E Donne Siano - Villa San Giuseppe
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E Donne Siano - Villa San Giuseppe
Tutto il giallo della Villa [email protected] Redazione di Torino: c/o Villa San Giuseppe, corso G. Lanza, 3 Lunedì 9 Marzo 2015 Anno IX, numero 12 E Donne Siano Rompi...villico A cura di E. Brezza Grandi premi, doni e balocchi: non è mai stato così bello pagare per fare gli sciocchi APPUNTAMENTI SPORTIVI Martedì 10 ore 21.15 Biennio - Resto Giovedì ore 21 Economia - Triennio Lunedì 9 Marzo 2015 <<La Gazzetta della Villa>> 8 marzo, IO SONO MIA Cari voi tutti, spero non vi dispiaccia che di questa Gazzetta, ripartita “alla grande” anche dopo la sfiancante sessione invernale, io rubi una pagina, arrogandomi il privilegio, in qualità di prima Presidente donna di questo settimanale, di dedicarla a tutte le Villiche. Un piccolo omaggio in nome dell’appena trascorso 8 marzo, poche righe per tutte coloro che sanno vedere oltre il mediocre consumismo di questa festa, oltre l’ormai banalizzato racconto delle operaie della fabbrica tessile, per tutte quelle che sanno ricordare la storia vera, lunga e articolata, a partire dalle suffragette del primo Novecento, alle varie forme di femminismo degli anni ’60 e ’70; le difficili conquiste politiche, sociali ed economiche strappate con le unghie e con i denti, quei diritti civili sofferti e conquistati che hanno conferito alle donne via via forme di autodeterminazione sempre più nette e delineate, a partire dal diritto di voto che ci ha riconosciute per la prima volta come cittadine, alle prime cariche governative, permettendo all’universo femminile di liberarsi dell’abietto stato di eterne “minorenni” sotto tutela e conquistare finalmente una posizione tridimensionale nella società, prendendo forma e colore. Abbiamo rivendicato il diritto decisionale sui nostri corpi, abbiamo manifestato contro qualsiasi forma di patriarcato, denunciandone dettami e configurazioni, ma non per questo abbiamo finito. Quello appena citato non è che uno scarno elenco dei maggiori debiti che abbiamo nei confronti delle donne che ci hanno precedute, ma in questo momento non sono convinta che li stiamo saldando: sono ancora parecchie le cose in sospeso ed è importante che ne prendiamo coscienza. È sufficiente accendere la televisione per accorgersi come le donne, italiane ma non solo, continuino ad essere sagomate secondo un immaginario squallido e pesantemente caricaturale, volgari cortigiane di un retaggio visivo e linguistico che circoscrive una femminilità sempre più spesso pornografica piuttosto che di un qualche spessore intellettuale, che calpesta l’immagine muliebre in un inferno sociologico e strettamente estetico, quasi costringendo la donna a rinviare ostinatamente la vecchiaia e i suoi inevitabili marchi. Nell’immobilismo delle istituzioni, la realtà educativa è governata da una sola legge: omologare. E che sia un’omologazione che persegua l’obsoleto ideale dell’angelo della casa, di quella polverosa dedizione alla maternità ormai consumata dal tempo, o che riprometta un artificioso ideale di bellezza inculcato più che imposto, poco conta. Il risultato è il medesimo: l’annullamento dell’essere per ciò che è, unico ed irripetibile. Mi preme qui farvi notare come siamo passati dall’ipocrita immagine della donna come vestale del focolare, capace di trovare appagamento soltanto nella maternità (e che negli ultimi anni mi è stata infelicemente riproposta più di una volta, per mezzo di figure e canute ideologie che credevo ormai debellate da tempo), a quella della promiscuità, che vede il fascino e il proprio corpo come l’unica via per la realizzazione di sé stessa. Dunque