Il bilancio sociale e il business planning di un

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Il bilancio sociale e il business planning di un
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Il bilancio sociale e il business planning
di un’impresa sociale
-PROGETTO COURAGE 3.1.002-
Il bilancio sociale e il business planning di un’impresa sociale
INTRODUZIONE
Nel 2008, il Ministero della Solidarietà Sociale e il Ministero dello Sviluppo Economico
hanno emanato i decreti necessari a dare attuazione alla disciplina dell’impresa
sociale.
L’impresa sociale era stata recepita nel nostro ordinamento con la Legge 13 giugno
2005, n. 118, che recava la delega al Governo “ad adottare[…]uno o più decreti
legislativi
recanti
una
disciplina
organica,
ad
integrazione
delle
norme
dell’ordinamento civile, relativa alle imprese sociali”.
Con il D.Lgs. n. 155 del 13 giugno 2006, la legge era stata quasi completamente
attuata.
Per completare la disciplina mancavano all’appello ancora quattro provvedimenti
necessari per dare attuazione alle norme contenute nel D.Lgs n.155/2006, relativi a:
• definizione dei criteri quantitativi e temporali per il computo della percentuale del
70% dei ricavi complessivi dell’impresa ai fini della determinazione dell’attività
principale (art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 155/2006);
• definizione degli atti che devono essere depositati presso l’ufficio del registro delle
imprese e delle relative procedure (art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 155/2006);
• adozione delle linee guida per la redazione del bilancio sociale (art. 10,comma
2,D.Lgs.n. 155/2006);
• adozione delle linee guida relative a operazioni di trasformazione, fusione, scissione
e cessione d’azienda (art. 13,comma 2,D.Lgs.n. 155/2006).
L’iter normativo dell’impresa sociale è, almeno sulla carta, attuato.
Porre in essere una impresa sociale richiede adempimenti complessi, sottopone l’ente
a obblighi di pubblicità e di trasparenza significativi, implica la redazione di un
bilancio sociale decisamente articolato e i costi amministrativi si prospettano rilevanti.
D’altra parte, l’impresa sociale genera pubblica utilità, realizza servizi che
contribuiscono al miglioramento del tessuto sociale e realizza un sistema di welfare
senza il quale il nostro Paese perderebbe un importantissimo strumento di risposta ai
bisogni.
La vera conclusione dell’iter sarà pertanto realizzata quando all’impresa sociale verrà
effettivamente riconosciuto il proprio ruolo, anche attraverso agevolazioni adeguate
all’utilità che essa realizza.
È importante che una norma abbia riconosciuto che la pubblica utilità può essere
perseguita e realizzata da soggetti privati,che l’attività di impresa può essere attuata
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da enti senza scopo di lucro e che l’assenza di scopo di lucro può caratterizzare
anche una società. Occorre però che questi soggetti possano essere messi nella
condizione di operare.
In generale, definire l’idea di impresa è fondamentale: una buona idea d’impresa
non si può improvvisare. Non conta tanto la sua originalità quanto la sua realizzabilità.
Analogamente, è necessario scegliere con attenzione l’idea di impresa sociale. Ciò
significa che prima di decidere di offrire un qualsiasi bene o servizio, occorre:
scegliere beni o servizi di utilità sociale;
sapere cosa desidera l’utente. È necessario partire dai suoi bisogni. È di
fondamentale importanza produrre in base alle esigenze dell’utente e non
proporre qualunque cosa (anche se di qualità) e poi cercare di venderla.
Anche l’impresa sociale deve fare i conti con il mercato e con la concorrenza, visto
che difficilmente la nostra impresa sociale sarà la sola sul mercato nel settore in cui si
è scelto di operare. I concorrenti non saranno soltanto imprese sociali: in molti casi si
avrà a che fare anche con imprese profit che svolgono la loro attività nel nostro stesso
settore.
La realizzazione di un'impresa è un processo lungo e articolato, che parte dall'esame
di un'idea, il sogno che si vuole realizzare, e arriva fino alla stesura di un progetto ben
preciso. Una volta definita la propria idea imprenditoriale occorre attivare quel
processo, denominato business planning, che, attraverso un'analisi tecnica, porta alla
realizzazione dell'idea stessa.
1. REQUISITI DELL’IMPRESA SOCIALE
Ai sensi della L. n. 118/2005 e del D.Lgs. n. 155/2006, per essere definita tale, l’impresa
sociale deve essere di carattere privato e non deve avere scopo di lucro.
Tra i requisiti, oltre a quello principale di destinare utili e avanzi di gestione allo
svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio, l’impresa sociale
deve inoltre:
• ottenere oltre il 70% dei ricavi dalla sua attività principale;
• redigere il bilancio sociale, e prevedere forme di coinvolgimento e partecipazione
dei lavoratori o dei destinatari della sua attività;
• avere come oggetto dell’attività principale, detto scopo od “oggetto sociale”,
l’erogazione di beni e/o servizi di utilità sociale.
