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Numero 44
24 Giugno 2014
117 Pagine
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Maserati
Quattroporte diesel
Jaguar F-Type Coupé
Attualità
Silenziosa, veloce e poco assetata
sa essere anche sportiva
una pura auto sportiva, progettata
per regalare grandi emozioni
Volkswagen e Toyota si dichiarano
pronte, ma è questo il futuro?
Ce lo dice il Politecnico di Milano
L’ultimo tabù
Pure British
Sport Car
Ricarica Wireless
per le auto
| PROVA SU STRADA |
Nuova
Kia
Sportage
da Pag. 2 a Pag. 17
All’Interno
NEWS: Mercedes-Benz CLS restyling | Bentley Continental GT3-R | Nissan Navara | Mini Cooper SD e One First
Lotus Exige LF1 | Tecnica: M. Calrke I motori auto raffreddati ad aria | F1: Le pagelle del Red Bull Ring
PROVA SU STRADA
Nuova Kia Sportage
Al top nel GPL
La collaborazione con BRC ha permesso a Kia
di lanciare sul mercato una Sportage dotata
dell’impianto a doppia alimentazione più
sofisticato oggi presente sul mercato. Fluido e
regolare anche se poco vivace ai bassi regimi,
viene proposto a 22.750 euro
di Emiliano Perucca Orfei
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Media
T
anto quanto la cugina ix35 per
Hyundai, l’ultima generazione
di Kia Sportage ha rappresentato una vera e propria pietra
miliare nello sviluppo europeo
dei rispettivi brand ed è per
questo che in occasione del restyling di mezza
vita le novità si contano sulle dita di una mano.
Poche sì, ma buone: lo stile pensato da Peter
Schreyer, ex-Volkswagen ed ora massimo vertice del Gruppo Coreano dopo l’esperienza alla
Direzione del centro stile Kia, si fa leggermente
più elegante e raffinato con l’introduzione di una
nuova calandra anteriore a nido d’ape, inediti
fendinebbia a sviluppo orizzontale pensati per
dare una maggior presenza su strada della parte bassa e gruppi ottici posteriori ora di dotati di
tecnologia di illuminazione a led.
Dentro cambia molto
Rispetto all’esterno, le cui dimensioni rimangono
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Prova
Periodico elettronico di informazione motociclistica
euro nella versione d’accesso Pure Rebel con
motore 2.0 CRDi da 136 CV offrendo salti di allestimento di 3.000 e 6.000 euro nel caso in
cui si passi alle più ricche Feel Rebel e Rebel. Il
passaggio dalla motorizzazione 136 CV alla 184
costa 500 euro mentre la versione top viene offerta solamente in abbinamento al cambio automatico che, negli allestimenti Rebel base ed
intermedio ha un costo di 2.000 euro. Per tutte,
tranne che per ECO GPL, la ruota di scorta costa
250 euro, la vernice metallizzata 650 mentre il
colore White Soul 300. Per arricchire le vetture
senza svenarsi è possibile scegliere i pacchetti
Move & Style Pack (navigatore + sound Infinity,
+ retrocamera + barre portatutto + tetto apribile) a 2.200 euro o il Techno Pack (3.000 euro)
comprensibo di navigatore, tetto aprilibile, chiave d’accesso smart e sensori crepuscolari per
l’attivazione dei fari. Lo spazio a bordo, invece,
rimane sempre lo stesso: i posti sono sempre
cinque mentre il vano bagagli permette di stivare
da un minimo di 564 litri ad un massimo di 1.353,
anche nella versione a GPL che sfrutta lo spazio
prima riservato alla ruota di scorta (ora c’è un kit
gonfia/ripara) per opitare la ciambella toroidale.
IL GPL costa 2.500 euro. Dettagli che non fanno
la differenza nel contesto di un progetto che in
quattro anni non mostra ancora i segni del tempo e che accompagnano in concessionaria l’arrivo di una nuova versione a GPL che viene proposta a 2.500 in più rispetto alla normale benzina:
un prezzo del tutto identico a quello dei motori
diesel, a dimostrazione di come in Kia ci tengano
a configurare questa versione come la seconda
alternativa al gasolio dedicata a chi fa tanti km e
vuole risparmiare.
Iniezione diretta by BRC
1.591 cc, quattro cilindri in linea, abbinata ad un
cambio manuale a sei marce, l’unità scelta da Kia
di 444 cm di lunghezza, 186 di larghezza e 164
d’altezza (passo 1,42), le novità che riguardano
gli interni sono più numerose e riguardano aspetti qualitativi e funzionali: il display del sistema
multimediale, ad esempio, è ora da 7”, offre interfaccia touch e si interfaccia con nuovi sistemi
di parcheggio che fanno riferimento alle immagini della inedita telecamera posteriore. Aggiornamenti riguardano anche la plancia, che ora offre
un quadro strumenti a due quadranti al posto dei
precedenti tre, con una nuova generazione di display a colori estremamente luminoso e ricco di
informazioni.
Tre allestimenti
Tre gli allestimenti per la gamma 2WD: Active,
Cool e Class. Si parte da 20.250 della versione
1.6 GDI Active e con balzi da 1.500 euro si passa alla Cool ed alla più ricca Class, quest’ultima
disponibile solamente a partire dalla motorizzazione ECO GPL. Le 4WD, invece, costano 27.250
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Prova
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Tanto quanto la cugina ix35
per Hyundai, l’ultima
generazione di Kia Sportage
ha rappresentato una vera e
propria pietra miliare nello
sviluppo europeo dei rispettivi
brand
per la realizzazione della Sportage a GPL vanta
una potenza massima di 135 CV ed una coppia
di 167 Nm ad un regime di 4.600 giri a fronte di
140 g/km di emissione do CO2 e 11,4 km/l (14,7
a benzina) di consumo. Valori interessanti, frutto
di una scelta sino a ieri considerata impossibile
per un sistema a GPL, ovvero quella di sfruttare
direttamente l’iniezione diretta iniettando direttamente il gas in camera di combustione attraverso gli stessi iniettori della benzina. Un processo estremamente complesso attorno al quale
l’italiana BRC, fornitrice dell’impianto, lavora da
tempo per renderlo prestazionale, preciso ed affidabile: un sistema che di fatto sostituisce quasi del tutto la benzina permettendo addirittura
l’avviamento del motore, cosa che nei sistemi
tradizionali avviene a benzina, permettendo un
funzionamento più fluido e regolare in ogni condizione di esercizio. Le prestazioni della vettura,
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anche a GPL, rimangono del tutto in linea a quelle
della benzina: Sportage tocca i 178 km/h ed accelera da 0 a 100 km/h in 11,5 secondi.
C’è anche diesel, automatico e 4x4
Il resto della gamma, invece, rimane immutato: il
1.6 da 135 CV 6 marce è disponibile, a 2.500 euro
in meno, anche nella sola alimentazione a benzina mentre per quanto riguarda i diesel la gamma
si affida al 1.7 CRDi da 115 CV e 260 Nm di coppia
massima a 1.250 giri (6 marce, 5,3 l/100 km) o
al 2.0 CRDi disponibile nella declinazione da 136
CV o 184 CV, entrambi dotati della sola trazione
integrale.
Due litri, l’unità turbocompressa coreana sviluppa 320 Nm di coppia massima a 1.800 giri nella
versione d’accesso (372 nella automatica) e 383
Nm nella versione da 184 manuale che salgono a
392 nella versione automatica.
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Dal vivo: com’è fuori
La nuova Kia Sportage non fa quasi nulla per distinguersi dalla versione che l’ha preceduta. Del
resto una delle principali motivazioni d’acquisto
di questo modello era proprio il design e sarebbe stato un controsenso da parte degli stilisti
coreani quello di andare a incidere con troppa
decisione su uno degli elementi chiave. Le modifiche, comunque, ci sono ma sono tutte studiate
per attualizzare alcuni dettagli ormai diventati di
serie su molte competitor, come nel caso della
illuminazione a led dei fari posteriori.
Dal vivo: com’è dentro
Più dentro che fuori le novità sulla nuova Kia
Sportage si fanno numerose all’interno dove
cambia completamente il quadro strumenti e
dove la parte multimediale assume una nuova
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Prove
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dimensione grazie ad un nuovo display da 7” che
lavora, se sceltro tra gli optional, su un impianto audio Infinity di notevole qualità. Il nuovo sistema è ben supporta gli smartphone di ultima
generazione, è di facile utilizzo e si rende molto
utile in manovra quando fa visualizzare le immagini della retrocamera di parcheggio: per via dei
montanti e dell’altezza del corpo vettura, infatti,
dietro si vede davvero poco. Migliorata è anche la
qualità dei materiali: le versioni con interni in pelle, in particolar modo quella più chiara, offrono
rivestimenti di ottima qualità e anche se il livello
globale di attenzione per il dettaglio, pur essendo buono, non è ancora a livello eccezionale: in
questo, un po’ per le logiche di costo un po’ per lo
sviluppo step by step che i coreani hanno intrapreso da qualche anno a questa parte, c’è ancora
margine di miglioramento. Il bagagliaio è molto
capiente: i 564 litri sono una cubatura ideale per
una vettura di questo genere ed oltre ad essere
facilmente ampliabili sono ben sfruttabili grazie
ad una geometria azzeccata e ad una altezza da
terra/larghezza sostanzialmente perfetta. Buono, infine, il confort di bordo: la posizione di guida è tutt’altro che sportiva ma è ben regolabile
e comoda, mentre i cinque posti sono spaziosi
e permettono di pensare alla Sportage come la
prima auto di una famiglia.
Come si guida
Per il nostro test su strada abbiamo scelto di
concentrarci sulla versione ECO GPL realizzata
da Kia in collaborazione con BRC, vera novità
del lifting che arriva in concessionaria nel corso
del 2014. Identica, se non nella differente grafica
dei badge, alla versione standard 1.6 benzina, la
SUV coreana integra perfettamente l’impianto a
gas posizionando il tappo del rifornimento dietro
il classico sportellino della benzina o del gasolio
e senza alcun stravolgimento nemmeno interno: l’unica differenza riguarda la presenza del
pulsante con cui selezionare la modalità d’uso
(benzina o GPL). Una volta messo in moto il motore non vi sono particolari segnali o anomalie di
funzionamento che fanno percepire passaggi da
un’alimentazione all’altra: sarà perché la vettura
parte direttamente a gas sarà che l’azienda italiana ha messo a punto un sistema che sfrutta al
meglio i pregi dell’iniezione diretta, il risultato è
comunque quello di una vettura che non varia in
alcun modo il comportamento viaggiando a GPL
o a benzina. Un risultato sorprendente, che permette di mantenere piacevole l’erogazione di un
motore a cui forse manca la spinta del turbo ai
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bassi regimi ma che comunque si difende discretamente bene ai medi, laddove ci si può sempre
ritrovare utilizzando con un po’ di accortezza
il cambio a sei marce, senza dover rinunce in
termini di comfort acustico. Sotto il profilo dinamico, alla stregua della posizione di guida, la
Sportage non offre un comportamento particolarmente sportivo: l’assetto è morbido, la vettura
tende a muoversi in curva seppur senza esagerare, e lo sterzo è tutt’altro che rapido anche se ben
servoassistito. Si tratta di un’impostazione voluta, che strizza l’occhio alle famiglie ed ai grandi
chilometristi piuttosto che a chi cerca emozioni
tra le curve.
In conclusione
La nuova Sportage non introduce elementi che
sconvolgono l’idea stilistica della versione vista
sino ad oggi in concessionaria. A cambiare sono
alcuni contenuti e la disponibilità della nuova alimentazione a GPL che può davvero rappresentare una scelta interessante sotto molti punti di
vista: in alcune città, ad esempio, marciando a
GPL si può circolare nei giorni di targhe alterne
o di blocco del traffico ma allo stesso tempo vi
sono alcuni sgravi fiscali che possono contribuire ad aumentare il delta convenienza non solo
rispetto al benzina ma anche rispetto al gasolio,
che Kia propone allo stesso prezzo. Da valutare
bene, caso per caso, incentivo per incentivo tenendo ben presente che all’atto pratico il GPL
risulta meno rumoroso del motore a gasolio ma
anche meno prestazionale ai bassi regimi.
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Kia Sportage
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Maserati Quattroporte diesel
L’ultimo tabù
In listino da 98.373 euro la nuova declinazione
dell’ammiraglia italiana infrange anche l’ultimo
tabù Maserati, ovvero il diesel sulla Quattroporte.
Silenziosa, veloce e poco assetata sa essere
anche sportiva. Peccato per alcune
finiture migliorabili
di Emiliano Perucca Orfei
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Turbodiesel all’italiana
Media
I tecnici di Maserati Powertrain, infatti, sono intervenuti su diversi aspetti del progetto per abbassare il livello di rumorosità dell’unità prodotta
a Ferrara da VM: il risultato è quello di un motore
talmente silenzioso da aver richiesto specifici attuatori sonori che animano la guida della vettura
in modalità Sport. Per ottenere questi risultati
è stato riprogettata la turbina, che ora adotta
cuscinetti a sfere ceramiche (più scorrevoli),
ma sono anche stati adottati nuovi collettori di
scarico e scudo paracalore a doppia parete. Anche per la coppa dell’olio ci sono alcune novità
in termini di “strati” visto che tra due pareti di
alluminio è stato inserito del materiale elastico
studiato per attutire le vibrazioni. Il V6 a V di 60°
da 2.987 cc, grazie anche alle modifiche sopra
citate, eroga una potenza massima di 275 CV
a 4.000 giri ed una coppia di 600 Nm disponibili in modo costante tra i 2.000 ed i 2.600 giri.
Un’unità generosa, disponibile anche in una declinazione antisuperbollo da 250 CV e pari coppia massima, anch’essa abbinata ad un cambio
automatico ZF ad 8 rapporti (con software Maserati dedicato) ed alla sola trazione posteriore.
Per chi volesse la trazione integrale bisognerà
invece aspettare il 2015. In termini di prestazioni
la nuova Maserati Quattroporte diesel da 275 CV
fila a 250 km/h di velocità massima assicurando una accelerazione 0-100 km/h in 6,4 secondi
mentre la versione da 250 CV rinuncia a quattro
decimi in accelerazione (6,8 secondi lo 0-100)
ed a 10 km/h in tema di velocità massima. Il consumo di carburante e l’emissione di CO2 si attestano rispettivamente a 6,2 l/100 km e 163 g/km
mentre in termini di omologazione i tecnici Maserati parlano di Euro5+, che vale esattamente
come un’omologazione Euro5 ma fa capire che
con pochi accorgimenti (ed investimenti) l’Euro6
sarebbe immediatamente alla portata.
L
a Quattroporte è stata la prima
Maserati a lanciare il Tridente in
una nuova dimensione, quella del
costruttore di grandi volumi (nel
settore delle dream car, ovviamente) ma non è stata la prima
ad infrangere il tabù del motore diesel, che invece è arrivato per la prima volta a Modena sotto al
cofano della più compatta Ghibli. Un motore non
certamente preso a caso dalla banca organi del
Gruppo Fiat ma pensato e studiato per rendere
al meglio su berline (e SUV...) di media e grossa
dimensione ma di taglio spiccatamente sportivo:
sbagliato dunque pensare che il V6 turbodiesel
della Quattroporte sia lo stesso utilizzato su Lancia Thema e Jeep Grand Cherokee anche se la
base tecnica è sostanzialmente condivisa.
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Prova
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Per clienti che cercano
confort e stile
Lunga 526 cm, larga 195 ed alta 148 (gommata 245/45 e 275/40 su cerchi da 19”, 20” opt a
5.124 euro) la Quattroporte poggia su un passo
di 317 cm e vanta un peso in ordine di marcia di
1.885 kg. Numeri che parlano di lei come una delle berline più generose del mercato, certamente
più in linea con mercati come quelli americani,
cinesi o russi, ma comunque interessanti anche
per l’Europa visto che nel Vecchio Continente
il giro di vetture diesel con potenze comprese
tra i 250 e 300 cv in questo segmento è pari a
circa 15.000 unità l’anno. Un cliente che da una
vettura come la Quattroporte Diesel cerca immagine, stile italiano, ma anche performance e
grande confort di bordo. Proprio a tal riguardo i
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tecnici Maserati hanno scelto di non intervenire
in alcun modo per differenziare la Quattroporte
a gasolio dalle più potenti a benzina, lasciando
dunque inalterato lo stile morbido della plancia,
l’essenzialità dei comandi, la profusione di pelle
e la dotazione tecnologica, che prevede un sistema multimediale dotato di numerosissime funzioni. Quattro porte, cinque posti di cui quattro
davvero comodi, l’ammiraglia modenese pensa
anche ai bagagli senza escludere nessuno grazie
ad una volumetria di ben 530 litri.
Dal vivo: com’è fuori
Di grande effetto scenico la Quattroporte è indubbiamente una vettura ben disegnata e che
riesce nell’impresa di apparire sportiva e slanciata nonostante dimensioni a dir poco “oversize”
per qualunque dei mercati europei. Una vettura
che sin dall’origine strizza l’occhio all’America,
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Prova
Periodico elettronico di informazione motociclistica
alla Cina ed alla Russia (in particolar modo nelle
versioni 4x4) puntando anche su un fascino che
non è sbiadito nella fase più complicata, la prima,
del passaggio da costruttore di nicchia a quello
di volumi decisamente più importanti.
