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“Vieni nel mio salotto?” disse il ragno alla mosca.
“È il più bel salottino che tu conosca.”
Mary Howitt
Estratto da
M.C. Beaton, Morte di una moglie perfetta
Titolo originale dell’opera:
Death of a Perfect Wife
Traduzione dall’inglese
di Chiara Libero
© 1989 by M.C. Beaton
© 2017 astoria srl, corso C. Colombo 11 – 20144 Milano
Prima edizione: marzo 2017
ISBN 978-88-98713-65-3
Progetto grafico: Valeria Zevi
www.astoriaedizioni.it
Era un altro giorno bello come il primo giorno della creazione.
L’agente di polizia Hamish Macbeth, con il cane Towser
alle calcagna, passeggiava senza fretta sul lungomare di
Lochdubh, felice come una pasqua. Da due intere settimane il tempo era perfetto.
Sopra di lui il cielo ceruleo, davanti il porticciolo operoso
e dietro l’azzurro del mare, un azzurro incredibile, come
punteggiato di diamanti per il sole che brillava sulla superficie increspata dell’acqua. Alle spalle del villaggio si innalzavano le altissime montagne del Sutherland, le più antiche
del mondo, dolci e benevole nella luce pigra. Al di là del
braccio di mare che formava il lago c’era la Foresta Grigia,
una fresca e scura cattedrale di alti pini svettanti. Le rose
precoci ricadevano sulle recinzioni dei giardini e alla più
lieve brezza i piselli odorosi tremolavano nella loro gloria
edoardiana. Sui fianchi delle montagne la prima edera che
fiorisce a giugno colorava con chiazze rosa scuro il verde e
il marrone che mimetizzavano le brughiere. Le campanule
scozzesi fremevano ai bordi delle strade tra il giallo vivace
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e l’intreccio porpora della vicia e le bianche trombette del
convolvolo.
Avanzando senza fretta, Hamish notò le sorelle Currie,
Jessie e Nessie, due delle zitelle di Lochdubh, che si occupavano del loro minuscolo giardino, sottoposto a una rigida
disciplina. I fiori erano schierati in file ordinate dietro la
bordura di conchiglie.
“Bella giornata,” disse Hamish, sorridendo al di là della
recinzione. Le due sorelle, che stavano strappando le erbacce da un’aiuola, si rialzarono contemporaneamente e
scrutarono l’agente con aria di disapprovazione.
“Al solito, non ha niente da fare, immagino,” disse severamente Nessie, con il sole che si rifletteva sugli occhiali
spessi come fondi di bottiglia.
“E non è l’ideale?” rispose Hamish allegramente. “Niente crimini, niente mogli maltrattate, e nemmeno un ubriacone da sbattere dentro.”
“E allora la stazione di polizia dovrebbe essere chiusa.
La stazione di polizia dovrebbe essere chiusa,” replicò Jessie,
che come il coraggioso usignolo ripeteva tutto due volte. “È
un peccato e una vergogna vedere un omone così ben piantato che bighellona oziando. Un peccato e una vergogna.”
“Accidenti, troverò un omicidio solo per far piacere a
lei,” replicò Hamish, “e allora sì che avrà qualcosa di cui
lamentarsi.”
“Ho sentito che la signorina Halburton-Smythe è tornata,” disse Jessie, scrutando maliziosamente l’agente. “Ha
portato con sé alcuni suoi amici londinesi. Stanno al castello.”
“Ottima stagione per una visita,” rispose Hamish amabilmente. “Un tempo delizioso.”
Sorrise, salutò portandosi la mano al berretto e si allontanò, ma non appena fu fuori dalla portata delle sorelle
Currie il sorriso scomparve. Priscilla Halburton-Smythe era
l’amore della sua vita. Chissà quando era tornata e chi c’era
con lei. Chissà quando l’avrebbe rivista. L’ansia lo avvolse come una nube tenebrosa. Sembrava incredibile che la
giornata continuasse a essere perfetta: il sole splendeva ancora e una foca si crogiolava pigramente nelle acque calme
della baia.
Cercò di ritrovare il buonumore. L’aria profumava di
sale, catrame e pino. Si avviò al Lochdubh Hotel per vedere
se riusciva a scroccare un caffè.
Quando Hamish entrò, il direttore Johnson era nel suo
ufficio. “Serviti pure,” disse con un cenno del capo verso la
macchina del caffè nell’angolo. Attese che Hamish si fosse
accomodato con la sua tazza e disse: “La proprietà dei Willet è stata venduta”.