1.1 Definizione dei criteri quantitativi e temporali per il computo del 70% dei ricavi
d’impresa
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All’articolo 2 viene precisato che tali attività si intendono svolte in via principale
quando i relativi ricavi “sono superiori al settanta per cento dei ricavi complessivi
dell’organizzazione che esercita l’impresa sociale”.
La norma rinvia poi la definizione dei criteri quantitativi e temporali per il computo
della percentuale ad un decreto da emanarsi da parte del Ministro delle attività
produttive e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Il decreto emanato nel 2008 dal Ministero dello Sviluppo Economico ed il Ministero
della Solidarietà Sociale, definisce “ricavi dell’organizzazione che esercita l’impresa
sociale:
– tutti i proventi che concorrono positivamente alla realizzazione del risultato
gestionale nell’esercizio contabile di riferimento, se nella propria ordinaria gestione
– compatibilmente con i vincoli di legge – l’organizzazione che esercita l’impresa
sociale adotta i principi di contabilità per competenza;
– tutte le entrate temporalmente riferibili all’anno di riferimento, se nella propria
ordinaria gestione – compatibilmente con i vincoli di legge – l’organizzazione che
esercita l’impresa sociale adotta principi di contabilità per cassa”.
Pertanto, il decreto prevede la possibilità che l’impresa sociale tenga la contabilità
anche “per cassa”.
In dottrina si osserva che la definizione data all’articolo 1 del D.Lgs.n.155/2006 di
impresa sociale,“organizzazioni private […]che esercitano in via stabile e principale
un’attività economica” ha una pronta ricaduta fiscale. La norma fiscale ritiene
determinante, ai fini della qualifica, l’oggetto perseguito, mentre il decreto
sull’impresa sociale si attesta sull’esercizio di attività.
In ogni caso, pare difficile poter affermare che l’impresa sociale sia da considerarsi
fiscalmente ente non commerciale. Pertanto, ad essa saranno applicabili le
disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi relative agli enti commerciali, che
prevedono la determinazione del reddito di impresa secondo il principio della
competenza (art. 109,comma 1,D.P.R. n. 917/1986), salvo in alcuni casi tassativamente
previsti.
Pertanto, possiamo affermare che l’impresa sociale, almeno per quanto riguarda la
contabilità “fiscale”,dovràimputare la contabilità “per competenza”.
Ai fini del computo della soglia minima del 70%, il decreto in esame stabilisce che
vengano considerati:
– al numeratore del rapporto – per ogni esercizio – solo i ricavi generati dall’attività di
utilità sociale, come definiti dall’articolo 2 del D.Lgs.n. 155/2006;
– al denominatore i ricavi complessivi dell’organizzazione.
I seguenti ricavi non vengono invece considerati, né al numeratore né al
denominatore del rapporto e sono pertanto esclusi:
a) proventi da rendite finanziarie o immobiliari;
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b) plusvalenze di tipo finanziario o patrimoniale;
c) sopravvenienze attive;
d) contratti o convenzioni con società ed enti controllati dall’organizzazione che
esercita l’impresa sociale o controllanti la medesima.
In merito all’elencazione dei ricavi esclusi dal computo, si osservi che una voce di
“ricavo”tipica di realtà che svolgono un ruolo di pubblica utilità sono le erogazioni
liberali. Attualmente l’impresa sociale non gode di alcuna forma agevolativa alla
donazione, non essendo prevista la deducibilità delle erogazioni liberali effettuate
in suo favore.
In ogni caso, ai sensi dell’articolo 88 del TUIR, le erogazioni sono fiscalmente
considerate sopravvenienze attive, di conseguenza, ai fini del calcolo del 70% dei
ricavi, esse saranno da considerarsi ininfluenti.
Per quanto riguarda la lettera d) dell’elencazione, è evidente l’intento di impedire
che fatturazioni tra soggetti legati da vincoli di controllo possano artificialmente
portare gli enti alla soglia di ricavi “tipici”necessari per la qualificazione in impresa
sociale.
In proposito, si osserva che i vincoli di controllo, rinvenibili tra gli enti di cui al Libro V del
codice civile, sono inesistenti tra gli enti di cui al Libro I e tra le cooperative a mutualità
prevalente.
Le informazioni relative alla composizione dei ricavi di esercizio devono essere
annualmente esplicitate all’interno del bilancio sociale.
Nel caso in cui il limite minimo del 70% dei ricavi “tipici” non venga rispettato, tale
inosservanza deve essere segnalata – a cura dell’organizzazione stessa – al Ministero
della solidarietà sociale e agli uffici del registro delle imprese, nei termini di trenta
giorni dalla data di approvazione del bilancio da parte degli organi societari.
Il decreto nulla dice circa i provvedimenti che verranno presi, né dei tempi entro i
quali essi debbono essere attuati.
