18 - La Rivista della Scuola

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18 - La Rivista della Scuola
18
LA RIVISTA DELLA SCUOLA
Anno XXX, luglio-agosto 2009, n.11/12
Approfondimenti culturali
I pr oblemi dell’infanzia
nell’epoca
All’interno dell’articolo:
2. L’infanzia nell’ epoca moderna
2.1 L’avvento della borghesia nel ‘700 all’epoca
della prima industrializzazione.
2.2 Diffusione dei primi asili infantili
2.3 Una duplice alienazione
2.4 L’iniziazione: il sesso e le fiabe
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2.1 L ‘avvento della borghesia nel
‘700 all’epoca della prima industrializzazione
U
no degli aspetti più salienti del Settecento è sicuramente l’ascesa della borghesia, la quale trova il
momento di massima espansione nell’Ottocento.
Nell’epoca borghese coabitano insieme elementi intrisi di
forte ambiguità, in quanto da un lato si enfatizza il valore del
bambino e della donna-madre, mentre dall’altro vi sono effetti
di sfruttamento, di controllo e di privatizzazione. L’età liberale
in Italia acquista un ruolo centrale in quanto è intesa come
un’età di trapasso dall’Italia agricola a quella industriale
moderna, in cui si vede la borghesia investire tutti gli aspetti
della vita culturale e sociale.
In questo periodo l’infanzia subisce varie trasformazioni;
viene riconosciuta ma allo stesso tempo a tale riconoscimento subentra tutta una rete di norme di comportamento, di
controlli e di obblighi sociali. Il mondo borghese in età liberale si dispiega secondo una logica di classe, con la distinzione
tra un’infanzia borghese e un’infanzia di popolo: nel primo
caso l’infanzia è oggetto di attenzioni e cure, ma essa è allo
stesso tempo “sorvegliata” e “punita” oltre che privatizzata
eccessivamente all’interno della famiglia e limitata profondamente nelle sue pulsioni (verso il cibo, il sesso, il libero movimento); nel secondo caso si tratta di un’infanzia legata all’industria e alle campagne spesso oggetto di sfruttamento, di
carente alimentazione, di malattie endemiche e di alta mortalità; a tal proposito alcune pagine di denuncia di Marx ed
Engels ne sono una valida testimonianza, in quanto essi parlano di bambini che nascevano, crescevano e morivano nelle
fabbriche e di orari di lavoro massacranti. La storia dell’infanzia è contraddistinta dalla “sorte di venire assassinata, abbandonata, picchiata e di subire violenze sessuali” e tale sorte
purtroppo arriva fino ad oggi.
Per De Mause ciò che muta particolarmente è il rapporto
tra genitori e figli in quanto i primi, probabilmente con il processo di industrializzazione e a causa di un individualismo
che si sviluppa, s’interessano dei figli in un rapporto più
esclusivo.
Per quanto concerne l’istruzione si ritiene che essa debba
essere una prerogativa solo dei ricchi a cui si riserva l’istruzione secondaria, mentre il popolo è relegato ai lavori manuali: vi è quindi la necessità di lasciarlo nell’ignoranza. I collegi
diventano pian piano riservati ai ricchi mentre le cosiddette
“piccole scuole” riguardano la popolazione a cui è precluso
l’insegnamento secondario.
In Inghilterra la distinzione scolastica tra ricchi e poveri
riguarda per i primi le “pubblic school”, per i secondi le
“grammar school”.
In seguito all’avvento della borghesia si forma un doppio
insegnamento: il liceo o il collegio (“istruzione secondaria”)
per i ricchi e la scuola per il popolo (“istruzione primaria”),
che per lungo tempo andrà a segnare marcatamente le differenze di condizione sociale.
Egle Becchi utilizza il termine infanzia associandolo al
significato di “classe di età”, la quale coincide con la fase iniziale del ciclo di vita individuale, nello specifico una particolare classe di età circoscritta ai primi cinque o dieci anni di età.
Ogni società, in quanto soggetta a trasformazioni sociali, ha
un suo sistema di classi di età a ciascuna delle quali è associata a un sistema di status e ruoli sociali che mutano nel corso
del tempo; possiamo affermare che non solo trasformazioni di
natura sociale ed economica, ma anche una significativa diminuzione del livello di mortalità, determinano un crescente
interesse per l’infanzia, soprattutto alla fine del XIX secolo.
In passato le cause principali di mortalità infantile, sono
state ritenute quelle endogene, associate al parto e alla gravidanza, più frequenti al Sud; ed esogene, connesse ai fattori
sociali, ambientali e culturali, le quali si evidenziano maggiormente al Nord.