Hamish sollevò le sopracciglia, incredulo. “Non avrei
maaai pensato che qualcuno se la prendesse.” La casa dei
Willet era una dimora vittoriana che sorgeva a una certa
distanza dal mare. Era in vendita da cinque anni e versava
in pessime condizioni.
“A quanto ne so, l’hanno comprata per un tozzo di pane.
Qualcuno ha detto che la cifra era sulle diecimila sterline.”
“E chi l’ha presa?”
“Certi Thomas. Inglesi. Non ne so niente di niente. Dovrebbero trasferirsi oggi. Forse ci sarà del lavoro per te.”
Hamish sogghignò. “Un crimine, vuoi dire? Con un
tempo del genere, non può accadere niente di male.”
“La pressione sta scendendo.”
“Mai saputo che un barometro potesse prevedere il tem-
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po,” disse Hamish. “Che succede su a Tommel Castle?”
chiese poi con un tono di serena indifferenza. Ma Johnson
non si lasciò ingannare. Tommel Castle, a qualche miglio da
Lochdubh, era la residenza di Priscilla Halburton-Smythe.
“Ho saputo che Priscilla è tornata con un gruppo di
amici,” rispose il direttore.
Hamish bevve un sorso di caffè. “Che genere di amici?”
“Gente dei quartieri alti, credo. Due tizi e due ragazze.”
Hamish si rese conto di provare una sorta di sollievo. A
quanto pareva, si trattava di due coppie. Temeva di sentire
che Priscilla aveva portato con sé un fidanzato.
“Li hai già visti?” chiese.
“Ah, sììì, hanno cenato qui ieri sera.”
Hamish si irrigidì. “E che ne è stato dell’ospitalità del
colonnello, se sua figlia deve intrattenere gli amici nell’albergo del paese?”
Il signor Johnson sembrava a disagio. “Sono al castello
da più di una settimana,” disse, e guardò in alto, in modo
da non vedere lo sconforto negli occhi di Hamish.
Hamish posò lentamente sulla scrivania la tazza di caffè,
ancora mezza piena. “Meglio che vada a fare il mio solito
giro. Andiamo, Towser.” Il grosso bastardone si trascinò
fuori alle calcagna del padrone, la coda a piuma a mezz’asta, come se percepisse l’infelicità di Hamish.
Nel cortile antistante l’hotel, Hamish si fermò tra i larghi
vasi di gerani rossi e socchiuse gli occhi al sole. Sembrava
strano che il tempo fosse ancora più splendido che mai. Più
di una settimana! E lei non si era fatta viva.
Entrò alla stazione di polizia, poi superò il giardino retrostante fino al campicello, per accertarsi che la sua pecora
avesse acqua a sufficienza. Il sole gli scaldava la schiena, i
chiurli cinguettavano nell’erica e in cielo una poiana, come
Icaro, salì dritta verso il sole.
Una grossa pecora nera si avvicinò bel bella e si strofinò contro la sua mano. Hamish subito la accarezzò, ma
i suoi pensieri erano rivolti a quello che stava accadendo
al castello. Prima della sua ultima partenza, Priscilla aveva
insinuato qualcosa a proposito della sua pigra mancanza di
ambizione. Di sicuro non era un tipo ambizioso. Gli piaceva la sua vita tranquilla e amava il Sutherland occidentale
con le sue montagne e l’erica e l’ampia distesa dell’Atlantico oltre il braccio di mare dove, a detta degli anziani, gli
uomini azzurri cavalcavano le onde e i morti tornavano
sotto forma di foche.
Decise che non sarebbe stata una cattiva idea andare al
castello a dare un’occhiata.
Aveva una nuova Land Rover bianca, un benefit che
proveniva dall’ufficio centrale di Strathbane, senza dubbio
con la benedizione dell’ispettore capo Blair, che si era fatto
una reputazione per aver risolto alcuni delitti con l’aiuto di
Hamish. E questo anche se in realtà Hamish aveva fatto tutto
da solo, lasciando che quel cafone se ne prendesse il merito.
La strada tortuosa che saliva al castello si snodava tra
le colline, e a mano a mano che lo portava su, al di sopra
del villaggio, Hamish si sentiva sempre meno angosciato.
Dovevano esserci motivi banali per spiegare come mai Priscilla non fosse andata a trovarlo. Suo padre, il colonnello,
disapprovava fortemente l’amicizia con il poliziotto locale.
