La chimica. Pochi vogliono fare la fatica di studiarla

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La chimica. Pochi vogliono fare la fatica di studiarla
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La chimica. Pochi vogliono fare la fatica di
studiarla. Molti vogliono insegnarla
Roberto Zanrè - Amo la scuola pubblica e in quanto docente credo sia mio dovere valorizzarla e
difenderla. Amo la cultura scientifica e in quanto docente laureato in discipline scientifiche penso
sia mio diritto/dovere valorizzarla e promuoverla. Amo la cultura chimica e in quanto docente di
chimica e ricercatore penso sia mio diritto/dovere amare, valorizzare e promuovere la cultura
chimica.
Le misure e gli interventi adatti e necessari a valorizzare la cultura (tutta) sono molti e si fondano su
due impliciti presupposti fondamentali: sulla competenza e sulla qualità (della politica scolastica,
dei docenti, dei curricola, delle strutture). Non dimentichiamo inoltre il senso del dovere e l’amore
per la cultura (in questo caso di quella scientifica e di quella chimica in particolare) e la necessità di
una corretta idea di valorizzazione dell’impegno e del merito. Tutte le altre numerose qualità che
deve possedere un bravo insegnante sono importanti, ma si devono reggere su dei criteri di
competenza (certamente non solo disciplinare, ma mai a prescindere da quella disciplinare).
La domanda è dunque semplice: la cultura chimica da chi dovrebbe essere trasmessa? Da un
laureato in discipline chimiche che ama la cultura di cui è promotore o da un laureato che ha
impegnato le proprie risorse psicologiche e mentali in altre discipline?
La scuola deve basarsi sulla competenza, sulla qualità e sul merito, come presupposto fondamentale
e al di là di qualsiasi altra considerazione. La scuola non può essere immaginata come la possibilità
di trovare un impiego a moltitudini di laureati che altrimenti non saprebbero cos’altro fare.
Se le politiche scolastiche non integrano questi valori (competenza, qualità, merito) alla fine il
danno non sarà solo per l’utenza e per la società, ma per la scuola pubblica stessa, che perderebbe
col tempo il proprio significato e il proprio slancio, trovandosi sempre più lontana dalla propria
mission. I risultati di una politica scolastica che, con varie motivazioni, ha derogato da questi
principi sono sotto gli occhi di qualunque “addetto ai lavori” e anche l’opinione pubblica comincia
per fortuna a rendersene conto. Sembra finito il tempo in cui si poteva impunemente pensare alla
scuola in un modo indipendente dalla qualità.
Eppure nel nostro Paese ancora oggi forze legate ad una anacronistica idea di scuola, al privilegio, a
interessi individuali e particolari, – mentre agiscono per colpi di mano – continuano ad alimentare
surreali dibattiti sulla politica scolastica, sui curricola, sui docenti, che nulla hanno a che vedere con
la qualità e la competenza. Sono dibattiti chiaramente pretestuosi, che mentre si fanno scudo di
concetti non compresi nel loro vero senso profondo – tra cui il significativo, importante e stravolto
concetto di “integrazione della cultura scientifica” – fanno trapelare il vero obiettivo della
discussione, che è quello di aprire possibili discipline a insegnanti che occupano graduatorie
intasate da migliaia di laureati e usare ancora la scuola per offrire sbocchi occupazionali, con un
totale disinteresse per la qualità della formazione che la scuola pubblica dovrebbe garantire.
L’opinione pubblica, distratta e non compiutamente informata, non pare avere alcun diritto di capire
se questo agire possa avere conseguenze sulla qualità della formazione dei propri figli e dunque non
ha diritto di esercitare una consapevole scelta.
Che qualche insegnante proponga e sostenga questo tipo di scelte è invece non facilmente
commentabile. Sono comprensibili le preoccupazioni per il proprio lavoro, ma queste
preoccupazioni non dovrebbero mai fornire pretestuosi argomenti di sostegno ad artificiose e miopi
visioni, adatte solo a distruggere sul nascere una seria politica scolastica e a togliere allo studente il
diritto primario di avere un insegnamento offerto da un docente che ama la propria disciplina e che
è competente al massimo grado possibile nella materia insegnata.
Politiche scolastiche che prescindono dalla qualità sono state fallimentari nel passato e saranno
fallimentari sempre, per ragioni fin troppo ovvie. Infatti, quel poco che si ottiene oggi (per esempio
in termini occupazionali per una categoria di laureati) nel prossimo futuro verrà pagato a caro
prezzo dall’intero sistema Paese. Siamo sicuri che distruggere completamente la scuola pubblica e
la cultura scientifica sia un vantaggio? Invito a una seria riflessione su questo, sgombrando la mente
e il cuore dai propri personali e immediati interessi.