Si dovrà aspettare il primo Congresso internazionale per
l’infanzia del 1896 ed altre politiche sociali, affinché ci si
dedichi ad una maggiore assistenza e protezione infantile e
femminile. Ma fino alla metà dell’Ottocento le condizioni di
vita rimangono molto drammatiche e carenti. È in questo contesto che fanno il loro ingresso i brefotrofi, cioè “ospedali per
trovatelli”, che accolgono soprattutto gli strati più poveri; con
l’affermarsi dei brefotrofi, i problemi connessi alla sopravvivenza si trasferiscono dalla dimensione privata alla collettività, poiché essi, seppur frutto della prevenzione all’infanticidio, in realtà non riescono a ridurre l’altissimo tasso di mortalità infantile; nonostante ciò, la speranza delle famiglie di trovare una vita migliore per i propri figli perdurerà a lungo.
Occorre dire che sin dall’antichità l’infanticidio rappresenta un evento comune in quanto accettato da tutti. Solo con
l’era cristiana, e con l’attribuzione al bambino di un’anima,
tale pratica si comincia a condannare, ma essa continuerà ad
essere in parte praticata dal momento che rappresenta l’unico mezzo di controllo delle nascite.
Con l’emancipazione femminile l’infanticidio inizia però a
diminuire, soprattutto da parte di coppie legittime, mentre
continuerà ad essere praticato nel corso dell’Ottocento dalle
madri illegittime, le quali con l’urbanizzazione e l’industrializzazione possono assumere un comportamento sessuale più
libero poiché meno controllato. Ciò porterà da un lato ad una
maggiore fecondità illegittima, il cui unico sbocco è l’aborto,
e dall’altro ad una diffusione sempre più estesa di metodi
contraccettivi.
Si assiste, a partire dal Seicento ad una progressiva preoccupazione per la salute e l’educazione dei propri figli. Questa
evoluzione riguarda inizialmente i nobili e i borghesi e, solo a
fine Settecento investe la popolazione; tale interesse, però,
pian piano si associa ad una precisa ideologia che in realtà
non pone al centro l’infanzia nella sua specificità ma la considera come subalterna, immatura rispetto all’età adulta e si
delinea il principio della sua innocenza che va protetta e sorvegliata. Si delinea così il carattere di “privatizzazione” o di
“istituzionalizzazione” di questa infanzia: essa appartiene alla
famiglia e da quest’ultima deve introiettare le regole e i valori
secondo una totale conformazione.
Il tutto avviene attraverso un sistema di controlli, di punizioni e gratificazioni; il bambino che si viene a proporre dalla
classe dominante è un modello tout court, un bambino ideologizzato da cui traspare la stessa ideologia borghese. Tale
ideologia è abbastanza visibile in un settore ancora poco analizzato dagli storici per l’infanzia, cioè quello della letteratura
per l’infanzia.
Si tratta di una letteratura scritta per i bambini borghesi da
adulti borghesi, i quali rivestono un ruolo pedagogico con l’obiettivo di educare moralmente e socialmente, oltre che di
divertimento, i bambini; proprio per questo la letteratura per
l’infanzia deve considerarsi frutto dell’immaginario borghese.
Collodi, ad esempio, con Le avventure di Pinocchio, nonostante rinnovi radicalmente l’immagine dell’infanzia quale
anarchica, ribelle ed egoista, non sfugge nel finale alla regola
dell’insegnamento morale e del conformismo borghese; qui il
bambino può solo obbedire alle norme già dettate: il trasgredire presuppone una costante sanzione punitiva da parte di
Dio o di maestri e genitori.
L’obiettivo di questa pedagogia che emerge è quello di formare un “ragazzo perbene”, controllato e allo stesso tempo
privato del proprio io più profondo.
2.2 Diffusione dei primi asili
infantili
P
ertanto per la formazione del bambino borghese si
diffondono all’inizio del XIX secolo varie scuole
infantili. La Francia in questo ha un ruolo pionieristico; è nel 1772 che il pastore Oberlin, apre una tra le prime
scuole per l’infanzia, solo borghese. Lì vi si insegnano lavori a
maglia, preghiere, canti ed anche alcune nozioni di storia
naturale e geografia; J.B. Basedow fonda il Philanthropinum
(un istituto per i giovani dai sei ai diciotto anni) in cui, attraverso esercizi manuali e di coordinazione motoria, mira a fortificare i bambini che sono ancora molto fragili.
Samuel Wilderspin pubblica nel 1823 un importante
manuale di riferimento che riscuote molto successo anche
all’estero; seppur all’inizio del XIX secolo la mortalità sia già
inferiore, le condizioni fisiche dei bambini risultano ancora
molto precarie: è in questo contesto che S. Wilderspin, teorico delle infant school, afferma che “Una buona costituzione
deve essere il nostro obiettivo primario” ed ancora “essa getta
le fondamenta di una vita utile e felice”.