Con ogni probabilità le ha detto che non doveva avere nulla a che fare con me, pensò Hamish scordando deliberatamente che in passato il caratteraccio e la disapprovazione
del padre non avevano impedito a Priscilla di frequentarlo.
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Parcheggiò la Land Rover sul bordo della strada fuori
dai cancelli del castello. Intendeva rendersi conto della situazione prima di farsi vedere.
Risalì lentamente il viale d’ingresso. Si sentivano grida
e risate, così invece di seguire la curva del vialetto, che l’avrebbe condotto ai prati di fronte alla casa, s’inoltrò nella
pineta a fianco e avanzò silenziosamente sugli aghi di pino
fino a dove poteva vedere chiaramente senza essere visto.
Priscilla e i suoi amici stavano giocando a croquet. Da
principio, non ebbe occhi che per lei. Era china sulla mazza, con il caschetto dorato di capelli che le ricadeva sul
viso. Indossava una semplice camicia bianca, una gonna di
cotone rosso dritta e corta e sandali marroni a tacco basso, con lacci sottili. L’attenzione di Hamish passò all’uomo
che le si era avvicinato, circondandola con le braccia per
mostrarle come usare la mazza. Era alto, con capelli color
castano bruciato, una bella faccia maschia e un’ombra di
barba sul mento. Portava una camicia a scacchi e, dal colletto aperto, spuntavano peli neri e ricciuti. Le maniche
arrotolate rivelavano braccia forti e abbronzate coperte di
peluria scura.
C’erano due ragazze, entrambe con i musetti schizzinosi tipici dei quartieri alti londinesi e capelli dal taglio impeccabile. Erano vestite in modo casual. L’altro uomo era
un individuo con la faccia da coniglio e occhiali cerchiati
d’oro.
Poi, mentre Hamish continuava a osservare, Priscilla sorrise all’uomo con i capelli scuri, un sorriso radioso, felice, e
Hamish si sentì gelare. Era disperatamente infelice. Priscilla
Halburton-Smythe era innamorata di quella scimmia pelosa, quell’uomo di Neanderthal. Il suo sconforto era acuto e
intenso. D’un tratto, il sorriso abbandonò il viso di Priscilla.
Lei si guardò attorno e poi scrutò tra gli alberi.
Silenziosamente, Hamish scivolò via. Si sentiva inebetito. Tornò alla Land Rover, i passi resi pesanti dall’infelicità.
Guidò con grande cautela fino a Lochdubh, come un
ubriaco che cerca di smaltire la sbornia.
Poi vide un furgone dei traslochi grande e polveroso davanti alla casa dei Willet. Erano arrivati i nuovi proprietari.
Invece di starsene solo con se stesso e i suoi pensieri,
Hamish andò dritto alla casa e parcheggiò accanto al furgone. Una coppia, una donna piuttosto elegante e un omone
tutto dinoccolato, stava scaricando pacchi e pacchetti.
“Avete bisogno di una mano?” chiese. “Sono Hamish
Macbeth, il poliziotto del paese.”
La donna si pulì la mano sui pantaloni e gliela tese.
“Trixie Thomas, e questo è mio marito, Paul.”
La donna era alta quasi quanto Hamish. Aveva lunghi
capelli castani che si inanellavano naturalmente sulle spalle,
e occhi nocciola, molto grandi e con la sclera azzurrina.
La bocca era sottile e i denti, piuttosto sporgenti quando
sorrideva, bianchissimi. Hamish ritenne che fosse intorno
ai quarantacinque anni. Il marito, un tipo goffo con un viso
spiegazzato e malinconico, dava l’impressione di un ciccione che si fosse appena sottoposto a una dieta rigida. La pelle gli ricadeva a pieghe, come se fosse fatta per stendersi su
una corporatura più massiccia. Aveva occhietti scuri, bocca
grande e naso camuso.
“Come va, ve la cavate?” chiese Hamish.
“Facciamo del nostro meglio,” sospirò Trixie. “Ma fa
caldissimo. Abbiamo noleggiato il furgone. Non potevamo
permetterci un’impresa di traslochi quindi dobbiamo per
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forza cavarcela… in qualche modo.” Spalancò gli occhioni
e fece una smorfia allargando le braccia a mostrare la sua
impotenza.
“Vi darò una mano,” si offrì Hamish. Si tolse il berretto
con la visiera e arrotolò le maniche della camicia azzurra
d’ordinanza.
“Oh, ma davvero?” sospirò Trixie. “Il povero Paul è così
inetto.” Aveva una voce un po’ ansimante, sporcata da una
leggerissima cantilena cockney.
