Pianeti - Università del Salento

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Pianeti - Università del Salento
Dispensa n. 1 del corso di
PLANETOLOGIA
(Prof. V. Orofino)
I PIANETI DEL SISTEMA SOLARE
Università del Salento
Corso di Laurea Magistrale in Fisica
A.A. 2011-2012
Ultimo aggiornamento: Agosto 2011
1. Introduzione
Il Sistema Solare è un oggetto alquanto complesso composto da una stella
centrale, il Sole, attorno a cui orbitano i pianeti con i rispettivi satelliti, nonché
numerosi corpi cosiddetti minori tra i quali asteroidi e comete. Tutti questi oggetti si
sono formati nell’arco di qualche centinaio di milioni di anni a partire da un disco
circumstellare inizialmente presente intorno al proto-Sole.
I pianeti sono corpi posti in orbita intorno al Sole, aventi forma regolare e
raggio maggiore di 1000 km. A questo proposito si possono subito dire due cose:
innanzitutto che forma regolare e raggio maggiore di 1000 km sono, come vedremo,
due proposizioni di fatto equivalenti e poi anche che questa ora enunciata non è la
definizione di pianeta ma è solo una condizione necessaria. In altre parole esistono
corpi di raggio maggiore di 1000 km, posti in orbita intorno al Sole, che non sono
definiti come pianeti (esempio tipico Plutone). La definizione esatta sarà data in
seguito, una volta studiato il processo di formazione planetaria.
I corpi minori del Sistema Solare sono invece, come dice il nome stesso, corpi
dalle dimensioni piccole rispetto a quelle planetarie. Tra questi si annoverano anche
oggetti per i quali la dizione di “corpi minori” è del tutto inadeguata. Ciò in quanto
Ganimede e Callisto (i due maggiori satelliti di Giove), Titano (il più grande satellite
di Saturno) e Tritone (il maggiore dei satelliti di Nettuno) hanno diametri maggiori di
quello di Mercurio ed hanno una gravità sufficiente per trattenere un’atmosfera. Pur
avendo, quindi, caratteristiche planetarie essi vengono definiti corpi minori
unicamente perché non orbitano intorno al Sole.
2. Caratteristiche generali dei pianeti
I pianeti descrivono orbite di piccola eccentricità (e «1), con l’eccezione di
Mercurio (e = 0.206) e Plutone (e = 0.249). I piani orbitali possiedono piccoli angoli
di inclinazione i sul piano dell’eclittica, con l’eccezione ancora di Mercurio (i ≈ 7°) e
Plutone (i ≈ 17°): il Sistema Solare può quindi essere considerato piano in buona
approssimazione.
Inoltre i pianeti si muovono intorno al Sole tutti con moto diretto, ossia la loro
rotazione orbitale avviene nello stesso verso di quella assiale del Sole, il che è un
chiaro retaggio del verso in cui ruotava la nube da cui Sole e pianeti hanno avuto
origine. Asteroidi, comete e meteoroidi si muovono anch’essi in accordo con le leggi
di Keplero. Non si conoscono asteroidi con orbite retrograde (in cui, cioè, la
rivoluzione avviene in verso opposto a quello della rotazione assiale del Sole). Le
comete per la maggior parte descrivono orbite dirette, con alcune notevoli eccezioni
fra cui la cometa di Halley.
2
Tutti i pianeti, ad eccezione di Mercurio e Venere, possiedono uno o più
satelliti. La Terra ha un satellite, la Luna, di massa circa pari a 1/80 di quella terrestre.
Il record del massimo numero di satelliti è detenuto da Giove che ha almeno 63 lune,
di cui 4 (i satelliti Galileiani) hanno dimensioni confrontabili con quelle della nostra
Luna, mentre gli altri sono molto più piccoli.
Come è noto, Saturno possiede un complesso sistema di anelli, costituiti di
frammenti rocciosi in orbite complanari e quasi circolari. In questi ultimi anni è stato
scoperto che anche Giove, Urano e Nettuno possiedono dei sistemi di anelli.
Tutti i pianeti appaiono all’osservazione telescopica come dischi di dimensioni
angolari finite. Per alcuni pianeti è possibile determinare con osservazioni da Terra
qualche particolare della superficie. In qualche caso, ad esempio Marte, si osservano
variazioni correlate con la posizione orbitale, che sono perciò dette stagionali.
La maggior parte dei pianeti è circondata da una atmosfera. In alcuni casi essa
è trasparente e permette di osservare la superficie solida del pianeta, in altri casi
l’atmosfera è opaca alla luce visibile.
I pianeti interni (tutti rocciosi) sono separati da quelli esterni (tutti
principalmente gassosi, eccetto Plutone) dalla fascia degli asteroidi.
E’ importante sottolineare l’estrema peculiarità di Plutone, non solo per le
caratteristiche orbitali (inclinazione ed eccentricità dell'orbita), ma anche per massa,
dimensioni e atmosfera rispetto ai pianeti esterni e per densità rispetto a quelli interni.
Ciò induce a ritenere che probabilmente si tratta di un antico satellite di Nettuno o di
una grande cometa.
La tab. 1 raccoglie alcuni tra i parametri fisici importanti dei pianeti: diametro,
massa, densità media, velocità di fuga, periodo di rotazione, temperatura superficiale e
riflettività della superficie.
Accenniamo ai metodi di misura di alcune di queste grandezze. Ricordiamo
anzitutto che l’orbita di un pianeta è individuata da 6 elementi orbitali (il settimo ne
fissa la legge oraria); tre osservazioni di posizione sono sufficienti in linea di principio
per determinare l’orbita. Si conosce così ad ogni istante la distanza Δ tra il pianeta e la
Terra. La misura del diametro angolare α permette di ottenere il diametro d = α Δ.
Se il pianeta possiede satelliti, la sua massa può essere determinata mediante la
terza legge di Keplero generalizzata; per la Luna, Mercurio e Venere stime precise
della massa sono state ottenute mediante le orbite di sonde interplanetarie. Note massa
e raggio, si ottengono la densità media, la gravità superficiale g=GM/
e la velocità
1/2
di fuga vF = 2(GM/R) ; quest’ultimo parametro, insieme con la temperatura
superficiale, determina la capacità del pianeta di trattenere un’atmosfera.
