola così di ogni effetto utile.». 13 Cfr. sentenze 29 gennaio 2002, causa C-162/00, Pokrzeptowicz-Meyer, Racc. pag. I-1049, punti 23 e 24, e 8 maggio 2003, causa C-438/00, Deutscher Handballbund, Racc. pag. I-4135, punto 29. 14 Così la sentenza in esame al punto 24. La Corte precisa, altresì, al punto successivo che« Né l'art. 27 dell'accordo di partenariato Comunità-Russia osta a un effetto diretto dell'art. 23, n. 1, dello stesso. Infatti, il fatto che tale art. 27 preveda che l'applicazione dell'art. 23 sia effettuata sulla base di raccomandazioni del consiglio di cooperazione non subordina l'applicabilità di quest'ultima norma, nella sua esecuzione o nei suoi effetti, all'intervento di un atto ulteriore. Il ruolo che il detto art. 27 attribuisce a quel consiglio consiste nel facilitare il rispetto del divieto di discriminazione, ma non si può considerare che ne limiti l'applicazione immediata». A supporto di quest’ultima affermazione richiama i seguenti precedenti: sentenze 31 gennaio 1991, causa C-18/90, Kziber, Racc. pag. I-199, punto 19, e 4 maggio 1999, causa C-262/96, Sürül, Racc. pag. I-2685, punto 66. NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov La Corte giunge a conclusioni analoghe operando altresì una analisi dell’oggetto e della sistematica dell’accordo di partenariato, ossia della natura e dello scopo da questo perseguiti. A tal proposito, viene anzitutto ricordato come l’art.1 dell’accordo in esame si prefigga di istituire un partenariato che promuova lo sviluppo delle relazioni politiche ed economiche tra i contraenti e la realizzazione della progressiva integrazione tra la federazione Russa e una più ampia zona di cooperazione in Europa. In altri termini, si tratta di un accordo che non prevede una associazione, né una futura adesione della federazione russa alla Comunità. Ciò malgrado, la Corte afferma che l’accordo stipulato tra la Comunità e la federazione russa possa avere ugualmente un effetto diretto sulla situazione giuridica dei privati15: in sintonia con i precedenti della stessa Corte in cui si affermava analogamente che possono ritenersi in tal senso obbligatori anche gli accordi che non sanciscono l’ingresso o il futuro ingresso di uno Stato nella Unione Europea16. Con riguardo al precedente accordo con il Marocco, per esempio, la Corte aveva già avuto modo di affermare che « l'accordo ha infatti come obiettivo (...) di promuovere una cooperazione globale tra le parti contraenti, in particolare nel settore della manodopera. La circostanza che l'accordo miri essenzialmente a favorire lo sviluppo economico del Marocco e che esso si limiti a istituire una cooperazione tra le parti senza mirare ad un'associazione o ad una futura adesione del Marocco alle Comunità non è tale da impedire l'applicabilità diretta di talune delle sue disposizioni»17. 15 Il percorso logico seguito dalla Corte è assolutamente speculare a quello dell’avvocato generale, che infatti (ai punti 33 e ss.) in premessa afferma: « In proposito è possibile rilevare, da un lato, che l'Accordo costituisce l'esito di un'evoluzione, perlomeno se raffrontato con l'accordo commerciale precedentemente stipulato con la Russia. Dall'altro lato, per molti aspetti l'accordo non arriva ad uguagliare i cosiddetti accordi europei. Ciò vale in primo luogo per quanto riguarda il contenuto sostanziale, dal momento che l'Accordo non prevede neanche l'istituzione di una zona libero di scambio, né le disposizioni relative alla libera circolazione sono equiparabili a quelle degli accordi europei. In secondo luogo, anche le disposizioni di natura istituzionale mostrano una serie di differenze, come nel caso del meccanismo di composizione delle controversie. A tutto ciò si aggiunge il fatto che, diversamente dall'accordo con la Slovacchia, che era alla base della causa Deutscher Handballbund/Kolpak, l'Accordo non è diretto ad istituire un'associazione, né tanto meno un'adesione della parte contraente non appartenente alla UE.»; e conclude:«Tuttavia, a mio avviso, perché possa essere affermata l'efficacia diretta di una disposizione di un accordo non è decisivo che in tale accordo venga fatto un espresso riferimento alla prospettiva dell'adesione.». 16 Cfr. sentenze causa C-18/90, Kziber, Racc. pag. I-199, punto 21; 15 gennaio 1998, causa C-113/97, Babahenini, Racc. pag. I-183, punto 17, e 16 giugno 1998, causa C-162/96, Racke, Racc. pag. I-3655, punti 34-36. 17 Così la appena citata sentenza Kziber. Per un approfondimento dell’analisi della sistematica dell’art.23, v. il parere dell’avvocato generale ai punti 39-42). NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov Si tratta dunque di un principio già affermato in passato18, ma la cui riproposizione assume un rilevanza non trascurabile, soprattutto se si pensa alle implicazioni che in molti campi - non da ultimo nel diritto sportivo – potranno scaturire dal proliferare di accordi con Stati terzi alla Comunità che si basano sul rispetto dei diritti fondamentali e dunque sul richiamo al diritto di non discriminazione tra lavoratori19. 3. La portata del principio di non discriminazione Con specifico riguardo al diritto sportivo, la Corte, dopo avere affermato il principio della immediata efficacia dell’art.23, n.1, lo inserisce nel più ampio quadro delle sentenze (della Corte medesima) che negli ultimi anni hanno profondamente modificato un assai rilevante aspetto della disciplina europea dello sport. Il percorso logico seguito nella pronuncia ha come punto di partenza la sentenza Deutscher Handballbund/kolpak 20 , con cui si applica il c.d. effetto Bosman anche ai paesi destinati all’ingresso nella Comunità Europea21. Lo scopo della Corte è di individuare la portata dell’art.23, n.1, e segnatamente di stabilire se la regolamentazione di cui alla causa principale costituisca o meno una condizione di lavoro. Infatti, solo in quest’ultimo caso si potrà richiedere l’applicazione del divieto di discriminazione, in quanto l’art.23, n.1, si applica solo alle questioni attinenti allo svolgimento di un rapporto in corso e non anche alle condizioni di accesso al lavoro. La RFEF di contro afferma che vertendo la disputa sul rilascio di una licenza, ciò avrebbe esclusivo riguardo all’accesso al mercato del lavoro e non anche allo svolgimento dei rapporti lavorativi già instaurati. Per poter definire questo aspetto è necessario comprendere, dunque, in quali ambito vadano ricomprese le regolamentazioni di federazioni sportive. 18 Per una panoramica della giurisprudenza in tema di rapporto fra l’ordinamento sportivo e il diritto comunitario, v. V. FRATTAROLO, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, cit., pag. 68 e ss. 19 Con specifico riguardo al diritto sportivo, è innegabile come l’innesto del diritto comunitario nel settore sportivo abbia condotto a una serie di “effetti collaterali” tutt’altro che positivi. Sul punto esiste una vasta letteratura, basti qui citare V. FRATTAROLO, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, cit., pag. 70 e ss, ove richiama molti altri autori e dove, ad esempio con riguardo alla sentenza Bosman, di cui meglio si dirà, si afferma:La decisione ha prodotto una vera e propria rivoluzione nel mondo dello sport professionistico, facendo crollare le barriere e fiaccando le resistenze imperniate sulle diverse nazionalità degli atleti in ordine alla quale in precedenza e a seguito delle prime decisioni della Corte, si erano tentati degli accomodamenti tra le Autorità sportive e quelle comunitarie.». 