Hamish lanciò un’occhiata a Paul, per capire se gli piacesse essere definito inetto, ma l’omone stava sorridendo
amabilmente.
Lieto di avere qualcosa da fare che lo distogliesse dai
suoi guai, Hamish si mise a lavorare di buona lena. Lui
e Paul portavano in casa i mobili e le carabattole e i libri,
mentre Trixie andava di stanza in stanza mostrando loro
dove mettere i diversi oggetti. “Abbiamo bisogno di altri
mobili,” disse la donna. “Viviamo entrambi del sussidio di
disoccupazione e abbiamo deciso di trasformare la casa in
un bed and breakfast.”
“Ah, beh, se vi sbrigate potreste riuscire a prendervi i
turisti di luglio e agosto,” disse Hamish. “E se vi serve roba
di seconda mano, c’è un buon posto dove trovarla giù ad
Alness. È lontanuccio…”
Trixie riprese la sua espressione desolata. “Non ci avanza nemmeno un penny per la mobilia. Speravo che qualcuno del posto avesse da darci delle cosette che non gli servono più.”
“Forse posso darvi io qualcosa,” rispose Hamish. “Quando abbiamo finito, venite alla stazione di polizia e vi preparo da mangiare.”
Non appena ebbe pronunciato l’invito, rimpianse di
averlo fatto. Anche se non era affatto un vanesio, aveva
la sensazione che Trixie gli stesse facendo delle avances.
Emanava una sorta di sensualità seducente e di quando in
quando gli veniva addosso come per caso, scoccandogli un
lento sorriso.
Si pentì ancora di più dell’invito quando la coppia arrivò
alla stazione di polizia. Mentre lui cucinava, Trixie perlustrò le altre stanze senza chiedergli il permesso e ben presto
tornò, il viso un po’ arrossato e gli occhi più spalancati che
mai. “Vedo che non usa il caminetto,” disse, “e c’è quel
vecchio secchio per il carbone. Noi non abbiamo un secchio per il carbone.” Sorrise mestamente. “Non potevamo
permettercelo.”
Il secchio del carbone era stato regalato a Hamish da
una zia. Risaliva al Settecento, aveva pannelli smaltati e
gli piaceva moltissimo. Ebbe l’impressione che Trixie lo inghiottisse con quei suoi occhioni e si sorprese dello sforzo
necessario per scuotere il capo e dire: “No, in inverno lo
uso sempre. Mica potete aspettarvi che accenda il fuoco
con questo caldo”.
Ora Trixie stava perlustrando le mensole della cucina.
Prese un vasetto di marmellata fatta in casa e ne esaminò
l’etichetta. “Fragole! Guarda, Paul. È fatta in casa. Adoro
la marmellata fatta in casa.”
“La prenda pure,” disse Hamish.
Lei lo abbracciò. “Ma non è un amore?”
Hamish si divincolò e servì il pranzo sul tavolo di cucina.
Cominciava a detestare Trixie, ma non riusciva a capire perché questa sensazione fosse tanto intensa. Rivolse
l’attenzione a Paul. L’omone stava raccontando che ave-
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vano deciso di abbandonare la vita frenetica e di trasferirsi
a nord, nelle Highlands, e magari guadagnarsi da vivere
prendendo degli ospiti paganti. “C’è un sacco di lavoro da
fare in casa, ma non ci dovrebbe volere molto tempo per
sistemarla, e a quel punto potrei cominciare a piantare un
orto. C’è un bell’appezzamento di terreno.”
“Il problema è,” commentò Hamish, spostando di lato
le lunghe gambe per evitare quelle di Trixie, che le stava
premendo contro le sue, “dicevo, il problema è che ultimamente le estati non sono state un granché e la gente preferiva andare in vacanza all’estero. Però, con tutte quelle code
negli aeroporti, adesso alla tele dicono che si ricomincia a
fare le vacanze dalle nostre parti e quindi magari avrete
fortuna.”
“Abbiamo già messo degli annunci sul ‘Glasgow Herald’
e su ‘The Scotsman’, per delle stanze disponibili a luglio e
agosto,” disse Trixie.
Hamish pensò che per una coppia con poche disponibilità era ben strano che avessero trovato i soldi per degli annunci. E si era quasi alla fine di giugno. Avrebbero dovuto
lavorare sodo per preparare le stanze in tempo.
Alzandosi per andarsene, Trixie disse: “Non voglio essere importuna, ma se lei avesse qualche mobile, qualsiasi
cosa che possa arredare… Insomma, è comunque tutto pagato dal governo”.