Dal vivo: com’è dentro
Ben costruita e ben disegnata la configurazione interna della Quattroporte è evidentemente
frutto della passione e delle capacità del made in
Italy. Oltre al design della plancia, infatti, quello
che stupisce della Quattroporte è la facilità, la
semplicità e la qualità di alcuni dettagli a cui noi
italiani siamo più abituati a dare attenzione: la
posizione di guida, comoda ma allo stesso tempo sportiva grazie a sedili estremamente ergonomici ed un volante dall’impugnatura perfetta,
la pelle utilizzata per rivestire i sedili o la plancia,
l’Alcantara per il rivestimento del tetto, il design
raffinato della strumentazione sono elementi di
una tradizione del lusso italiano che tutto il mondo ci invidia. Dove, invece, c’è un po’ da migliorare rispetto alla concorrenza di riferimento (quella
tedesca) è nella definizione dei piccoli dettagli: i
pulsanti ai lati del display centrale, ad esempio, o
alcuni elementi plastici cromati per simulare l’effetto metallo non sono in linea con la qualità così
come non abbiamo trovato entusiasmante il feeling trasmesso dalle palette quando si aziona il
cambio in modalità manuale: viste le dimensioni
ci saremmo aspettati un click più determinato ed
una maggiore solidità. Piccole note arrivano anche dal posizionamento del pulsante start, che al
posto di essere in bella vista, pronto a dare vita
ad un sogno, è relegato in un’angolo della plancia nascosto dal volante. Dove la Quattroporte
Diesel è quasi inappuntabile è la parte dinamica. I tecnici Maserati non solo hanno realizzato
un telaio in grado di mettere assieme numerose
esigenze, tra cui quelle della sportività e dello
spazio a bordo, ma lo hanno anche dotato di un
sistema di sospensioni in grado di assicurare un
bilanciamento eccezionale nella guida sportiva
ed un confort di bordo elevatissimo quando si
va a passeggio o si procede a velocità codice in
autostrada. Magia degli ammortizzatori Skyhook, che regolano istante per istante la risposta,
ma anche di un’elettronica che non conosce la
parola “invadenza” e che permette di guidare
dimenticandosi di essere al volante di una super
berlina da 5,3 metri non solo nei tratti veloci ma
anche in quelli più tortuosi e guidati a tal punto
che verrebbe da chiedere a Maserati uno sterzo
ancor più veloce e diretto. Un comportamento,
quello della Quattroporte Diesel, che non fa rimpiangere la scelta di aver comprato un motore
alimentato a gasolio rispetto ad un più nobile
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benzina: la spinta del V6 VM rivisto e corretto
da Maserati Powertrain è davvero eccezionale
e l’abbinamento con il cambio ad 8 marce firmato ZF è davvero quanto di meglio ci si possa
aspettare da un punto di vista confort ma anche
in termini di piacere di guida. Utilizzarlo in modalità manuale, infatti, è davvero un piacere grazie a palette al volante di dimensioni generose e
strategie di cambiata “da Ferrari”, come nel caso
della scalata multipla che può essere attuata in
staccata tenendo premuta la leva di sinistra sino
all’inserimento del rapporto ideale per la curva.
Tanta spinta e consumi contenuti (noi abbiamo
visto 7,9 l/100 km, ma si può fare meglio...) il V6
emiliano, come su Ghibli, dimostra di non temere
alcun confronto anche in termini di sound con i
fratelli a benzina: grazie a degli specifici attuatori
installati posteriormente i tecnici Maserati sono
riusciti a dare alla Quattroporte una timbrica degna di un V8 non solo fuori: quando si attiva la
modalità Sport, infatti, l’abitacolo da supersilenzioso si trasforma in un ambiente decisamente
più “race oriented”: soddisfazioni assicurate.
In conclusione
Ci aveva già stupito su Ghibili ed ora sulla nuova
Quattroporte Diesel il V6 da 275 CV fa davvero
pensare che la scelta di celare un tremila a gasolio sotto al cofano di una Maserati non sia più
qualcosa di classificabile come blasfemo. Va
forte, suona bene, consuma il giusto, la Diesel
sarà perfetto anche per i clienti che non vogliono
rinunciare a nulla quando si renderà disponibile
la versione a trazione integrale, che arriverà tra
alcuni mesi. Buono anche il prezzo: i 98.373 euro
richiesti sono assolutamente in linea con il blasone del brand e la qualità della vettura.
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Range Rover Evoque 9 marce
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Jaguar F-Type Coupé
Pure British
Sport Car
Abbiamo messo alla prova su strada e in pista la nuova
Jaguar F-Type Coupé, che si è dimostrata una pura auto
sportiva, progettata per regalare grandi emozioni
di Matteo Ulrico Hoepli
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Media
V6 oppure i 4 scarichi laterali, apribili… Salite a
bordo sistematevi la seduta ed il volante, bello
sportivo e pieno, perfetto per la guida sportiva
sia in pista che in strada e via… Quando si tocca
il tasto start, c’è solo pura emozione che si sprigiona dagli scarichi, sound super rauco, quasi
piu cattivo il V6 che il V8 , leggermente piu pieno
e morbido. Se siete in pista tenete attivati i controlli di trazione e schiacciate tutto, sennò ci si
gira subito. La F-Type R non scherza, è cattiva,
anzi cattivissima, ma ti dà un sacco di emozioni.
Finalmente un’auto vera.
Esterni: design emozionale e
irresistibile per ogni appassionato
Q
uando si ha la fortuna di
vedere, toccare, guidare e
soprattutto portare in pista
un auto come la Jaguar FType Coupé R, con un rombante e micidiale motore V8
da 550 CV, ci si ricorda cosa sono le vere British
Sport Car. Le mitiche auto a trazione posteriore,
2 posti secchi ma sempre bellissime ed eleganti. Anzi diciamola tutta, sexy&cool come poche
auto, ma veramente poche… Stavolta Jaguar
ha esagerato, ha messo tutta la capacità di ingegneri e designer del gruppo JLR per costruire
una sport car per veri appassionati. Non c’è un
dettaglio che non parli di passione per le 4 ruote. Si mischiano linee e curve degli anni ‘60, della
mamma E-Type di Diabolik, a linee piu moderne
e dinamiche, come ad esempio i super cerchioni da 20 pollici in diverse colorazioni scure e le
luci led. La F-Type Coupé è interamente in alluminio ed è la vettura sportiva più dinamica e
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La gamma F-Type Coupé completa la serie FType, vincitrice del premio World Car Design Of
The Year 2013, con la versione Cabrio, provata
da noi l’anno scorso. La F-Type Coupé incarna la visione stilistica della splendida concept
sportiva C-X16, che ha debuttato al Motor Show
di Francoforte del 2011, con il suo spettacolare
abitacolo arretrato, definito attraverso tre linee
di design. Le prime due linee – condivise con la
F-Type Convertibile – danno forma al possente paraurti anteriore e posteriore, la terza linea
è rappresentata dal sagomato profilo del tetto
della Coupé che offre una silhouette ininterrotta in grado di enfatizzare la spettacolarità visiva
dell’abitacolo affusolato situato fra le possenti
(e sexy) fiancate posteriori. Il tutto condito con
elementi racing, come le prese d’aria anteriori,
sul cofano e laterali, con carbon-look e dai super
cerchioni da 20 pollici “black” (optional in diversi
design e colori). Belli e taglienti i fari a Led posteriori che incorniciano il lato B, forse la parte piu
bella della Coupé, con il tetto spiovente e la coda
tagliata (una rarità) il tutto condito con 4 bellissimi scarichi cromati per la R V8, 2 tromboncini molto anni 70’ per le 2 V6, questi ultimi con
un suono particolarmente rauco ed acuto e dei
meravigliosi “bang-bang” in rilascio. Il portellone
prestazionale che Jaguar abbia mai prodotto.
Quando si scende in pista, c’è poco da dire se
non “bloody sport car”, una spinta vigorosa piena come solo un V8 con turbocompressore sa
dare, 4 scarichi che urlano (aperti grazie ad un
tasto magico) e via per una delle pistae più belle
del mondo, Aragon, dove si sfidano in MotoGP
Valentino, Marquez e Lorenzo… Se dobbiamo
proprio dirvela tutta, correte dal concessionario
e fate un giro di prova… Non vorrete più scendere, questa Jag ti strega, mette subito il guidatore
a proprio agio, è piu facile di quello che si possa
pensare, se non si schiaccia troppo, soprattutto nella versione 3.000 V6. Linee spettacolari
disegnate genialmente da Ian Callum e dal suo
staff, linee alla fine semplici, ma che sottolineano la dinamicità sportiva dell’auto, a partire dalla
“bocca” del giaguaro, al lungo cofano, e poi alla
linea coupé ed ai muscolosi parafanghi che fanno intendere che qui si scherza poco: 340, 380
o 550 CV, 8 marce, 2 tromboncini centrali per la
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posteriore del bagagliaio, con la funzione opzionale di apertura e chiusura elettrica ha oltre 400
litri di spazio – può accogliere comodamente
due set di mazze da golf, meglio della Spider che
ne offre poco meno di 200.
Telaio e carrozzeria
“full aluminium”
Carrozzeria e telaio sono interamente in alluminio. La costruzione del telaio si basa sulla
consolidata esperienza Jaguar nell’uso dell’alluminio, che le conferisce una rigidità torsionale di 33.000 Nm/grado – la Jaguar di serie più
rigida di sempre. Il corpo laterale della F-Type
Coupé è costituito da un singolo pezzo in alluminio stampato, probabilmente il corpo laterale in
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alluminio forgiato a freddo più estremo nell’industria automobilistica, eliminando di fatto la necessità di pannelli multipli e giunture estetiche,
anche il tetto è alluminio o in vetro panoramico,
optional che noi consigliamo in quanto dà molta
luce all’abitacolo che appunto non è enorme. Uno
spoiler posteriore che si alza sopra i 100km/h
automaticamente è situato all’interno della rastremata linea di chiusura della F-TypeCoupé.
L’auto è lunga 4,47 metri e larga 1,92 metri, con
un interasse di 2,62, con un peso, che in pista si
sente, di 1.665 kg per la V8 R e di 1.577 kg per la
V6. Le ruote da 20 pollici “Gyrodyne” con finitura
argento sono di serie sulla F-Type R Coupé, mentre una versione in grigio scuro con tornitura diamantata è disponibile come optional. Come ogni
F-Type con ruote da 20 pollici, la F-Type R Coupé
è disponibile con pneumatici opzionali ad altissime prestazioni , nel nostro caso gli ottimi Pirelli P
Zero 255/35 che, offrono un’ulteriore precisione
nella sterzata e maggiori livelli di aderenza per i
guidatori più appassionati. Le versioni V6, sono
equipaggiate con cerchioni da 18 e 19 pollici la
“S”, optional quelli da 20.
Interni: eleganti e ben rifiniti,
ma come in un cockpit da caccia
Come tutti i modelli della gamma F-Type, l’abitacolo è focalizzato sul guidatore, si sono ispirati
ai cockpit aereonautici. L’abitacolo incentrato
sul guidatore esprime i suoi intenti sportivi con
un volante di piccolo diametro, a fondo piat-
to rivestito in pelle Jet con il logo R, contagiri e
contachilometri sportivi, neri e bianchi, paddles
del cambio in colore oro, come pure il manettino
dei settaggi ed il bottone dell’accensione. Il posto di guida è comodo, ma avremmo preferito
qualche cm in più per i guidatori alti, per quando si vuole “passeggiare”. I sedili Performance
della F-Type R Coupé hanno supporti laterali e
ali sporgenti per un maggior sostegno durante le
curve ad alta velocità. I sedili sono rifiniti in pelle di alta qualità, con una gamma di colori “Jet”
degli interni è offerto con tre opzioni di cuciture
a contrasto – Ivory, Red o Firesand. Il rivestimento alto di gamma della F-Tupe R Coupé include
anche pelle sul pannello strumenti e il cruscotto,
sui braccioli, negli inserti delle portiere e nella
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Prove
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Massima tenuta:
Cambio QuickShift, differenziale
attivo e sospensioni dinamiche
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consolle centrale. Sono disponibili come optional
dei rivestimenti per il cielo dell’abitacolo in pelle
o in pelle scamosciata. Il sistema multimediale è
molto completo. Si possono avere i dati dell’automobile e anche della G-Force per quando si
gira in pista, il navigatore molto chiaro e semplice da usare con il touchscreen, come anche le
altre funzioni. Sistema audio di altissima qualità
standard, ma volendo si può prendere optional il
Meridian da 700W e 12 altoparlanti, anche se tra
il rumore del motore ed il rotolamento dei grandi
pneumatici, l’abitacolo non è particolarmente silenzioso. Semplice e ben disegnato il climatizzatore, con i tre rotelloni in plastica racing morbida
ed al centro le indicazioni della temperatura, con
la chicca dei due bocchettoni centrali dell’aria
che si alzano!
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Motori: tanta potenza con
esplosione di coppia ai medi
La gamma F-Type Coupé è composta di due versioni con il motore V6 da 3.000 cc in versione da
380 (“S”) e 340 CV a 6.500 giri, che consentono di raggiungere i 100 km/ in 4,9 e 5,3 secondi, con una velocità massima rispettivamente di
275 e 260 km/h. La coppia è rispettivamente di
460 Nm di coppia e 450 Nm da 3.500 a 5.000
giri ed i consumi omologati di 9,1 litri e 8,8 litri
per 100km.
La F-Type R Coupé rappresenta il top della
gamma. Alimentata da un V8 Jaguar a benzina
sovralimentato di 5.0 litri interamente in alluminio nella versione da 550 CV a 6.500 giri e 680
Nm di coppia da 2.500 a 5.500 giri, la F-Type R
Coupé raggiunge i 100 km/h in 4,2 secondi con
una velocità massima limitata elettronicamente
di 300 km/h; inoltre è in grado di passare da 80
a 120 km/h in solo 2,4 secondi. Le emissioni di
CO2 sono di 259 g/km con un consumo nel ciclo
omologato di 11,1 litri per 100 km. Tutti i modelli
F-Type – Coupé e Convertibile – sono dotati del
sistema Jaguar Intelligent Stop/Start che, che
con le giuste condizioni, arresta automaticamente il motore quando l’auto si ferma ed il piede del guidatore è sul pedale del freno. Quando
il freno viene rilasciato, il sistema è in grado di
riavviare il motore in meno tempo di quanto impiega il piede del guidatore a passare dal pedale
del freno all’acceleratore. Inavvertibile tra l’altro
e senza vibrazioni. Il sistema consente un risparmio di carburante e una riduzione delle emissioni
fino al 5 per cento.
Tutte le motorizzazioni trasmettono la trazione alle ruote posteriori mediante un cambio
Quickshift a otto marce con controllo sequenziale manuale grazie ai paddles montati sul volante
o tramite la leva centrale SportShift. Per offrire
una gestione sicura e progressiva in linea con la
sua potenza di 550 CV, la top di gamma F-Type R
Coupé dispone di sospensioni specificatamente
tarate e di nuove tecnologie dinamiche. Queste
includono un Electronic Active Differential (EAD)
di seconda generazione e – per la prima volta su
una Jaguar – un Vettorizzatore di Coppia (Torque Vectoring) nel sistema frenante, che operano in parallelo per fornire immediatezza nella risposta e un controllo ai massimi livelli. Il sistema
EAD ridistribuisce automaticamente la coppia
del motore fra le ruote posteriori per garantire
un eccellente controllo al limite, mentre il Vettorizzatore di Coppia, in base alle necessità, applica in modo intelligente e preciso la giusta forza
frenante sulle ruote più interne durante le curve
per aumentare l’agilità. L’abbiamo potuto testare sia su pista che in strada con molta pioggia e
abbiamo trovato il sistema veramente efficace e
utile nella guida sportiva, offre decisamente più
sicurezza e direzionalità nella guida, soprattutto
quando si usano i cavalli. La F-Type R Coupé è
dotata del sistema Jaguar Adaptive Dynamics
(Optional sulla versione S ) che controlla attivamente il movimento verticale del corpo vettura, i
livelli di rollio e beccheggio. Il sistema monitora
continuamente gli input provenienti dal guidatore e l’assetto dell’auto su strada, regolando di
conseguenza gli ammortizzatori fino a 500 volte
al secondo per ottimizzare la stabilità.
Scarichi aperti, sempre
Il sistema commutabile Active Sports Exhaust
della F-Type R Coupé – con i suoi esclusivi quattro terminali di scarico esterni – porta l’emozionante sonorità generata dal motore V8 Jaguar
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strada. La scegliamo di un bellissimo arancione
scuro racing con cerchi “black” da 20 (optional).
Interni neri con particolari Carbon look. Decisamente bella ed adatta al tipo di auto. Accensione, sibilo rauco, schiacciamo subito il bottone
apertura scarichi e mettiamo l’auto in Dynamic,
le altre posizioni, sono normal e pioggia/neve. Il
cambio è morbidissimo, quasi non si sente, ed il
motore è pieno e spinge bene senza esagerare
fino a 2500 giri. Al primo rettilineo schiacciamo in seconda e sentiamo i giri schizzare, dopo
i 3.500 fino ai 6.500 l’auto è una belva, un urlo
stupendo e spinge bene. Ritorniamo a guidare
normale e notiamo che nelle rotonde, in seconda, se si butta giù il gas, si va subito in drift, divertentissimo. In autostrada l’auto è relativamente
comoda, rimettiamo i controllo su “normal” e
le sospensioni diventano decisamente meno
rigide, chiudiamo lo scarico, l’abitacolo diventa
piu silenzioso, anche se abbiamo notato che si
sente, sia lo scarico, che il rotolamento dei pneumatici, alle alte velocità. Riprendiamo una bellissima statale tutta curve, con un bell’asfalto, e
si sente quanto l’auto sia precisa nelle traiettorie, stabile e ottimo il cambio usato in manuale.
