Apri il file

Transcript

Apri il file
Dal racconto al resoconto scritto: Oliver Sacks, l’essenza della
medicina narrativa
Maria Giulia Marini1
“la giacca aveva splendidi disegni, ispirati alle leggende norvegesi, che però erano invisibili agli
occhi delle persone normali, essendo stato ottenuti con tenui tonalità di marrone e di viola,
colori non molto contrastanti… Britt, invece che reagisce solo alle luminanze, li vedeva
perfettamente. “è la mia arte speciale e segreta” diceva. “Bisogna essere completamente
ciechi ai colori per poterli osservare”. 2
“la clinica, il laboratorio, il reparto sono fatti per frenare e concentrare il comportamento se
non per escluderlo del tutto…. Che c’è invece di meglio a questo scopo di una strada di New
York; un’anonima strada pubblica di una grande città dove il soggetto di turbe bizzarre e
impulsive può godere ed esibire appieno la mostruosa libertà o la schiavitù della propria
condizione?” 3
“Quando visitò la casa per la prima volta, subito dopo la guerra, il mio amico Jonathan Miller
disse che gli sembrava una casa in affitto, c’erano pochi segni di gusti o di scelte personali.
Come i miei genitori non si preoccupavo dell’aspetto esteriore della casa… per me il numero 37
era piena di misteri e meraviglie – era lo scenario, il mitico sfondo sul quale si svolgeva la mia
vita”.4
Piena di misteri e meraviglie, così difende la casa in cui ha vissuto la sua infanzia Oliver Sacks
alla critica di un amico che non sa vedere oltre l’ apparenza, che si sofferma sull’immagine: ci
racconterà Sacks che è cresciuto in un luogo denso di una cultura dominante familiare dove la
parola più frequente era “perché”?, così, da voler capire il meccanismo degli eventi e dei
fenomeni. Sacks va oltre il “Viaggio di una Naturalista introno al Mondo” di Darwin, va oltre una
visione positivista e razionalista, ci parla del fascino, del mitico sfondo, uno scenario in cui
anche l’immaginazione e la meraviglia sono delle sensazioni presenti in lui fin da bambino, ma
come è meno logico, anche nel suo vivere e nel suo scrivere da grande. Non perderà mai la sua
capacità di sapere intravedere cosa c’è dietro la malattia, dietro il reparto, dietro i colori per
riuscire a comprendere come stanno veramente le persone affette da una strana malattia rara
che si chiama acromatopsia e che li fa vivere la vita in bianco e nero, anzi non in bianco e nero
ma in un’infinità varietà di tonalità che vanno dai bianchi, attraversando un arazzo sconfinato di
grigi, fino ai neri, al plurale, i neri. Oppure quando riesce a descriverci gli autistici come
“isole”, non influenzabili dagli altri, separate dalla “terraferma” della cultura sociale
dominante: c’è un posto per gli autistici dove la loro autonomia geniale possa essere utilizzata
senza tuttavia venirne intaccata?
Sacks scrive le storie della sua vita intrecciandole con i racconti dei casi clinici dei suoi pazienti
e le commenta da acuto scienziato e osservatore: lo fa non per avere qualcosa da dire, lo fa per
1
2
3
4
Epidemiologa e counselor, divulgatrice delle Humanities for Health in Italia
Oliver Sacks, L’isola dei senza colore, Adephi 2004
Oliver Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Adelphi, 1985
Oliver Sacks, Zio Tungsteno, Adelphi 2006
capire. Quei perché con i quali è cresciuto sono nel suo DNA in un modo straordinariamente
amplificato. “Ma va detto fin dall’inizio che una malattia non è mai semplicemente una perdita
o un eccesso, che c’è sempre una reazione da parte dell’organismo o dell’individuo colpito
volta a ristabilire, a sostituire, a compensare e a conservare la propria identità per strani che
possono essere i mezzi usati”. E’ un caos che trova ordine, che ha una sua bellezza: leggendo le
pagine di Sacks si assorbe per osmosi un profondo rispetto verso condizioni non solo
“neurologiche” ma indefinibili soglie in cui l’essere e l’agire diverso prevalgono su quello che è
definito da noi “normali”, agire normalmente, ad esempio tenere il coltello con la destra e la
forchetta con la sinistra: le mappe mentali che devono fare questi pazienti per percepire non
vedendo coltello a destra e forchetta a sinistra sono dei labirinti faticosi dai quali spesso escono
stanchi ma felici di avere superato la prova.