3
Tab. 1  Parametri fisici dei pianeti
Mercury
Venus
Earth
Mars
Jupiter
Saturn
Uranus
Neptune
diameter
(Earth=1)
0.382
0.949
1
0.532
11.209
9.44
4.007
3.883
diameter (km)
4,878
12,104
12,756
6,787
142,800
120,000
51,118
49,528
mass (Earth=1)
0.055
0.815
1
0.107
318
95
15
17
mean distance
from Sun (AU)
0.39
0.72
1
1.52
5.20
9.54
19.18
30.06
orbital period
(Earth years)
0.24
0.62
1
1.88
11.86
29.46
84.01
164.8
orbital eccentricity
0.2056
0.0068
0.0167
0.0934
0.0483
0.0560
0.0461
0.0097
mean orbital
velocity (km/sec)
47.89
35.03
29.79
24.13
13.06
9.64
6.81
5.43
rotation period (in
Earth days)
58.65
-243*
1
1.03
0.41
0.44
-0.72*
0.72
inclination of axis
(degrees)
0.0
177.4
23.45
23.98
3.08
26.73
97.92
28.8
mean temperature
at
surface (C)
-180 to
430
465
-89 to
58
-82 to
0
-150
-170
-200
-210
gravity at equator
(Earth=1)
0.38
0.9
1
0.38
2.64
0.93
0.89
1.12
escape velocity
(km/sec)
4.25
10.36
11.18
5.02
59.54
35.49
21.29
23.71
mean density
(water=1)
5.43
5.25
5.52
3.93
1.33
0.71
1.24
1.67
atmospheric
composition
none
CO2
N2 +O2
CO2
H2+He
H2+He
H2+He
H2+He
albedo
0.06
0.72
0.39
0.16
0.70
0.75
0.90
0.82
number of moons
0
0
1
2
63
47
27
13
rings?
no
no
no
no
yes
yes
yes
yes
Osservazioni della distribuzione spettrale della radiazione possono fornire utili
indicazioni sulla natura fisica dei pianeti. L’emissione in luce visibile risulta essere
per la massima parte radiazione solare riflessa. Il flusso di radiazione osservato sulla
Terra dipende da fattori geometrici, quali le distanze Sole-pianeta e pianeta-Terra,
nonché l’angolo di fase definito come l’angolo centrato sul pianeta che sottende la
distanza Terra-Sole. Tale flusso dipende inoltre dalla riflettività della superficie
4
planetaria, che è misurata dall’albedo A (A è la frazione di luce solare incidente che
viene riflessa: uno specchio ideale perfettamente riflettente avrebbe A = 100%; per un
panno nero è A ≈ 0, almeno per la luce visibile – v. Appendice 1). L’albedo di ogni
pianeta può essere calcolata, note le sue dimensioni e le sue distanze dalla Terra e dal
Sole, misurando la luminosità apparente e confrontandola con quella che esso avrebbe
se fosse perfettamente riflettente. Nota l’albedo del pianeta, possiamo confrontarla
con quella di vari materiali sulla Terra e ottenere informazioni sulle proprietà fisiche
della sua superficie.
Se un pianeta non possiede sorgenti di energia interna, la temperatura
superficiale Tsup è fissata dalla quantità di energia ricevuta dal Sole, che diminuisce
con la distanza secondo la legge 1/r2 (r è la distanza del pianeta dal Sole); ci si deve
perciò attendere che i pianeti più vicini al Sole siano più caldi e che i pianeti più
lontani siano via via più freddi. Una stima approssimata, basata sul flusso della
radiazione solare ricevuta e sull’ipotesi che il pianeta irraggi come un corpo nero
(legge di Stefan-Boltzmann), fornisce Tsup  r 1/2, in discreto accordo con i dati di
osservazione (v. Appendice 2). Notiamo che per Giove e altri pianeti giganti, che
hanno sorgenti apprezzabili di energia interna, la stima precedente non è applicabile.
Le distanze medie dei pianeti dal Sole possono facilmente prestarsi a
rappresentazioni approssimate mediante formule empiriche del tipo xn = b + c d n,
dove b, c, d sono opportune costanti e n rappresenta una successione di numeri interi.
La più nota di questa formule empiriche è la legge di Titius-Bode (T-B), proposta nel
1772:
rn = 0.4 + 0.3  2n
dove rn è la distanza di un pianeta dal Sole (in unità astronomiche) e l’intero n
assume i valori −∞ per Mercurio, e poi 0,1, 2, … per i successivi pianeti.
La tab. 2 fornisce i valori delle distanze planetarie dal Sole previsti dalla legge
T-B confrontati con quelli reali. Da tale tabella si può rilevare che l’accordo è molto
buono se si includono gli asteroidi e se si fa eccezione dei due pianeti più esterni,
Nettuno e Plutone. La distanza di Plutone risulta essere molto vicina al valore 38.8
che la legge T-B assegnerebbe a Nettuno. Occorre ricordare che la legge fu formulata
prima che si scoprissero Urano, Nettuno, Plutone e gli asteroidi. Quando Urano fu
scoperto nel 1781, esso risultò accordarsi in modo eccellente con la legge T-B.
Notiamo infine che per molti anni gli astronomi si impegnarono nella ricerca del
«pianeta mancante» tra Marte e Giove: la distanza media degli asteroidi scoperti in
seguito risultò essere quasi in perfetto accordo con le previsioni della legge T-B.
Dalla discussione precedente dobbiamo aspettarci che le proprietà fisiche dei
pianeti possano variare notevolmente a seconda dei valori di parametri quali massa,
5
raggio, distanza dal Sole e così via. Li discuteremo individualmente in ordine di
distanza crescente dal Sole, in base alle informazioni raccolte con i metodi
dell’astronomia classica e ai nuovi dati forniti dalle sonde interplanetarie.
Tab. 2 – Legge di Titius-Bode
Distanza dal Sole (UA)
Pianeta
Mercurio
Venere
Terra
Marte
Asteroidi
Giove
Saturno
Urano
Nettuno
Plutone
Prevista
0.4
0.7
1.0
1.6
2.8
5.2
10.0
19.6
38.8
77.2
Effettiva
0.39
0.72
1.0
1.52
2.8
5.2
9.54
19.2
30.1
39.4
3. Caratteristiche dei pianeti interni
3.1 Mercurio
È il pianeta più interno del Sistema Solare e di esso non si conosce molto. La
sua distanza media dal Sole è circa 0.4 UA. Mercurio si trova in cielo sempre vicino
al Sole: esso sorge e tramonta entro circa 1 ora dalla levata o dal tramonto del Sole e
deve perciò essere osservato basso sull’orizzonte. Ciò fa si che la sua immagine da
Terra sia disturbata dalla turbolenza atmosferica. L’orbita di Mercurio è notevolmente
ellittica: la differenza fra le distanze massima e minima dal Sole è quasi il 40% della
distanza media (per la Terra questa differenza è inferiore al 4%). Mercurio ha un
raggio R = 0.38 RT (con RT raggio terrestre), le sue dimensioni angolari massima e
minima sono rispettivamente 10.9 e 6.9 secondi d’arco.