“Le forze di polizia forniscono soltanto scrivania, sedia,
mobili d’archivio e telefono degli uffici,” rispose Hamish.
“Gli alloggi li ho arredati tutti io. Adesso non ho tempo
di cercare nelle stanze, ma se trovo qualcosa, ve lo faccio
sapere.”
Li accompagnò fuori con un certo sollievo. Soltanto
mentre li guardava avviarsi di nuovo verso casa si rese conto con una certa sorpresa che il tempo era cambiato. L’aria
era umida e una sottile velatura di nuvole copriva il sole.
Girò lentamente l’angolo trovandosi sul davanti della stazione di polizia e restò a guardare il lago.
Nuvole gonfie di pioggia avanzavano dal mare sulle ali
di un vento umido, sfiorando come lunghe dita l’acqua
che aveva una superficie nera, lucida come olio e gonfia di
vento.
E a quel punto scesero i midges, i moscerini che infestano le Highlands. Per tutto quell’incantevole, lungo periodo
di tempo asciutto, grazie al cielo, non si erano visti. Ora
sciamavano a nugoli, finendogli negli occhi e su per il naso.
Tornò di corsa in cucina, sacramentando, e chiuse la porta.
L’idillio era finito. Il tempo si era guastato, Priscilla era
tornata a casa con un uomo, e quella coppia si era trasferita
a Lochdubh, portando con sé un’atmosfera di disagio e di
imminenti guai.
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Quella sera, il dottor Brodie sedette davanti a un’abbondante porzione di bistecca e patatine. Insieme alla moglie,
cenò al tavolo tondo della cucina. Aveva perso da tempo
ogni speranza di trovarlo sgombro. Il suo piatto era circondato da libri e riviste e nastri magnetici e lettere che attendevano risposta. La fruttiera che aveva davanti conteneva
fermagli, forcine per capelli, due cacciavite, un tubetto di
colla e un’arancia ammuffita.
La moglie sedeva di fronte a lui, con un libro appoggiato
alla bottiglia del vino. Il dottor Brodie la osservò con affetto. La donna aveva un viso magro e intelligente e grandi
occhi grigi. I capelli sottili e chiari come quelli di un bimbo
le ricadevano sulla faccia e lei sollevò una mano sporca di
carboncino per scostarli. Brodie era un uomo appagato. Gli
piaceva il suo piccolo ambulatorio nel villaggio e, anche se a
volte avrebbe voluto che sua moglie Angela fosse una massaia migliore, si era ormai abituato a quella casa disordinata
e ingombra di roba. I due spaniel di Angela russavano sotto
il tavolo e sul ripiano passeggiava il gatto.
“Il gatto è appena passato sul tuo piatto,” commentò il
dottore.
“Oh, davvero? Sciò!” disse Angela, distrattamente, facendo un gesto con la mano e poi voltando un’altra pagina
del libro.
“Ci sono nuovi inquilini a casa Willet,” continuò il dottore, inondando la carne di salsa speziata e le patatine di
ketchup. Prese la bottiglia di vino e si versò un bicchiere. Il
libro di Angela cadde sul dorso.
“Ho detto che c’è gente nuova a casa Willet,” ripeté suo
marito.
Gli occhi distratti della moglie si fissarono su di lui. “Immagino che domani dovrei andare a dar loro il benvenuto,”
disse. “Gli farò una torta.”
“Tu farai cosa? E da quando in qua sai fare una torta?”
Angela sospirò. “Non sono un granché come donna di
casa, vero? Ma me la caverò. Ho comprato una miscela per
torte, basterà seguire le istruzioni.”
“Fai pure. Priscilla Halburton-Smythe è passata all’ambulatorio per prendere una ricetta per suo padre. Se n’è
andata a casa subito dopo.”
“E?”
“Beh, è tornata da più di una settimana e non è ancora
passata alla stazione di polizia, nemmeno una volta.”
“Povero Hamish. Ma perché si preoccupa? È un bell’uomo.”
“Priscilla è bellissima.”
“Certo che lo è,” rispose Angela senza la minima traccia
di invidia nella voce. “Forse preparerò una torta anche per
Hamish.”
“L’estintore è sopra la stufa, ricordatelo,” la avvertì il
marito. “Quella volta che hai provato a fare la marmellata,
hai dato fuoco a tutto.”
“Non accadrà di nuovo. Probabilmente avevo la testa da
un’altra parte.”
