La città che si restringe

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La città che si restringe
Interviste
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Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali
Direzione Generale per le Politiche Attive e
Passive del Lavoro con il contributo della
legge 40/87
Hidetoshi Ohno
La città che si restringe
Il progetto fibercity Tokyo
2050
a cura di Alfredo Martini
Indice
Introduzione
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All’origine di fibercity
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Fibercity: un modo diverso di guardare
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e progettare le città
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Cinque strategie per Tokyo1
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Nota biografica
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All’origine di PROGETTO FUTURO, l’iniziativa
promossa dal Formedil e rivolta agli imprenditori
dell’edilizia, vi è la consapevolezza che stiamo tutti
vivendo un cambiamento profondo che coinvolge il modo
stesso di concepire le costruzioni e il contesto in cui ci
troviamo ad operare. E che pertanto, per affrontare
adeguatamente questo cambiamento, risulta necessario
non soltanto comprenderne le dinamiche e svelarne la
complessità, bensì assumere un atteggiamento fortemente
rivolto al futuro, analizzando e proiettando in avanti le
dinamiche sociali ed economiche del Paese per poter
programmare e sviluppare interventi correttivi utili a
garantire adeguati livelli di vita e di competitività dei
sistemi città. Avviato più di un anno fa con una serie di
incontri all’interno del sistema Formedil, nella primavera
del 2014 è emersa la necessità di individuare una
personalità internazionale in grado di trasmettere con
forza e convinzione questa indispensabile propensione a
guardare con occhi originali i processi di trasformazione,
avendo una prospettiva di medio periodo. E la scelta è
caduta su Hidetoshi Ohno. Ed è avvenuta per una serie di
coincidenze che hanno portato a convogliare
sull’esperienza visionaria di fiber city Tokyo 2050
l’interesse e del suo sistema formativo. A questo proposito
debbo ringraziare in modo particolare mio figlio Umberto,
che mi ha fatto leg7
gere i primi risultati della ricerca pubblicati sulla rivista
“JA The Japan Architect”, dove è emersa la grande
originalità, l’attualità dell’approccio interpretativo di
Ohno e un metodo che si coniugava bene con gli obiettivi
del nostro progetto. La prospettiva temporale, la
similarità di alcune caratteristiche dei due Paesi, l’Italia
e il Giappone, soprattutto per quanto riguarda il fattore
recessione, la riflessione sulle dinamiche demografiche,
sul ruolo fondamentale delle città, e l’importanza di una
lettura diversa da quella dominante, ci hanno spinto a
confrontarci con questa esperienza.
La conoscenza personale del professor Ohno, al di là delle
sue “teorie” e delle proposte da lui illustrate nelle
conferenze italiane, ci ha confermato nella scelta.
Il suo approccio concreto, il metodo fortemente orientato
a leggere e interpretare le dinamiche sociali ed
economiche per guardare oltre il presente e offrire delle
possibilità e delle ipotesi di trasformazione in grado di
gestire questi processi di cambiamento, attraverso una
pianificazione e una visione prospettica costituiscono per
PROGETTO FUTURO degli irrinunciabile punti di
riferimento. Così come la sua visione delle città che si
restringono offre spunti preziosi di riflessione su un piano
più generale ad un Paese come l’Italia oggi poco propenso
a confrontarsi con il futuro e soprattutto a coniugare
analisi e pianificazione, ricercando soluzioni innovative e
fuori dal coro.
Un’esigenza oggi invece fondamentale se si vuole
realmente cercare di individuare dei percorsi vincenti in
una prospettiva di crescita sostenibile.
Massimo Calzoni, Presidente FORMEDIL
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Introduzione
La riqualificazione costituisce una grande opportunità per
le nostre città e per un rilancio del mercato e dell’industria
delle costruzioni in forte recessione. Disporre di analisi e
di strumenti innovativi è essenziale per raggiungere
l’obiettivo di una progettazione e di una pianificazione
adeguata ai processi di trasformazione in corsa, prestando
la massima attenzione a fenomeni come le dinamiche
demografiche, le esigenze dei cittadini e quelle delle
imprese.
Per questo motivo la ricerca fibercity Tokyo 2050, che mira
a un cambiamento radicale dei paradigmi di pianificazione
urbanistica e progettazione architettonica, costituisce un
progetto nuovo e di grande interesse anche per il nostro
Paese. La venuta in Italia dell’ideatore e coordinatore del
progetto Hidetoshi Ohno docente dell’Università di
Tokyo, invitato dal Formedil, l’Ente nazionale di
coordinamento delle Scuole Edili del Sistema Bilaterale
delle Costruzioni, nell’ambito dell’iniziativa Progetto
Futuro e in occasione delle Giornate nazionali della
formazione in edilizia 2014, è stata l’occasione per
ascoltare la sua lettura delle trasformazioni urbane e le sue
proposte. Da qui è la nata l’idea di trasformare le sue
conferenze a Roma e a Milano e il dialogo che si è
sviluppato nei cinque giorni della sua permanenza
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nel nostro Paese, in questa intervista. Il punto di partenza
delle teorie di Ohno, che sono alla base di fibercity, è
rappresentato dalla convinzione che se in passato siano
stati i fenomeni demografici e la loro interconnessione con
le dinamiche economiche a determinare i processi di
urbanizzazione, oggi nell’era della grande crisi di questo
inizio del XXI° secolo essi siano alla base di processi di
segno inverso. Da questo punto di vista il Giappone è un
caso esemplare.
Secondo alcune stime, nel 2050 il Sol Levante si
alleggerirà della presenza di circa quaranta milioni di
cittadini. Un processo in qualche modo irreversibile che
non può non avere effetti rilevanti nella stessa
conformazione, così come nell’organizzazione, delle
concentrazioni urbane.
È da questa riflessione e dallo studio di questi fenomeni e
di quanto sta avvenendo nelle città giapponesi che
Hidetoshi Ohno, ha sviluppato con i suoi collaboratori il
progetto fibercity, dietro il quale vi è una filosofia dalla
quale si sviluppa un approccio decisamente nuovo rispetto
alla progettazione urbanistica. Un progetto e un percorso
di ricerca iniziato nel 2000 e che ha trovato nel 2006 la sua
prima apparizione internazionale con la pubblicazione di
uno studio su una delle principali riviste di architettura del
mondo (Japan Architect n. 63, autumn 2006, “Fiberctiy
Tokyo 2050”). Obiettivo del progetto è di favorire una
consapevolezza sulla necessità di cambiare il modo stesso
di guardare alle città, tenendo conto dei trend demografici
e delle dinamiche economiche, destinate a ridimensionare
sia le politiche e le strategie pubbliche che le logiche del
mercato edilizio.
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Un approccio che contiene allo stesso tempo una forte
tensione verso il raggiungimento di nuovi equilibri sul
piano della qualità della vita e dell’abitare, così come delle
relazioni sociali. Un percorso teorico, ma anche
concretamente praticabile in termini progettuali, che ha
come terreno di studio e di applicazione due realtà precise
del Giappone: Tokyo e alcune città più piccole, ma
comunque complesse sul piano della dimensione e
dell’articolazione urbana. Due contesti diversi ma
strettamente collegati rispetto alle modalità di intervento.
In un iter di sviluppo, che come bene racconta Ohno, trova
la sua origine in alcune riflessioni su città minori, per poi
misurarsi con la complessa realtà metropolitana di Tokyo.
Destinato a diventare il concreto terreno di
sperimentazione.
L’altro aspetto rilevante di fibercity è la sua proiezione
temporale, il 2050, un orizzonte intermedio tra un tempo
troppo breve per poter avere un riscontro e uno troppo
lungo rispetto alla vita degli studenti dell’Università di
Tokyo interlocutori privilegiati del progetto. Una
dimensione che rientra “normalmente” nella tradizionale
capacità progettuale giapponese. Così lontana dal clima di
emergenza continua con cui noi italiani siamo abituati a
convivere.
Per Ohno la città che dobbiamo progettare e trasformare
non può che aumentare la propria predisposizione alla
flessibilità, superando rigidità che la rendono non adeguata
ai cambiamenti che stanno caratterizzando la
contemporaneità. Da qui la scelta di prendere come
riferimento le fibre come materia dilatabile, che si allunga
e si restringe.
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Per Ohno le fibre sono le strade con gli uffici e i negozi, le
linee della metropolitana, le relazioni tra i cittadini, una
varietà materiale e immateriale di situazioni e di elementi
che attraversano le metropoli e che debbono essere
concepiti in modo integrato, tenuti insieme sulla base di un
modello gestionale e organizzativo molto efficiente e high
tech.
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All’origine di fibercity
Professor Ohno le sue ricerche costituiscono ormai da
diversi anni uno stimolo per ripensare il modello
espansionistico urbano. Con la sua visione di una città che
si restringe e che per questo va ripensata e guardata con
occhi nuovi diventa centrale la capacità di considerare il
tessuto urbano come un qualcosa da osservare con la
massima attenzione e su cui intervenire evitando traumi.
Recentemente Renzo Piano parlando di Roma e delle
periferie urbane ha lanciato un progetto che possiamo
riassumere in “Rammendiamo le città italiane”. Un
indiretto richiamo alle sue teorie e alla sua fibercity.
L’orizzonte temporale del 2050 consente al suo progetto
di retare di grande attualità e che con il passare degli anni
risulta crescere di interesse e trovare consensi. Ma come
nasce fibercity?
“Fibercity nasce nell’ambito di un percorso culturale e di
studio che ha la sua origine già nella mia esperienza presso
lo studio di architettura di Fumihiko Maki, per poi
proseguire all’interno dell’Università di Tokyo. Un
progetto che nasce dall’osservazione attenta della realtà e
dei profondi cambiamenti che stanno caratterizzando la
società giapponese dalla seconda metà degli anni Ottanta,
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quando di fatto si è esaurita la spinta espansiva
dell’economia e si è assistito a una progressiva
diminuzione della popolazione, così come a una
ridistribuzione degli insediamenti urbani. Recessione, calo
demografico e invecchiamento sono tre fenomeni che sono
alla base dei processi di cambiamento che coinvolgono le
grandi città e metropoli dell’Occidente.
Se poi vogliamo individuare il momento e soprattutto
l’occasione dalla quale sono partito per poi lanciare
fibercity, allora dobbiamo spostarci da Tokyo alla
provincia di Gifu, la provincia di cui sono originario e
dove mi è stato chiesto alla fine degli anni Novanta di
realizzare un piano urbanistico.
Per farlo abbiamo studiato tutta una serie di fenomeni sia
di carattere economico che sociale. In particolare ci siamo
soffermati sulla tendenza consolidata di un persistente calo
della popolazione, da cui la necessità di cambiare
completamente l’approccio finora avuto
nella
pianificazione delle città, superando la concezione
dominante di un’espansione urbana infinita. Dietro l’idea
della fibercity vi è infatti la consapevolezza che le città
dovessero essere guardate con occhi nuovi e diversi,
prevedendone una capacità di restringimento, di
ridimensionamento finora non prevista o perlomeno non
inserita tra le possibilità. Fino a quel momento il modo di
pensare degli urbanisti restava ancorato a una visione
espansiva, nonostante il modello economico giapponese si
caratterizzasse ormai da alcuni anni nel segno del
ridimensionamento, della crescita prossima allo zero, a cui
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si accompagnava una chiara tendenza verso una
diminuzione sempre più accelerata della popolazione.
Visione dominante anche per quanto riguardava la
pianificazione della trasformazione del territorio. Questo
modo di pensare e di progettare risultava chiaramente in
contrasto con una realtà che stava cambiando
profondamente. Un cambiamento che riguardava lo stesso
modello di sviluppo prevalente e fino ad ora ritenuto
l’unico possibile, quello dell’espansione. Un modello che
entrava in collisione e in contrasto con fenomeni fino ad
ora non considerati, come la limitazione delle risorse, ad
iniziare da quelle energetiche, destinate a incidere rispetto
alle prospettive di crescita e di conseguenza a livello di
consumi e quindi della struttura oltre che in termini
quantitativi della stessa domanda.