20 Già citata in nota. 21 Sull’argomento, da ultimo, v. M. CASTELLANETA, Dai limiti all’ingaggio, alla retribuzione, illegittima ogni disparità di trattamento, in Guida al Diritto, 2003, n.20, pag.111. NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov La sentenza Deutscher Handballbund/kolpak si occupa della efficacia dell’art. 38, n.1, dell’accordo europeo che istituisce una associazione tra la Comunità europea e la Repubblica slovacca22 in vista della sua prossima partecipazione alla Comunità europea. L’art 38, n.1, ricorda molto da vicino il contenuto dell’art 2323, n.1, dell’accordo di partenariato Comunità/Russia e infatti recita: «Nel rispetto delle condizioni e modalità applicabili in ciascuno Stato membro (…) il trattamento accordato ai lavoratori di nazionalità della Repubblica slovacca legalmente occupati nel territorio di uno Stato membro è esente da qualsiasi discriminazione basata sulla nazionalità, per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento, rispetto ai cittadini di quello Stato membro». La Corte nella pronuncia Deutscher Handballbund/kolpak stabilisce che l’art.38 è applicabile anche alle regolamentazioni emanate da una federazione sportiva - che determina a quali condizioni gli sportivi professionisti possono esercitare una attività subordinata - e come la limitazione alla partecipazione a gare sportive attenga direttamente alle condizioni di lavoro del calciatore straniero. La Corte in quell’occasione, infatti, statuisce che l’articolo 38 deve essere interpretato «nel senso che esso osta all'applicazione a uno sportivo professionista di cittadinanza slovacca, regolarmente occupato da una società stabilita in uno Stato membro, di una normativa emanata da una federazione sportiva del medesimo Stato secondo cui le società sono autorizzate a far scendere in campo, in occasione delle partite di campionato o di coppa, solo un limitato numero di giocatori originari di paesi terzi che non sono parti dell'accordo SEE». Si stabilisce dunque, in primo luogo, che la norma che fissa il numero massimo di giocatori dello Stato terzo contraente utilizzabili contemporaneamente durante un incontro nazionale di calcio deve essere considerata relativa alle condizioni di lavoro, in quanto immediatamente attinente alla possibilità del giocatore slovacco (già regolarmente assunto) di svolgere le mansioni di cui al contratto di ingaggio. In secondo luogo, la Corte dichiara come anche nel caso di accordi con paesi destinati a entrare nella Comunità europea trovi applicazione la interpretazione 22 L’accordo è stato firmato a Lussemburgo il 4 ottobre 1993 e approvato a nome della Comunità dalla decisione del Consiglio e della Commissione 19 dicembre 1994, 94/909/CECA, CE, Euratom, GU L 359, pag. 1. 23 L’avvocato generale infatti al punto 56 ritiene che: «L'art. 23, n. 1, dell'Accordo, per l'aspetto che qui rileva, prevede un obbligo pressoché letteralmente identico all'art. 38, n. 1, dell'accordo con la Slovacchia, vale a dire che a cittadini della parte contraente legalmente impiegati sul territorio di uno Stato membro sia garantito un trattamento che non implichi, rispetto ai cittadini dello Stato membro, discriminazioni basate sulla nazionalità per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento.». NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov dell’art.39 Trattato CE, contenuta nella celebre sentenza Bosman24 risalente al 1995. Si ricorderà come in quell’occasione la Corte ha inequivocabilmente affermato, in via generale, la diretta applicabilità al mondo sportivo della normativa della libertà di circolazione di cui all’art.39 CE e, in particolare, come l’art.39, n.2, impedisca l’applicazione di norme contenute in regolamenti sportivi che sono finalizzate a limitare il numero di giocatori professionisti cittadini di altri Stati membri della Unione Europea che possono essere schierati contemporaneamente all’interno di un incontro25. In questo senso, la sentenza Simutenkov può considerarsi una semplice applicazione del c.d. effetto Bosman, così come prima di lei lo era stata la sentenza Deutscher Handballbund/kolpak. Il presupposto è identico, cioè la applicabilità dell’art.39, n.2 , in tutti gli atti internazionali che trovano immediata obbligatorietà nei paesi membri. Nel caso Bosman si trattava di Stati già membri della Comunità europea, con la sentenza Deutscher Handballbund/kolpak si ricomprendono quelli legati alla Comunità con un accordo di associazione e, infine, con la sentenza qui in commento, anche per i casi di accordi di partenariato, che sanciscono un divieto di discriminazione immediatamente obbligatorio. La Corte si limita nella sentenza Bosman a fare salvi gli incontri tra nazionali, in quanto l’interesse primario non è di tipo economico, ma di altra natura, cosicché non può trovare applicazione l’art.39, n 2. Una tale limitazione rimane anche nel passaggio sancito dalla sentenza Deutscher Handballbund/kolpak e dunque anche nell’ulteriore applicazione costituita dalla sentenza Simutenkov. In quest’ultima, infatti, si afferma che «[o]ccorre poi necessariamente constatare che la limitazione fondata sulla nazionalità non riguarda incontri specifici fra rappresentative nazionali, ma si applica a tutti gli incontri ufficiali tra società calcistiche e, quindi, alla parte essenziale dell'attività esercitata dai calciatori professionisti. Come pure dichiarato dalla Corte, una simile limitazione non può essere considerata giustificata da considerazioni sportive (citate sentenze Bosman, punti 128-137, e Deutscher Handballbund, punti 54-56)». Per tutte queste ragioni, la Corte giunge al dispositivo affermando in modo chiaro che: «L'art. 23, n. 1, dell'accordo di partenariato e di cooperazione che istituisce un partenariato tra le 24 Il riferimento è alla notissima causa C-415/93, Racc. pag. I-4921.Sul tema esiste una vasta letteratura, tra i tanti, v. A. MANZELLA, L’Europa e lo sport: un difficile dialogo dopo Bosman, in Riv.dir.sport., 1996, fasc. n.3, pag, 409 e ss.; A. TIZZANO- R. DE VITA, Qualche considerazione sul caso Bosman, in Riv.dir.sport., 1996, fasc. n.3, pag, 416 e ss.; M. ROMANI- R. MOSETTI, ,Il diritto nel pallone:spunti per una analisi economica della sentenza Bosman, in Riv.dir.sport., 1996, fasc. n.3, pag, 436 e ss.; G. VIDRI, Il caso Bosman e la circolazione dei calciatori professionistinell’ambito della Comunità europea; in Resp. Civ. prev., 1996, pag. 433 e ss. 25 Cfr. la sentenza Bosman ai punti 87 e 137. NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la federazione russa, dall'altra, sottoscritto a Corfù il 24 giugno 1994 e approvato a nome delle Comunità con decisione del Consiglio e della Commissione 30 ottobre 1997, 97/800/CECA, CE, Euratom, deve essere interpretato nel senso che osta all'applicazione ad un atleta professionista di cittadinanza russa, regolarmente impiegato da una società con sede in uno Stato membro, di una norma dettata da una federazione sportiva dello stesso Stato ai sensi della quale le società sono autorizzate a schierare in campo, nelle competizioni organizzate su scala nazionale, solo un numero limitato di giocatori originari di Stati terzi che non sono parti all'accordo sullo Spazio economico europeo»26. 