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Viale dei ciliegi
/ 10.10.2016
di Letizia Bolzani
Cristina Sánchez-Andrade, Il pezzettino in più, Feltrinelli Kids. Da 9 anni
Manuelita è nata con «un pezzettino in più». Un pezzettino che si chiama cromosoma. Manuelita ne
ha 47, mentre la sua sorellina, la sua mamma, il suo papà, la maestra, i bambini che al parco giochi
insistono «come corvi» a chiedere «perché ha gli occhi da cinese, perché non si capisce cosa dice?»
ne hanno 46.
Manuelita è una bambina con la sindrome di Down, a volte non sa esprimersi «correttamente», però
«in fondo ai suoi occhi c’era tutto quello che doveva dire». Cose tenere e allegre, come il sorriso
buono del nonno, le polpette e la pasta che le piacciono tantissimo, la mamma e tutto l’amore della
famiglia, i giochi, il cielo, ma anche «capricci e ossessioni», come la mania di cambiarsi
continuamente i vestiti, o di combinare qualche guaio. Non è sempre facile viverle accanto,
soprattutto se sei la sua sorellina minore e ti aspetteresti di essere tu quella coccolata e protetta.
Invece Lucia, dalla cui prospettiva è narrata la storia, è sì la sorella più piccola però deve assumere
un ruolo che per forza è quello della sorella più grande e responsabile.
Lucia ama profondamente Manuelita, la difende come una leonessa dai «bambini-corvi» che non la
lasciano in pace ai giardinetti, però a volte sul cuore ha come un macigno, pesante come il fardello
di responsabilità che deve prendere su di sé, pesante come il senso di colpa per l’imbarazzo che a
volte prova quando è con Manuelita. Interessante e non edulcorata questa prospettiva della sorella
piccola-ma-grande («la capa», come scherzosamente la chiama il papà), così come interessante e non
edulcorato è il romanzo nel suo insieme, che resta una storia molto delicata e profonda sul rispetto
per la diversità. Ricorda il bellissimo e purtroppo fuori catalogo Festa di compleanno di Paula Fox,
recuperabile ormai solo in biblioteca. Non a caso anche in questo libro la cornice narrativa è la festa
per i dieci anni di Manuelita, e il racconto si snoda come un lungo flash-back dialogico tra la mamma
e Lucia intente a preparare la torta.
Il linguaggio dell’autrice a volte è molto onirico e surreale, e questo non lo rende di facile
comprensione per i lettori più piccoli e meno esperti. Ma il libro offre davvero ottimi spunti per
riflettere su cosa significhi essere «diversi».
Eric Battut, Il cappello di Topolina, Bohem Press. Da 2 anni.
È un silent book, un libro senza parole. Per far parlare solo le immagini bisogna essere bravi, e
all’illustratore francese Eric Battut non manca certo l’esperienza, nel disegnare per i bambini, tanto
da potersi cimentare con sicurezza in questo suo primo libro in cui la storia è affidata alle sole
figure. Ma attenzione, non è che, per il fatto di non avere testo, siano libri più facili: questo ad
esempio è adatto a piccolissimi già dai due anni, ma la mediazione di un adulto narratore non solo
sarà gradita, ma è anche auspicata.
Cosa succede dunque in questa piccola incantevole storia? C’è Topolina che ha un delizioso cappello
di cui va davvero fiera. Ma incontra lumaca, che lo vorrebbe provare, e il cappello prende la forma
dei suoi cornini; poi lo vuole provare il gallo, e il cappello diventa fatto «a cresta»; poi sarà un
cappello a forma di orecchie di gatto, poi a orecchie più lunghe di lepre, e così via: di animale in
animale il cappello di Topolina prende mille forme diverse, fino a diventare gigantesco sulla testa
dell’elefante. E quando verrà restituito alla legittima proprietaria sarà un cappello enorme e
sformato, con le tracce di tutte le testoline o testolone che lo hanno indossato.
Topolina ha un attimo di sconforto... subito cancellato da una bella sorpresa: quel cappello rosso ora
può diventare una comoda casetta! Una storia sulla generosità e sulla preziosa capacità di cambiare
sguardo, trovando soluzioni nuove.