Così come, anche, rispetto ai bisogni legati all’abitare e
alla qualità della vita urbana.
Ci siamo resi conto che era necessario modificare il nostro
approccio inserendo nei nostri modelli il concetto e una
visione orientata alla possibilità di un restringimento, di un
ridimensionamento quantitativo, spaziale. Abbiamo
inserito nella pianificazione una nuova traiettoria, quella
dello “shrinkage”. Abbiamo iniziato a pianificare
considerando come elemento centrale lo “shrinkage”. Da
queste riflessioni è nato nel 2000 il modello fibercity.
Probabilmente non è un caso che esso nasca in Giappone,
in quanto la sua storia nell’ultimo ventennio ha in qualche
modo anticipato una serie di fenomeni che oggi stanno
caratterizzando tutti i Paesi e le società del mondo più
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sviluppato. E proprio per questo il nostro progetto ha una
valenza più generale, che va oltre il Giappone.”
Possiamo approfondire maggiormente il fenomeno della
contrazione demografica...
“I dati parlano chiaro. Secondo le stime delle compagnie
di assicurazione, se il tasso di crescita corrente (1,5
bambini a coppia) continuerà, la popolazione si contrarrà
di due terzi rispetto al numero attuale che è di 127 milioni
di persone. E si attesterà intorno agli 80 milioni. Questo si
traduce in un forte ridimensionamento dell’attuale
popolazione dell’area metropolitana di Tokyo. E alla fine
del secolo si prevede che la popolazione si ridurrà della
metà. Se gli edifici che ci sono oggi sopravvivranno e la
popolazione si abbasserà drasticamente, una grande
quantità di case rimarranno vuote. Tali cambiamenti
avranno un enorme impatto sull’industria giapponese,
considerato che il settore dell’industria delle costruzioni
rappresenta attualmente il 20% del prodotto interno lordo.
Così come si modificheranno altrettanto drasticamente le
forme del paesaggio giapponese. Il problema è come
rendere di nuovo compatte le città Giapponesi, ora che si
sono estese così tanto. La risposta si trova cercando
modalità appropriate per incanalare la diminuzione della
richiesta di spazio urbano.
Se questo processo di restringimento verrà lasciato
interamente alle forze di mercato, la città si riempirà di
buchi con molte aree abbandonate: sacche di degrado,
come un pezzo di formaggio con i vermi. Queste aree
saranno luoghi potenziali per la criminalità: ciò porterà
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inevitabilmente ad una disastrosa amministrazione urbana.
Ma se il cambiamento sarà ben curato, esso potrebbe
costituire un’eccellente possibilità per risolvere il
problema delle città giapponesi e portarci più vicino
all’ideale di città compatta. In altre parole, il processo di
sottrazione, riduzione e distruzione di parti della città può
davvero funzionare a creare nuovo valore. Ciò è in totale
opposizione al semplice sviluppo additivo attraverso il
quale si è prodotto valore nello spazio urbano giapponese
del ventesimo secolo. Questo lo chiamo Genchiku che
significa ridurre le costruzioni e comprimere Kenchiku
(l’architettura). Dare un pugno e creare vuoti nei luoghi
strategici delle città congestionate sarà, dunque, il compito
più importante per i pianificatori del ventunesimo secolo.
Al posto dell’enfasi data alla creatività, le capacità
artistiche e tecniche degli architetti del ventunesimo
secolo saranno utilizzate per coprire i buchi, per
“rammendare” come ha detto Renzo Piano. Si respira
un’atmosfera nuova e una parte della società giapponese
sta andando in una direzione differente. Gli architetti non
possono sottrarsi alla condizione urbana contemporanea:
essi devono cominciare a pensare al forte impatto che il
previsto calo demografico e l’invecchiamento della
popolazione avranno sulla nostra professione. Il problema
è che continuano ad esserci programmi che prevedono
l’espansione. Ma ogni cosa prenderà il verso opposto. E
questi dati, lo ripeto, non coinvolgono soltanto il Giappone
ma molte nazioni nel mondo. Se il ventesimo secolo è stato
quello dell’espansione, il ventunesimo andrà nella
direzione contraria. Il ventunesimo secolo è cominciato
21
con la volontà di espandersi ma forse dovrebbe prendere
un’altra direzione: in architettura, nell’arte, nel cinema e
non solo.
Tutto ciò quali effetti ha e avrà sul modo di concepire la
trasformazione urbana, ma anche l’architettura e il modo
di costruire in Giappone?
“Il nostro approccio tiene conto in modo particolare della
storia architettonica e costruttiva del Giappone, del modo
in cui si sono realizzate le città, ma anche delle tradizioni
e dei modelli costruttivi che sono caratteristici
dell’architettura giapponese. Se da un lato abbiamo i
grattacieli, l’urbanizzazione futuribile con cui si identifica
ad esempio Tokyo, ecco che accanto a questi edifici
convivono in tutte le città giapponesi, compresa Tokyo,
un’architettura e un’edilizia di abitazioni monofamiliari o
comunque una moltitudine di case costruite in gran parte
utilizzando come soluzione costruttiva strutturale il legno.
Strutture per le quali è prevista una durata della vita di
circa 25 anni, che arriva a circa 35 anni per quelle resistenti
al fuoco. Ecco allora che in Giappone la durata media di
un edificio è di circa 30 anni. Se però confrontiamo gli
edifici costruiti oggi con quelli degli anni ‘60 - gli anni
della rapida crescita - possiamo senz’altro affermare che
grazie alla migliore qualità raggiunta essi sono destinati
sicuramente a durare più a lungo. Questo dato, combinato
con un’economia più lenta, ci dice che l’architettura
giapponese verrà usata per un periodo di tempo più lungo
rispetto al passato. Ciò risulta in linea con l’altra
considerazione che del resto anche il vertiginoso tasso di
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trasformazione che, una volta, caratterizzava le città
giapponesi appartiene al passato.”
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Fibercity: un modo diverso di guardare
e progettare le città
Mi sembra che l’architettura per lei non possa prescindere
da un approccio fortemente sociale e pertanto
intrinsecamente connesso al paesaggio che la contiene. E
poiché il suo ambito di progettazione riguarda la città,
l’architettura si fa strumento di equilibrio tra edificio e
contesto, cercando di cogliere al meglio i processi di
trasformazione in atto e destinati a caratterizzare il
rapporto tra l’uomo e il tessuto urbano. Quali sono allora
oggi gli elementi fondamentali da tenere presenti in una
logica di cambiamento nella progettazione urbana?
“Nella nostra ricerca, basata sull’intreccio tra analisi,
osservazione e valutazione dei principali fenomeni che
sono destinati a cambiare le condizioni di vita e le relazioni
nelle città, abbiamo individuato almeno sei elementi dai
quali chiunque sia chiamato a progettare interventi urbani
riteniamo non possa prescindere. Si tratta di punti fermi,
direi principi, che debbono essere a monte di qualunque
soluzione progettuale si decida di proporre. Il primo
elemento riguarda un grande rispetto per la diversità che è
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mutuata da quanto succede nella natura, intesa come
valore e potenzialità. Ecco che allora trasformare vuol dire
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intervenire per aumentare la diversità anche sul piano
sociale. Un secondo elemento riguarda la partecipazione
più ampia possibile da parte dei cittadini alle decisioni di
governo del territorio di una comunità. Il terzo principio
riguarda il diritto di ciascuno di muoversi liberamente
ovunque si desideri, un diritto che deve essere garantito,
indipendentemente dalle diverse condizioni di età e di
salute. Un altro aspetto che troppe volte risulta poco
considerato e che invece oggi va assolutamente riproposto
come imprescindibile, riguarda l’interdipendenza tra città
e le altre forme di paesaggio: quello agricolo e forestale,
quello dei laghi e del mare. Da sempre la nostra cultura, in
Giappone, ha prestato la massima attenzione alle forme
che la natura ha assunto ed assume. Si tratta di un
approccio che dobbiamo avere anche quando guadiamo
alle città, restituendo importanza al verde, all’acqua,
all’aria. In questo modo rafforzeremo il valore
fondamentale della città come luogo principe della vita
sociale ed economica. Nell’era della globalizzazione le
città, le metropoli sono chiamate a una sempre maggiore
competizione fra di loro. Ciò richiede di tenere conto degli
orientamenti del mercato e della necessità di restare
sempre al massimo livello anche per quanto riguarda il
loro “design”, la loro qualità urbana e architettonica. Ecco
questo è un altro elemento che non va mai dimenticato.
Ma non possiamo pensare solo alle grandi città, alle
metropoli, dobbiamo anche considerare le città piccole e
medie che in questo contesto, di risorse scarse e recessione
economica, rischiano un inesorabile declino, che riguarda
il patrimonio edilizio e una serie di spazi, che debbono
necessariamente ritrovare nuove funzioni se si vuole
evitare un progressivo degrado con gravi conseguenze
sulla qualità della vita delle popolazioni. Ciò è vero non
soltanto in Giappone. Per questo diventa fondamentale
non lasciare che sia il mercato soltanto a decidere,
ricercando soluzioni in grado di restituire a queste città una
nuova sostenibilità.
Da questi principi e riflessioni avete sviluppato un insieme
di teorie che vengono ricomposte all’interno di fibercity.
In particolare si riscontra una forte impronta che
potremmo dire “ecologica”, non soltanto sul piano degli
obiettivi e dei risultati che vi proponete di raggiungere,
bensì nell’assumere le forme e il modo in cui la natura
opera, come riferimento fondamentale del vostro modo di
progettare. Quali sono i driver principali del vostro
progetto?
“Direi che noi abbiamo le idee abbastanza chiare e quanto
sta accadendo non soltanto in Giappone, anche se la
situazione del mio Paese è in qualche modo esemplare,
rafforza le nostre convinzioni. Alla base di tutto vi è una
forte consapevolezza che non è più possibile sostenere
livelli di crescita e di conseguenza di espansione anche
edilizia e urbana come è avvenuto in passato. E che per
questo si debba assumere il concetto di restringimento,
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“shrinking”, come un’opportunità, assumendolo come un
orientamento in grado di progettare un nuovo sistema
sociale in grado di favorire una diversa qualità e un
maggiore equilibrio ed armonia con la natura.
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Il secondo fattore che ci guida è quello della flessibilità al
servizio della diversità. Ovvero dobbiamo superare la
divisione spaziale tra città e verde aumentandone
l’integrazione e rafforzando processi di questo tipo.
Essenziale è altresì rivedere le modalità e le forme che
assume la mobilità urbana, considerando i cambiamenti
rilevanti proprio rispetto alla domanda sociale, per effetto
dell’invecchiamento della popolazione innanzitutto, ma
anche della struttura familiare e della crescita dei single.
Elementi destinati a spostare la domanda verso nuovi
mezzi di trasporto sia privati che collettivi. Una
riorganizzazione che come ho sottolineato non può non
salvaguardare il diritto della libera mobilità di ciascuno.
Infine fibercity tiene in gran conto il principio della
partecipazione e del coinvolgimento degli utenti, dei
cittadini alla governabilità dei processi di trasformazione
e alle scelte di vivibilità nelle città.”
Questo approccio vi ha condotto a individuare nel
concetto di fibra l’essenza del vostro progetto. Nella fibra
è contenuta la vostra filosofia, ma allo stesso tempo
possiamo dire che in essa va riscontrato anche il metodo
con cui procedere nell’intervenire sul piano progettuale.
Perché di fatto voi concepite la città come un qualcosa di
dinamico e in continua trasformazione, dove il ruolo del
progettista e del pianificatore è quello di sapere aiutare
questa trasformazione assecondando i processi economici
e sociali prevalenti, destinati a giocare un ruolo
determinante nel raggiungimento di progressivi equilibri
tra domanda e of-
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ferta, prevedendo comunque un ruolo attivo del pubblico e
prestando attenzione ai “desideri” delle popolazioni.
Possiamo approfondire questi aspetti entrando
maggiormente nel “concept” della fibercity?