Non dimentichiamo, tra l’altro, che anche noi insegnanti siamo fruitori della scuola pubblica e
infatti siamo in prima fila a lamentarci se i nostri figli incontrano docenti poco preparati in una
particolare disciplina. Questa è esperienza abbastanza diffusa e la chimica, per esempio al liceo, ne
è un esempio paradigmatico.
Ritengo necessario a questo punto spendere due parole sulla chimica.
Dal momento che molti non chimici tendono a parlare molto sulla chimica, forzandone sempre una
banalizzazione (l’unico modo possibile per sostenere le proprie infondate tesi sul possesso di
presunte competenze, che invece sono intrinsecamente impossibili da possedere), allora sia
permesso anche ad un chimico di dire qualcosa in breve sulla propria disciplina. Preciso che il
sottoscritto si è laureato col massimo dei voti, ha un dottorato di ricerca, dieci anni di attività di
ricerca, un master, due specializzazioni per l’insegnamento (A013 e A060), altri titoli minori e oltre
dieci anni di insegnamento alle spalle (anche universitario). Penso dunque di avere titolo per poter
dire qualcosa sulla chimica.
Poche persone hanno compreso che la chimica è sostanzialmente un linguaggio, senz’altro
complesso per un neofita. Questa incomprensione inevitabilmente si trasferisce nelle modalità del
suo insegnamento, per esempio con difficoltà a individuare, e dunque a trasmettere agli studenti, le
nozioni fondamentali, l’alfabeto, le mappe concettuali essenziali. Questo paradigma pedagogico è
vero per qualunque disciplina, ma per la chimica è assolutamente imprescindibile, e costituisce
l’unico modo di mettere ordine ai concetti per renderli comprensibili, trasmissibili e assimilabili.
Non riuscire a fare questo significa generare disordine logico, difficoltà di apprendimento e
misconcezioni che pregiudicano seriamente qualsiasi successivo apprendimento di nozioni superiori
di chimica. Queste ultime costituiscono la parte più utile, necessaria, proficua e bella
dell’insegnamento della chimica e il senso ultimo per cui la chimica compare nei curricola
scolastici. Alla luce di queste considerazioni, che per un chimico sono ovvie, appare spiegabile, ma
non accettabile, l’ostilità e il senso di inutilità che viene associato alla cultura chimica dagli
studenti. Questo fatto potrà non interessare un insegnante che non è chimico e che non ama
(comprensibilmente in quanto non gli appartiene) la cultura chimica o che vive questo spazio
didattico spesso come un peso, ma per un chimico è profondamente ingiustificato e
incomprensibile.
La scibile chimico è vastissimo (probabilmente più grande di tutta la letteratura italiana di sempre),
tanto che nessun chimico, per quanto bravo possa essere, può affermare di conoscerlo. La chimica è
uno sguardo sul mondo significativo, ma non facilmente collegabile al senso comune e,
ciononostante, è la realtà. Eppure molti docenti insegnano la chimica come se fosse avulsa dalla
realtà. Molti insegnanti, non possedendo nessuna competenza laboratoriale (anche in termini di
sicurezza), la insegnano alla lavagna, quando va bene. Altri docenti sono costretti a “insegnarla”
semplicemente facendo leggere in classe il libro di testo (nella speranza che non vengano fatte
domande particolari da qualche studente). Talvolta, soprattutto al liceo, alcuni si limitano a seguire
nel libro di testo la parte che riguarda la “storia della chimica” e pochi altri argomenti collegati. Alla
maggior parte degli studenti restano completamente sconosciute le esperienze laboratoriali,
nonostante siano continuamente richiamate dalle indicazioni nazionali. Alla maggior parte degli
studenti resta completamente sconosciuto che la chimica sia lo studio dell’interazione tra energia e
materia e così gli studenti e i cittadini continuano a restare ignari di questo profondo fenomeno della
natura.
L’energetica chimica, l’elettrochimica, la cinetica chimica restano quasi sempre fuori dal
programma (con la scusa che non ci sia tempo per completarlo). Non parliamo della chimica
organica – spesso relegata a periodi residuali del quarto anno di liceo e anch’essa ovviamente
privata della necessaria didattica laboratoriale – che è fondamentale per comprendere la chimica
cellulare, la biochimica, la vita (oggi, per esempio, le neuroscienze). Quale liceale italiano potrà mai
più conoscere questi aspetti così importanti della realtà? Inutile dire che all’estero la cultura chimica
è valorizzata nel modo adeguato – per esempio in Svizzera, nel vicino Canton Ticino – come
testimoniano per esempio gli scambi culturali con l’India, paese nel quale i nostri liceali trovano gli
studenti indiani “molto ben preparati in Chimica”. Ovviamente preparati da “chemistry teachers”
laureati in chimica.
