Scaricalo e stampalo
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Scaricalo e stampalo
Passaparola è un romanzo a più mani in cui sei autori si alternano nel raccontare una storia che non è decisa a priopri, ma che si reinventa di volta in volta. Gli autori sono, nell'ordine: Gianluca Morozzi, Luca Martini, Eliselle, Francesca Bonafini, Heman Zed, Caterina Falconi. Ogni autore scrive un capitolo, poi passa la mano all'autore successivo. L'ultimo autore della catena (Caterina Falconi) passerà di nuovo il testimone a Gianluca Morozzi, e così via... Sette stelle nel cielo di Roma Ottavo capitolo: Luca Martini (settembre 2010) «D ai ancora, sei bravissima, sì, continua...» «Ti piace così?» «Sì, prendilo tutto, ancora». «Vuoi che vada più piano?» «Cazzo, no, continua, più forte, dai». Abbassa la musica qui. «Sììì, daiii». «Sì, fai godere anche me». «Sì, Wendy, dai che sto per venire». Cambia la musica ora, metti “Purple serenade”. «Ohhhh sììì, daiii». «Vengooo». Cazzo, sono fuori sincro, sembra un film di Ridolini. «Stop. Fermati Silvia, anche tu Glauco, dobbiamo rifarla, siete sfasati con le immagini». Silvia sente una nausea alla bocca dello stomaco e appoggia gli avambracci sulle cosce, piegando la schiena per la stanchezza. «Dante, possiamo fare una pausa? Non ne posso più, sono tre ore che doppio scopate dal tedesco». Glauco sogghigna grattandosi la barba bianca sul mento. «Stai proprio invecchiando, Silvia» le dice. «Fanculo Glauco». Un interfono si attacca, una voce metallica sospira. «Va bene, la rifacciamo tra mezz’ora, ci sono ancora tre scene poi abbiamo finito di doppiare il film, per le otto siamo a casa». «Grazie Dante». L’uomo risponde al cenno di Silvia, anche lui non ne poteva più. Silvia si alza dallo sgabello, si sistema la gonna e dà un sorso alla sua bottiglietta di acqua Panna. Poi si risiede e si passa una mano tra i capelli, ravviandoseli all’indietro. Guarda i dialoghi che deve ancora doppiare e pensa che da ragazza non aveva mai visto un film porno. Adesso invece le capitava spesso di doppiarne. Lo faceva per arrotondare e mettere via qualche soldo in più. Ma l’offerta era sempre quella: se non erano porno erano documentari per la Sanvincenzofilm, polpettoni mitologico-religiosi dall’aria pomposa. Fra i due, Silvia non sapeva quale scegliere, forse era meglio il porno, visto che pagavano poco ma sempre più della curia. «Andiamo a mangiare qualcosa quando abbiamo finito?» Le chiede Glauco sistemandosi il cavallo dei pantaloni. Silvia lo guarda, scosta lo sgabello e prende in mano la borsa. «No Glauco, non stasera, grazie». «Cos’è? Hai perso l’ispirazione?» «Ma no, cosa dici? Ma solo a quello sai pensare, anche tu?» «Ah oh, cosa vuoi, dopo tre ore di cazzi e scopate...» Silvia scuote la testa e non commenta le affermazioni di Glauco, sa che al dunque non funzionerebbe, come era capitato sei mesi prima l’unica volta che erano andati a cena fuori e poi in macchina sui colli. «Stai zitto che è meglio» risponde. «Devo fare le valigie, domattina partiamo». Glauco si ferma con una Marlboro a mezz’aria, tra la tasca e la bocca. «Come partite? Con chi? Per dove?» Chiede. «Andiamo a Pescara, domani è il grande giorno». «A far che a Pescara?» «Mi ha telefonato Gemma, ha convinto la produzione ad affittare una pensione solo per noi, per passare un fine settimana insieme, in modo che le protagoniste si incontrino di nuovo e possano ritrovare l’intesa di un tempo, prima di registrare la trasmissione». Glauco si accende la sigaretta, dà una tirata lunghissima e ingoia il fumo senza farlo uscire dalle labbra. «Domani è il giorno delle stelle, dunque...» «Già, speriamo vada tutto bene». Glauco si gratta la barba ispida, poi si toglie gli occhiali da vista e inizia a pulirli scrupolosamente con il fazzoletto. Passaparola «Ne sono sicuro, vedrai. Mi spiace solo che non faremo insieme Pandoranal. Il segreto del nano, ci saremmo divertiti un sacco io e te, dicono sia bellissimo». «Sì, certo, è candidato all’oscar per il miglior film straniero» risponde Silvia guardandolo di traverso, con un ghigno sulla bocca. «Sì, l’oscar di ’sto c...» Silvia lo guarda talmente male che Glauco non se la sente di terminare la frase, anche se il senso di quanto voleva dire le è chiarissimo. «Claudia è contenta?» «Non sta nella pelle, è quello che mi preoccupa, chissà cosa si aspetta». Glauco sospira. «Be’, è normale no? Anch’io credevo che