Si alzò, aprì lo sportello del frigo e prese due piattini di
zuppa inglese che aveva comprato quel giorno in panetteria. Il dolce era fatto di crema gommosa, marmellata rossa
insapore e surrogato di panna. Il dottore lo mangiò con
soddisfazione, annaffiandolo con il Chianti, poi si accese
una sigaretta.
Brodie era sulla cinquantina, un tipo snello, distinto, che
si stava stempiando, con occhi azzurri, il viso lentigginoso
e sia in inverno sia in estate indossava abiti di tweed un po’
consunti.
Dopo cena, la coppia si spostò in soggiorno mentre il
gatto si aggirava sul tavolo di cucina, annusando i piatti
sporchi.
Il fuoco si era spento. Angela non raccoglieva mai la cenere fino a quando il caminetto non ne era talmente pieno
da impedire che il fuoco si accendesse. Si inginocchiò davanti al focolare e cominciò a riempire un secchio di cenere
grigia.
“Ma che ti importa?” disse il dottore. “Accendi il caminetto elettrico.”
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“Buona idea,” rispose Angela. Si alzò, lasciando tutta la
cenere sul focolare, inserì la spina del caminetto elettrico e
l’accese. A dispetto del bel tempo, la loro casa era sempre
fredda. Si trattava di un vecchio cottage con pareti spesse e
pavimenti di pietra. Angela si riavvicinò al tavolo, accarezzò
distrattamente il gatto, prese il suo libro, tornò in soggiorno
e si rimise a leggere.
Il dottore aveva imparato a convivere con la caotica gestione domestica della moglie. L’avrebbe sorpreso molto
sapere che spesso era Angela ad avere la sensazione di non
poterla più sopportare.
Spesso pensava di mettersi di buzzo buono e di dare
alla casa una bella ripulita, ma a quel punto veniva colta
da una profonda depressione. Un tempo per rilassarsi le
piaceva leggere le riviste femminili, ma ormai non poteva
più sopportarne la vista: quelle immagini patinate di cucine perfette e tendine fresche di bucato la facevano sentire
disperatamente inadeguata.
Ma la mattina seguente, dopo aver servito la colazione al
marito – salsiccia di fegato fritta, interiora di pecora, bacon,
salsicce, pane fritto e due uova – si sentì il cuore più leggero.
Aveva uno Scopo. Si sarebbe comportata come una brava
moglie, avrebbe preparato una torta e l’avrebbe portata ai
nuovi vicini di casa.
Quando si dispose a leggere le istruzioni sul retro del
pacchetto di Miscela Pronta Joseph, fu colta da una forte
sensazione di risentimento. Se era davvero una “miscela
pronta”, allora perché doveva aggiungere uova e latte e sale
e tutte quelle cose complicate che avrebbero già dovuto stare nel pacchetto?
Cominciò a cercare lo stampo per dolci, per poi ricor-
darsi che i cani lo usavano come ciotola dell’acqua. Buttò
l’acqua e riempì per i cani una fondina, pulì lo stampo con
un tovagliolo di carta, lo imburrò e si mise all’opera.
Quel pomeriggio si diresse a casa Willet – no, era casa
Thomas, rammentò a se stessa – sentendosi molto fiera di
sé. Teneva il dolce come una corona su un cuscino: un pan
di Spagna farcito di panna.
L’attività attorno alla vecchia dimora vittoriana sembrava frenetica. Archie Macklean, uno dei pescatori del paese,
stava portando in casa un tavolino. La signora Wellington,
la moglie del pastore, stava lavando le finestre e Bert Hook,
un piccolo proprietario terriero, era sul tetto, intento a ripulire le grondaie.
La porta d’ingresso era aperta e Angela entrò. La accolse una donna alta. “Sono Trixie Thomas. Oh, che bella
torta. Adoriamo i dolci, ma visto che siamo entrambi disoccupati e che viviamo grazie ai sussidi statali, abbiamo
dovuto rinunciare a questo genere di lussi.”
Angela si presentò e provò un brivido di piacere quando
Trixie disse: “In effetti, siamo pronti a fare una pausa per il
caffè. Stavamo giusto per farla”.
Le fece strada in cucina. Il marito, Paul, stava lavando
accuratamente le pareti. “È il massimo che possa fare, povero caro,” sussurrò Trixie con tono mesto. Poi, alzando
la voce: “Caro, ecco la moglie del dottore con un dolce
delizioso. Facciamo una pausa e prendiamo un caffè. Si accomodi, Angela”.