Molto difficile infine è comprendere il senso epistemologico della chimica, tra l’altro in continua e
costante evoluzione, in un mondo nel quale è vitale una sua non superficiale conoscenza da parte di
tutti.
Molte persone hanno avuto esperienza di come venga insegnata la chimica al liceo:purtroppo,a
migliaia di studenti liceali inconsapevoli è stata negata l’irripetibile opportunità di un’autentica
conoscenza
della
chimica.
Non a caso sono pochissimi gli studenti che intraprendono la loro carriera universitaria nei corsi di
laurea chimici. Si tratta di poche centinaia di studenti in tutta Italia, in gran parte studenti molto
motivati e provenienti in buona misura dagli istituti tecnici o dagli ottimi licei scientifici tecnologici
– valida sperimentazione purtroppo ora ad esaurimento – nei quali la chimica viene insegnata
compiutamente da docenti chimici.
E ancora, a proposito di docenti chimici.
Chi si laurea in chimica deve affrontare uno dei corsi di laurea più difficili. Non a caso gli iscritti
sono pochi e molto motivati e devono affrontare anni di faticoso studio prima di laurearsi. La
preparazione di un chimico non è e non può essere solo teorica e infatti per laurearsi bisogna
svolgere anche molta attività laboratoriale estremamente complessa e fare almeno un anno di
attività di ricerca rigorosamente sperimentale. Non in tutti i corsi di laurea avviene questo. Altri
corsi di laurea sono molto frequentati e sfornano migliaia di laureati, a fronte delle poche centinaia
di laureati in chimica. Rimane il fatto che un chimico, oltre a 4-6 esami di matematica, 3-4 esami di
fisica, 1-2 esami di scienze della vita, approfondisce in modo particolare la conoscenza chimica.
Questo dovrebbe essere ovvio. Una conoscenza chimica non solo teorica, strutturata,
epistemologica e dunque tutt’altro che superficiale.
Solo chi ha sostenuto appena qualche esame teorico (magari superato con votazione minima?) può
auto convincersi di conoscere la chimica e persino di poter essere in grado di insegnarla. Ma
qualunque insegnante realmente competente sa bene cosa significhi “possedere” una disciplina al
punto da poterla insegnare.
Se il paradigma per poter insegnare una disciplina fosse quello di aver sostenuto qualche esame
universitario, allora allo stesso modo la chimica (ma si potrebbero fare esempi per molte altre
discipline e che in effetti subiscono lo stesso maltrattamento) potrebbe essere insegnata da
ingegneri, fisici, astronomi, architetti, eccetera, forse persino a maggior titolo dei docenti che
popolano la classe di concorso A060. Allo stesso modo, per fare un esempio, anche un chimico
potrebbe insegnare matematica e fisica alle superiori, visto che un chimico sostiene circa 10 esami
di matematica e fisica anche di livello molto alto.
L’unico risultato di questa impropria, usurpante e miope volontà politica di non valorizzare le
specifiche competenze dei docenti – per esempio mediante largo ricorso ad anacronistiche e
novecentesche “atipicità” (stessa materia insegnabile da docenti appartenenti a più classi di
concorso) – sarà quella di distruggere definitivamente la cultura scientifica (e in particolare quella
chimica) in Italia, già oggi soggetta a misconcezioni e conseguenti pregiudizi. Questo risultato
potrebbe non interessare molto a chi non è chimico (e dunque vede nell’insegnamento della chimica
solo una possibilità occupazionale, senza particolare interesse alla trasmissione adeguata di questa
cultura) ma sia permesso a noi chimici di difendere con il massimo della volontà e delle forze la
cultura di cui noi, e nessun altro, siamo portatori. Su questo i lettori possono stare certi. Noi chimici
siamo un piccolo gruppo di persone e per cui non abbiamo la forza dei numeri e delle vere lobby
che governano questo paese, ma abbiamo intenzione di farci sentire fino all’ultimo respiro, perché
la nostra è senz’altro la parte della ragione e chi cerca di impostare il dibattito con l’artefatta logica
di un confronto tra uguali diritti di insegnamento o, peggio, di una “diatriba” tra interessi e tra classi
di concorso, si sbaglia profondamente. Anche nel nostro Paese e nella nostra scuola dovrà diventare
chiaro quello che da altre parti è più che scontato, e cioè che la chimica la conoscono i chimici di
gran lunga meglio di chiunque altro e dunque la scuola pubblica ha il dovere di rispettare il diritto
degli studenti di vedersela insegnata da chi offre maggiori garanzie di competenza. Da questa logica
è possibile derogare solo per casi particolari già citati in altri interventi – per esempio il rischio di
perdita di posto di lavoro, quindi deroghe in termini di concessione annuale della possibilità di
insegnare eccezionalmente ed annualmente “discipline affini” – e che mai, in nessun caso, possano
costituire alibi per occupare impropriamente ed indefinitamente posizioni di “non competenza”.
