PAPÀ MI ACCOMPAGNI AL NIDO?…

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PAPÀ MI ACCOMPAGNI AL NIDO?…
vivere e condividere il nido
La figura paterna al nido
Atti convegno “Vivere e condividere il nido. La figura paterna al nido”.
Cooperativa Sociale Società Dolce soc. coop.
15 novembre 2008 – Ridotto del Teatro “G. Magnani”, Piazza Verdi 1 - Fidenza (PR).
Pubblicazione atti: giugno 2009
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SALUTO DELLE AUTORITÀ E
APERTURA DEI LAVORI
Pietro Segata
Presidente Cooperativa Sociale Società Dolce
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Giuseppe Cerri
Sindaco di Fidenza
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Annamaria Dapporto
Assessore alle Politiche Sociali ed Educative per l’Infanzia e
l’Adolescenza della Regione Emilia Romagna
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Gabriele Ferrari
Assessore alla Scuola della Provincia di Parma
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Stefania Miodini
Referente del Coordinamento Pedagogico Provinciale di Parma
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INTRODUZIONE
Caterina Segata
Responsabile Area Sede Infanzia Cooperativa Sociale Società Dolce
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1. I NIDI FIDENTINI COME LUOGO
D’INCONTRO E DI PENSIERO
PAPÀ MI ACCOMPAGNI AL NIDO?
Il nido visto dai papà. I papà visti dal nido.
Alessandra Sala
Ricercatrice Università degli Studi di Parma
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LA VOCE DAI SERVIZI
Manuela Lafiandra
Pedagogista e Coordinatore Responsabile Cooperativa Sociale Società Dolce
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2. LETTURE AL PLURALE
COORDINA IL TAVOLO
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Paolo Vaccaro
Responsabile Area Nord-Ovest Cooperativa Sociale Società Dolce
“…DAL PUNTO DI VISTA DEL BABBO…”
Paolo Nori
Scrittore
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DALL’APERTURA DEI PRIMI NIDI AD OGGI:
I CAMBIAMENTI SOCIALI E CULTURALI DELLA
FIGURA PATERNA
Mattia Toscani
Sociologo Università degli Studi di Parma
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L’EDUCATORE AL NIDO: RUOLO, FUNZIONI E GENERE.
UN’ESPERIENZA PERSONALE
Marco Fibrosi
Formatore e progettista interventi formativi
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CONCLUSIONI
Pinì Gennari
Coordinatore Pedagogico del Comune di Fidenza
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APPENDICE
PAPÀ MI ACCOMPAGNI AL NIDO?
Il nido visto dai papà. I papà visti dal nido.
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GALLERIA FOTOGRAFICA
I relatori
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Testimonianze fotografiche convegno
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SALUTO DELLE AUTORITÀ E
APERTURA DEI LAVORI
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SALUTO DELLE AUTORITÀ E
APERTURA DEI LAVORI
Pietro Segata
Presidente Cooperativa Sociale Società Dolce
Buongiorno.
Ringrazio tutti voi per essere presenti oggi, in questo seminario di approfondimento dal titolo
“Vivere e Condividere il Nido”.
Ogni anno cerchiamo di approfondire alcuni aspetti che coinvolgono le cooperative sociali nella
gestione dei servizi per la prima infanzia. Queste iniziative contribuiscono al successo e alla promozione di servizi che, in Emilia Romagna, sono fortemente radicati, ma che hanno bisogno tutti
i giorni di essere alimentati da una rete di relazioni e dalla fiducia che i fruitori e le famiglie dovrebbero avere nei confronti delle istituzioni che le propongono.
Il tema che oggi affronteranno i relatori è quello relativo alla figura paterna al nido, che ritengo
complesso e, nello stesso tempo, molto attuale. Cercando di entrare nel merito della questione si
può talvolta osservare come, nel momento della prima infanzia, il padre cerchi di nascondersi dietro la maggiore responsabilità che in questa fase di vita del bambino inevitabilmente grava sulla
madre. Un ruolo, quello del padre, che ancora oggi, spesso, emerge soltanto successivamente.
Penso che ci siano sicuramente barriere di natura culturale da superare e condizioni sociali ed
economiche che talvolta impongono questo “set” che vede la madre più impegnata e più presente nella vita del figlio e il padre più marginale, di contorno.
Ci sono ragioni di natura sociale ed economica per cui oggi, in una logica condivisa all'interno
della famiglia, si decide che ad astenersi dal lavoro è la madre, mentre il padre continua ad essere impegnato pienamente. La retribuzione in caso di astensione facoltativa risponde al 30% dello stipendio che una persona percepisce e questo è un grosso freno rispetto al fatto che in una
famiglia o in una coppia, il padre rinunci a gran parte della sua retribuzione per dedicare tempo
al proprio bambino.
Sono convinto che, se verranno rimossi alcuni vincoli e alcune barriere dal punto di vista culturale economico e sociale, sicuramente otterremo quello che è il vero rapporto di sussidiarietà tra il
padre e la madre nell'accompagnamento in queste prime esperienze d’incontro che hanno i nostri bambini con le istituzioni.
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Questa mattina ho il compito di introdurre i saluti delle autorità che ringrazio di essere qui oggi
con noi e che presento: il Sindaco di Fidenza Giuseppe Cerri, l’Assessore Regionale per l'infanzia
Annamaria Dapporto, Gabriele Ferrari, Assessore in Provincia e Stefania Miodini, nostro riferimento nel Coordinamento Provinciale.
Quest'anno abbiamo scelto Fidenza, dopo la positiva esperienza di Cesena, perché abbiamo
condiviso con l’Amministrazione Comunale un’esperienza molto soddisfacente.
Siamo riusciti a realizzare, in finanza di progetto, un servizio rivolto alla prima infanzia molto importante per il Comune: il nido d’infanzia “Il Girotondo”. É un'esperienza che ha visto entrambi i
protagonisti collaborare e cooperare alleati per ampliare questi servizi e riqualificare l’offerta.
Infatti, il nido d’infanzia “il Girotondo”, storico servizio per l'infanzia del Comune di Fidenza situato
in una zona centrale, ha visto una sua nuova vita dopo l'inaugurazione avvenuta a gennaio 2008.
Ringrazio tutti e passerei la parola al Sindaco di Fidenza.
Giuseppe Cerri
Sindaco di Fidenza
Buongiorno a tutti.
Un saluto particolare ad Annamaria Dapporto e a Gabriele Ferrari. Un ringraziamento particolare
alla Cooperativa “Società Dolce” che ha scelto Fidenza per svolgere questo convegno.
Questo è un importante momento d’incontro nel quale affronteremo un tema particolare e significativo che metterà in evidenza il ruolo del padre nell’educazione dei figli.
Verrà messo in rilievo anche un istituto fondamentale della nostra società che è la famiglia, vista
come nucleo significativo nel quale si fonda l’evoluzione e la storia dell’uomo e della società.
Oggi verrà approfondito il ruolo del padre all’interno di questo contesto, al di là di situazioni legislative e di carattere economico, che sono comunque sempre più preoccupanti nei giorni che
stiamo vivendo.
La famiglia ha bisogno di sostegni, non solo economici, per poter essere in grado di educare al
meglio i propri figli e di avere la possibilità di sviluppare serenamente i rapporti di convivenza all’interno del proprio nucleo.
Vorrei sottolineare l’impegno che l’amministrazione comunale sta facendo in questa direzione,
dimostrato in modo concreto, con l’apertura del nido “Girotondo”.
Il “Girotondo” è un nido d’infanzia che funziona e vorrei esprimere un apprezzamento ed un ringraziamento verso tutti gli operatori che operano all’interno delle nostre strutture e che svolgono con professionalità, capacità, impegno e dedizione la propria attività all’interno di questi servizi diventando, inoltre,
supporti necessari allo sviluppo dell’armonia e della collaborazione anche all’interno della famiglia.
Grazie.
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Annamaria Dapporto
Assessore alle Politiche Sociali ed Educative per l’Infanzia e l’Adolescenza della
Regione Emilia Romagna
Buongiorno a tutti. Saluto il Sindaco di Fidenza, Giuseppe Cerri, le autorità presenti e tutti i partecipanti. Con interesse per il tema proposto ho accolto l’invito del Presidente della Coop.va Dolce
Pietro Segata.
Il convegno di oggi affronta da una prospettiva, direi originale, il tema delle politiche famigliari e
della rete dei servizi dedicati alla prima infanzia. Il tema dell’educazione dei figli, soprattutto nei
primi anni di vita, è in genere strettamente legato al ruolo e alla figura femminile.
In questi ultimi anni, mutamenti sociali e culturali hanno sviluppato una maggiore consapevolezza e coinvolgimento del ruolo maschile nell’educazione dei bambini. Per fortuna, nelle famiglie di
oggi la figura maschile è maggiormente coinvolta e partecipe nella crescita dei propri figli. Ciò
rappresenta una conquista culturale e pedagogica, in quanto è dimostrata l’importanza per la formazione dei bambini di avere già nei primi anni di vita una figura maschile di riferimento.
Personalmente, ritengo che anche il padre abbia un ritorno positivo da questa situazione. Per i padri, la relazione e il tempo passato con i propri figli, soprattutto nei primi anni di vita, sono un momento di tenerezza, di gratificazione, di amore di cui devono fare tesoro e custodire nel proprio
cuore, perché irripetibili. Su questo avremo modo di ascoltare i contributi nel corso della mattinata.
Venendo al tema dei servizi e della figura paterna, ci tengo a sottolineare come nella nostra regione dagli anni 90 i servizi per l'infanzia furono individuati come ambiti nei quali prestare un'attenzione particolare alla valorizzazione delle differenze, anche quelle di genere, facendo della
pedagogia interculturale un’occasione per aumentare la consapevolezza delle potenzialità connesse all’esercizio della paternità e maternità nella sua specifica e originale espressione.
Le prime considerazioni da cui prese spunto la riflessione furono le stesse, ancora valide oggi,
che una maggiore partecipazione degli uomini alla cura e all’educazione dei bambini comporta
modificazioni nella definizione dei ruoli che vanno senza dubbio rinegoziati, ma non implica la
fusione in un'unica identità dove la dominanza sia quella materna, con un profilo, quello del padre, che si trasforma nel cosiddetto “mammo”.
In alcuni comuni dove da più tempo si erano avviati servizi e avevano già consolidato un progetto
pedagogico, la Regione Emilia-Romagna propose la costituzione di gruppi misti (padri, educatori,
coordinatori pedagogici e madri, educatrici, coordinatrici pedagogiche) disponibili a riflettere, a
partire dalla propria appartenenza di genere, ma anche dalla esperienza della maternità e paternità, per molti appena inaugurata, sugli elementi comuni o sulle diversità sperimentate, mettendo
dapprima in comune i vissuti all'interno di incontri "dialogati" tra maschi e femmine, e poi condi-
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videndoli in gruppi misti allargati alla presenza di un coordinatore esperto esterno ai servizi.
Mentre i progetti hanno trovato nel tempo diverse modalità di realizzazione, nel 2000 gli effetti
del fermento, prodotto anche con iniziative di questo genere, hanno consentito la nascita della
legge n. 53 recante “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”, la cui applicazione rimane
ancora oggi una sfida aperta a tutti i soggetti istituzionali e non, coinvolti in queste tematiche.
Certo l’evento odierno dà continuità a questa riflessione e la rende matura ad un confronto anche nei centri per le famiglie che nel frattempo hanno perfezionato i loro interventi sul tema del
sostegno alla genitorialità, facendo dei servizi per la prima infanzia e dei centri luoghi di elaborazione culturale attorno alla crescita e all'educazione dei bambini e delle bambine.
Pietro Segata
Presidente Cooperativa Sociale Società Dolce
L’assessore Dapporto con il suo intervento mi ha ricordato che spesso i papà che hanno perso
l’occasione di dedicare tempo ai propri figli successivamente rimpiangono il tempo perduto e
più tardi, quando diventano nonni, si concentrano con grande entusiasmo e maggiore consapevolezza sui nipoti.
Vorrei ricordare che “l’anno in famiglia” è un contributo che coincide con l’astensione facoltativa
e quindi è un contributo economico che può essere utilizzato nel caso si faccia la scelta, per il
primo anno di vita, di tenere il bambino in famiglia.
Questo contributo è stato esteso anche ai padri e non solo alle madri provocando un “salto” culturale di rilievo. È una formula che può permettere ad una famiglia di non essere deprivata del
proprio reddito perché va a integrare quello a disposizione.
Gabriele Ferrari
Assessore alla Scuola della Provincia di Parma
Un saluto e un ringraziamento al Presidente Segata e alla Cooperativa “Società Dolce” per questo
appuntamento importante. Un saluto particolare al Sindaco Giuseppe Cerri e all’Assessore regionale Dapporto. Un ringraziamento particolare alla dott.ssa Miodini per il prezioso lavoro svolto
insieme a tutti i componenti del coordinamento pedagogico provinciale e dei coordinamenti
territoriali e comunali. Temo che tra un po’ la perderemo poiché sarà a breve destinata ad un in12
carico importante in una ASP della provincia, ma credo che nel suo caso la competenza e la qualità saranno sufficienti a sopperire il minor tempo a disposizione.
Questo convegno propone un tema molto bello che mi ha fatto pensare ad alcuni episodi della
mia vita. Ho un figlio grande, perciò appartengo a quella generazione di padri che hanno sempre detto: “l’importante con i figli è avere un rapporto qualitativo, non quantitativo”; una scusa banale che ci raccontiamo e che le madri sono brave a confutare.
Ho bei ricordi perché quando mio figlio era piccolo presi un mese di aspettativa ed ho avuto l’occasione di far tutto ciò che di solito fanno solo le madri. È stato il mese più importante della mia vita perché è stata l’occasione di stare davvero in sintonia con un figlio, quello che a noi padri manca tanto.
Questa riflessione, che mi capita per la prima volta di affrontare in un convegno, credo sia legata
ad un tema davvero importante. Negli ultimi anni le cose sono cambiate nel senso che i padri sono molto più presenti di quanto non lo fossero un tempo.
Non c’è dubbio che la madre oggi sia ancora il componente della coppia che sopporta in tutti i
sensi il carico maggiore; credo, però, che il fatto di discutere del ruolo paterno sia una modalità
per eliminare, o almeno cercare di ridurre, alcuni stereotipi ed affrontare in modo profondo l’importanza per un bambino di avere presenti i due componenti della famiglia.
Grazie alla buona collaborazione con la regione, ma soprattutto con le amministrazioni locali, i
comuni e coloro che operano in questo settore, in questi ultimi anni, sono state investite circa
quattro milioni di risorse destinate a questo territorio.
Sono stati aperti ed allargati servizi per 600 bambini in più, un investimento strategico e importante per la famiglia e per nostro il futuro perché quello che facciamo per i nostri bambini nella
prima fase della vita sarà per loro fondamentale nel corso della crescita.
Il tema scelto è fortemente educativo e straordinariamente importante dal punto di vista formativo ed educativo.
L’asilo nido è un servizio che ha una valenza importane per le famiglie che devono avere la possibilità di accedervi per poter, ad esempio, consentire al padre e alla madre di andare a lavorare,
cosa sempre più complicata oggi dato che le reti parentali sono cambiate nel tempo.
È mia intenzione sottolineare che nel nostro territorio l’obiettivo è quello d’investire sempre più
risorse in questo ambito e il vostro è quello per cui vi siamo sempre grati.
Pietro Segata
Presidente Cooperativa Sociale Società Dolce
Ringrazio l’assessore perché quando ho letto il tema del convegno ho cercato di ricordare quali
furono stati i momenti trascorsi con mio figlio quando era molto piccolo, rivivendo nella mia
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mente anche i momenti critici, quelli in cui si è soli e si deve cercare di risolvere ogni tipo di problema legato alla gestione della vita familiare.
Cedo la parola a Stefania Miodini che ci ha accompagnati in tante iniziative; il suo intervento farà
da introduzione all’approfondimento tecnico che verrà affrontato oggi.
Grazie.
Stefania Miodini
Referente del Coordinamento Pedagogico Provinciale di Parma
Buongiorno a tutti.
Anch’io sento, non tanto l’obbligo, ma la volontà di ringraziare sia la Cooperativa “Società Dolce”
che l’Amministrazione per poter essere qui con voi oggi come riferimento del coordinamento
pedagogico provinciale che ho accompagnato per circa quattro anni di attività.
È stato un accompagnamento periodico dato che prima svolgevo un altro incarico come responsabile dei servi sociali, ma devo dire che i due ambiti non sono così incompatibili.
In realtà l’uno ha travasato l’altro e, anzi, credo che l’esperienza del lavoro di coordinamento pedagogico mi abbia permesso, rispetto al mio ruolo di responsabile dei servizi sociali, di tener
conto maggiormente di tutta una parte di servizi che comunque non sono legati strettamente al
sociale perché sono “normali”, ma dove comunque inizia l’attività del percorso lavorativo e dove
si può anche prevenire tutto quello che poi può accadere in tempi successivi.
Rispetto all’attività dei nidi abbiamo potuto, e credo che nel distretto di Fidenza siano state fatte
proprio delle esperienze molto interessanti in questo senso, vivere in modo più corposo quello
che la regione ci ha indicato e di mettere insieme, nell’attività dei piani zona, tutti i settori comprendendo sia il sociale che l’educativo.
Mi viene da citare il progetto “teniamoci per mano”: è un progetto importante, nato qui a Fidenza, anche se esisteva prima dei piani di zona, che in questi ultimi anni è stato valorizzato e riconosciuto proprio come percorso che diventa preventivo rispetto al futuro.
Questo modo di percepire l’attività all’interno dei sevizi credo che sia entrato nel coordinamento
pedagogico e che questo di conseguenza abbia permesso a livello provinciale d’iniziare a lavorare maggiormente in questa direzione, non perché sia un impegno “impossibile”, ma perché i
tempi e i modi dell’ambito sociale spesso fanno fatica ad incontrarsi.
Credo che questa modalità sia permeata anche se rimane faticosamente operativa nei territori
più vasti.
Questo aspetto, che ha caratterizzato un po’ il lavoro di questi anni del coordinamento, non è l’unico. Ci si è occupati in questi anni di svolgere un lavoro importante nel mettere insieme istanze
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molto diverse che sono aumentate: mentre 20 anni fa quando è partito il coordinamento pedagogico sostanzialmente si poteva parlare solo di servizi pubblici, in questi ultimi anni si può parlare di progressiva collaborazione tra servizi pubblici e servizi privati e non solo: anche il privato
svolge la sua vita negli ambiti educativi.
Il coordinamento pedagogico negli ultimi anni ha fatto un grande sforzo per cercare di omogeneizzarsi, confrontarsi e lavorare in condivisione; negli ultimi 20 anni ognuno ha portato le proprie esperienze permettendo così un lavoro di gruppo costante, attivo e molto stimolante.
In occasione del convegno regionale, organizzato lo scorso anno in provincia di Parma, c’eravamo
orientati, come coordinamento pedagogico, principalmente su temi riguardanti le modalità di
relazione; tematiche queste ultime già affrontate al nostro interno tramite discussioni sui ruoli,
sulle funzioni dell’adulto nei confronti dei bambini, cercando di tener conto di tutte le diversità
legate ai ruoli genitoriali e culturali.
E’ un percorso appena intrapreso che porterà, forse, verso futuri momenti d’incontro a livello regionale che dovrebbero approfondire ulteriormente questi importanti temi.
Ad esempio, nel corso di una discussione con l’équipe del coordinamento pedagogico relativamente al significato di essere genitori è emersa la seguente riflessione, spunto poi d’ulteriore approfondimento: essere genitori è fare le stesse cose, essere uguali? Cosa vuol dire essere genitori cercando di esserlo insieme durante lo sviluppo e la relazione con il figlio, nel rapporto col nido e con le
strutture che “contaminano” la genitorialità in senso positivo? Essere mamme e papà vuol dire avere
gli stessi ruoli oppure assumersene diversi? Condividere tutto o permettersi degli spazi di differenza?
Questo è il nucleo della discussine ancora aperto oggi.
La relazione affettiva di due adulti che stanno insieme, nei confronti del loro bambino, non necessariamente deve essere espressa con le stesse modalità poiché, altrimenti, si genera confusione.
Un ruolo paterno e un ruolo materno coesistono e si completano accompagnandosi l’uno con
l’altro, cercando di mettere insieme quello che ad un bambino serve durante il processo educativo, sia dal punto di vista pedagogico, sia dal punto di vista psicologico e relazionale.
Vi lascio con queste piccole idee che si svilupperanno nella seconda parte della mattina e con un
breve racconto che nasce da un momento d’incontro del coordinamento pedagogico, che si sviluppa intorno ai ruoli paterni e materni.
Era una limpida e calda giornata di giugno quando venne alla luce il terzo figlio di Pataria e Ruc. Aveva
due grandi occhi azzurri che sembravano stelle luminose, i capelli scuri ricordavano quelli dei genitori.
Secondo le abitudini dei nomadi in quei tempi lontani, il neonato fu lavato da Auda.
Una donna del gruppo aveva in precedenza scavato un buco nella terra e lo aveva riempito d’acqua.
Questo rito era importante per rendere puro il piccolo.
Lo cosparsero poi di olio per fortificarlo, gli misero al collo un amuleto per proteggerlo dagli spiriti
cattivi e solo allora fu avvertito il padre che venne dal suo carro alla tenda.
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Per vedere la moglie doveva riconoscere il figlio e il neonato fu ricoperto da una camicia che già aveva portato Rut per significare che tutti e due appartenevano a lui – quindi non il bambino che appartiene ai genitori, ma i genitori che appartengono al bambino –.
La madre lo mise in terra, Ruc lo alzò al cielo mettendogli al collo un filo rosso.
Con questo atto egli dichiarò di riconoscersi come padre.
Per gli zingari la terra è simbolo di fertilità e forza per questo il neonato veniva messo per terra; dalla
terra infatti nasce la vita.
Grazie.
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INTRODUZIONE
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INTRODUZIONE
Caterina Segata
Responsabile Area Sede Infanzia Cooperativa Sociale Società Dolce
Come sappiamo, il Nido e i servizi rivolti alla prima infanzia in genere sono, nella storia della nostra regione, un’istituzione educativa e sociale di grande rilevanza, che risponde da un punto di
vista sia qualitativo che quantitativo ai bisogni dei bambini e delle famiglie. Le finalità di questi
servizi, come ci dice la legge regionale (Legge RER 1/00 e ss mm e ii), sono:
a. la formazione e la socializzazione dei bambini nella prospettiva del loro benessere psicofisico
e dello sviluppo delle loro potenzialità cognitive, affettive, relazioni e sociali;
b. la cura dei bambini che comporti un affidamento continuativo a figure diverse da quelle parentali in un contesto esterno a quello familiare;
c. il sostegno alle famiglie nella cura dei figli e nelle scelte educative.
Il nido è quindi un luogo di relazioni tra adulti e adulti, tra adulti e bambini e tra bambini e bambini. E’ il luogo dove i bambini fanno la prima esperienza di socializzazione esterna alla famiglia,
dove incontrano persone, esperienze, storie in un momento molto importante e al contempo
delicato della loro vita.
“Vivere e condividere il nido. La figura paterna al nido” rappresenta uno dei contributi alla riflessione sempre aperta sui servizi educativi rivolti all’infanzia e sui fenomeni sociali che li interessano. “Vivere e condividere il nido” è il titolo che la cooperativa ha scelto di dare a questi momenti
di riflessione e confronto, a cui di volta in volta segue una declinazione specifica sull’aspetto che
ci proponiamo di indagare.
Oggi presentiamo la seconda puntata di un ciclo. Il primo seminario si è tenuto a Cesena due anni fa e, come alcuni ricorderanno, in quel caso il tema specifico era dedicato ai bambini e alle famiglie straniere.
La cooperativa gestiva e tuttora gestisce sul territorio di quella provincia alcuni nidi d’infanzia e
allora si ritenne pregnante, per la storia e le caratteristiche di quei servizi, affrontare il tema dell’esperienza al nido dei bambini e delle famiglie che provenivano da altri paesi.
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Oggi qui a Fidenza, territorio nel quale Società Dolce è presente da una decina di anni, la nostra
attenzione si rivolge al ruolo della figura paterna al nido.
Le prime domande che mi sono posta nel pensare a come introdurre questo tema sono state:
• cosa penso io?
• che rappresentazione ho della figura paterna al nido?
• qual è stata la mia esperienza?
La mia esperienza è quella di una mamma che ha accompagnato i propri figli nell’esperienza di
inserimento al nido, di una donna che ha condiviso con il padre dei suoi figli questa esperienza,
di una donna che si è confrontata con altre donne (le educatrici, le altre mamme, le nonne...) sulle diverse rappresentazioni della figura paterna.
A fronte della mia esperienza ritengo oggi molto importante interrogarsi e confrontarsi su come
i padri vivono l’esperienza del nido e come viceversa è vissuta la presenza dei papà al nido, contesto, come vedremo, caratterizzato - o per usare un verbo ancora più forte (usato in una delle
relazioni che seguiranno) “profondamente marcato” - al femminile.
Come sapete o come è facile intuire, a lungo le riflessioni all’interno dei servizi si sono focalizzate
sulla coppia mamma/bambino, sul loro attaccamento e sulla rilevanza di questa relazione nell’incontro con il nido… come sarà detto tra poco, al nido si pensa che giunga una coppia, la mamma e il bambino.