persiste, sebbene in forma diversa e malcelata, ma non cambia l’oggettivizzazione di una categoria di “persone” alieni iuris, resa tale più o meno involontariamente dal soggetto direttamente interessato. E’ a questo dunque che hanno portato le grandi battaglie per la liberazione femminile? Difficile non riflettere sull’odierna polarizzazione del ruolo delle donne, costrette spesso a scegliere tra il lavoro e la maternità (un limite, a quanto pare). Per non parlare della sopravvivenza di vetuste, infelici abitudini frutto di un’oppressione storicamente determinata, quali, per esempio, la trasmissione obbligatoria del cognome paterno o la differenza media di retribuzione (ridotta rispetto al passato, ma ancora in vigore), tutti allarmanti segnali di una situazione ancora parzialmente ristagnante, evidenti e troppo spesso ignorati. Le donne italiane sotto i 40 sono oggi costrette insomma non solo a riconquistare i pezzi di un’emancipazione aperta a colpi di machete nella giungla sociale, ma devono anche saper partecipare ad una lotta generazionale di nuovo ordine, quella per il diritto ad avere un futuro, proprio ed indipendente, e, perché no, in second’ordine, una famiglia. Se il sentiero che è stato aperto non viene battuto di continuo, l’erba cresce e i rovi si richiudono. Per questo voglio oggi dedicare questa pagina a tutte(/i) coloro che sono convinti che ci sia ancora molto da cambiare, che ciò che è stato fatto non sia ancora sufficiente; ma anche e soprattutto a coloro che non ci credono, che sono convinte(/i) di aver raggiunto un qualsivoglia punto d’arrivo definitivo e non lottano. La dedico a coloro che si sono arrese e a coloro che hanno scelto di accontentarsi, che non sanno vedere le forme di patriarcato ancora saldamente radicate nella sfera pubblica e privata (e qui, mi sento di dire, istituzionale), a coloro che sembrano essersi dimenticati che le donne sono persone di sesso femminile prima ancora che mogli e madri, e quindi che nessuna donna può essere proprietà od oggetto, che sia di un uomo, di uno Stato, o di una religione. Il Presidente Melania Cappellano Pag. 2 Lunedì 9 Marzo 2015 <<La Gazzetta della Villa>> La commissione biblioteca consiglia... Veronika decide di morire (di Paulo Coelho) “Se non ti piace leggere, non hai trovato il libro giusto” disse la zia Rowling. Forse è vero, forse no, eppure se mi domandassero qual è uno dei libri che mi ha più segnato risponderei “Veronika decide di morire”. La storia parla di Veronika che, stufa della sua vita, decide di suicidarsi. Cosa la spinge a compiere questo gesto estremo? Numerosi libri raccontano la storia di personaggi sul punto di morire per malattia che desiderano guarire a tutti i costi, qui invece abbiamo una protagonista che la morte la cerca, “giustificando” tale desiderio con la voglia di sfuggire dalla monotonia. Tutta la “favola”, se così possiamo chiamarla, si concentra in quei pochi giorni che la ragazza (fallito il suicidio) passa nella clinica per malati di mente, Villete, dove le comunicano che, a seguito del tentativo di togliersi la vita attraverso l’ingestione di pillole, il suo cuore è gravemente danneggiato. In questo luogo Veronika riesce finalmente a Vivere, per quanto impossibile le possa sembrare. Intorno a lei e alla sua storia ruotono personaggi altrettanto interessanti che lasceranno un’impronta indelebile su Veronika e i quali, a loro volta, impareranno molto dalla vicenda che la riguarda. Conosce Mari, Zedka, Eduard, persone che la gente “normale” considera folli, e soprattutto incontra il dottor Igor, che attraverso una serie di colloqui cerca di eliminare dall’organismo di Veronika l’Amargura, l’Amarezza che la