La città che si restringe
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La città che si restringe
Interviste 1 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Direzione Generale per le Politiche Attive e Passive del Lavoro con il contributo della legge 40/87 Hidetoshi Ohno La città che si restringe Il progetto fibercity Tokyo 2050 a cura di Alfredo Martini Indice Introduzione 11 All’origine di fibercity 17 Fibercity: un modo diverso di guardare 26 e progettare le città 26 Cinque strategie per Tokyo1 51 Nota biografica 65 All’origine di PROGETTO FUTURO, l’iniziativa promossa dal Formedil e rivolta agli imprenditori dell’edilizia, vi è la consapevolezza che stiamo tutti vivendo un cambiamento profondo che coinvolge il modo stesso di concepire le costruzioni e il contesto in cui ci troviamo ad operare. E che pertanto, per affrontare adeguatamente questo cambiamento, risulta necessario non soltanto comprenderne le dinamiche e svelarne la complessità, bensì assumere un atteggiamento fortemente rivolto al futuro, analizzando e proiettando in avanti le dinamiche sociali ed economiche del Paese per poter programmare e sviluppare interventi correttivi utili a garantire adeguati livelli di vita e di competitività dei sistemi città. Avviato più di un anno fa con una serie di incontri all’interno del sistema Formedil, nella primavera del 2014 è emersa la necessità di individuare una personalità internazionale in grado di trasmettere con forza e convinzione questa indispensabile propensione a guardare con occhi originali i processi di trasformazione, avendo una prospettiva di medio periodo. E la scelta è caduta su Hidetoshi Ohno. Ed è avvenuta per una serie di coincidenze che hanno portato a convogliare sull’esperienza visionaria di fiber city Tokyo 2050 l’interesse e del suo sistema formativo. A questo proposito debbo ringraziare in modo particolare mio figlio Umberto, che mi ha fatto leg7 gere i primi risultati della ricerca pubblicati sulla rivista “JA The Japan Architect”, dove è emersa la grande originalità, l’attualità dell’approccio interpretativo di Ohno e un metodo che si coniugava bene con gli obiettivi del nostro progetto. La prospettiva temporale, la similarità di alcune caratteristiche dei due Paesi, l’Italia e il Giappone, soprattutto per quanto riguarda il fattore recessione, la riflessione sulle dinamiche demografiche, sul ruolo fondamentale delle città, e l’importanza di una lettura diversa da quella dominante, ci hanno spinto a confrontarci con questa esperienza. La conoscenza personale del professor Ohno, al di là delle sue “teorie” e delle proposte da lui illustrate nelle conferenze italiane, ci ha confermato nella scelta. Il suo approccio concreto, il metodo fortemente orientato a leggere e interpretare le dinamiche sociali ed economiche per guardare oltre il presente e offrire delle possibilità e delle ipotesi di trasformazione in grado di gestire questi processi di cambiamento, attraverso una pianificazione e una visione prospettica costituiscono per PROGETTO FUTURO degli irrinunciabile punti di riferimento. Così come la sua visione delle città che si restringono offre spunti preziosi di riflessione su un piano più generale ad un Paese come l’Italia oggi poco propenso a confrontarsi con il futuro e soprattutto a coniugare analisi e pianificazione, ricercando soluzioni innovative e fuori dal coro. Un’esigenza oggi invece fondamentale se si vuole realmente cercare di individuare dei percorsi vincenti in una prospettiva di crescita sostenibile. Massimo Calzoni, Presidente FORMEDIL 8 Introduzione La riqualificazione costituisce una grande opportunità per le nostre città e per un rilancio del mercato e dell’industria delle costruzioni in forte recessione. Disporre di analisi e di strumenti innovativi è essenziale per raggiungere l’obiettivo di una progettazione e di una pianificazione adeguata ai processi di trasformazione in corsa, prestando la massima attenzione a fenomeni come le dinamiche demografiche, le esigenze dei cittadini e quelle delle imprese. Per questo motivo la ricerca fibercity Tokyo 2050, che mira a un cambiamento radicale dei paradigmi di pianificazione urbanistica e progettazione architettonica, costituisce un progetto nuovo e di grande interesse anche per il nostro Paese. La venuta in Italia dell’ideatore e coordinatore del progetto Hidetoshi Ohno docente dell’Università di Tokyo, invitato dal Formedil, l’Ente nazionale di coordinamento delle Scuole Edili del Sistema Bilaterale delle Costruzioni, nell’ambito dell’iniziativa Progetto Futuro e in occasione delle Giornate nazionali della formazione in edilizia 2014, è stata l’occasione per ascoltare la sua lettura delle trasformazioni urbane e le sue proposte. Da qui è la nata l’idea di trasformare le sue conferenze a Roma e a Milano e il dialogo che si è sviluppato nei cinque giorni della sua permanenza 11 nel nostro Paese, in questa intervista. Il punto di partenza delle teorie di Ohno, che sono alla base di fibercity, è rappresentato dalla convinzione che se in passato siano stati i fenomeni demografici e la loro interconnessione con le dinamiche economiche a determinare i processi di urbanizzazione, oggi nell’era della grande crisi di questo inizio del XXI° secolo essi siano alla base di processi di segno inverso. Da questo punto di vista il Giappone è un caso esemplare. Secondo alcune stime, nel 2050 il Sol Levante si alleggerirà della presenza di circa quaranta milioni di cittadini. Un processo in qualche modo irreversibile che non può non avere effetti rilevanti nella stessa conformazione, così come nell’organizzazione, delle concentrazioni urbane. È da questa riflessione e dallo studio di questi fenomeni e di quanto sta avvenendo nelle città giapponesi che Hidetoshi Ohno, ha sviluppato con i suoi collaboratori il progetto fibercity, dietro il quale vi è una filosofia dalla quale si sviluppa un approccio decisamente nuovo rispetto alla progettazione urbanistica. Un progetto e un percorso di ricerca iniziato nel 2000 e che ha trovato nel 2006 la sua prima apparizione internazionale con la pubblicazione di uno studio su una delle principali riviste di architettura del mondo (Japan Architect n. 63, autumn 2006, “Fiberctiy Tokyo 2050”). Obiettivo del progetto è di favorire una consapevolezza sulla necessità di cambiare il modo stesso di guardare alle città, tenendo conto dei trend demografici e delle dinamiche economiche, destinate a ridimensionare sia le politiche e le strategie pubbliche che le logiche del mercato edilizio. 12 Un approccio che contiene allo stesso tempo una forte tensione verso il raggiungimento di nuovi equilibri sul piano della qualità della vita e dell’abitare, così come delle relazioni sociali. Un percorso teorico, ma anche concretamente praticabile in termini progettuali, che ha come terreno di studio e di applicazione due realtà precise del Giappone: Tokyo e alcune città più piccole, ma comunque complesse sul piano della dimensione e dell’articolazione urbana. Due contesti diversi ma strettamente collegati rispetto alle modalità di intervento. In un iter di sviluppo, che come bene racconta Ohno, trova la sua origine in alcune riflessioni su città minori, per poi misurarsi con la complessa realtà metropolitana di Tokyo. Destinato a diventare il concreto terreno di sperimentazione. L’altro aspetto rilevante di fibercity è la sua proiezione temporale, il 2050, un orizzonte intermedio tra un tempo troppo breve per poter avere un riscontro e uno troppo lungo rispetto alla vita degli studenti dell’Università di Tokyo interlocutori privilegiati del progetto. Una dimensione che rientra “normalmente” nella tradizionale capacità progettuale giapponese. Così lontana dal clima di emergenza continua con cui noi italiani siamo abituati a convivere. Per Ohno la città che dobbiamo progettare e trasformare non può che aumentare la propria predisposizione alla flessibilità, superando rigidità che la rendono non adeguata ai cambiamenti che stanno caratterizzando la contemporaneità. Da qui la scelta di prendere come riferimento le fibre come materia dilatabile, che si allunga e si restringe. 13 Per Ohno le fibre sono le strade con gli uffici e i negozi, le linee della metropolitana, le relazioni tra i cittadini, una varietà materiale e immateriale di situazioni e di elementi che attraversano le metropoli e che debbono essere concepiti in modo integrato, tenuti insieme sulla base di un modello gestionale e organizzativo molto efficiente e high tech. 14 15 All’origine di fibercity Professor Ohno le sue ricerche costituiscono ormai da diversi anni uno stimolo per ripensare il modello espansionistico urbano. Con la sua visione di una città che si restringe e che per questo va ripensata e guardata con occhi nuovi diventa centrale la capacità di considerare il tessuto urbano come un qualcosa da osservare con la massima attenzione e su cui intervenire evitando traumi. Recentemente Renzo Piano parlando di Roma e delle periferie urbane ha lanciato un progetto che possiamo riassumere in “Rammendiamo le città italiane”. Un indiretto richiamo alle sue teorie e alla sua fibercity. L’orizzonte temporale del 2050 consente al suo progetto di retare di grande attualità e che con il passare degli anni risulta crescere di interesse e trovare consensi. Ma come nasce fibercity? “Fibercity nasce nell’ambito di un percorso culturale e di studio che ha la sua origine già nella mia esperienza presso lo studio di architettura di Fumihiko Maki, per poi proseguire all’interno dell’Università di Tokyo. Un progetto che nasce dall’osservazione attenta della realtà e dei profondi cambiamenti che stanno caratterizzando la società giapponese dalla seconda metà degli anni Ottanta, 17 quando di fatto si è esaurita la spinta espansiva dell’economia e si è assistito a una progressiva diminuzione della popolazione, così come a una ridistribuzione degli insediamenti urbani. Recessione, calo demografico e invecchiamento sono tre fenomeni che sono alla base dei processi di cambiamento che coinvolgono le grandi città e metropoli dell’Occidente. Se poi vogliamo individuare il momento e soprattutto l’occasione dalla quale sono partito per poi lanciare fibercity, allora dobbiamo spostarci da Tokyo alla provincia di Gifu, la provincia di cui sono originario e dove mi è stato chiesto alla fine degli anni Novanta di realizzare un piano urbanistico. Per farlo abbiamo studiato tutta una serie di fenomeni sia di carattere economico che sociale. In particolare ci siamo soffermati sulla tendenza consolidata di un persistente calo della popolazione, da cui la necessità di cambiare completamente l’approccio finora avuto nella pianificazione delle città, superando la concezione dominante di un’espansione urbana infinita. Dietro l’idea della fibercity vi è infatti la consapevolezza che le città dovessero essere guardate con occhi nuovi e diversi, prevedendone una capacità di restringimento, di ridimensionamento finora non prevista o perlomeno non inserita tra le possibilità. Fino a quel momento il modo di pensare degli urbanisti restava ancorato a una visione espansiva, nonostante il modello economico giapponese si caratterizzasse ormai da alcuni anni nel segno del ridimensionamento, della crescita prossima allo zero, a cui 18 si accompagnava una chiara tendenza verso una diminuzione sempre più accelerata della popolazione. Visione dominante anche per quanto riguardava la pianificazione della trasformazione del territorio. Questo modo di pensare e di progettare risultava chiaramente in contrasto con una realtà che stava cambiando profondamente. Un cambiamento che riguardava lo stesso modello di sviluppo prevalente e fino ad ora ritenuto l’unico possibile, quello dell’espansione. Un modello che entrava in collisione e in contrasto con fenomeni fino ad ora non considerati, come la limitazione delle risorse, ad iniziare da quelle energetiche, destinate a incidere rispetto alle prospettive di crescita e di conseguenza a livello di consumi e quindi della struttura oltre che in termini quantitativi della stessa domanda. Così come, anche, rispetto ai bisogni legati all’abitare e alla qualità della vita urbana. Ci siamo resi conto che era necessario modificare il nostro approccio inserendo nei nostri modelli il concetto e una visione orientata alla possibilità di un restringimento, di un ridimensionamento quantitativo, spaziale. Abbiamo inserito nella pianificazione una nuova traiettoria, quella dello “shrinkage”. Abbiamo iniziato a pianificare considerando come elemento centrale lo “shrinkage”. Da queste riflessioni è nato nel 2000 il modello fibercity. Probabilmente non è un caso che esso nasca in Giappone, in quanto la sua storia nell’ultimo ventennio ha in qualche modo anticipato una serie di fenomeni che oggi stanno caratterizzando tutti i Paesi e le società del mondo più 19 sviluppato. E proprio per questo il nostro progetto ha una valenza più generale, che va oltre il Giappone.” Possiamo approfondire maggiormente il fenomeno della contrazione demografica... “I dati parlano chiaro. Secondo le stime delle compagnie di assicurazione, se il tasso di crescita corrente (1,5 bambini a coppia) continuerà, la popolazione si contrarrà di due terzi rispetto al numero attuale che è di 127 milioni di persone. E si attesterà intorno agli 80 milioni. Questo si traduce in un forte ridimensionamento dell’attuale popolazione dell’area