La magnitudine visuale di Mercurio al massimo splendore è V = − 0.5 (la
grandezza V appartiene al sistema fotometrico UBV di Johnson e Morgan). La
superficie ha riflettività molto bassa con un’albedo A ~ 0.06, vicina a quella della
Luna.
Per lungo tempo si era pensato che Mercurio dovesse possedere una rotazione
sincrona con il proprio moto orbitale, cioè Prot = Priv (con Prot periodo di rotazione e
Priv periodo di rivoluzione), quindi un emisfero sempre illuminato e l’altro sempre in
ombra. La registrazione nel 1965 di segnali radar riflessi dalla superficie di Mercurio
ha permesso di determinare Prot = 58.65 giorni, esattamente i 2/3 del periodo di
rivoluzione. Il rapporto 3 : 2 fra i due periodi è un effetto di “bloccaggio
gravitazionale”, dovuto all’azione mareale del Sole; i due periodi non stanno nel
6
rapporto 1 : 1, come nel caso della Luna, a causa della notevole ellitticità dell’orbita di
Mercurio.
La massa di Mercurio non può essere determinata da Terra poiché il pianeta
non possiede satelliti. Il pianeta fu raggiunto nel 1974 dalla sonda spaziale Mariner 10
e più recentemente dalla sonda MESSENGER, entrata in orbita il 18 marzo 2011. La
deflessione gravitazionale delle sonde da parte di Mercurio ha permesso di
determinare la massa del pianeta, pari a circa 5 masse lunari e 0.055 MT (MT: massa
terrestre).
La sonda MESSENGER ha ripreso decine di migliaia di immagini del pianeta:
esse mostrano una superficie coperta di crateri di impatto meteorico simile a quella
della Luna, con pianure estese di origine probabilmente vulcanica. Non è stata
osservata la presenza di vulcani attivi. La temperatura superficiale varia da un
massimo di 700 K nell’emisfero esposto al Sole a un minimo di 170 K nell’emisfero
in ombra. Misure spettrali hanno permesso di rivelare la presenza di una tenue
atmosfera, la cui densità è soltanto pochi miliardesimi di quella dell’atmosfera
terrestre.
Poiché la densità di Mercurio è leggermente minore di quella della Terra, si
potrebbe pensare che il nucleo di ferro di Mercurio sia proporzionalmente più piccolo
di quello della Terra. Ma non è così. La Terra è 18 volte più massiva di Mercurio. A
causa della maggiore massa che lo sovrasta, il nucleo della Terra risulta molto più
compresso di quanto non lo sia il nucleo di Mercurio. La fig. 1 mostra in scala le
strutture interne di Mercurio e Terra.
Fig. 1 – Struttura interna di Mercurio e della Terra
7
I magnetometri del Mariner 10, hanno scoperto che Mercurio possiede un
debole campo magnetico (100 volte più debole di quello terrestre), la cui origine al
momento non è chiara. Il ferro è l’unico elemento che potrebbe essere responsabile
del campo magnetico di un pianeta roccioso. Il campo magnetico della Terra è
prodotto a causa dell’effetto dinamo. Il magnetismo sorge ogni volta che particelle
cariche elettricamente sono in moto. La rotazione della Terra genera una campo
magnetico globale attorno al pianeta, simile a quello prodotto da una spira metallica
nella quale scorre una corrente elettrica. Si ritiene che il campo magnetico della Terra
abbia origine da correnti elettriche che fluiscono in porzioni liquide del nucleo di ferro
del nostro pianeta. Queste correnti, prodotte dalla rotazione della Terra, creano un
cospicuo campo magnetico planetario.
Poiché Mercurio ruota molto più lentamente della Terra (59 giorni contro 24
ore), molti scienziati non credevano di trovare un campo magnetico intorno a
Mercurio. Rimasero, perciò, stupiti nel trovare che il pianeta possiede un debole
campo magnetico. L’unica spiegazione plausibile è che esso potrebbe essere
“congelato” nel nucleo di ferro completamente solido del pianeta, esattamente come
quello prodotto da una comune calamita. ln ogni caso il campo magnetico di Mercurio
non è abbastanza forte da catturare in modo permanente le particelle cariche, e così
non esiste intorno al pianeta nulla di paragonabile alle fasce di Van Allen della Terra.
3.2 Venere
Questo pianeta ha dimensioni, massa e densità quasi uguali a quelle della
Terra. Tuttavia Venere e Terra sono fra loro estremamente diverse: Venere possiede
una temperatura superficiale di circa 750 K; ciò rende improbabile lo sviluppo della
vita così come noi la conosciamo. Sorgono interessanti interrogativi: perché Venere è
tanto diversa? Potrebbero svilupparsi queste condizioni anche sulla Terra?
Venere non possiede satelliti. Il pianeta orbita intorno al Sole a una distanza
media di 0.7 UA. Esso si avvicina alla Terra più di tutti gli altri pianeti, fino alla
distanza minima di 45 milioni di km. Le dimensioni angolari di Venere variano da 10
a 64 secondi d’arco, mentre la sua magnitudine visuale al massimo splendore è
V = −4.4.
Non è possibile osservare da Terra il suolo di Venere poiché essa è
completamente circondata da nubi otticamente spesse. Studi da Terra mostrano che le
nubi sono formate principalmente di goccioline di acido solforico H2SO4, mescolate
con goccioline d’acqua. L’atmosfera venusiana è costituita per il 90% di anidride
carbonica, CO2. La pressione atmosferica al suolo di Venere è 90 volte più elevata di
quella dell’atmosfera terrestre a livello del mare. Bisogna notare che sulla Terra
l’anidride carbonica inizialmente presente nell’atmosfera ha potuto sciogliersi nelle
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acque marine e si è poi fissata nelle rocce, spesso con l’intervento di organismi
viventi. Si può calcolare che, se il mare e le rocce terrestri rilasciassero tutta l’anidride
carbonica, l’atmosfera terrestre verrebbe ad avere densità e pressione paragonabili a
quelle di Venere. Venere è più vicina al Sole e perciò più calda, non ha oceani nei
quali l’anidride carbonica possa sciogliersi, né organismi viventi capaci di estrarre il
carbonio, cosicché tutta l’anidride carbonica è rimasta nella sua atmosfera.