Solo nelle curve piu strette abbiamo notato un
assetto un po’ nervoso, molto reattivo, che va
quindi “imparato” per sfruttare l’auto al meglio.
Andando a passeggio, nei bei paesini spagnoli,
facciamo fare tutto alla generosa coppia motore
ed all’ottimo cambio (ZF 8 marce) messo in Drive. Bene, dopo 160 km siamo arrivati ad Aragon,
adesso ci attende la Belva da 550 CV…. Il giorno
dopo abbiamo avuto il V8 in strada, sotto la pioggia battente, ed abbiamo apprezzato la modalità
di guida (che agisce su cambio/motore/assetto/sterzo) “Pioggia/neve” che ci permettevano
di divertirsi in tutta sicurezza. Abbiamo trovato
la R meno nervosa d’assetto, e sfruttando la coppia motore impressionante, abbiamo pennellato
La prova in video sulla pista di Aragon - parte 1
Turbocompresso da 550 CV a nuovi livelli. Offre
un suono autentico e ricco, che si sviluppa in
un crescendo urlante fino a quasi 7.000 giri. Il
sistema utilizza bypass controllati elettronicamente nella sezione posteriore dello scarico, che
sono tarati per aprirsi secondo una determinata
gamma di parametri, modificando efficacemente la circolazione dei gas di scarico in un flusso
regolare e lineare, per ridurre la contropressione ed aumentare la qualità del suono. Le valvole
bypass si aprono selezionando la modalità Dynamic, oppure sorpassati i 3500 giri circa. Anche
la 3.000 cc offre un sistema simile, con optional
il bottone per tenere sempre aperti gli scarichi,
con il doppio tromboncino centrale.
Freni super, Brembo of course
La F-Type R Coupé utilizza il sistema frenante Jaguar Super Performance di serie. Questo
sistema monta dischi anteriori da 380 mm e
posteriori da 376 mm – con pinze verniciate in
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rosso o in nero. I modelli F-Type R e F-Type S
Coupé possono avere come optional i freni a
Matrice Carboceramica (CCM – Carbon Ceramic Matrix) che offrono un’assoluta uniformità
di prestazioni e una eccellente resistenza al “fading” cioè alla diminuzione dell’efficienza, oltre
ad un non trascurabile risparmio complessivo in
termini di peso di 21 kg, i sistemi sono costruiti
dalla italianissima Brembo. Sei pistoncini anteriori su dischi da 398mm e 4 pistoncini al posteriore con dischi da 380mm, il massimo! Sono
molto morbidi all’uso, progressivi, e incredibilmente efficaci, soprattutto in pista dopo diversi
giri. Anche sotto la pioggia hanno mantenuto
ottime caratteristiche di frenata. Hanno però un
usura relativamente piu veloce.
Su strada, divertente e precisa
Appena arrivati a Lérida, Spagna, ci consegnano la versione V6 3.000 cc da 380 CV, la F-Type
“S”, forse la più equilibrata ed utilizzabile in
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si esce con il full gas da una 90 sinistra e si vedono i 2 km di rettilineo, quarta , quinta, limitatore,
sesta, 250…e vai! La F-Type invoglia a spingere,
ma adesso c’è il tornantino da 250 gradi a sinistra, le MotoGP arrivano a oltre 300km/h, come
fanno? Noi abbiamo i Brembo carboceramici da
398 mm, spettacolari, Pirelli P-zero al limite della scivolata staccata bestiale in terza. Curva da
incrocio mani, terza appoggio, poi quarta piena
con leggero drift (i 550cv si sentono!) e salita a
sinistra dove abbiamo inserito la quinta, ecco
l’arrivo, si passa di nuovo a oltre 200….adrenalina pura, grande Jag!
Consumi, meglio del previsto
Un discorso a parte sui consumi, infatti bisogna
dire che grazie alla tecnologia, quindi a motori
sempre piu’ efficienti, grazie ad elettronica, turbo e cambi a 8 marce, i consumi di motori con
380 CV e 550 CV assomigliano più ai quelli di 5
anni fa fatti redistrare da auto con 200 CV. Incredibile. Morale, da computer di bordo, abbiamo visto nella guida mista, autostrada, statale
con guida “dinamica” un bel 12,5 litri per 100 km
sulla V6 3.000, con 380 CV, e invece 14,7 litri ai
100km, quindi oltre 7 con un litro per la 550 CV
V8, assolutamente incredibile: una volta un’auto
simile avrebbe fatto si e no 3-4 km con un litro.
Tutto questo è possibile grazie al minor peso, ai
turbo che danno una coppia ottimizzata ai bassi regimi, e quindi si usano meno i giri alti, e ovviamente al cambio a 8 marce che ottimizza al
massimo l’uso della benzina avendo sempre la
marcia migliore. I tecnici Jaguar hanno proprio
fatto un buon lavoro. Abbiamo anche testato le
auto con un economy run a 120 all’ora fissi in autostrada, e abbiamo visto oltre 10 con un litro per
la V6 e 11,5litri ai 100 per la V8.
La prova in video sulla pista di Aragon - parte 2
le strade di montagna della bassa Catalogna.
Incredibile l’aiuto che si ha dal differenziale posteriore attivo “EAD”, più sterzi, più l’auto va in
curva, migliorando il sovrasterzo e la precisone
di guida. L’abbiamo trovata veramente una bella
innovazione per le auto sportive. Comunque con
i 550 CV non si scherza, va quindi sempre guidata con consapevolezza e prudenza, è quindi
un’auto impegnativa, non per tutti.
In pista, un giro in ad Aragon…
Giù tutto con la F-Type!
Dopo 2 giri di “lezione” con il pilota “pro” per
imparare la pista ci danno il posto di guida.
Sentiamo il V8, i 550 CV, i 680 nm di coppia. Sistemiamo la posizione di guida, volante basso,
casco allacciato. Ad Aragon non si scherza, ci
sono diverse pendenze, curve e controcurve a
90 gradi e soprattutto un rettilineo di quasi 2 km
dove si superano i 250 all’ora. Primo giro, cerchiamo di memorizzare traiettorie, cambiate e
tenuta dell’auto, ma lo sappiamo già, poi sarà un
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“tutto giù”, emozioni ed adrenalina al limite, e
tanto coraggio a tenere giù tutto e fare le staccate al limite con i carboceramici. Iniziamo il
lungo rettilineo dello start, pensiamo a Valentino
e Marquez ingarellati, mi sale l’emozione e giù
tutto, quarta e quinta marcia, passiamo sotto a
oltre 200 km/ora, inizia il giro. Frenata potente
con i carboceramici, terza, 90 sinistra, giù tutto,
drift controllato, e via per la seconda curva, quarta per la salita mezza curva a destra appoggio, e
sinistra 90 in terza piena, uscita in drift, via il gas,
destra 90 e via quarta per la chicane in discesa,
difficilissima, frenata terza (sarebbe da seconda, ma poi il drift diventa “potente”) destra, sinistra in discesa, e curvone in salita da 30 gradi
da prendere in piena quarta e poi quinta, si vede
solo in cielo, ma devo tenere giù tutto mi dice il
“pro Pilot”. In cima, frenata al limite discesa e sinistra 90 da terza, il dietro sbanda lo si tiene, e
sempre in terza ci si avvicina alla seconda chicane in discesa, tutto in terza, il V8 è molto generoso, spinge forte da 2.000 fino a oltre 6.500 giri,
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Prova
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Conclusioni: un’auto
per pochi, veri appassionati
Dopo quello che vi abbiamo comunicato, credo che sia chiaro... La Jaguar F-Type Coupé, è
un’auto per pochi privilegiati, veri appassionati
d’auto. Un’auto che va guidata goduta, portata
sui passi e magari in pista. Ovviamente ci potete
passeggiare al mare…se volete, ma dubito che
chi la compri non voglia sentire l’urlo dei 6.500
giri. Sarebbe un peccato. Comunque una perfetta seconda auto, divertente, con dei consumi di
fatto contenuti per i cavalli che offre, e che fa fare
un gran figurone. Perfetta per i Single, o per chi
dopo “tante famigliari”, vuol tornare a sentire la
strada…ma mi raccomando, tenete sempre attivi i controlli di trazione . Ah, giusto i prezzi, per
la “mitica” R si parte da circa 108.000 euro, già
ben accessoriata, e per la V6 da 340 CV si parte
da poco meno di 70.000 euro, ma per renderla
“cattiva” con gli optional si sale di prezzo.
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Jaguar F-Type Coupé
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Media
Mercedes-Benz CLS restyling
svelata nella versione definitiva
E’ stata svelata dalla Casa di Stoccarda la Mercedes CLS restyling,
che porta al debutto inedite tecnologie per gruppi ottici ed interno
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D
opo averla anticipata con un teaser
che ne mostrava gli innovativi gruppi
ottici, la Casa di Stoccarda ha fatto
cadere i veli dalla Mercedes-Benz
CLS restyling, che si rinnova nello stile e nelle
dotazioni allo scopo di incrementare il suo già
apprezzato appeal. Elemento principale della
rivisitazione stilistica della Mercedes CLS sono
appunto i gruppi ottici, che guadagnano la tecnologia LED Multibeam allo scopo di promettere
maggior visibilità senza però inficiare la sicurezza degli altri utenti della strada. L’intensità dei
LED viene regolata in automatico dal sistema
di gestione, che interviene 100 volte al secondo
sfruttando sia una videocamera che quattro unità di controllo, regolando così in maniera autonoma il fascio di luce allo scopo di non abbagliare
chi arriva dall’altra parte della strada, predisponendo inoltre per tempo l’illuminazione di curve
e rotonde che verranno grazie ad una sinergia
con il sistema di navigazione satellitare. All’interno della Mercedes CLS restyling debuttano
un nuovo display a colori da otto pollici, ed una
versione aggiornata del volante a tre razze. Al di
sotto del cofano della Mercedes CLS restyling
pulseranno diverse motorizzazioni, andando
così a costituire una gamma composta da CLS
220 BlueTEC, CLS 250 BlueTEC, CLS 350 BlueTEC, CLS 400 e CLS AMG. La CLS 220 BlueTEC
è alimentata da un 2.1 litri turbodiesel quadricilindrico da 170 CV e 400 Nm. Lo stesso motore,
declinato però nella versione di potenza da 204
CV e 500 Nm muove invece la CLS 250 BlueTEC.
La CLS 350 BlueTEC può invece contare su un
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V6 diesel da 3.0 litri in grado di erogare 258 CV
di potenza e 620 Nm di coppia massima. In luogo della CLS 350 CGI troviamo ora invece la CLS
400, che viene mossa da un V6 bi-turbo da 333
CV e 480 Nm. Lo step successivo è rappresentato dalla CLS 500, che permette alla rinnovata
vettura della Stella di disporre di 408 CV e 600
Nm. Al vertice della gamma troviamo infine il V8
bi-turbo da 5.5 litri capace di sviluppare 557 CV
di potenza e 720 Nm di coppia massima destinato a pulsare al di sotto del cofano della versione
AMG di CLS e CLS Shooting Brake, valori che
crescono fino a 585 CV e 800 Nm per la versione
S-Model. Al fianco di CLS 220 BlueTEC, CLS 250
BlueTEC, CLS 350 BlueTEC e CLS 500 è possibile ordinare il cambio automatico a nove rapporti
9G-TRONIC, che si promette di abbattere il consumo di carburante, mentre tutti i motori sono
ora in grado di soddisfare la normativa Euro6.
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Media
di scarico speciale in titanio e montando cerchi
in lega da 21 pollici ultra-leggeri, che peraltro
vengono abbinati a pneumatici Pirelli ad altissime prestazioni. Questa versione inoltre si dimostra ancora più potente della Continental GT V8
S. L’otto cilindri biturbo da 4.0 litri è stato portato da 528 a 580 CV a 6.000 giri/min mentre la
coppia è schizzata da 680 a 700 Nm, disponibile
già a 1.700 giri. Il cambio rimane affidato al collaudatissimo ZF a otto marce, mentre la trazione
è rigorosamente integrale.
Prestazioni elevatissime
Grazie a queste caratteristiche la Continental
GT3-R è in grado di scattare da 0 a 100 km/h in
3,8 secondi, risultando così 0,7 secondi più veloce della già citata GT V8 S. Migliorata grazie
a rapporti più ravvicinati anche la velocità massima che è passata da 273 a 309 km/h. Questa
versione verrà realizzata in soli 300 esemplari
numerati, tutti caratterizzati dalla tinta Glacier
White con dettagli in fibra di carbonio nero lucido
e grafiche bicolori.
Bentley Continental GT3-R
meno peso, ancora più potenza
La Casa di Crewe ha svelato l’inedita Bentley Continental GT3-R,
che promette di regalare prestazioni ancora più elevate grazie a
maggiore potenza e un corpo più leggero
L
a Casa di Crewe ha svelato l’inedita
Bentley Continental GT3-R. Ispirata alla
versione da competizione Continental
GT3, questa nuova vettura promette di
regalare prestazioni ancora più elevate grazie a
maggiore potenza e un corpo più leggero.
- 100 kg
Rispetto ad una tradizionale Continental la GT3R pesa 100 kg in meno, un risultato raggiunto togliendo i sedili posteriori, utilizzando un sistema
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quadro strumenti spicca il display TFT ad alta risoluzione che mette a disposizione una bussola
e indicazioni supplementari di navigazione, oltre
a tutte le informazioni utili fornite dal computer
di bordo. La nuova Navara può vantare inoltre un
telaio ad alta resistenza rivisto abbinato a nuove
sospensioni pensate appositamente per adattarsi ad un intenso utilizzo quotidiano. Gli ingegneri giapponesi sono riusciti a ridurre l’angolo
di sterzata, in modo da rendere il pick-up più agile anche sulle strade cittadine.
Motori: 2.5 diesel e benzina
Sotto al cofano pulsa un rivisto 4 cilindri 2.5 litri
a gasolio disponibile nella versione da 163 CV e
403 Nm e in quella ancora più prestazionale da
190 CV e 450 Nm. Secondo la casa la rinnovato
motorizzazione promette di risultare più efficiente del 30% rispetto al passato.
La gamma motori include anche un quattro cilindri benzina da 2.5 litri, mentre tutte le unità
sono abbinabile al classico manuale a sei marce
o al più raffinato automatico a sette rapporti. La
trazione integrale 4x4 può essere attivata mentre si è in movimento ed è affiancata da tutta una
serie di moderni dispositivi elettronici come l’Hill
Descent Control, l’Hill Start Assist, l’Active Brake Limited Slip e il Vehicle Dynamic Control. Al
momento non si conoscono dettagli e prezzi per
il mercato italiano.
Nuova Nissan Navara
più elegante ma fedele alle origini
La nuova Nissan Navara, rimane un classico pick-up, tutto praticità
e concretezza, ma si concede un’aria più elegante e raffinata
S
ono stati svelati tutti i dettagli della
nuova Nissan Navara, un modello
storico della gamma del costruttore
giapponese che arriva alla dodicesima generazione. Il nuovo modello si nota subito per un design molto più curato ed elegante
rispetto al passato e per l’ormai immancabile
calandra a “V” che caratterizza tutti i più recenti
modelli del marchio nipponico.
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Ora è più elegante
La Navara, rimane un classico pick-up, tutto praticità e concretezza, ma si concede perfino una
serie di cromature e raffinate luci diurne a led,
oltre ad indicatori di direzione laterali collocati
sugli specchietti retrovisori. Anche all’interno
si respira un’aria molto più raffinata rispetto a
prima, con materiali più gradevoli alla vista e
perfino alcune finiture in alluminio. Al centro del
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suggerita dal marchio SD. Sotto al cofano pulsa
un 2.o TwinPower Turbo a quattro cilindri in grado di sviluppare 170 CV e 360 Nm di coppia, che
permette alla hatchback del marchio britannico
di accelerare da 0 a 100 km/h in 7,3 secondi se
equipaggiata con cambio manuale e in 7,2 qualora si scelga l’automatico Steptronic a sei rapporti. I consumi di carburante dichiarate variano da
4,0 a 4,1 l/100 km a seconda delle versioni, con
le emissioni di CO2 che possono variare da un
minimo di 104 g/km ad un massimo di 110 g/km.
One First: l’economa a benzina
Completamente di pasta opposta la One First,
che viene spinta da un tre cilindri 1.2 litri a benzina TwinPower Turbo in grado di erogare 75 CV
e 150 Nm di coppia. Questo motore consente di
scattare da 0 a 100 km/h in 12,8 secondi ma promette consumi compresi da un minimo di 5,0 ad
un massimo di 5,2 l/100 km, con le emissioni che
spaziano da 117 a 122 g/km. Entrambi i modelli
sono attesi sul mercato britannico nel corso del
mese di luglio, non si conoscono tempi di commercializzazione e prezzi previsti per l’Italia.
Nuove Mini Cooper SD e One First
una sportiva a gasolio,
l’altra virtuosa a benzina
La famiglia Mini si appresta ad allargarsi con l’arrivo imminente della
nuova Cooper SD, la variante più prestazionale a gasolio, a cui si
affiancherà la parsimoniosa One First a benzina da 75 CV
L
a famiglia Mini si appresta ad allargarsi
con l’arrivo imminente della nuova Cooper SD, la variante più prestazionale a
gasolio pensata per chi non vuole rinunciare alle prestazioni, con un occhio di riguardo
ai consumi.