intossica privandola del desiderio di vivere. Vita, Morte, Follia: questi sono i temi centrali, trattati in modo nuovo, non assolutamente banale, in un vortice di emozioni che vi costringerà a mettere in dubbio tutto quello in cui credevate fino a quell’istante. All’inizio il libro potrà risultarvi un po’ pesante, potrete anche farvi un’idea negativa della giovane, ma proseguendo nella lettura vi renderete conto che il suo tentativo di suicidio altro non è che una richiesta di aiuto, un aiuto che sareste disposti a tutto pur di darle. Vi accorgerete che i suoi pensieri tanto non sono diversi dai vostri: Veronika è universale. È lo spirito che giace in noi, il nostro vero io che teniamo legato nel profondo della nostra coscienza. Se fossimo liberi di vivere, di agire, di urlare al mondo qualsiasi cosa, faremmo le stesse cose che fa questa sfortunata ragazza durante la permanenza nella clinica. Veronika odiava tutto: se stessa, il mondo, le persone perfette, ma principalmente odiava il modo in cui aveva vissuto. Villete le ha permesso di scoprire le centinaia di Veronike che dimoravano in lei e che erano interessanti, folli, curiose, audaci. “Cogli l’attimo” sembra una frase banale, ma rivela una saggezza di fondo non indifferente. Dobbiamo davvero avere una sentenza di morte davanti per vivere? Dobbiamo davvero ridurci a macabre riflessioni sulla “natura matrigna” per apprezzare ciò che ci è stato dato? Le statistiche dicono che la maggior parte delle persone pensa, almeno una volta nella vita, al suicidio. Solo una piccola parte però, anche se in continua crescita, trasforma l’idea in azione. Coraggio? Codardia? Secondo me niente di tutto questo, o forse tutto quanto. Bisogna essere codardi della vita e coraggiosi nella morte o coraggiosi nella vita e codardi nella morte? Veronika sceglie ambedue le strade e ambedue la portano al medesimo risultato. Ciò che cambia, alla fine della fiera, non è tanto il risultato, ma il modo in cui vi si arriva. Il percorso, la linea bianca da seguire, quella che si snoda su un nero disseminato di ostacoli. “[…] la follia è l’incapacità di comunicare le tue idee. E’ come se tu fossi in un paese straniero: vedi tutto, comprendi tutto quello che succede intorno a te, ma sei incapace di spiegarti e di essere aiutata, perché non capisci la lingua.” “Ma è qualcosa che abbiamo provato tutti.” “Perché tutti, in un modo o nell’altro, siamo folli.” G. Barbieri Non Tutti Sanno che.... a cura di J. & K. Convertini -speciale 8 marzoLa Struttura del DNA, i pulsar, la fissione nucleare: sono solo alcune delle grandi scoperte che hanno caratterizzato il secolo scorso. Tutti noi siamo abituati ad associarle a degli uomini straordinari che furono insigniti, nelle varie edizioni, del premio Nobel per i loro risultati. E se il merito di tali conquiste non fosse loro? Dalla sua istituzione, anno 1901, il Premio Nobel è stato assegnato a 44 donne, di queste solo 16 lo hanno ottenuto nei campi della fisica, della chimica, dell’economia e della medicina. Alcune ricercatrici sono state penalizzate rispetto ai loro colleghi uomini, pur avendo preso parte a progetti premiati e, in alcuni casi, nonostante fossero state proprio loro le autrici delle scoperte. Alcuni esempi? La biologa molecolare Rosalind Franklin fornì le prove sperimentali della struttura a doppia elica del DNA, per cui furono premiati i suoi colleghi Crick e Watson. Questi ultimi, solo diversi anni dopo, ammisero di aver rubato dal laboratorio della Franklin le fotografie della diffrazione ai raggi X del DNA realizzate dalla biologa. L’astronoma Jocelyn Bell-Burnell, quando era ancora una studentessa universitaria, scoprì i pulsar, stelle