20 Dicembre TOYLET MAG

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Subsonica: intervista a Boosta che ci svela “Un
buon posto per morire”
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Quella volta che Elvis Presley mosse
il mignolo
Un buon posto per morire (ed. Einaudi) è il suo quarto romanzo, scritto a quattro mani con Tullio Avoledo.
Un romanzo di fantascienza dove le teorie complottistiche incontrano l’esoterismo per un’avvincente racconto d’azione.
Da Nostradamus ai “poteri forti” passando per Torino, Parigi, Milano e San Francisco:
E voi, dove sarete,
Il giorno prima della fine del mondo?
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Toylet Magazine lo ha incontrato nel suo studio personale ed ecco cosa ci ha raccontato:
Come nasce Un buon posto per morire?
«Ci incontrammo, io e Tullio, un paio di anni fa ad un reading dove io facevo il “menestrello” e sonorizzavo le sue
letture. Lui è sempre stato un estimatore dei Subsonica ed io dei suoi romanzi. Poi a cena abbiamo scoperto di avere
diverse cose in comune tra cui la passione per gli intrighi internazionali ed il “complottismo”, così abbiamo iniziato a
straparlare sul destino del mondo passando dal club Bilderberg fino ai rettiliani di David Icke.»
Come è stato scrivere a quattro mani? Non deve essere stato semplice gestire il processo creativo
«Il processo creativo è stato sorprendentemente semplice. La mattina seguente al nostro incontro abbiamo inziato a
scriverci via mail e così è nato il libro. Uno dei complimenti più belli che ho ricevuto, forse l’offesa più grande per Tullio,
è stato che non si riusciva a capire quale fosse la mia penna e quale la sua. Usando una metafora musicale è come
se i nostri stili fossero stati filtrati da un compressore che ha livellato i singoli picchi uniformando il modo di scrivere.
Ovviamente oltre le mail c’erano delle lunghissime telefonate che se le avesse intercettate un Grande Fratello
saremmo entrambi a Guantanamo!»
Il romanzo è ricco di intrighi internazionali ed è presente una forte componente esoterica. Quanto ti ha influenzato
Torino, che è uno degli epicentri magici europei?
«Il mio interesse per il mondo esoterico è filtrato da un approccio laico. Sicuramente la città di Torino mi ha influenzato
moltissimo, sapere che stai passeggiando in luoghi che custodiscono leggende e storie incredibili è stata una grande
fonte d’ispirazione. Torino è stata teatro di storie nere agghiccianti: uno dei primi serial killer italiani è di Torino (Giorgio
Orsolano n.d.r.) e alcuni tra i personaggi più ambigui della storia dell’umanità hanno vissuto qui o sono stati di
passaggio: Nostradamus, Nietzsche, Cagliostro e Rol. E poi i simboli della cristianità come la Sindone o la leggenda
che il Santo Graal si trovi qui. Guardati con superficialità ci sono tutti gli elementi per poter fare un bel calderone pop,
ma studiando con più attenzione si scoprono cose molto interessanti e si riesce a valutare meglio la realtà che ci
circonda. Per esempio lo sapevi che in questa città c’è una sezione della mobile che si occupa del crimine
dell’occulto…»
I due protagonisti Claire e Leo sono mossi più dal sentimento di vendetta per l’uccisione dei loro figli o dalla volontà
di salvare il mondo?
«La vendetta più che essere il motore che muove la storia è il motorino d’accensione che la fa partire. La cosa che più
mi ha colpito è stato osservare come due persone normali, dalle vite mediocri, riescano a trovare delle risorse
eccezionali e quindi diventare eroi e compiere delle scelte inaspettate.»
Leggendo il romanzo ho avuto l’impressione che avesse un sapore cinematografico, non solo per il grande
coefficiente d’azione ma anche per l’esperienza del videogame Festung Antartica che ricorda molto Avatar o
Matrix. Dove hai preso ispirazione?
«Abbiamo giocato con tutti i linguaggi che avevamo a disposizione. Il videogioco è stata un idea di Tullio che, pur
essendo più anziano di me, ha un figlio adolescente ed è stato trascinato in questo mondo. Sicuramente l’evoluzione
dei videogames ha avuto la dote di riuscire a trasformarsi in letteratura, basti pensare alle grandi case produttrici che
hanno un nutrito numero di sceneggiatori per creare sempre più complicati storyboard nei giochi. Sono diventati la
versione 2.0 del libro-game degli anni ’80, non so se hai presente, quel libro che alla fine del capitolo sceglievi il finale
della storia e avevi più scenari possibili, il videogioco ti da la possibilità di essere interattivo!»
Quando ho saputo che avrei fatto questa intervista circolava la storia della caduta di un satellite in Italia. E le
televisioni alimentavano il panico consigliando di non uscire di casa e prevedendo scenari apocalittici. Un analogia
inquietante con il tuo romanzo, sei superstizioso?
«Per certi versi non sono superstizioso ma per altri…Sono parzialmente illuminista, ma mi piace mantere un pizzico di
dubbio. Lo diceva anche Rol: «Per credere alle cose il dubbio è fondamentale». In un ottica più generale penso come
quanto poco conosciamo la realtà che ci circonda, per quanto la scienza si sia evoluta il nostro sapere rimane parziale
e forse sarà sempre così fa parte della condizione umana.»
Ascolti musica quando scrivi?
«No per me è un linguaggio talmente forte che non riuscirei a fare altro. Quelle poche volte che succede ascolto
musica strumentale da pianoforte o le colonne sonore dei film. Uno dei miei preferiti è David Arnold l’autore delle
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musiche di James Bond. Tullio invece riesce a scrivere ascoltando heavy metal!»
Questo è il tuo quarto romanzo e hai fondato una casa editrice ADD. Tra quarant’anni ti vedi scrittore, musicista o a
fare i clippini su facebook?
«Sto iniziando a pensare alla seconda parte della mia vita, mi dispiacerebbe diventare patetico e continuare a fare
quello che faccio senza avere nulla da dire… Certo non mi vedo a sessant’anni a sculettare su Discolabirinto, ma
spero di continuare ad avere qualcosa da dire attraverso qualsiasi arte o mezzo d’espressione utilizzi.»
Il mondo è un buon posto per morire? Soprattutto dopo le dimissioni del premier…
«Se non altro è l’unico che abbiamo…»
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