E i papà? I papà - credo sia un’esperienza di molti - sono oggi molto più presenti rispetto al passato già nei primi anni di vita dei loro bambini. Se penso ai papà che conosco posso individuare
un continuum con due forti polarizzazioni caratteristiche, con in mezzo mille sfumature di grigio:
• da un lato i padri che assolvono con naturalezza a tutte le funzioni di “maternage” senza bisogno di considerarsi degli eroi;
• dall’altro i papà che invece portano avanti il modello dei loro padri scegliendo ancora di delegare in toto alla mamma il compito di accudire ed educare i figli nei primi anni di vita dedicandosi anima e corpo al lavoro.
Convivono oggi, come metteranno in luce le relazioni che seguiranno, più modi e modelli di interpretare il ruolo di padre. In ogni caso “il modello dei nostri padri” ha subito profonde trasformazioni, sulle quali riteniamo sia ora di porre la nostra attenzione.
L’approccio che abbiamo scelto nell’affrontare un tema così complesso e ricco di significati è
quello multidisciplinare. Abbiamo quindi cercato di guardare al fenomeno da diversi punti di vista, nella speranza di offrire, più che risposte, spunti di riflessione che possano aiutarci ad inquadrare e focalizzare meglio la tematica, ponendoci nel nostro lavoro quotidiano domande sempre
più mirate.
Il programma di questa giornata è ricco di contributi scientifici ed esperienziali.
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Il primo contributo ci viene offerto da una psicologa, Alessandra Sala, che ha realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Parma e il Comune di Fidenza la ricerca dal titolo “Papà mi accompagni al Nido?...” Il nido visto dai papà. I papà visti dal nido”. Ci presenterà i risultati di questa ricerca che ha visto coinvolti i bambini, i genitori e le educatrici che
nell’anno educativo 2005/2006 frequentavano o operavano nei Nidi d’Infanzia del Comune di Fidenza. La ricerca, oltre al merito di avere focalizzato il tema della relazione padri/bambini al nido,
ci restituisce attraverso un’indagine sistematica la “voce dei padri” ascoltati e osservati nelle interazioni quotidiane con i loro figli all’interno del nido.
A questo, per completezza di indagine, si è aggiunto il contributo delle mamme e delle educatrici che hanno potuto esprimere i loro vissuti rispetto al ruolo dei padri.
Seguirà l’intervento della pedagogista, Manuela Lafiandra, Coordinatrice Responsabile di Società
Dolce. L’intervento di Manuela - dal titolo molto esplicativo “Voce dai Servizi” – è il frutto di un lavoro di riflessione e condivisione con le educatrici che operano nei servizi.
Ciò che più mi ha colpito della relazione di Manuela è la capacità di queste educatrici di riflettere
ponendosi in una posizione di grande apertura, di messa in discussione e di desiderio di ampliare il loro sguardo per poter rispondere sempre meglio alle esigenze delle famiglie e a come esse
cambiano nel tempo. Un approccio senza pregiudizi o meglio una disponibilità al cambiamento,
a riconoscere le diversità, che ritengo fondamentale per declinare sempre con maggiore acutezza le proprie azioni educative quotidiane.
Paolo Nori ci racconta e si racconta da papà, o meglio da babbo di Irma. Paolo Nori un artista,
uno scrittore che ha fatto scelte di vita originali e avuto esperienze non comuni. Nasce a Parma
45 anni fa, come primo lavoro fa il ragioniere in contesti difficili… come l’Algeria e l’Iraq poi…
torna in Italia e si laurea in Lingua e Letteratura Russa e inizia altri percorsi.
Dico solo della sua produzione letteraria: nel ‘99 viene pubblicato il suo primo romanzo “Le cose
non sono le cose” a cui ne seguiranno altri 16 fino ad adesso… una media di quasi 2 romanzi all’anno! Ho comprato quello che pensavo fosse il suo ultimo libro (“Mi compro una gilera” edizioni Feltrinelli) e ieri sera ho scoperto che ne era uscito appena un altro “Baltica 9. Guida ai misteri
d'oriente” scritto insieme a Daniele Benati…
Il quarto contributo ci viene offerto da Mattia Toscani, docente di Sociologia dell’Educazione e
dei Processi Culturali presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Parma. L’intervento di Toscani ci aiuterà:
• a fare chiarezza sull’evoluzione della figura paterna nella nostra società nel passaggio dalla civiltà contadina ai giorni nostri;
• a mettere in fila esperienze che forse fanno parte anche dei nostri vissuti familiari in quanto l’evoluzione di cui ci parlerà ha attraversato poche generazioni;
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• a capire come la figura maschile del padre cambi in relazione ai cambiamenti negli assetti fondanti la nostra società: il mondo del lavoro, l’altra parte del cielo e cioè il ruolo della donna nella
società e nel mondo del lavoro, l’evoluzione dei diritti e l’evoluzione culturale che offrono nuove e diverse rappresentazioni dell’uomo e del padre.
L’ultimo contributo alla nostra riflessione, prima delle conclusioni, ce lo offre Marco Fibrosi, pedagogista che può vantare una lunga e ricca esperienza di vita e di lavoro come educatore/uomo
nei nidi. Si tratta di una esperienza rara, direi ancora assolutamente marginale, nella storia dei
servizi rivolti alla prima infanzia.
L’esperienza ventennale di Marco come educatore ha inizio alla fine degli anni settanta e termina
alla fine degli anni novanta, ma la presenza di educatori nei nidi e nei servizi rivolti alla prima infanzia è rara ora come allora. Erano e sono tuttora contesti, come abbiamo già detto, fortemente
caratterizzati al femminile, dove l’uomo come padre o come educatore può sentirsi “fuori luogo”.
Marco ci offre una lettura della sua esperienza che mette in luce le difficoltà, i tempi necessari
per osservare e riflettere su se stessi e sugli altri e quindi ripensare e ricostruire il proprio ruolo e
la propria funzione.
A questo proposito mi preme sottolineare l’importanza che viene riconosciuta nell’ambito dei
servizi rivolti alla prima infanzia alla riflessione, al confronto e alla formazione delle educatrici e
degli educatori e tra di loro. Chi opera nei nidi dedica infatti una parte importante del suo tempo/lavoro all’analisi e al confronto delle esperienze, alla condivisione dei vissuti e delle emozioni,
all’individuazione e condivisione di strategie educative. Credo che ciò rappresenti la miglior garanzia che possiamo offrire alle famiglie e ai bambini.
Le conclusioni a Pinì Gennari, pedagogista del Comune di Fidenza che ci aiuterà a ricucire i vari
contributi rilanciando spunti per riflessioni future.
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1. I NIDI FIDENTINI COME LUOGO
D’INCONTRO E DI PENSIERO
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1. I NIDI FIDENTINI COME LUOGO
D’INCONTRO E DI PENSIERO
“PAPÀ MI ACCOMPAGNI AL NIDO?…”
Il nido visto dai papà. I papà visti al nido
Alessandra Sala
Ricercatrice Università degli Studi di Parma
OBIETTIVI
Il contesto Asilo Nido, essendo nella maggior parte dei casi la prima esperienza di socializzazione
da parte dei bambini, o meglio la prima occasione di "uscita" dalla famiglia e della famiglia, rappresenta uno spazio interessante per osservare le dinamiche interattive non solo tra bambini,
ma anche tra genitore e figlio, in momenti così significativi dal punto di vista psicologico, quali la
“separazione" con il genitore e il "ricongiungimento". Questi eventi che avvengono ogni giorno
tra madri e bambini e tra padri e bambini sono altamente importanti al fine dello strutturarsi
delle modalità relazionali e della sicurezza emotiva del bambino, nei termini di una graduale capacità di regolare e di fare fronte alle proprie emozioni positive e negative.
I padri iniziano ad occupare uno spazio sempre maggiore all’interno del sistema Asilo Nido e lo fanno con modalità proprie, con le proprie percezioni, emozioni, cognizioni. Il ruolo che giocano in rapporto all’esperienza del Nido dei propri figli sta perdendo marginalità; essi cominciano, non solo ad
essere visibili, ma ad interagire attivamente nei processi relazionali e nelle dinamiche quotidiane.
Il ruolo del padre nelle strutture per l'infanzia è una tematica di cui spesso si parla tra gli addetti
ai lavori, tuttavia poco indagata in modo sistematico. Riuscire a capire meglio la relazione padriNido, e in particolare la relazione padri-bambini al Nido, può offrire elementi importanti agli operatori e alle famiglie per poter "pensare questa relazione".
A partire da queste riflessioni l'obiettivo di tale progetto di studio è stato proprio quello di "dare
voce" ai padri al fine di capire la complessa relazione tra padri e Asilo Nido. In particolare, ci si è
proposti di ascoltare e osservare i padri nelle loro modalità di relazionarsi con i bambini all'interno
dell'Asilo Nido a vari livelli, e anche di ascoltare le madri e le educatrici rispetto al ruolo dei padri.
25
Nello specifico gli obiettivi del progetto sono stati:
1) osservare la relazione padre-bambino nei momenti dall'accoglienza e del ricongiungimento;
2) evidenziare le percezioni e le emozioni dei padri e delle madri nei confronti dell'Asilo Nido
nei suoi diversi aspetti;
3) fare emergere le percezioni e le emozioni delle educatrici nei confronti dei padri e delle madri.
METODOLOGIA
Per indagare la relazione padre-bambino è stata utilizzata una procedura osservativa, in particolare sono state osservate 7 diadi padre-bambino, dopo aver ottenuto la disponibilità dei padri
stessi a collaborare alla ricerca.
I 7 bambini frequentano i Servizi Nidi d’Infanzia del Comune di Fidenza: Albero Magico (3 bambini: due femmine e un maschio che all’inizio della ricerca avevano 35, 23 e 16 mesi); Spazio Bimbi
(1 bambino di 32 mesi) e Aquilone (3 bambini:due maschi di 13 e 16 mesi, e una femmina di 28
mesi). Tra i Papà osservati insieme ai propri bambini, tutti e 7 accompagnavano regolarmente i
bambini al Nido, la situazione era più differenziata al ricongiungimento.
Per ogni bambino sono state effettuate 10 osservazioni dal mese di Gennaio al mese di Maggio
2006. Sono stati scelti due momenti ritenuti particolarmente significativi per la relazione genitore-bambino al Nido: la “separazione” all’accoglienza del bambino al Nido, e il “ricongiungimento”
nel momento della conclusione della giornata. Sono inoltre stati osservati i momenti immediatamente successivi alla separazione e precedenti al ricongiungimento (circa mezz’ora di osservazione ciascuno) al fine di osservare i comportamenti del bambino nella quotidianità della sua
esperienza al Nido dopo “il saluto” con il genitore e durante l’attesa del genitore. Al fine di ottenere misure confrontabili e quantificabili, le osservazioni effettuate sono state di volta in volta
codificate attraverso l’ausilio di griglie di osservazione (vedi Appendice). Tali griglie sono state
costruite appositamente in seguito ad un periodo di osservazione descrittiva preliminare. Le griglie comprendono numerose voci relative agli aspetti comportamentali ed emotivi della relazione padri-bambini al Nido. Accanto ad una codifica più “quantitativa” dei dati raccolti, si è ritenuto
fondamentale affiancarne una maggiormente descrittiva. Ampio spazio è stato infatti previsto
per i commenti e descrizioni di ordine qualitativo al fine di arricchire le osservazioni di particolari
e dettagli che consentissero l’emergere delle peculiarità dei percorsi, dei cambiamenti, e delle
esperienze uniche e speciali delle singole diadi.
Il secondo ambito di indagine consiste nell’ osservazione di alcuni aspetti della competenza sociale dei bambini all’interno del contesto Asilo Nido. La competenza sociale dei bambini è stata
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osservata attraverso la compilazione da parte delle educatrici della sezione frequentante il bambino di un questionario a risposta chiusa (D’Odorico, 1998), le cui voci descrivono comportamenti
osservabili durante le attività proposte quotidianamente al Nido. Il questionario è stato compilato
separatamente sia dall’educatrice di riferimento del bambino che dall’educatrice non di riferimento, al fine di ottenere una descrizione della competenza sociale del bambino più completa,
raccolta da punti di vista molteplici. Nel totale le educatrici coinvolte in questa fase sono state 15.
Per quanto concerne le percezioni, le emozioni dei padri nei confronti dell’Asilo Nido, è stato
somministrato un questionario appositamente strutturato (vedi Appendice). Tale questionario
non è stato consegnato solo ai padri che hanno partecipato alla parte osservativa della ricerca. Si
è ritenuto infatti di maggior interesse somministrare tale questionario a tutti i genitori, madri e
padri, dei bambini frequentanti tutti e tre gli Asili Nido di Fidenza. Tale decisione ha avuto per
obiettivo quello di coinvolgere e rendere partecipanti attivi al progetto in corso tutti i genitori, e
di conoscere e valutare le percezioni e le emozioni di tutti coloro che frequentano il Servizio. Il
questionario ha forma anonima ed è stato richiesto a padri e madri di compilarlo separatamente
al fine di rilevare eventuali differenze. La finalità del presente questionario è quella di conoscere i
vissuti e gli atteggiamenti dei genitori nei confronti del Nido, di capire quali emozioni provino,
quali atteggiamenti assumano e quali comportamenti mettano in atto quando accompagnano i
propri bambini al Nido, quale sia la percezione di mamme e papà rispetto al ruolo delle educatrici e quale la percezione del proprio rapporto con esse. Il questionario infatti contiene un insieme
di item finalizzati a far emergere le abitudini dei genitori nell’accompagnare o andare a prendere i bambini al Nido (es. chi solitamente accompagna il bambino; chi solitamente lo va a prendere; quali i motivi di tale organizzazione ecc..) , altri relativi alle emozioni e ai comportamenti messi in atto dal genitore in particolare nei momenti della separazione col proprio bambino e al ricongiungimento, altri ancora relativi alla percezione del genitore del proprio rapporto con le
educatrici che si traduce nelle emozioni, sentimenti, atteggiamenti e modalità comportamentali
vissute e messe in atto nel relazionarsi ad esse negli stessi momenti citati precedentemente (separazione e riconsegna). I genitori che hanno partecipato alla compilazione del questionario sono stati 148, di cui 72 Papà e 76 Mamme.
Infine, con l’obiettivo di conoscere le percezioni e le emozioni delle educatrici nei confronti dei
padri, è stato loro somministrato un altro questionario costruito appositamente (vedi Appendice). Il questionario delle educatrici contiene una serie di domande che possiamo definire “simmetriche” rispetto a quelle presenti nel questionario dei genitori. Gli item infatti vertono sulle
medesime tematiche e si concentrano sugli stessi aspetti affrontati nel questionario dei genitori,
ciò che cambia è il punto di vista raccolto, che in questo caso è quello delle educatrici. Tutte le 18
educatrici operanti nelle 3 strutture coinvolte hanno compilato il questionario.
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RISULTATI E ALCUNE CONSIDERAZIONI
PUNTO DI VISTA DEI GENITORI
EMOZIONI E PERCEZIONI
Per quanto riguarda la domanda relativa all’accessibilità al Nido (domanda 4), in cui si richiede ai
genitori per quali motivi non accompagnano i propri figli all’Asilo, emerge dall’analisi delle frequenze che gli impedimenti lavorativi sono la motivazione maggiormente diffusa, e che chiedendo loro quali potrebbero essere i possibili rimedi che gli permetterebbero di accompagnare il/la
figlio/a all’Asilo emerge che la maggior parte richiederebbe una maggiore flessibilità dell’orario di
lavoro (42 genitori su un totale di 72 risposte).
Relativamente alle parole che i genitori associano al pensiero dell’Asilo Nido frequentato dal figlio emerge che in generale, le parole associate al Nido sono connotate positivamente (domanda 1). Entrando maggiormente in dettaglio, emerge che le madri associano più spesso parole riferite all’impatto emotivo rispetto ai padri (es. tranquillità, serenità, amicizia, allegria, calore..), i
quali tendono invece ad utilizzare con più frequenza parole riferite a situazioni concrete (es. gioco, colori, educazione, bambini, divertimento..). Tali risultati sono congruenti con quanto reperibile in letteratura, vale a dire la maggior attenzione e il più frequente riferimento delle madri alla
sfera emotiva rispetto ai padri nella descrizione e interpretazione degli eventi e delle situazioni.
Alla domanda 16, nella quale si chiede ai genitori come si sentono al momento del ricongiungimento con il/la proprio/a bambino/a, la grandissima maggioranza risponde felice.
Rispetto all’indice del disagio (domande 10 e 11) emerge che in generale, il momento del distacco è vissuto sia dai genitori che dai bambini con poco disagio. L’ingresso al Nido dunque, al mese
di Gennaio, è globalmente, per genitori e bambini, un’esperienza serena.
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FIGURA 1 - FREQUENZE DELLE RISPOSTE DEI GENITORI ALLE DOMANDE 10 E 11 RELATIVE
AL DISAGIO PROVATO DA BAMBINI E GENITORI AL MOMENTO DEL DISTACCO
disagio bambino
60
50
disagio genitore
40
30
20
10
0
per niente
poco
abbastanza
molto
Per quanto riguarda i sentimenti che mamme e papà provano nei confronti delle educatrici nel
momento dell’accoglienza al Nido, emerge che, in generale, i genitori provano sentimenti positivi (domanda 9).
Soffermandosi sulle differenze tra madri e padri emerge che, in questo clima generale di buon
adattamento, le madri si sentono maggiormente coinvolte, accettate e a proprio agio. I papà provano più disagio rispetto alle mamme.
FIGURA 2 - SENTIMENTI DI MAMME E PAPA’ VERSO LE EDUCATRICI
NEL MOMENTO DELL’ACCOGLIENZA AL NIDO
90
80
70
mamme
60
papà
50
40
30
20
10
0
coinvolti/e
accettati/e
a propio agio
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COMPORTAMENTI
Emerge dai dati che la quasi totalità dei genitori si sente aiutata dalle educatrici al momento del
distacco con il/la proprio/a bambino/a (domanda 13). Nello specifico, emerge che la maggior
parte di essi sottolinea che, al momento della separazione, le educatrici intervengono in aiuto del
bambino (es. sanno come coinvolgere il bambino senza far “sparire” la mamma, l’educatrice interviene per prevenire il disagio della bambina, capiscono quando il bambino avverte maggiormente il distacco dai genitori..), i rimanenti sostengono che l’aiuto delle educatrici si rivolge a loro
stessi (es. le tate mi hanno da subito capita e sostenuta, sento che l’educatrice osserva il nostro
saluto, sono disponibili, mi coinvolgono, me la distraggono..).
FIGURA 3 - FREQUENZA DEL TIPO DI AIUTO FORNITO DALLE EDUCATRICI
AL MOMENTO DEL DISTACCO A GENITORE E BAMBINO
tipo di aiuto
dell’educatrice
35
30
25
20
15
10
5
0
aiuto al
bambino
aiuto al
genitore
Per quanto concerne le strategie di saluto messe in atto da madri e padri al momento del distacco
(domanda 12) emerge che le mamme tendono maggiormente a salutare sulla porta rispetto ai
papà e che i papà tendono di più ad entrare in sezione e salutare velocemente rispetto alle mamme. Inoltre le mamme affidano i/le bambini/e alle educatrici con maggiore frequenza rispetto ai
papà. Questi risultati potrebbero essere interpretati nel senso di una maggiore confidenza delle
madri con il compito di accompagnare il/la bambino/a al Nido. Le madri infatti, più abituate ad accompagnare i/le propri/e figli/e al Nido, potrebbero sentirsi meno a disagio dei padri nel salutare
i/le bambini/e sulla porta senza accompagnarli e soffermarsi in sezione. Inoltre, l’affidare il bambini all’educatrice potrebbe indicare l’esistenza, tra madri e educatrici, di un rapporto maggiormente consolidato di quello esistente tra le educatrici e i papà. I padri che accompagnano i/le figli/e al
Nido, provando maggior disagio in tale situazione in quanto meno abituati a ricoprire questo ruolo, potrebbero sentire di dover entrare in sezione invece di salutare sulla porta.
30
Così come la scarsa confidenza dei papà con il compito di accompagnare i/le figli/e al Nido, compito che per loro non rappresenta una routine consolidata come per le mamme, potrebbe spiegare il fatto che salutino velocemente.
FIGURA 4 - MEDIA DELLE STRATEGIE DI SALUTO UTILIZZATE DA MAMME E PAPA’
AL MOMENTO DELLA SEPARAZIONE
0,8
0,7
mamme
0,6
papà
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
0
saluto sulla
porta
entro in
sezione
e saluto
velocemente
entro in sezione
e mi trattengo
qualche minuto
introducendolo
ad una attività
entro in
sezione e lo
distraggo
lo affido
alla
educatrice
mi dileguo
senza farmi
notare
PUNTO DI VISTA DELLE EDUCATRICI
EMOZIONI E PERCEZIONI
Alla domanda relativa ai possibili rimedi che permetterebbero ai papà di accompagnare o andare a prendere i/le propri/e figli/e al Nido (domanda 3), le educatrici rispondono per la maggior
parte maggiore flessibilità dell’orario di lavoro (13 su 17), seguito da maggiore flessibilità dei ruoli in
famiglia (8 su 17), e infine cambiamenti nelle abitudini familiari (12 su 17).
Nessuna educatrice ha fatto riferimento ad una eventuale variazione della flessibilità degli orari
dell’Asilo Nido.
Le educatrici, attraverso una percezione esterna alla questione dell’accessibilità al Nido, riescono
a suggerire con maggiore consapevolezza soluzioni alternative finalizzate a rendere l’Asilo Nido
più accessibile ai genitori.
31
FIGURA 5 - POSSIBILI RIMEDI CHE SECONDO LE EDUCATRICI
MIGLIOREREBBERO L’ACCESSIBILITA’ AL NIDO
14
12
10
8
6
4
2
0
flessibilità orario
lavorativo
flessibilità dei
ruoli in famiglia
cambiamenti
nelle abitudini
familiari
Dalla domanda relativa alla frequenza con la quale i padri accompagnano e/o vanno a prendere i
propri figli al Nido emerge che la figura del padre è presente all’interno del Servizio saltuariamente
(domande 4, 5).
Chiedendo alle educatrici quali parole suscitano in loro le mamme e i papà che accompagnano/vengono a prendere i/le propri/e bambini/e al Nido (domande 6, 7), emerge che anche le
educatrici riportano molte parole positive (felicità, baci, voglia di riabbracciarsi, dolcezza, cura,
nomignoli, curiosità..) e solo poche riferite ad emozioni negative (ansia, preoccupazione, sbrigativi, fatica, disarmati, non autorevoli…).
Scendendo nel dettaglio, emerge che le mamme esprimono o suscitano nelle educatrici un
maggior numero di parole riferite a emozioni, e in particolare ad emozioni positive (es. gioia, serenità, felicità, affettuose..).
Emerge inoltre che ai padri sono associate dalle educatrici un maggior numero di parole riferite
ad atteggiamenti/comportamenti che non alle madri, tra queste alcune positive (es. timidi, pratici,
curiosi, risolutori, interessati..), ed alcune negative (sbrigativi, disagio, fatica nel ricongiungersi,
disarmati..)
Alle domande 16 e 17 relative al modo in cui le educatrici pensano che i genitori si sentano nei loro
confronti emerge che, in generale, secondo le educatrici mamme e papà non si sentono a disagio.
Globalmente quindi, secondo le educatrici, i genitori si sentono a proprio agio nel relazionarsi a
loro. Entrando nel dettaglio emerge che le educatrici pensano che i padri si sentano verso di loro
più a disagio delle madri.
32
FIGURA 6 - SENTIMENTI CHE, SECONDO LE EDUCATRICI,
MADRI E PADRI PROVANO NEI CONFRONTI DELLE EDUCATRICI STESSE
4
3,5
sentimenti padri
vs educatrici
3
2,5
sentimenti madri
vs educatrici
2
1,5
1
0,5
0
coinvolti
a disagio
non partecipi
in difficoltà
capaci
a proprio agio
INTERVENTO DELLE EDUCATRICI…QUANDO LE EDUCATRICI INTERVENGONO
Rispetto alla richiesta di aiuto di madri e padri alle educatrici al momento della separazione e/o ricongiungimento i dati sono distribuiti in questo modo: su 17 educatrici 6 dicono che i papà
chiedono poco aiuto, 9 che ne chiedono abbastanza e 2 che ne chiedono molto; su 17 educatrici
8 dicono che le mamme chiedono poco aiuto, 5 abbastanza e 4 molto (domande 8, 9).
Dalle risposte alle domande 10 e 11, che richiedono alle educatrici per quali motivi intervengono
nella relazione madre/padre-bambino nel momento della separazione/ricongiungimento, emerge
che le educatrici intervengono maggiormente quando sono le mamme a trovarsi in difficoltà rispetto ai papà. Emerge inoltre che le educatrici intervengono maggiormente quando si accorgono
che il bambino è in difficoltà con il papà che quando è in difficoltà con la mamma. Tali dati potrebbero essere congruenti con quanto emerso dalla percezione che le educatrici hanno dei padri
che accompagnano e/o vanno a prendere i/le propri/e figli/e al Nido (vedi punto successivo, domande 12 e 13). Le educatrici infatti, credendo che i padri si sentano maggiormente a disagio e
giudicati rispetto alle madri, tendono forse ad intervenire significativamente di meno che non di
fronte alle madri, e anche nel momento in cui intervengono lo fanno relativamente alle difficoltà
manifestate dal bambino, così che l’intervento risulti maggiormente centrato sul bambino che
non sul genitore.