di neutroni dalla densità enorme, rotanti ed altamente magnetizzate. Per questa scoperta il Nobel fu assegnato al relatore della sua tesi. E che dire della prima donna che riuscì ad ottenere la cattedra di fisica presso un’università tedesca, Lise Meitner? Il ben più noto Otto Hahn ricevette il Nobel per gli studi sulla fissione nucleare, nonostante fosse stata Lise la prima ad averne fornito un’interpretazione esatta. Tra le brillanti menti femminili che vogliamo ricordare ci sono inoltre Chien-Shiung Wu (esperimenti sul “principio di parità”), Annie Jump Cannon (prima donna eletta direttore dell’American Astronomical Society), Nettie Maria Stevens (determinazione ereditaria del sesso attraverso i cromosomi) e Mileva Maric-Einstein (moglie e collega di Albert). Pag. 3 Lunedì 9 Marzo 2015 <<La Gazzetta della Villa>> Tecnologia & Invenzione Marie Curie: una vita donata alla ricerca a cura di L. Lubian mente ad un materiale paramagnetico. Per quanto riguarda il secondo premio Nobel, la Curie fu una vera pioniera nel campo della radioattività. Fu la prima a riuscire ad isolare due nuovi elementi chimici (polonio e il radio, appunto), presenti nei minerali dell’uranio. Tuttavia ella non brevettò il loro processo di isolamento, lasciando “libera” la ricerca di tutta la comunità scientifica. Morì nel 1934 nel sanitario di Sancellemoz di Passay in Alta Savoia a causa di una grava forma di anemia aplastica, dovuta alle lunghe esposizione delle radiazioni, allora non ritenute nocive. Marie Curie (vero nome Maria Sklodowska) nacque nel 7 novembre 1867 a Varsavia. E’ stata una scienziata polacca. Vinse per ben due volte il premio Nobel, uno per la fisica, grazie alla scoperta del punto di Curie e l’altro per la chimica, con la scoperta di due nuovi elementi prima sconosciuti: il radio e il polonio. Scoperta, quest’ultima, grazie a cui nel 1932 lo scienziato James Chadwick scoprirà il neutrone Per il punto di Curie (chiamato anche temperatura di Curie) si intende un valore di temperatura precisa, che varia per ogni tipo di materiale, sopra la quale un materiale ferromagnetico perde alcune delle sue proprietà, comportandosi simil- l’osservatore villico SAN GREGORIO MAGNO 12 marzo Tutti avranno già sentito parlare del canto gregoriano. Un canto melodico e monodico (ovvero cantato all’unisono) che scivola via leggero e fluido, con una delicatezza che pare quasi il riflesso musicale di quella pace che abita i monasteri. Questa forma di canto prende il nome da uno dei più grandi pontefici che la Chiesa abbia mai avuto: Gregorio Magno, di cui il 12 marzo si festeggia la sua venuta al mondo. Nacque nel 540 a Roma, in un’epoca drammatica per la penisola, che vedeva gli ultimi lembi dell’antico impero latino dividersi tra molteplici popolazioni barbare che si insediavano permanentemente sul suolo italico. Tra i tanti popoli che minarono la stabilità romana ci furono i Longobardi e fu proprio attraverso un lungo e paziente dialogo con loro, che papa Gregorio riuscì a consolidarne il potere temporale e ad affiancarlo a quello imperiale di Bisanzio. Prima però di diventare papa, Gregorio già dovette affrontare molte situazioni difficili, causate in primis dalla natura, più che dall’uomo: ci furono periodi di pesanti inondazioni e carestie che afflissero molte zone d’Italia; ma il flagello peggiore fu la peste, che addusse anche la morte di Pelagio II, predecessore di Gregorio. Questi, allora, per allontanare la malattia dalla città, organizzò una processione solenne per le strade di Roma che doveva terminare alla basilica San Pietro. Durante il tragitto, accompagnato dal mesto salmodiare delle persone, furono lasciati sul terreno ottanta