metropolitana di Tokyo. E alla fine del secolo si prevede che la popolazione si ridurrà della metà. Se gli edifici che ci sono oggi sopravvivranno e la popolazione si abbasserà drasticamente, una grande quantità di case rimarranno vuote. Tali cambiamenti avranno un enorme impatto sull’industria giapponese, considerato che il settore dell’industria delle costruzioni rappresenta attualmente il 20% del prodotto interno lordo. Così come si modificheranno altrettanto drasticamente le forme del paesaggio giapponese. Il problema è come rendere di nuovo compatte le città Giapponesi, ora che si sono estese così tanto. La risposta si trova cercando modalità appropriate per incanalare la diminuzione della richiesta di spazio urbano. Se questo processo di restringimento verrà lasciato interamente alle forze di mercato, la città si riempirà di buchi con molte aree abbandonate: sacche di degrado, come un pezzo di formaggio con i vermi. Queste aree saranno luoghi potenziali per la criminalità: ciò porterà 20 inevitabilmente ad una disastrosa amministrazione urbana. Ma se il cambiamento sarà ben curato, esso potrebbe costituire un’eccellente possibilità per risolvere il problema delle città giapponesi e portarci più vicino all’ideale di città compatta. In altre parole, il processo di sottrazione, riduzione e distruzione di parti della città può davvero funzionare a creare nuovo valore. Ciò è in totale opposizione al semplice sviluppo additivo attraverso il quale si è prodotto valore nello spazio urbano giapponese del ventesimo secolo. Questo lo chiamo Genchiku che significa ridurre le costruzioni e comprimere Kenchiku (l’architettura). Dare un pugno e creare vuoti nei luoghi strategici delle città congestionate sarà, dunque, il compito più importante per i pianificatori del ventunesimo secolo. Al posto dell’enfasi data alla creatività, le capacità artistiche e tecniche degli architetti del ventunesimo secolo saranno utilizzate per coprire i buchi, per “rammendare” come ha detto Renzo Piano. Si respira un’atmosfera nuova e una parte della società giapponese sta andando in una direzione differente. Gli architetti non possono sottrarsi alla condizione urbana contemporanea: essi devono cominciare a pensare al forte impatto che il previsto calo demografico e l’invecchiamento della popolazione avranno sulla nostra professione. Il problema è che continuano ad esserci programmi che prevedono l’espansione. Ma ogni cosa prenderà il verso opposto. E questi dati, lo ripeto, non coinvolgono soltanto il Giappone ma molte nazioni nel mondo. Se il ventesimo secolo è stato quello dell’espansione, il ventunesimo andrà nella direzione contraria. Il ventunesimo secolo è cominciato 21 con la volontà di espandersi ma forse dovrebbe prendere un’altra direzione: in architettura, nell’arte, nel cinema e non solo. Tutto ciò quali effetti ha e avrà sul modo di concepire la trasformazione urbana, ma anche l’architettura e il modo di costruire in Giappone? “Il nostro approccio tiene conto in modo particolare della storia architettonica e costruttiva del Giappone, del modo in cui si sono realizzate le città, ma anche delle tradizioni e dei modelli costruttivi che sono caratteristici dell’architettura giapponese. Se da un lato abbiamo i grattacieli, l’urbanizzazione futuribile con cui si identifica ad esempio Tokyo, ecco che accanto a questi edifici convivono in tutte le città giapponesi, compresa Tokyo, un’architettura e un’edilizia di abitazioni monofamiliari o comunque una moltitudine di case costruite in gran parte utilizzando come soluzione costruttiva strutturale il legno. Strutture per le quali è prevista una durata della vita di circa 25 anni, che arriva a circa 35 anni per quelle resistenti al fuoco. Ecco allora che in Giappone la durata media di un edificio è di circa 30 anni. Se però confrontiamo gli edifici costruiti oggi con quelli degli anni ‘60 - gli anni della rapida crescita - possiamo senz’altro affermare che grazie alla migliore qualità raggiunta essi sono destinati sicuramente a durare più a lungo. Questo dato, combinato con un’economia più lenta, ci dice che l’architettura giapponese verrà usata per un periodo di tempo più lungo rispetto al passato. Ciò risulta in linea con l’altra considerazione che del resto anche il vertiginoso tasso di 22 trasformazione che, una volta, caratterizzava le città giapponesi appartiene al passato.” 23 2 3 Fibercity: un modo diverso di guardare e progettare le città Mi sembra che l’architettura per lei non possa prescindere da un approccio fortemente sociale e pertanto intrinsecamente connesso al paesaggio che la contiene. E poiché il suo ambito di progettazione riguarda la città, l’architettura si fa strumento di equilibrio tra edificio e contesto, cercando di cogliere al meglio i processi di trasformazione in atto e destinati a caratterizzare il rapporto tra l’uomo e il tessuto urbano. Quali sono allora oggi gli elementi fondamentali da tenere presenti in una logica di cambiamento nella progettazione urbana? “Nella nostra ricerca, basata sull’intreccio tra analisi, osservazione e valutazione dei principali fenomeni che sono destinati a cambiare le condizioni di vita e le relazioni nelle città, abbiamo individuato almeno sei elementi dai quali chiunque sia chiamato a progettare interventi urbani riteniamo non possa prescindere. Si tratta di punti fermi, direi principi, che debbono essere a monte di qualunque soluzione progettuale si decida di proporre. Il primo elemento riguarda un grande rispetto per la diversità che è 26 mutuata da quanto succede nella natura, intesa come valore e potenzialità. Ecco che allora trasformare vuol dire 25 intervenire per aumentare la diversità anche sul piano sociale. Un secondo elemento riguarda la partecipazione più ampia possibile da parte dei cittadini alle decisioni di governo del territorio di una comunità. Il terzo principio riguarda il diritto di ciascuno di muoversi liberamente ovunque si desideri, un diritto che deve essere garantito, indipendentemente dalle diverse condizioni di età e di salute. Un altro aspetto che troppe volte risulta poco considerato e che invece oggi va assolutamente riproposto come imprescindibile, riguarda l’interdipendenza tra città e le altre forme di paesaggio: quello agricolo e forestale, quello dei laghi e del mare. Da sempre la nostra cultura, in Giappone, ha prestato la massima attenzione alle forme che la natura ha assunto ed assume. Si tratta di un approccio che dobbiamo avere anche quando guadiamo alle città, restituendo importanza al verde, all’acqua, all’aria. In questo modo rafforzeremo il valore fondamentale della città come luogo principe della vita sociale ed economica. Nell’era della globalizzazione le città, le metropoli sono chiamate a una sempre maggiore competizione fra di loro. Ciò richiede di tenere conto degli orientamenti del mercato e della necessità di restare sempre al massimo livello anche per quanto riguarda il loro “design”, la loro qualità urbana e architettonica. Ecco questo è un altro elemento che non va mai dimenticato. Ma non possiamo pensare solo alle grandi città, alle metropoli, dobbiamo anche considerare le città piccole e medie che in questo contesto, di risorse scarse e recessione economica, rischiano un inesorabile declino, che riguarda il patrimonio edilizio e una serie di spazi, che debbono necessariamente ritrovare nuove funzioni se si vuole evitare un progressivo degrado con gravi conseguenze sulla qualità della vita delle popolazioni. Ciò è vero non soltanto in Giappone. Per questo diventa fondamentale non lasciare che sia il mercato soltanto a decidere, ricercando soluzioni in grado di restituire a queste città una nuova sostenibilità. Da questi principi e riflessioni avete sviluppato un insieme di teorie che vengono ricomposte all’interno di fibercity. In particolare si riscontra una forte impronta che potremmo dire “ecologica”, non soltanto sul piano degli obiettivi e dei risultati che vi proponete di raggiungere, bensì nell’assumere le forme e il modo in cui la natura opera, come riferimento fondamentale del vostro modo di progettare. Quali sono i driver principali del vostro progetto? “Direi che noi abbiamo le idee abbastanza chiare e quanto sta accadendo non soltanto in Giappone, anche se la situazione del mio Paese è in qualche modo esemplare, rafforza le nostre convinzioni. Alla base di tutto vi è una forte consapevolezza che non è più possibile sostenere livelli di crescita e di conseguenza di espansione anche edilizia e urbana come è avvenuto in passato. E che per questo si debba assumere il concetto di restringimento, 28 “shrinking”, come un’opportunità, assumendolo come un orientamento in grado di progettare un nuovo sistema sociale in grado di favorire una diversa qualità e un maggiore equilibrio ed armonia con la natura. 27 Il secondo fattore che ci guida è quello della flessibilità al servizio della diversità. Ovvero dobbiamo superare la divisione spaziale tra città e verde aumentandone l’integrazione e rafforzando processi di questo tipo. Essenziale è altresì rivedere le modalità e le forme che assume la mobilità urbana, considerando i cambiamenti rilevanti proprio rispetto alla domanda sociale, per effetto dell’invecchiamento della popolazione innanzitutto, ma anche della struttura familiare e della crescita dei single. Elementi destinati a spostare la domanda verso nuovi mezzi di trasporto sia privati che collettivi. Una riorganizzazione che come ho sottolineato non può non salvaguardare il diritto della libera mobilità di ciascuno. Infine fibercity tiene in gran conto il principio della partecipazione e del coinvolgimento degli utenti, dei cittadini alla governabilità dei processi di trasformazione e alle scelte di vivibilità nelle città.” Questo approccio vi ha condotto a individuare nel concetto di fibra l’essenza del vostro progetto. Nella fibra è contenuta la vostra filosofia, ma allo stesso tempo possiamo dire che in essa va riscontrato anche il metodo con cui procedere nell’intervenire sul piano progettuale. Perché di fatto voi concepite la città come un qualcosa di dinamico e in continua trasformazione, dove il ruolo del progettista e del pianificatore è quello di sapere aiutare questa trasformazione assecondando i processi economici e sociali prevalenti, destinati a giocare un ruolo determinante nel raggiungimento di progressivi equilibri tra domanda e of- 30 ferta, prevedendo comunque un ruolo attivo del pubblico e prestando attenzione ai “desideri” delle popolazioni. Possiamo approfondire questi aspetti entrando maggiormente nel “concept” della fibercity? “In Giappone, una visione del mondo in continua crescita e sviluppo ha comportato rispetto alla pianificazione delle città l’applicazione di un modello che potremmo rappresentare con la macchina, ovvero qualcosa che funziona secondo parametri prestabiliti, dove quando qualcosa si rompe si sostituisce. In questa visione del mondo, è necessario definire chiaramente gli elementi costitutivi in anticipo e descrivere le loro relazioni. È un modello basato su certezze, che oggi sono messe in discussione. Nella nuova visione che noi proponiamo, quella del restringimento, del ripiegamento, questo modello non funziona più. La città deve essere trasformata avendo la massima attenzione per quei principi che abbiamo visto. Superando una visione rigida della programmazione e assumendo come riferimento la realtà, che per definizione è fluida e soggetta all’indeterminatezza. L’attenzione per la diversità e per la flessibilità ci ha così condotto alla “fibra” . La fibra, infatti, per sua natura si allunga e si restringe, ha in sé massimi livelli di flessibilità. Quando prendiamo più fibre e le intrecciamo si crea un filo che a sua volta lavorandolo costruisce un ordito. La nostra concezione della città è quella del tessuto. Così che viene naturale assumere come elemento su cui intervenire quello della fibra: quando si rompe la fibra si ricostruisce si ricrea, se si si slabbra poi 31 si ricuce. Se dobbiamo intervenire lo dobbiamo fare senza creare strappi, senza “rompere”. Nei concetti di fibra e di tessuto vi è implicito il fatto che se se ne danneggia una parte, il tutto continua comunque a funzionare. Grazie alla loro natura frattale, strutture simili vengono reiterate. Alla base di fibercity vi è un nuovo paradigma urbano, all’interno del quale l’atto della creazione non è un’invenzione dal nulla, ma un intervento in un contesto già esistente, una risistemazione di elementi. Con la conseguenza che il nostro lavoro assomiglia sostanzialmente a una sorta di editing. Come ho evidenziato sia nelle conferenze che nei miei scritti fibercity, in sintesi, costituisce una serie di teorie e strategie di intervento per città e periferie dando peso e valore agli elementi storici e strutturali, traendo il massimo dalle preesistenze e cambiando e manipolando gli elementi lineari per rispondere al meglio ai bisogni delle future generazioni. La strategia di base è di ottenere il risultato migliore con il minimo investimento, dando il giusto rispetto alla continuità storica, utilizzando tecnologie sia nuove che tradizionali.” Possiamo definire il progetto fibercity come una ricerca di soluzioni in grado di assicurare una sostenibilità allo sviluppo urbano? “Poiché alla base di fibercity vi è il concetto di “restringimento”, noi guardiamo alle città, che resteranno comunque il motore economico e