un giorno avrei vinto l’oscar come miglior attore, invece guarda che porcate devo fare per vivere. Tu pure, e non dirmi che ti vanno bene ’ste robe: anche tu sognavi chissà cosa, d’altro canto eri partita bene, dare la voce a quella stronza di Gemma non è stato male, no?» «Non me lo ricordo nemmeno più, sono passati tanti anni» dice Silvia fissando il vuoto davanti a lei. «Certo mi ha fatto impressione sentirla al telefono, sentire la sua voce, intendo. E poi aveva un tono strano...» «Strano come?» Domanda Glauco. «Non lo so, non era normale, strano, non saprei come descrivertelo». «Ma chi te lo fa fare di insistere col doppiaggio, hai il tuo lavoro da bibliotecaria, che te ne frega?» «Ci vivi poi tu con i mille euro che prendo per quel part-time di merda». Glauco le sorride, facendole capire che ha compreso. «Forse anche tu non vuoi smettere di sognare» le dice. «Sai che lo guardavo anch’io quel polpettone? Te l’ho già detto, vero? Ieri al bar ho rivisto una foto su Chi, è difficile pensare che una bambina tanto carina avesse una voce così brutta». «Nessuno è perfetto». «Parole sante». Dopo quelle banalità i due tornarono al doppiaggio. Dante li esortò a concentrarsi e loro si calarono nelle rispettive parti. Conclusero le scene che mancavano, tre in tutto: un siparietto anal con quattro protagonisti (Glauco faceva tre voci maschili diverse) e un paio di doppie penetrazioni (qui Glauco si limitava a due). Alla fine del lavoro si salutarono. Glauco le augurò in bocca al lupo, Silvia lo ringraziò, Glauco le disse che cazzo dici? Si dice crepi il lupo e Silvia lo scansò con una mano. Lui insistette chiedendole di dire crepi e lei si fermò a guardarlo, poi disse crepi e gli fece un sorriso. Poi entrambi furono inghiottiti dal buio, quello di Silvia era il nero di un autobus semivuoto, quello di Glauco l’oscurità di un’automobile di seconda mano. Entrambi erano stanchi morti e non avevano voglia di parlare con nessuno. Dopo tanto sesso avevano bisogno di silenzio. *** Ore 16 e 08 – settantotto minuti all’arrivo Siamo qui stiamo sempre qui qui tra voi e il cielo qui tra voi e il mistero Devo essere bella, devo essere bella, devo essere bella. da mille anni da mille notti qui sulla testa di tutti di quelli belli e di quelli brutti immaginatevi da qui come vi vediamo piccoli con quegli occhioni grandi Fai un fioretto, Claudia, fai un fioretto. Sì, niente televisione la sera per un mese. No, facciamo per una settimana, va bene? Ne faccio due: basta con i Mars, ok? Ti rovinano l’appetito, te lo dice anche Silvia quando te li nasconde. Allora niente Mars per... facciamo due mesi? Va bene, due mesi va bene, l’importante è che io sia bella, che tutti mi dicano che sono bella. Siamo le stelle del cielo, noi siamo qua e galleggiamo tra i sogni che spedite quassù Dai dai dai, stringi gli occhi, fai che succeda, incrocia le dita e respira forte, così, tre volte di seguito, e vedrai che si avvererà. Ore 16 e 51 – trentacinque minuti all’arrivo Silvia apre gli occhi. Il vagone è quasi pieno, forse perché è sabato, o forse perché non c’è un vero motivo, ha smesso da un po’ di cercare un motivo per ogni cosa. Controlla l’orologio, si stiracchia strizzando gli occhi e allungando le braccia, si volta verso il corridoio e realizza che Claudia non c’è. Si tira su di scatto, solleva il numero di Chi dedicato allo sette stelle e si siede al suo posto. Si sporge nel corridoio, dapprima in avanti, poi indietro, ma non vede nessuno. Passaparola Cerca gli occhi di chi le sta seduto di fronte e quando li trova ha la sensazione che ormai la conoscano a memoria da quanto l’hanno scrutata. «Scusi, ha visto la ragazza che viaggiava con me?» L’uomo la guarda, le sorride, e dentro di sé pensa che sia un modo fine per attaccare discorso. Allora respira a pieni polmoni, accenna una smorfia di sorriso e la fissa stringendo gli occhi a fessura, per essere più penetrante. «Buongiorno, ben svegliata» le dice. «Credo sia andata in bagno la sua amica, ha preso qualcosa dalla valigia ed è andata verso la toilette». «È mia sorella» risponde Silvia chiudendo la rivista. L’uomo si mette a guardarle le gambe, la gonna si è scostata e si vedono le cosce tornite. Lui si mordicchia il labbro inferiore e alza lo sguardo sul seno, picchiettandosi la guancia con le dita della mano aperte. Silvia si abbassa la gonna e lo guarda con un’aria nauseata, pensando che sembra un cliché, in cui