“In Giappone, una visione del mondo in continua crescita
e sviluppo ha comportato rispetto alla pianificazione delle
città l’applicazione di un modello che potremmo
rappresentare con la macchina, ovvero qualcosa che
funziona secondo parametri prestabiliti, dove quando
qualcosa si rompe si sostituisce. In questa visione del
mondo, è necessario definire chiaramente gli elementi
costitutivi in anticipo e descrivere le loro relazioni. È un
modello basato su certezze, che oggi sono messe in
discussione. Nella nuova visione che noi proponiamo,
quella del restringimento, del ripiegamento, questo
modello non funziona più. La città deve essere trasformata
avendo la massima attenzione per quei principi che
abbiamo visto. Superando una visione rigida della
programmazione e assumendo come riferimento la realtà,
che
per
definizione
è
fluida
e
soggetta
all’indeterminatezza. L’attenzione per la diversità e per la
flessibilità ci ha così condotto alla “fibra” . La fibra, infatti,
per sua natura si allunga e si restringe, ha in sé massimi
livelli di flessibilità. Quando prendiamo più fibre e le
intrecciamo si crea un filo che a sua volta lavorandolo
costruisce un ordito. La nostra concezione della città è
quella del tessuto. Così che viene naturale assumere come
elemento su cui intervenire quello della fibra: quando si
rompe la fibra si ricostruisce si ricrea, se si si slabbra poi
31
si ricuce. Se dobbiamo intervenire lo dobbiamo fare senza
creare strappi, senza “rompere”. Nei concetti di fibra e di
tessuto vi è implicito il fatto che se se ne danneggia una
parte, il tutto continua comunque a funzionare. Grazie alla
loro natura frattale, strutture simili vengono reiterate. Alla
base di fibercity vi è un nuovo paradigma urbano,
all’interno del quale l’atto della creazione non è
un’invenzione dal nulla, ma un intervento in un contesto
già esistente, una risistemazione di elementi. Con la
conseguenza che il nostro lavoro assomiglia
sostanzialmente a una sorta di editing. Come ho
evidenziato sia nelle conferenze che nei miei scritti
fibercity, in sintesi, costituisce una serie di teorie e
strategie di intervento per città e periferie dando peso e
valore agli elementi storici e strutturali, traendo il massimo
dalle preesistenze e cambiando e manipolando gli elementi
lineari per rispondere al meglio ai bisogni delle future
generazioni. La strategia di base è di ottenere il risultato
migliore con il minimo investimento, dando il giusto
rispetto alla continuità storica, utilizzando tecnologie sia
nuove che tradizionali.”
Possiamo definire il progetto fibercity come una ricerca di
soluzioni in grado di assicurare una sostenibilità allo
sviluppo urbano?
“Poiché alla base di fibercity vi è il concetto di
“restringimento”, noi guardiamo alle città, che resteranno
comunque il motore economico e i luoghi principali delle
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relazioni sociali, come entità che debbono essere
ripensate, evitando l’espansione e il consumo di territorio
e creando condizioni e processi di maggiore integrazione
tra costruito e ambiente. È qui che la nostra proposta di
leggere le città come un tessuto fatto di fibre, di
osservazione attenta a specifiche situazioni, volta a
privilegiare microinterventi, può offrire soluzioni efficaci.
Secondo il modello dominante che ha come riferimento
una crescita senza fine, dal punto di vista urbanistico ciò
ha voluto dire espansione sul territorio, crescita edilizia,
aumento dei valori immobiliari. Nell’era del
restringimento, dei numeri che si riducono, delle
percentuali con il segno meno bisogna cambiare, bisogna
confrontarsi con le modifiche del tessuto urbano, con la
trasformazione dell’esistente. Ciò si allinea anche alla
nuova visione che vuole una riduzione dell’impatto
dell’edilizia sull’ambiente, che contempla una forte
riduzione dei consumi energetici, in un contesto
caratterizzato da minori risorse pubbliche e da una
crescente attenzione al riciclo, così come alla riduzione dei
livelli di CO2 nell’aria. Noi in Giappone non siamo
abituati a modificare e a intervenire con leggerezza sul
tessuto urbano, ma dobbiamo imparare a farlo. Al centro
della nostra intuizione e delle nostre proposte vi è la
flessibilità, la capacità di intervenire sul tessuto urbano
esistente modificandolo per andare incontro alle nuove
esigenze della società ristretta, per migliorare la qualità
della vita delle popolazioni urbane. Il nostro approccio è
di trovare soluzioni che da un lato sappiano favorire una
maggiore integrazione tra edificato e “verde”, tra solido e
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fluido, considerando con attenzione i cambiamenti del
mercato immobiliare e quindi le dinamiche di mobilità
all’interno delle città, alla luce della riduzione delle
disponibilità economiche. Le nostre proposte urbanistiche
non costituiscono una perdita di valore dal punto di vista
del mercato, anzi si ripromettono di avere una funzione di
rivitalizzazione sapendo coniugare queste esigenze con un
miglioramento della qualità della vita, in termini di
maggiore sostenibilità e di riqualificazione a più alto tasso
di verde. I progetti che abbiamo messo a punto relativi sia
alla città di Tokyo che a città più piccole sono tutti ispirati
al concetto di “apertura” e di interazione tra ambienti
diversi, ovvero tra verde e costruito, tra differenti realtà
sociali, in grado di facilitare le relazioni tra categorie e
classi diverse, superando una concezione della città per
aree chiuse. Ciò è particolarmente importante in alcune
situazioni come quelle che riguardano le periferie o zone a
progressivo rischio di degrado.”
Il suo approccio e le sue proposte appaiono quanto mai
interessanti e opportune anche per le grandi città italiane,
per Roma, Milano e Napoli, soprattutto per quanto
riguarda tre aspetti: le aree degradate all’interno delle
città, la riqualificazione delle periferie e il trasporto su
ferro (reticolo ferroviario e metropolitane). Qual è la sua
opinione in proposito?
“Il nuovo contesto economico e sociale che sta
caratterizzando il Giappone, ma anche altri Paesi del
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mondo sviluppato, soprattutto gli Stati Uniti e l’Europa
determina forti contraddizioni in ambito urbano. Penso
alla riorganizzazione dei centri storici da un lato e i sempre
più elevati rischi di disagio sociale e di abbandono delle
periferie. Per quanto riguarda il Giappone, per il modo in
cui si sono sviluppate le città, soprattutto per quanto
riguarda le aree suburbane, il rischio maggiore è che si
verifichi uno spopolamento delle aree residenziali situate
lontano dalle stazioni ferroviarie. Dato che un’unità
familiare con un buon reddito tenderà a trasferirsi senza
esitazione in un luogo dove prevalgono condizioni
migliori, i problemi sorgono per le famiglie con piccoli
redditi e poche risorse. A causa della diminuzione del
prezzo dei terreni, ipotizzando che una famiglia possegga
un terreno, esso non potrà essere venduto ad un prezzo tale
da garantire il trasferimento in una zona meglio
posizionata. Inoltre, dato che in una società che invecchia
sarà impossibile offrire delle pensioni come quelle attuali,
gli anziani dovranno continuare a lavorare per diventare
economicamente indipendenti e cercheranno di evadere
dalle periferie. Ed è consapevolezza comune che le
periferie residenziali dipendenti dalle automobili non sono
coniugabili con i problemi ambientali e con una
popolazione che invecchia. Per queste ragioni i problemi
che emergono in una società con una popolazione in
diminuzione sono concentrati nelle aree residenziali
suburbane che invece rappresentavano la rampa di lancio
per lo sviluppo urbano delle città nel XX secolo. In
relazione a questo scenario, in tempi recenti a destare
maggiore interesse è la città compatta. La città compatta è
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razionale dal punto di vista ambientale, ma in molte
regioni i giovani respingono l’idea di vivere in piccoli
centri e si riversano nelle grandi città. Oggigiorno la
maggior parte dei servizi sono disponibili in tutte le città
di medie dimensioni, ma nonostante ciò sono ancora le
grandi città che prosperano. In Giappone la popolazione è
eccessivamente concentrata nelle aree metropolitane, in
particolare a Tokyo, tanto che negli anni ‘80 fu avviata una
politica di decentramento della popolazione e delle
funzioni governative che però non ebbe successo a causa
della crisi economica. Un aspetto del fascino della
metropoli è l’abbondanza di scelte e di opportunità che
offre, notevolmente maggiori in tutti gli ambiti della vita
rispetto a una piccola città. L’obiettivo deve perciò essere
quello di favorire la nascita di realtà urbane in grado di
unire l’apparentemente contradditorio fascino della
metropoli e gli attributi ambientali della città compatta.”
Nella sua concezione dell’architettura, così come della
progettazione degli spazi urbani, secondo il modello della
fibercity emerge l’importanza di saper pensare e offrire
soluzioni secondo modelli e forme in qualche modo
mutuate dalla natura. Questo radicamento nella cultura
tradizionale propria del Giappone comporta anche
un’attenzione forte per modelli di organizzazione urbana
sperimentati in passato. In quale misura questo approccio
orienta le vostre scelte progettuali?
36
“Nel Giappone vi è una grande consuetudine a convivere
e a prendere spunti dalla natura. La nostra cultura molto
più che in Occidente si caratterizza per guardare alla
natura come a un insieme di modelli utili a vivere meglio
e a concepire idee e proposte. E possiamo dire che oggi, in
questa fase della contemporaneità, prestare una maggiore
attenzione ad essa può risultare particolarmente utile. La
storia del paesaggio e delle sue trasformazioni costituisce
un patrimonio importante a cui abbiamo attinto per
impostare le nostre proposte progettuali. Nelle mie
esposizioni mi soffermo sempre sui modelli tradizionali
delle città giapponesi, mettendole a confronto con quelle
delle principali città europee e occidentali. Una
comparazione da cui emerge chiaramente come anche
nelle situazioni più complesse e articolate i riferimenti in
Giappone ad elementi specifici e autorevoli del paesaggio,
come ad esempio al monte Fuji, sia continuamente ripreso
e inserito nella pianificazione. Possiamo dire che nel loro
formarsi le città giapponesi “prendono in prestito” il
paesaggio. Viceversa le città europee sono figlie della
ragione, di modelli astratti, quasi sempre estranei al
paesaggio tradizionale non urbano. Egualmente,
un’osservazione attenta della natura ci consente di
proporre soluzioni che richiamano elementi semplici come
le forme delle foglie, la struttura dei rami degli alberi, il
modo in cui si formano e si comportano le onde del mare.
Sono tutti elementi in cui ci riconosciamo e che
riconosciamo. È un aspetto questo rilevante anche rispetto
alle possibilità che le nostre teorie possano trovare una
ampia condivisione nella società giapponese. Facendo
37
riferimenti espliciti a modelli di paesaggio caratteristici
del Giappone da un lato affermiamo una continuità
culturale, dall’altro facilitiamo la comprensione di quanto
proponiamo, consentendo di cogliere sia il significato
degli interventi proposti che le modalità con cui
intendiamo operare.
Possiamo sintetizzare che fibercity è un modello che può
essere introdotto facilmente in Giappone anche perché i
molti e semplici riferimenti alla natura, costituiscono un
patrimonio culturale e concettuale condiviso. Aver posto
al centro della nostra riflessione il paesaggio e le forme
della natura così come le vediamo oggi in Giappone è un
elemento centrale della fibercity e si ritrova anche nel
modo in cui proponiamo i nostri progetti e le nostre
soluzioni nei diversi contesti urbani.”
Approfondiremo successivamente, entrando nel merito, le
caratteristiche, gli obiettivi e le modalità progettuali
relative ad alcuni degli interventi proposti per Tokyo
2050, Prima però vorrei soffermarmi su un altro aspetto
del quale nelle sue conferenze sottolinea la rilevanza,
quello del coinvolgimento dei cittadini. Possiamo dire che
fibercity assume la caratteristica anche di un modello di
pianificazione “partecipata”, ovvero dove gli utenti finali,
i destinatari delle scelte di politica urbanistica, così come
i fruitori delle soluzioni edificatorie, debbono
necessariamente avere un ruolo o per lo meno voce
rispetto alla “governance territoriale”?