i luoghi principali delle 32 relazioni sociali, come entità che debbono essere ripensate, evitando l’espansione e il consumo di territorio e creando condizioni e processi di maggiore integrazione tra costruito e ambiente. È qui che la nostra proposta di leggere le città come un tessuto fatto di fibre, di osservazione attenta a specifiche situazioni, volta a privilegiare microinterventi, può offrire soluzioni efficaci. Secondo il modello dominante che ha come riferimento una crescita senza fine, dal punto di vista urbanistico ciò ha voluto dire espansione sul territorio, crescita edilizia, aumento dei valori immobiliari. Nell’era del restringimento, dei numeri che si riducono, delle percentuali con il segno meno bisogna cambiare, bisogna confrontarsi con le modifiche del tessuto urbano, con la trasformazione dell’esistente. Ciò si allinea anche alla nuova visione che vuole una riduzione dell’impatto dell’edilizia sull’ambiente, che contempla una forte riduzione dei consumi energetici, in un contesto caratterizzato da minori risorse pubbliche e da una crescente attenzione al riciclo, così come alla riduzione dei livelli di CO2 nell’aria. Noi in Giappone non siamo abituati a modificare e a intervenire con leggerezza sul tessuto urbano, ma dobbiamo imparare a farlo. Al centro della nostra intuizione e delle nostre proposte vi è la flessibilità, la capacità di intervenire sul tessuto urbano esistente modificandolo per andare incontro alle nuove esigenze della società ristretta, per migliorare la qualità della vita delle popolazioni urbane. Il nostro approccio è di trovare soluzioni che da un lato sappiano favorire una maggiore integrazione tra edificato e “verde”, tra solido e 33 fluido, considerando con attenzione i cambiamenti del mercato immobiliare e quindi le dinamiche di mobilità all’interno delle città, alla luce della riduzione delle disponibilità economiche. Le nostre proposte urbanistiche non costituiscono una perdita di valore dal punto di vista del mercato, anzi si ripromettono di avere una funzione di rivitalizzazione sapendo coniugare queste esigenze con un miglioramento della qualità della vita, in termini di maggiore sostenibilità e di riqualificazione a più alto tasso di verde. I progetti che abbiamo messo a punto relativi sia alla città di Tokyo che a città più piccole sono tutti ispirati al concetto di “apertura” e di interazione tra ambienti diversi, ovvero tra verde e costruito, tra differenti realtà sociali, in grado di facilitare le relazioni tra categorie e classi diverse, superando una concezione della città per aree chiuse. Ciò è particolarmente importante in alcune situazioni come quelle che riguardano le periferie o zone a progressivo rischio di degrado.” Il suo approccio e le sue proposte appaiono quanto mai interessanti e opportune anche per le grandi città italiane, per Roma, Milano e Napoli, soprattutto per quanto riguarda tre aspetti: le aree degradate all’interno delle città, la riqualificazione delle periferie e il trasporto su ferro (reticolo ferroviario e metropolitane). Qual è la sua opinione in proposito? “Il nuovo contesto economico e sociale che sta caratterizzando il Giappone, ma anche altri Paesi del 34 mondo sviluppato, soprattutto gli Stati Uniti e l’Europa determina forti contraddizioni in ambito urbano. Penso alla riorganizzazione dei centri storici da un lato e i sempre più elevati rischi di disagio sociale e di abbandono delle periferie. Per quanto riguarda il Giappone, per il modo in cui si sono sviluppate le città, soprattutto per quanto riguarda le aree suburbane, il rischio maggiore è che si verifichi uno spopolamento delle aree residenziali situate lontano dalle stazioni ferroviarie. Dato che un’unità familiare con un buon reddito tenderà a trasferirsi senza esitazione in un luogo dove prevalgono condizioni migliori, i problemi sorgono per le famiglie con piccoli redditi e poche risorse. A causa della diminuzione del prezzo dei terreni, ipotizzando che una famiglia possegga un terreno, esso non potrà essere venduto ad un prezzo tale da garantire il trasferimento in una zona meglio posizionata. Inoltre, dato che in una società che invecchia sarà impossibile offrire delle pensioni come quelle attuali, gli anziani dovranno continuare a lavorare per diventare economicamente indipendenti e cercheranno di evadere dalle periferie. Ed è consapevolezza comune che le periferie residenziali dipendenti dalle automobili non sono coniugabili con i problemi ambientali e con una popolazione che invecchia. Per queste ragioni i problemi che emergono in una società con una popolazione in diminuzione sono concentrati nelle aree residenziali suburbane che invece rappresentavano la rampa di lancio per lo sviluppo urbano delle città nel XX secolo. In relazione a questo scenario, in tempi recenti a destare maggiore interesse è la città compatta. La città compatta è 35 razionale dal punto di vista ambientale, ma in molte regioni i giovani respingono l’idea di vivere in piccoli centri e si riversano nelle grandi città. Oggigiorno la maggior parte dei servizi sono disponibili in tutte le città di medie dimensioni, ma nonostante ciò sono ancora le grandi città che prosperano. In Giappone la popolazione è eccessivamente concentrata nelle aree metropolitane, in particolare a Tokyo, tanto che negli anni ‘80 fu avviata una politica di decentramento della popolazione e delle funzioni governative che però non ebbe successo a causa della crisi economica. Un aspetto del fascino della metropoli è l’abbondanza di scelte e di opportunità che offre, notevolmente maggiori in tutti gli ambiti della vita rispetto a una piccola città. L’obiettivo deve perciò essere quello di favorire la nascita di realtà urbane in grado di unire l’apparentemente contradditorio fascino della metropoli e gli attributi ambientali della città compatta.” Nella sua concezione dell’architettura, così come della progettazione degli spazi urbani, secondo il modello della fibercity emerge l’importanza di saper pensare e offrire soluzioni secondo modelli e forme in qualche modo mutuate dalla natura. Questo radicamento nella cultura tradizionale propria del Giappone comporta anche un’attenzione forte per modelli di organizzazione urbana sperimentati in passato. In quale misura questo approccio orienta le vostre scelte progettuali? 36 “Nel Giappone vi è una grande consuetudine a convivere e a prendere spunti dalla natura. La nostra cultura molto più che in Occidente si caratterizza per guardare alla natura come a un insieme di modelli utili a vivere meglio e a concepire idee e proposte. E possiamo dire che oggi, in questa fase della contemporaneità, prestare una maggiore attenzione ad essa può risultare particolarmente utile. La storia del paesaggio e delle sue trasformazioni costituisce un patrimonio importante a cui abbiamo attinto per impostare le nostre proposte progettuali. Nelle mie esposizioni mi soffermo sempre sui modelli tradizionali delle città giapponesi, mettendole a confronto con quelle delle principali città europee e occidentali. Una comparazione da cui emerge chiaramente come anche nelle situazioni più complesse e articolate i riferimenti in Giappone ad elementi specifici e autorevoli del paesaggio, come ad esempio al monte Fuji, sia continuamente ripreso e inserito nella pianificazione. Possiamo dire che nel loro formarsi le città giapponesi “prendono in prestito” il paesaggio. Viceversa le città europee sono figlie della ragione, di modelli astratti, quasi sempre estranei al paesaggio tradizionale non urbano. Egualmente, un’osservazione attenta della natura ci consente di proporre soluzioni che richiamano elementi semplici come le forme delle foglie, la struttura dei rami degli alberi, il modo in cui si formano e si comportano le onde del mare. Sono tutti elementi in cui ci riconosciamo e che riconosciamo. È un aspetto questo rilevante anche rispetto alle possibilità che le nostre teorie possano trovare una ampia condivisione nella società giapponese. Facendo 37 riferimenti espliciti a modelli di paesaggio caratteristici del Giappone da un lato affermiamo una continuità culturale, dall’altro facilitiamo la comprensione di quanto proponiamo, consentendo di cogliere sia il significato degli interventi proposti che le modalità con cui intendiamo operare. Possiamo sintetizzare che fibercity è un modello che può essere introdotto facilmente in Giappone anche perché i molti e semplici riferimenti alla natura, costituiscono un patrimonio culturale e concettuale condiviso. Aver posto al centro della nostra riflessione il paesaggio e le forme della natura così come le vediamo oggi in Giappone è un elemento centrale della fibercity e si ritrova anche nel modo in cui proponiamo i nostri progetti e le nostre soluzioni nei diversi contesti urbani.” Approfondiremo successivamente, entrando nel merito, le caratteristiche, gli obiettivi e le modalità progettuali relative ad alcuni degli interventi proposti per Tokyo 2050, Prima però vorrei soffermarmi su un altro aspetto del quale nelle sue conferenze sottolinea la rilevanza, quello del coinvolgimento dei cittadini. Possiamo dire che fibercity assume la caratteristica anche di un modello di pianificazione “partecipata”, ovvero dove gli utenti finali, i destinatari delle scelte di politica urbanistica, così come i fruitori delle soluzioni edificatorie, debbono necessariamente avere un ruolo o per lo meno voce rispetto alla “governance territoriale”? 38 “È vero. Il tema del coinvolgimento e della partecipazione popolare alle scelte di pianificazione urbanistica deve essere considerato un elemento basilare di fibercity. Non so se possiamo definirlo un modello di pianificazione partecipata come voi la intendete, quel che è certo è che nella pianificazione entrano in gioco tre soggetti: il mercato privato con le sue logiche e i suoi interessi; lo Stato, il pubblico, Forma guidata dal mercato nelle sue diverse articolazioni, con il suo ruolo di regolamentazione; e la gente, la popolazione. Negli anni Settanta e Ottanta lo sviluppo urbano in Giappone, ma credo anche in molti Paesi dell’Occidente, è stato guidato prevalentemente dal mercato, coadiuvato da politiche pubbliche. Dagli anni Novanta in poi, in uno scenario in 39 progressivo mutamento, è aumentato il ruolo dello Stato. È aumentato il peso del governo del territorio dall’alto. Ma contemporaneamente è cresciuta la consapevolezza dei cittadini su ciò che desiderano, è aumentata la riflessione sulla qualità della vita urbana, sulle sue contraddizioni. È cresciuta l’esigenza di abbattere i consumi energetici e di ridurre l’impatto sull’ambiente. È aumentata la domanda di verde e di qualità dei trasporti. Si va affermando ad esempio il principio della libertà di movimento, dell’importanza di creare le condizioni perché tutti possano andare dove desiderano. E in un Paese, nelle città dove il numero degli anziani cresce in modo esponenziale è un problema rilevante che va affrontato e risolto. Questo per dire che oggi la città diventa il terreno di confronto e di collaborazione tra tutti e tre gli attori: il pubblico, il mercato e i cittadini. Fibercity è un modello e una proposta che vuole coinvolgere tutti e tre questi soggetti, dando a ciascuno un ruolo ben definito.” Tra i principi alla base di fibercity vi è garantire la massima libertà a ciascuno in termini di mobilità, coniugandola con il valore oggi imprescindibile della sostenibilità. Guardando alle città giapponesi questo obiettivo appare quanto mai complesso. Come pensate di raggiungerlo? “L’attenzione alla mobilità delle persone in contesti urbani è un tema poco considerato e invece molto di attualità in Giappone., soprattutto in considerazione del forte 40 invecchiamento della popolazione. Se, infatti, noi disponiamo di un sistema di trasporti molto evoluto, diffuso ed efficiente, esso riguarda soprattutto la mobilità veloce e tra aree diverse, ma non considera minimamente gli spostamenti a breve e medio raggio rispetto a chi in quanto anziano ha problemi di mobilità. È fondamentale porci il problema e trovare delle soluzioni per garantire i piccoli movimenti su spazi limitati. Soluzioni che debbono riguardare sia i mezzi di trasporto, che debbono essere di tipo nuovo ed ecologici, sia la gestione delle strade e degli spazi urbani. Per l’Occidente la libertà di muoversi è un diritto fondamentale che va salvaguardato e ampliato, ma deve trovare un suo equilibrio rispetto alle strutture urbane. Ed ecco che il nostro approccio, la logica della fibra può consentirci di trovare le soluzioni.” 41 42 43 44 45 46 47 Cinque strategie per Tokyo1 Nella sua relazione lei individua cinque strategie che poi cala nella realtà concreta di una città densa come Tokyo per trasformarla e renderla compatibile con il nuovo scenario del cambiamento, ce le può descrivere spiegandone il senso, gli obiettivi e i risultati attesi? E in quale misura Tokyo può costituire un oggetto tipologico in grado di aiutare a comprendere come ci si deve muovere per guardare a città/metropoli sostenibili? “Dopo aver lanciato fibercity all’inizio del nuovo secolo, la nostra attenzione si è concentrata su come passare dalla teoria alla pratica, prendendo come oggetto della nostra ricerca sia Tokyo che Nagaoka, una città di dimensioni più ridotte e con caratteristiche di urbanizzazione e sociali diverse dalla capitale. Lo studio è proseguito negli anni e ci ha consentito di arrivare a definire alcune strategie, che sono il risultato di una attenta e profonda osservazione di queste due realtà urbane. Si tratta di strategie misurate su 1 Nella stesura di questa parte dell’intervista si è fatto riferimento oltre che alle slide presentate da Ohno in occasione delle conferenze tenute a Roma e a Milano il 30 settembre e il 2 ottobre 2014 anche di testi pubblicati in occasione di precedenti venute in Italia e di quanto descritto da Leone Spita nel suo articolo Tokyo 2050 Fibercity, pubblicato sulla rivista “Abitare la terra”, n.20/2007, pp. 28-35. 