pare che ogni uomo debba timbrare un cartellino con su scritto: provarci sempre e comunque. Allora si mette a guardare fuori dal finestrino e vede il mare. «Dove siamo?» «Abbiamo passato da poco San Benedetto del Tronto». Trascorrono pochi minuti e il treno si ferma a Giulianova. Silvia si desta dal suo torpore e pensa a quello che l’uomo le ha detto. Ha preso qualcosa dalla valigia. Allora si alza di colpo, fruga nella valigia ancora aperta e vede che manca. Silvia inizia a camminare per il corridoio, sente l’ansia salire dalla pancia, farsi spazio nella gola, spingere sul petto. Guarda nel bagno più vicino, non trova nessuno, percorre il corridoio in direzione opposta, passa due toilette, niente. Poi vede un capannello di persone ferme in fondo a uno scompartimento. «Stia calma» sente dire da una voce maschile, un controllore probabilmente. Affretta il passo ancora di più, fatica a respirare. «Con chi viaggia signorina?» Ora corre, le manca il respiro. Si fa spazio tra le persone. «Claudia, cos’è successo?» «Lei chi è?» Chiede l’uomo con il cappello da ferroviere. «Sono la sorella, cos’è successo?» Dice prendendo tra le braccia il viso di Claudia, che ora è seduta e sta piangendo silenziosamente, con lo sguardo fisso sul simbolo delle FS stampigliato sul poggiatesta davanti. «Era rimasta chiusa nel bagno, l’hanno sentita gridare e sono arrivato ad aprire con la chiave. Però mi sembra in stato confusionale, sta bene?» «Sta benissimo, non si preoccupi, ora ci penso io» risponde Silvia carezzandole le guance e i capelli. Il controllore fa allontanare le persone, dice che non c’è nulla da vedere, e in capo a pochi istanti torna il silenzio e la normalità. Silvia prende il viso di Claudia tra le mani e fa in modo che la sorella la guardi. «Claudia, tesoro, stai bene?» «Ha detto che sono brutta» le dice con una voce flebile, automatica. Silvia sospira guardando dall’altra parte. «Perché ti sei messa il vestito nuovo?» Dice prendendo tra le dita un lembo di stoffa rossa della manica. «Perché volevo vedermi bella» «E volevi farlo qui? Vestendoti nel cesso lurido di un treno?» «Ha detto che sono brutta». «Tu sei bella, Claudia, sei bella. E poi chi è che ti ha detto che sei brutta?» «Il controllore, quando ha aperto la porta del bagno, ha riso e ha detto che sono brutta». «Hai capito male, non pensarci. Adesso torna in bagno e togliti il vestito, lo ripieghiamo e lo teniamo per la televisione». «Ho paura a tornare in bagno, non voglio andarci». «Starò qui fuori io, non ti preoccupare, vai ora». Ore 17 e 26 – arrivo alla stazione di Pescara Il treno arriva puntuale e la voce del capotreno, diffusa dall’altoparlante, non manca di ricordarlo. Le due sorelle raccolgono le loro cose e scendono. Silvia ha passato il tempo restante a rassicurare Claudia, a dirle di non aver paura del giudizio degli altri. Le ha anche offerto un Mars, ma la sorella non lo ha voluto, senza spiegarle il motivo. Silvia non si spiega il perché, non è da lei, ci dev’essere qualcosa sotto, pensa. Aspettano una decina di minuti sul grande piazzale antistante la stazione, poi quando vedono arrivare un taxi si mettono entrambe ad agitare le braccia in modo scoordinato, finché l’autista non si accorge di loro. «Dove vi porto, belle fanciulle?» Silvia d’un tratto si rende conto di non aver nemmeno letto l’indirizzo della pensione. «Pensione Edelweiss, la via non me la ricordo». «La so io la via, non si preoccupi, la so io. Lei è troppo giovane, di sicuro non lo conosce, ma Passaparola “Pensione Edelweiss” era il titolo di un bellissimo film della fine degli anni cinquanta con Lauretta Masiero e Lino Ventura» risponde l’uomo. «Quant’ero innamorato da bambino di Lauretta Masiero» aggiunge con un tono sognante che a Claudia piace molto. Silvia annuisce, non sa di cosa stia parlando, ma il sorriso dell’autista, che intravede dallo specchietto retrovisore, le dà sicurezza. Quando arrivano davanti alla pensione Silvia paga la corsa e poi rimangono immobili per qual- che istante a fissare la porta dell’ingresso, loro e le loro valigie, nient’altro. «Sono così emozionata» le dice Claudia, stringendole la vita. Silvia non risponde, soltanto guarda l’insegna e pensa all’ironia del destino. Edelweiss, la stella alpina. Forse è soltanto un caso, oppure no, chi lo sa. Che Gemma l’abbia fatto apposta? Comunque sia, stelle, ancora stelle, e lei davvero non ci aveva pensato. Passaparola