cadaveri stroncati dalla peste. La macabra marcia sembrava dovesse terminare come era iniziata quando, approssimandosi al maestoso Mausoleo di Adriano, Gregorio alzò lo sguardo e vide sulla cima dell’edificio un Angelo in atto di riporre nel fodero una spada. In quell’istante la peste finì. Da allora, il monumento di Adriano venne ricordato con il noto nome In Giro per TO Dal 14 marzo al 12 luglio 2015 sarà possibile visitare, presso la GAM, la mostra “Modigliani e la Bohème di Parigi”. Saranno esposte circa 90 opere, tra cui sessanta capolavori provenienti dal Musée National d’Art Moderne ‐ Centre Pompidou di Parigi e da importanti collezioni pubbliche e private d’Europa. Intorno alla figura centrale di Modigliani si presenta la straordinaria atmosfera culturale creata dall’ “École de Paris”, la corrente che ebbe protagonisti alcuni artisti attivi nel primo dopoguerra, spesso esuli ebrei perseguitati nel loro paese di origine, che si raccolsero intorno a Montmartre e Montparnasse uniti dal desiderio di vivere in pieno il clima artistico e culturale di Parigi, creando una completa simbiosi tra vita e arte e distinguendosi per uno stile personalissimo e una vita dissoluta e priva di regole. Si parte da un significativo corpus di opere del Centre Pompidou di Parigi, nelle cui collezioni Modigliani entrò a far parte già nella metà degli anni ’30 del Novecento. Tra questi gli splendidi ritratti dei suoi amici (Il gio- vane ragazzo rosso del 1919), delle sue amanti (Lolotte del 1917) o dei suoi mercanti, affiancati a dipinti, disegni e sculture provenienti da altre prestigiose collezioni pubbliche e private e da un dipinto delle collezioni della GAM, la celebre Ragazza Rossa del 1915. In questi dipinti emerge il noto “Stile Modigliani” caratterizzato da una sintesi estrema, tanto che i personaggi ritratti non si rivelano nella loro identità, se non per alcuni dettagli, come i vestiti o le capigliature. La mostra è costruita in cinque sezioni, che analizzano la vitalità parigina del periodo, con uno sguardo non solo alla pittura, ma anche al disegno che ha dato origine ai capolavori, e con un occhio particolare alla scultura in cui il protagonista, insieme a Modigliani, è Costantin Brancusi, lo scultore nel cui atelier Amedeo lavorerà per molto tempo. Tra le opere esposte in questa sezione le celebri Principessa X e Mademoiselle Pogany III, accanto a una serie di fotografie originali che Brancusi stesso scattò alle sue opere. Modigliani è raccontato di “Castel Sant’Angelo” ed è per questo episodio che sull’apice del tetto vi è tuttora rappresentato un Angelo con una spada in mano. Come abbiamo già detto, Gregorio fu importantissimo anche per la riforma liturgica, con la quale venne consolidato il canto gregoriano di cui abbiamo parlato sopra. Suddetto canto sembra comunque che sia stato principalmente maturato in Francia sotto i regni di Pipino il Breve e Carlo Magno. Il consiglio di Thomas Merton ... Le campane vogliono ricordarci che Dio solo è buono, che noi gli apparteniamo e che non viviamo per questo mondo. Irrompono nel mezzo delle nostre occupazioni per ricordarci che tutte le cose passano e che le nostre ansietà non hanno importanza. M. B. Vallero a cura di G.Barbieri in mostra come il principale testimone della realtà cosmopolita della Bohème parigina, che ha segnato la sua indipendenza dai movimenti ufficiali delle avanguardie artistiche. Un particolare momento storico in cui, alla creazione dei capolavo- ri, si affianca un’esistenza fatta di alcool e miseria che, uniti alla morte prematura, hanno contribuito ad avvolgere il personaggio in un’aura di leggenda. Pag. 4 Lunedì 9 Marzo 2015 <<La Gazzetta della