4. Gli effetti della sentenza Simutenkov Con la sentenza in esame i giudici della Corte di giustizia impongono nuove e rilevanti modifiche alle regole sportive esistenti e soprattutto introducono una ulteriore importante limitazione alla “capacità normativa” delle federazioni sportive27. Se in passato, infatti, la Corte aveva già sancito la vincolatività dei principi comunitari (prima) e dei trattati di associazione (successivamente), con la pronuncia Simutenkov si spinge ancora oltre e fissa la obbligatorietà anche degli accordi di partenariato stipulati con Stati terzi non destinati a far parte della Unione Europea. La Corte si limita a richiedere che l’accordo internazionale sia strutturato in modo da contenere obblighi chiari, precisi e non condizionati dall’emanazione di norme interne. Se l’accordo internazionale presenta tali caratteristiche verrà a costituire un obbligo per le federazioni sportive a cui queste non potranno sottrarsi. In particolare, dovrà considerarsi giuridicamente vincolante il divieto di discriminazione (di norma contenuto nell’accordo) e dunque l’obbligo di riconoscere all’atleta di uno Stato non appartenente (e che non apparterrà) all’Unione Europea un trattamento esattamente uguale a quello riservato agli atleti comunitari. L’unica limitazione che rimane ancora in piedi, per ovvie ragioni, è quella relativa alla partecipazione di incontro disputati 26 In modo molto simile conclude l’avvocato generale che in chiusura di parere afferma: «È possibile dunque concludere che l'art. 23, n. 1, dell'accordo osta all'applicazione al sig. Simutenkov di una normativa come quella della causa principale, atteso che quest'ultima ha per conseguenza che il sig. Simutenkov, in quanto cittadino russo, benché regolarmente occupato in uno Stato membro, dispone, in linea di principio, soltanto di una possibilità limitata, rispetto ai giocatori cittadini di Stati membri o cittadini del SEE, di partecipare a talune competizioni, vale a dire ai Campeonatos Nacionales (campionati nazionali) de Liga de Primera y Segunda División (di serie A e B), al Campionato di Spagna/Copa de S.M. el Rey e alla Supercopa (supercoppa), che costituiscono peraltro l'oggetto essenziale della sua attività in qualità di giocatore professionista.». 27 Per le possibili conseguenze negative, si veda a quanto si è accennato alla nota 19. NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov tra squadre nazionali; in questi casi non troverà applicazione l’art.39, n.2 del Trattato CE in ragione del superiore interesse nazionale28. Ovviamente non rileva che la pronuncia nello specifico riguardi esclusivamente la Spagna e il mondo del calcio29. In questo senso, solo in prima battuta può dirsi che l’interevento della Corte ha l’effetto di svincolare i calciatori russi dal limite massimo di giocatori appartenenti a Stati terzi che possono contemporaneamente prendere parte a un incontro di calcio. Infatti, gli effetti della decisione giudiziale si estendono a tutti gli sport, a tutti gli Stati che hanno stipulato con la Unione un accordo similare (come, ad esempio, l’Ucraina) e a tutti gli aspetti della normativa sportiva delle varie federazioni che collidono con il divieto di discriminazione fondata sulla nazionalità attinente alle condizioni di lavoro degli atleti. Le sentenze della Corte di Giustizia hanno una validità inter partes, ma una inevitabile portata erga omnes; cosicché, ogni singolo atleta potrà reclamare l’applicazione di un accordo di partenariato (che presenti le caratteristiche evidenziate) e il giudice nazionale non potrà esimersi dalla disapplicazione delle norme sportive contrarie agli obblighi contenuti in queste fonti e in particolare al principio di non discriminazione. La Corte, come si è visto, si esprime molto chiaramente sul punto, sancendo espressamente che «(…) il principio di parità di trattamento (…) può essere fatto valere da un amministrato dinnanzi all’autorità giudiziaria nazionale, affinché questa disapplichi le disposizioni discriminatorie (…)». Da questo punto di vista può dirsi che la pronuncia in commento si inserisce in una linea di evoluzione del diritto sportivo ormai avviata da molti anni e che tende ad attribuire una dimensione sempre più sovranazionale allo sport e alla sua regolamentazione30. Tuttavia, la sentenza Simutenkov porta con sé una potenzialità ulteriore che travalica i confini del diritto sportivo e di cui vale la pena accennare. La portata erga omnes delle decisioni della Corte, di cui si è già fatta menzione, determina la possibilità di applicare i principi ivi contenuti alla generalità dei lavoratori che appartengono a uno 28 Sul punto, v. M. CASTELLANETA, In caso di accordo con uno Stato terzo, cit, 72, che criticamente rileva che l’eccezione è tenuta ferma in quanto tali competizioni non hanno una preminente finalità economica, «malgrado la corresponsione dei diritti televisivi e delle sponsorizzazioni renda sempre più difficile sostenere questa tesi». 29 Mostra, infatti, meraviglia M. CASTELLANETA, In caso di accordo con uno Stato terzo, cit, 72, che afferma: «Se nel caso Bosman l’intero mondo sportivo si era mobilitato per impedire l’ingresso delle norme comunitarie nel calcio, nella vicenda in esame è stata solo la federazione Spagnola, direttamene coinvolta, a difendere le “ragioni” dell’ordinamento sportivo. Eppure la pronuncia in esame è un ulteriore erosione, e non di poco conto, delle barriere poste dalle federazioni sportive». 30 Sul punto, si fa rimando ancora una volta a V. FRATTAROLO, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, cit., pag. 68 e ss. NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov Stato terzo e che svolgono in Italia una attività lavorativa31. Si tratta allora di milioni di lavoratori impegnati nei più svariati campi, e per i quali esistono notoriamente una corposa serie di norme speciali che - all’insegna di una presunta necessita di ordine pubblico - fissano obblighi, limitazioni e oneri che non di rado si ripercuotono (anche solo di fatto) sulle condizioni di lavoro della persona straniera. Si tratta di un numero elevatissimo di lavoratori stranieri che subiscono in modo sistematico forme dirette e indirette di discriminazione che provengono per lo più da leggi ordinarie che in quanto tali non possono derogare alla normativa comunitaria, in particolare allorquando questa venga riconosciuta dalla Corte di Giustizia come immediatamente obbligatoria per i singoli amministrati32. Non si tratta di ipotesi isolate, ma di una serie di accordi che l’Unione europea ha stipulato (e verosimilmente continuerà a stipulare) con i paesi non appartenenti alla Comunità maggiormente interessati al fenomeno migratorio. Le potenzialità della sentenza Simutenkov, inoltre, appaiono ancora maggiori se si pensa che la Corte non si limita a ribadire il divieto di discriminazione, ma per definirne la portata si richiama all’art. 39, n.2 CE, e dunque all’ampio contenuto che nel corso del tempo si è andato definendo anche grazie agli interventi della Corte di Giustizia. In definitiva, la sentenza Simutenkov si profila come uno strumento dalle forti potenzialità per combattere le ingiustificate differenziazioni di trattamento subite dai lavoratori, non solo impiegati nel mondo dello sport ma anche in tutti gli altri settori, dove si consumano da un punto di vista sia quantitativo che qualitativo le più importati forme di discriminazione33. (*) Dott. Giuseppe Gliatta : Collaboratore alla Cattedra di Diritto dell’Unione Europea e Normative Europee dello Sport – Università di Teramo 31 Nello stesso senso v. M. CASTELLANETA, In caso di accordo con uno Stato terzo, cit, 72: «Questo significa che anche altri lavoratori, non solo legati al mondo dello sport, potranno invocare le disposizioni dell’accordo di partenariato, così come quelle dei trattati di associazione, per lo svolgimento di una attività lavorativa a condizioni analoghe ai comunitari. Gli Stati dovranno così rimuovere le norme interne che possono costituire un ostacolo al principio della parità di trattamento e configurare una discriminazione sulla base della nazionalità sia in presenza di accordi di associazione (Turchia, Bulgaria, Romania e Croazia), sia in caso di accordi di partenariato (tra gli altri Russia, Ucraina e Bielorussia) che sanciscono il divieto di discriminazione». 