Misure radio a lunghezze d’onda centimetriche e millimetriche permisero già
negli anni '60 di ottenere la temperatura della superficie del pianeta, Tsup ~ 750 K. Si
calcola che, se Venere non avesse atmosfera e la sua superficie potesse irraggiare
liberamente l’energia assorbita dall’irraggiamento solare, essa dovrebbe avere
Tsup < 375 K. L’atmosfera venusiana è perciò in grado di «intrappolare» una buona
frazione dell’energia solare incidente, secondo il meccanismo noto come effetto serra;
il suolo è riscaldato dalla radiazione solare visibile e riemette nell’infrarosso (IR);
l’assorbimento della radiazione IR da parte del CO2 e di alcuni altri componenti
dell’atmosfera provoca un notevole riscaldamento.
Nel 1961 misure radar permisero di stabilire che Venere ha un periodo di
rotazione Prot = 243 giorni rispetto alle stelle fisse. La rotazione è retrograda, cioè
avviene in verso opposto a quello del moto orbitale; in altre parole su Venere il Sole
sorge ad ovest e tramonta ad est. Il giorno venusiano (che è l’intervallo di tempo tra
un’alba e la successiva) dura 116.8 giorni terrestri. Non si conosce l’origine di questa
anomala rotazione assiale.
La lenta rotazione della superficie del pianeta contrasta con la rapida rotazione
del sistema di nubi: queste circolano intorno al pianeta nello stesso senso retrogrado
ma 60 volte più rapidamente, con un periodo di rotazione di circa 4 giorni.
Il pianeta Venere è stato obiettivo di numerose missioni spaziali americane e
sovietiche, a partire dalla sonda Venera 7 (URSS, 1970) fino all’ultima missione
Venus Express (Europa, 2005) che ha raggiunto il pianeta nel 2006. Si è così scoperta
l’esistenza di due «continenti» che si innalzano alcuni km sopra il livello medio del
suolo e possiedono catene montuose; la massima elevazione è il Monte Maxwell, alto
11 km. E’ stata registrata la presenza di vulcani attivi.
Le numerose sonde inviate verso Venere non sono riuscite ad individuare
alcun campo magnetico attorno al pianeta. Questa assenza del campo magnetico
potrebbe sembrare sorprendente poiché Terra e Venere sono molto simili in massa,
dimensioni, e densità media. È infatti ragionevole assumere che Venere abbia una
struttura interna del tutto simile a quella della Terra, con un sostanziale nucleo di
ferro, in parte probabilmente fuso. Tuttavia Venere non ha un campo magnetico a
causa della lenta rotazione del pianeta.
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3.3 Terra
Lo studio dettagliato del globo terrestre e della sua fenomenologia, sebbene
interessante, è un argomento di geofisica più che di planetologia, per cui non sarà
trattato in questo corso.
3.4 Luna
È stato l’unico corpo celeste al di là della Terra (oltre al Sole) suscettibile di
studi eccellenti, anche prima dell’era spaziale, attraverso il telescopio. Le
caratteristiche più marcate della superficie lunare possono essere notate direttamente
ad occhio nudo, specie durante la fase di Luna piena. Si osserva la presenza di zone
oscure pianeggianti, di catene montuose e di numerosi crateri. La maggior parte di
questi ultimi si formò a causa di un massiccio bombardamento di asteroidi che ebbe
luogo da 4.2 a 3.9 miliardi di anni fa.
Le zone più oscure, pianeggianti, sono dette mari. Questo termine fu
introdotto nel XVII secolo quando gli osservatori usando i primi telescopi pensarono
che fossero dei grandi bacini di acqua. In realtà, bacini di acqua liquida non possono
esistere sui corpi minori, a causa della bassa gravità. Poiché non c’è pressione
atmosferica, un lago o un oceano potrebbe bollire furiosamente ed evaporare
rapidamente. In realtà i mari erano un tempo depressioni, prodotte dall’impatto di
comete o asteroidi di dimensioni relativamente grandi, che poi sono state riempite di
lava o cenere vulcanica. In effetti, nelle prime fasi della vita della Luna il
riscaldamento dovuto alla radioattività interna ha dato origine ad un periodo di attività
vulcanica che ha prodotto i mari e che si è concluso 3.1 miliardi di anni fa. In seguito
l’evoluzione della Luna si arrestò, mentre la Terra è ancora oggi geologicamente
attiva. Tale antica attività vulcanica non è riuscita a produrre un’atmosfera, poiché la
velocità di fuga dalla Luna è troppo bassa per trattenere le molecole di gas.
D’altronde, anche il campo magnetico è assente.
La Luna è dotata di rotazione sincrona con il moto orbitale, ossia il periodo di
rotazione assiale, pari circa a 29 giorni, è esattamente pari al periodo di rivoluzione.
Ne consegue che la Luna rivolge sempre la stessa faccia alla Terra; inoltre ogni punto
della superficie lunare è illuminato dal Sole per circa 15 giorni e la temperatura può
raggiungere anche i 130° C; seguono 15 giorni di oscurità e la temperatura scende a
– 110° C.
Benché l’uomo vi abbia posto piede più volte, la Luna è un mondo così vicino
e così diverso dal nostro, il cui studio presenta ancora molte questioni insolute. Ne
ricordiamo solo due:
a) l’esistenza dei mascons (mascon = mass concentration), scoperti dalle notevoli
deviazioni subite da satelliti orbitanti attorno alla Luna; sono delle masse nascoste
10
sotto la superficie lunare (forse grossi meteoriti ferrosi capaci, con la loro attrazione
gravitazionale, di far deviare il corso di una sonda spaziale che abbia la ventura di
passare nelle loro vicinanze);
b) la scarsa conduttività del suolo lunare, che è coperto da una finissima polvere
meteoritica isolante.
3.5 Marte
Questo pianeta, facilmente riconoscibile in cielo per il caratteristico colore
rossastro, al massimo splendore raggiunge (ogni 15 o 17 anni) una magnitudine
visuale di – 2.5 che lo rende il pianeta più luminoso dopo Venere.
Al contrario dei pianeti interni (Mercurio e Venere) Marte, che è esterno
all’orbita terrestre, non possiede un ciclo di fasi completo come quello della Luna,
presentando un angolo di fase massimo di 47°; ciò significa che, vista dalla Terra, la
parte in ombra del disco planetario è sempre abbastanza piccola rispetto alla parte
illuminata.