Villa>> Il fantasma che aveva freddo ai piedi Molte erano le leggende che si tramandavano sul corridoio del terzo piano, ala ovest di un rinomato collegio torinese, la cui fondatezza solo pochi avrebbero potuto confermare o smentire. Si raccontava che vi abitasse un vampiro che rientrava all’alba talmente seccato di doversi coricare da sbattere la porta così fragorosamente che la lugubre eco prodotta s’insinuava negli ultimi sogni dei villici. E non solo. Oltre alla risaputa leggenda sulle losche tregende di una strega dalla risata gracchiante e di un folletto dal sorriso perverso, si narrava anche dell’emblematica storia di un fantasma con un problema davvero singolare. Costui era stato relegato a vagare per quel corridoio, senza poter ovviamente essere visto da nessuno, tra rumori sinistri e odori sgradevoli a causa di una maledizione vecchia di molti anni. Era una presenza inconsistente dall’altezza spropositata – sfiorava infatti il muro del soffitto camminando eretto – e il suo corpo era spesso come un foglio di carta. Non mangiava né beveva ed era estremamente silenzioso e riguardoso nei confronti degli altri abitanti del corridoio. Come ogni altro fantasma dormiva giusto qualche ora per far passare il tempo quando anche le ultime lucidi dei più impavidi nottambuli universitari si spegnevano. Ma, a differenza, degli altri suoi simili aveva un difetto insopportabile: non riusciva a camminare scalzo, soprattutto nelle stagioni fredde, perché i piedi gli si congelavano. E la percezione di rigidità alle piante dei piedi si diffondeva come una malattia degenerativa su tutto il suo corpo, acuendo e fomentando il sentimento di solitudine che lo tormentava dall’eternità. Per distrarsi nei momenti in cui avvertiva implacabile il desiderio di avere un altro fantasma accanto, si infiltrava nelle camere e spiava ora i libri di analisi I che conosceva a memoria, ora i più rari testi di poesia contemporanea o immunologia, ora la partita a Age of Empires, piuttosto che la bisca clandestina di briscola in cinque. Il resto era tutto un guardar fuori dalla finestra verso Superga e oltre, ai paesi del canavese infestati di spettri ululanti e schizzati. E una gran noia. Ma lui non era come gli altri: era un fantasma d’appartamento, meglio, da collegio; non ululava, né emetteva rumori molesti e non sarebbe mai potuto vivere nelle sudicie segrete di un pa- lazzo per il solito problema dei piedi. Quando gli si raffreddavano era preso da un’incontrollabile frenesia e moriva dalla voglia di cacciar fuori con un urlo tutta la sua irritazione. Senza sapere come, riusciva a trattenersi. Era ben consapevole che, al contrario, per lui sarebbe stata la fine: il collegio sarebbe stato evacuato e ben presto invaso da una squadra speciale di esorcisti e tanti saluti anche al fantasma, alla strega, al folletto e al vampiro. Invece lui resisteva perché sperava che un giorno un fantasma, meglio “una”, rimanesse maledettamente incastrata in quella strettura come c’era rimasto lui tempo fa. Per rimediare al fastidioso problema colse al volo un’occasione irripetibile. Era una giornata uggiosa e uno studente, per non sporcare il pavimento, aveva lasciato fuori dalla porta un paio di Kipsta sportive, nere, slacciate. Non appena le vide il fantasma se le provò e non vi dico quale gioia lo invase nel momento in cui si accorse che gli stavano solo un po’ strette. “Questione di tempo” pensò tutto eccitato mentre stava chino ad allacciarsi le stringhe. In effetti le scarpe risolvevano l’atavico problema, riparandolo dal pavimento gelido ed anche dalla rognosa scocciatura delle verruche. Da quel momento però doveva centellinare ogni suo movimento per non