In Veneto capofila meccanica e calzature
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In Veneto capofila meccanica e calzature
3/7/2014 IMPRESA E TERRITORI Stampa Articolo Il Sole 24 Ore 03 LUGLIO 2014 Aree pilota. Secondo la Fondazione Nordest le imprese privilegiano sempre di più la difesa della qualità In Veneto capofila meccanica e calzature Katy Mandurino PADOVA Le aree della manifattura veneta sembrano essere quelle maggiormente contagiate dal fenomeno del «reshoring», cioè la tendenza a riportare in Italia parti della produzione precedentemente delocalizzata. Il fenomeno coinvolge in particolare i settori della calzatura e dell'abbigliamento, ma anche della meccanica. La vocazione all'export della regione ha fatto sì che il fenomeno sia già in atto da qualche decennio. Tanto che in regione il trend sta assumendo connotati diversi, definibili con il next-shoring o lo smartshoring. I casi di reshoring sono numerosi: dai più recenti, come la Maschio Gaspardo, azienda padovana colosso nella produzione di macchine per l'agricoltura, che dopo aver aperto stabilimenti in Romania, India e Cina, ha scelto di investire in Italia, aprendo prima il sito di Portogruaro (Ve) e poi quello di S.Vito al Tagliamento (Pn), a quelli un po' più lontani nel tempo – ma parliamo di un paio d'anni –, come il marchio trevigiano di calzature da trekking Aku, che ha ritrasferito dalla Romania a Montebelluna gran parte della lavorazione dei modelli a più alto apporto qualitativo, o la Masters, societa tra le maggiori al mondo per la produzione di bacchette da sci, che nel 2013 ha deciso di riportare a Bassano del Grappa, dalla Cina, la realizzazione dei tubi in alluminio. Anche la vicentina Fiamm, il maggior produttore di batterie per automobili, ha scelto di ricollocare in patria la produzione, dopo aver delocalizzato in India e Repubblica Ceca, a causa di una manodopera del posto non abbastanza qualificata e di una domanda di mercato non soddisfacente. Così come And Camicie, il marchio veneziano di camiceria, ha deciso di produrre tutti i capi in Italia (anziché in Cina), anche per tener fede all'accordo stipulato con un grosso imprenditore cinese che ha chiesto espressamente, per i negozi monomarca dei mall cinesi, qualità al 100% italiana. C'è anche chi non ha ancora seguito il trend ma intende farlo, come la Fitwell, azienda trevigiana di scarpe tecniche da montagna: ha annunciato di voler riportare in Italia la produzione di alcune fasi di lavorazione dalla Romania. Secondo una ricerca della Fondazione Nord Est, il trend del reshoring è corroborato dai dati: la Fondazione ha incrociato i numeri delle importazioni dei prodotti semilavorati dall'estero (in particolare dai paesi low cost e dall'Asia orientale) con i dati delle esportazioni di macchine utensili (necessarie agli stabilimenti esteri), evidenziando una diminuzione per entrambe e quindi una concentrazione di produzione in patria. Il saldo commerciale registrato nel 2013 a Nord-Est (21,7 miliardi, in crescita rispetto ai 19,1 del 2012) è anche il risultato di un calo delle importazioni di beni intermedi e strumentali. Le motivazioni che spingono le imprese al re-shoring sono sostanzialmente tre: i costi di logistica e di energia non sono più favorevoli come in passato; la qualità delle lavorazioni in Italia resta superiore (e il mercato chiede sempre più made in Italy al 100%); i prezzi della produzione in patria si sono abbassati. Ma c'è dell'altro: in Italia c'è molta capacità produttiva inutilizzata e sta diventando più conveniente concentrare la produzione laddove si fa ricerca e sviluppo – il più delle volte nella casa madre – per poter reagire più velocemente ai cambiamenti della domanda. «Un ripensamento dei processi troppo spinti di off-shoring è da considerare positivo – commenta Giancarlo Corò, responsabile di Open-Osservatorio sull'economia della Fondazione –, stavamo correndo il rischio di impoverire l'ecosistema manifatturiero del paese. Per essere presenti sui mercati più dinamici, però, e utilizzare i vantaggi dell'economia mondiale le imprese devono allungare, non ridurre, le proprie catene del valore». Sul concetto di allungamento delle catene di valore si è concentrato il convegno internazionale organizzato dai Master in International Commerce (Masci) e in http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/print.php VENETO LE NUOVE FRONTIERE I manager ora puntano sulla localizzazione nei Paesi vicini e su piattaforme di base all'estero 1/2 3/7/2014 Stampa Articolo International Business for Small and Medium Enterprices (Mibs) dell'università di Padova, che ha evidenziato come il fenomeno del re-shoring vada considerato assieme a quello del near-shoring, ovvero la localizzazione della propria produzione vicino a casa, ma in aree più vantaggiose, o a quello del next-shoring, cioé la creazione di piattaforme produttive anche lontane, ma che fungono da casa madre per aree specifiche. «Ne è un esempio la Carraro Group (organi di trasmissione, con sede nel Padovano, ndr)– spiega Fiorenza Belussi, a capo del Mibs e organizzatrice dell'evento –, che ha creato piattaforme tecnologiche, centri di ricerca e strutture capaci di formare capitale umano specializzato in ogni parte del mondo, ad esempio in India per tutta l'Asia». O la Belfe (near-shoring), azienda di abbigliamento che ha scelto di chiudere lo stabilimento di Marostica e concentrare tutta la produzione in Bulgaria, dopo aver delocalizzato in Asia. «Il reshoring è un fenomeno contingente – continua la docente –, che va inserito all'interno di una strategia globale dell'azienda, che deve essere pronta a cambiare rotta, se serve». «I volumi non contano più – aggiunge Francesco Peghin, presidente della Fondazione Nord Est –, bisogna puntare sul valore aggiunto. Le imprese devono acquisire più tecnologia di prodotto e imparare la flessibilità a tutto campo». © RIPRODUZIONE RISERVATA http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/print.php 2/2