Relativamente alle domande 12 e 13, volte a conoscere come, secondo le educatrici, le mamme e
ipapà si sentono quando capita loro di intervenire nella relazione madre/padre-bambino al momento della separazione e/o accoglienza, emerge che la percezione delle educatrici è in genera33
le positiva, una percezione globale in cui i genitori non si sentono né giudicati né esclusi. Entrando nello specifico evidenziamo delle differenze nel modo in cui le educatrici percepiscono i sentimenti di madri e padri in seguito al loro intervento. Emerge che le mamme si sentono, secondo
le educatrici, maggiormente sollevate dei papà, che i papà si sentono più giudicati delle mamme,
infine che le mamme si sentano maggiormente escluse rispetto ai papà . Forse le educatrici tendono a vedere la relazione con i padri come una relazione nella quale sono maggiormente chiamate ad entrare, ad intervenire, e non temono che i padri si sentano esclusi così come temono
che accada con le madri.
Secondo le educatrici il loro intervento nella relazione madre/padre-bambino ha una ricaduta
nei confronti dei genitori che li fa sentire in generale mediamente esclusi e giudicati e molto sollevati.
FIGURA 7 - SENTIMENTI CHE, SECONDO LE EDUCATRICI,
PADRI E MADRI PROVANO IN SEGUITO AL LORO INTERVENTO NELLA RELAZIONE MADRE/PADRE-BAMBINO
AL MOMENTO DELLA SEPARAZIONE E/O RICONGIUNGIMENTO
4
3,5
mamme
3
papà
2,5
2
1,5
1
0,5
0
accolti/e sostenuti/e
sollevati/e
giudicati/e disturbati/e
esclusi/e
Alle domande 14 e 15, finalizzate a conoscere come le educatrici si sentono dopo essere intervenute nella relazione padre-bambino e madre-bambino, emerge che le educatrici si sentono
maggiormente competenti dopo essere intervenute nella relazione padre-bambino che dopo
l’intervento nella relazione madre-bambino. Anche in questo caso, tale risultato potrebbe essere
spiegato dal fatto che forse le educatrici si sentono più chiamate ad entrare e intervenire nella
relazione padre-bambini che non in quella madre-bambino. Inoltre, tale percezione potrebbe essere motivata dal fatto che relazionarsi alla diade padre-bambino rappresenta per le educatrici
una esperienza relativamente nuova e recente rispetto al rapportarsi con la diade madre-bambino, e dunque portatrice di nuovi stimoli.
34
FIGURA 8 - MEDIE DEI SENTIMENTI DELLE EDUCATRICI
IN SEGUITO AL PROPRIO INTERVENTO NELLA RELAZIONE PADRE/MADRE-BAMBINO
4
3,5
sentimenti
educatrici vs
intervento
relazione p-b
3
2,5
2
sentimenti
educatrici vs
intervento
relazione m-b
1,5
1
0,5
0
accettata competente
intrusa
indesiderata
utile
di disturbo risolutrice
ALCUNI RISULTATI…
Questionario genitori. Domanda 1.
Parole che i genitori associano pensando all’Asilo Nido frequentato dal figlio.
FIGURA 9 - PAROLE ASSOCIATE DAI GENITORI
AL PENSIERO DELL'ASILO NIDO FREQUENTATO DAL FIGLIO
80
70
60
50
40
30
20
10
0
impatto
emotivo
impatto
visivo
importanza
ricreativa
rilevanza
formativa
35
Questionario genitori. Domanda 5.
Accompagna o accompagnerebbe volentieri suo/a figlio/a al Nido?
FIGURA 10 - PERCENTUALE DELLE MOTIVAZIONI PER LE QUALI I GENITORI
CHE NON ACCOMPAGNANO I FIGLI AL NIDO LI ACCOMPAGNEREBBERO VOLENTIERI
motivazione educativa
motivazione centr. sul genitore
motivazione centr. sul bambino
Questionario genitori. Domanda 5.
Accompagna o accompagnerebbe volentieri Suo/a figlio/a al Nido?
FIGURA 11 - PERCENTUALE DELLE MOTIVAZIONI PER LE QUALI I GENITORI
CHE ACCOMPAGNANO I FIGLI AL NIDO LI ACCOMPAGNANO VOLENTIERI
motivazione centr. sul genitore
motivazione centr. sul bambino
36
Questionario genitori. Domande 10 e 11.
Sentimenti dei genitori rispetto alle educatrici al momento dell’accoglienza al Nido.
FIGURA 12 - FREQUENZE DEI SENTIMENTI DEI GENITORI
VERSO LE EDUCATRICI AL MOMENTO DELL'ACCOGLIENZA
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
coinvolto
accettato
in difficoltà
in imbarazzo considerato
capace
a mio agio
Questionario genitori. Domanda 12.
Strategie di saluto che si realizzano al momento dell’ingresso al Nido tra genitore e bambino.
FIGURA 13 - FREQUENZE DELLE STRATEGIE DI SALUTO UTILIZZATE DAI GENITORI
AL MOMENTO DELLA SEPARAZIONE
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
saluto
sulla porta
entro in
mi trattengo
distraggo
lo affido
sezione e poi
in sezione
con altri bambini all’educatrice
saluto
qualche minuto
e giochi
velocemente
iniziando
un’attività
mi dileguo
senza farmi
notare
37
Questionario genitori. Domanda 15.
Modalità di ricongiungimento tra genitore e bambino al momento della riconsegna.
FIGURA 14 - FREQUENZE DELLE MODALITÀ
DI RICONGIUNGIMENTO TRA GENITORI E BAMBINI
è felice di rivedermi
mi guarda
rimane centrato sui giochi
si nasconde
ama farsi rincorrere
va verso la porta
va verso gli armadietti
mi corre incontro
Questionario genitori. Domanda 14.
Sentimenti dei genitori nei confronti dell’intervento delle educatrici al momento del distacco
con il/la proprio/a bambino/a.
FIGURA 15 - FREQUENZE DEI SENTIMENTI DEI GENITORI NEI CONFRONTI DELL’AIUTO
RICEVUTO DALLE EDUCATRICI AL MOMENTO DELL’ACCOGLIENZA
accolto
sostenuto
sollevato
giudicato
38
ALCUNI PERCORSI…
MATTIA
L’ingresso di Mattia e del suo papà al Nido è dominato dal silenzio, silenzio di parole, di gesti, di
sguardi. Mattia sembra piuttosto assonnato, sembra che tutte le sue reazioni, tutte le sue comunicazioni siano attutite da qualche cosa. Papà entra dalla porta del Nido con Mattia in braccio, lo
siede sugli armadietti, lo spoglia e lo prepara per la giornata. Di tanto in tanto si guardano, senza
sorridere, senza manifestare nessuna emozione in particolare. Papà gli dice qualcosa ma talmente sottovoce che non riesco a sentire pur essendo abbastanza vicina, è un sussurro. Mattia è
pronto, papà lo riprende in braccio e insieme entrano in sezione. Si scambiano un bacio e un abbraccio appena varcata la soglia, sempre in silenzio, sempre senza lasciar trapelare nessuna emozione, dopo di che il papà fa scendere Mattia e se ne va. Nessuno dei due si gira verso l’altro, né
Mattia per vedere il papà che si allontana ed esce dalla porta e fargli ciao con la mano, né il papà
per salutare ancora Mattia o per osservare cosa fa, con chi e se va a giocare, dove si dirige.
Mattia si guarda brevemente attorno, si accorge della mia presenza ma non mi guarda, così come non cerca lo sguardo di nessuno, educatrici comprese. Si dirige verso l’angolo dei libri, va a
sedersi e a sfogliare un libricino, ma prima raccoglie un gatto bianco di peluches su un tavolino.
Dopo pochi minuti Mattia si alza e va a sedersi su di un gradino dal quale osserva ciò che lo circonda, la vita che scorre attorno a lui..e della quale sembra spettatore.
Rispetto a tutti i bambini che ho avuto modo di osservare nel corso della ricerca, Mattia è senz’altro il più osservatore. La modalità di saluto con il papà osservata all’accoglienza del primo
giorno si ripete per la maggior parte delle osservazioni successive. Il silenzio, il parlare sottovoce,
il salutarsi affettuosamente ma senza lasciar passare e mostrare l’emozione sottesa, il non girarsi
reciprocamente una volta avvenuto il saluto. Così come i gesti, il modo di cominciare una nuova
giornata al Nido di Mattia, si ripetono giorno dopo giorno. Ogni mattina Mattia sembra cercare
un punto di vista privilegiato da cui rendersi osservatore, spettatore di ciò che accade attorno a
lui. Una volta il gradino, un’altra la seggiolina, un’altra ancora il rotolo morbido o dietro la tenda
trasparente. Mattia, serio e malinconico, si riappropria dello spazio, degli oggetti e delle relazioni
con lo sguardo. Se il suo sguardo incontra quello delle educatrici o di qualche suo compagno, regala loro un sorriso, ma questo non diventa quasi mai l’inizio di una interazione.
L’unico con cui Mattia si relaziona con grande piacere è Lorenzo, un suo compagno, la cui presenza al Nido (alcune mattine è assente) rappresenta l’eccezione al rituale di osservazione di
Mattia. Quando Lorenzo è al Nido al momento dell’accettazione, Mattia, che spesso è l’ultimo ad
arrivare, lo cerca sempre attivamente e immediatamente. Insieme instaurano giochi esclusivi secondo codici che le educatrici dicono ripetersi spesso. Insieme giocano con gli animali di plasti-
39
ca, ricordo una lotta tra la tigre e il dinosauro, o giocano a fare i leoni gattonando e ruggendo
per la sezione e spaventando gli altri bambini, gioco per il quale le educatrici li riprendono sistematicamente e Mattia lo sa bene in quanto mentre fa il leone tiene d’occhio le educatrici aspettandosi presto o tardi il loro intervento. I giochi proposti da Lorenzo sono spesso aggressivi e
Mattia tende ad imitarlo moltissimo. I due tengono generalmente alla larga tutti gli altri escludendoli dai tentativi di partecipazione con sguardi minacciosi. Mattia con le educatrici è estremamente accondiscendente ed obbediente, quando ripreso ad esempio smette immediatamente il comportamento in questione, si avvicina quando chiamato al momento della canzone, aiuta
e collabora con gli altri bambini nel riordinare giochi e libri in vista dell’inizio delle attività o prima di andare a casa.
Il suo essere osservatore si accentua ancora di più nei momenti immediatamente precedenti al
ricongiungimento col papà. Il papà di Mattia è sempre l’ultimo genitore ad andare a prendere il
proprio bambino, e Mattia si trova generalmente ad aspettare il papà da solo o con pochi altri
amici, tra i quali non c’è mai Lorenzo, abituato ad andare a casa prima. In questa situazione Mattia appare stanco, visibilmente annoiato, a disagio. Dà l’impressione di una persona che non sa
come passare il tempo. A volte si siede nell’angolo della lettura a sfogliare un libricino, altre volte
gioca distrattamente con un giochino preso, così sembra, perché capitato a portata di mano e
non scelto in quanto espressione di un desiderio. Mattia più che altro si intrattiene, e osserva scegliendo, come al mattino, punti di osservazione privilegiati che tendono a ripetersi, come ad
esempio il gradino o la poltroncina. Ad una prima occhiata, ad uno sguardo poco attento, Mattia
può sembrare un bambino bravissimo, e lo è! Ma credo non sia solo questo. Mattia è anche profondamente malinconico, riflessivo. Nel corso delle dieci osservazioni effettuate in sezione lo ho
visto sorridere molto poco, ed è un peccato perché Mattia ha un sorriso dolcissimo.
All’ingresso del papà in sezione tutto cambia, viene stravolto. Mattia non è più colui che osservava ma l’attore principale, e il suo ruolo di osservatore viene preso dal suo papà. Mattia corre incontro al papà, a volte lo saluta con un bacio, a volte scappa direttamente in corridoio dove sono
collocati gli armadietti e lì prende inizio una routine lunga ed estenuante tra Mattia e il suo papà. Mattia scappa, si nasconde, e non perdendo mai di vista il papà lo invita di continuo a prenderlo: “Dai prendimi se ci riesci! Io mi nascondo!”. Il primo giorno di osservazione il papà dice a
Mattia: “Ma perché devi fare così? Perché fai così? Perché devi fare questo show?”, da queste parole sembra che la dinamica si ripeta molto spesso, se non ogni giorno come mi dice da li a poco
l’ausiliaria. Mattia si infila nei punti in cui è più difficile raggiungerlo, ad esempio sotto lo scivolo,
e invita il papà a prenderlo, di continuo, ma il papà non lo prende mai, sembra quasi tema cosa
possa succedere se interrompesse la fuga di Mattia. Lo chiama stancamente da lontano, pregandolo di uscire con la scusa che l’Asilo sta chiudendo, minacciandolo di lasciarlo li da solo o dicendogli che l’ausiliaria si sarebbe molto presto arrabbiata e l’avrebbe sgridato. Il tutto con una
espressività emotiva assolutamente piatta e in modo per niente convincente. Mattia e il suo pa-
40
pà rimangono da soli con l’ausiliaria, e il papà cerca spesso di delegarle il compito di “stanare”
Mattia: “Ci pensi lei..”. L’operatrice cerca di convincere Mattia in modo deciso e attivo, spostando
mobili e giochi, ma ogni volta Mattia scappa nuovamente e si infila in un altro nascondiglio. A
volte Mattia dice espressamente al papà il modo in cui vuole essere inseguito, il percorso che deve fare, il papà è in tutto e per tutto accondiscendente, ma in modo estremamente passivo. Osservando la scena ciò che nasce in me è il desiderio fortissimo di dire al papà: “Mattia VUOLE essere preso!!!”, tant’è che quando questo finalmente accade (non per intervento volontario del papà) Mattia non protesta affatto, sembra sollevato dal fatto che finalmente qualcuno lo abbia fermato, preso, contenuto. Si lascia vestire seduto sugli armadietti e in braccio al papà lascia il Nido.
I primi due giorni di osservazione la fuga di Mattia è fermata dal fatto che il bambino si fa la pipì
addosso, una volta nascosto in un armadietto, l’altra sotto ad un tavolino. Mattia sembra rimanere molto male. È il periodo (non il primo a quanto detto dalle educatrici) in cui Mattia sta abbandonando il pannolino. Dal terzo giorno di osservazione Mattia arriva al Nido nuovamente col
pannolino. Un altro giorno al ricongiungimento Mattia si ferma perché si fa male correndo e inciampando contro un tavolino, così che il papà ancora una volta per motivi che prescindono dalla sua volontà riesce a prenderlo. Le osservazioni successive si ripetono similmente, in aggiunta
Mattia manifesta verso il papà un comportamento aggressivo. Nel momento in cui è seduto sugli armadietti per farsi preparare dice al papà: “Capelli!”, il papà gli porge la testa e Mattia gli tira i
capelli con forza e con una espressione piena di rabbia. La cosa si ripete. Mattia non solo tira i capelli al papà ma gli dà anche dei pizzicotti sul viso, il papà lo lascia fare, impassibile come sempre. Difficilmente il papà perde la pazienza nel corso delle osservazioni, e anche quando un giorno succede perché è esasperato dalla fuga di Mattia, lo manifesta alzando la voce ma mantenendo comunque la distanza e rinunciando subito all’intervento. Le ultime due osservazioni sono
caratterizzate da qualcosa di diverso. Il papà di Mattia, appena fatto ingresso in sezione, approfitta della rincorsa del bambino verso la porta per prenderlo in braccio e portarlo direttamente a
sedere sopra gli armadietti per mettersi giacca e scarpe. Non gli dà fisicamente modo di mettere
in atto la solita dinamica. Mattia non protesta, solo accenna a qualche spostamento pericoloso,
qualche piccolo tentativo di evasione dalla sommità degli armadietti, tentativi confinati dal luogo in cui si trova. Mi chiedo se questo modo di agire del papà sia frutto di una decisione presa in
seguito al disagio di sentirsi ogni giorno osservato da una persona sconosciuta proprio nel momento di massima difficoltà nella gestione del rapporto con Mattia.
GIULIA
“Che bambina grande!”penso appena vedo Giulia entrare al Nido con il suo papà. Giulia ha 35
mesi. Quando fa il suo ingresso all’Asilo l’atmosfera cambia. Si presenta subito come una chiacchierona, si esprime moltissimo verbalmente, anche se il suo linguaggio è piuttosto confusiona-
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rio e poco comprensibile per chi non la conosce. Giulia si esprime in modo concitato, col papà,
l’educatrice, i suoi amici. Una parola dietro l’altra, come se avesse troppe cose da dire e tutte in
una volta, confonde le lettere, soprattutto le consonanti, le scambia, è davvero difficile capirla.
Giulia e il suo papà appaiono subito molto complici. Senza bisogno che il papà insista, Giulia va a
sedersi sulla panchina davanti agli armadietti. Il papà la prepara per la giornata al Nido, chiede la
sua collaborazione e la bambina, accondiscendente, sembra felice di partecipare attivamente.
Mentre il papà e Giulia si preparano si guardano spesso negli occhi, sorridono, e comunicano moltissimo commentando cosa stanno facendo gli altri bambini e le attività in cui sono coinvolti.
Giulia sembra felice di andare al Nido, di rivedere le educatrici e i suoi amici, entusiasta delle mille cose da fare che la aspettano, curiosa e impaziente di scoprirle. Il saluto con il papà è affettuoso, i due si cercano per il bacio di ogni mattina, o due, o tre! Come a volte chiede Giulia. Talvolta
Giulia chiede alla sua educatrice di riferimento di poter salutare il papà alla finestra. Le due, insieme ad altri bambini, si avvicinano alla finestra e guardano il papà di Giulia uscire dal portone, girarsi e fare un altro saluto alla sua bambina, che Giulia ricambia con allegria. Un giorno il papà fa
uno scherzo a Giulia, si nasconde sotto il davanzale della finestra e mentre la bambina aspetta
che papà esca dal portone lui sbuca all’improvviso dal basso..Giulia è molto divertita. La vivacità
e la voglia di fare di Giulia si manifesta con tutti. Con le educatrici, mostrandosi sempre pronta a
partecipare con entusiasmo alle attività proposte, tanto che le tate a volte la definiscono la “rappresentante di classe”, essendo sempre la prima a proporsi; e con i compagni, essendo sempre
propositiva fino a spingersi a volte oltre il limite diventando un po’ prepotente e prevaricatrice.
Anche dal punto di vista relazionale Giulia appare fin dall’inizio esuberante, cercando piuttosto
di frequente la compagnia, il contatto fisico e visivo con le educatrici e dando spesso il via a giochi e attività con i propri amici. La sua esuberanza talvolta ha bisogno di essere contenuta, così
come altre volte un po’ di capricci scoraggiati, ma la capacità di fermarsi un attimo a riflettere,
magari con l’aiuto dell’educatrice, non le manca.
Prima dell’arrivo della mamma (solitamente è lei che va a prendere la bambina al Nido poco dopo la merenda), Giulia appare ancora desiderosa di fare, giocare, interagire con gli amici e l’educatrice del pomeriggio, piena di energie. Il primo giorno di osservazione dice agli altri bambini
che da li a poco il campanello sarebbe suonato e sarebbero arrivate le mamme, forse lo ripete un
po’ a se stessa. Il campanello suona, ma invece della mamma di Giulia ci sono i nonni. Giulia rimane malissimo, si aspetta di vedere la mamma, nessuno al mattino la ha informata del fatto che
sarebbero venuti i nonni, è molto delusa. I nonni la salutano, le chiedono un bacio, la rassicurano
sul fatto che la mamma sta per arrivare al Nido a prenderla e che loro sono solo arrivati un po’
prima per aspettarla insieme, ma Giulia non ne vuole sapere di avvicinarsi, dà loro le spalle, fa il
muso girata verso lo specchio. Il nonno perde velocemente la pazienza e la rimprovera, le dice
che non andrà mai più a prenderla all’Asilo e di non cercarlo più al pomeriggio perché tanto lui
non ci sarà. L’educatrice cerca di stemperare la tensione “Su nonno che starà ancora con la sua
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nipotina!”. Non appena la mamma arriva, Giulia le corre incontro. La mamma si china verso di lei e
si accorge che c’è qualcosa che non va. Il nonno arrabbiato riferisce immediatamente alla mamma l’accaduto e la mamma si unisce al rimprovero. Continua a sgridare Giulia anche mentre la
prepara sulla panchina davanti agli armadietti, lo fa con una certa ironia. Quando la bambina è
ormai pronta per andare l’educatrice, accorgendosi che Giulia è rimasta molto male, tenta di interrompere la dinamica in corso proponendo alla bambina di fare pace col nonno e dargli un bel
bacio. Giulia non rifiuta la proposta e si avvicina al nonno, il quale accetta il bacio della nipotina
dicendole: “Ma allora a fare i capricci prima non era la Giulia, era…..!” utilizzando un altro nome di
persona per indicare che quando Giulia fa i capricci non è lei ma un’altra bambina a farli. Il giorno successivo al ricongiungimento la mamma, appena entrata al Nido, sottolinea nuovamente i
capricci di Giulia il giorno precedente sempre con ironia, la bambina la ignora. La modalità di ricongiungersi di Giulia e la sua mamma ha sempre tempi molto lunghi. La mamma ha l’abitudine
di fare ingresso in sezione intrattenendosi e scambiando qualche parola con le educatrici e gli
altri bambini trascurando di salutare Giulia se non da lontano. Presta attenzione a tutti tranne
che alla sua bambina e solo quando decide che è giunto il momento di andare chiama Giulia a
sé per dirigersi verso gli armadietti e prepararsi. All’ingresso della mamma Giulia tende a restare
impegnata nelle attività che sta svolgendo, come sfogliare un libricino o giocare col telefono. Talvolta si va a nascondere nella tana, da sola o con altri bambini, e a “stanarla”, se la mamma è sola e
non accompagnata dal papà, è sempre l’educatrice che con pazienza e comprensione invita Giulia ad uscire e ad andarsi a preparare. Giulia, generalmente, dopo qualche insistenza accondiscende alla richiesta della tata. Altre volta è proprio Giulia a prendere la decisione di andare verso gli armadietti e iniziare a tirare fuori scarpe e giacca cercando di interrompere le chiacchiere
della mamma. A volte la mamma si mostra poco centrata sulla sua bambina anche mentre la aiuta a prepararsi, tende infatti, più che a comunicare con lei, a parlare con gli altri bambini e i loro
genitori impegnati nello stesso compito. Le cose vanno in modo molto diverso quando ad accompagnare la mamma al Nido c’è il papà. Il bel rapporto tra Giulia e il suo papà emerge anche
al ricongiungimento. Appena fatto ingresso al Nido il papà le si avvicina salutandola, accarezzandole la testa e dandole un bacio mentre la bambina è impegnata in qualche attività come suo
solito. Giulia non si ritrae dalla vicinanza e dal contatto fisico col papà. La mamma si dedica come
sempre, e forse di più vista la presenza del papà e quindi la possibilità di delegare certi compiti a
lui, alla conversazione. Un giorno Giulia, dopo aver salutato il papà corre a nascondersi nella tana.
La mamma a distanza e con tono stanco delle solite “scene” la richiama, le chiede di uscire e di
andarsi a preparare. Il papà al contrario interviene immediatamente andandola a cercare e fingendo di trovarla per caso. Giulia esce soddisfatta dalla tana non appena il papà glielo chiede, si
avvicina agli armadietti e quando la mamma la segue per aiutarla a prepararsi Giulia esclama:
“No! Voglio il papà!”.
La situazione particolare che si verifica quotidianamente al ricongiungimento tra Giulia e la sua
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mamma diventa oggetto di confronto con le educatrici, le quali riconoscono che quelle particolari dinamiche, che affrontano ogni giorno, sono per loro molto faticose, rappresentano una
preoccupazione e un grosso lavoro. La tematica viene riportata anche in sede di Collettivo, alla
presenza della Coordinatrice dei Servizi per l’Infanzia del Comune di Fidenza, Dott.ssa Pinì Gennari, e della Coordinatrice della Cooperativa Dolce, Dott.ssa Manuela Lafiandra. Precedentemente, la particolare situazione è stata riferita anche alla Dott.ssa Ada Cigala, Ricercatrice presso la
Facoltà di Psicologia dell’Università degli studi di Parma. Si è lavorato per progettare un possibile
intervento finalizzato a facilitare, rendere più fluido il momento del ricongiungimento tra Giulia
e la sua mamma.
Nei giorni successivi, l’educatrice presente alla riconsegna, mette in atto gli accorgimenti concordati in sede di Collettivo. All’ingresso della mamma di Giulia, l’educatrice cerca di far emergere la
particolarità, la “sostanza” di quel momento, fatto per ritrovarsi, salutarsi, riconoscersi. L’educatrice si adopera per invogliare Giulia ad avvicinarsi alla mamma, la prende per mano, o in braccio,
per condurla da lei. Ma non solo. Verbalizza infatti i vissuti di entrambe, dà voce ai loro pensieri e
alle loro emozioni, non solo per avvicinare Giulia alla mamma, ma anche la mamma a Giulia.