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Cooper SD: ora è davvero
una sportiva a gasolio
Rispetto al modello di generazione precedente,
quando poteva vantare 143 CV, la nuova Mini Cooper SD guadagna un motore più potente, che si
meglio si sposa con l’idea di “sportiva a gasolio”,
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i cerchi in lega sempre in colorazione oro, oltre
che per la presenza del Race Pack che include il
Dynamic Performance Management, per regolare la risposta della vettura a seconda delle necessità, oltre che per i freni ad alte prestazioni e
gli pneumatici Pirelli P-Zero Trofeo. Anche all’interno continua a dominare l’abbinamento cromatico della carrozzeria, il tutto condito da sedili
sportivi in pelle bicolore. I passeggeri possono
disporre dell’aria condizionata (un dettaglio per
nulla scontato trattandosi di una Lotus), mentre
una placca in fibra di carbonio riporta il numero
dell’esemplare appartenente a questa edizione
limitata.
Sei cilindri da 350 CV: un must
Il cuore della Exige LF1 è il noto V6 da 3.5 litri in
grado di erogare 350 CV e 400 Nm di coppia, che
permette uno scatto da 0 a 100 km/h in 4 secondi netti e una velocità massima di 274 km/h. I
clienti riceveranno anche il pacchetto “Exige LF1
Membership” che include un tour della fabbrica
Lotus di Hethel ma anche del Lotus F1 Team con
sede ad Enstone, oltre ad una replica del casco
di Romain Grosjean in scala 1:2, un portachiavi
firmato Lotus, una chiavetta USB del Lotus F1
Team e vari sconti sul merchandise marchiato
Lotus. La produzione della Exige LF1 sarà limitata ad 81 unità, disponibili su tutti i mercati tranne
che negli Stati Uniti.
Lotus Exige LF1
81 esemplari per celebrare
la presenza in F1
Per celebrare la sua presenza in Formula 1, la Casa di Hethel ha
presentato la Lotus Exige LF1, edizione limitata a soli 81 esemplari,
con soluzioni stilistiche davvero pregevoli
L
a Casa di Hethel ha presentato la nuova
Lotus Exige LF1, edizione speciale realizzata in edizione limitata per celebrare
la presenza del marchio britannico nel
Campionato del Mondo di Formula 1.
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Look inconfondibile
Basata sulla Exige S, la LF1 si distingue immediatamente per il colore nero della carrozzeria
abbinato a tutta una serie di dettagli verniciati di
rosso e oro. Questa versione si distingue poi per
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Intervista
luca De Meo, audi
«Avvicineremo il Motorsport alle
concessionarie partendo da RS»
di Emiliano Perucca Orfei | Luca De Meo, Responsabile globale per
vendite e marketing e membro del board Audi, ci ha spiegato come
la Casa dei Quattro Anelli sia impegnata ad avvicinare sempre più il
motorsport alla distribuzione, puntando su customer racing,
merchandising e gamma RS
A
A margine della 24 Ore di Le
Mans, dove anche quest’anno,
contro ogni aspettativa, si è
imposta con forza ancora una
volta la Casa dei Quattro Anelli,
abbiamo avuto modo di parlare
con Luca De Meo, Responsabile globale per vendite e marketing e membro del board Audi.
una parte della nostra rete di
concessionari a specializzarsi
sul mondo sportivo. Soltanto
questi dealer saranno quelli
che venderanno la R8 e tutta
la gamma RS, in modo da interfacciarsi meglio con questo
tipo di clientela. Una clientela
molto particolare e preparata».
Ancora una volta avete dato
una prova di forza incredibile
nel motorsport con una doppietta indimenticabile a Le
Mans. Avete pensato a come
sfruttare questo vantaggio
anche sul mercato?
«Oltre ai concetti Audi quattro,
Audi ultra e Audi e-tron vogliamo sviluppare molto il mondo
Audi Sport. L’idea è quella di
collegare il motorsport alla distribuzione in maniera molto
più diretta rispetto al passato.
Prima di tutto vogliamo puntare con più forza sul customer
racing, ma anche sul merchandising e poi vogliamo portare
L’idea sembra proprio quella
di dare vita a concessionarie dedicate alla gamma RS.
Avete già incominciato? E in
Italia?
«Abbiamo avviato il primo progetto pilota in Inghilterra. In
Italia non abbiamo ancora incominciato, ma in ogni caso non
vogliamo escludere nessuno. Il
nostro obiettivo rimane sempre quello di far guadagnare e
crescere le nostre concessionarie e di metterle nella condizione di fare profitti».
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Avete creato molti sub-brand
Audi su cui sembrate credere
molto, soprattutto a livello di
comunicazione. I clienti non
rischiano però di essere disorientati?
« I nostri brand - Audi ultra,
Audi quattro, Audi Sport, Audi
e-tron ecc. - non fanno parte
di una strategia di marketing,
nuda e cruda, fine a se stessa,
ma nascondono dietro un mondo vero, fatto di persone che
ogni giorno studiano e sviluppano nuovi sistemi e tecnologie all’avanguardia. Per questo
motivo riusciamo ad essere
veramente credibili, perché i
nostri clienti capiscono che i
marchi della famiglia Audi sono
sinonimo di vere realtà di eccellenza, e non mosse pubblicitarie. Quando diventi un marchio
che produce 1 milione e mezzo
di pezzi assumi una dimensione
industriale nuova. Audi è come
se fosse diventata un diamante
con diverse facce, che brilla di
luce diversa in qualunque posizione la si guardi».
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Quali sono i sub-brand più forti oggi e quanto contano realmente?
«Per creare l’immagine di un
marchio, o anche di sottomarchi, servono 30 anni. Oggi per
esempio, parlando del mondo
Audi, tutti conoscono quattro
e TDI mentre per far crescere
gli altri nostri brand dovremo
aspettare. Sono certamente
importanti i sub-brand e danno
una grossa mano, ma è chiaro che il centro rimane Audi, i
clienti ci conoscono e ci scelgono per il marchio dei Quattro
Anelli».
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Il marchio Audi ultra è ancora
concentrato sullo sviluppo di
tencologie lightweight?
«Audi ultra non rappresenta
solo il mondo delle tecnologie
lightweight. Era così in passato
ora è sinonimo di tutte le nostre
più recenti tecnologie, a 360°».
Winterkorn, CEO del Gruppo
VW, ha detto che i modelli si
evolveranno con molta più
velocità rispetto al passato.
Come si traduce questo concetto in casa Audi?
«Accorciare i cicli di vita dei
prodotti non mi sembra una
soluzione fattibile per il nostro
marchio, che opera spesso in
mercati maturi come l’Europa.
Ci avevano già provato diversi
anni fa alcuni marchi giapponesi, che avevano accorciato il
ciclo di vita a quattro anni, ma
loro puntavano a mercati di
conquista e comunque quell’esperienza non diede i frutti sperati. Secondo me il vero tema
è come rinnovare il prodotto
all’interno del ciclo di vita, separando sempre più l’hardware
dal software. Un discorso che
diventa ancora più interessante per lo sviluppo del mercato
usato. Dopo 8 anni per esempio un sistema multimediale è
diventato veramente obsoleto,
sarebbe bello poter intervenire
su alcuni aspetti dando ai clienti la possibilità di aggiornarli nel
tempo».
Come considera la rivalità
nell’endurance tra i cugini di
Audi e Porsche?
«Prima di tutto il ritorno di Porsche non può che giovare ad
Audi perché in questo modo
si parla sempre di più di questo campionato e guadagniamo tutti in visibilità. Paragono
questa situazione a quella dei
club e della Nazionale di calcio.
I giocatori possono cambiare
casacca e andare a giocare per
l’una o per l’altra squadra, ma
alla fine quando sono ai Mondiali giocano tutti per la stessa
causa. E Porsche e Audi cambattono in maniera leale, ma
alla fine fanno il gioco dello
stesso Gruppo». Audi ultimamente ha ricevuto diverse critiche per un stile considerato
troppo conservativo.
Come considera queste
obiezioni?
«Ultimamamente siamo stati
molto criticati a livello di design,
perché hanno accusato Audi di
evolversi troppo lentamente e
di presentare sempre modelli
troppo uguali alla generazione
precedente. Io rispondo che
bisogna guardare i numeri. Nel
2009, solo cinque anni fa, Audi
produceva meno di 1 milione di
auto, oggi invece il traguardo
del milione lo abbiamo abbondantemente superato. È vero,
ci siamo imposti in Cina, ma
vendere auto ai cinesi non è
facile, anzi. La Repubblica Popolare è forse il mercato dove
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
Intervista
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è più difficile vendere ed affermarsi».
Dobbiamo aspettarci qualcosa di nuovo in futuro in termine di design?
«Come spiega sempre Walter
De Silva Mercedes ha avuto la
Stella a tre punte, BMW il doppio rene. Audi aveva bisogno di
due generazioni di prodotti per
creare una forte identità. Bene,
ora che ci siamo riusciti siamo
pronti per un grande salto in
termini di stile, che vedremo
già sui modelli di prossima generazione, anche se è chiaro
che manterremo sempre una
forte identità».
Il Gruppo VW cresce in maniera esponenziale e continua a
70
macinare record di vendite.
Come mai non riesce ad imporsi con una prova di forza
anche negli Stati Uniti?
«La situazione di Audi in America è molto cambiata negli ultimi anni, perché è cambiata la
percezione del brand. Abbiamo
creato delle basi solide, fondamentali per garantirci una
grande crescita. Non facciamo
salti epocali, ma continuiamo a
crescere in maniera costante,
quest’anno, fino ad ora, abbiamo fatto registrare negli Usa
un +10%. Il nostro obiettivo è
di arrivare a vendere negli Stati Uniti 200.000 macchine nel
2020 (157.000 unità nel 2013),
un obiettivo lontano da quello
che fanno Mercedes e BMW,
ma quello che conta è che
anche noi arriveremo a quei risultati, col tempo».
Come sta andando
l’esperienza con Ducati?
«Anche questa volta abbiamo
dimostrato in maniera concreta che un nuovo marchio che
entra a far parte della nostra
famiglia non deve temere una
perdita di identità, ma nemmeno del suo management e della
sua cultura.
Certo ora Ducati fa parte di una
grande famiglia e sono cambiate alcune cose, per esempio c’è
molta più attenzione alla qualità ed al dettaglio.
Lavorano in autonomia, ma
è chiaro che c’è un contatto
costante e diretto con Ingolstadt».
Il nostro obiettivo è di arrivare a vendere
negli Stati Uniti 200.000 macchine nel 2020
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Attualità
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Ricarica wireless (induttiva) significa ricarica
senza contatto. Il termine tecnico esatto è inductive power transfer, che però è generico e non è
detto sia senza contatto. Vi descriviamo come
funziona questo sistema, che nel giro di pochi
anni potrebbe trovare applicazione nel settore
automotive, consentendo la ricarica dell’auto
elettrica senza contatto. Wireless appunto, a
veicolo fermo o persino in movimento. Nel 2017
il Gruppo Volkswagen potrebbe essere pronto a
fare debuttare la ricarica wireless sull’auto elettrica. Gli ingegneri tedeschi stanno sviluppando
questa tecnologia da anni e sono in piena fase
di sviluppo. Anche Toyota è pronta con le Prius
ad avviare la fase di prova del sistema di ricarica
wireless, basterà parcheggiare l’auto nella specifica piazzola, sopra l’induttore, per avere la Prius
caricata in circa un’ora e mezza. Il problema oggi
riguarda gli standard che le diverse case dovranno adottare, problema che si è già posto per le
colonnine di ricarica (che presentano spine diverse a seconda del produttore). È essenziale
che le aziende stabiliscano in tempi brevi uno
standard comune. Il rischio, detto in parole semplici, è che si abbiano tanti sistemi diversi quanti
sono i produttori (come accadeva con il caricabatteria dei telefonini prima che fosse imposto lo
standard micro-USB).
Cosa dicono gli esperti
del Politecnico di Milano
Ricarica Wireless per le auto
la spina ha i giorni contati?
di Andrea Perfetti | Siamo stati al Politecnico di Milano per conoscere
tutti i pro e i contro della ricarica senza contatto dei veicoli elettrici.
Volkswagen e Toyota si dichiarano pronte, ma è davvero questo il futuro
dell’auto?
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Per capire se la ricarica wireless è davvero pronta e quali vantaggi e svantaggi porta con sé, siamo stati al Politecnico di Milano, dove abbiamo
incontrato due massimi esperti della materia: il
professor Francesco Castelli Dezza (Associate
Professor – Department of Mechanical Engineering) e il ricercatore Davide Tarsitano (Assistant
Professor - Department of Mechanical Engineering), che fanno parte del road vehicle dynamics
research group del dipartimento di Meccanica
del Politecnico di Milano, coordinato dal professor Federico Cheli. Saranno i due docenti, nelle
righe che seguono, a rispondere coralmente alle
nostre domande e a fare chiarezza sulla ricarica
elettrica induttiva e sulla ricarica in genere dei
veicoli elettrici.
Come funziona la ricarica wireless?
«Ci sono tre modalità differenti che implicano
tecnologie diverse. La prima è senza contatto ma
con i due oggetti molto vicini: c’è contatto meccanico, ma non elettrico. È il principio di funzionamento del trasformatore elettrico. Il classico
esempio è quello degli spazzolini elettrici o delle
caffettiere elettriche. La seconda soluzione viene
adottata in questo ultimo periodo e prevede una
certa distanza (fino a 10-20 cm) tra il veicolo e il
punto di ricarica. In questo modo non si rischia di
prendere la scossa e non è richiesto il posizionamento precisissisimo del mezzo per procedere
alla ricarica, non c’è bisogno dell’incastro meccanico. È come avere una presa, ma senza il contatto fisico. Dà grande libertà d’azione: il mezzo
può arrivare alla fermata e ricaricarsi, basta che
stia all’interno di una sagoma. La terza via prevede invece che nell’asfalto sia inserito un lungo
conduttore percorso da corrente (o tanti piccoli
conduttori), che crea un campo magnetico, in
modo che il veicolo si ricarichi mentre sta andando, quindi con continuità. Ciò riduce drasticamente la presenza di batterie a bordo, il veicolo
diventa come un filobus ma senza fili. L’oggetto
è continuamente alimentato. Si riducono il peso
e il costo delle batterie, che sono il grosso limite
dei veicoli elettrici di oggi, in cui metà del costo
dipende dalle batterie, che hanno una durata
massima di circa quattro anni. Aggiungerei l’impatto pesantemente negativo di tale soluzione
sull’infrastruttura».
La vita della batteria e
l’importanza della ricarica lenta
«Quando il mezzo è puramente elettrico, la batteria ha una vita maggiore perché non si chiedono grossi spunti. La vita della batterie è invece
inferiore sui mezzi ibridi, che hanno accumulatori più piccoli a cui si chiedono importanti spunti
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Attualità
Periodico elettronico di informazione motociclistica
aspetto. Oggi tutti i mezzi elettrici sono diversi,
si sta arrivando solo ora alla standardizzazione
delle prese presso le colonnine. E lo stesso dovrà
per forza di cose essere fatto con la ricarica wireless, al fine di avere sistemi compatibili con le
auto fornite da costruttori diversi».
Tra i vari sistemi, ce n’è qualcuno in fase
avanzata, pronto per l’industrializzazione?
«Oggi diremmo di no. C’è solo un’azienda legata all’Università di Oakland, acquistata dalla
Qualcomm (è una società di ricerca e sviluppo
nel campo delle telecomunicazioni senza fili con
sede a San Diego, in California. NDA), che sta lavorando alla ricarica a distanza (15/20 cm) e ci
crede. Un’altra soluzione presente sul mercato
è “plugless”, prodotta da Evatran Group, Wytheville, VA. Presenta caratteristiche tecniche del
tutto simili alla precedente.. Altri enti coinvolti
e numerosi cicli di carica e scarica giornalieri.
La vita media delle batterie delle auto elettriche
si sta avvicinando molto alla vita dell’auto stessa (con 2/3.000 cicli di ricarica; il fine vita della
cella corrisponde all’80% della capacità di carica
della batteria). Dieci anni sono alla portata quindi delle batterie moderne». «Le batterie vanno
caricate con cura, con un tempo significativo.
Psicologicamente questo rappresenta un altro
limite, anche se oggi si sente parlare sempre più
di ricarica rapida. Oggi la ricarica veloce è realtà,
basta avere tanta potenza al contatore (a casa
è impossibile). Va però considerato come una
ricarica troppo veloce possa deteriorare rapidamente la batteria. La batteria si carica correttamente in circa tre ore: cariche più rapide fanno
male alla batteria, gli elettrodi si consumano
prima, la batteria si scalda molto (di più rispetto
alla scarica rapida). La carica veloce può essere
fatta occasionalmente, se ripetuta danneggia la
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sono soprattutto a livello universitario, ma oggi è
ancora prematuro capire quando saranno industrializzati i sistemi di ricarica wireless dei veicoli.
Si potrebbe partire con piccole flotte municipalizzate, mentre è difficile proporre una soluzione
di questo tipo al settore automotive. Siamo ancora nella fase prototipale di sperimentazione».
Esiste anche un problema di rete?
«Per avere una rete di ricarica wireless, a ben
guardare, basterebbe utilizzare la rete esistente
oggi, fatta di colonnine. Questi punti sarebbero
infatti già di per sé idonei a consentire la ricarica wireless a veicolo fermo (diverso è invece il
discorso della ricarica induttiva a veicolo in movimento). Cambia solo il mezzo con cui viene
trasferita l’energia; il problema non è la distribuzione, quanto la contabilizzazione dell’energia.