Se si legge la biografia di Sacks, questi sono i suoi titoli- ma quale forza di volontà dietro
quest’uomo, ndr: biologo, medico, neurologo e scrittore. Biologo, estimatore darwiniano
quando descrive le isole delle malattie locali, quasi chimico nella descrizione degli elementi
dei microcosmi dei sintomi e segni; medico, sì cura il corpo dei pazienti, prescrive farmaci
(famoso il caso della L-Dopo di Risvegli, nei pazienti affetti da encefalite letargica, dall’illusione
della scoperta di una terapia che funzioni alla delusione del fallimento della cura), è neurologo,
perché studia quelle turbe neuronali che pongono l’essere in una condizione di diversità, eppure
è un neurologo che non si sofferma solo sull’andamento dell’elettroencefalogramma ma sa
mettere assieme il pezzo del “microcosmo tissutale”, “il macrocosmo del paziente”. E poi è
scrittore e si sente in dovere di rendicontare nei suoi casi scritti l’universo di particolari con un
tratto sintetico unico. Di fatto Sacks è di più dei titoli che compaiono su Wikipedia: ha una
connotazione fortemente spirituale, e coglie le necessità umane dello spirito nei suoi pazienti:
“Se Jimmie era per breve tempo “preso” da qualcosa, un rompicapo, un gioco, un calcolo
trattenuto entro il loro stimolo puramente mentale, non appena li aveva risolti si perdeva,
precipitava nell’abisso del suo nulla, nella sua amnesia. Ma se era trattenuto in un’emozione
spirituale ed emotiva – quando contemplava la natura e l’arte, quando ascoltava la musica, o
partecipava alla messa nella cappella – l’attenzione, il “suo stato d’animo” la sua calma
duravano per un certo tempo e c’erano in lui una pensosità e una pace che riscontravamo
raramente o mai negli altri momenti della sua vita nella casa di cura. “ Potremmo quindi anche
“etichettarlo” come psicologo in quanto capace di leggere nella psiche o come arte terapeuta,
in quanto conosce l’influsso benefico che l’arte può indurre nelle devastazioni neurologiche: a
noi basta chiamarlo persona attenta ai bisogni dell’Altro, e acuto osservatore di quanto succede
accanto a lui. Uno Scienziato Curante Buono, non solo un medico riduzionista. E poi è
interessante che nei sui scritti talvolta usa la prima persona singolare ma molto spesso usa la
prima persona plurale, e non certo per senso di Pluralia Maiestatis, bensì per un riconoscimento
continuo al lavoro della équipe. Trasgressivo verso la legge della privacy, segue di nascosto i
pazienti nelle vie anonime di New York per capire come si muovono al di fuori del recinto
confezionato della visita: d’altro canto se li deve aiutare, deve capire sino in fondo la loro vita e
non solo in un sistema artificialmente organizzato come quello dell’ospedale e delle case di
cura. Medico contro la cultura riduzionista delle specialità mediche, in cui le diverse discipline
continuano a proliferare e a separarsi, se volessimo aggiungere un’altra parola nel definirlo,
oltre a Scienziato Curante Buono potremmo aggiungere anche Sistemista, perché crede che le
diverse discipline, da quelle umanistiche alle scientifiche e mediche, possano essere messe a
contatto, trasformate, per ritornare al modello di uno scienziato come Galeno, in un’operazione
alchemica di vicinanza degli elementi che poi si trasformano e si fondono. “Ci preoccupavamo
troppo della difettologia e troppo poco della narratologia la scienza del concreto, così
trascurata e così necessaria”: questo è un altro aspetto che condivido con Sacks, la narratologia
non è finzione, non è necessariamente tragedia o commedia per far piangere o divertire il
pubblico, è semplicemente una cronaca, un resoconto, di stati del corpo, della mente,
dell’anima del paziente e delle persone attorno, è la scienza del concreto, non dell’astratto.
Poche teorie, ma molta disciplina nello scrivere e riportare fatti, emozioni e pensieri.
C’è un meraviglioso pullulare di esperimenti interessanti, di nuovi nomi emergenti, di teorie di
linguisti strutturalisti, filosofi, sociologi, psicologi, medici e infermieri sulla medicina narrativa.
Chiedono, dove possiamo imparare? Come si scrive una cartella parallela, quella cartella che è
il racconto del medico nella cura di uno specifico paziente, io posso rispondere: leggete Oliver
Sacks, ha detto e scritto le più belle cartelle parallele di sua spontanea volontà almeno
trent’anni prima degli altri, senza nemmeno sapere che sarebbe nata una nuova disciplina, la
medicina narrativa; l’ha realizzata prima ancora che i nominalisti, con il loro bisogno innato di
dare un nome e classificare le correnti di pensiero e studio, etichettassero questa disciplina.
Certamente Dr. Sacks deve molto alla casa in cui è nato, al numero 37, a questa famiglia cosi
genuinamente curiosa, la madre che rispondeva ai suoi “perché”, a suo zio appassionato di
chimica: Mr. Sacks è stato un pioniere, dritto per la sua strada, senza aver avuto bisogno di
plauso dalla comunità scientifica. Ci ha aperto la strada, e per questo, noi che ci aggiorniamo
con le storie quotidiane di pazienti, che non ci possiamo perdere l’ultimo diario pubblicato sulla
tale malattia rara, o l’ultimo film di grido che ha vinto a Cannes sulla storia dei genitori di un
bambino con una forma originale di tumore dovremmo fare una pausa d’arresto e andare alla
fonte. Insomma a sciacquare i panni in Arno con un Aedo della narrazione.
Oggi Sacks ha una sua newsletter, si occupa dei benefici che la musica porta alle persone
dementi, e ancora si occupa dei fenomeni legati alle allucinazioni: il suo sapere curioso, - cosa si
cela dietro al mitico sfondo dei fenomeni?- da “enciclopedista concreto” continua a progredire:
esempio fulgido di “invecchiamento attivo” da mente e corpo sempre tenuti allenati. Insomma
come i Picasso dei periodi Rosa e Blu: di fronte a questo periodare, in quest’epoca di assenza di
veri maestri, mi piace ritenerlo tale. E dai suoi scritti, il suo insegnamento più grande è la
straordinaria fiducia che sa porre nelle risorse dell’Altro, quello per cui noi forse proveremmo
pietà e imbarazzo. Sacks non insiste su nessuna di queste due emozioni semplicemente perché
per lui , l’Altro, il Diverso, è un suo Pari.