Per tal motivo l’obiettivo principale che la scuola deve prefiggersi è quello di formare scolari resistenti ed anche capaci
intellettualmente. Per quanto concerne la classificazione dell’infanzia, nel XIX secolo ci si attiene alla proposta dell’igienista Hallè, professore dell’università di Parigi, il quale suddivide la prima infanzia in tre periodi principali: dalla nascita allo
spuntare dei denti, verso i 6-7 mesi; la dentizione definita
di FILIPPO NOBILE
come “un’epoca tempestosa” che va dai 7 ai 24 mesi ed infine
un periodo “più calmo” dai 24-28 mesi ai 7 anni. Successivamente viene identificata a livello medico la seconda infanzia
la quale si protrae fino ai 12-13 anni per le ragazze e fino ai
14 anni per i ragazzi; questo interesse anche medico nei confronti dell’infanzia, che ha inizio a partire dalla fine del XVIII
secolo, è dovuto a numerose influenze, quali ad esempio la
crisi delle dottrine ippocratiche (le quali, in contrapposizione
all’equilibrio degli umori nell’adulto maschio, attribuiscono al
bambino una natura incompiuta e sregolata), o l’interesse per
il vitalismo che si basa sul valore della dinamica vitale nelle
differenti età della vita.
Nei primi asili infantili, oltre a potenziare lo sviluppo fisico
dei bambini, acquista un ruolo sempre più importante l’educazione religiosa volta a diffondere ordine e rispetto. Alla
base di ciò vi è però una visione che intende il bambino
costituito da un peccato originale e con inclinazioni cattive
sin dalla nascita.
Dal terzo anno in poi un posto imprescindibile occupa lo
sviluppo mentale ed intellettuale; numerosi medici ed educatori pongono l’accento sul fatto che il bambino è un essere
avido di vedere e di apprendere.
Per quanto concerne la formazione intellettuale si potrebbero citare gli ambiziosi programmi proposti da S.Wilderspin,
il quale ad esercizi di lettura, scrittura e di memorizzazione vi
aggiunge anche nozioni di aritmetica, geometria e geografia o
ancora la “Scuola infantile” di Aporti, che fa recitare ai bambini “tavole sinottiche di nomenclatura” di parti del corpo, di
animali e minerali.
Altri, come Basedow e Pestalozzi propongono invece una
pedagogia che s’incentri sullo sviluppo sensoriale attraverso
esercizi che sviluppino l’intelligenza, quali per esempio il pallottoliere, le lettere di metallo oppure giochi e canti istruttivi
e divertenti allo stesso tempo.
Seppur con alcune incertezze e ambiguità, questi primi tentativi mostrano un importante grado di consapevolezza nei
confronti dell’infanzia e allo specifico dei bambini in grado di
ragionare, distinti dai neonati.
Rousseau, filosofo ginevrino, invece, a differenza degli studiosi menzionati, sottolinea non tanto i vari principi e le
conoscenze da trasmettere quanto un’educazione incentrata
soprattutto sullo stimolo e sul perfezionamento degli strumenti fisici dell’intelligenza; in tale prospettiva i giochi ma
soprattutto 1’ambiente circostante non rappresenta più un
luogo di mera distensione ma è invece strumento di formazione attraverso l’esperienza, l’azione e la manipolazione.
Si profilano una serie di dibattici filosofici sulla questione
dei programmi da adottare, finalizzati specificatamente alla
classe costituita da bambini di età compresa fra i tre e i sei
anni; in taluni casi alcuni valorizzano l’importanza da attribuire alla spontaneità infantile, al giocare e all’ agire liberamente
degli allievi.
Tra coloro che sostengono tale pensiero possiamo ricordare Froebel, il quale fonda il primo Kindergärten, incentrato
su un insegnamento “pre-elementare”, basato sul fornire al
bambino del materiale ed uno scopo che gli permettano di
educarsi; altri ancora come Basedow e Pestalozzi sono
influenzati da Comenio, il quale pone l’accento sulla formazione intellettuale.
Purtroppo, alla base di questo interesse per certi versi positivo, si afferma anche un rigido controllo del bambino che si
esplica nel suo essere spesso istituzionalizzato.
2.3 Una duplice alienazione
A
ccanto a questa realtà, emerge l’infanzia proletaria
sottoposta a condizioni di lavoro terribili, come ad
esempio nelle zolfatare di Sicilia. Il bambino, secondo Bertoni D. Jovine, fu “la vittima del progresso industriale;
generazioni intere furono sacrificate alle soglie dell’adolescenza per alimentare lo sviluppo del capitalismo”; oltre a ciò
emerge la dura realtà del bambino nel mondo agricolo-pastorale all’interno di cui il bambino conduce le bestie al pascolo
e rimane fuori per l’intera giornata. Zanotti Bianco parla di
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