Marte è un corpo poco più grande di Mercurio, con un diametro che è circa la
metà di quelli di Venere e della Terra. Il periodo di rivoluzione è di circa 23 mesi
terrestri, mentre il giorno dura 24h 37m. L’asse di rotazione forma con la
perpendicolare al piano orbitale un angolo di circa 24°, quasi uguale a quello della
Terra, motivo per cui il pianeta possiede delle stagioni simili a quelle terrestri, con la
sola differenza che su Marte durano quasi il doppio.
Il pianeta ha un’atmosfera molto tenue (con una pressione al suolo di circa 7
millesimi di quella terrestre al livello del mare) che rende agevole l’osservazione della
superficie.
I particolari osservati al telescopio sul disco del pianeta possono essere
classificati come segue.
Continenti (o Deserti)  Regioni chiare di colore arancione che coprono i 2/3 della
superficie marziana.
Mari  Regioni oscure di colore ocra-marrone che occupano circa 1/3 della superficie
del pianeta.
Nuvole  Sono strutture temporanee localizzate nell’atmosfera, spesso composte da
cristalli di ghiaccio (come i cirri terrestri).
Calotte polari  Sono delle macchie bianche che si formano intorno ai poli in autunno
per scomparire all’inizio dell’estate. Esse sono i dettagli più appariscenti visibili sulla
superficie del pianeta.
Marte è un corpo celeste dalla topografia differenziata in modo spettacolare
che mostra evidenti segni di un recente ed attivo passato geologico: si va da lunghi
canyon profondi anche 7 km ad enormi vulcani che si ergono fino a 27 km sulle
11
pianure circostanti. Le più recenti colate laviche risalgono ad un centinaio di milioni
di anni fa ed è probabile che il pianeta sia ancora vulcanicamente attivo.
Marte è di fatto privo di un campo magnetico globale, il che suggerisce la
mancanza di un nucleo interno liquido. Il pianeta è tuttavia dotato di un debole campo
magnetico diffuso a macchia di leopardo sulla superficie, che sembra il residuo di un
antico campo magnetico a grande scala ben più intenso dell’attuale.
4. Caratteristiche dei pianeti esterni
4.1 Giove
È il più grande dei pianeti. La sua massa, pari a 318 MT, rappresenta circa i 2/3
della massa totale del sistema planetario. Giove orbita a circa 5 UA dal Sole con un
periodo Priv  12 anni. All’opposizione, la distanza di Giove dalla Terra è 591 milioni
di km, la sua magnitudine V = – 2.0 e le dimensioni angolari 50 secondi d’arco. Il
diametro di Giove è circa 11 volte il diametro terrestre, la sua densità media soltanto
1.3 g/cm 3 . Il pianeta deve perciò essere composto principalmente di elementi leggeri
come H e He, più simile chimicamente al Sole che alla Terra.
Con un piccolo telescopio si può osservare l’evidente schiacciamento polare
del pianeta e la struttura a fasce parallele all’equatore. Le fasce sono costituite da un
sistema di nubi in rapida rotazione. La rotazione visibile di Giove non è quella di un
corpo rigido: il periodo di rotazione è di 9h 50m per la zona equatoriale e di 9h 55m a
latitudini più elevate. Caratteristica saliente della superficie visibile delle nubi è la
presenza della Grande Macchia Rossa, scoperta da G. Cassini nel 1665: essa ha forma
allungata con dimensioni 14 000  30 000 km e si sposta lentamente rispetto al sistema
di nubi. Si tratta probabilmente di una formazione ciclonica, relativamente stabile
essendo la sua massa molto più elevata di quella dei cicloni terrestri.
L’energia irraggiata da Giove è 1.6 volte più grande di quella che il pianeta
riceve dal Sole. Devono quindi esistere sorgenti di energia interna, probabilmente
dovute a contrazione gravitazionale. Il calore rilasciato dall’interno dà origine a forti
correnti convettive che rimescolano l’atmosfera di Giove e spiegano la presenza delle
zone chiare (correnti ascendenti di gas) e delle bande scure (gas in caduta).
L’atmosfera di Giove ha composizione completamente diversa da quella
dell’atmosfera terrestre: i componenti più abbondanti sono H ed He; si osserva inoltre
la presenza di ammoniaca (NH3) e metano (CH4). Le sonde Voyager hanno registrato
uragani con potenti scariche elettriche e osservato inoltre gigantesche aurore polari.
Calcoli dettagliati fanno pensare fortemente che il 4% della massa di Giove
sia concentrata in un nucleo denso e roccioso. Lo schiacciamento di Giove è infatti in
accordo con la presenza di un nucleo roccioso di massa pari a quasi 13 MT. Il nucleo
12
roccioso di Giove probabilmente non è molto più grosso della Terra, sebbene sia 13
volte più massivo del nostro pianeta. L’enorme peso della rimanente massa di Giove
comprime il nucleo entro una sfera di 20 000 km di diametro (il diametro della Terra è
12 800 km). La pressione al centro di Giove è di circa 80 milioni di atmosfere, che
schiaccia il materiale roccioso del nucleo di Giove ad una densità di circa 20 g/cm 3 .
La temperatura al centro del pianeta è probabilmente di circa 20 000 K. In contrasto,
la temperatura nelle zone superiori è solo 165 K. Nel profondo interno di Giove le
temperature e le pressioni sono talmente grandi che gli elettroni, non più legati ai
protoni, sono liberi di vagare all’interno del nucleo e in tal modo creano correnti
elettriche. In altre parole, l’idrogeno altamente compresso nelle profonde regioni
interne di Giove si comporta come un metallo. È perciò detto idrogeno metallico
liquido.
Calcoli dettagliati suggeriscono fortemente che l’idrogeno molecolare si
trasforma in idrogeno metallico liquido quando la pressione supera 3 milioni di
atmosfere. Questa transizione avviene ad una profondità approssimativamente di
17 000 km sotto la superficie di Giove. Così la struttura interna di Giove è divisa in
tre regioni distinte: un nucleo roccioso, circondato da uno strato di idrogeno liquido
metallico spesso 44 000 km, a sua volta circondato da un altro strato di idrogeno
molecolare ordinario spesso 17 000 km. Le colorate nubi visibili attraverso i telescopi
si trovano nei 100 km più esterni dello strato superficiale.