La mamma sembra cogliere il messaggio dell’educatrice, e nelle osservazioni successive, appare
più centrata sulla bambina, più consapevole e meno distratta da tutto il resto. Il saluto perde la
componente di fatica che precedentemente era così evidente, diventa più spontaneo, i tempi del
ricongiungimento si accorciano.
LUCA
L’osservazione di Luca ha inizio l’11 Gennaio 2006. Luca è il primo bambino ad essere osservato,
rappresenta un po’ il punto di partenza di questa esperienza di ricerca nei Nidi di Fidenza.
Luca arriva al Nido molto presto con il suo papà, generalmente è il primo bambino a varcare la
soglia dell’Albero Magico. Alle 7.30 mi trovo al Nido con l’educatrice che fa il turno più mattiniero nonché educatrice di riferimento di Luca, e Luca non si fa aspettare. L’albero Magico è un Nido
che accoglie 18 bambini, consiste di un’unica sezione suddivisa in due sottogruppi di età mista
ciascuno seguito da una educatrice. L’Asilo si trova al primo piano di un condominio situato in
una zona semicentrale di Fidenza ed è ricavato da due appartamenti uniti, è quindi dotato di
due ingressi che si affacciano rispettivamente su ciascuno dei due spazi riservato ai due sottogruppi. I due appartamenti sono uniti da un corridoio che è stato adibito a spogliatoio, sono presenti infatti gli armadietti di tutti i bambini che frequentano il Nido e una piccola panchina per
facilitare il compito di mamme e papà.
Luca e il suo papà suonano al campanello del portone del condominio. L’educatrice apre il portone ma aspetta ad aprire la porta di ingresso del Nido..questo mi lascia pensare che l’educatrice
sappia bene che i tempi tra l’ingresso dal portone e quello dalla porta siano piuttosto lunghi, e
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in effetti è così. Attraverso la porta si sente la voce del papà di Luca nelle scale. “Uno, due,
tre…sette e otto!!!” Il campanello suona ancora, stavolta è quello della porta. L’educatrice apre
ed ecco Luca e il suo papà. Luca è il più piccolo del suo sottogruppo, ha 16 mesi. Luca è in piedi
davanti alla soglia tutto imbacuccato, mi guarda incuriosito per pochi istanti ma non da segni di
disagio, ne sembra che la mia presenza interferisca con i suoi rituali di ingresso al Nido e di saluto con l’educatrice e il papà. Il bambino fa ingresso all’Asilo con il sorriso, lui e la sua tata si scambiano uno sguardo di intesa. Luca, con ancora indosso la giacca parte all’esplorazione prima della sezione, poi del Nido. Si sofferma su diversi oggetti a cui dedica uno ad uno una breve attenzione. Li prende, li porta al papà, all’educatrice e anche a me, li mostra e li porge. L’educatrice dice che si tratta di un vero e proprio rituale che si verifica ogni mattina. Il papà lo chiama a sé diverse volte, ma Luca, pur non facendo finta di niente, continua nella sua esplorazione. Il papà lo
asseconda brevemente in questo suo “saluto alla sezione”, ma dopo pochi minuti lo ferma, gli toglie la giacca, la felpa, gli mette le calzine antiscivolo, il tutto coinvolgendolo sia verbalmente che
chiedendo la sua collaborazione “pratica”. Quando è pronto, ricomincia ad esplorare. Sembra proprio che abbia bisogno di un tempo e un modo tutto suo di riappropriarsi degli spazi, dei giochi,
e delle relazioni. L’educatrice si avvicina a lui per salutarlo, Luca si lascia fare una coccola senza
protestare anche se l’educatrice lo distoglie per un attimo dalle sue occupazioni. Mentre Luca
esplora, il suo papà lo guarda con curiosità e compiacimento, sembra felice che Luca si senta così
a suo agio, così padrone degli spazi e degli oggetti, così sicuro nel muoversi, nell’allontanarsi da
lui pur mantenendo un contatto continuo di sguardi a distanza. Sono passati una decina di minuti, il papà annuncia a Luca che deve andare a lavorare e lo chiama a sé per salutarlo. Luca lo
guarda ma non si avvicina, riprende immediatamente le sue attività. Il papà gli ripete che deve
andare, e visto che Luca non da cenno di avvicinarsi è il papà a farlo, lo prende in braccio, cerca lo
sguardo del bambino, e gli da un bacio del saluto. Luca dà un bacio al suo papà, sorride. L’educatrice non interviene quasi per niente in un saluto che appare fluido, agevole, coordinato. Il papà
lascia che Luca torni alle sue attività e si avvicina alla porta, lo saluta ancora, anche con la mano.
L’educatrice verbalizza ciò che sta accadendo, Luca guarda ancora il papà e ricambia il saluto con
la mano. Luca si esprime poco verbalmente, il suo linguaggio è ancora fatto molto di gesti e
sguardi. Uscito il papà dalla porta, Luca continua a giocare e ad esplorare. Il bambino è attentissimo ed estremamente incuriosito dall’ingresso dei suoi amici e dei loro genitori al Nido, li guarda,
segue i loro movimenti, li accompagna agli armadietti, si siede accanto a loro mentre i genitori li
preparano per l’Asilo. Dopo circa un’ora si avvicina alla porta, appoggia le manine e chiama
mamma e papà, senza piangere. L’educatrice lo avvicina, lo prende in braccio e gli spiega che la
mamma e il papà sono a lavorare e che la mamma arriverà più tardi. Luca si lascia consolare,
ascolta attentamente le parole dell’educatrice e poi riprende a giocare.
Solitamente è la mamma ad andarlo a prendere al pomeriggio, attorno alle 15.30. Prima dell’arrivo della mamma Luca è in genere impegnato nella merenda…e in mille altre cose!! Ha una certa
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difficoltà nello stare seduto e aspettare che i suoi amici abbiano finito, così di solito è il primo
che l’educatrice del pomeriggio fa scendere dalla seggiolina. Luca riparte in esplorazione, si concentra per poco tempo su ogni cosa di cui si interessa, sembra impaziente, sembra ingannare il
tempo come meglio riesce nell’attesa della mamma. Anche le attività proposte dall’educatrice
raccolgono in lui un interesse solo passeggero, Luca è impegnato in qualcos’altro, aspettare. Si
attiva ad ogni suono di campanello, alza lo sguardo alla porta, si avvicina, chiama mamma..e finalmente la mamma arriva! Luca le va incontro, tende le braccia, la mamma lo prende in braccio
e gli da un bacio salutandolo. Dopo il saluto con la mamma Luca da inizio ad una dinamica di inseguimento che nelle osservazioni successive si ripete molto spesso. Luca si fa cercare, rincorrere, inseguire. La mamma deve chiedergli diverse volte di andarsi a preparare. Ma nel momento in
cui la mamma asseconda la sua fuga, interpretantola come voglia di giocare ancora un po’ e si intrattiene con l’educatrice, è Luca stesso che le si avvicina e la conduce verso gli armadietti..come
dire “andiamo?”. Alcune volte Luca si lascia vestire velocemente perché sa che se “fa il bravo” ottiene il mentino (che l’educatrice da ad ogni bambino prima di andare a casa), altre volte, riottenuta l’attenzione della mamma, ricomincia a scappare, o a protestare blandamente mentre la
mamma è impegnata a prepararlo. Lo stesso tipo di comportamento, e se vogliamo di rituale, Luca lo agisce quando è il papà (saltuariamente) ad andarlo a prendere. Solo una volta Luca chiede
al papà attenzioni diverse. Quel giorno infatti il papà lo consola in quanto il bambino lascia intendere molto chiaramente di essere sorpreso e forse un po’ deluso dal vedere il papà e non la
mamma entrare dalla porta del Nido al pomeriggio. Luca evidentemente rimane male, si lamenta, il papà allora lo prende in braccio, lo consola e lo rassicura sul fatto che la mamma li sta aspettando a casa.
CONCLUSIONI
Guardare, osservare, scambiarsi uno sguardo…uno sguardo curioso, uno sguardo di intesa, uno
sguardo che vuole rassicurare. Svolgere una ricerca osservativa ha significato per me imparare
giorno dopo giorno a rendere i miei occhi lo strumento principale con cui raccogliere ciò che mi
accadeva intorno, lasciando per un po’ da parte le parole, che solitamente rappresentano la strada più semplice per ottenere informazioni, per capire, per chiedere spiegazioni. Il mio sguardo
ha dovuto imparare a sospendere ogni giudizio, a non correre verso una conclusione piuttosto
che un’altra, ad aspettare, a farsi curioso, a orientarsi in un mondo fatto di mille stimoli, di luce,
colore, giochi..ma non solo. Ha dovuto provare, e cercare di diventare ogni giorno sempre più attento a cogliere non solo ciò che si vede, ma anche ciò che si vede solo se si osserva in un modo
particolare: le emozioni e le relazioni.
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Lavorare con i bambini è sempre un’esperienza speciale, sempre diversa in ogni occasione. È un
vero privilegio poter entrare nel loro mondo, poter osservare e vivere le cose attraverso i loro occhi. Stavolta il privilegio è stato ancora più grande, in quanto ciò che ho avuto la possibilità di osservare è una parte importante della relazione che lega i bambini alle loro mamme e ai loro papà, quella parte che si svolge ogni giorno in un luogo, il Nido, in cui si respirano emozioni, e dove
mamme e papà con i loro bambini trovano delle persone, le educatrici, il cui lavoro è quello di
entrare in contatto affettivo e prendersi cura di tutti loro.
Essere osservatrice, mantenere la giusta distanza, non ha significato stare in disparte, evitare alcun contatto, tenersi fuori dalle relazioni. Piuttosto, ha voluto dire instaurare, vivere le relazioni in
un modo nuovo, attraverso un linguaggio immediato, universale, profondo, quello appunto dello
sguardo. Un linguaggio che più di altri, per veicolare significati, ha bisogno della disponibilità di
tutti i partecipanti, della voglia di lasciarsi conoscere, della fiducia nell’altro. Questo è ciò che ho
trovato, ed è per questo che ringrazio le educatrici, i genitori, ma soprattutto (e ci tengo molto) i
bambini, per avermi “lasciata entrare” nella loro vita ed avermi coinvolta e resa parte di alcuni
momenti di essa.
Allo stesso modo ringrazio le mamme e i papà, che pur non avendo partecipato alla parte osservativa della ricerca, si sono resi disponibili e partecipi compilando in modo completo e con grande serietà il questionario rivolto a tutti i genitori dei bambini che frequentano i Servizi Asili Nido
di Fidenza.
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LA VOCE DAI SERVIZI
Manuela Lafiandra
Pedagogista e Coordinatore Responsabile Cooperativa Sociale Società Dolce
Il mio contributo ha l’intento di restituire quanto emerso nei tavoli di lavoro dei Servizi 1 su un tema
storicamente poco discusso, sul quale oggi si sente il bisogno di acquisire maggior consapevolezza.
Mettere al centro la figura del padre ha significato, per i gruppi di lavoro, riposizionare un pensiero e accogliere il disorientamento prodotto dalla messa in discussione di un punto di riferimento
che sembrava dato, definito: al nido giunge una coppia, la mamma e il suo bambino. Il bisogno
non è stato quello di ribaltarne il senso, ma di indagare con curiosità attorno a questo pensiero.
La maggiore presenza dei papà che accompagnano il proprio bambino al nido ha portato le
educatrici a riflettere sulle loro parole lasciate al nido.
Pensare ai padri ha significato anche, ed inevitabilmente, ripensare alle madri e alle modalità relazionali che con loro le educatrici costruiscono quotidianamente.
Da questo sono nate alcune considerazioni:
“Per le madri il nido è un ulteriore passaggio, una nuova esperienza di separazione, dopo il parto e
l’allattamento”.
“Le madri sono molto coinvolte emotivamente nella separazione dal bambino, hanno bisogno di
tempi lunghi per potersi fidare”.
“La madre, affidando il suo bambino al nido, esplicita il bisogno che le cure, i gesti e le modalità siano
un prolungamento di ciò che avviene con lei”.
“Le madri, al momento del ricongiungimento, hanno bisogno di sapere tante cose del loro bambino,
ogni particolare”.
“Le madri hanno bisogno di essere protagoniste nelle decisioni che riguardano il bambino”.
1 Il
personale educativo che ha partecipato a questo percorso è formato esclusivamente da donne: Anna, Cristina, Daniela, Francesca, Giorgia, Irene, Lucia, Sabrina, Sara C., Sara T., Simona (nido Il Girotondo), Caterina, Isabella e Roberta (nido L’albero magico), Elena e Maria Barbara (nido L’aquilone). A loro il mio più sentito ringraziamento, per aver messo a disposizione, ancora una volta, sapere professionale e flessibilità di pensiero, che storicamente alimentano la qualità dei Servizi.
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“Entrare in una coppia, mamma bambino, significa entrare in punta di piedi”.
“Le madri, sin da bambine, riconoscono e sperimentano il desiderio di maternità, sentimento che
viene loro riconosciuto e sostenuto”.
Ripensare ha portato a rivivere le emozioni che relazioni così complesse mettono in gioco, dove
due pensieri femminili si incontrano, vivono sentimenti di affinità e di empatia, ma a volte anche
di competizione e di chiusura verso l’esterno.
Alla luce di queste considerazioni, nate da una ricca memoria individuale e collettiva, fatta di tanti incontri quotidiani, di riflessioni continue e di saperi scientifici che ne hanno fatto da intelaiatura, i ricordi con i padri sono apparsi meno strutturati.
Uso questo termine, poiché la percezione è stata quella di avere nella mente dei vissuti sospesi
tra l’immaginato e il reale, vissuti che avevano bisogno di essere posti al centro di un pensiero individuale e di gruppo che li potesse mettere a fuoco.
Ciò che inizialmente si percepiva era che le relazioni con i padri fossero, emotivamente meno faticose e, al contempo, un po’ spiazzanti in quanto meno intrise di parole e di reciproche consultazioni, mancanti di quegli elementi che uno sguardo femminile cerca, anche inconsciamente, nella relazione con l’altro.
Il bisogno, quindi, è stato quello di andare oltre, di capire quale fosse la strada per indagare, per cogliere ciò che, in quel momento, non era evidente allo sguardo femminile che osservava il maschile.
Marianella Sclavi 2 nel suo libro “Arte di ascoltare e mondi possibili” dice: “Quel che vedi dipende
dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista devi cambiare punto di vista”.
Cambiare punto di vista ha significato sospendere il giudizio da ciò che era la percezione comune
della figura del padre, dandosi un tempo per osservarne le dinamiche reali e su queste porsi delle domande.
“I padri, al momento della separazione, manifestano con meno evidenza sentimenti d’ansia; il
passaggio del bambino, dalle sue braccia a quelle dell’educatrice, è agevolato”.
“I padri, al momento del ricongiungimento, sono più trattenuti a manifestare gesti e parole
affettuose”.
“I padri portano, attraverso le loro parole, meno vissuti familiari. Esprimono meno dubbi, chiedono
meno confronti”.
2 Marianella
Sclavi (2003), Arte di ascoltare e mondi possibili, Bruno Mondadori
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“I padri manifestano interesse e curiosità in modo differente rispetto alle madri: sono più coinvolti
dagli aspetti di socializzazione, evolutivi e di apprendimento del proprio bambino. Molto meno
coinvolti dagli aspetti pratici: alimentazione, sonno, funzioni fisiologiche, ecc…”.
“I padri sono più attenti alla socialità del bambino. A differenza delle mamme che al momento del
saluto dicono più frequentemente ‘Vai dalla tata’, i padri generalmente dicono ‘Vai a giocare con i
bimbi’.”
“Di fronte a decisioni che riguardano il bambino i padri dicono frequentemente: lo chiedo a mia
moglie”.
“Anche i padri elaborano un bambino interno, ma a differenza delle madri, non sperimentano sin da
piccoli il desiderio di paternità, è un sentimento che non viene loro riconosciuto e sostenuto”.
L’osservazione è una pratica che fa parte della quotidianità del nido. È uno strumento, che quasi
magicamente produce cambiamento e credo che, anche in questo caso, lo abbia prodotto. L’osservazione ha permesso di mettere da parte i padri immaginati e ripulire il pensiero dal pregiudizio, cogliendo la diversità non come elemento mancante, ma come valore, ovvero come capacità di svolgere, all’interno di una relazione triadica, una funzione complementare e regolatrice.
Restando in ambito di specificità e di complementarità, mi torna alla mente un passaggio del libro di Carmine Ventimiglia 3 “Di padre in padre”, dove l’autore tratta della relazione e della comunicazione tra madre e figlio in termini di trasversalità, ossia come momento interno ad altre pratiche quotidiane, anche quelle domestiche, quasi a produrre una fusione di mondi vitali.
Per quanto riguarda la figura dei padri, invece, Ventimiglia fa riferimento ad una modalità unidirezionale: si gioca, si parla, si fanno esperienze, ma come momento circoscritto, escludendo la
contemporanea prestazione di altre attività, che restano esterne, precedenti o successive, quasi a
produrre, non una fusione di mondi, ma un reciproco confinamento di due ego.
Si è osservato che questa dinamica è presente anche nei momenti in cui i padri giungono al nido: la relazione con il bambino e l’educatrice è orientata prevalentemente al qui ed ora di quel
che accade, con meno implicazioni, rispetto alle madri, di ciò che è il prima e il dopo, ma con altrettanta pregnanza emotiva.
Le mamme e i papà continuano ad essere presenti anche quando fisicamente escono dal nido,
perché sono presenti nei pensieri dei bambini. Sono presenti in ciò che loro fanno o non fanno,
in quel che dicono o non dicono, poiché tutto viene autorizzato, oppure no, da una mamma, ma
anche da un papà, che riflettono il ruolo dell’una nel ruolo dell’altro.
3 Carmine Ventimiglia
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(1994), Di padre in padre, Franco Angeli
Le educatrici quotidianamente entrano in relazione con il femminile e il maschile anche attraverso la relazione con i loro bambini, fatta di una pluralità che ha bisogno continuamente di essere
significata.
Attribuire significato non è un’operazione neutra, ci mette in contatto con le nostre emozioni e il
nostro vissuto che sono una parte di noi in continuo divenire e che trovano orientamento e sostanza nell’incontro con l’altro; porre all’attenzione del gruppo di lavoro la figura del padre ha
prodotto un arricchimento.
Tra le riflessioni nate nei gruppi è emerso anche, come criticità, che generalmente la presenza
dei padri al nido, seppur più assidua di un tempo, è piuttosto discontinua rispetto a quella delle
madri, indebolendo così la possibilità di costruire una relazione stabile. Condizione che in alcuni
casi porta ad un atteggiamento rinunciatario da parte dell’educatrice, rispetto alla possibilità di
coinvolgere alcuni padri in un percorso di co-costruzione di pensieri, confronti e sostegno, poiché tutto questo ha bisogno di continuità e permanenza.
Consegnare al gruppo questa fatica, ha permesso di coglierne l’aspetto frustrante ed il bisogno
di capire se e in quale misura se ne potesse intravedere un cambiamento. Un primo passo nasce
da una domanda: è possibile che il fare relazionale abbia bisogno di ulteriori strumenti che possano aiutare ad accogliere anche questo tipo di relazione? Che contribuiscano a far coesistere,
nel pensiero di un’educatrice, anche un’idea altra di relazione, dove si fa con quel che c’è?
Mi torna alla mente il pensiero di un’educatrice: “I papà li dobbiamo tener dentro alla mente”.
Credo che questo pensiero sia di una potenza infinita. Ha dentro la consapevolezza di quanto accogliere e stare in relazione sia un fatto fortemente mentale.
Tener dentro alla mente significa stare nella relazione anche quando fisicamente si è distanti, essere disponibili ad accogliere l’altro quando l’altro c’è, con tutte le emozioni che entrano in gioco, che richiedono di essere riconosciute e sostenute.
Riconoscere ai padri il bisogno di esprimere il loro sapere e il loro fare genitoriale credo che richieda anche disponibilità da parte del pensiero femminile a restituire spazio, accettando anche
la possibilità che lo stare e il fare con il bambino si realizzi attraverso altre modalità.
Questo passaggio non è né facile né scontato; credo che il modello, l’idea di padre che tradizionalmente lo vede in secondo piano da tutta una serie di ambiti relativi alla cura dei figli sia per
impregnazione nel pensiero femminile sortendo una sorta di gratificazione, direi anche, di potere femminile.
Dare spazio, quindi, credo che sia una sfida da cogliere oggi, anche alla luce delle profonde trasformazioni che i ruoli sociali dell’uomo e della donna hanno avuto, trasformazioni che non richiedono con-fusioni di ruoli, ma reciproco accoglimento.
Quando diciamo che il nido è un luogo fortemente connotato al femminile e ci chiediamo come
sia possibile creare le condizioni affinché i padri si sentano in maggiore sintonia con questo luogo, stiamo già attivando un cambiamento, attraverso la presa di coscienza di un bisogno dal
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quale partire con curiosità, tollerando di darsi tempo.
Concludo rilanciando una riflessione.
Al nido gli spazi e i materiali denotano spesso un’impronta marcatamente femminile. Ripensarli e introdurre elementi maschili può concorrere a creare un contesto più leggibile ai padri?
O forse, la presenza di elementi di gioco connotati al maschile ha sostanzialmente la funzione di ricordare al bambino, quando è al nido, la sua relazione con il papà?
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“Non insegnate ai bambini
ma coltivate voi stessi il cuore e la mente
stategli sempre vicini
date fiducia all’amore il resto è niente”
Giorgio Gaber
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2. LETTURE AL PLURALE
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2. LETTURE AL PLURALE
COORDINA IL TAVOLO
Paolo Vaccaro
Responsabile Area Nord-Ovest Cooperativa Sociale Società Dolce
Buongiorno a tutti.
Sono Paolo Vaccaro, Responsabile dell’Area Nord Ovest della Cooperativa Sociale Società Dolce e
papà di Letizia e di Beatrice, due meravigliose bambine di sei e due anni; la piccolina frequenta
tuttora un micro nido. Mi sento quindi particolarmente coinvolto ed interessato.
Riprendiamo i lavori di questa interessante giornata con Paolo Nori, scrittore parmigiano che offrirà spunti di riflessione anche attraverso la lettura di alcuni brani tratti dal suo ultimo romanzo
ambientato a Parma ed edito da Feltrinelli “Mi compro una Gilera”.
Seguirà l’intervento di Mattia Toscani, sociologo che ci darà una lettura dei cambiamenti sociali e
culturali della figura paterna negli ultimi 30 anni, e cioè dall’apertura dei primi nidi in Italia ad oggi.
Successivamente daremo la parola a Marco Fibrosi, pedagogista, che ha svolto per diversi anni la
professione di educatore al nido d’infanzia e che ci darà una restituzione dei vissuti che l’educatore maschio sperimenta al nido, facendo riferimento alla propria esperienza professionale.
Lasceremo infine a Pinì Gennari, Coordinatrice Pedagogica del Comune di Fidenza, il compito di
porre l’accento su alcune considerazioni emerse e di chiudere i lavori.
Ringraziamo di cuore tutti i nostri illustri ospiti che così bene hanno saputo darci spunti di riflessione, spesso anche emozionandoci, sulla figura del papà al nido e più in generale sulla diade
papà-bambino.
Noi di Società Dolce, quando incontriamo le famiglie dei bambini che accogliamo nei nostri nidi,
diciamo sempre che al nido non arriva un bambino, ma una mamma con il suo bambino.
L’auspicio è che da oggi tutti noi ci impegniamo affinché si accolgano una mamma e un papà
con il loro bambino, nel rispetto delle differenze che ogni persona porta con sé.
dal libro di Giovanni Bollea “Genitori grandi maestri di felicità”
“Le madri ci accolgono in terra, i padri ci sollevano in cielo”
(Poeta indiano)
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“…..DAL PUNTO DI VISTA DEL BABBO…”
Paolo Nori
scrittore
UNA FIGLIA FEMMINA
Avere a che fare con dei bambini di due anni, secondo me è difficilissimo. Loro son lì, sono indifesi, in un certo senso tu ne puoi fare quello che vuoi, sono creta nelle tue mani, come si dice. Dipende tutto da quel che gli dici e da come li abitui. Ne vuoi far dei nazisti, ne fai dei nazisti. Ne
vuoi fare dei mistici, ne fai dei mistici. Ne vuoi fare dei pittori, ne fai dei pittori.
Una grande matematica russa ricorda nelle sue memorie che il fatto di essere diventata matematica dipendeva dalla carta da parati che c’era nella sua stanza quando era piccola.
I suoi, non avevan tanti soldi, avevano tappezzato la stanza con un vecchio manuale di matematica e lei, vedersi intorno sempre queste radici quadrate, queste equazioni a tre incognite, quando ha poi cominciato a studiar matematica le è sembrato subito facile, una lingua familiare, e è
andata giù per quella strada lì e è diventata una grande matematica russa. Ancora meglio di sua
sorella che avrebbe potuto sposare Dostoevskij ma ha preferito di no.
Io mi ricordo i primi tempi dopo che è nata mia figlia, io non avevo capito tanto bene cos’era
successo. Mi ricordo che quando l’ho vista venir fuori, in sala parto, la prima cosa che ho pensato
è stata Merda, è uguale a me. Mi sembrava proprio uguale identica, era anche pelata. Con un accenno di capelli, dietro le orecchie, che era del rosso che avevo io quando ero piccolo.