Angela sedette al tavolo coperto con una vivace tovaglia
a quadretti bianchi e rossi. Mosconi azzurri ronzavano contro le finestre. “Dovrebbe prendere un insetticida spray,”
disse Angela. “Oggi gli insetti sono terribili.”
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“Ritengo che il danno allo strato di ozono sia già sufficiente,” replicò Trixie. “Servirebbe della carta moschicida,
quella di una volta.”
Stava preparando il caffè con una macchina che sembrava nuova di zecca. “Macino i chicchi personalmente,” disse
senza voltarsi. Paul era già seduto a tavola, e guardava il
dolce come un bimbo ingordo. “Ricorda, solo una fettina,”
lo avvertì la moglie. “Sei a dieta.”
Angela osservò Trixie con ammirazione. Indossava una
specie di camicione di lino bianco con grandi tasche, jeans e
scarpe da ginnastica. Le scarpe erano di un bianco candido,
senza nemmeno una macchiolina d’erba. Angela tirò giù
con tristezza la sua maglietta stropicciata, che era risalita
sopra la cintura della gonna informe, sentendosi sporca e
in disordine.
“Dunque, è il momento della torta,” disse Trixie, prendendo un coltello. Paul si chinò sul tavolo, in fremente attesa.
Il coltello affondò nel dolce. Trixie cercò di sollevare una
fetta. Al centro era crudo e una poltiglia giallastra colò fuori.
“Oh, accidenti,” disse Angela. “Non si può mangiare.
Non so come sia successo. Ho seguito le istruzioni sulla scatola con la massima attenzione.”
“Non c’è problema,” rispose immediatamente Paul. “Io
lo mangio.”
“No, non lo mangi,” disse Trixie, scoccando ad Angela
un sorrisetto da cospiratrici che voleva dire “uomini, che ci
vuoi fare!”.
“Sono senza speranza,” commentò Angela umiliata.
“Non si preoccupi. Le spiegherò come si fa. Preparare
un dolce da principio è facile quanto farlo con una di queste
miscele. Ed è stato un bel pensiero.” Trixie spostò la torta
fuori dalla portata del marito. Lui sospirò, si alzò faticosamente in piedi e tornò al lavoro.
“Non ne faccio una giusta,” disse Angela. “Nelle faccende domestiche sono una vera frana. La casa è un bidone
della spazzatura.”
“Probabilmente ha lasciato che le cose andassero troppo
oltre,” replicò Trixie simpatizzando immediatamente. “Perché non prende qualcuno per le pulizie?”
“Oh, non potrei. Capisce, sono un disastro, dovrei cominciare io a pulire prima che qualsiasi domestica possa
raccapezzarsi.”
“L’aiuterò io.” Trixie sorrise ad Angela. “Sento che diventeremo amiche.”
Angela arrossì e si girò un istante per nascondere l’espressione di imbarazzata gratificazione sul suo viso. Non
si era mai inserita troppo bene tra le signore del villaggio.
In effetti, non aveva mai rivelato a nessuna, prima di allora,
quello che provava a proposito della sua casa sudicia. “Non
posso permettere che lei mi dia una mano, Trixie,” rispose,
sentendosi piuttosto moderna e audace perché la gente del
villaggio si chiamava per cognome, signor e signora Tal dei
Tali, passando al nome solo dopo anni e anni di conoscenza.
“Farò un patto con lei,” disse Trixie. “Faremo una scappata a casa sua e, se mi lascerà prendere un vecchio mobile
o un oggetto di qualsiasi genere che pensava di buttare, lo
considererò il mio pagamento.”
“Perfetto,” rispose Angela con una sensazione di sicurezza e tranquillità che non provava da quando era bambina e
qualcuno la teneva per mano.
Ma mentre si avvicinavano alla casa del dottore, Angela
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cominciò a desiderare di non aver permesso a Trixie di venire. Pensava alla cenere che ricadeva dal focolare sul tappeto e all’unto sinistro nascosto in cucina.
Trixie entrò decisa in casa, arrotolandosi le maniche.
Passò da una stanza all’altra del pianoterra, e poi disse senza tante storie: “La cosa migliore è mettersi al lavoro e non
pensare a nient’altro”.
E Trixie lavorò. Le sue mani passavano da una superficie
all’altra. Era incredibilmente competente. L’unto scomparve, le superfici cominciarono a risplendere, i libri volarono
al loro posto sugli scaffali. Per Angela era come una magia,
le sembrava di vedere una specie di Mary Poppins all’opera.