Siccome una grande percentuale dell’enorme massa di Giove è liquida ed
elettricamente conduttrice, le correnti elettriche che, a causa della rapida rotazione del
pianeta, si formano in questo spesso strato di liquido metallico generano un potente
campo magnetico, allo stesso modo in cui le porzioni liquide nel nucleo della Terra
producono il campo magnetico terrestre. Il campo magnetico di Giove è 19 000 volte
più intenso di quello della Terra. Ciò avviene perché la regione di idrogeno liquido
metallico è più grande del nucleo terrestre e perché Giove ruota più velocemente di
quanto non faccia la Terra. Di conseguenza il pianeta è circondato da una serie di
fasce di radiazione molto più estese delle fasce di Van Allen terrestri.
Ricordiamo che 4 satelliti di Giove (i cosiddetti satelliti Galileiani) furono
scoperti da Galileo nel 1610. Essi sono, in ordine di distanza crescente da Giove: Io,
Europa, Ganimede e Callisto. Uno di questi, Ganimede, ha un diametro di 5273 km ed
è il più grande satellite del Sistema Solare, più grande anche del pianeta Mercurio; gli
altri hanno tutti un diametro maggiore di quello della Luna, tranne Europa che è
leggermente più piccola. I satelliti Galileiani ebbero un ruolo importante nella storia
dell’astronomia: la scoperta che un pianeta possiede satelliti, come un sistema solare
in miniatura, pose in crisi l’affermazione che tutti i corpi celesti debbono ruotare
intorno alla Terra e costituì un forte argomento a favore del sistema Copernicano. Nel
13
1676 l’astronomo danese Römer ottenne, determinando gli intervalli di tempo fra le
eclissi dei satelliti Galileiani, la prima misura della velocità della luce.
Le missioni spaziali Voyager e Galileo hanno fornito immagini ravvicinate dei
satelliti Galileiani. Fra questi, Io, Europa e Ganimede possiedono un’atmosfera.
Voyager 1 ha scoperto 8 vulcani in eruzione su Io, la cui superficie è coperta di zolfo
e suoi composti. Su Europa, Ganimede e Callisto vi è ghiaccio d’acqua in
abbondanza; Europa potrebbe forse possedere anche acqua allo stato liquido. I restanti
satelliti, tutti scoperti in questo secolo, orbitano a distanze considerevoli e hanno
piccole dimensioni.
Ricordiamo infine la scoperta (fatta da Voyager 1) che Giove possiede un
anello, simile ai ben noti anelli di Saturno e probabilmente costituito di particelle di
polvere.
4.2 Saturno
Il pianeta è caratterizzato da un sistema di anelli che ne fanno il più
spettacolare fra i pianeti del Sistema Solare. La sua distanza dal Sole è 9.5 UA, circa il
doppio di quella di Giove, il periodo di rivoluzione
30 anni terrestri. Saturno è il
più esterno fra i pianeti visibili a occhio nudo, noti fin dall’antichità.
Saturno è il più “schiacciato” fra i pianeti. La sua massa è di circa 95 MT e per
questo motivo esso appartiene, insieme con Giove, Urano e Nettuno, al gruppo dei
pianeti giganti che possiedono tutti una piccola densità. In particolare quella di
Saturno è pari a 0.7 g/cm3 ed è la più bassa fra tutti i pianeti, inferiore perfino a quella
dell’acqua.
Osservato da Terra il pianeta appare di colore giallastro solcato da fasce più
scure e più chiare, simili a quelle di Giove. All’equatore le fasce ruotano con un
periodo di circa 10h 40m; anche in questo caso vicino ai poli la rotazione è più lenta.
Saturno ha un’estesa atmosfera costituita al 97% da idrogeno molecolare ed al 3% da
elio; irraggia una quantità di energia 2.5 volte maggiore di quella che esso assorbe dal
Sole. La sorgente di energia interna è probabilmente, come nel caso di Giove, la
contrazione gravitazionale.
Il pianeta è meno massiccio di Giove e per questo la pressione interna non è
così alta come quella di Giove. Di conseguenza il nucleo solido di Saturno è meno
compresso e quindi più grande di quello gioviano ed inoltre, rispetto al caso di Giove,
una minore massa di idrogeno è stata trasformata in idrogeno metallico liquido.
Il campo magnetico di Saturno è più debole rispetto a quello gioviano, e ciò è
dovuto in parte alla rotazione più lenta ma soprattutto al molto minore volume di
idrogeno metallico liquido presente intorno al nucleo.
14
Si conosce oggi l’esistenza di almeno 47 satelliti di Saturno, i primi 5 dei quali
scoperti già nel XVII secolo. Il satellite più grande, Titano, ha dimensioni maggiori di
quelle del pianeta Mercurio. La sua atmosfera, opaca alla luce visibile e più densa
dell’atmosfera terrestre, è costituita principalmente di N2 e contiene inoltre etano,
metano, propano, acetilene e acido cianidrico. I dati raccolti da Voyager 1 e 2
mostrano che gli altri satelliti di grandi dimensioni, Mimante, Encelado, Teti, Dione,
Rea, Iperione, Giapeto e Febea, hanno tutti una superficie coperta di ghiaccio e
densità media 11.5 g/cm 3 .
Gli anelli di Saturno furono intravisti da Galileo, il quale però non riuscì a
chiarire la loro natura, che fu riconosciuta da Huygens nel 1655. Da misure
fotometriche e spettroscopiche si deduce che gli anelli sono costituiti principalmente
di blocchi di ghiaccio d’acqua mescolati con polveri silicatiche.
4.3 Urano
E’ questo il primo pianeta non ancora noto agli antichi. Scoperto casualmente
nel 1781 da W. Herschel, Urano fa parte, insieme con Giove, Saturno e Nettuno, del
gruppo dei pianeti giganti. Già nel caso di Saturno, la Terra, vista dal pianeta,
raggiungerebbe la massima elongazione dal Sole di 6 gradi e sarebbe a mala pena
percettibile. Ma da Urano, la massima elongazione sarebbe di 3 gradi e pertanto il
nostro pianeta, immerso nel bagliore del Sole puntiforme, sarebbe praticamente
invisibile a occhio nudo.
Osservato da Terra, il pianeta appare come un dischetto verdastro su cui non è
facile distinguere striature simili alla struttura a bande di Giove. La sua atmosfera è
costituita da idrogeno molecolare (83%), elio (15%) e metano (2%). Urano possiede
una caratteristica anomala, unica tra i pianeti del Sistema Solare: il suo asse di
rotazione giace quasi sul piano orbitale; ciascuna regione polare è illuminata dal Sole
per circa 40 anni e rimane poi altri 40 anni nell’oscurità.