32 Sull’argomento che travalica i limiti del presente lavoro, si fa rinvio ai vari contributi che possono leggersi in AA.VV, Diritto degli stranieri, a cura di B. NASCINBENE, Torino, 2004 33 Tutto ciò senza dimenticare gli effetti quantomeno discutibili che possono derivare per il diritto sportivo, per tutti v. M. COCCIA, La sentenza Bosman: summus ius, summa iniuria?, in Riv.dir.sport., 1996, pag.541 e ss. NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov BIBLIOGRAFIA: AA.VV, Diritto degli stranieri, a cura di B. NASCINBENE, Utet, Torino, 2004; M. CASTELLANETA, In caso di accordo con uno Stato terzo la Corte fa scattare l’effetto Bosman, in Diritto Comunitario e Internazionale, n.3, 2005; M. CASTELLANETA, Dai limiti all’ingaggio, alla retribuzione, illegittima ogni disparità di trattamento, in Guida al Diritto, 2003, n.20, pag.111; M. COCCIA, Diritto dello sport, Le Monnier, Firenze, 2004; M. COCCIA, La sentenza Bosman: summus ius, summa iniuria?, in Riv.dir.sport., 1996, pag.541; M. COLUCCI, Lo sport e il diritto: profili istituzionali e regolamentazione giuridica, Novene, Napoli, 2004; M. CREMONA, Citizens of Third Countries: movement and employment of migrant workers within the European Union, in Legal Issues of European integration, 1997, pag. 87; V. FRATTAROLO, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 2005; V. FRATTAROLO, Il rapporto di lavoro sportivo, Giuffrè, Milano, 2004; A. MANZELLA, L’Europa e lo sport: un difficile dialogo dopo Bosman, in Riv.dir.sport., 1996, fasc. n.3, pag, 409; M. ROMANI - R. MOSETTI, Il diritto nel pallone:spunti per una analisi economica della sentenza Bosman, in Riv. dir. sport., 1996, fasc. n.3, pag, 436; M.T. SPADAFORA, Diritto del lavoro sportivo, Giappichelli; Torino, 2004; M. MARESCEAU - E. Montaguti, The Relations between the European Union and Central and Eastern Europe: A legal Appraisal, in Common Market Law Review, 1995, pag. 1327; NOTE a SENTENZA La sentenza Simutenkov A. TIZZANO- R. DE VITA, Qualche considerazione sul caso Bosman, in Riv.dir.sport., 1996, fasc. n.3, pag, 416; J. TOGNON, La libera circolazione nel diritto comunitario: il settore sportivo, in Riv. amm., fasc. 7, 2002, 647; G. VALORI, Il diritto nello sport: principi, soggetti, organizzazione, Giappichelli; Torino, 2005; G. VIDRI, Il caso Bosman e la circolazione dei calciatori professionisti nell’ambito della Comunità europea; in Resp. Civ. prev., 1996, pag. 433. NOTE a SENTENZA PARTE TERZA GIURISPRUDENZA SOMMARIO: DECISIONE COMM. DISCIPLINARE FRIULI VENEZIA GIULIA del 10.10.2005 : l’ articolo 17 del codice di giustizia sportiva per i dilettanti DECISIONE CORTE FEDERALE F.I.G.C. del 11.04.2006 : il caso “ Genoa” pag . 122 pag.128 Decisione Comm.Disciplinare FVG DECISIONE COMMISSIONE DISCIPLINARE FRIULI VENEZIA GIULIA DEL 10.10.2005 : L’ ARTICOLO 17 DEL CODICE DI GIUSTIZIA SPORTIVA PER I DILETTANTI 4.2. DELIBERE DELLA COMMISSIONE DISCIPLINARE La Commissione Disciplinare Regionale F.V.G. costituita dal cav. Alberto De Colle (presidente), dall’avv. Silvio Franceschinis (componente effettivo), e dal dott. Andrea Del Vecchio (componente effettivo e segretario f.f.), con la partecipazione, per quanto di competenza, del rappresentante dell’A.I.A. sig. Adriano Giordano, nel corso delle riunioni del 07.10.05 e 10.10.05 ha assunto la seguente decisione: RECLAMO A.S.D. PALMANOVA PER LA ASSERITA POSIZIONE IRREGOLARE DEL CALCIATORE GALANTE LORENZO NELLA GARA DEL 24/09/2005 PRIX TOLMEZZO CARNIA - PALMANOVA Letti gli atti ufficiali, nonché il preannuncio di reclamo avverso la regolarità della gara indicata in oggetto formulato dalla A.S.D. PALMANOVA; letto altresì il reclamo che la A.S.D. PALMANOVA ha fatto pervenire a questa C.D. il 30.09.05 affermando la posizione irregolare del calciatore Galante Lorenzo, nato il 20.05.1986 nella gara in oggetto “in quanto lo stesso colpito da squalifica non ancora scontata, vedi C.U. 40/11 dd 11.05.05”; rilevato che detto c.u. portava la squalifica per due giornate di gara del calciatore richiamato in relazione a fatti avvenuti in una gara del campionato Regionale Juniores 2004/2005 in cui il medesimo calciatore ha giocato nelle fila della ancora attuale sua società PRIX TOLMEZZO CARNIA; GIURISPRUDENZA Decisione Comm.Disciplinare FVG preso atto che la società reclamante segnala che nel corso della gara in oggetto la società tolmezzina ha schierato il calciatore Galante che, a suo dire, risultava ancora destinatario del provvedimento di squalifica; la Commissione Disciplinare, ritenuta la propria competenza ai sensi dell’art. 42/3 C.G.S., osserva: Partendo dal dato normativo, va evidenziato come la disciplina in ambito regionale della Lega Nazionale Dilettanti e del settore per l'attività Giovanile e Scolastica preveda con norma speciale all’art. 41 C.G.S. che: “Art. 41/1. II tesserato colpito da squalifica per una o più giornate di gara deve scontare la sanzione nelle gare considerate ufficiali dalla Lega Nazionale Dilettanti e dal Settore per l’attività Giovanile e Scolastica della squadra nella quale militava quando è avvenuta l'infrazione che ha determinato il provvedimento”. Alla luce di tale inequivocabile disposizione, chi subisce una squalifica nel campionato Regionale Juniores deve scontarla nel campionato Regionale Juniores. Trattandosi di norma speciale dettata per il mondo dilettantistico, la normativa generale prevista dall’art. 17 attuale C.G.S. può venire in rilievo solo in via integrativa o interpretativa. Ricordiamo, però, per completezza, che l’art. 17 C.G.S., pur necessitando una riformulazione più organica per immediatezza di lettura, ribadisce ancora il principio per cui: “Art. 17/3. II calciatore colpito da squalifica per una o più giornate di gara deve scontare la sanzione nelle gare ufficiali della squadra nella quale militava quando è avvenuta l'infrazione che ha determinato il provvedimento (questo è il principio), salvo quanto previsto nel comma 6” (deroga al principio). … Andiamo, così, a leggere il comma 6: “Art. 17/6. Le squalifiche che non possono essere scontate, in tutto od in parte, nella stagione sportiva in cui sono state irrogate, devono essere scontate, anche per il solo residuo, nella stagione o nelle stagioni successive. Nel caso in cui il calciatore colpito dalla sanzione abbia cambiato società, anche nel corso della stagione, la squalifica è scontata, in deroga al comma 3, per le residue giornate in cui disputa gare ufficiali la prima squadra della nuova società di appartenenza (questa è la deroga al principio), ferma la distinzione di cui all’art. 14, comma 10, nn. 1 e 3 (attenzione: questa è deroga alla deroga al principio, che distingue tra gare di campionato e gare di coppa, e che ripristina il principio generale per cui le squalifiche si pagano nella squadra in cui si militava o, meglio, nel GIURISPRUDENZA Decisione Comm.Disciplinare FVG torneo (coppa o campionato) ndr). La distinzione prevista dall’art. 14, comma 10, n. 1, ultima parte, non sussiste (e