38
“È vero. Il tema del coinvolgimento e della partecipazione
popolare alle scelte di pianificazione urbanistica deve
essere considerato un elemento basilare di fibercity. Non
so se possiamo definirlo un modello di pianificazione
partecipata come voi la intendete, quel che è certo è che
nella pianificazione entrano in gioco tre soggetti: il
mercato privato con le sue logiche e i suoi interessi; lo
Stato, il pubblico,
Forma guidata dal mercato
nelle sue diverse articolazioni, con il suo ruolo di
regolamentazione; e la gente, la popolazione. Negli anni
Settanta e Ottanta lo sviluppo urbano in Giappone, ma
credo anche in molti Paesi dell’Occidente, è stato guidato
prevalentemente dal mercato, coadiuvato da politiche
pubbliche. Dagli anni Novanta in poi, in uno scenario in
39
progressivo mutamento, è aumentato il ruolo dello Stato.
È aumentato il peso del governo del territorio dall’alto. Ma
contemporaneamente è cresciuta la consapevolezza dei
cittadini su ciò che desiderano, è aumentata la riflessione
sulla qualità della vita urbana, sulle sue contraddizioni. È
cresciuta l’esigenza di abbattere i consumi energetici e di
ridurre l’impatto sull’ambiente. È aumentata la domanda
di verde e di qualità dei trasporti. Si va affermando ad
esempio il principio della libertà di movimento,
dell’importanza di creare le condizioni perché tutti
possano andare dove desiderano. E in un Paese, nelle città
dove il numero degli anziani cresce in modo esponenziale
è un problema rilevante che va affrontato e risolto. Questo
per dire che oggi la città diventa il terreno di confronto e
di collaborazione tra tutti e tre gli attori: il pubblico, il
mercato e i cittadini. Fibercity è un modello e una proposta
che vuole coinvolgere tutti e tre questi soggetti, dando a
ciascuno un ruolo ben definito.”
Tra i principi alla base di fibercity vi è garantire la
massima libertà a ciascuno in termini di mobilità,
coniugandola con il valore oggi imprescindibile della
sostenibilità.
Guardando alle città giapponesi questo obiettivo appare
quanto mai complesso. Come pensate di raggiungerlo?
“L’attenzione alla mobilità delle persone in contesti urbani
è un tema poco considerato e invece molto di attualità in
Giappone., soprattutto in considerazione del forte
40
invecchiamento della popolazione. Se, infatti, noi
disponiamo di un sistema di trasporti molto evoluto,
diffuso ed efficiente, esso riguarda soprattutto la mobilità
veloce e tra aree diverse, ma non considera minimamente
gli spostamenti a breve e medio raggio rispetto a chi in
quanto anziano ha problemi di mobilità. È fondamentale
porci il problema e trovare delle soluzioni per garantire i
piccoli movimenti su spazi limitati. Soluzioni che debbono
riguardare sia i mezzi di trasporto, che debbono essere di
tipo nuovo ed ecologici, sia la gestione delle strade e degli
spazi urbani. Per l’Occidente la libertà di muoversi è un
diritto fondamentale che va salvaguardato e ampliato, ma
deve trovare un suo equilibrio rispetto alle strutture
urbane. Ed ecco che il nostro approccio, la logica della
fibra può consentirci di trovare le soluzioni.”
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Cinque strategie per Tokyo1
Nella sua relazione lei individua cinque strategie che poi
cala nella realtà concreta di una città densa come Tokyo
per trasformarla e renderla compatibile con il nuovo
scenario del cambiamento, ce le può descrivere
spiegandone il senso, gli obiettivi e i risultati attesi? E in
quale misura Tokyo può costituire un oggetto tipologico in
grado di aiutare a comprendere come ci si deve muovere
per guardare a città/metropoli sostenibili?
“Dopo aver lanciato fibercity all’inizio del nuovo secolo,
la nostra attenzione si è concentrata su come passare dalla
teoria alla pratica, prendendo come oggetto della nostra
ricerca sia Tokyo che Nagaoka, una città di dimensioni più
ridotte e con caratteristiche di urbanizzazione e sociali
diverse dalla capitale. Lo studio è proseguito negli anni e
ci ha consentito di arrivare a definire alcune strategie, che
sono il risultato di una attenta e profonda osservazione di
queste due realtà urbane. Si tratta di strategie misurate su
1 Nella stesura di questa parte dell’intervista si è fatto riferimento oltre che alle slide
presentate da Ohno in occasione delle conferenze tenute a Roma e a Milano il 30
settembre e il 2 ottobre 2014 anche di testi pubblicati in occasione di precedenti
venute in Italia e di quanto descritto da Leone Spita nel suo articolo Tokyo 2050
Fibercity, pubblicato sulla rivista “Abitare la terra”, n.20/2007, pp. 28-35.
51
obiettivi volti a dare risposte diverse a problemi concreti,
anche di prospettiva, che tengono conto di esigenze che
sono l’effetto di cambiamenti connessi sia a fenomeni di
carattere sociale che economico. Tutte le strategie hanno
al centro il tema della riqualificazione e rispondono a una
visione nuova del rapporto tra sviluppo urbano e ambiente.
Esse mirano ad aumentare l’interazione tra costruito e
spazi verdi, favorendo percorsi di interazione e
differenziazione del paesaggio urbano, tenendo comunque
conto delle esigenze del mercato immobiliare. L’altro
elemento fondamentale è la stretta interrelazione tra la
residenzialità e la mobilità, ovvero tra la dimensione
micro, del quartiere o di un’area precisa e l’ambito urbano
nel suo complesso. Per questo alcune strategie hanno al
centro dei progetti le arterie della mobilità, siano esse
strade, linee ferroviarie o vie d’acqua. Queste nostre
proposte le abbiamo lanciate nel 2006 volendo
sensibilizzare l’opinione pubblica e le amministrazioni. In
quanto docenti universitari oltre che progettisti il nostro
principale compito è infatti quello di educare e di favorire
l’affermazione di una nuova e diversa mentalità che tenga
conto del cambiamento. Basandoci sui concetti di
progettazione della fibercity abbiamo individuato alcune
specifiche situazioni che potevano diventare dei proficui
terreni dii sperimentazione e di applicazione delle nostre
ipotesi. L’osservazione sul campo ci ha consentito di
giungere alla definizione di cinque principali strategie
progettuali. Ad ognuna di esse abbiamo abbinato una
forma paesaggistica alla quale ci siamo ispirati o che ben
52
rappresenta come si intende intervenire sul tessuto urbano
esistente.
Nell’ambito di ciascuna strategia abbiamo sviluppato più
interventi, ciascuno dei quali si caratterizza per alcune
caratteristiche connesse alla tipologia di intervento
rispetto al contesto esistente. Le cinque forme
paesaggistiche a cui ci siamo ispirati sono la “spiaggia”, il
“torrente”, il “canale”, l’insenatura” e la “duna”. Ognuna
di esse si caratterizza per essere un tentativo di migliorare
la qualità dello spazio urbano di Tokyo, manipolando
fibre. Va comunque ricordato che fibercity è un modello
aperto e che le soluzioni per la rivitalizzazione urbana
nell’epoca delle città in contrazione, vanno trovate a
misura di ogni città. Per questo è impossibile garantire che
le strategie sviluppate per Tokyo possano risultare efficaci
per altre città.”
La prima strategia illustrata nelle sue conferenze ha come
immagine di apertura una spiaggia in cui si evidenzia
l’interazione tra il mare e la terra, con l’acqua che penetra
nella sabbia e ne modifica la forma. La fluidità dell’acqua
e la maggiore rigidità della sabbia esemplificano molto
bene l’obiettivo di intervenire per aumentare l’ibridazione
tra il verde e l’edificato. In quale contesto e con quali
risultati rispetto all’attuale stato del paesaggio urbano di
Tokyo?
“Con questa strategia ci ripromettiamo di evidenziare
l’importanza di superare la separazione concettuale e
53
fisica tra le aree verdi e l’edificato, invitando ad
intervenire per favorirne una sempre maggiore
integrazione. Con le nostre proposte del resto diamo
risposte concrete sia alle esigenze di un rilancio e di una
valorizzazione del mercato immobiliare che sul piano
della salvaguardia ambientale, dell’aumento delle aree
verdi che della scurezza delle persone. La prima proposta
inserita in questa strategia riguarda un’area tra le più dense
di Tokyo, molto conosciuta anche dai turisti occidentali: il
quartiere di Shinjuku, dove si trova il grande parco
imperiale, famoso per la varietà dei ciliegi e per le sue
straordinarie fioriture. Peccato che esso si presenti come
un’area chiusa e poco visibile all’esterno. In qualche modo
non solo separata, ma anche nascosta, a causa di un intensa
concentrazione di imponenti palazzi. Questa soluzione ha
alla sua origine una concezione tradizionale di parco, che
si rifà come modello di organizzazione spaziale al giardino
“daimyo”, che ne prevede l’occultamento rispetto al
contesto circostante.
La nostra proposta prevede di modificare la linea di
confine del parco trasformando l’attuale
struttura lineare in una forma a zig-zag, senza
ridurre però l’area complessiva del parco
stesso, ma semplicemente cambiandone la
forma, prevedendone il suo dilatarsi, secondo
appunto la logica della fibra, all’interno degli
attuali spazi esterni. Così facendo si
occuperanno aree vuote, avviando un processo
di integrazione con l’ambiente esterno. In
questo modo il parco, attualmente nascosto
54
dietro agli isolati, diventa visibile e contemporaneamente
le attività urbane penetrano al suo interno. In questo modo
possiamo ottenere un doppio risultato: da un lato
allargando il perimetro del parco ne ampliamo la sua
estensione, dall’altro la maggiore interazione con il verde
valorizza le residenze e l’area urbana investita dal
cambiamento. La seconda proposta, che abbiamo
chiamato Green Partition, ha invece come obiettivo la
riorganizzazione di alcune aree di Tokyo ad alta densità, a
ridosso del centro, in gran parte costruite in legno e per
questo ad elevato rischio di incendio. Attraverso la
realizzazione di aree verdi noi intendiamo creare un sistema di barriere in grado di ridurre il rischio e allo
stesso tempo migliorare la qualità ambientale ed estetica
di questi quartieri. Come nel caso di Shinjuku anche qui
l’idea è quella di aumentare l’integrazione tra costruito e
spazi verdi, dando risposte concrete a problemi reali e
sottovalutati, creando anche le condizioni per un aumento
dei valori immobiliari. Realizzando grandi siepi che si
insinuano nel tessuto edilizio, dividendo le aree
residenziali in piccole parti, separate da muri verdi
tagliafuoco, otterremo di riqualificarlo, minimizzando i
possibili danni causati dal fuoco. Nel nostro piano la forma
della partizione si svilupperà a seconda delle disponibilità
di lotti liberi e un bordo sarà sempre collegato ad una zona
di evacuazione. Ogni area verde dovrà avere una larghezza
di 4 metri. È infatti questa la distanza tra gli edifici che
consente di impedire la diffusione degli incendi e allo
stesso tempo garantisce a una ventilazione,
un’illuminazione diurna e livelli di privacy adeguati.
55
Abbiamo stimato che complessivamente l’insieme delle
barriere verdi dovrebbe rappresentare circa l’8% della
superficie del quartiere.”
Sempre prendendo in considerazione l’immagine ispirata
alla natura, scelta per rappresentare le singole strategie,
nel caso del “torrente” l’accento viene posto sulla
funzione dello scorrere a cui viene abbinato il concetto di
rete. In questa seconda strategia al centro dell’attenzione
e delle proposte vengono poste le linee di trasporto, la
grande mobilità che caratterizza Tokyo probabilmente più
di qualunque altra città al mondo.
In quale modo proponete di intervenire per alleggerire
l’impatto ambientale, migliorare la qualità della vita
urbana, assicurando comunque gli attuali livelli di
efficienza del traffico?