C’è un’operetta di uno scrittore russo che a me piace molto, Daniil Charms, che comincia così:
Mi chiamano cappuccino. Per questo mi toccherà strappare le orecchie a qualcuno, ma adesso
quello che non mi dà pace è la gloria di Jean-Jacques Rousseau. Perché sapeva tutto? E come fasciare i bambini, e come maritar le ragazze. Piacerebbe anche a me, saper tutto. Io poi so giù tutto,
solo non ho fiducia nelle mie conoscenze. Sui bambini, so con certezza che non bisogna fasciarli
per niente, bisogna distruggerli. Per questo io farei in una città una buca centrale e ci butterei tutti
i bambini. E perché dalla buca non venisse puzza di decomposizione, una volta la settimana ci si
potrebbe aggiungere la calce viva. Nella stessa buca ci spingerei anche tutti i pastori tedeschi.
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Di mestiere faceva lo scrittore per bambini, Daniil Carms, ed era popolarissimo. In un’altra operetta, scrive:
Sterminare bambini, è una cosa crudele. Ma qualcosa con loro bisogna pur fare.
Lui davvero, nelle sue opere per adulti, aveva dei protagonisti un po’ tutti così, che i bambini, loro,
non li sopportavano, ma chissà se anche lui era così. Chissà cosa pensava davvero, lui, Daniil
Charms. Non aveva figli. Chissà se avesse avuto dei figli, che quando ce li hai, soprattutto quando
son piccoli, ti succedon delle cose stranissime e tutte le tue idee sull’educazione le metti alla prova.
Io quando era appena nata mia figlia, nel 2004, stavo leggendo un libro dove c’era uno che parlava di quando era appena nata sua figlia e diceva che quando ti nasce un figlio tu ti devi mettere a
correre, e era un po’ la cosa che era successa a me. Che io, quando è nata mia figlia mi sono trovato
improvvisamente senza pomeriggi. Mi svegliavo al mattino e, trac, mi trovavo che era sera, mi erano spariti i pomeriggi che era una cosa che non mi era mai successa nella mia vita.
Allora in quel senso gli asili nido un po’ ti aiutano, a ritrovare dei pomeriggi, viene da chiedersi
come fanno le maestre dell’asilo, coi pomeriggi.
Che poi, quando ti nasce un figlio che lo porti all’asilo nido ti vengono in mente delle domande,
ma anche stupide, per esempio, Ma le maestre del nido, se hanno dei figli, ci vanno al nido, i loro
figli?
Che poi tra l’altro, io non son sicuro che sia la terminologia esatta, però mi ricordo quando c’è andata mia figlia, all’asilo nido, la sua maestra la chiamava la dada, che io ho ripensato a quando studiavo quel periodo lì dell’inizio del novecento che tutti gli intellettuali europei si chiedevano Ma
cosa significa, questa parola, cosa significa, ecco, avevo pensato, cosa significa, maestra d’asilo.
Però c’è da dire una cosa, che se no uno potrebbe pensare che il nido uno lo usa come parcheggio dei figli, così si ritrova coi suoi pomeriggi, che uno ai figli preferisce i suoi pomeriggi, non è
così.
Non è così perché io, per esempio, se fosse stato per me, mia figlia non l’avrei neanche mandata,
al nido. Io, poi, se fosse stato per me, non l’avrei mandata neanche alla scuola materna, e neanche
alla scuola elementare, e soprattutto non a quella media e forse forse neanche a quella superiore, e questo dipende dal fatto che io, con le scuole, ho avuto delle brutte esperienze, ma lasciamo
ben perdere.
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Non all’asilo, all’asilo non ci son stato perché mio babbo era convinto che all’asilo si prendevano
le malattie, cosa della quale è convinto anche Bazzocchi, il dottor Bazzocchi, il pediatra di mia figlia, che era contrario, all’asilo nido, Ci sono i nonni, diceva, lasciatela ben dai nonni, abbiamo un
pediatra all’antica, non che non sia bravo, è bravo, ma è un po’ all’antica, come mio babbo, solo
che poi mia figlia all’asilo c’è andata perché più del pediatra e del babbo ha potuto la mamma, di
mia figlia, che mia figlia all’asilo la voleva mandare che adesso si potrebbe pensare che ce la voleva mandare per parcheggiarla così le tornavano fuori i suoi pomeriggi, non era per quello, che
io mi ricordo i primi tempi che mia figlia andava al nido, adesso è una cosa che è risaputa, ma per
me quando è successa non era risaputa per niente, era la prima figlia che avevo, e i primi giorni
che è andata al nido, quando ci andava insieme a sua mamma, quando facevano l’inserimento,
sua mamma veniva a casa e diceva Per me sarà difficile, fare a meno dell’Irma, si chiama Irma, mia
figlia. E mi ha raccontato che nel giardino davanti all’asilo, succedeva che le mamme senza i
bambini si fermavano a piangere per delle mezz’ore, quando finiva l’inserimento.
Allora, dal mio punto di vista, l’inserimento io ho sempre pensato che era il momento che le
mamme andavano insieme ai bambini dentro l’asilo con le maestre d’asilo per non sentire così
subito la mancanza dei loro bambini. Poi a un certo punto le cacciavano via e loro si fermavano a
piangere dentro il giardino. Il giardino dell’asilo dell’Irma era grandissimo.
Insomma, comunque, adesso io non è che abbia tanto da dire, sul nido, come tema specifico. Mi ricordo
per dire la prima volta che ci sono andato, all’incontro con le maestre d’asilo, prima ancora che ci entrasse mia figlia, io sono stato il primo, in famiglia, a mettere piede in quell’asilo lì, e mi ricordo che a
quell’incontro lì ho scoperto che il pidocchio, liberato nell’ambiente, non riesce a sopravvivere, per vivere ha bisogno del cuoio capelluto, che per lui è come l’ossigeno per noi, una cosa stranissima, immaginarsi tutta un’atmosfera fatta di cuoio capelluto, eppure per il pidocchio è così, dicevano le maestre d’asilo, le dade di quell’asilo lì dell’avanguardia del secolo scorso che ha fatto mia figlia, che si chiama Irma.
Però, per certe cose, adesso non voglio dire che avere un figlio piccolo sia brutto, no, può essere
anche bellissimo, per me è stato bellissimo e poi per certe cose come l’ultimo dell’anno per dire
può essere anche un sollievo.
Che io, l’ultimo dell’anno dell’anno 2004, con l’Irma che aveva due mesi è stato il primo ultimo
dell’anno che non ho avuto dopo tanti anni il pensiero di cosa fare l’ultimo dell’anno, e io quella
notte lì me la ricordo come una notte incantevole, e è stata la notte che ho cominciato a leggere
i romanzi di Joseph Roth, La cripta dei cappuccini, per esser precisi.
Per chi come me non aveva mai letto niente di Joseph Roth, leggere La cripta dei cappuccini e
anche altri libri di Joseph Roth che ho letto poi dopo all’inizio dell’anno uno resta stupito dal fat60
to che descrivono un mondo che non c’è più, l’impero austroungarico, e lo descrivono nel momento che sta sparendo, sembra quasi che Roth scriva nel preciso momento che il mondo dell’impero austroungarico viene sostituito dal mondo del post impero austroungarico, mentre
glielo stanno togliendo da sotto i piedi, e io leggerli mi è venuto in mente che noi anche il nostro
mondo ce lo stanno togliendo da sotto i piedi, anche lui è appena scomparso o sta scomparendo però non ha un nome preciso come impero austroungarico, neanche impreciso, ce l’ha, un
nome, ma non importa, possiamo benissimo chiamarlo anche noi Impero austroungarico.
L’impero austroungarico era un posto che per esempio una sua caratteristica era che c’erano i telefoni a gettone, e c’erano i barbieri, e le pettinatrici, e c’erano i bar, ci sono ancora i barbieri, solo che non
si chiamano più così, e ci sono ancora i bar, ma quelli dell’impero austroungarico erano dei luoghi di
meditazione di sofferenza e di filosofia che succedevan delle cose che adesso succedono meno per
esempio c’erano i telefoni a gettone dentro nei bar, e una cert’ora c’eran le mogli che telefonavano ai
baristi per chiedergli indietro i loro mariti era un posto difficile, l’impero austroungarico, ma a me piaceva e poi c’ero abituato e c’era per esempio una cosa che adesso ormai non c’è più che era il buon
padre di famiglia, che è una figura sulla quale è fondato il diritto romano e che improvvisamente, da
un giorno all’altro, via, tutta l’autorità dei padri, via, proprio nel momento che son diventato padre io.
Che io non dico che sia un male, anzi, probabilmente è un bene, solo che noi ci troviamo, per forza di cosa, senza parametri, bisogna inventarsi tutto, non puoi rifare quello che hai visto che faceva tuo babbo, devi inventarti tutto, volta per volta, e non è mica facile.
Che abituarsi al nuovo, è sempre difficile, non solo in un ambito così delicato come la famiglia,
anche in ambiti apparentemente meno impegnativi come la tecnologia che io, per esempio, sono uno che con la contemporaneità ha sempre avuto dei problemi. Fino a pochi anni fa, quando
vedevo uno col cellulare, mi sembrava come uno che avesse, non so come dire, tradito. Tradito
cosa? Il mondo così come mi sembrava che dovesse essere a me. Il mondo a cui ero abituato.
Quello lì con le cabine telefoniche e i gettoni.
Andar via, anche nelle cose apparentemente piccole, come lasciare gli appartamenti, anche
quelli dove hai vissuto per due mesi, fa un male.
E lasciare un mondo, quel mondo lì, con i gettoni telefonici, dove i barbieri si chiamavan barbieri,
non so se si capisce, fa malissimo.Adesso son nove anni, che ho il cellulare. Lo uso. I primi cinque
anni, non ho mai mandato degli sms. Adesso son quattro anni, che mando degli sms. Quando ho
bisogno.A me facevano arrabbiare anche quelli che andavano sui pattini a rotelle, i pattini con le
ruote on line, se si dice così, non si dice così. Mi ricordo una volta a Parigi che ho pensato Guarda
che roba. Della gente anche grande. Con la cravatta.
Ci metto un sacco di tempo, a entrare in confidenza con le cose.
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Allora, non so per esempio, io di mestiere scrivo dei libri, e da quando lo faccio, questo mestiere,
che son dieci anni, c’è un po’ di gente che mi ha proposto di mettere su un sito internet, solo che
io pensavo Ma i siti internet di quelli che scrivono i libri, che senso hanno? Non farebbero meglio
a scriver dei libri, invece di mettere su dei siti internet? ho sempre pensato. Dopo ho conosciuto
uno che mi ha quasi convinto a fare un sito per una rivista che stavamo e che stiamo facendo,
che è un settemestrale di letteratura comparata al nulla e si chiama L’accalappiacani, e ho visto
che, insomma. Non succedeva niente di brutto. Poteva essere anche utile.
Allora poi ho messo su un sito internet anch’io che poi delle volte, per esempio in questo caso, se
uno deve scrivere un discorso sugli asili nido e a metà del discorso si accorge che lui ne sa pochissimo, degli asili nido, può mettere l’inizio del discorso in rete e chiedere ai frequentatori del
suo sito internet di dargli dei consigli, che è un po’ poi come chiederlo ai frequentatori del bar,
versione moderna, ma insomma, forse è un po’ la stessa cosa.
E così ho fatto io, ho messo l’inizio di questo discorso in rete, i primi due paragrafi, e poi ci ho
scritto Si accettano suggerimenti.
E dopo un po’ mi sono arrivati, per esempio questo di Aida.
Io non sono tanto sicura che l’equazione sia quella giusta, secondo la mia esperienza funziona
piuttosto così:
“Avere a che fare con dei GENITORI, per i bambini di due anni, è difficilissimo. Loro son lì, sono indifesi, in un certo senso tu ne puoi fare quello che vuoi, sono creta nelle tue mani, come si dice.
Dipende tutto da quel che gli dici e da come li abitui. Ne vuoi far dei nazisti, ne fai dei nazisti. Ne
vuoi fare dei mistici, ne fai dei mistici. Ne vuoi fare dei pittori, ne fai dei pittori”
Mio figlio, per esempio, è riuscito a farmi diventare ciò che desiderava io diventassi.
Oppure questo di Raffaele
• Le tenniste Stefi Graf, Monica Seles e Pierce hanno iniziato a giocare a due anni: più campi da
tennis e meno asili?
Oppure questo di Giancarlo Tramutoli, che è un poeta, e ha scritto una poesia:
Chissà perché
Nessun rumore
Si ode
All’Asilo Erode.
Oppure questo di Mattia
Una volta ero con mia nipote, l’avevo portata a vedere una partita di calcio al campo comunale.
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Poi l’arbitro aveva fischiato il fallo e le avevo detto Hai sentito? L’arbitro ha fischiato il fallo e
adesso il giocatore tira la punizione. E lei mi aveva dato una di quelle risposte spiazzanti Ma tu
zio, mi aveva detto, ma tu, questa partita l’hai già vista?
Oppure questo di Mirella:
Un contributo modesto, diciamo pure terra a terra.
Non è vero, secondo me, che i bambini si possano plasmare a piacimento. Ogni bambino ha il
suo carattere, le sue predisposizioni, le sue dotazioni. Non cè un bambino uguale a un altro.
Una cosa li accomuna i bambini: un altissimo livello di intelligenza e un intuito prodigiosi.
Credo che questa primaria grande intelligenza, sia alla base della convinzione che ciascun adulto
ha, anche il più tonto, di essere, se non proprio un genio, uno con un cervello mica male.
Infatti, non so se avete notato, ma anche se tutti i fatti e gli accadimenti della nostra vita sono lì a
dimostrarci il contrario, tendiamo sempre a crederci intelligentissimi, forse perché una volta,
quando eravamo piccoli, lo siamo veramente stati.
Che a me sembra molto bello anche se critica la cosa che avevo detto io quella lì che dei bambini se ne vuoi far dei nazisti, ne fai dei nazisti, e io, dopo che ho letto questo contributo di Mirella
mi sono chiesto Ma come mai avevo detto quella cosa lì, e mi son ricordato che l’avevo detto per
via di quando avevo otto anni che mi ero convinto di essere contrario al divorzio.
Quando facevo la seconda o la terza elementare avevo una maestra che ci diceva che al referendum noi dovevamo far votare i nostri genitori contro il divorzio. Ci diceva che il matrimonio è un
vincolo indissolubile e ci faceva venire in classe una volta alla settimana un frate molto gentile a
dirci che il matrimonio era un vincolo indissolubile e che essendo indissolubile non si poteva divorziare. La maestra aspettava che il frate uscisse dalla classe e poi ci diceva Avete visto? Cosa vi
avevo detto io?
Ecco, quella signora lì, dopo trent’anni ho saputo che in quel periodo lì che c’era il referendum
contro il divorzio lei era stata lasciata da suo marito e forse anche per quello mia figlia io non la
mandavo a scuola, e neanche all’asilo, solo che le figlie non hanno solo dei babbi, e dei pediatri,
hanno anche delle mamme, allora adesso all’asilo mia figlia ci va e poi probabilmente andrà anche a scuola, e forse alla fine è anche un bene, anche se non sono proprio sicuro.
Dopo, prima di concludere con un pezzetto che parla anche quello di avere a che fare con dei
bambini di due anni, e che in origine era un racconto e che adesso è diventato l’inizio di un romanzo che si intitola Mi compro una Gilera, titolo preso dal celebre proverbio parmigiano Putòst
che tor moiéra, am còmpor na Gilera, prima di finire con questa cosa che si chiama Le scimmie,
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forse è bene dire che la nostra famiglia, mia figlia sua mamma e io, anche in un’altra cosa, siamo
molto poco austroungarici, nel fatto che siamo una famiglia divisa, che mia figlia e sua mamma
abitano da una parte e io abito da un’altra, che è una cosa che anche questa io non so se è un
bene o se un male, non sono sicuro, non sono sicuro quasi di niente, mi verrebbe da dire che non
è né un bene né un male, è una cosa così, e allora pace.
Le scimmie
Ho avuto tanti dispiaceri, nei quarantatre anni che son stato al mondo, ma il dispiacere più grosso, mi sembra, l’ho avuto la scorsa settimana, giovedì, e è durato con intensità crescente fino a lunedì, poi un po’ è calato, però dura ancora, ogni tanto mi torna un po’ addosso.
Una volta, due mesi fa, ero andato a trovare mia figlia, eravam stati al parco, dal leone, dice lei, nel
parco dove andavamo prima c’era un leone di ghisa, credo, di ghisa, c’era la statua di un leone
che a lei piaceva tantissimo quando mi vedeva diceva Andiamo dal leone.
Per lei vedermi voleva dire andare al parco, e andare al parco voleva dire andare dal leone e anche adesso che lei ha traslocato e quando la vado a trovare andiamo in un altro parco dove di
statue e di leoni non ce ne sono, lei continua a dire che andiamo dal leone.
Una volta, due mesi fa, eravamo in questo parco eravamo appena arrivati eravamo seduti su una
panchina che mangiavamo il gelato, lei, mangiava il gelato, io l’aiutavo, le scartavo il cucchiaino,
l’imboccavo, la pulivo, le buttavo via il gelato che non le andava più le tenevo la cialda, a mia figlia piace moltissimo succhiare le cialde, a guardarla mangiare il gelato si direbbe che le piace
più la cialda, del gelato, il gelato dopo un po’ la stanca, di cialde ne mangerebbe dei chili.
Quella volta lì, eravamo sulla panchina, dietro la panchina c’era un casco di banane Come mai ci
son queste banane? ho pensato, ma non ho detto niente, avevo in mano il gelato che si stava
sciogliendo ho tirato giù mia figlia dal passeggino ho incominciato a aiutarla a mangiare il gelato fino a che lei, si è girata, ha visto per terra il casco di banane mi ha chiesto Cosa sono quelle?
Banane, le ho detto.
E perché sono qui?
Non lo so. Le avrà lasciate qualcuno.
E chi le ha lasciate? mi ha chiesto.
Forse le scimmie.
Le scimmie?
Le scimmie.
Mia figlia si è messa a guardare gli alberi poi mi ha guardato mi ha chiesto Le scimmie?
Sì, le ho detto, le scimmie, probabilmente sono sugli alberi che girano quando si stancano che gli
calan li zuccheri vengono giù prendono una banana e via, che fanno un altro giro.
Mia figlia mi ha guardato, ha guardato le banane, ha guardato gli alberi, mi ha guardato, Le scimmie? mi ha chiesto.
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Sì, le ho detto io, le scimmie. Facciamo piano che ci dev’essere pieno di scimmie, le ho detto.
Mia figlia mi ha guardato, ha guardato gli alberi, ha guardato ancora me, ha fatto una smorfia, è
scoppiata a piangere.
Dopo, tutto il pomeriggio ogni tanto mi chiedeva Ci sono le scimmie?
E io No, non ci sono, non ci sono. Era uno scherzo, non ci sono. Vedi una scimmia? Non c’è neanche una scimmia.
Ogni dieci minuti mi guardava, faceva una faccia spaventata mi chiedeva Più scimmie?
Più, le dicevo io, non ci sono. Basta scimmie.
Basta, diceva mia figlia, son tutte morte, diceva.
Il giorno dopo sua mamma mi ha detto al telefono che mia figlia le aveva raccontato che al parco
avevamo incontrato un esercito di scimmie che però io le avevo picchiate con dei bastoni erano andate via. Per un mese circa, quando siamo andati dal leone, lei ogni tanto mi chiedeva Più scimmie?
Più, le dicevo io.
Ogni tanto cercavo di convincerla Te non hai paura dei leoni, le dicevo, non ha senso che hai
paura delle scimmie. Se vedi una scimmia e le fai Bu, è la scimmia che ha paura di te.
E lei diceva Bu bu bu, e intanto faceva la faccia cattiva.
Brava, le dicevo io.
Un po’ stava tranquilla poi mi chiedeva Più scimmie?
Più. Non ce ne sono più.
Son tutte morte? mi chiedeva lei.
Sono scappate. Son tornate in Africa.
In Africa?
In Africa. Ma questo non c’entra.
Un’altra volta, un mese fa, eravamo a casa sua, adesso è un periodo che c’è molto freddo, è inverno, è raro, che andiam dal leone, quest’inverno ci siam stati solo una volta verso le cinque c’era
già buio non c’era nessuno, solo io e l’Irma, si chiama Irma, mia figlia, e ha due anni, e qualche
mese, c’eravamo solo io e questa bambina di due anni e pochi mesi che giravamo mano nella
mano per questo parco deserto senza scimmie e senza leoni, ma questo non c’entra, un’altra volta, un mese fa, eravamo a casa sua, mia figlia ha cominciato a raccontarmi una storia che lei, nel
giardino del suo asilo, dietro degli alberi, ha incontrato degli elefanti che la volevan picchiare lei
si è messa a correre fortissimo è arrivata dentro l’asilo si è chiusa dentro si è barricata.
Ma cosa ci facevano degli elefanti nel giardino dell’asilo? le ho chiesto.
Lei mi ha guardato, ha ricominciato a raccontarmi la storia fin dall’inizio. Si agitava moltissimo,
raccontando. E poi i giorni dopo me l’ha ripetuta ancora cinque o sei volte in versioni diverse, le
ultime volte era lei, che picchiava gli elefanti, ma raccontava sempre con meno interesse, il suo
interesse questi ultimi tempi è rivolto a Bazzocchi, al dottor Bazzocchi.
Una volta sono arrivato a casa di mia figlia che lei aveva il catarro doveva andar dal dottore. Allo65
ra con sua mamma siamo montati in macchina siamo andati in centro vicino allo studio del dottor Bazzocchi. Quando siamo arrivati la mamma dell’Irma si è fermata per parcheggiare io e mia
figlia siamo andati dal dottor Bazzocchi come siamo entrati in sala d’aspetto s’è aperta la porta il
dottore ha detto Avanti il prossimo, e il prossimo eravam noi.
Come siam stati dentro l’Irma s’è guardata intorno, ha guardato Bazzocchi, mi ha guardato, Voglio la mamma, ha detto, e è scoppiata a piangere.
Il dottore ha alzato le mani Non ho fatto niente, ha detto.
L’Irma ha smesso di piangere, gnolava solo un po’, quello stato tra il pianto e il non pianto che
hanno i bambini.
Io ho indicato all’Irma un orologio a muro con nel quadrante la foto di un bambino Cos’è quello?
le ho chiesto.
Un bimbo, mi ha risposto lei.
E piange? le ho chiesto.
No.
E allora te perché piangi?
E lei mi ha guardato senza dir niente. Dopo Bazzocchi l’ha auscultata, l’ha pesata, l’ha misurata, le
ha guardato in gola, le ha fatto prima il verso Fai Aah, le ha detto, Aaaaah, ha fatto l’Irma, e Bazzocchi con una lucina le ha guardato la gola le tonsille quello che doveva guardare stavam per
uscire che si è sentito bussare, abbiamo visto aprirsi la porta era la mamma dell’Irma, Ciao mamma, le ha detto l’Irma.
Dopo mi ha detto sua mamma che mia figlia si svegliava al mattino diceva Andiam da Bazzocchi? E quando poi me la passava io le dicevo al telefono Come t’ha fatto fare Bazzocchi? e lei mi
diceva al telefono Aaaaah.
Dopo una volta qui ultimamente sono arrivato a casa di mia figlia qualcuno le aveva regalato un
set con uno stetoscopio, uno strumento per misurar la pressione, una siringa, un martelletto per
provare i riflessi un paio di occhiali di plastica e giocavamo a Bazzocchi. Chi si metteva gli occhiali era Bazzocchi e l’altro era l’Irma che si faceva visitare.
A mia figlia delle volte le piace farmi far l’Irma e le piace fare lei il babbo. Quando io faccio l’Irma
che lei fa il babbo io le chiedo Posso guardare i Barbapapà?
No, mi dice lei.
Posso mangiare una mela?
No.
Posso bere un succo di frutta?
No.
Posso bere un bicchiere di latte?
No.
Posso bere un bicchier d’acqua?
No.
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Posso andare in bagno?
No.
Posso dormire un po?
No.
Fa una faccia da babbo serissima che lo fa bene, mi viene da dire, ma questo non c’entra.
Una volta salta fuori con la storia che Bazzocchi è malato. Come è malato?
È malato.
È venuto a farsi visitare?
Sì.
E cosa aveva?
Il catarrone.
Ha pianto?
Sì.
E quanto deve stare a casa?
Dodici giorni.
Allora dopo gli devi fare il certificato per tornare a lavorare.
Sì.
Te lo scrivo io, le ho detto, e ho preso un foglio ci ho scritto Io, Irma Nori, dichiaro che Bazzocchi è
stato curato dalla sua sindrome da catarrone e che può tornare a lavorare in centro a fare il suo
mestiere, e poi le ho dato il foglio e le ho detto To’, firma. Ma come firmi, le ho chiesto poi dopo,
che non sai scrivere?
Faccio un pesce, mi ha detto l’Irma, e sotto la dichiarazione ha disegnato un pesce. Ma questo
non c’entra.
Dopo poi, giovedì scorso, ero lì con lei, lei voleva vedere Barbapapà, io non potevo farglielo vedere, deve vederlo al massimo una volta al giorno, allora lei un po’ si è arrabbiata mi diceva Vai via.