Bisogna capire come far pagare l’energia».
batteria riducendone la durata; è quindi adatta
alle emergenze. Bisogna tener presente che le
batterie stanno migliorando, si sta lavorando a
elementi che possano ricevere cariche rapide
senza deteriorarsi».
Quando conviene la ricarica wireless?
«Il problema grosso della ricarica induttiva consiste nel capire su chi ricade il costo della infrastruttura a terra. Il resto, vale a dire l’aspetto
tecnologico, non è così complesso a livello di
principio. Semmai il problema è che non esiste
ancora uno standard tecnologico accettato da
tutti e che si adatti a mezzi leggeri, ma anche a
veicoli più pesanti come gli autobus. C’è bisogno
di un protocollo di comunicazione e di scambio
dei dati. Per capirci: come una volta si decise
come andava fatto il bocchettone di rifornimento delle auto a benzina, anche oggi – seppure
più complesso – abbiamo da risolvere questo
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L’università sta lavorando tanto sulla ricarica
induttiva. Le Case invece a che punto sono? Ci
credono?
«Lavoriamo con grandi aziende, ma sono molto
attente a non dichiarare la loro visione generale.
Hanno sicuramente un interesse verso la ricarica induttiva, ma è difficile capire in che direzione
vogliano andare.
Oggi sicuramente stanno lavorando tantissimo
sull’ibridizzazione del veicolo, però l’utenza non
è ancora pronta a un veicolo che, se si ferma,
non riparte più se non dopo alcune ore di carica.
Toyota ha lavorato tanto e bene, e oggi è sicuramente molto forte negli ibridi. Oggi le Case non
stanno puntando sulla ricarica wireless, quanto
su due altre vie: da un lato l’elettrificazione completa dell’auto, dall’altro lato l’ibridizzazione del
veicolo».
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Attualità
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Cosa ne pensate dei veicoli elettrici col range
extender come la Opel Ampera, interamente
elettrici ma dotati anche di un gruppo di continuità a bordo che produce energia?
«Sono veicoli più efficienti rispetto a un ibrido
leggero (come la prima Prius che faceva pochissimi chilometri in modalità elettrica), ma offrono
una soluzione tampone nel senso che l’auto fa
solo 50/60 chilometri in modalità elettrica, salvo poi accendere il generatore di bordo (range
extender) per produrre energia. Ha il vantaggio
di dare serenità al consumatore, che sa che non
resterà a piedi».
consideriamo la ricarica wireless e veicolo fermo
e quella con contatto. I costi dei veicoli sarebbero invece molto più bassi, se avessimo una rete
di ricarica wireless in movimento, perché potremmo avere batterie molto più piccole e leggere a bordo. Ma i costi si trasferirebbero sulla rete
elettrica interrata, la struttura a terra costerebbe
infatti molto, con cifre simili a quelle dei treni ad
alta velocità . Dobbiamo poi considerare che la
rete a terra, in città, troverebbe l’ulteriore problematica delle tubazioni e condutture urbane,
scavare in qualsiasi città è un grosso problema.
È difficile avere spazio sottoterra libero con continuità».
Le Case temono l’auto elettrica per i mancati guadagni legati alla ricambistica? Le auto
elettriche hanno molto meno parti soggette a
usura.
«Certamente, l’auto elettrica in generale pone
un problema di ricambistica per le case madri legato al mancato lucro: hanno una manutenzione
molto più bassa rispetto alle auto a motore termico. Non ci sono filtri, oli e candele da cambiare, e sappiamo bene quanto la voce ricambi sia
profittevole per le case. Tolto il motore termico,
hai perso tutta la manutenzione del motore. E
anche le pastiglie dei freni si consumano molto
meno, perché il motore elettrico partecipa alla
frenata del veicolo. Tutto l’indotto, con l’auto
elettrica, soffrirebbe minori guadagni».
Quali sono i pro e i contro della ricarica wireless?
«Tra i pro sicuramente il fatto che non ci sia rischio di folgorazione.
Non ci sono elementi in tensione esposti, posso
toccare qualsiasi parte dell’auto senza rischiare.
Inoltre quando arrivo con l’auto, non devo collegare nulla, la ricarica parte da sola. I contro sono
legati alla salute e al problema dei campi magnetici che devono trasferire energia.
Sono molto bassi, tutti assicurano che non creano danni.
Ma non esistono studi scientifici sugli effetti che
hanno sul corpo umano. Sicuramente un rasoio
elettrico è molto più pericoloso di qualunque altra tecnologia, perché ha un campo magnetico
alto ed è vicino al corpo.
Ci sono molte cause di gente che afferma di essere stata rovinata da linee elettriche o altri disturbi, ma non ci sono evidenze sui legami. Un
altro contro dei sistemi di ricarica wireless è dato
dal costo dell’elettronica di potenza a bordo del
mezzo e del materiale ferro-magnetico che è delicato, pesante e molto costoso.
C’è poi il costo della struttura, che però si riparte
su n mezzi.
Prima che la ricarica wireless sia installabile su
un mezzo, c’è da lavorare ancora molto. Il sistema va ridotto e fatto funzionare bene, non deve
creare danni alle persone e bisogna capire come
fatturare l’energia».
Dal punto di vista economico il sistema di ricarica wireless ha dei vantaggi rispetto alla ricarica con contatto?
«Diremmo di no, i costi sono i medesimi se
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Attualità
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Citytech
quale futuro per
la mobilità in città?
coincidono più con quanto le amministrazioni
pubbliche propongono a livello di infrastrutture
e che vanno assolutamente armonizzate con le
richieste emergenti di car sharing, bike sharing e
trasporto pubblico. Come detto, le infrastrutture
italiane non rispondono più alle nuove esigenze
di mobilità dei cittadini ed il boom tecnologico
spinge verso la creazione di una mobilità sempre
più interconnessa, interoperabile e on demand.
Occorre, quindi, un nuovo paradigma della Mobilità: Citytech si pone l’obiettivo di analizzarne
le caratteristiche, affrontandone la complessità
e molteplicità dei temi: interoperabilità ed interconnessione, sharing mobility, city logistics, infomobilità ed ITS, infrastrutturazione, ciclabilità,
mobilità elettrica, innovazione di servizi. Tra le
diverse aziende presenti in forma ufficiale, vanno ricordate Renault che ha presentato la gamma di automobili a “zero emissioni” e Smart con
il programma “car2go” di car sharing urbano e
la versione elettrica; per le due ruote, il vessillo
dell’innovazione è stato tenuto alto dalla CPR,
che ha presentato la più recente evoluzione della Energica Ego, la sportiva ad alte prestazioni
100% elettrica. Citytech, comunque, è soprattutto un momento di confronto e discussione: i
lavori sono iniziati proprio con la sessione “Mobilità intelligente: la nuova sfida per le città”, per
proseguire nel pomeriggio con il workshop “Da
zero a quattro ruote: come muoversi nelle città di
domani, regole e policy della mobilità nuova del
prossimo decennio”, organizzato da Roma Capitale, Anci e Fondazione Unipolis.
Dopo aver chiuso la prima giornata con la presentazione del libro “Car sharing, il business che
si muove” di Carlo Iacovini, Edizioni Ambiente,
mercoledì 11 giugno i lavori si sono incentrati
su “Le Storie di successo nell’ambito del bike
sharing, car sharing, mobilità elettrica, TPL, pedonalità, ciclabilità e ITS”, con tutte le migliori
case history dall’Italia e dall’estero. Nel pomeriggio, il workshop organizzato da Eurispes in
collaborazione con Roma Capitale, dal titolo “Un
nuovo modello di governance per la City Logistics: i primi risultati dell’Osservatorio Mobilità e
Trasporti di Eurispes” ha di fatto chiuso i lavori,
non senza dare appuntamento per la prossima
edizione di Citytech, in programma dal 26 al 28
ottobre prossimi a Milano, al Castello Sforzesco
e Palazzo Reale, quando con l’occasione debutterà anche “BUStech”, evento dedicato al mondo dell’autobus e del Trasporto Pubblico Locale,
che aprirà una vetrina itinerante sulle eccellenze
tecnologiche sul mercato, con costruttori, aziende di componentistica, test su strada, convegni,
aziende di Tpl ed istituzioni.
Alfonso Rago | Due giorni di discussioni ed analisi per gli scenari
prossimi del muoversi in ambito urbano, da armonizzare in modo
equilibrato tra esigenze emergenti, vecchi privilegi ed nuovi
protagonisti della mobilità
C
itytech 2014, benvenuti nella mobilità del futuro prossimo venturo:
una Roma già torrida ha ospitato la
due giorni di discussione e confronto sui temi della mobilità urbana. Un evento dai
nobili padrini (è stato promosso da Roma Capitale, Rappresentanza in Italia della Commissione Europea e Gruppo Ferrovie dello Stato, in
78
collaborazione con Eurispes e con il patrocinio
della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del
Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio
e del Mare e della Regione Lazio) giusto per far
capire quanto il tema stia a cuore alle istituzioni,
chiamate a dare risposte immediate e convincenti alle esigenze dei cittadini che ormai non
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I motori auto raffreddati ad aria
Dalla Fiat 500 alla BMW Isetta
di Massimo Clarke | La nostra panoramica prosegue con alcune
significative realizzazioni tedesche di piccola cilindrata e con lo
straordinario bicilindrico della Nuova 500 Fiat, che vanta tuttora
un’ampia schiera di appassionati
G
li anni Cinquanta hanno portato alla
ribalta, per quanto riguarda le piccole vetture con raffreddamento
ad aria, due case tedesche già ben
note in campo motoristico. In Germania ci si stava riprendendo con vigore, ma anche in mezzo
a imponenti difficoltà, dai disastri della guerra. A
potersi permettere auto di media cilindrata, anche se economiche, come le varie Volkswagen,
DKW-Auto Union, Ford Taunus e Opel Olympia,
non erano ancora in molti e una larga fetta della popolazione attiva, dopo una ampia militanza
motociclistica, stava rivolgendo le sue attenzioni
alle minivetture a due posti. Diversi costruttori le
stavano proponendo, in genere con semplicissime motorizzazioni a due tempi.
La Lloyd LP600 con il suo
bicilindrico da 19 CV
Dopo avere costruito mezzi di questo genere dal
1950, la Lloyd di Brema ha presentato nel 1955 la
LP 600, una utilitaria azionata da un bicilindrico
a quattro tempi di 600 cm3 raffreddato ad aria.
Questa casa tedesca aveva radici che risalivano
addirittura ai primi anni del Novecento. Dal 1914
aveva dato origine alla Hansa-Lloyd, che si era
fatta ben presto apprezzare principalmente per
i suoi veicoli industriali. L’azienda era entrata
a far parte del gruppo Borgward nel 1929. Nel
dopoguerra questo potente raggruppamento
80
Tecnica
Periodico elettronico di informazione motociclistica
industriale produceva vetture di diversi tipi e dimensioni con i marchi Goliath, Lloyd e, appunto,
Borgward. La LP 600 era azionata da un motore
a due cilindri in linea di moderna concezione e di
ottima qualità costruttiva. La distribuzione era
monoalbero, con comando a catena collocata
lateralmente. I cilindri e le teste erano individuali,
mentre il sopratesta, nel quale erano alloggiati
l’albero a camme e i bilancieri a due bracci, era
unico. Le camere di combustione erano emisferiche. L’albero a gomiti composito lavorava interamente su cuscinetti a rotolamento e poggiava
su tre supporti di banco, ricavati nel basamento
(realizzato in due parti, che si univano secondo
un piano orizzontale). L’alesaggio di 77 mm era
abbinato a una corsa di 64 mm; la cilindrata era
quindi di 596 cm3. La potenza di 19 cavalli veniva erogata a un regime di 4500 giri /min. Alla
Lloyd LP 600 è stata in seguito affiancata la Alexander, azionata dallo stesso motore. Entrambi
questi modelli sono usciti di produzione nel 1961
(quando si è verificato il collasso del gruppo
Borgward), dopo che ne erano stati costruiti circa 176.000 esemplari.
campo dei motori aeronautici. Dopo però aveva
dovuto smettere l’attività in tale settore e inoltre diversi suoi stabilimenti erano andati a finire
nella Germania Est. La ripresa postbellica a Monaco si stava rivelando dura e si basava fondamentalmente sulle moto. Le automobili venivano
costruite dalla BMW in numeri modesti anche
perché si trattava di modelli di elevato livello e
quindi costosi. Visto pure che nel mercato delle
due ruote già si stavano avvertendo i primi sintomi di crisi, per sopravvivere a un certo punto
i vertici dell’azienda hanno deciso di puntare,
almeno provvisoriamente, sulle minivetture. Nel
1955 è stata così acquisita dalla Iso di Bresso,
alle porte di Milano, la licenza di costruzione della Isetta, una simpatica “bubble car” a due posti.
Per motorizzarla è stata impiegata una versione
con raffreddamento ad aria forzata del monoci-
lindrico di 250 cm3 della moto R 25, ben presto
seguito da una nuova variante di 300 cm3. In
Italia l’Isetta ha avuto scarsa fortuna, ma la versione tedesca è stata prodotta in ben 161.000
esemplari. Nel 1957 la BMW ha realizzato la 600,
nota anche come Isetta a quattro posti, azionata
da una versione automobilistica del suo ottimo
motore a due cilindri orizzontali contrapposti
per moto. Questa nuova minivettura, bruttina a
dire il vero, è rimasta in produzione per un paio
d’anni soltanto, durante i quali è stata costruita
in circa 35.000 esemplari. Ben diverso è stato il
successo della 700, una vera automobile, piccola ma dalla estetica decisamente azzeccata, che
è stata venduta in numeri interessanti anche sul
nostro mercato. Entrata in produzione nel 1959,
era azionata da un bicilindrico che costituiva un
ulteriore sviluppo del boxer nato per impiego
L’indimenticabile BMW Isetta
Attorno alla metà degli anni Cinquanta la BMW
si trovava in notevoli difficoltà economiche. Negli
anni Trenta e durante la guerra la casa bavarese
era stata una delle più importanti del mondo, nel
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Tecnica
Periodico elettronico di informazione motociclistica
“
Nella storia dell’automobile poche utilitarie hanno
avuto un’importanza paragonabile a quella della
Fiat Nuova 500
motociclistico. La distribuzione era ad aste e
bilancieri, con albero a camme collocato nella
parte superiore del basamento (del tipo a tunnel,
ovvero costituito da un’unica fusione) e azionato
da una coppia di ingranaggi. In ogni testa erano
alloggiate due valvole, sensibilmente inclinate tra
loro, il che consentiva di avere camere di combustione emisferiche. L’albero a gomiti di tipo composito poggiava su due supporti di banco e lavorava interamente su cuscinetti a rotolamento.
La lubrificazione era a carter umido, con pompa
a ingranaggi; appositi convogliatori centrifughi
raccoglievano l’olio che usciva dai cuscinetti di
banco e lo facevano arrivare a quelli di biella. Con
un alesaggio di 78 mm e una corsa di 73 mm, la
cilindrata era di 697 cm3. Nel modello base della
BMW 700 il motore erogava 30 CV a 5000 giri/
min, che salivano a 40 CV a 5700 giri/min nella
82
versione Sport (coupé). Questa vettura è stata
costruita fino al 1965 in un totale di oltre 92.000
esemplari. A risollevare le sorti della casa bavarese è stata fondamentalmente l’ottima 1500,
apparsa nel 1962 e rapidamente seguita dalla
1800, dalla 1600 e dalla 2000, tutte realizzate
con lo stesso schema costruttivo. Da allora in poi
i successi per la BMW si sono susseguiti senza
posa. La piccola e brillante 700, per le sue ottime
doti, oltre che per l’apprezzabile contributo dato
all’azienda in un periodo difficile, merita senz’altro di essere ricordata con grande simpatia.
Fiat 500: con il suo bicilindrico
ha motorizzato l’Italia
Nella storia dell’automobile poche utilitarie
hanno avuto un’importanza paragonabile a
quella della Fiat Nuova 500. La storia di questa
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4000 giri/min. Successivamente ha fatto la sua
comparsa la versione di 499 cm3, ottenuta portando l’alesaggio a 67,4 mm. Impiegata dapprima sulla Sport, è diventata standard con la 500
D, apparsa nel 1960 con una potenza di 17,5 CV
a 4400 giri/min. Tra le caratteristiche più interessanti di questo bicilindrico vi era il sistema
di lubrificazione dotato di un filtro centrifugo
piazzato alla estremità dell’albero a gomiti; la
pompa dell’olio a ingranaggi veniva direttamente azionata dall’albero a camme. La testa era
costituita da un’unica fusione in lega di alluminio, debitamente alettata, con i due condotti di
aspirazione “siamesi” e con le valvole parallele
(quelle di aspirazione erano da 32 mm e quelle di
scarico da 28 mm). I due cilindri erano in ghisa.
L’albero a gomiti, in ghisa malleabile, era cavo
internamente e lavorava su bronzine; dotato di
un grosso contrappeso in posizione centrale,
veniva realizzato con una tecnologia fusoria d’avanguardia. I due perni di banco erano da 54 mm
e quelli di biella da 44 mm. Insomma, si trattava
di un motore studiato e realizzato per abbinare
nel migliore dei modi semplicità strutturale e razionalità costruttiva, il che si traduceva anche in
costi di produzione molto ridotti. La 500 è uscita
di produzione nel 1975, dopo che ne erano stati
costruiti oltre quattro milioni di esemplari. Il bicilindrico raffreddato ad aria, in versione con cilindrata portata a 594 cm3 (impiegata anche sulla
500 R, apparsa nel 1972), ha continuato a essere
utilizzato sulla 126.