“Il cuore di questa seconda strategia è il Green Web, con
cui proponiamo di intervenire nel centro di Tokyo,
modificandone la stessa immagine e candidandola a
modello di città in grado di rivitalizzare il centro attraverso
l’esclusione delle automobili. Anche in questo caso
guardiamo alla realtà urbana e ai cambiamenti in divenire
a causa delle trasformazioni che stanno caratterizzando la
città.
L’idea nasce dalla consapevolezza che una volta
completato l’anello autostradale all’esterno della linea
ferroviaria circolare, la Yamanote Line, si creerà un
alleggerimento sensibile del traffico sulla Tokyo
56
Metropolitan Expressway, l’anello stradale veloce
sopraelevato costruito nel 1964 in occasione dei giochi
olimpici, che passa sopra fiumi e strade senza la necessità
di esproprio dei terreni. Si tratta di una occasione da
cogliere per intervenire sul tessuto urbano così da
rispondere anche in questo caso alle esigenze di mettere in
sicurezza un’area densa della città rispetto ai rischi di
terremoto, creando delle adeguate vie di fuga e in grado di
garantire l’arrivo dei soccorsi. Allo stesso tempo
proponiamo di valorizzare gli elementi paesaggistici più
rilevanti di un’area oggi particolarmente devastata dal
punto di vista ambientale, creando delle situazioni
favorevoli al traffico pedonale e alla piccola mobilità,
venendo incontro alle esigenze di una popolazione che si
va riducendo e sempre più anziana. La nostra proposta
intende in particolare trasformare alcune strade in parchi e
introdurre sistemi di micro generazione diffusa di energia.
Creando un continuum con i tetti-giardino degli edifici
lungo le strade sarà realizzato un corridoio verde nel
centro della città e ciò contribuirà alla valorizzazione
dell’ambiente.
L’immagine che proponiamo è quella di un parco verde
sospeso in aria così da fare di Tokyo un simbolo di una
citta senza auto. Inoltre, lungo il Sumida River,
intendiamo realizzare un lungofiume sopraelevato tutto
pedonale così da consentire una straordinaria vista sulle
fioriture dei ciliegi a Primavera lungo le banchine. Alla
base di questa proposta vi è l’idea di guardare alla Tokyo
Metropolitan Expressway sotto una luce diversa, in grado
57
di trasformare un’area grigia e tetra di Tokyo in qualcosa
di profondamente nuovo.”
Il “Canale” è l’immagine che caratterizza la terza
strategia. Anche in questo caso, così come per la
precedente, la scelta della “forma” paesaggistica
richiama un verbo, quello del collegare: un ambiente, una
situazione ad un altra. Legare per integrare, per
scambiare, per migliorare. In che cosa consiste?
“Tokyo era una volta un città d’acqua, ma attualmente la
maggior parte dei canali sono stati riempiti e trasformati in
strade. Egualmente le autostrade sono state costruite in
quota, sopra i restanti canali, le spiagge bonificate e
trasformate in siti per le fabbriche. Oggi restano dei canali
che scorrono accanto ad alcune linee ferroviarie. La
Bluenecklace, la “collana blu”, è una strategia con la quale
proponiamo di collegare la mobilità stradale con quella
acquatica. L’idea è di creare una forte integrazione tra i
canali e alcuni poli fondamentali della mobilità urbana e
con i principali luoghi di accesso a Tokyo. In particolare il
sistema di collegamento dovrebbe riguardare la stazione di
Shinagawa, la seconda per importanza e dimensione lungo
la linea ad alta velocità del Tokaido Shikansen così come
con la Yamanote Line (la circolare urbana). Egualmente,
seguendo questa impostazione progettuale, sarebbe
possibile inserire nel sistema anche il collegamento con
Haneda, l’aeroporto “domestico” e secondo per traffico
internazionale, così come con il quartiere residenziale e
turistico di Disney land all’interno della baia. Ad
integrazione di questi collegamenti principali andrebbero
58
rivitalizzati i canali minori che potrebbero costituire la
trama per una riqualificazione che richiami, a dimensione
ridotta, città d’acqua come Amsterdam o Venezia.”
E veniamo alla quarta strategia che diversamente dalle
altre sembra privilegiare degli interventi più puntuali, pur
mantenendo sempre viva l’attenzione alla trasformazione
del paesaggio urbano. Il secondo aspetto originale è la
riflessione a monte, strettamente collegata alle dinamiche
demografiche. Come si colloca all’interno di fibercity e in
che cosa si caratterizza? E in che modo il riferimento
all’immagine della fenditura, della spaccatura, ne
comunica il significato?
“L’elemento unificante resta quello del concetto di fibra,
della lettura del paesaggio come un tessuto esistente che è
possibile modificare con piccoli interventi in grado di
cambiarne innanzitutto la forma, ma anche di aumentare il
valore dell’area, caratterizzandola e creando nuove
opportunità economiche. Inoltre, anche in questo caso, la
nostra proposta aggiunge qualità e ne migliora l’impatto
estetico. Se poi è vero che si tratta di interventi relativi a
situazione specifiche tuttavia l’impatto ambientale resta
rilevante e ha comunque un collegamento con altre aree
della città. Prendiamo ad esempio il progetto che abbiamo
chiamato GreenWreath, “ghirlanda verde”. Il Giappone è
universalmente riconosciuto come il Paese dove si vive più
a lungo e dove gli anziani vivono meglio. Oggi la domanda
di assistenza e di cure mediche è in forte crescita, così
come l’industria cimiteriale. Ma questo trend è destinato
ad invertirsi con la progressiva scomparsa della
59
generazione figlia del baby boom. Si tratta di una
riflessione importante per fotografare alcuni fenomeni
destinati a cambiare il volto del Giappone e ad incidere su
molte attività economiche e produttive. Con l’uscita di
scena dei baby boomers infatti si assisterà a una
redistribuzione anagrafica della popolazione perché è a
loro che il Giappone deve la sua crescita economica dal
dopoguerra ad oggi. Faccio queste considerazioni per
affrontare un tema delicato, ma non secondario quello dei
cimiteri, che caratterizzano molti luoghi all’interno di
Tokyo. L’idea che abbiamo avuto è di dedicare di fatto un
monumento alla generazione che ha consentito a Tokyo di
diventare la grande metropoli di oggi. Come?
Intervenendo in un ambito specifico e che si presta a una
trasformazione agendo sulle fibre del tessuto urbano.
Tokyo è appoggiata su alcune aree collinari a ridosso delle
montagne ad Ovest e da un’area paludosa verso il mare.
Qui è ancora in funzione una linea ferroviaria che unisce
il nord della regione con Tokyo e che costeggia una
piccola scogliera. La vista della scogliera è occultata da un
orribile muro di cemento che risponde a requisiti
ingegneristici ed estetici minimi. È questo che negli anni
Cinquanta vedevano i giovani diplomati che arrivavano a
Tokyo a lavorare per la prima volta. E che ancora oggi
vediamo se percorriamo questa linea ferroviaria.
La nostra proposta è di utilizzare il pendio a valle della
ferrovia per costruire un grande cimitero come omaggio a
chi ha reso possibile lo sviluppo di Tokyo, creando un
nuovo paesaggio pieno di alberi e di piante cambiando così
completamente il panorama consentendo di godere di un
60
paesaggio naturalistico unico a chi si appresta in dieci
minuti a raggiungere la stazione di Ueno, nel centro della
città.”
La quinta strategia, che avete chiamato Green Finger,
abbinandola all’immagine della duna, costituisce forse la
proposta in cui si ritrovano un po’ tutti gli elementi
cardine della fibercity. Al centro del progetto,
strettamente collegato al tema dello spopolamento, vi è la
riqualificazione delle aree suburbane di fronte a un
cambiamento
profondo
determinato
dal
ridimensionamento economico e dalla scarsità delle
risorse. Essa costituisce una delle proposte dall’impatto
più rilevante e in grado di porre l’attenzione su un
fenomeno che riguarda un numero elevato di persone, e
allo stesso tempo risulta particolarmente stimolante non
soltanto per il contesto specifico delle città giapponesi, ma
anche rispetto ad alcuni modelli urbani occidentali. Quali
sono i suoi elementi cardine?
“Green Finger è una strategia di riorganizzazione delle
aree periferiche, seriamente colpite dal calo demografico,
con la quale proponiamo un modello di città compatte
intorno alle stazioni ferroviarie, come poli di attrazione
funzionali ad assicurare modelli di vita e di mobilità a
misura d’uomo e adeguati ai processi di cambiamento che
ci dobbiamo attendere. La nostra proposta è di favorire la
concentrazione di realtà residenziali avendo come
riferimento le linee di maggior traffico ferroviario. Ogni
residenza dovrebbe collocarsi a una distanza massima
dalla stazione di 800 metri e dovrebbe essere immersa nel
61
verde. D’altra parte, la rete ferroviaria avanzata è
l’infrastruttura d’orgoglio delle città giapponesi dove si
eccelle sia per densità ferroviaria che nella qualità del
servizio che per quanto riguarda la sicurezza. Tuttavia, con
la diminuzione della popolazione nelle aree suburbane,
sarà difficile mantenere efficienti le linee ferroviarie. Se il
funzionamento della linea ferroviaria è discontinuo, i
residenti più economicamente deboli delle periferie più
lontane, tra cui molti cittadini anziani, saranno lasciati a
piedi. L’idea di una serie di piccoli agglomerati urbani
compatti circondati dal verde e attraversati dalla ferrovia,
permette ad un gran numero di persone di vivere lungo le
linee del trasporto pubblico e aumenta il numero delle
stazioni in zone ora non servite. Ciò comporterà un miglior
rendimento complessivo del progetto garantendo un
aumento del valore immobiliare delle aree. La scelta di
guardare a uno sviluppo residenziale intorno alle linee
ferroviarie veloci costituisce una risposta precisa ad alcuni
cambiamenti rilevanti che la società del restringimento e
dell’invecchiamento determinerà nella composizione e
nell’organizzazione delle famiglie. Si rafforzeranno le
tendenze a vivere in case unifamiliari così come l’utilizzo
di servizi in comune. Un prolungamento dell’attività
lavorativa degli anziani richiederà soluzioni in grado di
favorirne la mobilità. Questa strategia si propone di far si
che le aree residenziali siano vicine alle stazioni
ferroviarie, in modo da poterle raggiungere a piedi e che il
verde riempia le aree circostanti. Inoltre, consente a un
grande numero di persone di vivere lungo la ferrovia
aumentando il numero di stazioni nelle regioni che si
62
trovano entro grandi distanze dalle stazioni esistenti. Ciò
servirà a migliorare la redditività del progetto globale
attraverso l’aumento dei prezzi dei terreni delle aree
circostanti. In questo modo, attraverso il calo della
dipendenza dall’automobile, queste periferie diventeranno
zone residenziali di elevata mobilità che contribuiranno
alla riduzione delle emissioni di CO2. L’obiettivo è di
favorire concentrazioni urbane sostenibili, a misura
d’uomo dove tuttavia si possano anche godere dei vantaggi
della metropoli.”
63
Nota biografica
Hidetoshi Ohno: dove l’architettura si interconnette
con il vivere urbano
Hidetoshi Ohno nasce nel 1949 nella prefettura di Gifu, in
Giappone e si laurea in Architettura nel 1972 presso
l’Università di Tokyo. Dopo aver conseguito nel 1975 un master
in architettura presso la Graduate School of Engineering
dell’Università di Tokyo, nel 1976 lavora come architetto
presso la Maki and Associates fino al 1983. Dal 1988 (fino al
1999) assume la cattedra di Progettazione Architettonica e
Urbana come professore associato presso l’Università di Tokyo
e nel 1997 diventa dottore in Ingegneria e subito dopo
ricercatore presso la Technical University of Delft, nei Paesi
Bassi. Attualmente insegna presso l’Università di Tokyo sia
presso il Dipartimento di Architettura della Facoltà di
Ingegneria che nel Dipartimento di Studi Ambientali della
Facoltà di Scienze di Frontiera. Il principale campo della
ricerca di Ohno è la teoria della progettazione architettonica e
urbanistica e in modo particolare in relazione alle forme
dell’ambiente in cui si vive.