Si ricorda che gli enti ecclesiastici e gli enti delle confessioni religiose con le quali lo
Stato ha stipulato patti, accordi o intese possono vedere applicate le norme relative
all’impresa sociale limitatamente allo svolgimento delle attività previste per l’impresa
sociale stessa.
Ai sensi dell’articolo 2, comma 5, del D.Lgs. n. 155/2006 per tali enti le disposizioni
relative ai ricavi si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività afferenti al
“ramo impresa sociale”.
1.2 Procedure per il deposito degli atti presso il registro imprese
Il secondo decreto emanato dal Ministero dello Sviluppo Economico e dal Ministero
della Solidarietà Sociale definisce le procedure per il deposito degli atti presso il
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registro delle imprese territorialmente competente da parte delle imprese sociali e per
l’accesso agli stessi da parte del Ministero della Solidarietà Sociale e dell’Agenzia per
le Onlus.
Le imprese sociali, al fini di iscriversi nel registro imprese - come stabilito dall’articolo 5,
comma 2 del D.Lgs. n. 155/2006 – devono depositare per via telematica o su supporto
informatico i seguenti documenti:
a) atto costitutivo e statuto (e modificazioni degli stessi);
b) un documento che rappresenti la situazione economica e patrimoniale
dell’impresa;
c) il bilancio sociale;
d) per i gruppi di imprese sociali, i documenti di cui alle precedenti lettere b) e c) in
forma consolidata;
e) ogni altro atto e documento previsto dalla vigente normativa.
I codici attività attribuiti all’impresa sociale saranno quelli della classificazione ICNPO
(International Classification of non Profit Organizations) elaborata dalle Nazioni Unite,
che dovrà essere raccordata con la classificazione NACE-Ateco.
La classificazione ICNPO prevede la suddivisione delle attività in dodici categorie:
1) attività culturali e ricreative;
2) istruzione e ricerca;
3) sanità;
4) assistenza sociale;
5) attività ambientalista;
6) promozione dello sviluppo economico e sociale della comunità locale; tutela degli
inquilini e sviluppo del patrimonio abitativo;
7) diritti civili, tutela legale e politica
8) intermediari filantropici e promozione del volontariato;
9) attività internazionali;
10) organizzazioni religiose;
11) organizzazioni economiche, di titolari di impresa, professionali e sindacali
12) altre attività.
1.3 Linee guida per la redazione del bilancio sociale
L’articolo 10, comma 2, del D.Lgs. n. 155/2006 stabilisce che le imprese sociali devono
redigere il bilancio sociale “secondo linee guida adottate con decreto del Ministro
del lavoro e delle politiche sociali, sentita l’Agenzia per le organizzazioni non lucrative
di utilità sociale, in modo da rappresentare l’osservanza delle finalità sociali da parte
dell’impresa sociale.”
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ll bilancio sociale risponde all'esigenza di valutare un'organizzazione non solo in base
all'ottenimento dei propri risultati istituzionali, che devono essere coerenti con il
bilancio d'esercizio, ma anche in relazione ai compiti che essa svolge nell'ambiente in
cui è inserita.
Il decreto emanato è la prima norma che detta le linee guida per la redazione di tale
strumento. Le informazioni che il decreto richiede nel bilancio sociale sono molte e
molto dettagliate. Esse sono relative a:
• informazioni generali sull’ente e sugli amministratori: questa sezione, oltre a
informazioni relative alla impresa, dovrà contenere l’elenco nominativo degli
amministratori e di coloro che ricoprono cariche istituzionali, il periodo per il quale essi
rimangono in carica, il settore di attività e l’indicazione dei beni e servizi prodotti o
scambiati;
• struttura, governo e amministrazione dell’ente: in questa sezione dovranno essere
dettagliate
molte
informazioni
relative
allo
statuto.
Inoltre,
per
le
sole
associazioni,dovrà essere indicato il numero dei soci in essere,di quelli ammessi ed
esclusi nell’esercizio, e dovrà essere descritta la vita associativa – con indicazione del
numero dei soci partecipanti alle assemblee.
Per tutte le imprese sociali, indipendentemente dalla loro forma giuridica,dovranno
essere forniti:
– la mappatura degli interessi coinvolti;
– i compensi corrisposti agli amministratori e a coloro che ricoprono cariche;
– l’indicazione del valore minimo e massimo delle retribuzioni lorde dei lavoratori
dipendenti;
– i compensi corrisposti per prestazioni di lavoro diverse da quelle regolate da
contratto di lavoro dipendente (con distinta evidenza del valore della retribuzione e
della tipologia di contratto);
– il numero di donne sul totale dei lavoratori;
– le eventuali partecipazioni in o di altre imprese sociali o enti senza scopo di lucro;
– le reti di collaborazioni con enti pubblici e altri enti in essere;
– il totale dei volontari attivi e il tipo di impiego nell’organizzazione;
– il numero dei beneficiari, diretti e indiretti, delle attività svolte
– una valutazione degli amministratori circa i rischi economico finanziari dell’impresa.