Il circuito di lubrificazione del bicilindrico Fiat era dotato di una pompa a ingranaggi mossa dall’albero a
camme e di un filtro centrifugo montato alla estremità dell’albero a gomiti
Nel bicilindrico boxer BMW, qui mostrato nella originale versione motociclistica, l’albero a gomiti era
composito e il basamento era a tunnel, con albero a camme collocato superiormente
bicilindrica che tanto ha contribuito a motorizzare l’Italia è fin troppo nota. In questa sede basta
sinteticamente ricordare che prima di arrivare
alla scelta definitiva, per quanto riguarda il motore (si era stabilito che avrebbe dovuto comunque essere a due cilindri e raffreddato ad aria),
nel periodo tra il 1953 e il 1955 sono state prese in considerazione svariate soluzioni diverse
e sono anche stati realizzati alcuni interessanti
prototipi. Addirittura è stata anche valutata la
possibilità, fortunatamente scartata, di utilizzare
un bicilindrico parallelo, di 540 cm3, con distribuzione a valvole laterali (tipo 110 E4). Un motore ben più moderno e performante, sempre con i
cilindri in linea, era dotato di un albero a camme
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in testa, con comando a catena e con valvole parallele (tipo 110 E1); il costo è stato però giudicato eccessivo e la distribuzione troppo sofisticata,
in relazione al tipo di impiego previsto. Molto interessante è stato anche il prototipo 110 E6, con
i due cilindri orizzontali e contrapposti, distribuzione ad aste e bilancieri e con una cilindrata di
436 cm3. Alla fine è stata prescelta l’architettura
a due cilindri paralleli, con albero a camme nel
basamento e con due soli supporti di banco. La
Nuova 500 è stata presentata nel 1957. La prima
versione del motore aveva una cilindrata di 479
cm3, ottenuta con un alesaggio di 66 mm e una
corsa di 70 mm. La potenza dai 13 cavalli iniziali
è stata rapidamente portata a 15, a un regime di
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Speciale
formula 1
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Formula 1 Austria
le pagelle del Red Bull Ring
di Giovanni Bregant | Anche il GP di Formula 1 d’Austria si divide tra i 10
e gli 0 in pagella. Rosberg rappresenta i primi, mentre le regole della F1 i
secondi
S
arebbe bastato poco per vedere una
gara, e delle pagelle, molto diverse.
Sarebbe bastato, ad esempio, che la
Williams di Bottas rifornisse un giro
prima o che Hamilton ne avesse un po’ di più per
tentare realmente di attaccare, almeno una volta, Rosberg. E invece... dopo uno strepitoso primo giro in cui era passato da 10° a 4° alle spalle
del tedesco, annullando di fatto il disastro delle
qualifiche, l’inglese pareva essere in una di quelle
sue giornate di grazia in cui nessuna impresa gli
è preclusa.
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Formula 1
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Al limite sempre ma mai oltre
Anche perché con la rimonta compiuta in un giro
solo non aveva nemmeno rovinato gli pneumatici
più di tanto. E invece niente da fare: Rosberg imperturbabile ha fatto la sua gara, al limite di tutto
ma mai oltre, con il guizzo del sorpasso ritardato
a Perez quando è stato il momento di dare uno
strappo. È stata una gara perfetta quella di Rosberg, al punto che pareva non tirare nemmeno
più di tanto e veniva naturale chiedersi non se,
ma quando Hamilton l’avrebbe attaccato. Ma
non è mai accaduto. Una gara alla Lauda, la sua:
poco spettacolare forse ma devastante per gli
avversarsi, che in questo caso ovviamente erano
uno solo, quello di tutte le gare di quest’anno. E
allora voto 10 a Rosberg, che ha dato una lezione di guida e l’ennesima dimostrazione di forza
mentale, e voto 7 a Hamilton, perché a parte
uno strepitoso primo giro in Austria ha incassato un’altra pesante sconfitta, stavolta senza
problemi tecnici, dopo una qualifica disastrosa
(anche se sul testacoda nell’ultimo tentativo
il dubbio di un problema tecnico rimane) e una
gara con il fiato corto.
Chi l’avrebbe detto un mese fa? Voto 9 a Bottas,
che manca la pole per un eccesso di foga nell’ultimo tentativo in qualifica ma in gara si mostra
già capace, con una Williams, di correre alla pari
con Rosberg ed Hamilton. Concretissimo, mai
un errore, opportunista e “cattivo” il giusto nel
proteggere la posizione e nel tentare l’affondo
non appena gli si presenta l’occasione. Se avesse rifornito un giro prima avrebbe potuto giocarsi la vittoria. Grintoso.
Per Massa gara... “alla Massa”
Voto 7,5 invece ma non di più a Massa, che ha
corso “alla Massa”, cosa che non è esattamente
un complimento: partiva in pole e ha condotto
la gara nei primi giri, ma una volta dietro i piloti
Mercedes per effetto dei pit stop perde via via
terreno, corre aspettando che accada qualcosa
mentre Bottas non rinuncia a mettere pressione a Rosberg non appena questi alza il ritmo di
pochi decimi. Spiace dirlo, ma è l’ennesima gara
in cui Massa si dimostra velocissimo in qualifica per poi naufragare lentamente in gara, poco
grintoso e arrendevole. Deludente. Voto 8 invece ad Alonso, che realizza l’ennesima impresa
destinata a non restare nell’albo d’oro della F1,
correndo tutta la gara su ritmi elevatissimi per
conquistare un... 5° posto. Stavolta, complice la
scarsa competitività della Red Bull e i problemi di
Hamilton, si qualifica addirittura in seconda fila
e anche in gara si difende bene, anche se i primi
quattro sono imprendibili: certo come distacco
dal primo è stata la migliore gara dell’anno, ma la
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Formula 1
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però voto 7. Identico voto anche a Hulkenberg,
che entra ancora una volta in Q3, corre bene e
porta a casa dei punti, ma la sua strategia - più
“regolare” - si dimostra meno valida di quella di
Perez. E voto 7 anche a Ricciardo, l’eroe del Canada che in Austria è stato sì davanti ancora una
volta a Vettel, ma complice una Red Bull che in
casa proprio non voleva saperne di girare forte
ha faticato moltissimo per ottenere un misero 8°
posto.
Red Bull divisa tra Ricciardo
e Vettel
verità è che fare meglio proprio non era possibile
e che anzi su altre piste la concorrenza della Red
Bull sicuramente tornerà pericolosa. I pochi giri
al comando grazie al 2° pit stop ritardato servono solo a illudere i telecronisti RAI, già pronti a
evocare una vittoria a sorpresa grazie ad un miracoloso 2° stint da 50 giri... Comunque tenace.
Ferrari: tra chi ci prova
sempre e chi demorde
Per lo meno però lo spagnolo ci prova sempre,
cosa che non si può dire di Raikkonen (voto 4),
che con questa Ferrari - e forse con queste F1 proprio non si trova: non è questione di talento,
e nemmeno di determinazione crediamo, ma
proprio di comportamento della vettura, anche
qualche colpa il finlandese deve pure averla se
dall’inizio dell’anno non è ancora riuscito a trovare delle regolazioni decenti. Vederlo vagare per la
pista in attesa della fine della gara fino a un poco
onorevole 10° posto mette tristezza. Disperso.
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Perez tenace
Un altro che ci prova sempre invece è Perez, che
in Austria a dispetto della penalizzazione subita
per l’incidente con Massa ha riproposto una delle
sue specialità: 1° stint molto lungo, attento a gestire le gomme al meglio senza essere per questo troppo lento, per poi trovarsi tutti i big dietro
in fila indiana e concludere la gara a ridosso dei
grandi grazie ad un pit stop in meno. Fateci caso,
ma il messicano ha disputato così le sue migliori
gare, fin dai tempi in Sauber. Dopo il disastro con
la McLaren meritava una seconda possibilità e la
Force India ha fatto benissimo a concedergliela.
Per lui voto 10, perché più di così proprio non
poteva fare. Uno che si è visto poco, ma evidentemente qualcosa di buono ha combinato per
finire 7°, è Magnussen, di nuovo a punti dopo alcune gare poco brillanti e davanti al compagno di
squadra, anche se la McLaren è semplicemente
la peggiore delle squadre motorizzate Mercedes,
con buona pace di Ron Dennis. Per Magnussen
Lui però almeno è entrato in Q3 e almeno ha visto il traguardo, cose non riuscite a Vettel. A proposito del tedesco: il ritiro non è colpa sua, il 12°
posto in griglia sì, quindi voto 4 per il campione
del mondo in carica. Per lui, oltre a un motore
Mercedes, servirebbe forse un po’ di serenità per
ritrovare se stesso... Voto 8 invece a Kvyat, che
finché tutti i pezzi della sua Toro Rosso stanno
insieme corre a ridosso dei primi, dopo una qualifica strepitosa nella quale asfalta ancora una
volta il più esperto compagno di team Vergne.
Per essere un debuttante arrivato direttamente
dalla GP3, va comunque benissimo così. Per il resto, voto, 9 al Red Bull Ring, come si chiama ora
la pista austriaca: il tracciato è rimasto identico
a quello su cui si era corso una dozzina di anni
fa e dunque del glorioso Österreich non c’è più
traccia, ma rimane un circuito diverso dai soliti,
con almeno tre staccate buone per tentare un
sorpasso e tanti punti dove per i piloti è facile
sbagliare.
E poi, dopo tante piste costruite letteralmente
in mezzo al deserto, il colpo d’occhio della vallata alpina e i suoi sali-scendi naturali lo rendono
davvero suggestivo, altro che gran premi in notturna!
I controsensi regolamentari
Voto 0, comunque, alle regole della F1 che bloccano lo sviluppo dei motori, con il risultato che
anche avendo capito dove sta il problema Ferrari
e Red Bull non possono rimediare, rassegnandosi a far passare in fretta quest’anno in attesa
di una sorte migliore nel 2015: a cosa serve un
calendario di 19 gare se poi chi vince si sa già dai
test invernali? E poi si lamentano se il pubblico in
tv è in diminuzione....
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La sfiga in Formula 1
rituali e manie dei grandi campioni
di Paolo Ciccarone | «Fra un pilota bravo e uno fortunato, preferisco
quest’ultimo». La frase è di Enzo Ferrari ed è emblematica: in F1 la
superstizione impera! Ecco tutti i rituali anti-sfiga dei più grandi
campioni del Circus
L’
ultimo esempio? Mark Webber alla
24 ore di Le Mans. In testa fino a
poco dalla fine, per un problema
tecnico si è dovuto ritirare. E quando Enzo Ferrari diceva che fra un pilota bravo e
uno fortunato, preferiva quest’ultimo, capisci
come nel mondo della F.1 si fa ma non si dice:
la superstizione impera! Si fa presto a dire non
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Formula 1
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ci credo. Ma quando ti giochi la vita a oltre 300
all’ora, a quel punto ogni particolare può fare la
differenza. E’ per questo che nel mondo della F.1,
fra computer e telemetria, progettazioni da fantascienza e programmazioni spaziali, fa capolino
l’antico rituale della scaramanzia. Ufficialmente
ne sono tutti immuni, poi basta guardarli da vicino e si scopre che, sotto questo aspetto, gli eroi
della F.1 sono forse più deboli della gente normale.
Schumacher e i colori del casco
Anche se a prima vista sembrava uno freddo, distaccato e per niente coinvolto in queste cose,
Michael Schumacher aveva la sua bella serie di
rituali anti-jella. E visto quello che gli è accaduto
sugli sci lo scorso 29 dicembre, è facile parlare
di sfortuna al 100 per 100. Tanto per cominciare
Michael entrava in macchina sempre dallo stesso lato, quasi fosse casuale. Ma il vero colpo di
anti-jella Schumacher lo fece nel 2000. Fino a
quel momento il casco del pilota tedesco ricalcava i colori della bandiera tedesca, con una sfumatura che virava al nero. La calotta era blu con
la fascia bianca, che dalla visiera finiva alla calotta posteriore. Con la Ferrari, fino a quel momento, Michael aveva visto sfumare il titolo nel 97 e
nel 98, mentre nel 99 trascorse buona parte del
suo tempo in ospedale per curare la frattura alla
gamba per l’uscita di pista a Silverstone. Ebbene,
non si sa chi lo consigliò, ma a partire dal 2000
Schumacher ha cambiato la colorazione del casco passando alla calotta rossa prima e facendo
sparire il bianco e buona parte della bandiera tedesca stilizzata. Nelle corse, il colore rosso, infatti, è sinonimo di successo e di vittoria. C’è da
dire che l’operazione ha funzionato benissimo.
Trulli: il potere dell’aglio
Un altro pilota che ha cambiato i colori del casco
è stato Jarno Trulli. Appena indossato quello con
la calotta argento e striscia blu, si è subito imposto nelle prove del venerdì. Poi ha usato in gara il
casco ed è andato a punti. All’inizio doveva essere solo il regalo per il suo compleanno, 13 luglio,
poi la colorazione del casco è diventata definitiva. Ma oltre al casco Jarno ha abbinato anche il
colpo segreto… L’ultimo caso, in ordine di tempo,
risale al Gran Premio di Germania del 2003. Il pilota abruzzese è sempre stato conosciuto come
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uno che non aveva paura di niente. Ma nel corso
degli anni gliene sono capitate talmente tante,
che il povero Jarno non ha saputo più a che santo votarsi per venirne fuori. Complice Jean Alesi,
suo ex compagno di squadra, durante un pranzo
in un noto ristorante sulla costa amalfitana, Trulli
ha scoperto il potere terapeutico dell’aglio. “Una
volta ne ho comprata una treccia e sono salito
sul podio” disse Alesi a Trulli mentre stavano
mangiando. Il ristoratore, il mitico Don Alfonso,
è uno che le trecce d’aglio (con 13 teste, ovviamente…) le prepara ancora come si faceva una
volta. Più che la bontà del prodotto, pare che sia
l’azione collaterale ad aver avuto successo nel
corso degli anni. Un po’ incerto, un po’ perché
tanto provare non costa nulla, il buon Jarno Trulli
ha acquistato la treccia d’aglio e se ne è andato
a Hockenheim a correre il Gran Premio di Germania. Le prestazioni in pista non sono state
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malvagie: più veloce il venerdì, rapidissimo il sabato, gran gara alla domenica, ma durante la corsa l’effetto terapeutico della treccia sembrava
annullato dalla sfiga perennemente in agguato.
Invece Jarno salì sul podio, il primo della stagione, dopo lungo tempo di attesa: non accadeva
dal GP d’Europa al Nurburgring del 1997. Una
corsa splendida culminata in un risultato eccellente. E la storia dell’aglio è saltata fuori. I produttori di aglio abruzzesi hanno voluto Trulli come
testimonial del loro prodotto: l’effetto positivo,
almeno sul portafoglio, ha funzionato perfettamente.
Alex Wurz: una scarpa rossa,
una blu. E quando le tolse...
Questa dell’aglio non è la sola mania presente
nel mondo delle corse. Tanto per restare ai tempi nostri anche Alex Wurz, attuale pilota Toyota
prototipi nelle gare endurance, aveva la sua bella mania. Quando è approdato in F.1 ha stupito
il paddock perché indossava una scarpa rossa
e una blu. Una volta, quando correva in F.3, si
fece prestare delle scarpe da un collega perché,
con un piede infortunato, non riusciva a calzare
la sua misura. Il collega gli diede una scarpa di
misura maggiore ma di colore diverso. Alex vinse
la corsa e da quel momento non ha più cambiato
la colorazione delle scarpe. Fino a quando non è
stato assunto alla McLaren, dove Ron Dennis lo
ha obbligato a indossare le scarpe nere coi colori
ufficiali della squadra. Sarà un caso, ma da quel
momento a Wurz ne sono capitate di tutti i colori: non ha più corso un Gran Premio, gli hanno
svaligiato l’appartamento a Montecarlo mentre
dormiva con la moglie e la bambina dopo essere stato narcotizzato dai ladri che, per inciso,
hanno svaligiato solo quell’appartamento! Con
la nuova McLaren, l’abortita MP4/18, ha collezionato uscite di pista e incidenti paurosi ma, e
qui arriva il bello, subito dopo il Gran Premio di
Malesia e prima di arrivare in Brasile, Alex Wurz
è stato trattenuto in ospedale perché c’era il sospetto che avesse contratto la SARS nella trasferta orientale!
Alesi, Ghinzani e le immagini sacre
Un altro che aveva un buon rapporto con i rituali anti-sfiga era Jean Alesi. In macchina entrava
sempre dallo stesso lato e prima di allacciarsi le
cinture eseguiva un rituale ben preciso. Jean non
è mai salito in macchina senza indossare prima
il casco mentre altri piloti, come Berger, hanno
sempre preferito prima entrare nell’abitacolo e
poi indossare il casco. Sempre a proposito di casco, il fratello di Jean Alesi, Josè, aveva confidato
una volta che all’interno della fodera c’era una
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Coulthard: problemi con le
mutande. Patrese ricevuto
da Giucas Casella
Diverso, invece, il rituale di David Coulthard.