qui troviamo la deroga alla deroga che deroga al principio, per cui, nel caso specifico in cui una società non partecipi alla medesima Coppa Italia, la squalifica va scontata nella gara di campionato) nel caso che nella successiva stagione sportiva non sia possibile scontare le sanzioni nella medesima Coppa Italia in relazione alla quale sono state inflitte”. L’art. 14/10.1) prevede infatti che le sanzioni inflitte in relazione a gare di Coppa Italia e delle Coppe Regioni organizzate dai Comitati Regionali si scontano nelle rispettive competizioni. A tal fine le competizioni di Coppa Italia si considerano tra loro distinte in ragione delle diverse Leghe organizzatrici delle singole manifestazioni. L’art. 14/10.3) chiude: “Le medesime sanzioni inflitte in relazione a gare diverse da quelle di Coppa Italia e delle Coppe Regioni si scontano nelle gare dell’attività ufficiale diversa dalla Coppa Italia e delle Coppe Regioni”. Quest’ultimo riferimento in particolare ci conferma, ove ce ne fosse stato bisogno, che il caso specifico, posto alla attenzione di questa C.D., in cui è posto all’attenzione il rapporto tra Campionato Juniores e Campionato della prima squadra, non viene in rilievo la differenziazione di cui all’art. 14/10 C.G.S. tra Campionato e Coppa. Con il suo reclamo, la A.S.D. PALMANOVA afferma che “…sabato 17 settembre c.a. sono scese infatti contemporaneamente in campo le formazioni della Prix Tolmezzo Carnia, sia per il Campionato di Eccellenza sia per il Campionato Regionale Juniores…riteniamo pertanto che il suddetto giocatore non possa aver scontato la squalifica nella gara Juniores se nello stesso tempo e orario prendeva parte alla gara di Eccellenza”. Tale affermazione non è vera, tant’è che la gara valida per il campionato Regionale Juniores tra Prix Tolmezzo Carnia e Pagnacco si è tenuta il giorno 17 settembre, mentre la gara valida per il campionato di Eccellenza tra Capriva e Prix Tolmezzo Carnia si è svolta il 18 settembre 2005. Ma anche nel caso in cui le due gare si fossero svolte nella stessa giornata solare, anche in contemporanea, anche in tal caso l’eccezione della reclamante sarebbe comunque rimasta priva di fondamento dopo la intervenuta abrogazione del comma 13 dell’art. 17, che prevedeva che “la squalifica irrogata impedisce al tesserato di svolgere qualsiasi attività sportiva in ogni ambito federale per il periodo di squalifica, intendendosi per tale, nelle squalifiche per una o più giornate di gara, le giornate in cui disputa gare ufficiali la squadra indicata al comma 3” (ovvero la squadra in cui militava il tesserato al momento in cui ha commesso i fatti che gli sono valsi la squalifica). Con tale abrogazione, perde significato anche il riferimento al “lasso temporale”, richiamato dalla reclamante, nelle squalifiche per una o più giornate di gara. GIURISPRUDENZA Decisione Comm.Disciplinare FVG Alla luce di un tanto, pur ritenendo che il dato letterale della normativa vigente, per quanto poco lineare, in verità, sia sufficiente a dirimere la questione, la C.D. ritiene di approfondire la problematica ed affrontare più compiutamente la questione evidenziando, in particolare, come la pronuncia della Corte Federale richiamata dalla reclamante sia, in parte, irrilevante per essere stato abrogato il 13 comma dell’art. 17 C.G.S., in altra parte, invece, convinca ulteriormente questa C.D. a rigettare il reclamo presentato. La A.S.D. PALMANOVA rileva nel suo reclamo che “la Corte Federale con Comunicato n. 12 d.d. 12.01.04 esprime il parere e parla di squalifica espiata lungo il ‘lasso temporale’”. Ebbene, ricordato che la Corte Federale, tra i suoi compiti istituzionali ha quello di dare le corrette interpretazioni alle norme statutarie e regolamentari, vediamo che con la pronuncia in oggetto la C.F. era stata interessata di valutare, tra l’altro, la possibilità di utilizzare nelle gare della prima squadra il calciatore partecipante al Campionato Juniores (tanto in quota che fuori quota) che sia stato squalificato in tale competizione. Con riferimento alla triplice ipotesi di squalifica a fine campionato: a) di calciatore fuori quota; b) di calciatore originariamente in quota, che, però, nella stagione successiva non rientri più nei limiti di età fissati per la categoria Juniores; c) di calciatore partecipante originariamente al Campionato Allievi, che nella stagione successiva ecceda i limiti di età fissati per la categoria, la C.F. ha avuto responso unanime nel senso della necessità che la pena inflitta al calciatore debba essere dallo stesso effettivamente scontata nella stagione successiva, nella squadra di sua militanza, ed in gare omogenee (e, quindi, tipologicamente corrispondenti) a quelle nelle quali era maturata la condotta punita. Fermo restante il principio per cui “le norme sanzionatorie dell’ordinamento federale vanno interpretate ed applicate nel senso che producano un qualche effetto piuttosto che nessuno”, la C.F. segnalava il pericolo che si potesse consentire “alla eterogeneità delle gare della stagione successiva rispetto a quella della stagione precedente da cui trasse origine la squalifica di fungere da strumento di pratica elusione della pena e, quindi, di frustrazione delle finalità, sia afflittiva che deterrente, che la norma federale assegna al sistema sanzionatorio”. In altri termini, la C.F. non vuole che lo Juniores possa scontare la squalifica in gare diverse dal campionato in cui ha subito la sanzione. Così, solo “qualora non ricorra, per le ragioni anzidette, il carattere di omogeneità tra la gara del passato incriminata e gare attuali, la squalifica va scontata in qualunque tipo di gara disputata dalla società di attuale appartenenza del calciatore. L’unico, intuitivo limite alla operatività di tale GIURISPRUDENZA Decisione Comm.Disciplinare FVG principio, in perfetta coerenza con quanto già affermato da questa Corte (vedi Com. Uff. n.5/Cf della stagione 2000/2001), è quello della separatezza tra gare di campionato e gare di coppa: rispetto ad esse – per le ragioni analiticamente enunciate nel parere di questa Corte da ultimo citato – il criterio di effettività della pena deve ragionevolmente cedere alla logica garantista che permea di sé la pronuncia in esame, dalla quale non v’è, ne è stato prospettato, motivo di discostarsi nella presente sede”. In conclusione: solo la squalifica a tempo determinato copre tutto il “lasso temporale” per ogni tipo di competizione. Diversamente, parlando ora solo delle squalifiche per una o più giornate di gara, come per il caso di specie, si distingue come segue: se maturate in gare di Coppa fanno storia a sé e vanno scontate solo in gare di Coppa, salvo che nella stagione successiva la società (vecchia o nuova) non si iscriva al detto torneo, nel qual caso si scontano in gare di campionato; le squalifiche maturate in gare diverse dalla Coppa devono essere scontate in campionato; le squalifiche maturate in campionato devono essere scontate nello stesso campionato; le squalifiche maturate alla fine del campionato, che travalichino la durata del campionato, si trasmettono al campionato successivo e vanno scontate nello stesso campionato o in campionato a questo omogeneo (prima squadra di una società è omogeneo a prima squadra della nuova società, anche se in diversa categoria; regionale juniores è omogeneo a provinciale juniores; allievi è omogeneo a juniores), e ciò indipendentemente dall’avervi partecipato “in quota” o “fuori quota”. Così, la squalifica per due giornate inflitta al calciatore