• obiettivi e attività: dovranno essere dettagliate le finalità principali dell’ente, con
specifico riferimento agli obiettivi di gestione dell’esercizio; dovranno essere riassunte
le principali attività poste in essere, in relazione all’oggetto sociale e dovranno essere
analizzati i fattori rilevanti per il conseguimento degli obiettivi; dovranno essere valutati
i risultati conseguiti e l’impatto sul tessuto sociale – evidenziando altresì gli scostamenti
dalle previsioni; dovrà essere dettagliata la forma di coinvolgimento dei lavoratori
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e dei beneficiari delle attività; dovrà essere illustrata l’attività di raccolta fondi e data
indicazione delle strategie a medio lungo termine.
• esame della situazione finanziaria: dovranno essere esaminate entrate e uscite; si
dovrà indicare come le spese sostenute abbiano supportato gli obiettivi chiave
dell’ente e analizzare i fondi,distinguendo li tra disponibili, vincolati e di dotazione.
Inoltre occorrerà analizzare l’attività di raccolta fondi, indicando quante delle entrate
siano destinate alla copertura dei costi di raccolta dei fondi e analizzare gli
investimenti effettuati, in relazione alla modalità del loro finanziamento e alla loro
funzionalità per il perseguimento degli obiettivi dell’ente.
Viene altresì richiesto che, quando ciò sia consentito dalla natura delle attività
svolte,nella valutazione dei risultati conseguiti vengano coinvolti i beneficiari – diretti
e indiretti – delle attività.
In ogni caso, tale valutazione dovrà essere realizzata con il coinvolgimento di tutti
coloro che operano nell’impresa sociale,compresi i volontari.
Il bilancio sociale dovrà essere approvato dai medesimi organi che approvano il
bilancio di esercizio ed esso dovrà essere depositato presso il competente registro
imprese entro trenta giorni dalla sua approvazione.
1.4 I documenti di bilancio
L’Agenzia per le Onlus ha emanato nel 2008 le “Linee guida e schemi per la redazione
del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato delle imprese sociali”: questo
documento costituisce il punto di riferimento sia per la redazione del bilancio di
esercizio e del bilancio consolidato, sia per quanto riguarda i lineamenti di base dei
criteri di valutazione.
Già il comma 1 dell’art. 10 del d. lgs. 155/2006 disponeva che “l’organizzazione che
esercita l’impresa sociale deve, in ogni caso, tenere il libro giornale e il libro degli
inventari, in conformità alle disposizioni di cui agli articoli 2216 e 2217 del c.c.”.
Pertanto, in relazione all’attività complessivamente svolta, l’impresa deve redigere
scritture contabili cronologiche e sistematiche atte ad esprimere con compiutezza
e analiticità le operazioni poste in essere in ciascun periodo di gestione.
Lo strumento per la rilevazione cronologica delle operazioni di gestione è il libro
giornale. L’art. 2216 del c.c. dispone, infatti, che “il libro giornale deve indicare giorno
per giorno le operazioni relative all’esercizio dell’impresa”.
Il libro degli inventari è un registro periodico-sistematico. Così come previsto dall’art.
2217 del c.c., “l’inventario deve redigersi all’inizio dell’esercizio dell’impresa e
successivamente ogni anno”. Sia l libro giornale che il libro degli inventari devono
essere numerati progressivamente pagina per pagina. Essi non sono soggetti né a
bollatura né a vidimazione.
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Si ricorda che le disposizioni sugli aspetti amministrativo-contabili, così come le altre
indicazioni previste per l’impresa sociale, devono essere lette in modo coordinato e
congiunto con quanto previsto dalle disposizioni proprie della forma giuridica
dell’ente che esercita l’impresa sociale.
I documenti che compongono il bilancio di esercizio sono i seguenti:
stato patrimoniale;
rendiconto gestionale;
conto economico gestionale dell’attività principale;
nota integrativa;
relazione di missione.
Si precisa, comunque, che gli schemi riportati nel documento dell’Agenzia per le
Onlus costituiscono schemi flessibili che possono esser adattati secondo le specifiche
esigenze di rendicontazione dell’impresa sociale.
Stato patrimoniale
Lo schema di stato patrimoniale non presenta significative modifiche rispetto allo
schema previsto dall’art. 2424 del c.c.
L’Agenzia per le Onlus propone alcune modifiche e aggiustamenti che, di fatto,
riguardano, principalmente, la macroclasse del patrimonio netto, suddivisa in tre
classi:
o fondo di dotazione dell’ente;
o patrimonio vincolato;
o patrimonio libero.