51 obiettivi volti a dare risposte diverse a problemi concreti, anche di prospettiva, che tengono conto di esigenze che sono l’effetto di cambiamenti connessi sia a fenomeni di carattere sociale che economico. Tutte le strategie hanno al centro il tema della riqualificazione e rispondono a una visione nuova del rapporto tra sviluppo urbano e ambiente. Esse mirano ad aumentare l’interazione tra costruito e spazi verdi, favorendo percorsi di interazione e differenziazione del paesaggio urbano, tenendo comunque conto delle esigenze del mercato immobiliare. L’altro elemento fondamentale è la stretta interrelazione tra la residenzialità e la mobilità, ovvero tra la dimensione micro, del quartiere o di un’area precisa e l’ambito urbano nel suo complesso. Per questo alcune strategie hanno al centro dei progetti le arterie della mobilità, siano esse strade, linee ferroviarie o vie d’acqua. Queste nostre proposte le abbiamo lanciate nel 2006 volendo sensibilizzare l’opinione pubblica e le amministrazioni. In quanto docenti universitari oltre che progettisti il nostro principale compito è infatti quello di educare e di favorire l’affermazione di una nuova e diversa mentalità che tenga conto del cambiamento. Basandoci sui concetti di progettazione della fibercity abbiamo individuato alcune specifiche situazioni che potevano diventare dei proficui terreni dii sperimentazione e di applicazione delle nostre ipotesi. L’osservazione sul campo ci ha consentito di giungere alla definizione di cinque principali strategie progettuali. Ad ognuna di esse abbiamo abbinato una forma paesaggistica alla quale ci siamo ispirati o che ben 52 rappresenta come si intende intervenire sul tessuto urbano esistente. Nell’ambito di ciascuna strategia abbiamo sviluppato più interventi, ciascuno dei quali si caratterizza per alcune caratteristiche connesse alla tipologia di intervento rispetto al contesto esistente. Le cinque forme paesaggistiche a cui ci siamo ispirati sono la “spiaggia”, il “torrente”, il “canale”, l’insenatura” e la “duna”. Ognuna di esse si caratterizza per essere un tentativo di migliorare la qualità dello spazio urbano di Tokyo, manipolando fibre. Va comunque ricordato che fibercity è un modello aperto e che le soluzioni per la rivitalizzazione urbana nell’epoca delle città in contrazione, vanno trovate a misura di ogni città. Per questo è impossibile garantire che le strategie sviluppate per Tokyo possano risultare efficaci per altre città.” La prima strategia illustrata nelle sue conferenze ha come immagine di apertura una spiaggia in cui si evidenzia l’interazione tra il mare e la terra, con l’acqua che penetra nella sabbia e ne modifica la forma. La fluidità dell’acqua e la maggiore rigidità della sabbia esemplificano molto bene l’obiettivo di intervenire per aumentare l’ibridazione tra il verde e l’edificato. In quale contesto e con quali risultati rispetto all’attuale stato del paesaggio urbano di Tokyo? “Con questa strategia ci ripromettiamo di evidenziare l’importanza di superare la separazione concettuale e 53 fisica tra le aree verdi e l’edificato, invitando ad intervenire per favorirne una sempre maggiore integrazione. Con le nostre proposte del resto diamo risposte concrete sia alle esigenze di un rilancio e di una valorizzazione del mercato immobiliare che sul piano della salvaguardia ambientale, dell’aumento delle aree verdi che della scurezza delle persone. La prima proposta inserita in questa strategia riguarda un’area tra le più dense di Tokyo, molto conosciuta anche dai turisti occidentali: il quartiere di Shinjuku, dove si trova il grande parco imperiale, famoso per la varietà dei ciliegi e per le sue straordinarie fioriture. Peccato che esso si presenti come un’area chiusa e poco visibile all’esterno. In qualche modo non solo separata, ma anche nascosta, a causa di un intensa concentrazione di imponenti palazzi. Questa soluzione ha alla sua origine una concezione tradizionale di parco, che si rifà come modello di organizzazione spaziale al giardino “daimyo”, che ne prevede l’occultamento rispetto al contesto circostante. La nostra proposta prevede di modificare la linea di confine del parco trasformando l’attuale struttura lineare in una forma a zig-zag, senza ridurre però l’area complessiva del parco stesso, ma semplicemente cambiandone la forma, prevedendone il suo dilatarsi, secondo appunto la logica della fibra, all’interno degli attuali spazi esterni. Così facendo si occuperanno aree vuote, avviando un processo di integrazione con l’ambiente esterno. In questo modo il parco, attualmente nascosto 54 dietro agli isolati, diventa visibile e contemporaneamente le attività urbane penetrano al suo interno. In questo modo possiamo ottenere un doppio risultato: da un lato allargando il perimetro del parco ne ampliamo la sua estensione, dall’altro la maggiore interazione con il verde valorizza le residenze e l’area urbana investita dal cambiamento. La seconda proposta, che abbiamo chiamato Green Partition, ha invece come obiettivo la riorganizzazione di alcune aree di Tokyo ad alta densità, a ridosso del centro, in gran parte costruite in legno e per questo ad elevato rischio di incendio. Attraverso la realizzazione di aree verdi noi intendiamo creare un sistema di barriere in grado di ridurre il rischio e allo stesso tempo migliorare la qualità ambientale ed estetica di questi quartieri. Come nel caso di Shinjuku anche qui l’idea è quella di aumentare l’integrazione tra costruito e spazi verdi, dando risposte concrete a problemi reali e sottovalutati, creando anche le condizioni per un aumento dei valori immobiliari. Realizzando grandi siepi che si insinuano nel tessuto edilizio, dividendo le aree residenziali in piccole parti, separate da muri verdi tagliafuoco, otterremo di riqualificarlo, minimizzando i possibili danni causati dal fuoco. Nel nostro piano la forma della partizione si svilupperà a seconda delle disponibilità di lotti liberi e un bordo sarà sempre collegato ad una zona di evacuazione. Ogni area verde dovrà avere una larghezza di 4 metri. È infatti questa la distanza tra gli edifici che consente di impedire la diffusione degli incendi e allo stesso tempo garantisce a una ventilazione, un’illuminazione diurna e livelli di privacy adeguati. 55 Abbiamo stimato che complessivamente l’insieme delle barriere verdi dovrebbe rappresentare circa l’8% della superficie del quartiere.” Sempre prendendo in considerazione l’immagine ispirata alla natura, scelta per rappresentare le singole strategie, nel caso del “torrente” l’accento viene posto sulla funzione dello scorrere a cui viene abbinato il concetto di rete. In questa seconda strategia al centro dell’attenzione e delle proposte vengono poste le linee di trasporto, la grande mobilità che caratterizza Tokyo probabilmente più di qualunque altra città al mondo. In quale modo proponete di intervenire per alleggerire l’impatto ambientale, migliorare la qualità della vita urbana, assicurando comunque gli attuali livelli di efficienza del traffico? “Il cuore di questa seconda strategia è il Green Web, con cui proponiamo di intervenire nel centro di Tokyo, modificandone la stessa immagine e candidandola a modello di città in grado di rivitalizzare il centro attraverso l’esclusione delle automobili. Anche in questo caso guardiamo alla realtà urbana e ai cambiamenti in divenire a causa delle trasformazioni che stanno caratterizzando la città. L’idea nasce dalla consapevolezza che una volta completato l’anello autostradale all’esterno della linea ferroviaria circolare, la Yamanote Line, si creerà un alleggerimento sensibile del traffico sulla Tokyo 56 Metropolitan Expressway, l’anello stradale veloce sopraelevato costruito nel 1964 in occasione dei giochi olimpici, che passa sopra fiumi e strade senza la necessità di esproprio dei terreni. Si tratta di una occasione da cogliere per intervenire sul tessuto urbano così da rispondere anche in questo caso alle esigenze di mettere in sicurezza un’area densa della città rispetto ai rischi di terremoto, creando delle adeguate vie di fuga e in grado di garantire l’arrivo dei soccorsi. Allo stesso tempo proponiamo di valorizzare gli elementi paesaggistici più rilevanti di un’area oggi particolarmente devastata dal punto di vista ambientale, creando delle situazioni favorevoli al traffico pedonale e alla piccola mobilità, venendo incontro alle esigenze di una popolazione che si va riducendo e sempre più anziana. La nostra proposta intende in particolare trasformare alcune strade in parchi e introdurre sistemi di micro generazione diffusa di energia. Creando un continuum con i tetti-giardino degli edifici lungo le strade sarà realizzato un corridoio verde nel centro della città e ciò contribuirà alla valorizzazione dell’ambiente. L’immagine che proponiamo è quella di un parco verde sospeso in aria così da fare di Tokyo un simbolo di una citta senza auto. Inoltre, lungo il Sumida River, intendiamo realizzare un lungofiume sopraelevato tutto pedonale così da consentire una straordinaria vista sulle fioriture dei ciliegi a Primavera lungo le banchine. Alla base di questa proposta vi è l’idea di guardare alla Tokyo Metropolitan Expressway sotto una luce diversa, in grado 57 di trasformare un’area grigia e tetra di Tokyo in qualcosa di profondamente nuovo.” Il “Canale” è l’immagine che caratterizza la terza strategia. Anche in questo caso, così come per la precedente, la scelta della “forma” paesaggistica richiama un verbo, quello del collegare: un ambiente, una situazione ad un altra. Legare per integrare, per scambiare, per migliorare. In che cosa consiste? “Tokyo era una volta un città d’acqua, ma attualmente la maggior parte dei canali sono stati riempiti e trasformati in strade. Egualmente le autostrade sono state costruite in quota, sopra i restanti canali, le spiagge bonificate e trasformate in siti per le fabbriche. Oggi restano dei canali che scorrono accanto ad alcune linee ferroviarie. La Bluenecklace, la “collana blu”, è una strategia con la quale proponiamo di collegare la mobilità stradale con quella acquatica. L’idea è di creare una forte integrazione tra i canali e alcuni poli fondamentali della mobilità urbana e con i principali luoghi di accesso a Tokyo. In particolare il sistema di collegamento dovrebbe riguardare la stazione di Shinagawa, la seconda per importanza e dimensione lungo la linea ad alta velocità del Tokaido Shikansen così come con la Yamanote Line (la circolare urbana). Egualmente, seguendo questa impostazione progettuale, sarebbe possibile inserire nel sistema anche il collegamento con Haneda, l’aeroporto “domestico” e secondo per traffico internazionale, così come con il quartiere residenziale e turistico di Disney land all’interno della baia. Ad integrazione di questi collegamenti principali andrebbero 58 rivitalizzati i canali minori che potrebbero costituire la trama per una riqualificazione che richiami, a dimensione ridotta, città d’acqua come Amsterdam o Venezia.” E veniamo alla quarta strategia che diversamente dalle altre sembra privilegiare degli interventi più puntuali, pur mantenendo sempre viva l’attenzione alla trasformazione del paesaggio urbano. Il secondo aspetto originale è la riflessione a monte, strettamente collegata alle dinamiche demografiche. Come si colloca all’interno di fibercity e in che cosa si caratterizza? E in che modo il riferimento all’immagine della fenditura, della spaccatura, ne comunica il significato? “L’elemento unificante resta quello del concetto di fibra, della lettura del paesaggio come un tessuto esistente che è possibile modificare con piccoli interventi in grado di cambiarne innanzitutto la forma, ma anche di aumentare il valore dell’area, caratterizzandola e creando nuove opportunità economiche. Inoltre, anche in questo caso, la nostra proposta aggiunge qualità e ne migliora l’impatto estetico. Se poi è vero che si tratta di interventi relativi a situazione specifiche tuttavia l’impatto ambientale resta rilevante e ha comunque un collegamento con altre aree della città. Prendiamo ad esempio il progetto che abbiamo chiamato GreenWreath, “ghirlanda verde”. Il Giappone è universalmente riconosciuto come il Paese dove si vive più a lungo e dove gli anziani vivono meglio. Oggi la domanda di assistenza e di cure mediche è in forte crescita, così come l’industria cimiteriale. Ma questo trend è destinato ad invertirsi con la progressiva scomparsa della 59 generazione figlia del baby boom. Si tratta di una riflessione importante per fotografare alcuni fenomeni destinati a cambiare il volto del Giappone e ad incidere su molte attività economiche e produttive. Con l’uscita di scena dei baby boomers infatti si assisterà a una redistribuzione anagrafica della popolazione perché è a loro che il Giappone deve la sua crescita economica