Galante nel campionato regionale juniores va scontata nel campionato regionale juniores, e non nel campionato di prima squadra. Il fatto che la gara Juniores sia stata giocata o meno nella stessa giornata della gara di Eccellenza non significa più nulla. Ne deriva che il reclamo è infondato. P.Q.M. La C.D. respinge il reclamo perché infondato e omologa la gara con il risultato maturato sul campo di 5-1. Dispone l’incameramento della tassa reclamo. GIURISPRUDENZA Il caso “Genoa” FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO COMUNICATO UFFICIALE N. 13/Cf (2005/2006) La Corte Federale, composta dai Signori: Dott. Pasquale de LISE – Presidente Dott. Emidio FRASCIONE - Componente Prof. Carlo MALINCONICO – Componente Prof. Alessandro PAJNO - Componente Prof. Mario SANINO - Componente Prof. Mario SERIO - Componente assistita per la Segreteria dall’Avv. Ludovico Capece, nella riunione, tenuta in Roma il 22 marzo 2006, ha adottato la decisione, la cui motivazione, qui di seguito si trascrive. PARERE INTERPRETATIVO AI SENSI DELL’ART. 22, COMMA 1, LETT. a), CODICE DI GIUSTIZIA SPORTIVA RICHIESTO DALLA COMMISSIONE D’APPELLO FEDERALE IN ORDINE A DECISIONI DISCORDI ED INCONCILIABILI ADOTTATE DA ORGANI DISCIPLINARI IN TEMA DI ESECUZIONE DELLE SANZIONI 1. Nel corso della gara del Campionato di serie C/1 Ravenna-Genoa quest’ultima società impiegava il calciatore Ghomsi Antonio, che risultava ancora destinatario di un provvedimento di squalifica per due giornate effettive di gara nel corso del Campionato Primavera 2004/2005 allorchè militava nella società Salernitana, e che aveva scontato una delle due giornate di squalifica in occasione dell’incontro Salernitana-Lecce del 30 aprile 2005. Con deliberazione adottata nella seduta del 5 settembre 2005 il Giudice Sportivo, dopo aver osservato che il calciatore Ghomsi non aveva scontato la residua giornata di squalifica inflittagli, riteneva che ricorressero nella fattispecie le condizioni di cui all’art. 17, comma 6, Codice di Giustizia Sportiva, secondo il quale le squalifiche non scontate nella stagione sportiva in cui sono GIURISPRUDENZA Il caso “Genoa” state inflitte devono essere scontate nella stagione successiva; che il principio era valido anche nel caso di trasferimento di società, e che le giornate di squalifica residue andassero scontate in occasione delle gare ufficiali nelle quali era impegnata la prima squadra della nuova società di appartenenza. Il Giudice Sportivo riteneva, pertanto, che occorreva far applicazione della disposizione sanzionatoria di cui all’art. 12, comma 5, lett. a), C.G.S., ed infliggeva alla società Genoa la punizione sportiva della perdita della gara, ed al calciatore interessato un’ammonizione. Con decisione emessa nella seduta del 23 settembre 2005 la Commissione Disciplinare della Lega Professionisti Serie C accoglieva il reclamo proposto dalla società Genoa avverso la deliberazione del Giudice Sportivo e revocava la punizione sportiva della perdita della gara Ravenna-Genoa, nonchè la sanzione dell’ammonizione inflitta al calciatore Ghomsi Antonio. A tale esito la Commissione Disciplinare perveniva anche sulla scorta di precedenti pronunce della Corte Federale (C.U. n. 5/Cf - riunione del 15 marzo 2001 e C.U. n. 12/Cf -riunione del 18 dicembre 2003) sostanzialmente affermando che: a) la disposizione di cui all’art. 12, comma 6 (ora art. 17, comma 6) non introdurrebbe deroga al generale principio che le sanzioni subite in gara di Coppa Italia debbano essere scontate in gare di Coppa Italia; b) l’ultima parte del comma 6 sarebbe “necessaria integrazione del disposto del primo periodo del primo comma, il quale non disciplina l’ipotesi di cambio di società da parte del calciatore nel corso della stagione o di quella successiva”; c) la deroga espressa dall’art. 12, comma 6, riguarderebbe “esclusivamente quella parte del comma 3 con la quale si stabilisce che le sanzioni vanno scontate nelle gare ufficiali della squadra per la quale il calciatore giocava, ma non certamente il generale principio della separatezza delle competizioni ai fini dell’esecuzione delle sanzioni di squalifica o di inibizio ne”; d) il calciatore Ghomsi, che aveva disputato una gara del Campionato Primavera riportando la squalifica, avrebbe dovuto scontare il residuo turno di squalifica “non già nel campionato di competenza col Genoa, sua nuova società, ma nelle omogenee gare disputate dalla società di serie C/1 del Campionato Nazionale Berretti”. Su appello della società Ravenna Calcio, la Commissione d’Appello Federale, nella seduta del 12 dicembre 2005 (C.U. n. 22/C del 13 dicembre 2005) ha, peraltro, sospeso il procedimento e ritenuto di dover richiedere alla Corte Federale un parere interpretativo sulle norme che regolano l’esecuzione delle sanzioni comminate in relazione a gare disputate in campionati diversi e in stagioni sportive successive. La questione, infatti, già esaminata in modo discorde ed inconciliabile GIURISPRUDENZA Il caso “Genoa” dal Giudice Sportivo e dalla Commissione Disciplinare presso la L.P.S.C, renderebbe indispensabile la pronuncia della Corte Federale. Con nota del 17 gennaio 2006 la C.A.F. ha pertanto rimesso gli atti alla Corte Federale. 2. L’art. 17 del vigente Codice di Giustizia Sportiva pone, come è noto, una serie di disposizioni riguardanti, in generale l’esecuzione delle sanzioni inflitte dall’Autorità sportiva. In particolare, l’art. 17, comma 3, dispone «che il calciatore colpito da squalifica per una o più giornate deve scontare la sanzione nelle gare ufficiali della squadra nella quale militava quando è avvenuta l’infrazione che ha determinato il provvedimento, salvo quanto previsto nel comma 6». Il successivo art. 17, comma 6, precisa, poi, che «le squalifiche che non possono essere scontate in tutto o in parte, nella stagione sportiva in cui sono state irrogate, devono essere scontate, anche per il solo residuo, nella stagione o nelle stagioni successive. Nel caso in cui il calciatore colpito dalla sanzione abbia cambiato società, anche nel corso della stagione, la squalifica è scontata, in deroga al comma 3, per le residue giornate in cui disputa gare ufficiali la prima squadra della nuova società di appartenenza, ferma la distinzione di cui all’art. 14, comma 10, nn. 1 e 3». L’art. 14, comma 10.1, precisa infine che le sanzioni di cui al comma 1, lett. a), b), c), d), f) con squalifiche inflitte dagli organi di giustizia sportiva «in relazione a gare di Coppa Italia o delle Coppe Regioni organizzate dai Comitati regionali si scontano nelle rispettive competizioni». L’art. 14, comma 10.3, dispone infine che «le medesime sanzioni inflitte in relazione a gare diverse da quelle di Coppa Italia e delle Coppe Regioni si scontano nelle gare dell’attività ufficiale diversa dalla Coppa Italia e delle Coppe Regioni». 3. Tale essendo il quadro normativo in cui si inserisce il quesito prospettato, la Corte osserva che l’art. 17, comma 3, C.G.S. obbedisce allo scopo di identificare l’ambito oggettivo-temporale di espiazione della sanzione da parte del calciatore che l’ha riportata, e quindi, delle gare nelle quali tale sanzione deve essere scontata. Esse sono normalmente le “gare ufficiali”, della “squadra” nella quale il calciatore militava quando è avvenuta l’infrazione. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, il problema dell’identificazione dell’ambito oggettivo-temporale di esecuzione della sanzione è stato dalla norma risolto alla stregua del principio della separatezza delle competizioni in ambito federale (C.U. n. 2/Cf – riunione del 17 luglio 1998) e di quello, speculare, della necessaria inerenza della sanzione stessa alla competizione in cui ha avuto origine la condotta punibile, sicchè la sanzione deve, normalmente, essere espiata nelle gare disputate dalla squadra in cui il calciatore squalificato militava al momento GIURISPRUDENZA Il caso “Genoa” dell’infrazione, ed all’interno della competizione o del torneo in cui la condotta si è manifestata (C.U. n. 13/Cf – riunione del 22 maggio 2003). In questo contesto un rilievo significativo deve essere attribuito alla locuzione “squadra” (alla quale fanno riferimento le gare ufficiali in cui va scontata la squalifica), contenuta nell’art. 17, comma 3, la cui utilizzazione deve essere considerata frutto di una significativa scelta consapevole, posto che il successivo art. 17, comma 6, utilizza la locuzione in questione -ed in particolare quella di prima squadra- come distinta da quella di società di appartenenza. Deriva da ciò che, nell’ambito dell’art. 17, comma 3, l’espressione “squadra” appare volta ad indicare non tanto, genericamente, la società di appartenenza del calciatore, quanto piuttosto la specifica “formazione”, lo specifico “team” di quella società che partecipa ad una determinata competizione (la squadra della società che partecipa ad una determinata competizione). In tal modo intesa, la parola “squadra” indica, pertanto, oltre che l’appartenenza ad una certa società, il riferimento ad una determinata competizione; è quindi esso ad esprimere il riferimento al principio di separazione delle competizioni e di inerenza della sanzione alla competizione in cui si è verificata la condotta punibile. E’, d’altra parte, proprio in tale logica che questa Corte, escludendo la possibilità di una ipostasi tra il termine “squadra” e quello “società”, ha già affermato che alla locuzione “gare ufficiali della squadra nella quale militava” il calciatore sanzionato non può che attribuirsi il senso proprio fatto palese dalle parole usate, e cioè che il precetto si riferisce soltanto alle gare ufficiali disputate dalla squadra di appartenenza del calciatore nell’ambito della manifestazione in cui si svolse la condotta punita (C.U. n. 13/Cf – riunione 22 maggio 2003). 4. Se dunque l’art. 17, comma 3, pone la regola generale sopra ricordata, occorre, peraltro, avvertire che tale regola non è l’unica che disciplina la determinazione dell’ambito oggettivotemporale di esecuzione della sanzione. Lo stesso art. 17, comma 3, si preoccupa, infatti, di chiarire espressamente che ne esiste un’altra, quando, dopo aver descritto la regola generale, espressamente, aggiunge che essa opera «salvo quanto previsto nel comma 6». Tale inciso, contenuto nell’art. 17, comma 3, obbedisce allo scopo di rendere palese che, accanto alla regola generale in forza della quale la sanzione va scontata dal calciatore colpito da squalifiche «nelle gare ufficiali della squadra nella quale militava quando è avvenuta l’infrazione che ha determinato il provvedimento», ve ne è un’altra, rispetto ad essa diversa e derogatoria, contenuta nel successivo comma 6. GIURISPRUDENZA Il caso “Genoa” L’art. 17, comma 6, C.G.S. contiene, per la verità, non una ma più regole, la forma delle quali, non ha, rispetto alla regola generale, valore derogatorio, ma valore aggiuntivo. L’art. 17, comma 6, prima parte, pone infatti in obbedienza al principio di effettività, la regola della ultrattività della sanzione oltre la stagione sportiva, precisando che la stessa deve essere scontata, ove non sia possibile che ciò avvenga nella stagione in cui è stata irrogata, anche per il solo residuo, nella stagione successiva. L’art. 17, comma 6, seconda parte, pone invece una speciale disposizione per il caso in cui il calciatore colpito abbia cambiato società, e ciò sia per l’ipotesi che il trasferimento sia avvenuto nel corso della stagione che al termine di essa. Per entrambe tali ipotesi -e cioè per ogni ipotesi di trasferimento-l’art. 17, comma 6, introduce la nuova e diversa regola, rispetto a quella generale prevista nell’art. 17, comma 3: “in deroga” a tale disposizione, la sanzione deve essere scontata “per le residue giornate in cui disputa gare ufficiali la prima squadra della nuova società di appartenenza”. La esplicita dizione legislativa evidenzia pertanto che, in base a tale (diversa e derogatoria) regola la sanzione residua del calciatore che sia stato trasferito, deve essere scontata: a) in gare ufficiali b) della “prima squadra" c) della “nuova società di appartenenza”. Nella dizione legislativa acquistano specifico rilievo significativo le espressioni “nuova società di appartenenza” e “prima squadra”, mentre l’uso contemporaneo delle parole “squadra” e “società” conferma come tali locuzioni non possano essere utilizzate sostanzialmente come sinonimi. In particolare, la locuzione “nuova società di appartenenza” è collegata con un effetto, per dir così, “naturale” del cambiamento di società e ad esso direttamente consequenziale, e cioè con il fatto che la sanzione non può più essere scontata nella vecchia società di appartenenza; l’espressione “prima squadra” della nuova società di appartenenza, è collegata, poi, con lo specifico contenuto precettivo della nuova regola, rispetto a quella generale espressa dall’art. 17, comma 3, e cioè con il fatto che la squalifica non potrà, a seguito del trasferimento, essere scontata nella squadra che partecipa alla competizione in cui si è verificata la condotta sanzionata, ma, appunto, nella “prima squadra”. Risulta, così, evidente che, con l’art. 17, comma 6, si è inteso individuare, per l’ipotesi di cambiamento di società, anche nel corso della stagione, del calciatore colpito dalla sanzione, una regola speciale, derogatoria, rispetto a quella generale posta dall’art. 17, comma 3, il cui contenuto, GIURISPRUDENZA Il caso “Genoa” derogatorio , non sta tanto nella circostanza che la squalifica è scontata in una società diversa da quella per la quale il calciatore giocava quando è stato sanzionato (questo è, infatti, un effetto naturale del trasferimento), quanto, piuttosto, nel fatto che tale sanzione è comunque scontata nella “prima squadra”. L’espressione della norma, alla stregua della quale in caso di cambiamento di società la squalifica è scontata, in deroga al comma 3 per le residue giornate «in cui disputa gare ufficiali la prima squadra della nuova società» suppone evidentemente che quest’ultima abbia più squadre che disputino diverse competizioni. Come, pertanto, alla locuzione gare ufficiali della squadra nella quale militava, di cui all’art. 17, comma 3, non può attribuirsi altro significato che il senso proprio delle parole usate, e cioè gare ufficiali disputate dalla squadra nell’ambito della manifestazione in cui si svolse la condotta punita (C.U. n. 13/Cf), così deve ritenersi che con la locuzione utilizzata nell’art. 17, comma 6, si sia inteso far riferimento a gare ufficiali disputate dalla formazione della (nuova) società di appartenenza nella più elevata delle competizioni. Il contenuto concettuale dell’espressione “prima squadra” va infatti ricercato nel collegamento della medesima con la più elevata delle competizioni o manifestazioni a cui partecipa la medesima: come, infatti, la parola squadra indica, nell’art. 17, comma 3, il collegamento con la manifestazione in cui si è verificata la condotta lesiva, così l’espressione “prima squadra”, utilizzata nell’art. 17, comma 6, non può che indicare, nell’introdurre la deroga pronunciata al comma 3, il collegamento con la manifestazione più elevata disputata. L’art. 17, comma 6, introduce, pertanto, una deroga al principio affermato nel comma 3 allo scopo di garantire l’effettività e l’afflittività della sanzione dopo l’eventuale cambiamento di società del calciatore, nelle gare ufficiali disputate dalla squadra della nuova società che partecipa alla più elevata delle competizioni. 