Quando correva in F.Ford ebbe un brutto incidente e fu trasportato in ospedale. Tolta la tuta
da pilota, i medici scoprirono che l’intimo di David non era proprio in condizioni ottimali. Coulthard divenne rosso per la vergogna e da quel
momento, ad ogni sessione di gara o di prove,
indossa sempre un paio di mutande nuove di
zecca. Un altro che aveva problemi con l’intimo
era Riccardo Patrese. Quando correva con la Williams la moglie rivelò, senza volerlo, che spesso
le tute usate da Riccardo erano improponibili per
via di un effetto collaterale della paura. In questo
caso dire che uno se la fa sotto non era solo una
metafora… Eppure Patrese passò alla storia per
aver vinto un GP del Portogallo grazie al mago televisivo Giucas Casella. Ospite di una trasmissione televisiva col mago, Patrese si fece scappare
che non riusciva a capire da dove venisse tanta
sfortuna, che gli aveva fatto perdere delle corse
già vinte. Casella lo guardò e gli disse, dietro le
quinte della trasmissione, “tu vincerai la prossima corsa, perché te lo dico io, hai capito: tu
immaginetta sacra che accompagnava Jean fin
dai tempi della F.3. Non si può dire, alla luce della
carriera di Alesi, che l’immagine sacra non abbia
funzionato, ma è anche vero che per resistere
alla cura del pilota italofrancese, lassù qualcuno
si sia impegnato moltissimo.
Anche un altro pilota del passato aveva un debole per le immagini sacre. Piercarlo Ghinzani,
prima di approdare alla Osella e alla Ligier, aveva
sperimentato sulla F.3 l’importanza di un santino. Sul cruscotto della sua March aveva quella
di Papa Giovanni XXIII, conterraneo di Ghinzani.
Tutte le volte che arrivava un po’ troppo forte in
curva, Ghinzani aveva la sua preghierina: “Giuanin, pensaci tu che qui andiamo a farci friggere
tutti e due…”.
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vincerai perché te lo dico io. Dovrai solo seguire
questo rituale”. Un po’ controvoglia, un po’ perché la moglie di Riccardo gli disse di provare, che
tanto non avrebbe perso nulla, a Estoril Patrese
eseguì il rituale e vinse il Gran Premio. La sera,
in aeroporto, mentre commentava la cosa Riccardo si chiedeva: “E io che ho perso anni di vita
per mettere a posto le macchine e a discutere coi
tecnici, chiamavo Giucas e facevo prima…”.
Berger la stava facendo grossa
Tutto particolare il rituale di Fisichella, che per
ogni vigilia di gara avrebbe bisogno di praticare
un po’ di sesso come si deve, ma non sempre
c’è la moglie per cui questo può giustificare alcune prestazioni non esaltanti nella sua carriera.
Barrichello è uno che prima di una gara prega
molto e ascolta musica tipica brasiliana. Una
volta, quando era alla Stewart, la camera car lo
inquadrò mentre prima del giro di lancio in qualifica, si faceva il segno della croce. I giornalisti
cominciarono a fare domande e da quel momento il gesto fu nascosto agli occhi del grande pubblico. Altri gesti, invece, faceva Gerhard Berger.
Appena salito in macchina si dava una strizzatina
agli attributi e poi faceva le corna, seguendo uno
Mansell e la mano lunga
Un pilota che aveva scoperto i rituali anti-jella fu
Nigel Mansell. Quasi per caso, prima di una gara,
toccò il seno prosperoso di una giornalista italiana dal nome tedesco. Nigel vinse la corsa e alla
gara seguente, inseguì la bionda e prosperosa
per tutto il paddock, fino a quando non la bloccò
in un angolo e riprese l’operazione precedente,
tra l’altro stavolta sotto gli occhi divertiti della
moglie Roxane. Vinse ancora il Gran Premio. Facile immaginare cosa accadde dopo quella volta. Di arrapante non c’era niente, ma la povera
giornalista, saputo nel paddock della sua dote
portafortuna, fu presto inseguita da diversi piloti
che prima della corsa volevano un po’ di buona
sorte…
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schema ben preciso, sul volante della sua macchina. Come ulteriore prova di buona sorte
Gerhard aveva anche il vizio di toccare il sedere a una donna prima di partire per la gara. Sugli schieramenti di partenza ce ne sono sempre
alcune, solo che a Donington, GP d’Europa del
1993, Berger stava per farla grossa. Qualcuno
della Ferrari gli bloccò la mano mentre dall’abitacolo stava per metterla sul sedere di una splendida donna che stava salutando tutti i piloti sulla
griglia di partenza: era Lady Diana Specer, consorte del principe Carlo d’Inghilterra.
Senna: sempre gli stessi guanti
Un altro che aveva un rituale tutto suo era Ayrton Senna. Il brasiliano non voleva mai cambiare
i suoi guanti. Spesso, sulla griglia di partenza, lo
si vedeva con i guanti talmente sdruciti e rovinati
che le dita spuntavano fuori. Il paio di guanti rossi
usati alla McLaren lo hanno accompagnato per
anni. Sarà stato forse il caso, ma a Imola Senna
aveva i guanti blu coi colori Williams. Con quei
guanti non riuscì mai a finire una corsa a inizio
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Formula 1
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94 e a Imola sappiamo tutti come è finita.
Frentzen: “Sponsor? La mia
impresa di pompe funebri!”
Il caso di sistema anti jella più incredibile riguarda però Heinz Harald Frentzen. Il pilota tedesco è
figlio di uno dei più grossi imprenditori di pompe
funebri della Germania. Quando era ancora uno
sconosciuto ragazzo che si districava in F.Ford,
conobbe un manager italiano, Guido Forti, che
in F.3 era il punto di riferimento per tutti. Avvicinato Forti all’aeroporto di Houston in una trasferta verso il Messico, Frentzen aprì le trattative
per approdare alla Forti in F.3 e puntare al titolo
europeo. “Sai ci vogliono molti soldi – disse Guido Forti – hai degli sponsor che possono coprire
le spese?”. Frentzen rispose di sì e disse anzi di
avere una attività di famiglia molto avviata che
faceva guadagnare bene. Forti rispose che la
cosa si poteva fare. Ne avrebbe parlato al ritorno. Finita la corsa in Messico, il manager italiano
cominciò la trattativa con Frentzen, si cominciò
a parlare di F.3, di F.3000, della possibilità di fare
qualcosa in F.1. Ad ogni cifra chiesta da Forti,
Frentzen rispondeva che non c’erano problemi.
Allettato dalla possibilità di impostare un programma a lunga scadenza, nella saletta transiti
dell’aeroporto di Houston, di ritorno dal Messico
destinazione Parigi, Guido Forti si era convinto
a far firmare il contratto a Frentzen sul posto.
Heinz disse che non c’erano problemi, solo che
sulle macchine della squadra doveva comparire
il marchio della società che avrebbe sponsorizzato la carriera. Forti disse che non c’era nessun
problema e gli chiese quale fosse la ditta: “La mia
impresa di pompe funebri” rispose Frentzen. A
quella risposta Guido Forti ebbe un attimo di
mancamento, si portò la mano destra al basso
inguine e disse che doveva fare una telefonata
in Italia per verificare a che punto fossero alcuni
contratti. Chiamò il socio e amico Paolo Guerci
e gli disse: “Chiama quel Vandone, digli che va
bene così e che lo prendiamo subito anche se
non ha tutti i soldi, digli che lo facciamo correre come terzo pilota con Morbidelli e Zoboli, ma
rapido, mi raccomando”. Riattaccata la cornetta,
Forti tornò da Frentzen e gli disse: “Che peccato,
mi hanno appena avvisato che hanno firmato il
contratto con un pilota che avevo in attesa. Mi
spiace, sarà per la prossima volta”. Frentzen
chiese se c’erano possibilità, e Forti disse: “No,
non se ne parla proprio!”. Era il 1989 e Frentzen
non aveva un volante a disposizione. Durante la
stagione, fra un viaggio e l’altro dalla Germania
alla Spagna, col carro funebre di famiglia, riuscì a convincere la Mercedes a farlo correre nei
prototipi insieme ad altri due tedeschi, anzi un
tedesco e un austriaco, con le vetture gestite da
Peter Sauber. Uno era Michael Schumacher, l’altro Karl Wendlinger, campione tedesco di F.3 a
fine stagione 89.
Jean Todt: non toglieteli
il cronometro
Il caso di Guido Forti non è l’unico di un manager superstizioso. In F.1 ce ne sono altri. Giancarlo Minardi, per esempio, non tollera la vista
del colore viola. Quando arrivò in squadra Pedro
Lamy, il portoghese aveva una bella fascia viola
sul casco. Dapprima Minardi faceva gli scongiuri, poi si convinse che non era viola: “E’ pervinca,
accidenti a voi giornalisti: vi ho detto che il viola
non esiste, il casco di Lamy è pervinca, chiaro?”.
Anche il grande Jean Todt ha le sue manie e superstizioni: nei box circolava sempre col cronometro in mano, anche se con i sistemi elettronici
non serve avere un vecchio orologio. Il fatto è che
senza quella patacca in mano, Todt non sale sul
muretto dei box. Un altro vezzo era quello di succhiare uno stuzzicadenti e mangiarsi le unghie.
Dopo un po’ di tempo Jean Todt non ha usato più
gli stuzzicadenti in mondovisione dal muretto
dei box, ha messo i cerotti sulle unghie per non
mangiarsi più le dita, ma al cronometro al collo
non rinuncia per niente al mondo. E che dire del
rituale del the? Stessa ora tutti i giorni, la bustina
che deve essere intinta un certo numero di volte
altrimenti non va bene e temperatura rigorosamente fissa. Questa la F.1 del passato, ma quella
di oggi?
Alonso, quando va bene una gara, ripete il rituale
l’anno successivo. Ovvero stesso albergo, stessa
camera, stesso menù. Se qualcuno del suo staff
ha la barba non la fa tagliare, se invece se l’era
tagliata, lo obbliga a farlo. E poi i rituali da Samurai, il lungo e ampio tatuaggio sulla schiena,
la filosofia orientale. Alla vigilia dell’ultima corsa
del mondiale, in testa alla classifica, uno del suo
staff si era tagliato la barba. Il giovedì pomeriggio Fernando commentò secco: il mondiale non
lo vinciamo più. E così è stato. E del presidente
Montezemolo che viaggiava con un cornetto
rosso di corallo in tasca? Anche lui non scherza
affatto quando si dicono certe cose, basti vedere
dove porta la mano di fronte a certe domande…
Insomma, questa è la F.1 dell’era tecnologica, dei
computer e delle strategie. Vanificate magari da
un gatto nero che passa per strada: “Mi è andata
talmente male tante volte – disse Jean Alesi –
che se un gatto nero mi taglia la strada, si tocca
lui i maroni…”.
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transalpina sventolando la bandiera francese. Il
campione della Ferrari ha anche avuto modo di
fare un breve giro sulla splendida Ferrari 512S
da competizione del 1970. Per la Ferrari si tratta del successo di categoria numero 24, che si
aggiunge alle nove vittorie assolute. Partito dalla
pole position, Bruni ha dominato le prime ore di
corsa ma ha poi dovuto fare i conti con la pioggia. Due temporali arrivati sul circuito della Sarthe ieri pomeriggio avevano messo in difficoltà la
vettura #51 portando davanti Chevrolet e Porsche. I ferraristi però non si sono persi d’animo
e, non appena la pista è tornata asciutta, hanno
iniziato una rimonta straordinaria. La Ferrari 458
ha battuto la concorrenza di marchi prestigiosi
come Chevrolet, Aston Martin e Porsche, Case
che sono rivali anche sul mercato, primeggiando
per merito dei propri piloti ma anche grazie alla
straordinaria affidabilità. Nemmeno un problema, infatti, ha afflitto la vettura vincitrice, al
contrario di quanto è accaduto, via via, a molti
degli avversari. Al secondo posto, ma staccata di
quasi due giri, si è classificata la Chevrolet #73
di Garcia-Magnussen-Taylor, al terzo a quasi tre
tornate, la Porsche di Holzer-Makowiecki-Lietz.
Le parole di Montezemolo
Grande la soddisfazione del Presidente Ferrari, Luca di Montezemolo: «Questa è una vittoria
molto importante in una gara straordinaria. Questo risultato ci regala una soddisfazione enorme
e premia il duro lavoro di tutta la squadra alla
quale vanno i miei complimenti. Abbiamo dominato una corsa con una vettura che ha saputo
surclassare dei concorrenti molto forti e questo
è motivo di grande orgoglio per tutta la Ferrari».
Ferrari trionfa a Le Mans
nelle GT
Montezemolo: «Una soddisfazione
enorme»
Ferrari porta a casa una vittoria alla 24 Ore di Le Mans nella classe
LMGTE Pro con la 458 Italia di Fisichella, Vilander e Bruni e un terzo
posto in LMGTE Am
I
l podio della 24 Ore di Le Mans torna a tingersi con i colori della Ferrari. La 458 Italia
GT2 #51 ha infatti compiuto l’impresa aggiudicandosi la gara di durata più famosa
del mondo nella categoria LMGTE Pro e facendo
risuonare in terra di Francia l’inno di Mameli. Gli
italiani “Gimmi” Bruni e Giancarlo Fisichella e il
finlandese Toni Vilander, sotto le insegne del
100
team AF Corse di Amato Ferrari, hanno bissato il
successo del 2012, surclassando la concorrenza
nonostante più di un momento difficile in gara.
Alonso sulla 512S
Ha portato bene quindi la presenza di Fernando Alonso sul Circuit de La Sarthe, che sabato alle ore 15:00 aveva dato inizio alla corsa
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Formula 1
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La Casa di Maranello e AF Corse hanno conquistato anche un altro podio grazie alla vettura #61
degli italiani Marco Cioci e Mirko Venturi e dell’argentino Luis Perez-Companc, che si sono classificati terzi nella categoria LMGTE Am, classe
in cui il successo è andato all’Aston Martin #95
dei danesi Kristian Poulsen, Nicki Thiim e David
Hansson davanti alla Porsche #88 di Ried-Bachler-Al Qubaisi. La vittoria assoluta nella classe
regina LMP1 è andata all’Audi #2 del francese
Benoit Treluyer, dello svizzero Marcel Fassler e
del tedesco André Lotterer che ha battuto la vettura gemella #1 del danese Tom Kristensen, del
brasiliano Lucas Di Grassi e del collaudatore della Scuderia Ferrari, lo spagnolo Marc Gené.
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Sport
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CITE, Monza
olè, un super ottavo posto in gara 1
di Emiliano Perucca Orfei | Ottavi assoluti, sesti in Super Produzione
e primi nella Classe RCZ. Concludiamo gara 1 a Monza con un
grandissimo risultato. Finalmente andiamo forte, anzi fortissimo,
ora pensiamo a gara 2
O
lè, gara 1 è andata ed è andata
benissimo. Come avevo scritto e
detto ieri sapevo che il nostro potenziale era molto più elevato di
quanto espresso in prova e l’ottava posizione finale assoluta (sesti Super Production) e la vittoria nella RCZ Cup 2014 sono la ricompensa di un
weekend in cui ne io ne Andrea siamo riusciti ad
esprimere tutto il nostro potenziale, soprattutto
nel mio caso.
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Meditavo sul passare da
#Masterpilot a #Masterfermo
Dopo un mezzo turno di prove da ventidue minuti e mezzo a testa, condita con una spruzzata di
pioggia, una qualifica (la mia) interrotta da una
bandiera rossa proprio nel momento top della
gomma, non avevo certo di che essere contento: ero lontano dal target tempo che mi ero prefissato e proprio non mi andava giù di non aver
ottenuto almeno la stessa performance del mio
compagno di squadra in qualifica. Anzi, quei sette decimi di differenza dal mio collega mi stavano
facendo meditare sul nuovo hashtag da utilizzare al posto di #Masterpilot: #Masterfermo sarebbe stato sicuramente più indicato.
Sapevo di avere qualcosa dentro
Con questi dubbi ma un barlume di speranza, almeno quella, di avere delle cartucce ancora da
sparare mi presento sotto la tenda della Peugeot
decisamente motivato: quattro chiacchiere con
Mattia Capelli, mio capo meccanico e motivatore
in corsa, uno sguardo alla telemetria ed un breve briefing con il mio compagno di squadra ed è
ora di salire in macchina. Mi cambio ed inizio a
pensare a Monza, alle sue curve, ai suoi rettifili,
al suo mito e penso che devo fare una bella corsa per rendere onore ad una pista a cui porto un
rispetto enorme. Ripenso alle sensazioni positive
che avevo avuto a Misano dopo gara 1 e, stupidamente, ricordo il piacere che avevo provato
nel prendere posto al volante. Un piacere che
riprovo, per la prima volta qui a Monza, anche
stamattina. Iniziamo bene.
Le ultime dritte del Pavlovic:
fondamentali
Sono le 8.50 è ora di mettere in moto e prendere
la via della pista. #Masterchampion Milos Pavlovic, Davide Bortoli (il Direttore IT di Automoto.
it e Moto.it nonché bravo kartista) e tutti gli altri
componenti del team mi fanno forza e nel giro di
schieramento mi rendo conto che effettivamente qualcosa è cambiato: quella sensazione positiva non era falsa e una vocina iniziava a dirmi che
avrei davvero potuto fare una bella corsa. In realtà stavo trasformando la delusione e la rabbia di
venerdì e sabato in motivazione per la corsa. E’
ora di partire, si va.