I risultati dei modelli astrofisici sulla struttura interna di Urano e Nettuno
concordano sul fatto che entrambi i pianeti devono avere un sostanziale nucleo solido,
proprio come Giove e Saturno.
Gli strumenti a bordo del Voyager 2 hanno scoperto che Urano possiede un
campo magnetico di intensità pari alla metà di quello terrestre. L’asse del campo
magnetico di questo pianeta gigante è però inclinato di circa 55° rispetto all’asse di
rotazione. Ciò è sorprendente poiché la maggior parte dei pianeti hanno l’asse
magnetico e quello polare pressoché allineati.
Osservazioni dell’occultazione di una stella da parte di Urano nel 1977 fecero
scoprire che il pianeta possiede un sistema di anelli simili a quelli di Saturno ed
almeno 27 satelliti.
15
4.4 Nettuno
Questo pianeta fu scoperto da Galle, in seguito alla previsione teorica di
Adams e Le Verrier, basata sulle perturbazioni dell’orbita di Urano. Nettuno ha una
distanza media dal Sole di 30 UA, con un periodo orbitale di 165 anni. Il pianeta, che
al telescopio ha l’aspetto di un dischetto bluastro, ha una composizione molto simile a
quella di Urano (85% idrogeno molecolare, 13% da elio e 2% metano). E’ inoltre
circondato da 13 satelliti noti e da un sistema di anelli. Il suo periodo di rotazione
assiale è di circa 17 ore.
Al contrario di Urano, Nettuno emette leggermente più radiazione di quanta ne
riceva dal Sole. Quindi Nettuno, così come Giove e Saturno, possiede una sorgente
interna di energia. Quella prodotta da Giove è sicuramente di origine gravitazionale,
ossia è l’energia intrappolata all’epoca della sua formazione. Questa potrebbe essere
anche l’origine dell’energia interna di Saturno, ma non certamente di Nettuno che è
troppo poco massivo. La sorgente di energia interna di questo pianeta rimane quindi
misteriosa.
Il Voyager 2 ha fatto la sorprendente scoperta che l’asse del campo magnetico
nettuniano è inclinato di 50° rispetto all’asse di rotazione e questa circostanza è molto
simile a quanto accade per Urano.
4.5 Plutone
E’ stato fino a pochi anni fa considerato il pianeta più esterno del Sistema
Solare, ma oggi è stato declassato al rango di planetoide (o pianeta nano). Sulla sua
massa vi sono state forti controversie: ancora nel 1950 tale massa era stimata pari a
0.91 MT; la scoperta del satellite Caronte ha finalmente permesso una determinazione
accurata che ha fornito un valore di 0.002 MT.
Come nel caso di Urano è stato appurato che l’asse di rotazione giace di fatto
nel piano orbitale. Al perielio Plutone risulta dotato di una tenue atmosfera
temporanea di azoto molecolare e metano che scompare in afelio, a causa della
solidificazione di tali sostanze.
Il suo satellite Caronte, grande circa la metà del pianeta, forma con Plutone un
sistema sincrono, ossia il periodo di rotazione assiale di Plutone coincide sia con il
periodo di rotazione assiale che con quello di rivoluzione di Caronte; in altre parole
non solo il satellite mostra sempre la stessa faccia al suo primario (come accade alla
Luna), ma avviene anche il viceversa. E ciò costituisce un caso a tutt’oggi unico nel
Sistema Solare. Oltre Caronte Plutone ha altri due satelliti noti.
L’orbita di Plutone attorno al Sole è più ellittica dell’orbita di ogni altro
pianeta del Sistema Solare. In effetti l’orbita di Plutone è così eccentrica che a volte il
16
pianeta si trova più vicino al Sole di Nettuno. Considerata questa inusuale orbita
attorno al Sole, è ragionevole chiedersi se Plutone potesse essere stato in passato un
satellite di Nettuno sfuggito al suo pianeta a causa di un antico evento cataclismico.
Con la scoperta di Caronte alcuni astronomi hanno infatti proposto che un
oggetto sconosciuto di massa confrontabile con quella di Plutone fu coinvolto nella
fuga di quest’ultimo da Nettuno. Forse in un lontano passato Tritone, Nereide e
Plutone orbitavano tutti intorno a Nettuno lungo delle orbite regolari. Poi, durante un
incontro ravvicinato, il corpo intruso perturbò l’orbita dei tre satelliti. Tritone e
Nereide furono spostati sulle loro attuali orbite anomale (retrograda la prima, molto
eccentrica la seconda). Le forze di marea esercitate dall’oggetto estraneo spezzarono
Plutone in due pezzi (gli attuali Plutone e Caronte) che vennero espulsi dal sistema
nettuniano ed immessi su un orbita attorno al Sole.
L’idea che Plutone sia un antico satellite di Nettuno sfuggito al suo pianeta fu
proposta per la prima volta nel 1936. Tuttavia questa teoria presenta alcuni punti
oscuri che devono ancora essere chiariti.
17
APPENDICE 1
Albedo di un corpo
Quando un corpo è illuminato dal Sole, esso riflette, o più in generale
diffonde, parte della radiazione incidente (il che lo rende osservabile), mentre la
rimanente parte viene assorbita.
Nel processo di diffusione di radiazione da parte di un’areola dA posta sulla
superficie del corpo in esame occorre considerare quattro angoli:
a) l’angolo di incidenza i, ossia l’angolo che la direzione d’arrivo della radiazione
solare forma con la normale alla superficie;
b) l’angolo di osservazione , cioè l’angolo tra la direzione della radiazione diffusa e
la normale alla superficie;
c) l’angolo di diffusione  = i + , ovvero l’angolo tra la direzione della radiazione
incidente e quella della radiazione diffusa;
d) l’angolo di fase , vale a dire l’angolo, con vertice nel corpo, che viene sotteso
dalla congiungente Sole-Terra (ossia l’angolo Sole-Corpo-Terra).
Gli ultimi due angoli sono collegati tra loro dalla relazione  +  = 180° (v.
fig. A1).
Si noti che per un corpo posto all’interno dell’orbita terrestre (come ad
esempio Mercurio, Venere, la Luna) l’angolo di fase varia tra 0° e 180°, mentre per
corpi esterni l’angolo di fase non raggiunge mai valori prossimi a 90° (ad esempio
Marte mostra un angolo di fase massimo intorno ai 45°).