destare sospetti. Si muoveva dunque cautamente e badava di restare sempre rasente alle pareti per non intralciare il passaggio dei villici. Questi, dal canto loro uscendo dalla camera per andar a scuola, a pranzo o a riunione si imbattevano nel misterioso paio di scarpe nere una volta sul davanzale della finestra, un’altra poco dopo il bagno, un’altra davanti alla loro porta, come fossero lì lì per bussare ed entrare. Quando voleva curiosare in una camera si toglieva le scarpe e vi rimaneva dentro fino a quando non cominciava a percepire il fastidioso formicolio alla pianta dei piedi. Un giorno si trattenne troppo all’interno di una stanza, rapito da una drammatica lettura sulla guerra afghana. Quando ne uscì le scarpe erano sparite. Il proprietario se le era finalmente riprese lasciando il povero fantasma “a piedi”. Preso dalla rabbia si scagliò contro un estintore e lo rovesciò a terra. Quest’ultimo esplose come un palloncino al contatto con un ago e lo coprì tutto, da cima a piedi, d’una schiuma bianca e molliccia. Per la paura e la vergogna il fantasma rimase perfettamente immobile mentre tutti i villici presenti accorrevano con facce stupite. Vedendo quella sagoma bianca mai più pensarono che si trattasse di un fantasma che aveva rovesciato un estintore e lo scambiarono per una di quelle statue viventi che si incontrano nei centri storici di città come Venezia o Roma. Perciò ognuno di loro scavò nel fondo delle tasche dei propri jeans e fece rotolare per terra una monetina da qualche centesimo. La notizia si sparse e nel giro di pochi giorni si formò un cumulo consistente di soldini ai piedi del fantasma che, ciclicamente, cambiava posizione. Una notte, senza farsi sentire, raccolse tutto il ricavato e fuggì dal collegio. Il giorno seguente andò alla Foot Locker ed acquistò un paio di scarpe dai colori sgargianti. Uscito dal negozio si fermò a pensare a cosa sarebbe stato della sua vita. Un raggio di sole caldo e timido brillò sulla sua sagoma alta e bianca. Istintivamente sorrise. Provò un senso di stupidità nel pensare che nulla gli aveva impedito di lasciare il collegio. Era quindi sempre stato libero da ogni maledizione e schiavo soltanto delle sue fisse mentali. Rinvenendo da queste riflessioni si accorse che una cospicua folla gli si era adunata intorno, a mezzaluna. La gente, i bambini specialmente, lo fissava con desiderio, accennando sorrisi compiaciuti. Un maschietto, sollecitato dai sussurri incoraggianti della madre, prese coraggio e gli si fece appresso. Gonfiò il petto pieno di orgoglio mentre la mamma scattava una fotografia con l’i-Phone. Il fantasma fu talmente commosso da quel gesto di affetto, e da tutti quelli che di seguito gli vennero tributati, che continuò a vagare eternamente per il centro di Torino, lasciando i passanti piacevolmente sorpresi e divertiti e realizzando il segreto il sogno di ogni bambino di poter vedere un fantasma da vicino. E della strega, del folletto e del vampiro non si seppe mai più niente. L. Salmaso Pag. 5 Lunedì 9 Marzo 2015 <<La Gazzetta della Villa>> Trova le differenze a cura di A. Toso La Gazzetta della Villa Testata di proprietà de “La Gazzetta della Villa s.r.l.” - Corso G. Lanza, 3 - 10131 Torino Tipografia da “Olimpia” Presidente: M. Cappellano Direttore: A. Cuccuru Capo Redazione: J. Guadagni Impaginazione & Grafica: F. Casareggio, G. Della Sala Pubblicitari: A. Cuccuru, F. Lutri, F. Montemarano Trova le differenze: A. Toso Non tutti sanno che...: J. & K. Convertini Comm. Biblioteca consiglia: G. Barbieri Rompi...Villico: E. Brezza Tecnologie&Invenzione: L. Lubian In giro per TO: G. Barbieri Osservatore Villico: M.B. Vallero Racconti: L. Salmaso Pag. 6