dal dopoguerra ad oggi. Faccio queste considerazioni per affrontare un tema delicato, ma non secondario quello dei cimiteri, che caratterizzano molti luoghi all’interno di Tokyo. L’idea che abbiamo avuto è di dedicare di fatto un monumento alla generazione che ha consentito a Tokyo di diventare la grande metropoli di oggi. Come? Intervenendo in un ambito specifico e che si presta a una trasformazione agendo sulle fibre del tessuto urbano. Tokyo è appoggiata su alcune aree collinari a ridosso delle montagne ad Ovest e da un’area paludosa verso il mare. Qui è ancora in funzione una linea ferroviaria che unisce il nord della regione con Tokyo e che costeggia una piccola scogliera. La vista della scogliera è occultata da un orribile muro di cemento che risponde a requisiti ingegneristici ed estetici minimi. È questo che negli anni Cinquanta vedevano i giovani diplomati che arrivavano a Tokyo a lavorare per la prima volta. E che ancora oggi vediamo se percorriamo questa linea ferroviaria. La nostra proposta è di utilizzare il pendio a valle della ferrovia per costruire un grande cimitero come omaggio a chi ha reso possibile lo sviluppo di Tokyo, creando un nuovo paesaggio pieno di alberi e di piante cambiando così completamente il panorama consentendo di godere di un 60 paesaggio naturalistico unico a chi si appresta in dieci minuti a raggiungere la stazione di Ueno, nel centro della città.” La quinta strategia, che avete chiamato Green Finger, abbinandola all’immagine della duna, costituisce forse la proposta in cui si ritrovano un po’ tutti gli elementi cardine della fibercity. Al centro del progetto, strettamente collegato al tema dello spopolamento, vi è la riqualificazione delle aree suburbane di fronte a un cambiamento profondo determinato dal ridimensionamento economico e dalla scarsità delle risorse. Essa costituisce una delle proposte dall’impatto più rilevante e in grado di porre l’attenzione su un fenomeno che riguarda un numero elevato di persone, e allo stesso tempo risulta particolarmente stimolante non soltanto per il contesto specifico delle città giapponesi, ma anche rispetto ad alcuni modelli urbani occidentali. Quali sono i suoi elementi cardine? “Green Finger è una strategia di riorganizzazione delle aree periferiche, seriamente colpite dal calo demografico, con la quale proponiamo un modello di città compatte intorno alle stazioni ferroviarie, come poli di attrazione funzionali ad assicurare modelli di vita e di mobilità a misura d’uomo e adeguati ai processi di cambiamento che ci dobbiamo attendere. La nostra proposta è di favorire la concentrazione di realtà residenziali avendo come riferimento le linee di maggior traffico ferroviario. Ogni residenza dovrebbe collocarsi a una distanza massima dalla stazione di 800 metri e dovrebbe essere immersa nel 61 verde. D’altra parte, la rete ferroviaria avanzata è l’infrastruttura d’orgoglio delle città giapponesi dove si eccelle sia per densità ferroviaria che nella qualità del servizio che per quanto riguarda la sicurezza. Tuttavia, con la diminuzione della popolazione nelle aree suburbane, sarà difficile mantenere efficienti le linee ferroviarie. Se il funzionamento della linea ferroviaria è discontinuo, i residenti più economicamente deboli delle periferie più lontane, tra cui molti cittadini anziani, saranno lasciati a piedi. L’idea di una serie di piccoli agglomerati urbani compatti circondati dal verde e attraversati dalla ferrovia, permette ad un gran numero di persone di vivere lungo le linee del trasporto pubblico e aumenta il numero delle stazioni in zone ora non servite. Ciò comporterà un miglior rendimento complessivo del progetto garantendo un aumento del valore immobiliare delle aree. La scelta di guardare a uno sviluppo residenziale intorno alle linee ferroviarie veloci costituisce una risposta precisa ad alcuni cambiamenti rilevanti che la società del restringimento e dell’invecchiamento determinerà nella composizione e nell’organizzazione delle famiglie. Si rafforzeranno le tendenze a vivere in case unifamiliari così come l’utilizzo di servizi in comune. Un prolungamento dell’attività lavorativa degli anziani richiederà soluzioni in grado di favorirne la mobilità. Questa strategia si propone di far si che le aree residenziali siano vicine alle stazioni ferroviarie, in modo da poterle raggiungere a piedi e che il verde riempia le aree circostanti. Inoltre, consente a un grande numero di persone di vivere lungo la ferrovia aumentando il numero di stazioni nelle regioni che si 62 trovano entro grandi distanze dalle stazioni esistenti. Ciò servirà a migliorare la redditività del progetto globale attraverso l’aumento dei prezzi dei terreni delle aree circostanti. In questo modo, attraverso il calo della dipendenza dall’automobile, queste periferie diventeranno zone residenziali di elevata mobilità che contribuiranno alla riduzione delle emissioni di CO2. L’obiettivo è di favorire concentrazioni urbane sostenibili, a misura d’uomo dove tuttavia si possano anche godere dei vantaggi della metropoli.” 63 Nota biografica Hidetoshi Ohno: dove l’architettura si interconnette con il vivere urbano Hidetoshi Ohno nasce nel 1949 nella prefettura di Gifu, in Giappone e si laurea in Architettura nel 1972 presso l’Università di Tokyo. Dopo aver conseguito nel 1975 un master in architettura presso la Graduate School of Engineering dell’Università di Tokyo, nel 1976 lavora come architetto presso la Maki and Associates fino al 1983. Dal 1988 (fino al 1999) assume la cattedra di Progettazione Architettonica e Urbana come professore associato presso l’Università di Tokyo e nel 1997 diventa dottore in Ingegneria e subito dopo ricercatore presso la Technical University of Delft, nei Paesi Bassi. Attualmente insegna presso l’Università di Tokyo sia presso il Dipartimento di Architettura della Facoltà di Ingegneria che nel Dipartimento di Studi Ambientali della Facoltà di Scienze di Frontiera. Il principale campo della ricerca di Ohno è la teoria della progettazione architettonica e urbanistica e in modo particolare in relazione alle forme dell’ambiente in cui si vive. È internazionalmente riconosciuto come uno dei massimi studiosi del significato dell’interfaccia tra l’architettura e la città caratterizzata da un punto di vista spaziale: ‘frontal edge of architecture’ o ‘hyousou’ in giapponese. 65 Per approfondimenti si vedano: l’articolo di Leone SPITA, Tokyo 2050. Fibercity, in “Abitare la terra. Per una architettura della responsabilità, n.20/2007, pp. 28-35. e l’intervista video a cura del Formedil in www.youtube.com/watch?v=FC0xj19xIlc 66 Edited by Alfredo Martini 1. INTRODUCTION A renovation is a great opportunity for our cities and for the relaunch of the market and the construction industry in a deep recession. To achieve the goal of the design and planning appropriate for the ongoing process of transformation that includes demographic dynamics, the needs of citizens and those of companies, it is essential to arrange analyses and have innovative tools. For this reason the research fibercity Tokyo 2050, which aims at a radical change of paradigms of urban planning and architectural design, is a new project of great interest also for our country. The arrival in Italy of the creator and project coordinator Hidetoshi Ohno, professor at the University of Tokyo, invited by Formedil, the National Authority for the coordination of building schools of the Bilateral System of Construction, as part of Project Future and National Days of training in construction 2014, was an opportunity to listen to his lecture on urban transformation and his proposals. So it was decided to turn his conferences in Rome and Milan, and the dialogue developed during the five days of his stay in our country, into this interview. The starting point of Ohno’s theories, which are the basis of fibercity, is the belief that if in the past the demographic phenomena and their interconnection with the economic dynamics were to determine the processes of urbanization, nowadays in the era of the great crisis of the beginning of the 21st century, they are the basis for processes of the opposite sign. From this point of view, II I Japan is a classic example. According to some estimates, in 2050 the Country of the Rising Sun will be lightened by the presence of about forty million citizens. It is an irreversible process that can not help having significant effects on the organization and conformation of the urban concentrations. Having studied these phenomena and the situation in the Japanese cities, Professor Hidetoshi Ohno and his staff developed the project fibercity, based on the philosophy that gives an absolutely new approach compared to the traditional urban design. This is a project and a research that started in 2000 and became internationally known in 2006 when the study was published in one of the most important architecture magazines in the world (Japan Architect n. 63, autumn 2006, “fibercity Tokyo 2050”). The project aims to promote awareness of the necessity to change the very way of looking at the cities, taking into consideration the demographic trends and economic dynamics, that are to resize both the political and public policies as well as the logic of the construction market. It is an approach that includes both a strong tension towards achieving a new balance between the quality of life and dwelling, as well as social relations. This theoretical path is concretely feasible in terms of design, whose field of study and application is two precise realities of Japan: Tokyo and some smaller cities, but still complex in terms of the size and urban joint. These are two different contexts, but they are closely related to the methods of renovation. In the process of development, as professor Ohno explains, the project finds its origin in some thoughts on smaller IV cities, to then face the complex metropolitan reality of Tokyo, destined to become the real testing ground. Another important aspect of fibercity is its time projection, the year 2050, the period which is too short to get a feedback and, on the other hand, too long compared to the life of the students V living. VI 2. TO THE ORIGIN OF FIBERCITY Professor Ohno, for many years your research and studies have been giving a boost in rethinking the expansionistic urban model. Thanks to your vision of a shrinking city that needs to be rethought and viewed with new eyes, the ability to consider the urban fabric as something to be carefully observed and renovated avoiding trauma becomes the focus of the new approach. Recently Renzo Piano talking about Rome and its suburbs has launched a project that can be summed up as “ let’s mend Italian cities”, which is an indirect reference to your theories and your fibercity. The time horizon of 2050 allows your project to remain topical and to have a growing interest and approval over the years. But how was fibercity born? “Fibercity was born as part of a cultural journey and study that has its origin already in my experience in the architectural firm of Fumihiko Maki, which then was continued at the University of Tokyo. It is a project born from the careful observation of reality and profound changes that characterize the Japanese society in the second half of the 1980s, when the expansive incentives of the economy were over and there was a gradual decline in population, as well as the redistribution of urban settlements. Recession, population decline, and aging are the three phenomena that underlie change processes involving large cities and metropolises of the West. If we want to specify the time and especially the occasion when I started the project and then launched fibercity, we should move from Tokyo to the province of VI I Gifu, the province I come from, and where at the end of the 1990s I was asked to realize an urban plan. To do that we studied a number of phenomena both economic and social. In particular, we focused on the established trend of a persistent decline in the population, hence on the need to completely change the approach taken so far in the planning of the city, overcoming the dominant conception of the infinite urban expansion. In fact, behind the idea of fibercity, there is the awareness that cities are to be looked at with different eyes, taking into account their capacity of shrinkage and resizing not considered so far, or at least not included among the possibilities. Until then the thinking of urban planners remained focused on the expansion, despite the fact that the Japanese economic model was already characterized by the sign of downsizing and almost no growth, in addition to a clear tendency towards a more accelerated decrease in population. It was a dominant view also applied to the planning of the territory transformation. This way of thinking and planning was clearly in contrast to the reality that was profoundly changing. The change concerned the prevalent development model which considered the expansion the only possible way. That was a model that collided with the phenomena so far not taken into account, such phenomena as the limitation of resources, starting with those of energy, intended to affect the level of consumption and hence the whole structure and not only in quantitative terms. Here we should also speak about the needs related to housing and the quality of urban life. We realized that it