Seguiva un po’ impacciata la sua nuova mentore, eseguendo di buona lena ciò che le comandava di fare, come se la
casa fosse stata di Trixie, e non sua.
“Bene, abbiamo dato una prima passata,” disse infine
Trixie.
“Una prima passata!” Angela era strabiliata. “Non è mai
stata così pulita. Non so proprio come ringraziarla.”
“Magari ha qualche mobile vecchio che non le serve
più?”
“Ma certo.” Angela si guardò attorno, a disagio. “Deve
esserci qualcosa, da qualche parte.”
“Che ne dice di quella vecchia sedia nell’angolo del soggiorno?”
“Intende quella?” Era una poltroncina senza braccioli,
con una fodera a piccolo punto. Angela esitò appena un
istante. Era appartenuta a sua nonna ma nessuno ci si sedeva mai e la sua gratitudine per la nuova dea della casa
era immensa. “Certo, dirò a John di caricarla sulla station
wagon e di portargliela stasera.”
“Non ce n’è bisogno.” Trixie la sollevò con le sue braccia
robuste. “La porto via io.”
Sebbene Angela protestasse dicendo che era troppo pesante per lei, Trixie si incamminò. Angela la seguì fino al
cancello del giardino. Aveva voglia di dirle: “Allora quando
ci rivediamo?” e si sentiva timida come un’innamorata. Il
dottor Brodie era spesso assente per le visite e lei passava
molto tempo da sola. Non aveva mai lavorato da quando,
trent’anni prima, si era sposata con John, giovane studente
di medicina. Non avevano avuto figli, i suoi genitori erano
morti. Aveva la sensazione di essere in qualche modo riuscita solo a trascinarsi per quegli anni di matrimonio, con
l’unica consolazione dei libri.
Al cancello Trixie si voltò. “Ci vediamo domani.”
Angela sorrise, il viso sottile di nuovo giovane e felice.
“Ci vediamo domani,” ripeté.
L’agente Hamish Macbeth era appoggiato al cancello
del giardino quando Trixie ci passò davanti, portando la
sedia.
“Serve aiuto?” chiese.
“No, grazie,” rispose Trixie, affrettandosi.
Hamish restò a guardarla mentre si allontanava. Dove
aveva già visto quella sedia? Passò mentalmente in rassegna
gli interni delle case di Lochdubh. Dal dottore! Ecco dove.
Si avviò lungo la strada fino a casa Brodie ed entrò dalla porta di servizio, perché nessuno nelle Highlands, a eccezione dei Thomas, si prendeva la briga di passare dalla
porta principale.
“Entri, Hamish,” gli gridò Angela, vedendo la sagoma
allampanata del poliziotto dai capelli rossi che faceva capolino dalla soglia. “Le va un caffè?”
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“Sì, grazie.” Hamish si accomodò in cucina e poi fece
tanto d’occhi per la sorpresa. Non aveva mai visto la cucina
dei Brodie così pulita. Angela ribolliva di entusiasmo mentre gli raccontava come Trixie l’avesse aiutata.
“Era la vostra sedia quella che stava portando via?” chiese Hamish.
“Sì, quei poveracci hanno pochissimi mobili. Vogliono
mettere in piedi un bed and breakfast. Era soltanto una
vecchia cosa malconcia di mia nonna.”
Hamish rifletté rapidamente. Chi mette in piedi un bed
and breakfast di solito vuole cose vecchie ma funzionali.
Con un certo disagio si chiese se la sedia non fosse un oggetto di valore. Ma non ci capiva niente di antichità.
In cucina ronzavano le mosche.
“Avrei dovuto tenere la porta chiusa,” disse Angela.
“Dannate mosche.”
“Ha un insetticida spray proprio lì,” le indicò Hamish.
“Quegli spray fanno buchi nello strato dell’ozono,” replicò Angela.
“Immagino di sì. Ma è dura pensare all’ambiente quando hai la cucina piena di bestiacce,” disse Hamish. Il suo
accento delle Highlands diventava più sibilante quando era
arrabbiato, e in qualche modo sentiva che quell’osservazione sull’ozono era farina del sacco di Trixie. Eppure Trixie
aveva ragione, e allora perché provava quel risentimento?
Dopo qualche chiacchiera su questo e quello, Hamish si
alzò e se ne andò. Scendeva una pioggerella sottile sottile. Il
cielo piangeva sul lago, ma l’aria era calda e afosa.
E poi vide una Volvo parcheggiata a lato della stazione di polizia e Priscilla che ne stava giusto scendendo. Si
avviò di corsa.
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