È internazionalmente riconosciuto come uno dei massimi
studiosi del significato dell’interfaccia tra l’architettura e la
città caratterizzata da un punto di vista spaziale: ‘frontal edge
of architecture’ o ‘hyousou’ in giapponese.
65
Per approfondimenti si vedano: l’articolo di Leone SPITA, Tokyo 2050.
Fibercity, in “Abitare la terra. Per una architettura della responsabilità,
n.20/2007, pp. 28-35. e l’intervista video a cura del Formedil in
www.youtube.com/watch?v=FC0xj19xIlc
66
Edited by Alfredo Martini
1. INTRODUCTION
A renovation is a great opportunity for our cities and for
the relaunch of the market and the construction industry
in a deep recession. To achieve the goal of the design and
planning appropriate for the ongoing process of
transformation that includes demographic dynamics, the
needs of citizens and those of companies, it is essential to
arrange analyses and have innovative tools.
For this reason the research fibercity Tokyo 2050, which
aims at a radical change of paradigms of urban planning
and architectural design, is a new project of great interest
also for our country. The arrival in Italy of the creator and
project coordinator Hidetoshi Ohno, professor at the
University of Tokyo, invited by Formedil, the National
Authority for the coordination of building schools of the
Bilateral System of Construction, as part of Project Future
and National Days of training in construction 2014, was an
opportunity to listen to his lecture on urban
transformation and his proposals. So it was decided to
turn his conferences in Rome and Milan, and the dialogue
developed during the five days of his stay in our country,
into this interview.
The starting point of Ohno’s theories, which are the basis
of fibercity, is the belief that if in the past the
demographic phenomena and their interconnection with
the economic dynamics were to determine the processes
of urbanization, nowadays in the era of the great crisis of
the beginning of the 21st century, they are the basis for
processes of the opposite sign. From this point of view,
II
I
Japan is a classic example. According to some estimates,
in 2050 the Country of the Rising Sun will be lightened by
the presence of about forty million citizens. It is an
irreversible process that can not help having significant
effects on the organization and conformation of the
urban concentrations.
Having studied these phenomena and the situation in the
Japanese cities, Professor Hidetoshi Ohno and his staff
developed the project fibercity, based on the philosophy
that gives an absolutely new approach compared to the
traditional urban design.
This is a project and a research that started in 2000 and
became internationally known in 2006 when the study
was published in one of the most important architecture
magazines in the world (Japan Architect n. 63, autumn
2006, “fibercity Tokyo 2050”). The project aims to
promote awareness of the necessity to change the very
way of looking at the cities, taking into consideration the
demographic trends and economic dynamics, that are to
resize both the political and public policies as well as the
logic of the construction market. It is an approach that
includes both a strong tension towards achieving a new
balance between the quality of life and dwelling, as well
as social relations. This theoretical path is concretely
feasible in terms of design, whose field of study and
application is two precise realities of Japan: Tokyo and
some smaller cities, but still complex in terms of the size
and urban joint. These are two different contexts, but
they are closely related to the methods of renovation. In
the process of development, as professor Ohno explains,
the project finds its origin in some thoughts on smaller
IV
cities, to then face the complex metropolitan reality of
Tokyo, destined to become the real testing ground.
Another important aspect of fibercity is its time
projection, the year 2050, the period which is too short to
get a feedback and, on the other hand, too long compared
to the life of the students
V
living.
VI
2. TO THE ORIGIN OF FIBERCITY
Professor Ohno, for many years your research and studies
have been giving a boost in rethinking the expansionistic
urban model. Thanks to your vision of a shrinking city that
needs to be rethought and viewed with new eyes, the ability
to consider the urban fabric as something to be carefully
observed and renovated avoiding trauma becomes the
focus of the new approach. Recently Renzo Piano talking
about Rome and its suburbs has launched a project that
can be summed up as “ let’s mend Italian cities”, which is
an indirect reference to your theories and your fibercity.
The time horizon of 2050 allows your project to remain
topical and to have a growing interest and approval over
the years. But how was fibercity born?
“Fibercity was born as part of a cultural journey and study
that has its origin already in my experience in the
architectural firm of Fumihiko Maki, which then was
continued at the University of Tokyo. It is a project born
from the careful observation of reality and profound
changes that characterize the Japanese society in the
second half of the 1980s, when the expansive incentives
of the economy were over and there was a gradual
decline in population, as well as the redistribution of
urban settlements. Recession, population decline, and
aging are the three phenomena that underlie change
processes involving large cities and metropolises of the
West. If we want to specify the time and especially the
occasion when I started the project and then launched
fibercity, we should move from Tokyo to the province of
VI
I
Gifu, the province I come from, and where at the end of
the 1990s I was asked to realize an urban plan. To do that
we studied a number of phenomena both economic and
social. In particular, we focused on the established trend
of a persistent decline in the population, hence on the
need to completely change the approach taken so far in
the planning of the city, overcoming the dominant
conception of the infinite urban expansion. In fact, behind
the idea of fibercity, there is the awareness that cities are
to be looked at with different eyes, taking into account
their capacity of shrinkage and resizing not considered so
far, or at least not included among the possibilities. Until
then the thinking of urban planners remained focused on
the expansion, despite the fact that the Japanese
economic model was already characterized by the sign of
downsizing and almost no growth, in addition to a clear
tendency towards a more accelerated decrease in
population. It was a dominant view also applied to the
planning of the territory transformation. This way of
thinking and planning was clearly in contrast to the reality
that was profoundly changing. The change concerned the
prevalent development model which considered the
expansion the only possible way. That was a model that
collided with the phenomena so far not taken into
account, such phenomena as the limitation of resources,
starting with those of energy, intended to affect the level
of consumption and hence the whole structure and not
only in quantitative terms. Here we should also speak
about the needs related to housing and the quality of
urban life. We realized that it was necessary to modify our
approach by including the concept and the vision oriented
VIII
towards the possibility of a narrowing, a quantitative and
spatial scaling in our models. We incorporated a new
trajectory, that of “shrinkage” in the planning which
became its focus. These reflections gave birth to the
model fibercity in 2000. Probably it is not a coincidence
that the model was born in Japan, as its history in the last
two decades has somehow anticipated a number of
phenomena that are now characterizing all the countries
and societies of the developed world. And it is for this
reason that our project has a more general value that
goes beyond Japan”.
Can we speak about the phenomenon of demographic
contraction in more detail? ...
“The data are clear. According to the estimates of the
insurance companies, if the current growth rate (1.5
children per couple) continues, the population will
decrease by twothirds compared to the current number
of 127 million people. It will be around 80 million. This will
mean a strong reduction of the population of the
metropolitan area of Tokyo. And at the end of the century
the population is expected to be reduced by half. If
today’s buildings survive and the population decreases
sharply, a lot of houses will remain empty. These changes
will have a huge impact on Japanese industry, given that
the sector of the construction industry currently accounts
for 20% of gross domestic product. And the shapes of the
Japanese landscape will change dramatically as well. The
problem is how to make very expanded Japanese cities
into compact ones. The answer can be found in looking
IX
for appropriate ways to channel the decrease in the
demand for urban space.
If this shrinking process is left entirely to the market
forces, the city will be full of holes with many abandoned
areas: zones of decay, like a piece of cheese with worms
in it. These areas are potential places for crime: this will
inevitably lead to a disastrous urban governance. But if
the change is well managed, it could be a good chance to
solve the problem of Japanese cities and bring us closer
to the ideal of a compact city. In other words, the process
of subtraction, reduction, and destruction of some parts
of the city can really work to create new assets. This
process is totally opposite to the simple additive
development by which assets were created in the urban
space in Japan in the 20th century. I call it Genchiku that
means to reduce constructions and to compress Kenchiku
(architecture).
So creating gaps in strategic places of congested cities will
be the most important task for the planners of the 21 st
century. And the creativity, artistic skills and techniques
of the architects of the 21st century will be used to cover
the holes, to “mend” as Renzo Piano said. There is a new
atmosphere and part of the Japanese society is going in a
different direction. Architects cannot escape from the
contemporary urban condition: they have to begin
thinking about the impact on our profession caused by
theexpected population decline and population aging.
The problem is that there are still programs providing for
expansion. But everything will take the opposite
direction. And these data, I repeat, do not involve only
X
Japan but many countries in the world. If the 20th century
was the one of the expansion, the 21st century will go in
the opposite direction. This century began with the desire
to expand but, perhaps, should take another direction: in
architecture, art, cinema and so on.
So what effects does your approach have on the urban
transformation, architecture, and ways of building in
Japan?
“Our approach in particular takes into account the
construction and architectural history of Japan, the way
the cities are designed, but also the traditions and
building models that are characteristic of Japanese
architecture. While, on the
XI
XII
3. FIBERCITY: A DIFFERENT WAY OF
DESIGNING AND LOOKING AT CITIES
It seems to me that for you architecture cannot be
separated from the social approach but at the same time
architecture is intrinsically connected to the landscape
that contains it. And as your scope of design concerns the
city, the architecture becomes an instrument of balance
between a building and context, trying to seize the actual
transformation processes that are intended to characterize
the relationship between a man and the urban fabric. So
what are the key elements to consider in the logic of
changes in urban planning?
“In our research, based on the intertwining of analysis,
observation and evaluation of the main phenomena that
are intended to change the conditions of life and
relationships in the cities, we have identified at least six
elements which must be taken into account by anyone
who is called to design urban interventions. These are key
points, I would say, the principles, that must be the basis
of any design solution you decide to propose. The first
element includes a great respect for the diversity that is
taken as an example of what happens in nature, by which
we mean value and potential. So, in this case, to intervene
means to increase diversity on the social level. The second
element concerns the citizens’ widest possible
participation in decisions of governing the territory of
their community. The third principle deals with the right
of everyone to freely move anywhere they want, the right
that must be guaranteed, regardless of the different
XI
II
conditions of age and health. Another aspect that is often
little considered but instead is absolutely essential today
concerns the interdependence of cities and other shapes
of the landscape: agriculture and forestry, the lakes, and
the sea. Our culture in Japan has always paid close
attention to the shapes that nature has taken and takes.
It is an approach that we should have when we walk
through the cities, giving importance to the vegetation,
water, air.
In this way, we will strengthen the fundamental value of
the city as the main place of social and economic life. In
the age of globalization, the cities, the metropolises are
called to a growing competition between them. For this
reason, it is important to take into account market trends
and the need to always remain at the highest level also
regarding their “design”, their urban and architectural
quality. So this is another element that should never be
forgotten.
But we cannot just think about big cities, metropolises, we
should also consider small and medium towns that in this
context of scarce resources and economic recession risk
an inexorable decline, which concerns the built heritage
and a series of spaces, that must necessarily acquire new
features if we want to avoid a progressive deterioration
with serious consequences on the quality of life of the
population. This is true not only in Japan. For this reason,
it is fundamental not to let only the market decide, but to
seek solutions that can give these cities a new
sustainability.
XIV
From these principles and reflections, you have developed
a set of theories that are recomposed in fibercity. In
particular, there is a strong impression that we could call
“ecological”, not only in terms of the objectives and the
results that you are aiming to achieve, but in assuming the
forms and the way in which nature works, as a
fundamental reference of your way to design. What are the
main drivers of your project?
“I would say that we have quite clear ideas and as all the
things I have mentioned before are happening not only in
Japan, although the situation of my country is somehow
exemplary, it strengthens our beliefs. Behind it all there is
a strong awareness that it is no longer possible to sustain
growth levels and, as a result, urban expansion as it was
done in the past. And that is why we should take the
concept of narrowing , “shrinking”, as an opportunity,
taking it as an orientation able to design a new social
system that can promote a different quality and a greater
balance and harmony with nature. The second factor that
drives us is the flexibility that is necessary for diversity.