was necessary to modify our approach by including the concept and the vision oriented VIII towards the possibility of a narrowing, a quantitative and spatial scaling in our models. We incorporated a new trajectory, that of “shrinkage” in the planning which became its focus. These reflections gave birth to the model fibercity in 2000. Probably it is not a coincidence that the model was born in Japan, as its history in the last two decades has somehow anticipated a number of phenomena that are now characterizing all the countries and societies of the developed world. And it is for this reason that our project has a more general value that goes beyond Japan”. Can we speak about the phenomenon of demographic contraction in more detail? ... “The data are clear. According to the estimates of the insurance companies, if the current growth rate (1.5 children per couple) continues, the population will decrease by twothirds compared to the current number of 127 million people. It will be around 80 million. This will mean a strong reduction of the population of the metropolitan area of Tokyo. And at the end of the century the population is expected to be reduced by half. If today’s buildings survive and the population decreases sharply, a lot of houses will remain empty. These changes will have a huge impact on Japanese industry, given that the sector of the construction industry currently accounts for 20% of gross domestic product. And the shapes of the Japanese landscape will change dramatically as well. The problem is how to make very expanded Japanese cities into compact ones. The answer can be found in looking IX for appropriate ways to channel the decrease in the demand for urban space. If this shrinking process is left entirely to the market forces, the city will be full of holes with many abandoned areas: zones of decay, like a piece of cheese with worms in it. These areas are potential places for crime: this will inevitably lead to a disastrous urban governance. But if the change is well managed, it could be a good chance to solve the problem of Japanese cities and bring us closer to the ideal of a compact city. In other words, the process of subtraction, reduction, and destruction of some parts of the city can really work to create new assets. This process is totally opposite to the simple additive development by which assets were created in the urban space in Japan in the 20th century. I call it Genchiku that means to reduce constructions and to compress Kenchiku (architecture). So creating gaps in strategic places of congested cities will be the most important task for the planners of the 21 st century. And the creativity, artistic skills and techniques of the architects of the 21st century will be used to cover the holes, to “mend” as Renzo Piano said. There is a new atmosphere and part of the Japanese society is going in a different direction. Architects cannot escape from the contemporary urban condition: they have to begin thinking about the impact on our profession caused by theexpected population decline and population aging. The problem is that there are still programs providing for expansion. But everything will take the opposite direction. And these data, I repeat, do not involve only X Japan but many countries in the world. If the 20th century was the one of the expansion, the 21st century will go in the opposite direction. This century began with the desire to expand but, perhaps, should take another direction: in architecture, art, cinema and so on. So what effects does your approach have on the urban transformation, architecture, and ways of building in Japan? “Our approach in particular takes into account the construction and architectural history of Japan, the way the cities are designed, but also the traditions and building models that are characteristic of Japanese architecture. While, on the XI XII 3. FIBERCITY: A DIFFERENT WAY OF DESIGNING AND LOOKING AT CITIES It seems to me that for you architecture cannot be separated from the social approach but at the same time architecture is intrinsically connected to the landscape that contains it. And as your scope of design concerns the city, the architecture becomes an instrument of balance between a building and context, trying to seize the actual transformation processes that are intended to characterize the relationship between a man and the urban fabric. So what are the key elements to consider in the logic of changes in urban planning? “In our research, based on the intertwining of analysis, observation and evaluation of the main phenomena that are intended to change the conditions of life and relationships in the cities, we have identified at least six elements which must be taken into account by anyone who is called to design urban interventions. These are key points, I would say, the principles, that must be the basis of any design solution you decide to propose. The first element includes a great respect for the diversity that is taken as an example of what happens in nature, by which we mean value and potential. So, in this case, to intervene means to increase diversity on the social level. The second element concerns the citizens’ widest possible participation in decisions of governing the territory of their community. The third principle deals with the right of everyone to freely move anywhere they want, the right that must be guaranteed, regardless of the different XI II conditions of age and health. Another aspect that is often little considered but instead is absolutely essential today concerns the interdependence of cities and other shapes of the landscape: agriculture and forestry, the lakes, and the sea. Our culture in Japan has always paid close attention to the shapes that nature has taken and takes. It is an approach that we should have when we walk through the cities, giving importance to the vegetation, water, air. In this way, we will strengthen the fundamental value of the city as the main place of social and economic life. In the age of globalization, the cities, the metropolises are called to a growing competition between them. For this reason, it is important to take into account market trends and the need to always remain at the highest level also regarding their “design”, their urban and architectural quality. So this is another element that should never be forgotten. But we cannot just think about big cities, metropolises, we should also consider small and medium towns that in this context of scarce resources and economic recession risk an inexorable decline, which concerns the built heritage and a series of spaces, that must necessarily acquire new features if we want to avoid a progressive deterioration with serious consequences on the quality of life of the population. This is true not only in Japan. For this reason, it is fundamental not to let only the market decide, but to seek solutions that can give these cities a new sustainability. XIV From these principles and reflections, you have developed a set of theories that are recomposed in fibercity. In particular, there is a strong impression that we could call “ecological”, not only in terms of the objectives and the results that you are aiming to achieve, but in assuming the forms and the way in which nature works, as a fundamental reference of your way to design. What are the main drivers of your project? “I would say that we have quite clear ideas and as all the things I have mentioned before are happening not only in Japan, although the situation of my country is somehow exemplary, it strengthens our beliefs. Behind it all there is a strong awareness that it is no longer possible to sustain growth levels and, as a result, urban expansion as it was done in the past. And that is why we should take the concept of narrowing , “shrinking”, as an opportunity, taking it as an orientation able to design a new social system that can promote a different quality and a greater balance and harmony with nature. The second factor that drives us is the flexibility that is necessary for diversity. What I mean is that we have to overcome the division of space between the city and the vegetation, increasing their integration and strengthening the processes of this type. It is also essential to review the ways and forms of today’s urban mobility, considering the significant changes concerning social demand, first of all due to the aging of the population, but also due to the family structure and growing number of singles. These are the factors intended to shift the demand towards new means of transport, both private and public. A reorganization X V that, as I pointed out, cannot help defending the right of free mobility of each person. Finally, fibercity does value the principle of participation and the involvement of its users, citizens in the governance of the transformation processes and the choice of living in the cities.” This approach has led you to identify the concept of the fiber as the essence of your project. And the fiber is the contents of your philosophy, but at the same time we can say that it is also found in the method with which one should intervene in the project plan. You see a city as something dynamic and ever changing, where the role of the designer and the planner is to know how to help this transformation based on the prevailing economic and social processes, intended to play a key role in achieving progressive balance between supply and demand, while giving city residents an active role and paying attention to the “desires” of the populations. Can we examine these aspects entering further into the “concept” of fibercity? “In Japan, the world is seen in continuous growth and development. That has led to such a planning of a city that can be compared to the design of a car, or something that works according to a predetermined level, where when something breaks it can be easily replaced. In this worldview, it is necessary to clearly define the building blocks in advance and describe their relationships. It is a model based on certainties, which today are being brought into question. In the new vision that we propose, thevision of narrowing, of folding, this model no longer works. The city is to be transformed having the utmost XVI attention to the principles that we have seen. The rigid view of programming should be overcome while the reality, which by definition is fluid and subject to indeterminacy, should become the main reference. The attention to the diversity and flexibility has thus led us to the “fiber”. The fiber, that stretches and shrinks by its nature, in itself has the highest levels of flexibility. When we take a couple of fibers and weave them we get a thread from which later we can weave a warp. Our conception of the city is that of the fabric. So it is natural to assume the fiber as an element on which to intervene. When the fiber breaks, it can be recreated. If we intervene, we should do it without creating tears, without “breaking”. The main idea of the concepts of fiber and fabric is that if some part gets damaged, all the system, however, continues working. Thanks to the fractal nature, similar structures are repeated. Underlying fibercity there is a new urban paradigm, in which the act of creation is not an invention from nothing, but an intervention in an already existing system, a rearrangement of elements. So our work substantially resembles a kind of editing. As I pointed out both in the conferences and in my articles, in short, fibercity is a set of theories and intervention strategies for cities and suburbs that do value historical and structural items, making the most of the existing buildings and changing and manipulating linear elements to best meet the needs of future generations. The basic strategy is to get the best results with minimal X VI I investment, giving due respect to the historical continuity, using both new and traditional technologies.” Can we define the project fibercity as a search for solutions that ensure a sustainable urban development? “Since fibercity is based on the concept of “ shrinkage”, we look at the cities, which will remain the economic engine and the main sites of social relations, as entities that must be rethought, avoiding the expansion and consumption of the territory and creating the conditions and processes of a greater integration between building and environment. And here we suggest reviewing the city as a fabric made of fibers, we suggest careful observation of specific situations, aimed at favoring microinterventions, that can offer effective solutions. According to the dominant model that has endless growth as a reference, from the urban point of view this means expanding the territory, growth in building and an increase in property values. In the era of shrinking when the numbers are reduced, the percentage is with a minus sign, we must deal with the changes of the urban fabric, with the transformation of the existing one. This aligns well with the new vision that wants to reduce the impact of building on the environment, which provides a significant reduction in energy consumption, in a context characterized by lower public resources and a growing attention to recycling, as well as the reduction of CO2 levels in the air. In Japan, we are not used to modifying and intervening on the urban fabric lightly, but we have to learn to