Fig. A1 – Geometria del processo di diffusione verso la Terra della radiazione solare da parte di un
corpo.
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Ciò premesso, si definisce albedo monocromatica il rapporto tra il flusso (o
anche la potenza), ad una data lunghezza d’onda, della radiazione diffusa in tutte le
direzioni dall’oggetto ed il flusso (o la potenza) della radiazione solare incidente,
sempre alla stessa lunghezza d’onda.
Si definisce, invece, albedo di Bond il rapporto tra il flusso FD, integrato su
tutte le lunghezze d’onda, della radiazione diffusa nello spazio dall’oggetto ed il
flusso integrato Finc della radiazione solare incidente, cioè:
AB 
FD
Finc
Infine si definisce albedo geometrica il rapporto tra l’intensità della radiazione
diffusa dal corpo quando esso ha un angolo di fase pari a 0° e l’intensità osservata da
un disco Lambertiano avente la stessa sezione geometrica del corpo e posto alla stessa
distanza dal Sole. Ossia:
p
I D (0)
I DL
A rigore, entrambe le intensità che compaiono nell’equazione precedente
dovrebbero essere integrate su tutte le lunghezze d’onda.
Un disco lambertiano è uno schermo ideale che diffonde tutta la radiazione
incidente e che appare ad un osservatore ugualmente luminoso, indipendentemente
dall’angolo di osservazione . Ciò implica che l’intensità osservata da un disco
lambertiano, vale:
Finc
I D ( ) 

 I DL
 ,
(A1)
Evidentemente per un disco lambertiano risulta p = 1 per definizione.
Si può provare che tra albedo geometrica e albedo di Bond intercorre la
seguente relazione:
AB
 2
p


0
I D ( )
sin  d
I D (0)
che può essere scritta in definitiva come:
AB = p q,
19
se si pone:
q 2


0
I D ( )
sin  d
I D (0)
Il termine geometrico q, detto integrale di fase, tiene conto della distribuzione
angolare dell’intensità diffusa dal corpo, normalizzata al suo valore massimo (che si
ottiene per  = 0°, in quanto la superficie illuminata è massima). La differenza tra i
due tipi di albedo dipende dalle proprietà superficiali ed eventualmente atmosferiche
del corpo in esame.
Nelle osservazioni planetarie viene spesso utilizzato il rapporto I/F, talvolta
chiamato impropriamente albedo, definito come (Poulet et al., 2007):
I ( )
I ( )
I
 D
 D L
F
Finc
 ID
In termini assoluti (quando il valore di I/F non è normalizzato in qualche modo) tale
rapporto si misura in sr-1. E’ invece un numero puro, privo quindi di unità di misura, il
rapporto (Griffes et al., 2007):
I D ( )
I D ( )
I ( )
I


 DL
L
F
( Finc  )
( I D  )
ID
Come si vede, quest’ultima grandezza, integrata su tutte le lunghezze d’onda, coincide
per un angolo di osservazione  =  con l’albedo geometrica p.
20
APPENDICE 2
Temperatura di equilibrio di un corpo
(brano tratto dal libro Planetary Sciences di de Pater & Lissauer, 2010)
21
APPENDICE 3
Cenni sull’effetto serra
In generale, come abbiamo visto nell’Appendice 2, la temperatura del suolo è
determinata dal bilancio tra l’energia assorbita (A), in arrivo dal Sole sotto forma di
luce, e quella emessa (E), che lascia il suolo sotto forma di radiazione infrarossa. Se il
suolo è all’aperto (riquadro superiore di Fig. A2), la sua temperatura si assesta quindi
su un certo valore d’equilibrio Te = T che deriva appunto dall’equazione:
A=E
Se il suolo si trova invece all’interno della serra (riquadro inferiore di Fig.
A2), la situazione cambia in quanto il vetro, come si vede chiaramente dal grafico in
Fig. A3), ha la proprietà di lasciar passare pressoché indisturbata la radiazione solare
(visibile) ma non quella infrarossa emessa dal suolo. Quest’ultima viene invece
assorbita e riemessa verso il suolo stesso. In tal caso l’equazione del bilancio
energetico diventa:
A + A = E
Fig. A2 – Rappresentazione schematica dell’effetto serra
22
Fig. A3 – Trasparenza del vetro in funzione della lunghezza d’onda della radiazione incidente
In altre parole siccome l’energia solare in arrivo (A) è praticamente la stessa, il
suolo della serra assorbe una quantità di energia maggiore rispetto a quando il suolo è
all’aperto, a causa del contributo (A ) dovuto alla radiazione assorbita e riemessa dal
vetro verso il suolo; di conseguenza la sua temperatura aumenta fino ad un nuovo
valore d’equilibrio Te = T in corrispondenza del quale l’energia emessa dal suolo (E)
bilancia quella assorbita.
Il risultato è che la temperatura del suolo nella serra risulta maggiore di
quella dello stesso suolo all’aperto. In questo consiste appunto l’effetto serra che è ad
esempio responsabile della temperatura insopportabilmente alta dell’abitacolo di
un’auto lasciata al sole d’estate. In effetti tale processo fisico è in grado di innalzare la
temperatura di qualche decina di gradi (si badi bene che è l’abitacolo, e non il
bagagliaio, che risente di questo effetto!).
In una serra per coltivazioni l’effetto serra è ancor più efficace se il vetro viene
trattato con ossido di stagno, una sostanza molto riflettente nell’infrarosso, che
aumenta la quantità di radiazione infrarossa che ritorna sul suolo.
In un pianeta dotato di atmosfera, alla sommità di quest’ultima non abbiamo
ovviamente uno strato di vetro come in una serra. Tuttavia, se nell’atmosfera sono
presenti sostanze come vapor acqueo, anidride carbonica, metano e ammoniaca (i
cosiddetti gas serra), questi si comportano esattamente come il vetro: non
interagiscono con la radiazione solare, mentre assorbono e riemettono verso il suolo la
radiazione infrarossa emessa dal suolo stesso (v. Fig. A4). Quindi anche per un
pianeta dotato di atmosfera in cui sono presenti gas serra la superficie è più calda
rispetto a quella di un pianeta privo di atmosfera.
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Fig. A4 – Effetto serra atmosferico
Bibliografia
Griffes J. L., et al.: 2007, J. Geophys. Res., 112, doi:10.1029/2006JE002811.
Poulet F., et al.: 2007, J. Geophys. Res., 112, doi:10.1029/2006JE002840.
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