Rendiconto gestionale
Il Rendiconto gestionale è un documento atto a rappresentare il risultato gestionale
di periodo conseguito dall’impresa sociale, inteso come differenza tra proventi/ricavi
e costi/oneri.
I componenti positivi di reddito, in virtù della specifica natura dell’Enp, si suddividono
in ricavi, contropartita delle operazioni di scambio effettuate tra l’impresa sociale e un
altro soggetto, e i proventi, non derivanti da rapporti di scambio, bensì da donazioni,
lasciti, contribuzioni, ecc.
I ricavi/proventi e i costi/oneri devono essere classificati nelle aree gestionali
individuate nell’elenco di seguito riportato:
attività tipica o di istituto (per le imprese sociali attività volta alla produzione o
scambio di beni o servizi di utilità sociale);
attività promozionale e di raccolta fondi (al fine di raccogliere risorse finanziarie);
attività accessoria (attività strumentale a quella istituzionale per il perseguimento
dei fini di utilità sociale);
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attività di gestione finanziaria e patrimoniale (attività strumentali al funzionamento
dell’impresa sociale);
attività di supporto generale (attività di direzione e gestione dell’Impresa sociale).
Per ciascuna voce inserita nel rendiconto gestionale, deve essere inserito anche il
dato relativo all’esercizio precedente.
Le imprese sociali di cui al libro I con proventi e ricavi non superiori a 250.000 per due
esercizi consecutivi, in quanto “enti minori”, possono redigere, in luogo dello stato
patrimoniale e del rendiconto gestionale, un solo prospetto secondo il criterio di cassa
denominato Rendiconto degli incassi e dei pagamenti, a cui viene allegato un
prospetto della situazione patrimoniale.
Le indicazioni dell’Agenzia per le Onlus rendono possibile individuare con esattezza
il momento in cui le imprese sociali rette in forma di enti non lucrativi possono fare uso
degli schemi semplificati; più difficile è identificare l’eventuale momento in cui tale
facoltà viene meno (ossia quando l’ente supera i 250.000 di proventi e ricavi)
considerato che, laddove si adotti un sistema di rilevazione articolato sulle entrate e
uscite monetarie, i proventi sarebbero identificabili solo per mezzo dell’utilizzo di una
doppia contabilità.
Lo schema A, denominato Incassi e pagamenti, deve riportare i flussi monetari positivi
e negativi che si sono manifestati nel corso dell’esercizio, distinti, sia i primi che i
secondi, in flussi della gestione e flussi in c/capitale.
Lo schema B, denominato Situazione attività e passività al termine dell’anno,
costituisce uno stato patrimoniale molto semplificato.
Le attività sono articolate in tre categorie: Fondi liquidi, Attività monetarie e finanziarie
e Attività detenute per la gestione dell’ente.
Le passività possono essere articolate secondo un maggior dettaglio, se ritenuto
opportuno dagli amministratori dell’impresa sociale.
Conto economico gestionale dell’attività principale
Le imprese sociali devono redigere lo schema di conto economico di cui all’art. 2425
del c.c. al fine di evidenziare i costi e ricavi dell’attività principale, così come definita
all’art. 1, comma 1, e art. 2, comma 3, del d.lgs. 155/2006.
I risultati del conto economico gestionale devono essere inclusi nel Rendiconto
gestionale, nelle appropriate aree di attività.
Nota integrativa
La nota integrativa del bilancio delle imprese sociali deve indicare una serie di
informazioni, indicate nel documento Agenzia per le Onlus, ove queste siano
significative.
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Tali informazioni in parte coincidono con quelle richieste dall’art. 2427 del c.c., in parte
si riferiscono specificatamente all’attività svolta dall’impresa sociale.
Si rimanda al documento dell’Agenzia per le Onlus per l’elenco completo delle
informazioni da includere nella nota integrativa.
Le imprese sociali “minori” possono presentare una nota integrativa “semplificata”
rispetto alle imprese sociali di maggiori dimensioni. Si rimanda al documento
dell’Agenzia per le Onlus per le informazioni che devono comunque essere inserite.
Relazione di missione
La relazione di missione è un documento di integrazione delle informazioni
economico- finanziarie del bilancio, in cui gli amministratori informano gli stakeholders
dell’impresa sociale in merito all’impatto “sociale” dell’attività svolta nel corso
dell’esercizio nonché alle modalità con cui è perseguita la missione aziendale.
A tal fine, il documento dell’Agenzia per le Onlus raccomanda di fornire dette
informazioni con riferimento a tre specifici aspetti: missione e identità dell’ente, attività
istituzionali nonché attività strumentali.
Si precisa che il contenuto della relazione di missione deve tener in considerazione le
informazioni già riportate nel Bilancio sociale, redatto in conformità a quanto riportato
nel decreto del Ministero della solidarietà sociale del 2008.