Riassumendo.
La chimica viene insegnata tardi e al liceo da docenti che chimici non sono. La chimica è una delle
poche discipline oggetto di gravi misconcetti,spesso diffusi proprio da insegnanti che non la amano.
E’ insegnata tardi (eppure si dovrebbe cominciare alle elementari, per gioco) perché nei primi anni
di scuola non esistono insegnanti in grado di insegnarla. Alle medie dovrebbe essere onere degli
insegnanti della classe di concorso A059 (spesso le due classi di concorso A059 e A060 sono
popolate dallo stesso tipo di docenti) fornire qualche elemento introduttivo di chimica. Gli stessi
insegnanti dovrebbero insegnare matematica (ma quanti esami di matematica hanno sostenuto?) e
moltissime discipline scientifiche. Se lo facciano o meno per davvero è lasciato a circostanze molto
variabili e non riassumibili in questo contesto. La loro impresa appare davvero notevole e
encomiabile.
Il quadro e la struttura curricolare nelle scuole superiori riflette una concezione sbagliata della
cultura scientifica. Nei licei, per esempio, la chimica viene affidata a insegnanti che chimici non
sono.
Ora, che un chimico debba accettare questa situazione senza far sentire la propria voce francamente
è chiedere un po’ troppo. Da sempre una persona che ha effettuato un certo tipo di studi scientifici è
portatrice orgogliosa di quella cultura e ha anche il diritto/dovere di promuoverla e valorizzarla.
Questo è del tutto naturale. Lo fa chiunque, in tutto il mondo.
Non è pertanto strano che un chimico pretenda che la chimica venga insegnata al meglio possibile.
E’ invece del tutto inconcepibile che chi chimico non è pretenda di affermare di conoscere la
chimica e persino di avere il diritto di insegnarla (al posto dei chimici), non solo nei licei ma
persino negli istituti tecnici, nei quali le attività di laboratorio sono centrali e necessitano di una
conoscenza particolarmente approfondita, anche in termini di igiene e sicurezza nel lavoro. Questo
significa non avere a cuore in nessun modo la cultura chimica e potrebbe corrispondere a un preciso
progetto di sua definitiva scomparsa.
La lobby che cerca di esercitare una pressione impropria non è quindi quella costituita dall’esiguo
numero di chimici italiani che cerca solo di difendere il buon nome della chimica, la cultura
scientifica nel senso più profondo e la qualità della scuola.
Se queste ragionevoli considerazioni appaiono troppo teoriche – visto che è molto facile parlare
dicendo tutto e il contrario di tutto, secondo particolari e personali punti di vista e senza valutare
tutti gli elementi e tutte le conseguenze di ogni scelta – allora direi che è giunto il momento di
passare alla valutazione pratica delle cose.
Si potrebbe per esempio proporre una commissione scientifica, anche internazionale, con lo scopo
di mettere a confronto in modo trasparente e secondo paradigmi scientifici universalmente
riconosciuti le competenze disciplinari in chimica (tutte, non solo chiedendo cos’è la mole o la
legge di Lavoisier come viene fatto nei concorsi) dei docenti A060 (quasi tutti non laureati in
chimica) e di quelli A013 (laureati in discipline chimiche in generale). Si potrebbero far svolgere
alcune lezioni su vari argomenti e fare valutare queste lezioni da questa commissione,
comprendendo naturalmente tutto il programma ministeriale previsto – per esempio considerando
tutta la nomenclatura, tutti gli equilibri in soluzione, l’elettrochimica, la cinetica chimica, la chimica
organica, eccetera – e non solo considerando qualche banale concetto di chimica di base o di storia
della chimica.
E’ da sottolineare comunque che questo test è già ampiamente svolto, sia dai docenti chimici della
classe A013, vincitori di numerosi Awards internazionali, sia dagli studenti delle scuole ove
insegnano i docenti chimici della classe A013 (cioè studenti degli istituti tecnici e dei licei
scientifici tecnologici in via di soppressione), gli unici studenti a conseguire medaglie nelle
olimpiadi internazionali della chimica.
Vogliamo continuare con questa novecentesca idea di scuola o pensiamo di poter avere anche nel
nostro Paese una scuola secondaria di secondo grado, licei compresi, che possa reggere confronti
internazionali? In ultima analisi, solo una scuola “moderna e normale”.