Io ho preso un libro, lei me l’ha tolto di mano mi ha detto Vai via.
Io ho preso in mano un altro libro lei me l’ha tolto di mano mi ha detto È mio, vai via, vai a Parma.
Mia figlia abita a Bologna, io abito a Parma. Ogni tanto mi dice che vuole venire a Parma io sono
contento, quella era la prima volta che mi diceva di andare a Parma.
Ho preso in mano un altro libro, lei me l’ha tolto di mano mi ha detto È mio, vai via, vai a Parma.
Io ho aperto il mio zaino, ho tirato fuori un libro, lei ha fatto per togliermelo di mano ha detto È
mio.
No, le ho detto io, è mio.
Lei mi si è avvicinata ridendo io le ho dato una spinta le ho detto Vai via.
Lei mi ha guardato, è scoppiata a piangere è corsa da sua mamma Il babbo mi ha mandato via, il
babbo mi ha mandato via, diceva.
Dopo sua mamma ha cercato di farci fare la pace solo che c’era poco tempo io avevo il treno dovevo andare non siamo riusciti, a fare la pace. Lei stava aggrappata a sua mamma mi guardava
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diceva Ho paura. E io mi son messo il cappello il cappotto lo zaino sono andato a casa. Non ero
ancora sul treno che stavo malissimo. Ho provato a chiamarla me la son fatta passare che volevo
fare la pace solo come fai, a fare la pace al telefono, con una bambina di poco più di due anni.
Per quattro giorni ho pensato che quando mi avrebbe rivisto avrebbe avuto paura di me. Tutte le
cose che vedevo che mi facevano pensare a dei bambini pensavo Anch’io, avevo una figlia che eravamo amici, dopo poi abbiam litigato. Adesso lunedì, pensavo, quando mi vede, avrà paura di me.
Dopo lunedì, quando la sono andata a prendere all’asilo, era contenta, di vedermi. Si era già scordata. Siam stati benissimo. Solo una volta che stava spaccando un badile del teatro della Pimpa
che le avevo regalato io le ho detto No, forte, e lei ha avuto un tremlone di paura che io le ho
detto Ti ho fatto paura?
C’era lì anche sua mamma le ha detto Non devi aver paura del babbo, ha la voce un po’ forte.
Quel pomeriggio, a un certo punto, mia figlia mi ha detto Facciamo le bestie.
Va bene, le ho detto, io che bestia sono?
Un drago, mi ha detto lei.
E io ho fatto il verso del drago Graaaaah. E poi le ho chiesto E te che bestia sei?
Io sono una femmina, mi ha risposto lei.
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DALL’APERTURA DEI PRIMI NIDI AD OGGI:
I CAMBIAMENTI SOCIALI E CULTURALI DELLA
FIGURA PATERNA
Mattia Toscani
Sociologo Università degli Studi di Parma
Il mio intervento cercherà di mettere a fuoco i cambiamenti fondamentali avvenuti nella figura
paterna, nella sua percezione e nella sua costruzione sociale, attraverso alcune approssimazioni
che mettano a fuoco in modo sempre più nitido gli aspetti principali della trasformazione che,
da diversi punti di vista, può essere considerata una vera e propria rivoluzione ancora in corso.
Prima approssimazione: dalla civiltà contadina alla società contemporanea
La figura paterna è legata innanzitutto all’evoluzione della figura maschile: nella società italiana,
in pochi decenni, si è passati attraverso alcune trasformazioni del sistema economico-sociale. In
un primo tempo si è assistito al passaggio dalla società contadina, fondata sull’agricoltura e su
modelli familiari che raggruppavano più generazioni sotto lo stesso tetto, alla società industriale,
caratterizzata dalle famiglie nucleari, per necessità legate agli spazi abitativi e all’organizzazione
del tempo. Un grande narratore di questo mutamento è Pier Paolo Pasolini che, con sguardo
acuto di osservatore e di artista, ha saputo esprimere nelle sue opere letterarie, quali le poesie e i
romanzi, ma anche nei film e nei suoi brevi saggi e articoli di giornale, sintesi straordinarie di
questo passaggio, avvenuto nel decennio compreso fra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta.
Che cosa succede alla figura paterna durante questo primo fondamentale cambiamento? Se la
società contadina è fondata su di un modello patriarcale, in cui il padre è una figura autoritaria e
che non può essere messa in discussione, un modello consolidato da secoli e tramandato con
poche novità di padre in figlio in linea maschile patrilineare, la società urbana industriale è attraversata invece da profondi cambiamenti che assestano un primo scossone al modello paterno
ereditato dalla civiltà contadina: protagonista è l’assenza del padre, fenomeno ricordato anche da
Carmine Ventimiglia (1994) e la società è uniformata a modelli educativi femminili, sia nelle famiglie, soprattutto dove c’è la madre casalinga, sia nelle strutture e agenzie educative esterne (dalla scuola d’infanzia fino alle scuole medie superiori la figura dell’insegnante è sempre di più una
donna, soprattutto nei gradi inferiori dell’istruzione).
Ma in altri dieci anni si ha un altro passaggio repentino nell’organizzazione economico-sociale
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della società italiana: essa diviene post-industriale e la società contemporanea, che viene detta
postmoderna è caratterizzata da un modello paterno ancora in fase di costruzione, da alcuni definito i padri nel guado (Deriu, 2004). Il guado di questa suggestiva definizione è ovviamente
quello fra un modello vecchio che non c’è più e un modello nuovo che ancora manca, almeno se
pensiamo a un modello consolidato.
Nel primo caso, quello della civiltà contadina, che ha caratterizzato l’Italia fino alla fine degli anni
’50, la comunicazione intergenerazionale era unidirezionale e avveniva secondo il modello culturale che Margareth Mead nel libro Generazioni in conflitto (1969) chiamava postfigurativo: i bambini e i giovani apprendono essenzialmente dagli anziani, la cui autorità deriva dall’esperienza
del passato, che tende a ripetersi in una concezione circolare del tempo. Il padre è in sostanza
una sorta di patriarca, la sua è una figura autoritaria e dedita al controllo delle emozioni, relegate
alla sfera del femminile. Rimane tale fino a vecchiaia inoltrata, fino a quando viene sostituito nel
suo ruolo di indiscusso capofamiglia da uno dei figli, in genere il figlio maggiore, naturalmente
maschio. Dal padre il maschio impara a obbedire e, dunque, a essere obbedito quando diviene
padre a sua volta.
Nel modello fordista e industriale, che approda in Italia solo nel boom economico degli anni ’60,
sostanzialmente in ritardo di circa un secolo rispetto a molti altri paesi d’Europa (Francia, Gran
Bretagna, Germania, Belgio, Olanda), la comunicazione è spesso assente dal punto di vista verbale o comunque molto limitata (in questo non diversamente dagli anni precedenti, in cui la comunicazione poteva anche essere non verbale e il padre era il riferimento da imitare, nei gesti e nei
modi). Il maschio adulto è il procacciatore del sostentamento economico, esce di casa e va in ufficio o in fabbrica e ritorna a casa la sera, mentre i figli vanno a scuola. Non trascorrono più il
tempo libero nei campi accanto ai genitori, come avveniva nel modello precedente, ma l’assenza
del padre non è percepita come mancanza di autorità o di autorevolezza. Anzi, l’assenza, per certi versi, rimanda all’autorità. La madre infatti può intimare l’obbedienza ai figli con la minaccia
“Lo dico a vostro padre stasera quando torna a casa”. Credo che questa frase appartenga alla memoria della maggior parte di chi ha avuto una madre casalinga negli anni Sessanta.
È la cultura che Mead chiama cofigurativa, in cui gli adolescenti e i bambini stessi, così come gli
adulti, apprendono in misura significativa dai loro pari e non più dai loro padri. In quella consonante, quella “d” che fa la differenza, c’è un mondo intero che cambia: dal punto di vista culturale
è una rivoluzione, caratterizzata dalla frequentazione interrelazionale fra coetanei, al lavoro o a
scuola, dovuta a sua volta a una diversa organizzazione del tempo e dello spazio rispetto alla civiltà contadina. Il tempo, caratterizzato dalla circolarità nel mondo contadino, basato sul ripetersi
delle stagioni e delle operazioni colturali ad esse legate, diviene pensato e vissuto come qualcosa di lineare, sia nel lavoro, che si basa sulla carriera spesso fondata su una progressione legata
all’età, sia nella vita familiare, in cui, alle diverse fasi della crescita, si accompagna un continuo
passaggio di livello scolastico.
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La famiglia, di conseguenza, non è più allargata e patriarcale, ma nucleare.
Nel modello economico postfordista, quello della società italiana contemporanea, che si delinea
a partire dalla fine degli anni ’70 e prende il sopravvento dagli anni ’90, il modello culturale di
apprendimento è quello che Mead chiama prefigurativo, in cui gli adulti apprendono diverse cose dai loro stessi figli. La rivoluzione è completata, nel giro di trenta quarant’anni e di due/tre generazioni. Quale modello di padre caratterizza la cultura prefigurativa? Il modello è ancora in via
di definizione, Ventimiglia parlava già nel ’94 di passaggio dalla paternità alla paternalità, intendendo con il primo termine il concetto di padre sociale e biologico, con il secondo la sfera relazionale che attiva le emozioni, l’affettività, l’intimità. Nei modelli che si succedono, Ventimiglia
(1994) parla anche di “pendolarità fra tradizione e mutamento” nella configurazione del modello
paterno.
Pietropolli Charmet, indagando su alcuni dei nuovi modelli paterni che si affacciavano sulla scena sociale all’alba del nuovo secolo (Un nuovo padre, 1998; Padre quotidiano, 2001), indica tre modelli della crisi: il padre disertore, il padre debole e il padre geloso.
Il padre disertore è colui che non prova piacere a fare il padre, poiché i figli per lui sono un fastidio, un rumore di fondo molesto; ancora, i figli vengono considerati come un campo che non è di
sua competenza. Potremmo forse affermare che si tratti dell’involuzione estrema e paradossale
del padre padrone patriarcale che rifiuta il suo ruolo, non potendo più esercitarlo nelle condizioni abituali e da posizioni di potere indiscusso.
Il padre debole, invece, è il padre che non cresce, non è convinto, non è indipendente; ha difficoltà
a prendere decisioni, veste i panni del padre ma teme la potenza e il potere del ruolo, chiede di
essere consolato per le sue frustrazioni. È il tipico padre in crisi, che non condivide i modelli di riferimento che ha conosciuto, li mette in discussione, ma non ha ancora trovato un approdo.
Il padre geloso, infine, è immaturo e adotta il risentimento come reazione alla scoperta di un ruolo che credeva diverso. Vive la paternità come la tomba della libertà o come rinuncia alla virilità e
di conseguenza i suoi comportamenti sono di rivalità nei confronti dei figli maschi e di seduzione verso le figlie femmine.
Seconda approssimazione: i fattori del cambiamento
Per capire meglio questi passaggi significativi e per certi versi sconvolgenti, poiché avvenuti in
pochi decenni, proviamo a riflettere su quali siano i diversi aspetti sociali, attualmente in evoluzione, che potremmo considerare fondamentali nel formare le nuove figure maschili, quindi le
nuove figure paterne, se riteniamo valida la premessa della prima approssimazione.
Innanzitutto, dovremo considerare i cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro, al quale l’immagine paterna continua comunque a rimandare: dal modello fordista (posto fisso e ruolo specializzato, definito negli orari e nei compiti, con pochi cambiamenti nell’arco della vita lavorativa)
siamo approdati al modello flessibile e precario che caratterizza i giovani, ma che costituisce an71
che il nuovo paradigma di riferimento. Da un lato, gli italiani diventano padri sempre più tardi e
mediamente dopo quelli europei. Se quasi la metà degli uomini arriva ai 35 anni senza aver ancora vissuto l’esperienza della paternità – i dati della demografia storica indicano come, nel passato, l’età del primo figlio (fortemente legata all’età al matrimonio) rimanesse tendenzialmente
sotto i 30-32 anni – in Italia, altresì, si diventa padri per la prima volta due anni dopo rispetto alla
media degli altri Paesi (Rosina, 2007). Come è noto, i giovani italiani restano nella categoria «figli»
sempre più a lungo, anche dopo il raggiungimento della loro indipendenza economica, e per più
tempo di quanto non avvenga in altri Stati europei. Mediaticamente famosa è l’attribuzione a loro carico di bamboccioni, utilizzata dal ministro Padoa Schioppa nel 2007. La maggior parte dei
ragazzi e delle ragazze italiani deve aver completato, prima di lasciare la famiglia di origine, una
serie di tappe nel passaggio dall’adolescenza alla vita adulta: conclusione del percorso formativo, ottenimento di un lavoro sicuro, investimento sulla carriera professionale, acquisto di un’abitazione. Uscire di casa senza avere completato questa carriera sociale è considerato rischioso,
perché non si è ancora considerati adulti. Tutto questo porta alla percezione di un prolungamento dell’adolescenza anche fino e oltre i trent’anni.
Ai fattori culturali rappresentati, in questo caso, dal sistema di valori sociali e familiari di riferimento si stanno sempre più sommando difficoltà oggettive, connesse alle trasformazioni del mercato
del lavoro prima sottolineati: diffusione di contratti di lavoro precari, informali e occasionali, differenziazione dei modelli di inserimento lavorativo, in combinazione con una carente protezione
garantita dal nuovo sistema di welfare. Tanto che nell’audizione parlamentare del presidente dell’Istat Luigi Biggeri, seguita alle già richiamate affermazioni del 2007 del ministro, i dati riportati
sono stati i seguenti: circa 5,5 milioni, il 69,7% del totale, i giovani tra i 20 e i 30 anni che vivono in
famiglia. "L'uscita dalla casa dei genitori - ha osservato Biggeri - potrebbe essere ostacolata dai livelli di reddito che, in oltre due terzi dei casi, non superano i 1.000 euro mensili, e in quasi un terzo
non raggiungono i 500 euro". "Si rileva inoltre - ha aggiunto il presidente dell'Istat - che ben il 32,4
per cento delle famiglie con persona di riferimento sotto i 30 anni vive in affitto, contro un valore
medio nazionale del 18,4 per cento, e che l'abitazione incide per quasi un terzo sulla spesa mensile di queste famiglie, con valori particolarmente elevati nelle aree metropolitane".
In secondo luogo, occorre tenere presenti le nuove figure e i nuovi modelli femminili. I movimenti
femministi hanno innescato, a partire dagli anni ’70, una serie di mutamenti del ruolo femminile
nella società, che si è esteso da quello riproduttivo del modello contadino e da quello educativo
del modello fordista (entrambi comunque relegavano la figura femminile all’interno delle mura
domestiche) ad altri ruoli più legati alla sfera pubblica (carriera lavorativa, successo, visibilità), pur
essendo questo spesso accaduto in un’ottica maschile dei ruoli. Dall’altro lato, in Italia gli uomini
sono ancora scarsamente coinvolti, rispetto alla media dei padri europei, nei processi di cambiamento del ruolo paterno: l’onere della cura quotidiana dei figli e della casa ricade ancora in mas72
sima parte sulle spalle delle madri, che così si trovano ad avere assunto un nuovo ruolo sociale
senza avere abbandonato il ruolo e il primato educativo all’interno delle mura domestiche. Si
può senz’altro parlare di una crescente assunzione di responsabilità da parte dei padri, ma si
può anche affermare che l’impegno paterno è nel contempo discontinuo, spesso limitato alle attività meno gravose o di routine (ad esempio mettere a letto i bambini), e frequentemente esercitato in caso di necessità, cioè per esempio, quando è indisponibile la madre, e il fatto viene
considerato per lo più come eccezionale e occasionale. (Tanturri, 2006). Interessante mi pare sottolineare come il ruolo attivo progredisca con il crescere del titolo di studio e del livello occupazionale del padre: una disponibilità culturale che è proporzionale al livello di status sociale.
Va sottolineato, inoltre, che la consistenza e l’impegno del lavoro di cura maschile crescono se la
madre lavora: tale elemento sembra suggerire, da un lato, che l’intervento paterno nell’accudimento dei figli si verifica soprattutto in situazioni di necessità, come sottolineato poc’anzi, quando non si possa ricorrere ad altri aiuti esterni. Dall’altro lato, è questo, forse, un primo segnale di
un lento, ma presumibilmente progressivo, adattamento dei padri al modello familiare a due
redditi, che richiede loro una più marcata assunzione di responsabilità nella cura dei figli. È anche possibile che ciò sia dovuto a un maggiore potere della donna lavoratrice di negoziare con il
partner la gestione del ménage domestico (Zajczyk, 2008).
I padri di oggi, dunque, devono comprendere e gestire un insieme di tendenze di rinnovamento
sociale che incrociano genere e generazione: i nuovi padri sono chiamati a confrontarsi in maniera riflessiva e autocritica con i modelli maschili e paterni tradizionali (vale a dire coi modelli dei
loro padri) e, contestualmente, devono fare i conti con le trasformazioni del lavoro e con i mutati
modelli di genere. Sicuramente non è facile rispondere a significativi cambiamenti materiali, simbolici, culturali che toccano:
1) la relazione con le figure paterne delle precedenti generazioni
2) il rapporto con l’altro sesso e, in particolare e concretamente, con le proprie compagne
3) il legame e il confronto con gli stessi loro figli.
Deriu sottolinea la difficoltà nel prendere le distanze dagli esempi patriarcali di maschilità e paternità:
L’eredità della precedente generazione di padri è infatti pesante e ingombrante. Con poche eccezioni, quasi
tutti gli intervistati tratteggiano uomini saldi su alcuni principi e su alcune dimensioni della vita materiale e
sociale, ma d’altra parte gravemente carenti su altri piani. Parliamo di padri duri, rigidi e monolitici sul piano
psicologico e educativo, distanti ma aggressivi e invadenti sul piano relazionale, severi dogmatici, e moralistici sul piano etico. E ancora, in molti racconti, viene ripetutamente sottolineata l’assenza di questi padri sul
piano affettivo e relazionale. [...] Per quanto riguarda i padri di quella generazione, si tratta di persone incapaci di costruire spazi d’intimità e con evidenti difficoltà a riconoscere ed esprimere i propri sentimenti ed
emozioni, a vivere tranquillamente e affettuosamente la propria dimensione corporea. Come è stato notato, per lungo tempo, il “vero” amore paterno era quello che dissimulava la propria dimensione espressiva at-
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traverso l’austerità dei comportamenti e, se necessario, attraverso “la pedagogia del rinforzo positivo prodotto dal castigo” (Ventimiglia, 1999). [...] I figli raccontano come questi padri non accettassero la possibilità
di sbagliare e come dimostrassero una scarsa capacità di autocritica. (Deriu, 2004, 31-32).
Oltre a questa difficoltà, per così dire interna al genere, intra-generica e intergenerazionale, occorre tenere presenti anche le difficoltà inter-generiche. Le relazioni di genere sono state per lungo tempo governate da una rigida separazione fra sfera domestica e sfera pubblica; ciò ha creato
una distanza tra corsi di vita, desideri ed esperienze femminili e maschili: da un lato gli uomini attivi e produttivi e dall’altro le donne inattive ed economicamente improduttive (ma fisiologicamente e socialmente ri-produttive), gli uomini al lavoro, le donne a casa. La trasformazione postfordista del tessuto occupazionale e i severi processi di deindustrializzazione e di ristrutturazione economica hanno reso le biografie lavorative maschili più instabili ed eterogenee, penalizzando soprattutto gli uomini adulti a bassa qualificazione e avvicinando, in questo rimescolamento, i due generi. La precarietà, fenomeno che era essenzialmente femminile, è diventato trasversale fra i generi e maggioritario per i giovani in cerca di prima occupazione, a partire dal
2007: la precarietà era il modello del lavoro femminile, ora è il modello del lavoro in generale.
Inoltre, gli uomini devono confrontarsi con la crescente partecipazione e con la concorrenza
femminile nello stesso mondo del lavoro, con donne spesso più qualificate e uscite con valutazioni più alte dalla carriera di formazione scolastica e universitaria.
Infine, occorre considerare gli aspetti giuridici: i diritti sindacali (nuovi permessi legati alle cure dei
figli), la legislazione in materia di affidamento dei minori in caso di separazione (dall’esclusiva
materna all’affido congiunto). Cominciando dai diritti sindacali, la legge 53 prevede, tra le altre
cose, congedi parentali fino a 6 mesi, ma se il padre ne prende almeno tre, ha diritto ad un premio di un mese in più. È il risultato di una rivendicazione sindacale volta a cambiare stereotipi
stratificati da secoli e che voleva agevolare non solo le famiglie, ma anche le aziende. Infatti, l’articolo 9 della legge 53 introduce tempi di formazione e aggiornamento per i lavoratori, madri e
padri, che si sono assentati a lungo per maternità o per accudire i figli attraverso lo strumento
dei congedi parentali. Sono stati previsti fondi pubblici per queste azioni formative che in gran
parte non sono stati spesi, perché le aziende non li hanno richiesti, benché la legge prevedesse
stanziamenti tali per cui le aziende non avrebbero dovuto spendere di tasca propria. Questo perché è accaduto? Perché non sono stati richiesti i congedi, o perché le aziende non hanno provveduto a promuovere i percorsi formativi come avrebbero dovuto? Comunque sia, il problema
ritorna ad essere sempre quello culturale. Di fatto, le aziende mal tollerano che siano i padri a
prendere i congedi parentali. Ci sono anche padri che vorrebbero stare con i loro bambini, ma si
sentono scoraggiati dai loro capi o si vergognano a chiedere ciò che è un diritto previsto dalla
legge. Certo, in questi anni, qualche passo avanti è stato fatto: il padre che sta a casa e prepara la
pappa o il biberon al bebè non è più visto come una sorta di “marziano”, questo è innegabile, ma
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è ancora molto lunga la strada verso la piena corresponsabilità educativa e di cura dei figli condivisa da padre e madre.
In caso di separazioni fra coniugi, il modello di affidamento congiunto dei figli è divenuto ormai
paritario, soprattutto al nord, rispetto a quello che per moltissimi anni ha visto prevalere l’affidamento esclusivo alla madre, relegando il padre a ruoli decisamente secondari. Un altro passo
giuridico verso la corresponsabilità, che per il padre è sempre più difficile negare: l’alibi della legislazione a favore delle donne relativamente alle cure e all’affidamento dei figli è decisamente
caduto. Così come accade per le pari opportunità fra uomo e donna nel mondo del lavoro, probabilmente si tratta però più di un fatto formale che di un fenomeno sostanziale.
Terza approssimazione: i modelli narrativi e gli stereotipi
Come raccontare oggi la paternità? Proviamo a mettere dei modelli narrativi a confronto. Se fino
agli anni Settanta i modelli narrativi di riferimento erano il latin lover e il padre padrone, che corrispondevano alle figure dominanti nella società contadina (rispettivamente rappresentandone
il desiderio e la quotidianità), le narrazioni devono ora confrontarsi coi nuovi ruoli maschili, dal
cosiddetto mammo o soft male, alla ricerca di una nuova paternità, che deve fare i conti con nuovi compiti familiari, coi tempi della cura e dell’accudimento, in un passaggio che per i sociologi
corrisponde a quello dall’assenza dei padri (Ventimiglia) alla fragilità dei padri (Deriu).
Così assistiamo all’apparizione sulla scena di nuove narrazioni: da un lato, possiamo venire a come i padri si raccontano in alcune ricerche o in alcune iniziative delle istituzioni (Storie di padri,
della Regione Lombardia, 2002; Deriu, 2004; Incontri di riflessione per soli padri, Centro per le famiglie del comune di Cremona, 2005; I nuovi padri, Stefano Vitale, formatore Cemea, Torino); dall’altro, come vengono raccontati, per esempio nei film italiani dell’ultimo decennio (Amnèsia, Anche
libero va bene, Casomai, La vita è bella, Le chiavi di casa, Ovosodo, Ricordati di me), dai quali emerge
una figura completamente diversa da quella, per esempio, di Novecento, di Bernardo Bertolucci,
vera e propria epopea dell’Italia contadina del secolo scorso e del suo ruolo nella costruzione
della nuova democrazia in Italia, così confermando quei passaggi e quelle trasformazioni viste in
prima approssimazione.
In Amnèsia (G. Salvatores, 2002), il padre protagonista è un eterno adolescente che si trova di fronte la figlia, vera adolescente, e da lei impara poco alla volta che cosa significhi diventare padri.
In Anche libero va bene (di e con Kim Rossi Stuart, 2005), invece, il padre che ci viene proposto è
una figura che gestisce la sua famiglia monogenitoriale, poiché sua moglie è inaffidabile, corre
dietro a ogni uomo che l’affascini (ribaltando, così, lo stereotipo del latin lover fedifrago del cinema di trent’anni prima). Casomai (A. D’Alatri, 2002) propone l’ipotesi di una coppia giovane di
fronte alle responsabilità del matrimonio e alla nascita di un figlio, presentando due figure deboli, sia il maschio, sia la femmina, incapaci di assumersi responsabilità, di rinunciare all’eterna adolescenza e di mandare così in frantumi un amore che pareva forte e maturo. La vita è bella (1997),
il premio Oscar di Benigni, ci racconta, immergendosi nel recente passato della storia italiana, un
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padre che giocando col figlio lo preserva dall’orrore dei campi di concentramento, sublimando
così l’idea di padre capace di mettersi in gioco, di rinunciare a sé pur di salvare il figlio: paradossale, ma insuperabile nel mescolare sacro e profano, verità e finzione, amore e dolore. Ne Le chiavi di casa (G. Amelio, 2004), dichiarato omaggio al Pontiggia di Nati due volte, romanzo che narra
il rapporto fra un padre e il figlio spastico, la vicenda presenta un padre che incontra il figlio per
la prima volta dopo quindici anni, a partire cioè dalla sua stessa venuta al mondo: il figlio era stato ripudiato dal padre alla nascita, perché ritenuto in qualche modo responsabile della morte di
parto della giovane madre. Il parto aveva segnato anche il destino del figlio, rendendolo disabile.