do it. At the center of our intuition and our XVIII proposals there is flexibility, the ability to intervene in the existing urban fabric modifying it to meet the changing needs of the restricted society, to improve the quality of life of urban populations. Our approach is to find solutions that, on the one hand, can foster a greater integration between construction and vegetation, between solid and fluid, carefully considering the changes in the housing market and therefore the dynamics of mobility within the city, in the situation of reduced budgets. Our urban proposals do not intend a loss of value from the point of view of the market, instead they are to have a function of revitalization knowing how to combine these needs with the improved quality of life, in terms of a greater sustainability and regeneration of green spaces. The projects that we have developed are related to the city of Tokyo as well as smaller cities. These projects are all inspired by the concept of “openness” and interaction between different environments, especially between vegetation and construction, between different social realities able to facilitate relationships between different categories and classes, overcoming the conception of cities as closed areas. This is particularly important in some situations such as those involving the outskirts or areas at a progressive risk of deterioration.” Your approach and your proposals are very interesting and suitable also for big Italian cities, like Rome, Milan and Naples, especially in the matter of three aspects: the degraded areas within the city, the redevelopment of the suburbs and railway transport (railway network and subways). What is your opinion about it? XI X “The new economic and social context that is characterizing Japan but also other countries of the developed world, especially the United States and Europe, causes strong contradictions in urban areas. I mean the reorganization of historical city centers and the increasingly high risk of social unease and abandonment of the suburbs. As for Japan, for the way the cities have been developed, especially in the matter of the suburban areas, the greatest risk is to have a depopulation of the residential areas situated far from the railroad stations. As a family with a good income without hesitation will tend to move to a place with the best conditions, there are problems for the families with a low income and few resources. Because of the decrease in the land price, assuming that a family owns some land, it cannot be sold at a price that ensures the move in a better positioned area. Moreover, since in an aging society it will be impossible to offer such pensions as the current ones, the elderly will have to continue working to be economically independent and they will try to escape from the suburbs. And it is common knowledge that the suburbs dependent on cars are not suitable for the solution of environmental problems and an aging population. For these reasons the problems that arise in a society with a dwindling population are concentrated in suburban residential areas which instead represented a launching pad for the urban development of the cities in the 20 th century. In relation to this scenario, a compact city has recently become of greater interest. A compact city is rational from the environmental point of view, but in many regions young people reject the idea of living in small XX towns and move to large cities. Nowadays most of the services are available in all the medium-sized cities, but nevertheless, it is the big cities that thrive. Japan’s population is over-concentrated in the metropolitan areas, especially in Tokyo, so much that in the 1980s there was a policy of decentralization of the population and government functions but it failed due to the economic crisis. One of the fascinating aspects of a metropolis is the abundance of choices and opportunities it offers, significantly higher in all areas of life than in a small town. Therefore, the aim must be to encourage the creation of urban areas that combine the seemingly contradictory charm of a metropolis and environmental features of a compact city.” In your conception of architecture, as well as the design of urban spaces, following the model of fibercity there stands out the importance of knowing how to think and offer solutions according to patterns and shapes somehow borrowed from nature. This integration with the traditional culture of Japan also involves strong attention to models of urban organization experienced in the past. To what extent does this approach guide your design choices? “In Japan there is a great tradition to live together with the nature and learn from it. Our culture, much more than those of the West, is characterized by looking at the nature as a set of useful models to live better and to conceive ideas and proposals. And we can say that nowadays, we pay more attention to it as it can be X XI particularly useful. The history of the landscape and its transformations is an important asset in which we have learned to set our project proposals. In my presentations, I always dwell on traditional models of Japanese cities, comparing them with those of major European and Western cities. This comparison which clearly shows how even in the most complex situations the references to specific elements of the landscape in Japan, such as Mount Fuji, is always present in the planning. We can say that in their formation Japanese cities “borrow” the landscape. Instead European cities are fruit of reason, of abstract models, almost always unrelated to traditional nonurban landscape. Also, careful observation of nature allows us to offer solutions that recall simple elements such as shapes of the leaves, the structure of the tree branches, the forms and the movement of the sea waves. These are the elements that we can easily recognize. This is a relevant aspect because in this way our theories can be widely spread in the Japanese society. Making explicit references to the models of the landscape characteristic of Japan, on the one hand, we affirm cultural continuity, on the other hand, we facilitate an understanding of what we offer, allowing people to grasp the meaning of the proposed actions as well as the ways in which we intend to operate. To sum up, we can say that fibercity is a model that can be easily introduced in Japan and also because of many simple references to the nature, constitute a cultural and conceptual heritage. We have placed Japanese landscape and the forms of nature at the center of our reflection and made them the key element of fibercity which can also be XXII found in the way we offer our projects and our solutions in different urban settings.” Later we will speak in more detail about the merits, features, objectives and design methods related to some of the proposed interventions for Tokyo 2050. But first I would like to focus on another aspect of your lectures in which you emphasize the importance of the citizens’ involvement. Can we say that fibercity also takes on the characteristic of a “participatory” planning model where the end users, recipients of the choices of the urban policy, as well as the users of the development solutions, must necessarily have a role or at least a voice in the “territorial governance”? “It’s true. The theme of people’s involvement and participation in the choices of urban planning should be considered a basic element of fibercity. I do not know if we can call it a model of participatory planning as you have defined it, what is certain is that the planning involves three parties: the private market with its logic and its interests; the state, the public with its regulatory role; and the people, the population. In the 1970s and 1980s urban development in Japan, but I believe also in many Western countries, was driven mainly by the market, supported by the public policies. From the 1990s onwards, in a scenario in a progressive change, the role of the state became more important. The weight of the government of the territory grew up from above. But at the same time there increased the awareness of the citizens on what they want, increased X XI II reflection on the quality of urban life, its contradictions. There appeared a growing need to cut energy consumption and reduce the environmental impact. There increased the demand for green spaces and the quality of transport. There was a new establishing principle, that of freedom of movement, the importance of creating the conditions so that everyone can go where they want. And in a country, where in the cities the number of elderly people grows exponentially it is a significant problem that must be addressed and resolved. So nowadays a city has become the ground for discussion and collaboration between all the three actors: the state, the market, and the citizens. Fibercity is a model and a proposal that aims to involve all the three parties, giving each a well-defined role.” Among the principles of fibercity, there is maximum freedom of each one in terms of mobility, combining it with the value and sustainability. Looking at Japanese cities this goal seems very complex. How are you going to achieve it? “The attention to the mobility of people in urban areas is a little considered subject and instead very topical in Japan, especially given the dramatic aging of the population. In general, if we have a highly developed transport system, widespread and efficient, it mainly concerns the fast mobility between different areas, but does not consider the slightest movements in the short and medium range of a distance for elderly people who may have mobility problems. It is important to ask XXIV ourselves about the issue and find solutions to ensure the small movements in a limited space. Solutions must address both the means of transport, which must be new and ecological, and the management of road and urban spaces. For the West, the freedom of movement is a fundamental right that must be protected and expanded, but it has to find its own balance regarding urban structures. And here our approach, the logic of the fiber can help us find solutions”. 4. FIVE STRATEGIES FOR TOKYO1 In your report, you identified five strategies and after that you spoke about the concrete reality of a dense city like Tokyo to transform it and make it compatible with the new scenario of change. Could you describe and explain the meaning, objectives and expected results? And to what extent can Tokyo be a typological object able to help us understand what we should do to design a sustainable city? “After launching fibercity at the beginning of the new century, we focused on how to move from theory to practice, taking as the object of our research two cities – Tokyo and Nagaoka, a city of a smaller size and urban and social characteristics which are different from those of the capital. The study continued over the years and allowed us to get to define some strategies, which are the result of a careful and profound observation of these two urban realities. These are the strategies aimed at the targets to give different solutions to concrete problems, X X V even in perspective, that take into account the needs that come from social and economic changes. All the strategies are focused on the idea of requalification and based on a new vision of the relationship between the urban development and environment. They aim to increase the interaction between buildings and green spaces, encouraging the ways of interaction and differentiation of the urban landscape 1 In this part of the interview, there is a reference to the slides presented by Professor Ohno at the conferences held in Rome and Milan on September 30 and October 2, 2014 and also to the reports published during Ohno’s previous visits to Italy and described by Leone Spita in his article Tokyo 2050 Fibercity, published in the journal “Abitare la terra”, n.20/2007, pp. 28-35. while taking into account the needs of the real estate market. The other key element is the close relationship between the housing and mobility, or between the micro dimension, that of the district or a precise area, and the whole urban environment. That is why some strategies of the projects focus on the arteries of mobility, i.e. roads, railways, and waterways. We launched these proposals in 2006 with the aim to make the public and the administration aware of the project. Being academics as well as designers, our main task is indeed to educate and encourage the emergence of a new and different mentality that takes account of the change. Based on the design concepts of fibercity we have identified some specific situations that could become the testing ground where we could apply our hypothesis. The field observation has allowed us to reach the definition of the XXVI five key design strategies. For each of them we have matched a shape of the landscape which inspired us or which represents how we should work on the existing urban fabric. Within each strategy, we have developed more actions, each of which is characterized by certain features related to the type of intervention as opposed to the existing context. The five shapes of landscapes that inspired us are the “beach”, the “river”, the “channel”, the “cove” and the “dune”. Each of them is known to be an attempt to improve the quality of the urban space of