I criteri di valutazione del bilancio di un’impresa sociale non possono prendere come
riferimento (solo) quelli indicati nel c.c. per le imprese commerciali, considerata la
specificità del modello aziendale e dell’attività svolta dall’impresa sociale.
Il Bilancio Sociale costituisce uno strumento di inclusione di tutti gli stakeholders
(interlocutori) dell’impresa, oltre che di specifica rendicontazione dell'andamento
della stessa, diventando così una “forma di contaminazione” per costruire una visione
di Responsabilità Sociale d'Impresa non confinata alle sole azioni aziendali, ma in
grado di coinvolgere i comportamenti e le attività di tutte le parti coinvolte.
Rappresenta inoltre un mezzo fondamentale di comunicazione per svolgere
un’attività di relazioni pubbliche e per migliorare le relazioni sociali.
È quindi uno strumento di monitoraggio, rendicontazione e comunicazione/
conoscenza del processo di gestione responsabile e sostenibile di un’organizzazione
che intende fornire a tutti gli stakeholders un quadro complessivo delle performance
dell’organizzazione, nell’ottica della trasparenza, aprendo un processo interattivo e di
comunicazione sociale, rendendo disponibili informazioni dettagliate sulla qualità
dell’attività aziendale, per ampliare e migliorare le conoscenze e le possibilità di
valutazione e di scelta degli stakeholders.
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2. REDIGERE UN BUSINESS PLAN
Il business plan – o “piano d’impresa” è un documento di fondamentale importanza
per il neo-imprenditore, sociale o meno.
Un business plan ben fatto:
• consente di verificare la reale fattibilità dell’iniziativa sotto i suoi diversi profili
(tecnico, commerciale, economico, finanziario);
• costituisce una “guida operativa” per i primi periodi di gestione;
• rappresenta un “biglietto da visita” insostituibile per qualsiasi contatto con i
potenziali committenti o finanziatori (è previsto anche da molte leggi di finanziamento
per le nuove imprese).
Il progetto d’impresa consente di determinare, con ragionevole approssimazione, il
grado di convenienza e di rischio dell’iniziativa e dà risposta razionale a due
domande di fondo:
1) conviene dar vita all’impresa sociale? E, se la risposta è affermativa,
2) qual è il modo migliore per realizzarla?
2.1 Il contesto imprenditoriale
Negli ultimi trent'anni le evoluzioni sociali e culturali hanno modificato il modo di
pensare il lavoro. L'intraprendenza, la motivazione, il desiderio di svolgere un'attività
che piace, hanno spinto molte persone a creare il proprio lavoro sperimentandosi nel
ruolo di imprenditore.
Un
imprenditore
è
un
lavoratore
che
esercita
professionalmente
un'attività
economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni e servizi.
Diventare imprenditore significa scommettere su se stessi e sulle proprie capacità.
L'imprenditore è quindi una persona che rischia e che è consapevole che le sue
scelte in futuro potrebbero essere non più coerenti con i bisogni del mercato.
Un imprenditore non solo intraprende con notevole sacrificio un'attività, ma possiede
anche caratteristiche ben specifiche: è attivo, propositivo, fiducioso; è bravo nel
comunicare e nel pianificare; ha un comportamento flessibile e aperto al
cambiamento; è abile nel risolvere i problemi, considerandoli più come opportunità
che come minaccia; è ottimista ed ambizioso, ma nello stesso tempo realista; è in
grado di assumersi delle responsabilità e soprattutto si ritiene artefice del proprio
futuro.
La nuova impresa può nascere da un'intuizione, da un'idea, da un'invenzione, dalla
scoperta
di
una
nuova
tecnologia,
dall'espansione
della
domanda
di
un
prodotto/servizio, dal cambiamento dei gusti e delle propensioni d'acquisto dei
consumatori, dal successo di altre imprese, dall'individuazione di un bisogno o di una
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carenza delmercato, da un'abilità nel realizzare un manufatto. Dall'idea, infatti, deve
partire un processo organizzato di verifica della stessa.
Per sviluppare un'idea imprenditoriale occorre analizzare i bisogni che si intendono
soddisfare e quindi il sistema di produzione che si intende offrire. In pratica, bisogna
avere le idee chiare almeno su tre cose: cosa si vuol vendere, a chi, come fare per
produrre il prodotto o erogare il servizio. L'idea imprenditoriale, quindi, deve essere
posta in relazione al mercato, centrata sui bisogni di categorie rilevanti di clienti e
comparata con altri offerenti. Inoltre, bisogna valutare come organizzarsi per
realizzare tutto ciò.
2.2 Il contenuto del business plan
Il business plan è composto da 3 parti fondamentali:
• la prima parte, di carattere introduttivo;
• la seconda parte, di carattere tecnico-operativo;
• la terza, infine, di carattere quantitativo-monetario.