I due si ritrovano su di un treno che li porterà in Germania e il padre scoprirà il significato della
paternità, dell’amore, della responsabilità e della sofferenza. Curioso il fatto che il protagonista
maschile sia lo stesso Kim Rossi Stuart che l’anno successivo girerà il suo film sui nuovi padri, il
già citato Anche libero va bene. In tal modo, l’attore si propone, per immagine e anagrafe come
l’incarnazione di diverse ipotesi di nuovo padre, tutte da esplorare e da inventare. In Ovosodo (P.
Virzì, 1997), il padre protagonista è molto giovane e diviene padre per caso, a seguito di una gravidanza indesiderata, che lo fa improvvisamente diventare adulto, un padre col “magone”, con un
“ovo sodo che non va né su né giù e ti rimane lì, in gola”. Infine, Ricordati di me (G. Muccino, 2003)
propone la figura di un padre in crisi, sia come padre, sia come marito, sia come lavoratore: sogna
altro, di diventare uno scrittore di successo, si reinnamora di una vecchia fiamma dei tempi del liceo, disposto a buttare tutto all’aria, fino a che viene fermato da un incidente. Forse. Una figura
che ben rappresenta la crisi del modello patriarcale, del padre nel guado verso una nuova scoperta di sé, che passa attraverso la messa in discussione delle acquisizioni fino a quel momento,
di quanto era considerato stabile.
Un mondo variegato, raccolto in solo alcuni dei film, semplicemente quelli che ricordo e che ho
visto negli anni scorsi, a testimoniare la vitalità del cinema nell’interpretare e leggere i cambiamenti sociali.
È difficile oggi individuare un modello di genere maschile univoco. Il repertorio del "maschio
vincente" include senza apparente distinzione calciatori, protagonisti più o meno effimeri di trasmissioni televisive dove il cattivo gusto impera, improbabili e demenziali tronisti, attori famosi
per la loro bravura o anche solo per la loro presenza estetica, uomini "sciupa femmine" e padri
intensamente accudenti, uomini ammirati e imitati perché giovani e prestanti, anziani politici
che si vantano di non invecchiare e vincono le elezioni a suon di lifting e corteggiamenti a giovani soubrette, anziani "padri della patria" la cui età e lunga storia sono fatti valere come un blasone per poter continuare a occupare la scena pubblica.
Un panorama che definirei sconcertante.
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Quarta approssimazione: per fondare un nuovo modello di paternità
La maternità non è più intesa come destino biologico, la sessualità e la contraccezione, vista come selezione della fertilità, sono aree centrali della nuova cultura delle donne che richiede il rispetto della soggettività, della dignità e della credibilità. L’esigenza di essere ascoltate, credute e
prese in considerazione è un punto centrale nella vita femminile e viene riferito da molte autrici
che si occupano di tematiche di genere. L'aver relegato la tematica della maternità e della sessualità nel privato, ed essenzialmente alla donna, l'ha costretta ad una solitudine sociale dolorosa dal momento che la maternità è in realtà fisiologicamente fondante per l'intera società, garantisce, dal punto di vista economico e sociale, il ricambio generazionale. La latitanza maschile in
casa e con i figli, di cui ancora oggi si dolgono le donne, riporta alla vecchia divisione dei ruoli
quando il padre era l'unico a provvedere alla sopravvivenza della famiglia.
La paternità, come reciproco della maternità, offre, nelle testimonianze delle donne i soliti spunti
negativi di riflessione: delega ingiustificata, egoismo e latitanza, interesse a parole e non nei fatti
e ancora pretesa di obbedienza e rispetto per il semplice fatto di rivestire un ruolo. I sociologi
che si sono messi a registrare minuto per minuto la nuova interazione tra nuovi padri e i loro figli
affermano che la nuova paternità si basa su: giochi, passeggiate, esercizio fisico. Nel migliore dei
casi questo è un ruolo di assistenza e di supporto ma la responsabilità nel quotidiano resta tutta
alla madre. Molte donne, non più dipendenti economicamente dal compagno, si assumono responsabilità sempre maggiori e dal moltiplicarsi dei pesi che gravano sulle loro spalle deriva il
moltiplicarsi delle competenze femminili. Sul piano generale della società questo comporta mutazioni profonde e nuove: ad esempio, nei ghetti delle metropoli americane il nucleo base della
famiglia consiste in una donna e i suoi figli col ruolo maschile sempre più inconsistente e marginale, ridotto alla funzione riproduttiva e a brevi convivenze che si susseguono. Da qui nascono le
invettive contro il Femminismo Radicale che spingerebbe tante donne ad abbandonare il tetto
coniugale in cerca dell'autorealizzazione, le lamentele per l'obbligo di versare gli alimenti, sentito come un'atroce ingiustizia o la tendenza a evitare qualsiasi forma di collaborazione con l'exmoglie. Così si esprime a questo proposito Chiara Simonetti in Voci di donne, a cura di Gelli
(2002):
"L'offesa narcisistica si traduce in un'estrema aggressività: non l'interesse autentico per il bambino, ma solo
il desiderio di punire l'ex-compagna alimenta le rivendicazioni dei padri, dove non c'è alcuno spazio per
una considerazione anche solo neutra, se non positiva, del legame madre-bambino. L'alternativa a questo
modello sarebbe il padre davvero presente, disposto a vivere in maniera equilibrata e responsabile il suo
ruolo di genitore. Questa sembra la premessa utile a preparare il terreno alle riforme nel campo del diritto.
Prima che possa funzionare un affidamento congiunto dopo il divorzio abbiamo bisogno, tanto per cominciare, di un esercizio congiunto delle cure genitoriali nell'ambito della famiglia completa".
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E un’altra studiosa, esprime chiaramente quali dovrebbero essere le caratteristiche dei nuovi maschi e dei nuovi padri:
“Devono, in altre parole, rispondere a tempestosi cambiamenti materiali, simbolici, culturali che toccano la
relazione con le figure paterne delle precedenti generazioni; il rapporto con l’altro sesso e, in particolare,
con le proprie compagne; il legame e il confronto con gli stessi figli. [...] Quindi, non solo è essenziale promuovere tra gli uomini un atteggiamento orientato a dare valore alle relazioni di cura e all’investimento
emotivo e operativo che esse richiedono, ma l’importanza di questa nuova figura paterna – non più emblema dell’autorità, ma piuttosto attiva presenza accudente – deve essere riconosciuta dalla società nella sua
interezza” (Zajczyk, 2008).
Sembra quindi che le donne in materia abbiano le idee molto chiare, probabilmente più degli
stessi uomini.
Io, in quanto maschio, mi sento di potere e dovere dire una cosa molto chiara: i maschi avranno
compiuto il passaggio a un nuovo modello maschile e di paternità e avranno completato il guado solo quando saranno stati capaci di lasciarsi alle spalle la violenza nei confronti delle donne,
fra le mura domestiche e nei luoghi di lavoro. La violenza di strada, che appare molto attuale e
sembra un’emergenza, l’emergenza, in realtà è percepita come tale perché i media ne parlano, la
fanno diventare un evento mediatico. La violenza maschile nei confronti della donna è forse in
realtà l’unica costante che non abbia risentito del mutamento sociale, dei passaggi e delle trasformazioni socio-culturali di cui abbiamo detto. Lo stupro etnico è un inganno, la violenza non
conosce confini, è un fatto culturale e appartiene alla cultura maschile. In Italia tredici donne al
giorno subiscono violenza, una ogni circa due ore. E questa violenza è per lo più domestica e
operata da chi conosce bene le donne: amici, parenti, fidanzati, mariti, ex fidanzati, ex mariti, persone con cui la donna ha o ha avuto un rapporto, un legame affettivo. La violenza è incapace di
parlare d’amore, quindi di fare l’amore. La paternità è un atto d’amore, è una relazione d’amore.
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Diventare padri in Italia, Collana Argomenti, Roma, ISTAT
Ventimiglia Carmine (1994), Di padre in padre, Franco Angeli
Zajczyk Francesca (2008), Nuovi padri? Mutamenti della paternità in Italia e in Europa, Baldini
Castoldi Dalai editore
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L’EDUCATORE AL NIDO: RUOLO, FUNZIONI E GENERE.
UN’ESPERIENZA PERSONALE
Marco Fibrosi
Formatore e progettista interventi formativi
Quello di cui parlerò è parte di una storia professionale. Non è la realtà oggettiva di una storia,
ma piuttosto la ricostruzione e la rilettura di quella storia. Vista a posteriori è una sorta di avviamento a una professione che per certi versi è ancora oggi inconsueta: l’educatore di asilo nido.
Un primo ricordo è legato all'ultimo anno in cui ho lavorato in al nido nel 1999.
Prima degli inserimenti dei bambini/e, organizzavo un incontro con tutti i genitori della sezione
con l’intento di metterli in contatto. Era l’occasione per conoscersi, per parlare delle aspettative
di ciascuno/a, delle questioni organizzative dei primi giorni, ecc.
Una mamma durante quell’incontro mi disse: "Io ho delle difficoltà a pensare mio figlio con lei, perché lei è un uomo e mio figlio è abituato a stare sempre con delle donne".
In quel frangente le spiegai semplicemente che nella mia esperienza professionale e personale
una funzione materna e di cura poteva essere agita anche da un uomo, ma che comprendevo la
sua titubanza. Le dissi di prendersi tempo, per capire e valutare la scelta di affidarmi il suo bambino e di poterne riparlare insieme se voleva.
Attraverso la sua domanda, però, questa mamma proponeva due temi apparentemente superati: la normalità, le donne che curano i bambini e l’anomalia, un uomo che lavora al nido come
educatore. A un’educatrice non lo avrebbe mai chiesto, perché lavorare con i bambini piccoli è
cosa che comunemente e normalmente fanno le donne.
Vado ora a ritroso di ventidue anni. Nel gennaio del 1977 inizio a lavorare in un asilo nido.
Se per me era normale lavorare/stare con i bambini e non trovavo in questo nessuna differenza
tra l’essere maschio o femmina, da parte di alcune colleghe normale non era.
In alcune occasioni parole, sguardi, ammiccamenti sottendevano una domanda: "Tu cosa ci fai
qui?”. Battute scherzose: “Non è che per caso sei…..”, che mettevano in dubbio la tua virilità. Ma
qual è il confine tra una “battuta” e quello che una persona veramente pensa? Ecco come svelare
che appartenenza sessuale di genere e lavoro di cura fossero pensati in antitesi.
Per i genitori, la mia presenza non era neppure pensata rispetto al ruolo di educatore di asilo nido.
I primi tempi quando mi vedevano credevano che io fossi un economo o un manutentore. Non
era pensabile allora un uomo che si prendesse cura di bambini piccoli in un ambiente che non
fosse quello familiare.
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E’ evidente lo scarto tra, la mia rappresentazione personale di allora e l’attribuzione sociale di un
ruolo e di funzioni legate strettamente al femminile. E ancora oggi i dati ci confermano come sia
veramente esiguo il numero di operatori maschi nei servizi 0-6.
Lo conferma una cultura e una prassi che, riguardo alla cura e all'educazione dei bambini, è ancora fortemente delegata alle donne.
Se nelle relazioni tra uomo e donna, amorose e amicali, si giocano delle parti femminili come la
comprensione, la compassione e l’empatia senza farti sentire fuori luogo, queste parti ti possono
far sentire fuori luogo nel momento in cui le agisci nel rapporto con un bambino. Non all'interno di
un ruolo parentale, il papà, lo zio, il nonno, ecc…, ma di un ruolo professionale legato a delle proiezioni di tipo culturale e sociale molto radicate, che diventano poi parti di noi, ruoli interiorizzati.
Il nido e la scuola materna, rimandano per loro definizione all’universo simbolico femminile.
Io penso che una funzione materna possa essere giocata da un uomo. La difficoltà non sta nella
cura del bambino, bensì nella rappresentazione sociale che si è sedimentata nel tempo, e nella
mancanza di memoria e di appartenenza. Come rilevava Carmine Ventimiglia1, non c’era memoria
nell’uomo di uomini che si prendessero cura della prole ma solo memorie di sole donne-madri.
Ne consegue pertanto che un uomo che entra in un territorio, quello femminile, entra in uno
spazio dove immagini, rappresentazioni, vissuti, ecc. non gli appartengono.
E inevitabilmente deve, pena il fallimento della propria esperienza, ripensarsi e ridefinirsi. Deve
riconoscersi una differenza, una diversità, se non vuole disperdersi, ma essere consapevole del
proprio portato personale e professionale.
Essere un educatore maschio significa riconoscere una differenza, una diversità. Perché, come ho
già ribadito, una cosa è il rapporto uomo donna che si gioca in una relazione amorosa o di amicizia, altra cosa è lavorare sullo stesso piano, rispetto alla cura dei bambini.
Da questo punto di vista in ambito lavorativo è l’altro da te che da significato al tuo ruolo.
Urie Bronfenbrenner 2 afferma che “il ruolo è l’insieme di attività e relazioni che ci si aspetta da parte di una persona che occupa una particolare posizione all’interno della società e da parte degli altri
nei confronti di questa persona”. (…) “ il collocare una persona in un ruolo tende a suscitare percezioni attività e strutture di relazioni interpersonali coerenti con le aspettative associate a quel ruolo”.
Se pensiamo alla rappresentazione sociale del ruolo, cosa potevano aspettarsi quei genitori o
quelle educatrici da un uomo che lavorava in un servizio che per tradizione e cultura era tutto al
femminile? Ricordate le “battute” dei primi tempi al nido?
1 Carmine Ventimiglia
2 Urie
(1997) Paternità in controluce. Padri raccontati che si raccontano, Franco Angeli
Bronfenbrenner (1986) Ecologia dello sviluppo umano, trad. it. Bologna Il Mulino
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Tu puoi sentirti “in luogo” ma è l’altra/o che ti legittima o che ti fa sentire “fuori luogo”.
Come acutamente osserva Bronfenbrenner 3: “L’adeguatezza di una diade evolutiva dipende dall’esistenza e dalla qualità di altre relazioni con terze persone”. La qualità della relazione con un bambino è quindi confermata o disconfermata dal terzo, in questo caso l’educatrice o il genitore che
possono confermarti o meno nel ruolo.
E’ solo attraverso un lavoro di osservazione e di riflessione, che è possibile arrivare ad un processo di “ricostruzione” di un ruolo e di una funzione. Diversamente si attivano comportamenti in un
ambito di non separazione, dove non si è consapevoli di quello che si attiva.
L’osservazione diventa momento di separazione e individuazione, tempo di distanza e di vicinanza che ti permette di vedere le tue emozioni, quelle del bambino, delle tue colleghe. Permette di vederti in relazione con l’altro e di capire, ad esempio, che i bambini non sono figli tuoi, o di
vedere quanto proietti sull’altro/a.
Questo mi fa dire, relativamente alla mia esperienza, che parlare di cambiamento nei ruoli e nelle
rappresentazioni sociali significa cominciare a riflettere su se stessi in relazione agli altri. Una sorta di rieducazione “sentimentale”.
Un percorso non semplice né immediato, ma possibile se, nei servizi per l'infanzia, si aprono spazio di incontro e di riflessione. Questo implica anche una formazione, che deve offrire spazio e
posto al confronto, sia sul versante delle rappresentazioni sociali, sia sul versante dell’’espressione dei sentimenti e delle emozioni.
Significa acquisire la consapevolezza che il tuo essere in situazione non è neutrale.
La differenza maschile - femminile non divide, ma integra un’esperienza emozionale e cognitiva.
Una funzione materna la possono esercitare tranquillamente sia un uomo che una donna, però
da un punto simbolico diverso. Allora, la riflessione deve ruotare intorno a qual è il contributo
che si porta come genere e come soggetto individuale, con la propria storia personale in una
professione caratterizzata dalla cura.
Ci chiediamo cosa significa e comporta essere educatore maschio in rapporto a madri, padri,
bambini, colleghe?
In questo lavoro ci si deve districare tra livelli multipli di comunicazione e di senso.
C'è bisogno di isolarli, di indagarli, diversamente il rischio è che ci si muova solo ed unicamente
dentro una situazione emozionale e sentimentale. Tu agisci e reagisci senza avere chiarezza di
3 Urie
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Bronfenbrenner op. cit.
che cosa è passato tra l'azione e la reazione. Senza avere chiarezza della differenza che intercorre
tra il sentire e il pensare.
Una prima possibilità per uscirne è quella di provare a riconoscere i propri sentimenti (quelli positivi e quelli "negativi") e le proprie emozioni per renderli pensabili.
In un rapporto con una collega, diversamente dal rapporto che intercorre con un’altra collega
donna che si specchia nell’altra uguale a sé (ci si può rapportare in quanto donne e non solo colleghe), io rappresento una rottura, un mondo simbolico differente.
L'essere presente nei servizi come educatore ha facilitato anche la presenza di altri uomini…, di
padri. Ho bene in mente delle scene di forte imbarazzo: di papà che arrivavano e che si trovavano spiazzati perché non aveva nessun riferimento. Tutto era al femminile!
Un mio collega 4 sostiene che: “Una istituzione tutta femminile come il nido che inizia a considerare
anche il professionismo maschile è punto di confronto anche per i padri che si possono così sentire
rappresentati nel loro ruolo e nelle loro funzioni”.
Questo “iniziare a considerare” vuole significare che questo cambiamento è possibile se “l’altra
parte del cielo” te lo consente, se ti ascolta e ti da ascolto.
Perché succede spesso, banalmente, che un bravo papà è tale se si uniforma a un modello ideale
pensato dalle donne. Questo è un buon papà, perché fa quello che io penso che debba fare. Ma
in questo modo noi eliminiamo completamente la soggettività, l'aspetto individuale e culturale
di una persona ed eliminiamo il confronto, che è il primo passo verso la condivisione.
Quanto ero apprezzato io, per esempio, quando agivo parti più “femminili” come la pazienza, l’affetto, la protezione e quanto invece lo ero quando agivo l'autorità e le regole?
Pensate che sia facile sostare in un luogo che non vi appartiene? Che non avete prima abitato?
Anche per me c’è stato bisogno di un tempo per maturare una nuova consapevolezza.
Una volta affrontato come tema, esistenziale e professionale, è diventato una risorsa, una capacità di star bene, pure in un mondo simbolico diverso. Ci sono stati anche momenti di spaesamento, proprio nel momento in cui questa consapevolezza cominciava a emergere. E’ come se ci fosse la necessità di ricostruire una nuova identità che non è più situata, né nel maschile, né nel
femminile.
4 Andrea
Lottici educatore di asilo nido a Parma
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Penso che sia ancora molto presente il problema dell’incontro fra due culture sedimentate nel
tempo: quella maschile e quella femminile. La scommessa sta nella capacità di riuscire ad ascoltare l'altro e a non porre la propria cultura come elemento di riferimento esclusivo ed escludente.
Termino il mio contributo con una citazione di Aluisi Tosolini 5:
“il conflitto quando è anche giocato con il maschile e il femminile ha una ricchezza in più, i conflitti solo
fra uomini o solo tra donne corrono il rischio di generare della complicità che è solo condividere un elemento comune non risolto in sostanza o che non si vuole tematizzare all’esterno. (…) Ridurre la complessità è sempre indurre un più alto rischio di violenza vedi il livello socio-politico attuale, se uno dice
che il conflitto è fra civiltà allora abbiamo già chiuso o tu o io. Invece ci sono tanti altri motivi, ci sono altre possibilità, altre dimensioni che rendono scambiabile, mediabili le posizioni. Però ci sono tanti che
vendono soluzioni pre-confezionate o forse di “conflittuologia” ma la “conflittuologia” non funziona
molto a “colpi di flebo” è una disponibilità, una capacità di giocarsi giorno per giorno nell’accettazione
dell’alterità, sapendo che non intende distruggerli ma intende relazionarsi. Io credo che il primo vero
conflitto sia propriamente quello di genere che rimane un modello di tutti gli altri tipi di conflitto”.
5 Aluisi Tosolini
– Appunti di un seminario sulla differenza di genere. Filosofo e pedagogista. Insegna presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica di Piacenza e presso la scuola di Specializzazione (SSIS) dell’Università di Parma.
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Reggio Emilia 1977
Reggio Emilia 1977 - Festa del nido Pierino Rivieri
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Reggio Emilia 1977 - festa del nido Pierino Rivieri
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Reggio Emilia 1977 - Nido Pierino Rivieri - Con Daniele sulle spalle
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Reggio Emilia 1978 con Anna e Nicoletta
Reggio Emilia “ in partenza” 1981
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Nido Montebello 1981 - Sezione lattanti con Manuela
Nido Montebello 1981 - Sezione lattanti con la collega Giulietta
89
Parma 1983 - Nido Montebello con l’operatrice Anna
L’equipe di lavoro 1984 - Asilo nido Montebello
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Resto del Carlino - (cronaca di Parma), 1984
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Nido Olivieri 1987 con Daria e Ilaria
Nido Olivieri - foto di gruppo 1989
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Spazio bimbi - Toscanini Parma 1995
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Centro giochi Toscanini 1996
Spazio Bimbi - Stradello S. Girolamo Parma 1999
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CONCLUSIONI
Pinì Gennari
Coordinatrice Pedagogica del Comune di Fidenza
Questo convegno ha cercato, attraverso i suoi diversi interventi, di offrire delle occasioni di riflessione rispetto al ruolo paterno all’interno dei servizi educativi 0-3 anni.
Si sono evidenziati i comportamenti, i pensieri, le pratiche educative che gli uomini (i padri e un
educatore) mettono in atto nella relazione con i bambini, ma anche come le educatrici all’interno
dei servizi “vivono” i padri.
La paternità, le discrepanze nei significati culturali, i concreti comportamenti messi in pratica nelle
relazioni di cura dei padri di oggi ci permettono di dire che “la paternità non è più quella di un
tempo”.
Chi sono i padri oggi?
La pubblicità ci fornisce molti esempi di rappresentazioni del rapporto padre-figlio, il nostro immaginario collettivo è molto stimolato e spesso sentiamo tenerezza e partecipazione emotiva, ad
esempio, nel vedere il padre che dà teneramente il biberon al bambino, che lo cambia con piacere,
che spinge la carrozzina, che gioca con lui.
Certamente queste immagini alla fine degli anni ’70 inizio anni ‘80 procuravano stupore e forse anche perplessità.
In quegli anni anche la cinematografia ci ha raccontato di padri, spesso colti, che sono costretti ad
attuare il proprio ruolo genitoriale da soli, senza l’aiuto della loro partner-madre.
Un film molto famoso che a quel tempo (1979) fece molto discutere è “Kramer contro Kramer” (forse lo ricordano le persone di una certa età). In questa pellicola ci sono 2 scene, a mio parere, molto
significative rispetto al ruolo paterno.
All’inizio del film Dustin Hoffman, appena lasciato dalla moglie, deve arrabattarsi a cucinare la colazione al figlio e deve promettere al figlio di preparargli le stesse frittelle che gli preparava la madre.
Il padre è terribilmente goffo, a tal punto che il figlio gli dice in successione precisa che cosa e come deve fare; il padre, innervosito dalla consapevolezza della sua incapacità, della sua poca destrezza e, soprattutto, della sua scarsa conoscenza delle abitudini del figlio, gli offre alla fine una colazione immangiabile. Alla fine del film il padre e il bambino sono ancora in cucina e i due, lavorando in sintonia, preparano rapidamente una colazione perfetta.
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Ho portato questo esempio per dire che questo padre aveva imparato, giorno dopo giorno, a stare
in relazione con il proprio figlio e attraverso una pratica quotidiana era riuscito tangibilmente a
raggiungere una consapevole “paternità”.
Ma allora, è la pratica che fa scattare il cambiamento?
Credo che sia di fondamentale importanza una relazione declinata in un tempo più lento, più vicino al bambino, più attento alle opportunità che il proprio figlio propone.
Un tempo fuori dall’organizzazione dei ruoli, degli orari dell’ufficio: un tempo opportuno che consenta davvero di stare con l’altro, guardare, ascoltare.
Un tempo che permetta di comprendere, ma soprattutto di vivere la capacità di sorprendersi, di
stupirsi, di ammirare, di attendere, di lasciare posto nella mente all’immagine del bambino reale
con cui tutti i giorni facciamo i conti.
Passare da “l’essere padre” a “fare il padre” significa recuperare un rapporto quotidiano con i figli
dove la dimensione relazionale di ogni giorno permette di fare le cose con un proprio modo personale, mettendosi alla prova, trovando conferme nel proprio agire, cercando conferma nei propri
comportamenti.