Obiettivo Civic
Mattia mi chiude la porta, sono solo e inizio a
prendere le misure con la Honda Civic S2000
con cui so che dovremo fare i conti anche qui a
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Monza. La partenza è lanciata ed è fondamentale
non perdere nemmeno un metro, cosa che invece ho fatto a Misano, soprattutto in gara 2 dove
ho letteralmente dormito. Via via via via, mi urlano via radio, il semaforo è verde, la Civic di Piccin inizia ad accelerare forte ed io sono in scia,
talmente calamitato dalla vettura giapponese
che a metà rettifilo devo addirittura parzializzare. Sono a sinistra, perfetto, è esattamente dove
volevo essere perché è il lato in cui si evitano i
guai alla prima variante, se non altro si ha una via
d’uscita in caso di problemi.
Superpartenza: era ora
Passo praticamente indenne la prima variante e
mi lancio incollato alla Honda verso la Roggia. E’
un sogno, dietro ho solo una BMW di Fumagalli
che lascio passare, tanto so bene che poi non
avrebbe avuto problemi nel sbarazzarsi di Piccin e della Seat Leon di Bamonte. Così è stato.
Ora non mi resta che prendere il passo gara e
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Sport
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tenerlo fino al cambio, consapevole che i miei
ai box sono forti che Dall’Antonia ha qualcosa in
meno del mio Brambilla in termini di passo: ergo
se riesco a non fare errori e ad andare forte abbiamo la corsa in pugno.
Nel frattempo si ritira per noie tecniche l’altra
RCZ R Cup, mi spiace, ma è una posizione guadagnata e inizio a pensare e ripensare come e dove
migliorare e dove non sbagliare: i tempi arrivano,
macino dei 2’11”, a dimostrazione che in qualifica
avrei potuto scendere di almeno due secondi sul
mio tempo e tengo a vista la Honda e la Seat che
intanto si sportellano per la posizione.
spiattellate e con i freni finiti. Devo guidare forte
ma pulito, evitando testacoda ed errori stupidi: i giri vanno via veloci ed i 25 minuti di corsa
sono scanditi giro dopo giro con una regolarità
impressionante fino al momento del cambio. Mi
chiamano dentro, arrivo come un treno alla riga
del pit-limit, tiro una staccata al limite ed attivo
il limiter della mia RCZ Cup: perfetto. Arrivo a
singhiozzo al cambio scendo al volo (che fatica)
dico due tre dettagli della vettura ad Andrea e gli
batto forte sulla schiena: vai “ciccio” che oggi si
fa l’impresa. Dagliene finchè ne hai e non fare errori.
Giro forte e non sbaglio:
sembra di volare
MC Motortecnica: gente
che lavora bene
Batto dei due e undici e dei due e dodici bassi,
vado fortissimo, non sbaglio nulla ma soprattutto preservo la vettura per il mio compagno: è
fondamentale, visto il degrado delle Avon a fine
corsa, non consegnargli un’auto con le gomme
I giri passano il tempo corre, intanto al cambio,
come previsto, superiamo la Honda che anche
a Misano non era stata brillante nel cambio: in
questo MC Motortecnica è uno dei migliori team
del CITE.
I tempi di Andrea sono più alti dei miei, me l’aspettavo, ma non sono nemmeno così distanti:
soprattutto non sono peggio di quelli della Honda e della Seat che segue. Siamo tutti gasati, nonostante la delusione del ritiro dell’altra vettura
ufficiale e si segue con grande tensione i minuti
che rimangono.
La Honda va forte, ci vuole scalzare dall’ottavo
posto, ma Andrea si difende alla grande e senza
commettere errori porta la vettura all’arrivo senza perdere alcuna posizione.
Impresa eccezionale
Abbiamo fatto un’impresa eccezionale soprattutto perché il best lap della Honda è stato di 1,7
secondi più veloce del nostro grazie anche ad
una velocità massima più elevata.
Fantastico. Non potevo chiedere di meglio da
questa prima corsa, ora speriamo di fare altrettanto bene in gara due. Guardateci in streaming
dal sito di Acisportitalia.
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CITE, Monza
un amaro ritiro in gara 2
per la nostra RCZ Cup
di Emiliano Perucca Orfei | Dopo l’eccezionale risultato di gara 1 ci
aspettavamo una gara 2 decisamente altrettanto buona. Purtroppo,
come Perucca nella gara serale a Misano, Brambilla ha avuto qualche
difficoltà che l’hanno portato ad un errore fatale per la meccanica della
RCZ Cup
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T
anto da incorniciare e mettere
nell’album dei ricordi più cari Gara 1
quanto da dimenticare, coprire con
una grossa pietra e poi cementare
Gara 2. Dopo il ritiro della RCZ R Cup di Bergamaschi e Gurian per noie tecniche (le prima volta
dopo 33 arrivi consecutivi!) il team 2T Reglage et
Course a cui sono affidate le RCZ che corrono nel
CITE segna una seconda battuta d’arresto anche
con l’altra RCZ, la nostra, per via della rottura del
braccetto dello sterzo. Una rottura non certamente casuale o frutto di errori progettuali o di
montaggio: purtroppo Andrea Brambilla, con cui
ho piacevolmente diviso l’abitacolo qui a Monza,
si è fatto ingannare per ben due volte dalla prima variante finendo entrambe le volte a saltare
sul panettone in cemento che delimita il cordolo
in uscita: un salto che la nostra peugeottina ha
digerito bene al primo errore piegandosi, però,
al secondo. Gara finita prima del cambio pilota,
ritiro della vettura e tutti a casa.
Sono nero
Gara 1 mi aveva svelato alcuni dei segreti di Monza che venerdì e sabato erano rimasti tali e per
gara 2 ero certo di riuscire a fare davvero qualcosa di buono: sentivo dentro di me, dopo averlo
visto guidare la mattina, che anche il mio compagno avrebbe potuto fare qualcosa di davvero
buono e già assaporavo il gusto e l’emozione di
salire nuovamente su quella fantastica terrazza
che guarda il rettifilo di Monza chiamata podio.
Ed invece è successo l’inevitabile
Non che non l’avessi messo in preventivo, ma
l’effetto di trasformazione “da pilota a persona
che fa girare le ruote” che avevo avuto anch’io
in Gara 2 a Misano sta prendendo possesso
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soprattutto perché l’atterraggio è violentissimo.
Tra me e me penso che la corsa sia finita, con un
botto così o la RCZ Cup è un carro armato o si
deve arrendere. Milos, dall’alto della sua esperienza, questa cosa non solo la pensa ma la dice
e capisco che è davvero finita.
Grande dispiacere per Andrea
Mi siedo in un angolo, con lo sguardo in pit-lane
e vedo i ragazzi che nel frattempo si agitano. C’è
un problema, c’è un problema, esclamano. Mattia scende dal muretto e cerca le chiavi del mestiere nella cassetta. Vedo che prende anche un
martello. Gara finita, ciao. Parto come un razzo
verso il motorhome senza nemmeno sapere se
effettivamente avrebbero potuto sistemare la
vettura, sono furibondo ma non ce l’ho con Andrea. Davvero. Sono nero perché volevo correre
di nuovo a Monza consapevole che avrei potuto
fare davvero un bel lavoro.
Capisco cosa vuol dire
correre in due
anche di Andrea: brutta partenza, lontano dalle
vetture che lo precedono, tante posizioni perse
al via dopo una qualifica ben fatta ma soprattutto l’incubo di ritrovarsi a lottare con piloti tenaci
ma dotati di vetture inferiori alla nostra RCZ Cup
qui a Monza. Insomma, esattamente quello che
è successo a me a Misano. Una situazione poco
piacevole, ve l’assicuro, che fa perdere la bussola e rende impossibile guidare con tranquillità:
continui a pensare all’errore al via, continui a
pensare che se solo non avessi dormito saresti
molto più avanti ma soprattutto pensi a come
liberarti di gente che ti ronza attorno senza riuscirci mai del tutto perché per farlo, soprattutto
se dotati di poca esperienza di corsa come noi, il
rischio di incappare in errori madornali di guida
che fanno perdere tempo e ricominciare tutto da
capo è elevatissimo.
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“Oh, oh, socio abbiamo
un problema”
Un film già visto, insomma, ma dentro a quel box
19 pensavo tra me e me che comunque avrei
potuto fare qualcosa per metterci una pezza.
Mancano pochi minuti all’inizio del mio turno,
#Masterchampion Milos Pavlovic (sempre al mio
fianco qui a Monza come a Misano, che onore)
mi aiuta ad infilarmi casco, guanti ed Hans e mi
motiva come solo lui sa fare. Do le spalle alla TV
mentre lui le lancia ogni tanto uno sguardo per
vedere se succede qualcosa: lo vedo cambiare
espressione e poi con grande tranquillità e stupore dice “oh, oh, mi sa che abbiamo un problema socio”. Mi giro e vedo la RCZ Cup griffata
Città della Speranza in procinto di prendere il
volo: penso sia un replay dell’errore precedente
ma non lo è, è una azione decisamente peggiore,
po’ bene ed un po’ male. Guarda il bel risultato di
gara 1 e fidati che questo ritiro serve anche a te
per crescere come pilota.”
It’s racing. it’s life
Tutto vero. Anzi verissimo. Tanto che la mia
convinzione di ringraziare comunque Andrea si
fa sempre più forte e quando viene a scusarsi lo
abbraccio e gli dico che è stato bravo comunque
e che sono le corse. E’ la verità. Non riesco a non
essere furioso però, perché salire in una macchina da corsa così bella, soprattutto a Monza, è un
sogno che cullavo da tempo...e non aver potuto
omaggiare il lavoro del mio team con un passaggio radente al muretto box sotto la bandiera a
scacchi mi lascia davvero tanto amaro in bocca. Come detto all’inizio, pietra sopra e sguardo
avanti. Ora si torna alla vita reale con lo sguardo puntato al Mugello il prossimo 13 luglio. Con
tante nuove sorprese. Grazie di tutto Andrea, a
presto!
Cammino veloce, Milos mi rincorre, mi raggiunge mi abbraccia e mi dice che oggi ho capito cosa
vuol dire correre in due, riprende da terra i guanti che intanto avevo lanciato a terra mi dice una
cosa davvero saggia ed a cui ho pensato molto
tornando a casa: “Devi avere rispetto delle tue
cose da corsa. La tua tuta, il tuo casco, i tuoi
guanti, in questo mondo sono anche loro, a loro
modo, tuoi amici...ti salvano in caso di incidente.
So che sembra scema come cosa, ma correre
non significa fare solo bei tempi. Fare un giro
buono sono capaci quasi tutti. E’ per vincere le
corse che devi avere testa e devi essere attento
anche a queste cose, essere rispettoso del lavoro degli altri e anche delle tue cose. Non serve
a niente lanciare i guanti, anch’io sono arrivato
perfino a lanciare dei caschi quando ero giovane,
ma poi ho capito che non serve a nulla perché le
corse sono così. A volte si vince a volte si perde
e quella rabbia la devi usare per trasformarla in
energia la corsa successiva. Oggi ti è andata un
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Rally
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Ogier: ancora lui
Quest’anno ha vinto Sebastien Ogier. Una nota
quasi “standard”, il Campione del Mondo è al
quarto successo stagionale e poteva vantare un
totalizzatore bassissimo, tanto si è confermato
competitivo il “pack” Volswagen alla seconda
stagione da mattatore del Mondiale. Quello che
le cifre non evidenziano, almeno al primo impatto, è che la vittoria di Ogier non è arrivata ad honorem, coì come le stesse cifre non spiattellano
il fatto che la gara del francese è maturata sulla
perfetta gestione di gara prima che sul suo talento di guida. L’evoluzione del Rally è scandita
dai colpi di scena, talvolta al limite del clamoroso, ma molto di più dai nuovi elementi inseritisi
ad intensificare i significati dell’impresa di Ogier.
Non più un duello, insomma, ma una battaglia su
più fronti ravvicinati, con contendenti saliti sulla
ribalta non per svolgere un compito secondario o
per riempire la scena. Tutto in tre giorni e mezzo
mai sonnolenti o scontati, mai privi di spunti e di
elementi di nuovo interesse. VW è arrivata con
l’armata pronta a ripetere le imprese che caratterizzano tutte le sue campagne da oltre un anno
a questa parte, con l’aggiunta di una inquietante
proposta di guerra fratricida, tra Ogier e Latvala.
Il francese forte della spaventosa continuità che
riesce a dare alla sua esperienza vincente, Latvala esaltato dalle vittorie di quest’anno, in particolare l’inebriante successo argentino. Hyundai
è grande sorpresa, finalmente in grado di dimostrare le tesi della sua ambiziosa apparizione
sulla scena mondiale, e con due Piloti smaniosi
di confermare valori di talento ancora non sedimentati nel curriculum personale.
Citroen torna a farsi vedere
Citroen di nuovo sugli scudi con un Rostberg convinto. Prima dell’Italia Sardegna gran
parte di questi elementi erano nominali, non
Rally Italia Sardegna
WRC, l’insperato sigillo
di Ogier (VW Polo)
di Piero Batini | Il Campione del Mondo protegge il vantaggio acquisito
sulla Monte Lerno e affronta l’ultimo round in difesa. Alle sue spalle la
battaglia senza tregua si conclude con Rostberg davanti a Latvala,
vincitore di sette prove speciali
C
ala il sipario sul Rally Italia Sardegna, tre giorni più la magica serata
di avvio di Cagliari. 1.500 chilometri
di autentica epopea del Rally, che
in Sardegna ha lanciato la sfida alla vetta della
propria identità. Non sembrano essere passati
tre giorni soltanto, ma un tempo indefinitamente più lungo, come accade quando le emozioni
straripano o registrano inusitate sequenze di
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fondo scala. La materia prende forma, il Rally
si propone dirompente e saturo di idee, di nuovi
moventi e di antiche evocazioni. Le une e le altre
saranno adesso filtrate al setaccio del bilancio
finale. Quelle sbagliate saranno scartate, le buone migliorate, le eccellenti fissate. Così stando le
cose il Rally dell’anno prossimo avrà ancora più
omogeneità e quindi spessore, e il salto sarà ancora più evidente.
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Rally
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entusiasmanti e lontani gli uni dagli altri per l’incredibile allungamento della scala di misura creata da Volkswagen. Non è una circostanza inusuale, anzi, la si già vista varie volte nella Storia
dello Sport. Era così ai tempi del dominio Lancia
o del decennio Citroen, della fiammata Subaru
o della persistenza Ford, o dalla longevità delle
supremazie individuali di Piloti stratosferici, ma
è anche, paradossalmente, la circostanza che
può decretare, a un certo punto, la flessione o
addirittura il crollo dell’interesse. Fuoriclasse e
primati, quando prendono la strada della perpetuazione, invecchiano. In Sardegna questo
“rischio” noia non c’è stato. Un giorno ha vinto
una Città, un giorno una Marca, un altro un Pilota
e infine “quel” Pilota che ci si aspettava. Ma tutto
è arrivato con molti, anche repentini e improvvisi
cambi di direzione e di velocità, in un’atmosfera
d’incertezza dominata essenzialmente da due
elementi, i colpi di scena e il talento. A Cagliari
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ha vinto il Pubblico, ad Alghero la novità, venerdì in un giorno solo prima le Hyundai e poi i suoi
due piloti, Hanninen e Neuville, e quindi la… seconda delle VW con Latvala. Sabato hanno vinto
una prova speciale e cruciale, la lunga di Monte
Lerno, e finalmente il fenomeno di questo nuovo
inizio di era, Ogier, ma solo all’ultimo momento. Infine, domenica, il successo di Ogier era già
scritto, ma è rimasta la scia di emozioni del disperato tentativo di recupero di Latvala, di quel
posto d’onore che il finlandese avrebbe abbondantemente meritato. Questi sono gli autentici
colpi di scena ai quali piloti e gare di tutti i giorni
non possono riferirsi, quelli che si basano sull’esaltazione dell’impresa prima ancora che sull’errore, sulla rottura, sulla disfatta. Sotto questo
aspetto vale molto di più la controllata precisione
di Ogier nel mordere il freno nel primo giro di venerdì, con la pista “sporca”, che non il clamoroso
incendio della macchina di Hirvonen.
Hyundai: finalmente
competitiva, ma niente punti
È più emozionante la ritrovata verve di Neuville
e Hanninen, più espressiva la competitività della
loro macchina che il colpo di scena di non vederne una soltanto a punti. Certo, non sono mancati
neanche i colpi di scena “classici”, la macchina
a fuoco, la rottura di Kubica quando si poteva
pensare che il polacco l’avesse fatta finita con gli
incidenti, o le sorprese come il Power Stage vinto da Mikkelsen con la terza Wolkswagen, quarto
assoluto. Così tanti spunti possono nascere solo
da una grande corsa, ma non diciamo niente
di nuovo, lo sanno già le centinaia di migliaia di
spettatori affluiti in Sardegna, certamente non
per caso. Si riparte. Dalla Sardegna si viaggia
alla volta della Polonia, settima prova della serie
mondiale, con Sebastien Ogier solitario a 138
punti, 33 più di Jari-Matti Latvala e più del doppio
di quelli raccolti da Mads Ostberg.
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P. Iva 11921100159
REDAZIONE
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Emiliano Perucca Orfei
Alessandro Colombo
Aimone Dal Pozzo
Francesco Paolillo
Andrea Perfetti
Matteo Valenti
GRAFICA
Thomas Bressani
COLLABORATORI
Massimo Clarke (Tecnica)
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Claudio Pavanello (Epoca)
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Tutto il materiale contenuto su
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Reg. trib. Mi Num. 680 del 26/11/2003
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