Parte introduttiva
La prima parte, di carattere introduttivo, di un business plan “sociale”:
- deve contenere una sintetica descrizione dell’idea di impresa sociale e di come si
svilupperà;
- deve evidenziare le caratteristiche personali (attitudini, aspirazioni, motivazioni) e
professionali (studi effettuati, esperienze lavorative ecc.) del soggetto o dei soggetti
promotori.
In questa parte, è importante raccontare i seguenti aspetti:
• attitudini tecniche e psicologiche;
• esperienze di studio e di lavoro;
• motivazioni a lavorare nel sociale;
• doti di creatività;
• doti organizzative;
• capacità di lavorare in gruppo e di trattare con le persone.
La credibilità dell’aspirante imprenditore sociale è estremamente importante: perciò il
progetto d’impresa deve fornire, nella sua prima parte, un profilo significativo dei
titolari.
Vanno messe in evidenza tutte quelle qualità personali che possono costituire veri e
propri “assi nella manica” per il successo dell’iniziativa.
Tuttavia presentarsi non basta: occorre anche offrire un quadro chiaro e convincente
di quello che vogliamo fare e di come vogliamo farlo.
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Parte tecnico-operativa
La seconda parte, dunque, fa riferimento a fattori di tipo oggettivo, e deve consentire
di verificare la fattibilità del progetto sotto i diversi profili (tecnico, commerciale,
finanziario), evidenziando, con dati concreti, l’esistenza di reali prospettive di
successo.
Non va dimenticato che l’impresa sociale non può vivere di soli sussidi e non può
sopravvivere senza vendere prodotti o servizi, il cui ricavato deve servire quantomeno
a coprire i costi.
Occorre prendere in esame, sulla base dell’analisi di mercato, fattori come il
prodotto/servizio,
il
prezzo,
la
comunicazione
e
la
distribuzione
(cosiddetto
“marketing-mix”); l’azienda (attrezzature, locali, personale...); l’organizzazione del
processo produttivo, dell’apparato commerciale ed amministrativo-gestionale, ecc.
Parte quantitativo-monetaria
Nella terza parte tutte le scelte inerenti ai diversi componenti della struttura aziendale
e al livello di attività operativa devono essere tradotti in termini quantitativo-monetari,
attraverso una serie di prospetti di stato patrimoniale e di conto economico. Questi
devono individuare, su un orizzonte di almeno tre anni, l’entità di:
• investimenti;
• finanziamenti;
• redditi;
• flussi di cassa.
Nel focalizzare l’attenzione sulla terza parte del progetto d’impresa, occorre aver
preventivamente ipotizzato il volume di attività da svolgere e le quantità di fattori
produttivi da utilizzare. Vanno verificate le ipotesi dal punto di vista economico e
finanziario. L’unico modo per farlo è “dare la parola ai numeri”, redigendo la parte
finale e più importante del business plan: il bilancio preventivo (o bilancio “proforma”).
Che cosa significa “pro-forma”?
Il progetto d’impresa non è definito sin dall’inizio né è immutabile: al contrario,
costituisce una sorta di “work in progress”, caratterizzato dalla necessità di costante
verifica, revisione e adattamento delle ipotesi di partenza. Creare un’impresa – e
soprattutto un’impresa sociale – è un processo graduale, che inizia con un progetto e
prosegue con il lavoro quotidiano.
L’espressione “pro-forma” indica che si tratta di una bozza non definitiva, di un lavoro
in continuo divenire; almeno finché non saranno chiarite tutte le “zone oscure” del
progetto e l’ipotesi di funzionamento dell’impresa sociale nei primi due/tre anni di vita
non mostrerà un basso rischio di insuccesso.
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I dati da utilizzare per redigere le prime due parti del business plan, di carattere
prevalentemente qualitativo, non presentano particolari difficoltà.
La stesura della terza parte, per la maggior parte dei neo-imprenditori sociali e non, è
estremamente difficile. La redazione del bilancio preventivo è un processo articolato e
caratterizzato da una intrinseca complessità tecnica. Questa fase è senza dubbio la più
complessa dell’intero processo di creazione d’impresa.
In questi casi, il “fai da te” non è consigliabile. La soluzione migliore è quella di affidarsi a un
consulente esperto, tenendo tuttavia presenti i costi che ciò comporta.
Nella fase iniziale, come tutte le imprese, l’impresa sociale deve porsi un problema
non da poco: i soldi per partire. Qualunque progetto imprenditoriale, anche il meglio
congegnato, non vale nulla se mancano i mezzi finanziari per realizzarlo.
Come è noto, il problema delle fonti finanziarie è uno dei più importanti, se non il più
critico, sia nella fase di nascita che in quella di consolidamento delle imprese.
Per prima cosa l’impresa sociale dovrà stimare con ragionevole approssimazione di
quante risorse avrà bisogno per svolgere l’attività. È questo un passaggio cruciale
nella redazione dello stesso bilancio preventivo del progetto d’impresa.