Tokyo, manipulating fibers. It should, however, be mentioned that fibercity is an open model and that the solutions for urban regeneration in the era of shrinking cities must be chosen for each city depending on its characteristics. For this reason, it is impossible to ensure that the strategies developed for Tokyo will be effective for other cities as well.” Describing the first strategy in your conferences you used the image of a beach to show the interaction between the sea and the land, with the water that penetrates the sand and changes its shape. The fluidity of water and the increased stiffness of the sand perfectly exemplify the objective to take action to increase the hybridization between green spaces and buildings. In what context and with what results regarding the current state of the urban landscape of Tokyo can this strategy be applied? “With this strategy we intend to highlight the importance of overcoming the conceptual and physical separation between the green areas and the built environment, and X X VI I call for action to boost their integration. With the rest of our proposals, we give concrete answers to the needs of the relaunch and promotion of the housing market and in terms of environmental protection, the increase in green areas. The first proposal included in this strategy involves one of the densest areas of Tokyo, also well known to western tourists: the Shinjuku district, where there is a big imperial park, famous for its variety of cherry trees and their extraordinary blooms. It is a pity that this park seems a closed area poorly visible from outside. In some way, it is not only separated, but also hidden, due to an intense concentration of huge buildings. This solution originates from a traditional conception of the park, which sets the garden “daimyo” as a model of spatial organization, and the idea of the model is to conceal the park from the surrounding context. Our proposal is to modify the boundary of the park by transforming the existing linear structure in a zigzag shape, however, without reducing the overall area of the park itself, but simply by changing its shape, providing for the possibility to make it larger within the current outdoor spaces, according precisely to the logic of the fiber. Doing so, we can fill empty areas, launching a process of integration with the external environment. In this way the park, currently hidden behind the blocks, will become visible and at the same time urban activities can penetrate inside. So we can get a double result: on the one hand, by widening the perimeter of the park, we will expand its territory, on the other hand, more interaction with the green areas gives more value to the residences and the urban areas under change. The second proposal, which we called Green XXVIII Partition, instead has as its objective the reorganization of certain dense areas near the center of Tokyo, largely built of wood and therefore at high risk of fire. Creating green areas, we intend to make a system of barriers that can reduce the risk and at the same time improve the environmental quality and esthetics of these neighborhoods. Like in the case of Shinjuku, also here the idea is to increase the integration between built and green spaces, giving real solutions to real and underestimated problems, and also to create conditions for an increase in property values. Making large hedges that weave in the building fabric, dividing residential areas into small parts, separated by green firewalls, we will get the area redeveloped, minimizing the possible damage caused by the fire. In our plan, the shape of the partition will grow depending on the availability of vacant lots and the border will always be connected to an evacuation area. Each green space must have a width of 4 meters. In fact, this distance between the buildings will help to prevent the spread of fire and at the same time will nguarantee not only a good ventilation, but also enough daylight and adequate privacy levels. We have estimated that the total area of green barriers should represent about 8% of the entire area of the district.” Always taking into consideration the image inspired by nature, chosen to represent each strategy, in the case of the “stream” the emphasis is on the function of flowing, in which it is combined with the concept of a network. In this second strategy, we focus on transport lines, on the great mobility that characterizes Tokyo probably more than any other city in the world. What are you going to do to lighten X XI X the environmental impact, to improve the quality of urban life, whilst ensuring the current levels of traffic efficiency? “The heart of this second strategy is the Green Web, with which we propose to intervene in the center of Tokyo, changing its own image and trying to make it a city model that can revitalize the center eliminating cars. Also, in this case, we must examine the urban reality and the changes due to the transformations that are characterizing the city. This idea comes from the awareness that once completed the ring road outside the circular railway line, the Yamanote Line, it will significantly lighten the traffic on the Tokyo Metropolitan Expressway, the elevated fast ring road built in 1964 on the occasion of the Olympic Games, which passes over rivers and roads without the need for land expropriation. It is an opportunity to intervene in the urban fabric so as to respond to the needs of the security of the dense area of the city regarding the risk of earthquakes, creating adequate escape routes and ensuring the arrival of the rescue team. At the same time we propose to increase the value of the most relevant landscape elements of the area particularly devastated from the environmental point of view, creating opportunities for the pedestrian traffic and little mobility, meeting the needs of the shrinking and aging population. Our proposal aims, in particular, to turn some roads in parks and introduce the systems of micro distributed energy generation. Creating a continuum with roof-gardens of the buildings along the roads we will make a green corridor in the city center and this will help enhance the environment. The image that we propose is XXX that of a green park in the air so as to make Tokyo a symbol of a city without a car. Also, along the Sumida River, we intend to create a raised pedestrian embankment in order to allow an extraordinary view of the cherry blossoms along the quays in spring. This proposal is based on the idea of looking at the Tokyo Metropolitan Expressway in a different light, in order to transform the gray area of Tokyo in something absolutely new.” The “Channel” is the image that characterizes the third strategy. Also, in this case, as well as for the previous one, the choice of the landscape “shape” refers to a verb, that of connecting: an environment, a situation to another. To connect means to integrate, to exchange, to improve. Can we talk about it in more detail? “Tokyo used to be a city on the water, but nowadays most of the channels were filled up and converted into streets. Also, the highways were built at the altitude, over the remaining channels while the beaches were reclaimed and transformed into the sites for factories. Today there remain only the channels that flow along some railway lines. The Blue Necklace is a strategy with which we propose to connect the road mobility with the aquatic one. The idea is to create a strong integration between channels and some fundamental poles of urban mobility and the main access points of Tokyo. In particular, the connection system should cover the Shinagawa station, the second biggest and important station along the highspeed line of the Tokaido Shinkansen as well as the X X XI Yamanote Line (the urban circular line). Also, according to this design approach, it would be possible to incorporate into the system the connection with Haneda Airport, as well as with the residential and tourist area of Disneyland within the bay. To create these key links, it will be necessary to revitalize some minor channels which, to some extent, could make Tokyo a city on the water like Amsterdam or Venice.” And we have come to the fourth strategy that unlike the previous ones, seems to use more precise tactics of interventions while always maintaining the attention to the transformation of the urban landscape. The second original aspect is the reflection closely linked to demographic trends. How does it fit within fibercity and what makes it stand out? And how does the reference to the image of a crevice, of a split, convey its meaning? “The unifying element remains the one of the concept of fiber, the reading of the landscape as an existing fabric that can be modified with small interventions in order to change its shape, and also to increase the value of the area, creating new economic opportunities. Also, in this case, our proposal adds quality and improves the esthetic impact. And the environmental impact remains significant and still has a connection to other areas of the city. Take, for example, the project that we called GreenWreath. Japan is universally recognized as the country where people live longer and where the elderly live better. Today the demand for health and medical care is growing, as well as the cemetery industry. But this trend is XXXII expected to be reversed with the gradual disappearance of the generation that came after the baby boom generation. This is an important consideration to record some phenomena destined to change the face of Japan and affect many economic and productive activities. In fact, with the disappearance of baby boomers there will be a registry redistribution of the population because it is to them that Japan has owed its economic growth since the World War II. We should take it into account to face a delicate but very important issue, the one of the cemeteries, which characterize many places in Tokyo. Our idea is to dedicate a monument to the generation that has enabled Tokyo to become one of the greatest metropolises. How? Intervening in a specific field which can be transformed by our working on the fibers of the urban fabric. Tokyo is situated on the territory with some hilly areas close to the mountains in the west and a swampy area near the sea. Here is still a railway line that links the north of the region with Tokyo and runs along a small cliff. The view of the cliff is hidden by a hideous concrete wall that hardly meets engineering and esthetic requirements. This wall in the 1950s was the first thing seen by the young graduates who for the first time came to Tokyo to work. And we still see it if we take this railway line. Our proposal is to use the slope to the valley of the railroad to build a large cemetery as a tribute to those who made the development of Tokyo possible, creating a new landscape full of trees and plants so completely changing the view and allowing the passengers who X X XI II decide to reach the Ueno station in the city center in ten minutes to enjoy a unique natural landscape.” The fifth strategy, which you have called Green Finger, accompanied by the image of a dune, is perhaps the proposal where we can find a little bit of all the key elements of fibercity. At the center of the project, closely linked to the theme of depopulation, there is the redevelopment of suburban areas due to a profound change resulted from the economic downsizing and resource scarcity. It is one of the proposals with the most relevant impact and able to focus attention on a phenomenon that affects a large number of people. At the same time, it is particularly stimulating not only for the specific context of Japanese cities, but also in the matter of some western urban models. What are its key elements? “Green Finger is a strategy to reorganize the peripheral areas seriously affected by the population decline, with which we propose the model of compact cities around the train stations, as poles of functional attraction to ensure quality of life and mobility and adapted to the change processes which will expect us in the future. Our proposal is to encourage the concentration of the residential reality near the railroad lines with busy rail traffic. Each residence should be placed at a maximum distance of 800 meters from the station and should be surrounded by the vegetation. On the other hand, the advanced rail network is the infrastructure Japanese cities are very proud of, it excels both for the railway density as well as in the quality of the service regarding safety. However, with the XXXIV decrease of the population in suburban areas, it will be difficult to maintain railway lines efficient. If the functioning of the railway line is discontinuous, the most economically disadvantaged residents in farther-away suburbs, including many senior citizens, will be left without a means of transport. The idea of a series of small compact towns surrounded by the vegetation and crossed by the railway, will allow a large number of people to live along the lines of the public transport and increase the number of stations in areas not served so far. This will result in a better overall performance of the project X X X V XXXVI Tokyo, in X X X VI I Il volume è edito da Progettato e impaginato da Aurora Milazzo Stampato da PressUp, giugno 2015 Per ordinativi rivolgersi ad [email protected]