5. L’art. 17, comma 6, precisa peraltro che, nel caso di trasferimento del calciatore ad altra società rispetto a quella per la quale era tesserato all’epoca della condotta punita, la sanzione è scontata, in deroga al comma 3, per le residue giornate in cui disputa le gare ufficiali la prima squadra della nuova società di appartenenza, «ferma la distinzione di cui all’art. 14, comma 10, nn. 1 e 3». La deroga introdotta con l’art. 17, comma 6, trova pertanto un limite nella cennata distinzione. GIURISPRUDENZA Il caso “Genoa” Ora, l’art. 14, comma 10.1, pone la regola che le sanzioni ivi indicate inflitte in relazione a gare di Coppa Italia e delle Coppe Regioni si scontano nelle relative competizioni; l’art. 14, comma 10.3, pone la regola che tali sanzioni, se inflitte in relazione a gare diverse da quelle di Coppa Italia e delle Coppe Regioni si scontano nell’attività diversa dalla Coppa Italia e dalla Coppa Regioni. La distinzione posta dall’art. 14, comma 10, nn. 1 e 3, è quindi quella fra competizioni di Coppa Italia e delle Coppe Regioni, da una parte, e tutte le gare relative alle competizioni ufficiali diverse, dall’altra. Consegue da ciò che la speciale disposizione di cui all’art. 17, comma 6, deve essere intesa nel senso che la stessa prescrive, in deroga a quanto prescritto dal comma 3, che, nel caso in cui il calciatore colpito da sanzione sia stato trasferito, la squalifica è scontata nella squadra della nuova società che partecipa alla più elevata delle competizioni, fermo restando, comunque, che le sanzioni inflitte in Coppa Italia o nella Coppa Regioni devono essere scontate in Coppa Italia o in Coppa Regioni e che quelle inflitte in tutte le altre competizioni diverse dalla Coppa Italia (o dalla Coppa Regioni), non possono essere scontate in Coppa Italia e in Coppa Regioni. In tal modo intesa, la disposizione appare ispirata all’esigenza di garantire l’afflittività della sanzione anche nel caso di trasferimento del giocatore sanzionato ad altra società, con la previsione, derogatoria rispetto alla regola generale, che la sanzione deve essere scontata nella competizione più rilevante a cui partecipa la nuova società; la stessa norma ha, tuttavia inteso garantire il rispetto della distinzione tra le competizioni relative alla Coppa Italia (o alle Coppe Regioni), ed il resto dell’attività ufficiale delle società, di modo che una sanzione conseguita in Coppa Italia non possa essere comunque scontata in una competizione riguardante l’attività ufficiale diversa dalla Coppa Italia ed una sanzione inflitta in una qualunque delle competizioni diverse dalla Coppa Italia non possa essere scontata in quest’ultima. Quella sopra ricordata sembra essere d’altra parte la più ragionevole interpretazione dell’art. 17, comma 6, dal momento che ogni diversa interpretazione realizzerebbe una vera e propria disapplicazione della norma del Codice di Giustizia Sportiva. In particolare, una diversa interpretazione farebbe venir meno il carattere “speciale” e “derogatorio” della norma di cui all’art. 17, comma 6, dal Codice di Giustizia Sportiva espressamente sottolineato, finendo con l’applicare, al caso di sanzione da scontarsi, da parte del GIURISPRUDENZA Il caso “Genoa” giocatore trasferito, la stessa regola generale posta dall’art. 17, comma 3 che richiede che la sanzione sia scontata nella competizione in cui si è verificata la condotta punibile. E’ evidente, infatti, in primo luogo, che la deroga posta dall’art. 17, comma 6, per l’ipotesi di trasferimento del giocatore non può riguardare il principio secondo il quale il calciatore colpito da squalifica non può scontare la sanzione nelle gare ufficiali della società per la quale giocava, quando ha commesso l’infrazione, apparendo questo un esito del tutto naturale rispetto all’avvenuto trasferimento. In secondo luogo, deve essere ricordato che alla locuzione “squadra” utilizzata dall’art. 17, comma 3, deve essere attribuito, come si è visto, il valore dell’indicazione di un collegamento con la competizione in cui si è verificata la condotta illecita; la “deroga” prevista dalla diversa norma posta per il caso di squalifica da scontarsi da parte del calciatore trasferito, non può che riguardare, pertanto, il cennato collegamento. In terzo luogo, un’interpretazione diversa da quella sopra indicata, finirebbe con lo svuotare di contenuto il riferimento alla “prima squadra” che costituisce invece il punto centrale della speciale disciplina posta dall’art. 17, comma 6, C.G.S.. 6. L’interpretazione della speciale disposizione di cui all’art. 17, comma 6, C.G.S. non confligge con la pronuncia della Corte di cui al C.U. n. 2/Cf del 21 luglio 1998, che riguardava il principio di separazione delle competizioni, al quale è ispirata la regola generale di cui all’art. 17, comma 3. Non si pone in conflitto con la cennata interpretazione neanche la pronuncia di cui al C.U. n. 13/Cf, la quale riguardava la regola generale di cui all’art. 17, comma 3 (e non la disciplina speciale di cui all’art. 17, comma 6), e le cui conclusioni sono state richiamate, espressamente nella presente pronuncia. Quanto, poi, alla pronuncia della Corte di cui al C.U. n. 12/Cf del 12 gennaio 2004, essa, pur riguardando anche l’art. 17, comma 6, appare in realtà focalizzata non sull’identificazione della speciale disciplina, derogatoria rispetto a quella generale, da applicarsi nel caso di trasferimento del calciatore colpito da sanzione, ma sulla soluzione di una serie di quesiti specifici riguardanti squalifiche inflitte in una stagione sportiva e non scontate nella medesima. Sembra, invece, muoversi in una direzione almeno in parte diversa la pronuncia di cui al C.U. n. 5/Cf del 15 marzo 2001, la quale, senza affrontare la questione del valore da attribuire alla GIURISPRUDENZA Il caso “Genoa” locuzione “squadra” nell’art. 17, comma 3, e “prima squadra” nell’art. 17, comma 6, sembra ritenere che la deroga introdotta da tale disposizione riguardi soltanto il principio secondo il quale il calciatore colpito da squalifica deve scontare la sanzione nelle gare ufficiali della squadra per la quale egli giocava quando ha commesso l’infrazione. Le ragioni sopra diffusamente esposte inducono, peraltro, la Corte a ritenere preferibile l’interpretazione qui prospettata; tuttavia la delicatezza della materia trattata e la presenza di pronunce fra loro contrastanti dei giudici sportivi e, nei limiti indicati, della stessa Corte Federale, inducono a ritenere urgente un intervento normativo vòlto ad introdurre una disciplina chiara e pienamente coordinata. P.Q.M. La Corte Federale esprime il parere interpretativo che, nel caso di trasferimento di un calciatore, comma 6, la Codice squalifica Giustizia residua deve Sportiva, essere nelle gare scontata, ufficiali ai sensi disputate dell’art. dalla 17, prima squadra della nuova società, intesa come formazione che partecipa alla più elevata delle competizioni. IL PRESIDENTE Dott. Pasquale de Lise Pubblicato in Roma il 11 aprile 2006 IL SEGRETARIO IL PRESIDENTE Dott. Francesco Ghirelli Dott. Franco Carraro GIURISPRUDENZA