Una volta stabilito quante risorse servono e per che cosa, occorrerà mettersi alla
ricerca delle fonti di finanziamento più appropriate e più convenienti. Naturalmente,
se non si dispone di risorse proprie in numero sufficiente, l’impresa sociale potrà
chiedere un prestito in banca, ma si tratta di una strada:
- non agevole: di solito gli istituti di credito non concedono prestiti con troppa facilità
e richiedono in ogni caso una serie di garanzie, anche in termini patrimoniali, che
spesso la nuova impresa non è in grado di fornire;
- non particolarmente economica: i costi sono piuttosto elevati (interessi, commissioni,
bolli, ecc.).
Una soluzione alternativa può essere quella di prendere in considerazione eventuali
agevolazioni erogate a diversi livelli (europeo, nazionale, locale), allorché disponibili.
Attenzione però: è un grave errore basare l’avvio della propria impresa solamente su
apporti esterni, quali finanziamenti agevolati e/o contributi. Le provvidenze sono e
devono restare accessorie, per due motivi:
- la durata delle agevolazioni è limitata: quando queste hanno fine, l’impresa deve
essere in grado di sostenersi con le proprie forze;
- il grado di rischio è tanto più elevato quanto più è alta la percentuale di risorse
finanziarie esterne impiegate nell’impresa (sia che derivino dal credito ordinario sia
che provengano da quello agevolato).
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2.3 Tecniche di verifica e monitoraggio
Pur essendo un documento redatto a priori, ossia prima che il progetto abbia luogo,
un Business Plan può ottenere maggiore credibilità se corredato di un sistema di
indicatori di performance (vale a dire di ottenimento degli obiettivi). Le ragioni
sottostanti questo suggerimento sono che, se i promotori dimostrano di avere un’idea
chiara di come misurare l’ottenimento degli obiettivi:
1. dimostrano sicurezza in loro stessi e fiducia nel progetto;
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2. eviteranno conflitti futuri con enti finanziatori su come valutare se gli obiettivi
sono stati raggiunti o meno;
3. saranno pronti a proporre nuove iniziative forti di una chiara rappresentazione
dei successi ottenuti in passato.
Gli indicatori di performance devono essere “creati” sulla base di ciascun progetto,
ossia devono riflettere le risorse utilizzate e gli obiettivi ambiti.
Un valido suggerimento, tuttavia, è che il Business Plan includa una gamma di
indicatori in grado di rispecchiare la valutazione della performance a diversi livelli
delle attività svolte per il raggiungimento degli obiettivi.
In questo senso si suggerisce di esplorare almeno le seguenti categorie di indicatori:
1. Indicatori in input: in questa categoria rientrano gli indicatori che riferiscono gli
ammontare ed i valori delle risorse impiegate per ciascuna parte o fase del
progetto. Come spesso avviene (soprattutto nel settore pubblico) questi
indicatori sono utlizzati per riferire sullo sforzo che una organizzazione ha
effettuato con
specifici obiettivi. Sono indicatori
con qualche valore
informativo, ma non dicono nulla sull’ottenimento degli obiettivi.
2. Indicatori di processo: in questa categoria rientrano gli indicatori che riferiscono
sul rispetto della tempistica ed efficienza delle varie fasi del progetto. Ancora
una volta vi è del valore informativo, ma manca la certezza del risultato
ottenuto. Il loro valore risiede nel fatto che: (a) in caso di ottenimento dei
risultati, rappresentano una buona base per la giustificazione dei costi e (b) in
caso di mancato ottenimento degli obiettivi, con questi indicatori si può
dimostrare se il progetto è stato eseguito secondo i piani, che a posteriori si
sono rivelati non corretti. Anche questi indicatori focalizzano l’efficienza.
3. Indicatori di output: In questa categoria rientrano gli indicatori che riferiscono
sull’ammontare di beni prodotti o servizi erogati. Questi indicatori servono a
verificare se l’organizzazione ha effettivamente creato l’output pianificato. Si
tratta di indicatori che si avvicinano al concetto di efficacia, seppure non
ancora in pieno.
4. Indicatori di risultato: In questa categoria rientrano gli indicatori che riferiscono
sugli effetti dei beni e servizi per i consumatori e beneficiari. Questi indicatori
abbracciano in pieno il concetto di efficacia interna, ossia valutano l’effetto sui
diretti beneficiari a contatto con il (interni al) progetto.
5. Indicatori di effetto: in questa categoria rientrano gli indicatori che riferiscono
sull’impatto del progetto sulla comunità servita e l’ambiente sociale circostante
in senso ampio. Questi sono indicatori di efficacia esterna, ossia valutano
l’effetto complessivo dell’iniziativa.
Trovare l’accordo a priori su una gamma di indicatori che rientrino in ciascuna di
queste categorie dimostra la capacità di controllo che i promotori esercitano sulla
loro iniziativa fin dall’inizio e sul processo che la implementerà.
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