What I mean is that we have to overcome the division of
space between the city and the vegetation, increasing
their integration and strengthening the processes of this
type. It is also essential to review the ways and forms of
today’s urban mobility, considering the significant
changes concerning social demand, first of all due to the
aging of the population, but also due to the family
structure and growing number of singles. These are the
factors intended to shift the demand towards new means
of transport, both private and public. A reorganization
X
V
that, as I pointed out, cannot help defending the right of
free mobility of each person. Finally, fibercity does value
the principle of participation and the involvement of its
users, citizens in the governance of the transformation
processes and the choice of living in the cities.”
This approach has led you to identify the concept of the
fiber as the essence of your project. And the fiber is the
contents of your philosophy, but at the same time we can
say that it is also found in the method with which one
should intervene in the project plan. You see a city as
something dynamic and ever changing, where the role of
the designer and the planner is to know how to help this
transformation based on the prevailing economic and
social processes, intended to play a key role in achieving
progressive balance between supply and demand, while
giving city residents an active role and paying attention to
the “desires” of the populations. Can we examine these
aspects entering further into the “concept” of fibercity?
“In Japan, the world is seen in continuous growth and
development. That has led to such a planning of a city that
can be compared to the design of a car, or something that
works according to a predetermined level, where when
something breaks it can be easily replaced. In this
worldview, it is necessary to clearly define the building
blocks in advance and describe their relationships. It is a
model based on certainties, which today are being
brought into question. In the new vision that we propose,
thevision of narrowing, of folding, this model no longer
works. The city is to be transformed having the utmost
XVI
attention to the principles that we have seen. The rigid
view of programming should be overcome while the
reality, which by definition is fluid and subject to
indeterminacy, should become the main reference. The
attention to the diversity and flexibility has thus led us to
the “fiber”. The fiber, that stretches and shrinks by its
nature, in itself has the highest levels of flexibility. When
we take a couple of fibers and weave them we get a
thread from which later we can weave a warp. Our
conception of the city is that of the fabric. So it is natural
to assume the fiber as an element on which to intervene.
When the fiber breaks, it can be recreated. If we
intervene, we should do it without creating tears, without
“breaking”.
The main idea of the concepts of fiber and fabric is that if
some part gets damaged, all the system, however,
continues working. Thanks to the fractal nature, similar
structures are repeated. Underlying fibercity there is a
new urban paradigm, in which the act of creation is not
an invention from nothing, but an intervention in an
already existing system, a rearrangement of elements. So
our work substantially resembles a kind of editing. As I
pointed out both in the conferences and in my articles, in
short, fibercity is a set of theories and intervention
strategies for cities and suburbs that do value historical
and structural items, making the most of the existing
buildings and changing and manipulating linear elements
to best meet the needs of future generations. The basic
strategy is to get the best results with minimal
X
VI
I
investment, giving due respect to the historical
continuity, using both new and traditional technologies.”
Can we define the project fibercity as a search for
solutions that ensure a sustainable urban development?
“Since fibercity is based on the concept of “ shrinkage”,
we look at the cities, which will remain the economic
engine and the main sites of social relations, as entities
that must be rethought, avoiding the expansion and
consumption of the territory and creating the conditions
and processes of a greater integration between building
and environment. And here we suggest reviewing the city
as a fabric made of fibers, we suggest careful observation
of
specific
situations,
aimed
at
favoring
microinterventions, that can offer effective solutions.
According to the dominant model that has endless growth
as a reference, from the urban point of view this means
expanding the territory, growth in building and an
increase in property values. In the era of shrinking when
the numbers are reduced, the percentage is with a minus
sign, we must deal with the changes of the urban fabric,
with the transformation of the existing one. This aligns
well with the new vision that wants to reduce the impact
of building on the environment, which provides a
significant reduction in energy consumption, in a context
characterized by lower public resources and a growing
attention to recycling, as well as the reduction of CO2
levels in the air. In Japan, we are not used to modifying
and intervening on the urban fabric lightly, but we have
to learn to do it. At the center of our intuition and our
XVIII
proposals there is flexibility, the ability to intervene in the
existing urban fabric modifying it to meet the changing
needs of the restricted society, to improve the quality of
life of urban populations. Our approach is to find solutions
that, on the one hand, can foster a greater integration
between construction and vegetation, between solid and
fluid, carefully considering the changes in the housing
market and therefore the dynamics of mobility within the
city, in the situation of reduced budgets. Our urban
proposals do not intend a loss of value from the point of
view of the market, instead they are to have a function of
revitalization knowing how to combine these needs with
the improved quality of life, in terms of a greater
sustainability and regeneration of green spaces. The
projects that we have developed are related to the city of
Tokyo as well as smaller cities. These projects are all
inspired by the concept of “openness” and interaction
between different environments, especially between
vegetation and construction, between different social
realities able to facilitate relationships between different
categories and classes, overcoming the conception of
cities as closed areas.
This is particularly important in some situations such as
those involving the outskirts or areas at a progressive risk
of deterioration.”
Your approach and your proposals are very interesting
and suitable also for big Italian cities, like Rome, Milan
and Naples, especially in the matter of three aspects: the
degraded areas within the city, the redevelopment of the
suburbs and railway transport (railway network and
subways). What is your opinion about it?
XI
X
“The new economic and social context that is
characterizing Japan but also other countries of the
developed world, especially the United States and
Europe, causes strong contradictions in urban areas. I
mean the reorganization of historical city centers and the
increasingly high risk of social unease and abandonment
of the suburbs. As for Japan, for the way the cities have
been developed, especially in the matter of the suburban
areas, the greatest risk is to have a depopulation of the
residential areas situated far from the railroad stations.
As a family with a good income without hesitation will
tend to move to a place with the best conditions, there
are problems for the families with a low income and few
resources. Because of the decrease in the land price,
assuming that a family owns some land, it cannot be sold
at a price that ensures the move in a better positioned
area. Moreover, since in an aging society it will be
impossible to offer such pensions as the current ones, the
elderly will have to continue working to be economically
independent and they will try to escape from the suburbs.
And it is common knowledge that the suburbs dependent
on cars are not suitable for the solution of environmental
problems and an aging population. For these reasons the
problems that arise in a society with a dwindling
population are concentrated in suburban residential
areas which instead represented a launching pad for the
urban development of the cities in the 20 th century. In
relation to this scenario, a compact city has recently
become of greater interest. A compact city is rational
from the environmental point of view, but in many
regions young people reject the idea of living in small
XX
towns and move to large cities. Nowadays most of the
services are available in all the medium-sized cities, but
nevertheless, it is the big cities that thrive. Japan’s
population is over-concentrated in the metropolitan
areas, especially in Tokyo, so much that in the 1980s there
was a policy of decentralization of the population and
government functions but it failed due to the economic
crisis. One of the fascinating aspects of a metropolis is the
abundance of choices and opportunities it offers,
significantly higher in all areas of life than in a small town.
Therefore, the aim must be to encourage the creation of
urban areas that combine the seemingly contradictory
charm of a metropolis and environmental features of a
compact city.”
In your conception of architecture, as well as the design of
urban spaces, following the model of fibercity there stands
out the importance of knowing how to think and offer
solutions according to patterns and shapes somehow
borrowed from nature. This integration with the
traditional culture of Japan also involves strong attention
to models of urban organization experienced in the past.
To what extent does this approach guide your design
choices?
“In Japan there is a great tradition to live together with
the nature and learn from it. Our culture, much more than
those of the West, is characterized by looking at the
nature as a set of useful models to live better and to
conceive ideas and proposals. And we can say that
nowadays, we pay more attention to it as it can be
X
XI
particularly useful. The history of the landscape and its
transformations is an important asset in which we have
learned to set our project proposals. In my presentations,
I always dwell on traditional models of Japanese cities,
comparing them with those of major European and
Western cities. This comparison which clearly shows how
even in the most complex situations the references to
specific elements of the landscape in Japan, such as
Mount Fuji, is always present in the planning. We can say
that in their formation Japanese cities “borrow” the
landscape. Instead European cities are fruit of reason, of
abstract models, almost always unrelated to traditional
nonurban landscape. Also, careful observation of nature
allows us to offer solutions that recall simple elements
such as shapes of the leaves, the structure of the tree
branches, the forms and the movement of the sea waves.
These are the elements that we can easily recognize. This
is a relevant aspect because in this way our theories can
be widely spread in the Japanese society. Making explicit
references to the models of the landscape characteristic
of Japan, on the one hand, we affirm cultural continuity,
on the other hand, we facilitate an understanding of what
we offer, allowing people to grasp the meaning of the
proposed actions as well as the ways in which we intend
to operate.
To sum up, we can say that fibercity is a model that can
be easily introduced in Japan and also because of many
simple references to the nature, constitute a cultural and
conceptual heritage. We have placed Japanese landscape
and the forms of nature at the center of our reflection and
made them the key element of fibercity which can also be
XXII
found in the way we offer our projects and our solutions
in different urban settings.”
Later we will speak in more detail about the merits,
features, objectives and design methods related to some of
the proposed interventions for Tokyo 2050. But first I
would like to focus on another aspect of your lectures in
which you emphasize the importance of the citizens’
involvement. Can we say that fibercity also takes on the
characteristic of a “participatory” planning model where
the end users, recipients of the choices of the urban policy,
as well as the users of the development solutions, must
necessarily have a role or at least a voice in the
“territorial governance”?
“It’s true. The theme of people’s involvement and
participation in the choices of urban planning should be
considered a basic element of fibercity. I do not know if
we can call it a model of participatory planning as you
have defined it, what is certain is that the planning
involves three parties: the private market with its logic
and its interests; the state, the public with its regulatory
role; and the people, the population.
In the 1970s and 1980s urban development in Japan, but
I believe also in many Western countries, was driven
mainly by the market, supported by the public policies.
From the 1990s onwards, in a scenario in a progressive
change, the role of the state became more important. The
weight of the government of the territory grew up from
above. But at the same time there increased the
awareness of the citizens on what they want, increased
X
XI
II
reflection on the quality of urban life, its contradictions.
There appeared a growing need to cut energy
consumption and reduce the environmental impact.
There increased the demand for green spaces and the
quality of transport. There was a new establishing
principle, that of freedom of movement, the importance
of creating the conditions so that everyone can go where
they want. And in a country, where in the cities the
number of elderly people grows exponentially it is a
significant problem that must be addressed and resolved.
So nowadays a city has become the ground for discussion
and collaboration between all the three actors: the state,
the market, and the citizens. Fibercity is a model and a
proposal that aims to involve all the three parties, giving
each a well-defined role.”
Among the principles of fibercity, there is maximum
freedom of each one in terms of mobility, combining it with
the value and sustainability. Looking at Japanese cities
this goal seems very complex. How are you going to
achieve it?
“The attention to the mobility of people in urban areas is
a little considered subject and instead very topical in
Japan, especially given the dramatic aging of the
population. In general, if we have a highly developed
transport system, widespread and efficient, it mainly
concerns the fast mobility between different areas, but
does not consider the slightest movements in the short
and medium range of a distance for elderly people who
may have mobility problems. It is important to ask
XXIV
ourselves about the issue and find solutions to ensure the
small movements in a limited space. Solutions must
address both the means of transport, which must be new
and ecological, and the management of road and urban
spaces. For the West, the freedom of movement is a
fundamental right that must be protected and expanded,
but it has to find its own balance regarding urban
structures. And here our approach, the logic of the fiber
can help us find solutions”.
4. FIVE STRATEGIES FOR TOKYO1
In your report, you identified five strategies and after that
you spoke about the concrete reality of a dense city like
Tokyo to transform it and make it compatible with the new
scenario of change. Could you describe and explain the
meaning, objectives and expected results? And to what
extent can Tokyo be a typological object able to help us
understand what we should do to design a sustainable
city?