In “Kramer contro Kramer” Dustin Hoffman si confronta con il proprio ruolo in un tempo quotidiano, momento dopo momento, e lentamente trova il suo modo per fare le cose e si sente gratificato
nel farle, accetta le sue incapacità e capisce, giorno dopo giorno, che lo stare insieme, l’accogliere e
il condividere insegna anche a fare bene le cose.
D’altronde il concetto di accoglienza lo viviamo intensamente anche nei servizi educativi. Ada Cigala sostiene che “accogliere è un processo e non un momento e che, come tale, richiede differenti
tappe, momenti, tempi”.
Quando un servizio accoglie una famiglia e pone la sua attenzione sulla figura paterna, quando le
educatrici si pongono domande e fanno riflessioni per poter avere maggiori strumenti ed elementi
da offrire a se stesse e alle famiglie, quando un’amministrazione e una cooperativa investono fondi
per fare ricerca su questa tematica credo che, come dice Alessandra Sala, si possa veramente “aiutare i nostri occhi a cogliere, raccogliere, guardare, osservare per capire meglio la relazione che lega
un papà con il proprio bambino”.
Ma allora dove si colloca la figura del padre oggi rispetto all’infanzia?
Quale ruolo assume rispetto al bambino e alla sua educazione?
Molte ricerche, compresa la nostra, dimostrano che oggi i padri sono sempre più presenti e sempre
più vicini all’infanzia, trascorrono più tempo con i bambini, attraverso precise modalità di cura, di
protezione e sono creatori di una loro rappresentazione rispetto all’infanzia e alle priorità educative.
Dalle educatrici sono emerse molte osservazioni e domande rispetto al ruolo del padre; anch’io, come Manuela Lafiandra, riprendo il pensiero dell’educatrice che ha esplicitato: “i papà li dobbiamo
tenere dentro alla mente”.
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Sono d’accordo nel dire che è un’affermazione di grande forza, ma dobbiamo tenere ben presente
che l’identità paterna è complessa e sfumata, a volte ci può apparire contraddittoria perché in essa
convivono sia la dimensione della presenza sia la dimensione dell’assenza rispetto al ruolo tradizionale.
Inoltre, e la pongo come domanda, forse i padri hanno il timore di esprimere un’eccessiva femminilizzazione di sé.
Credo che questa nuova presenza dei padri nell’ambito dell’educazione dei figli richieda la ridefinizione del ruolo maschile nella necessaria collaborazione con la funzione femminile, per evitare il rischio di una implicita confusione di ruoli.
Il ruolo paterno rispetto alla cura e all’educazione è, infatti, un’immagine ancora evanescente,
poco definita, non ancora legata a una aggiornata “rappresentazione maschile” nel nostro immaginario collettivo.
Sono convinta della necessità di riflettere ancora sulla ri-definizione di questa funzione educativa e
articolare il nostro pensiero chiedendoci in modo particolare:
• la presenza dei padri nel nido ci ha aiutato a ripensare che può esserci un intervento anche
paterno rispetto al bambino?
• quanto le relazioni quotidiane dei padri con le educatrici hanno “contaminato” un mondo
educativo esclusivamente gestito al femminile?
• quanto le nostre modalità femminili hanno inibito i padri nella relazione intima con il proprio
figlio?
• quanto “l’essere con” del padre rispetto al bambino è limitato perché la sua tenerezza è espressa
con una modalità maschile?
• quanto riusciamo a leggere la difficoltà di un padre che non svolge una funzione materna, ma che
entra in un terreno che non gli appartiene?
Pensare oggi alla paternità significa, per chi opera nei servizi educativi, partire innanzitutto dalla
consapevolezza che, nel nostro sistema di valori culturali, esiste un concetto di maternità che attribuisce alla donna la funzione della cura e dell’educazione dei bambini.
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E’ quindi molto opportuno ragionare su una moderna e realistica rappresentazione sociale del maschile in relazione ai bambini, magari partendo da alcune riflessioni:
• la cultura dei servizi educativi deve raggiungere la consapevolezza che ogni intervento educativo
nei confronti di un bambino deve inserirsi in una dimensione triadica e che perciò deve tenere
conto del bambino insieme alla madre e al padre;
• lo stare in relazione dell’educatrice nei confronti del bambino deve rispettare le diversità tra maschile e femminile;
• la consapevolezza della diversità tra il maschile e il femminile deve stimolare gli interventi educativi sia nei contenuti che nelle relazioni.
Certamente anche queste nostre considerazioni sul tema della nuova paternità dovrebbero aiutarci in quella che ritengo essere una “sfida” per i nostri servizi: costruire, da donne quali siamo, progetti educativi che tengano insieme, in modo equilibrato, la sfera affettiva e la dimensione socio-cognitiva; offrire ai bambini spazi di benessere, quali sono i nostri servizi educativi dove, come dice
Marco Fibrosi, si percepisca e si viva “un mondo simbolico diverso” fatto dall’incontro fra due culture: il mondo maschile e quello femminile.
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APPENDICE
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APPENDICE
“PAPÀ MI ACCOMPAGNI AL NIDO?…”
Il nido visto dai papà. I papà visti al nido
QUESTIONARIO PER I GENITORI
Il Nido è un osservatorio privilegiato del bambino e delle sue relazioni, è un “posto pensato per i
bambini”, nel quale essi hanno l’opportunità, nei diversi momenti previsti, di evidenziare modalità espressive e comunicative estremamente rivelatrici del loro mondo individuale e relazionale.
Il contesto Asilo Nido, essendo nella maggior parte dei casi la prima occasione di "uscita" dalla
famiglia e della famiglia, rappresenta uno spazio interessante per osservare le dinamiche interattive non solo tra bambini, ma anche tra genitori e figli, soprattutto in momenti così significativi
dal punto di vista psicologico, quali "la separazione" con il genitore e il "ricongiungimento".
A partire da tali premesse, la finalità del presente questionario è quella di conoscere i vissuti e gli
atteggiamenti dei genitori nei confronti del Nido, e di capire quali emozioni provano e quali
comportamenti mettono in atto i genitori quando accompagnano i propri bambini al Nido.
I dati raccolti verranno utilizzati a scopo di ricerca. Non siamo interessati al dato singolo ma ai risultati complessivi che emergeranno.
Proprio per questo il questionario è in forma anonima, per cui Le chiediamo di rispondere con la
massima sincerità.
Poiché siamo interessati a conoscere l’esistenza di eventuali differenze tra madri e padri, le chiediamo di rispondere al questionario separatamente rispetto al coniuge.
101
Si prega, gentilmente, di restituire il questionario in busta chiusa entro una settimana all’educatrice di riferimento.
Data di nascita del/la figlio/a:
Sesso del/la figlio/a:
Sesso del genitore:
M
MADRE
giorno/mese/anno
F
PADRE
(es.: 22/maggio/2003)
(barrare la risposta corretta)
(barrare la risposta corretta)
1) Provi a pensare all’Asilo Nido di suo/a figlio/a…………………………………………………….
quali parole le vengono in mente immediatamente? (è possibile indicare più di una risposta)
..........................................
..........................................
..........................................
..........................................
..........................................
..........................................
..........................................
..........................................
..........................................
2) Accompagna Suo/a figlio/a al Nido?
❐ Sì
❐ No
3) Se ha risposto no, perché (quali impedimenti)?
.................................................................................................................................................................................................
.................................................................................................................................................................................................
.................................................................................................................................................................................................
4) Quali sono, secondo Lei, i possibili rimedi che Le permetterebbero di accompagnare Suo/a figlio/a al Nido?
❐ Maggiore flessibilità dell’orario lavorativo
❐ Maggiore flessibilità dell’orario di accettazione al Nido
❐ Cambiamento delle abitudini familiari
❐ Aumento della flessibilità dei ruoli in famiglia
❐ Altro ...........................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
102
5) Accompagna o accompagnerebbe volentieri Suo/a figlio/a al Nido?
❐ Sì
❐ No
Perché?
.................................................................................................................................................................................................
.................................................................................................................................................................................................
.................................................................................................................................................................................................
6) Mio/a figlio/a, di solito, sa chi lo/la andrà a prendere all'Asilo, cioè qualcuno glielo dice prima?
❐ Sì
❐ No
LE DOMANDE CHE SEGUONO SONO RIVOLTE ESCLUSIVAMENTE AI GENITORI CHE
ACCOMPAGNANO E\O VANNO A PRENDERE IL PROPRIO FIGLIO\A ALL'ASILO ABITUALMENTE
O SALTUARIAMENTE
7) Accompagno mio/a figlio/a al Nido?
❐ Abitualmente (quasi tutti i giorni)
❐ Una-due volte alla settimana
❐ Saltuariamente
8) Vado a prendere mio/a figlio/a al Nido?
❐ Abitualmente (quasi tutti i giorni)
❐ Una-due volte alla settimana
❐ Saltuariamente
9) Quando accompagno mio/a figlio/a al Nido, rispetto alle educatrici mi sento: (è possibile
indicare più di una risposta)
❐ Coinvolto
❐ A disagio
❐ Accettato
❐ Non partecipe
103
❐ In difficoltà
❐ In imbarazzo
❐ Considerato
❐ Distaccato
❐ Capace di affrontare le situazioni
❐ A mio agio
❐ Altro ...........................................................................................................................................................................
10) Quando accompagno mio/a figlio/a al Nido, il momento del distacco è vissuto dal bambino
con disagio?
❐ Molto
❐ Abbastanza
❐ Poco
❐ Per niente
11) Quando accompagno mio/a figlio/a al Nido, il momento del distacco è vissuto da me con
difficoltà?
❐ Molto
❐ Abbastanza
❐ Poco
❐ Per niente
12) Quando accompagno mio/a figlio/a al Nido, qual è la modalità di saluto che si realizza più
spesso? (è possibile scegliere anche due risposte)
❐ Ci salutiamo sulla porta della sezione
❐ Lo accompagno in sezione poi ci salutiamo velocemente
❐ Accompagno il bambino in sezione e mi trattengo qualche minuto introducendolo ad una
attività
❐ Lo accompagno in sezione distraendolo con la presenza degli altri bambini, di giochi o attività in corso
❐ Lo affido all’educatrice
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❐ Mi dileguo senza farmi notare dal bambino
❐ Altro ...........................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
13) Mi sento aiutato dalle educatrici nel momento del distacco?
❐ Sì
❐ No
❐ A volte
Perché? ...........................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
14) Come mi sento in seguito all’intervento delle educatrici nel momento del distacco? (è possibile indicare più di una risposta)
❐ Accolto
❐ Sostenuto
❐ Sollevato
❐ Disturbato
❐ Escluso
❐ Giudicato
❐ Altro ...........................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
15) Quando vado a riprendere mio/a figlio/a al Nido cosa avviene? (è possibile indicare più di
una risposta)
❐ È felice di rivedermi
❐ Mi guarda
❐ Rimane concentrato sui giochi o le attività che sta svolgendo
105
❐ Si nasconde
❐ Ama farsi rincorrere
❐ Va direttamente verso la porta
❐ Si dirige verso gli armadietti
❐ Mi corre incontro
❐ Altro ...........................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
16) Quando vado a riprendere mio/a figlio/a frequentemente mi sento ...................................................
............................................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
106
PROGETTO
“PAPÀ MI ACCOMPAGNI AL NIDO?”
QUESTIONARIO PER LE EDUCATRICI
Attualmente, con quale gruppo di bambini lavora?
❐ Lattanti
❐ Piccoli
❐ Medi
❐ Grandi
❐ Gruppo misto
1) Secondo lei, approssimativamente in percentuale, quanti sono i Papà che in questo periodo
accompagnano i bambini al Nido?
............................................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
2) Secondo lei, approssimativamente in percentuale, quanti sono i Papà che in questo periodo
vengono a prendere i bambini al Nido?
...........................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
3) Quali sono, secondo Lei, i possibili cambiamenti che permetterebbero ai Papà di accompagnare o andare a prendere i/le propri/ie bambini/e al Nido? (può indicare più di una risposta)
❐ Maggiore flessibilità dell’orario lavorativo
❐ Maggiore flessibilità dell’orario di accettazione al Nido
❐ Cambiamento delle abitudini familiari
❐ Aumento della flessibilità dei ruoli in famiglia
❐ Altro ...........................................................................................................................................................................
107
4) Con che frequenza i Papà accompagnano i bambini al Nido?
❐ Abitualmente
❐ Una-due volte alla settimana
❐ Saltuariamente
5) Con che frequenza i Papà vengono a prendere i bambini al Nido?
❐ Abitualmente
❐ Una-due volte alla settimana
❐ Saltuariamente
6) Provi a pensare ai Papà che accompagnano e/o vengono a prendere i/le figli/e al Nido
................................. quali parole le vengono in mente? (è possibile indicare più di una risposta)
..........................................
..........................................
..........................................
..........................................
..........................................
..........................................
7) Provi a pensare alle Mamme che accompagnano e/o vengono a prendere i/le figli/e al Nido
................................. quali parole le vengono in mente? (è possibile indicare più di una risposta)
..........................................
..........................................
..........................................
..........................................
..........................................
..........................................
8) Nel momento della separazione e/o ricongiungimento, quanto spesso capita che i Papà richiedano il Suo intervento? (con le parole, lo sguardo, avvicinandosi, ecc….)
❐ Molto
❐ Abbastanza
❐ Poco
❐ Per niente
9) Nel momento della separazione e/o ricongiungimento, quanto spesso capita che le Mamme
richiedano il Suo intervento? (con le parole, lo sguardo, avvicinandosi, ecc….)
❐ Molto
❐ Abbastanza
❐ Poco
❐ Per niente
108
10) Quando interviene nella relazione Padre-Bambino nel momento della separazione/ricongiungimento, lo fa per quali motivi?
❐ Il Papà me lo chiede espressamente o me lo fa capire (con lo sguardo, avvicinandosi, ecc...)
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Mi accorgo che il Papà si trova in difficoltà e cerco di risolvere la situazione
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Mi accorgo che il bambino si trova in difficoltà e cerco di risolvere la situazione
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Altro ...........................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
11) Quando interviene nella relazione Madre-Bambino nel momento della separazione/ricongiungimento, lo fa per quali motivi?
❐ La Mamma me lo chiede espressamente o me lo fa capire (con lo sguardo, avvicinandosi, ecc...)
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Mi accorgo che la Mamma si trova in difficoltà e cerco di risolvere la situazione
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Mi accorgo che il bambino si trova in difficoltà e cerco di risolvere la situazione
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Altro ...........................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
12) Quando le capita di intervenire nella relazione Padre-Bambino nel momento della separazione/ricongiungimento, secondo Lei, come si sentono i Padri generalmente?
❐ Accolti
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Sostenuti
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Sollevati
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Giudicati
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Disturbati
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Esclusi
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Altro ...........................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
109
13) Quando le capita di intervenire nella relazione Madre-Bambino nel momento della separazione/ricongiungimento, secondo Lei, come si sentono le Madri generalmente?
❐ Accolte
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Sostenute
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Sollevate
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Giudicate
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Disturbate
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Escluse
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Altro ...........................................................................................................................................................................
14) Dopo essere intervenuta nella relazione Padre-Bambino nel momento della separazione/ricongiungimento, come Si sente generalmente?
❐ Accettata
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Competente
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Intrusa
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Indesiderata
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Utile
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Di disturbo
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Risolutrice
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Altro ...........................................................................................................................................................................
15) Dopo essere intervenuta nella relazione Madre-Bambino nel momento della separazione/ricongiungimento, come Si sente generalmente?
❐ Accettata
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Competente
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Intrusa
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Indesiderata
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Utile
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Di disturbo
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Risolutrice
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Altro ...........................................................................................................................................................................
110
16) Pensa che in generale i Papà, rispetto alle educatrici, si sentano:
❐ Coinvolti
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ A disagio
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Accettati
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Non partecipi
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ In difficoltà
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ In imbarazzo
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Considerati
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Distaccati
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Capaci di affrontare le situazioni
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ A proprio agio
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Altro ...........................................................................................................................................................................
17) Pensa che in generale le Mamme, rispetto alle educatrici, si sentano:
❐ Coinvolte
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ A disagio
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Accettate
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Non partecipi
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ In difficoltà
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ In imbarazzo
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Considerate
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Distaccate
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Capaci di affrontare le situazioni
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ A proprio agio
mai /quasi mai / qualche volta/ sempre
❐ Altro ...........................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................................
111
QUESTIONARIO D’ODORICO, CASSIBBA, BUONO (1998)
Il seguente questionario è stato appositamente costruito per la rilevazione delle interazioni tra
pari all’Asilo Nido (D’Odorico, 1998), ed inoltre già utilizzato con Educatrici di Asilo Nido (D’Odorico, Cassibba, Buono, 1998).
Le varie voci del questionario descrivono comportamenti osservabili durante le attività proposte
quotidianamente al Nido.
Le chiediamo di pensare a ciascun bambino e di indicare, per ognuno dei comportamenti proposti, la frequenza (raramente / qualche volta / abbastanza spesso / molto spesso) con la quale
un determinato comportamento si manifesta.
Nome del bambino osservato (non è richiesto indicare il cognome):
❐ Educatrice di riferimento
❐ Educatrice non di riferimento
QUESTIONARIO PER LA RILEVAZIONE DELLE INTERAZIONI TRA PARI ALL’ASILO NIDO
1. Il bambino preferisce giocare da solo e allontana i compagni se gli si avvicinano.
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
2. Il bambino cerca di giocare stando vicino ai compagni, anche se questi sono impegnati in
attività diverse da quelle da lui intraprese.
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
3. Il bambino cerca di giocare stando vicino all’insegnante.
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
4. Gioca di preferenza con alcuni compagni piuttosto che con altri?
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
5. Si impadronisce dei giochi degli altri compagni anche se questi protestano.
❐ raramente
112
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
6. Cede facilmente i giocattoli se un altro bambino glie li chiede.
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
7. Gli altri bambini cercano spontaneamente di coinvolgerlo in giochi comuni.
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
8. Deve essere sollecitato dall’insegnante perché giochi insieme agli altri.
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
9. Chiede insistentemente l’attenzione dell’insegnate, anche quando questa è impegnata con
altri bambini.
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
10. E’ oggetto di aggressioni fisiche da parte di altri compagni.
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
11. Aggredisce fisicamente gli altri compagni (spinge, graffia, tira i capelli, ecc.).
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
12. Se un compagno piange, per un qualche motivo, si avvicina e tenta di consolarlo.
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
13. Se un compagno è in difficoltà, cerca di aiutarlo.
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
14. E’ affettuoso con i compagni (carezze, baci).
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
15. Mostra la gioia o il divertimento in modo evidente durante il gioco con i compagni.
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
113
16. Riesce a giocare in modo collaborativo con un compagno (ad esempio fare insieme una costruzione, colorare insieme un disegno, giocare insieme a “mamma casetta” ecc.).
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
17. Mostra comportamenti imitativi nei confronti dei compagni.
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
18. Durante il pasto chiacchiera con i compagni al suo tavolo.
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
19. Se il bambino è assente dalla scuola, i compagni si accorgono della sua mancanza e chiedono di lui all’insegnante.
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
20. Quando il bambino torna all’asilo dopo un periodo di assenza, qualche compagno lo saluta
in modo particolare.
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
21. Gli altri bambini imitano il suo comportamento (ad esempio se inventa un gioco anche gli altri dopo lo rifanno)
❐ raramente
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
22. Quando si avvicina a un gruppo di bambini che sono impegnati in qualche attività, viene
respinto.
❐ raramente
114
❐ qualche volta
❐ abbastanza spesso
❐ molto spesso
GRIGLIE DI OSSERVAZIONE
BAMBINO (SEPARAZIONE)
Ricerca il contatto fisico con il padre
Mostra espressività emotiva positiva
(felicità, entusiasmo, stupore..)
Mostra espressività emotiva negativa
(tristezza, rabbia, aggressività..)
Si esprime verbalmente
(vocalizzi, parole..)
Mostra resistenza alla separazione
Mostra evitamento rispetto alla
figura del padre
Si avvicina all'educatrice
Si avvicina ai giochi
Si avvicina ai bambini
Osserva senza agire
Mai Poco Abb. Molto COMMENTI
PADRE (SEPARAZIONE E RICONGIUNGIMENTO)
Ricerca il contatto visivo (sguardo)
con il bambino
Ricerca il contatto fisico con il bambino
Mostra espressività emotiva positiva
(felice, entusiasmo, stupore..)
Mostra emotività espressiva negativa
(tristezza, rabbia, aggressività..)
Si esprime verbalmente
Si mostra infastidito dall'atteggiamento
del bambino
Tenta di distrarre il bambino spostando
la sua attenzione sui giochi
Tenta di distrarre il bambino spostando la
sua attenzione sugli altri bambini
115
PADRE (SEPARAZIONE E RICONGIUNGIMENTO)
Richiede l'intervento dell'educatrice
(con lo sguardo, verbalmente, avvicinandosi..)
Tenta di contenere le emozioni del bambino:
SU COMP/SU EMO
Si dilegua senza farsi notare dal bambino
Saluta il bambino
Affida il bambino all'educatrice
Preannuncia al bambino chi lo verrà a
prendere nel pomeriggio
BAMBINO (RICONGIUNGIMENTO)
Ricerca il contatto visivo (sguardo) con il padre
Ricerca il contatto fisico con il padre
Mostra espressività emotiva positiva
(felicità, entusiasmo, stupore..)
Mostra espressività emotiva negativa
(tristezza, rabbia, aggressività..)
Si esprime verbalmente (vocalizzi, parole..)
Mostra resistenza rispetto alla figura del padre
Mostra evitamento rispetto alla figura del padre
Si avvicina all'educatrice
Si avvicina ai giochi
Si avvicina ai bambini
Osserva senza agire
Corre incontro al papà
Si nasconde
Si accorge dell'ingresso del papà ma rimane
impegnato nell'attività che sta svolgendo
Si fa rincorrere
Si avvicina all'uscita
Si dirige verso gli armadietti
116
Mai
Poco Abb. Molto COMMENTI
DOPO SEPARAZIONE E
PRIMA RICONGIUNGIMENTO
Cerca il contatto fisico con l'educatrice
Cerca il contatto visivo (sguardo) con
l'educatrice
Cerca il contatto con gli altri bambini
Esplora l'ambiente
Osserva senza agire
Gioca
Richiede direttamente o indirettamente il papà
(si avvicina alla porta, richiede la giacca, chiede
esplicitamente..)
Mai Poco Abb. Molto COMMENTI
117
GALLERIA FOTOGRAFICA
I Relatori
Pietro Segata
Presidente
Cooperativa Sociale
Società Dolce
Giuseppe Cerri
Sindaco
Comune di Fidenza
Annamaria Dapporto
Assessore
alle Politiche Sociali ed
Educative per l’Infanzia e
l’Adolescenza della Regione
Emilia Romagna
Gabriele Ferrari
Assessore
alla Scuola della
Provincia di Parma
Stefania Miodini
Referente
del Coordinamento
Pedagogico Provinciale
di Parma
Caterina Segata
Responsabile
Area Sede Infanzia
Cooperativa Sociale
Società Dolce
Alessandra Sala
Ricercatrice
Università degli Studi
di Parma
Manuela Lafiandra
Pedagogista e
Coordinatore Responsabile
Cooperativa Sociale
Società Dolce
Paolo Vaccaro
Responsabile
Area Nord-Ovest
Cooperativa Sociale
Società Dolce
Paolo Nori
Scrittore
Mattia Toscani
Sociologo
Università degli Studi
di Parma
Marco Fibrosi
Formatore e Progettista
interventi formativi
Pinì Gennari
Coordinatore Pedagogico
del Comune di Fidenza
Testimonianze fotografiche convegno
La presente pubblicazione è stata interamente realizzata nel rispetto della natura utilizzando carte
ecologiche, e più precisamente:
• Copertina: Carta Freelife Woodstock Arachide 285 gr.
(Prodotta e distribuita in Italia da Fedrigoni)
Carta di lunga durata non patinata ottenuta dall’impasto riciclato ecologico composto per l'80% da fibre
post-consumer di pura cellulosa deinchiostrata e da un 20% di pura cellulosa E.C.F. (elemental chlorine free),
è completamente biodegradabile e ricilabile. Utilizza fibre provenienti da foreste a coltivazione integrata sostenibile, in cui viene effettuata una politica di taglio controllato e riforestazione. É conforme alla direttiva
C.E. 94/62 che stabilisce il livello massimo di metalli pesanti e si avvale di processi di produzione “Acid Free”.
• Interno: Carta Cyclus offset 100 gr.
(Prodotta in Danimarca da Dalum e distribuita in Italia da Polyedra)
Cyclus è una carta realizzata impiegando interamente fibre riciclate post-consumer (100% Riciclato). Nulla di
ciò che viene utilizzato nel processo produttivo viene eliminato e, anche gli scarti provenienti dalla lavorazione sono a loro volta riutilizzati per la combustione, la produzione di fertilizzanti e di materiali per l’edilizia.
Cyclus è certificata Ecolabel.
La copertina non è stata volutamente plastificata per non invalidare la riciclabilità delle carte scelte.
Il nostro è un piccolissimo sforzo per dimostrare che, se lo vogliamo, ognuno di noi nelle scelte quotidiane
può fare qualcosa per migliorare il nostro pianeta.
Finito di stampare nel mese di giugno 2009
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