“After launching fibercity at the beginning of the new
century, we focused on how to move from theory to
practice, taking as the object of our research two cities –
Tokyo and Nagaoka, a city of a smaller size and urban and
social characteristics which are different from those of
the capital. The study continued over the years and
allowed us to get to define some strategies, which are the
result of a careful and profound observation of these two
urban realities. These are the strategies aimed at the
targets to give different solutions to concrete problems,
X
X
V
even in perspective, that take into account the needs that
come from social and economic changes. All the
strategies are focused on the idea of requalification and
based on a new vision of the relationship between the
urban development and environment. They aim to
increase the interaction between buildings and green
spaces, encouraging the ways of interaction and
differentiation of the urban landscape
1 In this part of the interview, there is a reference to the slides presented
by
Professor Ohno at the conferences held in Rome and Milan on September
30 and October 2, 2014 and also to the reports published during Ohno’s
previous visits to Italy and described by Leone Spita in his article Tokyo
2050 Fibercity, published in the journal “Abitare la terra”, n.20/2007, pp.
28-35.
while taking into account the needs of the real estate
market. The other key element is the close relationship
between the housing and mobility, or between the micro
dimension, that of the district or a precise area, and the
whole urban environment. That is why some strategies of
the projects focus on the arteries of mobility, i.e. roads,
railways, and waterways. We launched these proposals in
2006 with the aim to make the public and the
administration aware of the project. Being academics as
well as designers, our main task is indeed to educate and
encourage the emergence of a new and different
mentality that takes account of the change. Based on the
design concepts of fibercity we have identified some
specific situations that could become the testing ground
where we could apply our hypothesis. The field
observation has allowed us to reach the definition of the
XXVI
five key design strategies. For each of them we have
matched a shape of the landscape which inspired us or
which represents how we should work on the existing
urban fabric. Within each strategy, we have developed
more actions, each of which is characterized by certain
features related to the type of intervention as opposed to
the existing context. The five shapes of landscapes that
inspired us are the “beach”, the “river”, the “channel”,
the “cove” and the “dune”. Each of them is known to be
an attempt to improve the quality of the urban space of
Tokyo, manipulating fibers. It should, however, be
mentioned that fibercity is an open model and that the
solutions for urban regeneration in the era of shrinking
cities must be chosen for each city depending on its
characteristics. For this reason, it is impossible to ensure
that the strategies developed for Tokyo will be effective
for other cities as well.”
Describing the first strategy in your conferences you used
the image of a beach to show the interaction between the
sea and the land, with the water that penetrates the sand
and changes its shape. The fluidity of water and the
increased stiffness of the sand perfectly exemplify the
objective to take action to increase the hybridization
between green spaces and buildings. In what context and
with what results regarding the current state of the urban
landscape of Tokyo can this strategy be applied?
“With this strategy we intend to highlight the importance
of overcoming the conceptual and physical separation
between the green areas and the built environment, and
X
X
VI
I
call for action to boost their integration. With the rest of
our proposals, we give concrete answers to the needs of
the relaunch and promotion of the housing market and in
terms of environmental protection, the increase in green
areas. The first proposal included in this strategy involves
one of the densest areas of Tokyo, also well known to
western tourists: the Shinjuku district, where there is a big
imperial park, famous for its variety of cherry trees and
their extraordinary blooms. It is a pity that this park seems
a closed area poorly visible from outside. In some way, it
is not only separated, but also hidden, due to an intense
concentration of huge buildings. This solution originates
from a traditional conception of the park, which sets the
garden “daimyo” as a model of spatial organization, and
the idea of the model is to conceal the park from the
surrounding context. Our proposal is to modify the
boundary of the park by transforming the existing linear
structure in a zigzag shape, however, without reducing
the overall area of the park itself, but simply by changing
its shape, providing for the possibility to make it larger
within the current outdoor spaces, according precisely to
the logic of the fiber. Doing so, we can fill empty areas,
launching a process of integration with the external
environment. In this way the park, currently hidden
behind the blocks, will become visible and at the same
time urban activities can penetrate inside. So we can get
a double result: on the one hand, by widening the
perimeter of the park, we will expand its territory, on the
other hand, more interaction with the green areas gives
more value to the residences and the urban areas under
change. The second proposal, which we called Green
XXVIII
Partition, instead has as its objective the reorganization
of certain dense areas near the center of Tokyo, largely
built of wood and therefore at high risk of fire. Creating
green areas, we intend to make a system of barriers that
can reduce the risk and at the same time improve the
environmental quality and esthetics of these
neighborhoods. Like in the case of Shinjuku, also here the
idea is to increase the integration between built and
green spaces, giving real solutions to real and
underestimated problems, and also to create conditions
for an increase in property values. Making large hedges
that weave in the building fabric, dividing residential
areas into small parts, separated by green firewalls, we
will get the area redeveloped, minimizing the possible
damage caused by the fire. In our plan, the shape of the
partition will grow depending on the availability of vacant
lots and the border will always be connected to an
evacuation area. Each green space must have a width of
4 meters. In fact, this distance between the buildings will
help to prevent the spread of fire and at the same time
will nguarantee not only a good ventilation, but also
enough daylight and adequate privacy levels. We have
estimated that the total area of green barriers should
represent about 8% of the entire area of the district.”
Always taking into consideration the image inspired by
nature, chosen to represent each strategy, in the case of
the “stream” the emphasis is on the function of flowing, in
which it is combined with the concept of a network. In this
second strategy, we focus on transport lines, on the great
mobility that characterizes Tokyo probably more than any
other city in the world. What are you going to do to lighten
X
XI
X
the environmental impact, to improve the quality of urban
life, whilst ensuring the current levels of traffic efficiency?
“The heart of this second strategy is the Green Web, with
which we propose to intervene in the center of Tokyo,
changing its own image and trying to make it a city model
that can revitalize the center eliminating cars. Also, in this
case, we must examine the urban reality and the changes
due to the transformations that are characterizing the
city. This idea comes from the awareness that once
completed the ring road outside the circular railway line,
the Yamanote Line, it will significantly lighten the traffic
on the Tokyo Metropolitan Expressway, the elevated fast
ring road built in 1964 on the occasion of the Olympic
Games, which passes over rivers and roads without the
need for land expropriation. It is an opportunity to
intervene in the urban fabric so as to respond to the
needs of the security of the dense area of the city
regarding the risk of earthquakes, creating adequate
escape routes and ensuring the arrival of the rescue team.
At the same time we propose to increase the value of the
most relevant landscape elements of the area particularly
devastated from the environmental point of view,
creating opportunities for the pedestrian traffic and little
mobility, meeting the needs of the shrinking and aging
population. Our proposal aims, in particular, to turn some
roads in parks and introduce the systems of micro
distributed energy generation. Creating a continuum with
roof-gardens of the buildings along the roads we will
make a green corridor in the city center and this will help
enhance the environment. The image that we propose is
XXX
that of a green park in the air so as to make Tokyo a
symbol of a city without a car. Also, along the Sumida
River, we intend to create a raised pedestrian
embankment in order to allow an extraordinary view of
the cherry blossoms along the quays in spring. This
proposal is based on the idea of looking at the Tokyo
Metropolitan Expressway in a different light, in order to
transform the gray area of Tokyo in something absolutely
new.”
The “Channel” is the image that characterizes the third
strategy. Also, in this case, as well as for the previous one,
the choice of the landscape “shape” refers to a verb, that
of connecting: an environment, a situation to another. To
connect means to integrate, to exchange, to improve. Can
we talk about it in more detail?
“Tokyo used to be a city on the water, but nowadays most
of the channels were filled up and converted into streets.
Also, the highways were built at the altitude, over the
remaining channels while the beaches were reclaimed
and transformed into the sites for factories. Today there
remain only the channels that flow along some railway
lines. The Blue Necklace is a strategy with which we
propose to connect the road mobility with the aquatic
one. The idea is to create a strong integration between
channels and some fundamental poles of urban mobility
and the main access points of Tokyo. In particular, the
connection system should cover the Shinagawa station,
the second biggest and important station along the highspeed line of the Tokaido Shinkansen as well as the
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XI
Yamanote Line (the urban circular line). Also, according to
this design approach, it would be possible to incorporate
into the system the connection with Haneda Airport, as
well as with the residential and tourist area of Disneyland
within the bay. To create these key links, it will be
necessary to revitalize some minor channels which, to
some extent, could make Tokyo a city on the water like
Amsterdam or Venice.”
And we have come to the fourth strategy that unlike the
previous ones, seems to use more precise tactics of
interventions while always maintaining the attention to the
transformation of the urban landscape. The second
original aspect is the reflection closely linked to
demographic trends. How does it fit within fibercity and
what makes it stand out? And how does the reference to
the image of a crevice, of a split, convey its meaning?
“The unifying element remains the one of the concept of
fiber, the reading of the landscape as an existing fabric
that can be modified with small interventions in order to
change its shape, and also to increase the value of the
area, creating new economic opportunities. Also, in this
case, our proposal adds quality and improves the esthetic
impact. And the environmental impact remains significant
and still has a connection to other areas of the city. Take,
for example, the project that we called GreenWreath.
Japan is universally recognized as the country where
people live longer and where the elderly live better.
Today the demand for health and medical care is growing,
as well as the cemetery industry. But this trend is
XXXII
expected to be reversed with the gradual disappearance
of the generation that came after the baby boom
generation. This is an important consideration to record
some phenomena destined to change the face of Japan
and affect many economic and productive activities. In
fact, with the disappearance of baby boomers there will
be a registry redistribution of the population because it is
to them that Japan has owed its economic growth since
the World War II. We should take it into account to face a
delicate but very important issue, the one of the
cemeteries, which characterize many places in Tokyo. Our
idea is to dedicate a monument to the generation that has
enabled Tokyo to become one of the greatest
metropolises. How? Intervening in a specific field which
can be transformed by our working on the fibers of the
urban fabric. Tokyo is situated on the territory with some
hilly areas close to the mountains in the west and a
swampy area near the sea. Here is still a railway line that
links the north of the region with Tokyo and runs along a
small cliff. The view of the cliff is hidden by a hideous
concrete wall that hardly meets engineering and esthetic
requirements. This wall in the 1950s was the first thing
seen by the young graduates who for the first time came
to Tokyo to work. And we still see it if we take this railway
line. Our proposal is to use the slope to the valley of the
railroad to build a large cemetery as a tribute to those
who made the development of Tokyo possible, creating a
new landscape full of trees and plants so completely
changing the view and allowing the passengers who
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XI
II
decide to reach the Ueno station in the city center in ten
minutes to enjoy a unique natural landscape.”
The fifth strategy, which you have called Green Finger,
accompanied by the image of a dune, is perhaps the
proposal where we can find a little bit of all the key
elements of fibercity. At the center of the project, closely
linked to the theme of depopulation, there is the
redevelopment of suburban areas due to a profound
change resulted from the economic downsizing and
resource scarcity. It is one of the proposals with the most
relevant impact and able to focus attention on a
phenomenon that affects a large number of people. At the
same time, it is particularly stimulating not only for the
specific context of Japanese cities, but also in the matter
of some western urban models. What are its key elements?
“Green Finger is a strategy to reorganize the peripheral
areas seriously affected by the population decline, with
which we propose the model of compact cities around the
train stations, as poles of functional attraction to ensure
quality of life and mobility and adapted to the change
processes which will expect us in the future. Our proposal
is to encourage the concentration of the residential
reality near the railroad lines with busy rail traffic. Each
residence should be placed at a maximum distance of 800
meters from the station and should be surrounded by the
vegetation. On the other hand, the advanced rail network
is the infrastructure Japanese cities are very proud of, it
excels both for the railway density as well as in the quality
of the service regarding safety. However, with the
XXXIV
decrease of the population in suburban areas, it will be
difficult to maintain railway lines efficient. If the
functioning of the railway line is discontinuous, the most
economically disadvantaged residents in farther-away
suburbs, including many senior citizens, will be left
without a means of transport. The idea of a series of small
compact towns surrounded by the vegetation and
crossed by the railway, will allow a large number of
people to live along the lines of the public transport and
increase the number of stations in areas not served so far.
This will result in a better overall performance of the
project
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V
XXXVI
Tokyo, in
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VI
I
Il volume è edito da
Progettato e impaginato da Aurora Milazzo
Stampato da PressUp, giugno 2015
Per ordinativi rivolgersi ad [email protected]