0$55$0$/`2 - Società Italiana di Studi Araldici
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$QJHOR6FRUGR 0$55$0$/'2 Periodicamente ritorna, per lo più nelle terze pagine dei quotidiani nel periodo estivo, una sorta di esercitazione accademica su due interrogativi strettamente interconnessi: il condottiero imperiale Fabrizio Marramaldo eliminò di sua mano, o meno, il capitano delle milizie repubblicane fiorentine Francesco Ferrucci, ferito e disarmato, al termine della battaglia di Gavinana del 5 agosto 1530? Il Ferrucci, con il suo precedente comportamento, violatore del diritto delle genti, provocò, oppure no, tale feroce reazione? Non sempre, anzi forse più di rado di quanto non si potrebbe credere, la storia è frutto di pensieri equanimi e non lo è nemmeno la cronaca, che, pure, dovrebbe limitarsi alla narrazione di meri fatti. Non conta, qui, invocare argomenti SURe FRQWUD l’accaduto di Gavinana ed i suoi antefatti e, piuttosto che istruire un procedimento a carico di chi avrebbe ucciso un uomo morto, occorre dare atto che la sentenza di condanna del Marramaldo c’è già, scolpita a lettere capitali sulle tavole della tradizione popolare, l’unica a fare sempre e comunque testo. Apriamo il dizionario della lingua italiana dello Zingarelli e c’imbattiamo nel sostantivo PDUDPDOGR, che indica SHUVRQD PDOYDJLD H SUHSRWHQWH FKH LQILHULVFH VXL YLQWL H VXJOL LQHUPL, in compagnia dell’altro sostantivo PDUDPDOGHULD e del verbo PDUDPDOGHJJLDUH. Manca l’aggettivo PDUDPDOGHVFR, che, pure, integra il quartetto ed è presente in molti altri dizionari. Fabrizio Maramaldo, meglio Marramaldo, era nato il 28 dicembre 1494, con ogni probabilità a Napoli, da Francesco, signore di Lusciano, e da Francesca d’Aiossa, entrambi di famiglie patrizie napolitane. Erano i Marramaldo originari di Amalfi, ascritti da tempi remoti al patriziato di quella antica repubblica marinara. Creduti di sangue longobardo e chiamati anche Marramano, Barramano e Marramauro, raggiunsero tanto potere economico da armare naviglio non soltanto mercantile, posto al servizio dei sovrani. 1 Landolfo e Giovanni figurano tra i feudatari che, nel 1260, seguirono re Manfredi nel VRFFRUVR portato ai romani, ribelli al pontefice Alessandro IV. Andrea, durante la guerra del Vespro, mise a disposizione di Carlo I, a sue spese, diverse galee e si dice sia stato il primo a trasferire la famiglia a Napoli, ove venne accolta ben presto in uno dei Seggi maggiori del patriziato, quello di Nido. Un altro Landolfo fu scudiero del principe Carlo, figlio del re Roberto. Marino è tra gli Eletti di Napoli del 1324. Roberto, figlio di Carlo, fu grande amico del Petrarca e da lui si diramarono tutti i Marramaldo. Il suo primogenito, Landolfo, nato probabilmente a Capua, scelse il sacerdozio. Divenne arcivescovo di Bari e, nel 1381, ottenne la porpora cardinalizia, divenendo legato apostolico nel regno, nonché uno dei personaggi chiave della corte di Carlo III d’ Angiò-Durazzo. Questo sovrano predilesse anche suo fratello Feulo, regio ciambellano e poi maggiordomo maggiore, donandogli 150 once d’ oro di rendita perpetua ed in feudo il casale di Lusciano presso Aversa. L’ arma del cardinale Landolfo si vede ancora in quella che fu la cappella dei Marramaldo, oggi costituente il vestibolo del celebre cappellone del Crocifisso, in San Domenico Maggiore, a Napoli. Degli altri fratelli di Landolfo, Carlo, noto con il diminuitivo di &DUOXFFLR, ricoperse l’ ufficio di capitano a guerra e di giustizia a Sorrento, ove risulta possessore di molti beni di fortuna, e Guido, invece, entrò nell’ ordine dei Predicatori, ove si distinse per dottrina e vita esemplare, tanto che alla sua morte, avvenuta nel 1391, la Chiesa lo iscrisse nel novero dei Beati. Il figlio di Feulo, Filippo Antonio, ottenne il feudo della Filetti da re Ladislao e dalla sua prole derivarono tanto il ramo primogenito, detto “di Napoli”, cui appartenne Fabrizio, che quello detto “di Barletta”. Quest’ ultimo ebbe a capostipite ancora un Landolfo, il secondogenito di Filippo Antonio, che fu personaggio di cospicuo rilievo alla corte di Giovanna II e, poi, di Alfonso il Magnanimo. Per avere imprestato le somme di 800 ducati prima e di 3.500 in seguito alla regina, ottenne il castello di Lucera, unitamente al governo di Manfredonia, e, in pegno, la terra feudale di Maida. Due anni più tardi, fu uno dei tre capitani regi che assediavano Manfredonia, ribellatasi agli aragonesi e alzante le bandiere di Luigi III d’ Angiò. Alfonso lo nominò maestro portulano, tesoriere e commissario regio in Puglia, terra di Bari e Capitanata. L’ ulteriore prestito al sovrano aragonese della somma, in allora assai rilevante, di 15.000 ducati, gli fruttò, in pegno, il castello di Barletta, che ritornerà alla corona solo nel 1450. Con privilegio dato in Gaeta il 18 settembre 1436, ottenne in feudo la terra di Mola, resa esente dall’ onere dell’ DGRD, commutata nella offerta di un paio di guanti all’ anno. Cedole di tesoreria del 1454 e i registri di Monte Oliveto relativi al 1460 e 1481 ci informano che non fu soltanto castellano di Barletta, ma gli venne altresì conferito il singolare titolo di “tiranno di Barletta”, in forza della potestà piena ed assoluta su quella importante città. Visse molto a lungo e lasciò numerosi figli, il maggiore dei quali, Antonio, fu valente uomo d’ armi al servizio del principe di Taranto, Giovan Antonio Orsini. La discendenza di Filippo Antonio si estinse nei primi decenni del Cinquecento. Giovanni, ultimogenito di Landolfo, tenne lance al servizio di re Alfonso e lasciò due figli: Antonio, che fu vescovo di Nusco, e Carlo, ultimo dei signori di Mola. Il ramo principale, rimasto a Napoli, inizia con Francesco, primo figlio di Filippo Antonio. Vendette il feudo della Filetti a Leonetto Sanseverino e si sposò tre volte: con Cicella Scaglione d’ Aversa; con Isabella Aldemoresco; con Elena dell’ Acerra. Dal primo matrimonio ebbe Iacopo Antonio, padre di Francesco, a sua volta padre di Fabrizio. Dalla terza moglie ebbe Antonio, che generò Giovan Francesco (o Giovan Battista), il quale era, quindi, ³QLSRWHFXJLQR´ di Fabrizio. Fu, tramanda il della Marra, ³&DYDOLHUR D¶ VXRL WHPSL PROWR VWLPDWR QRQ VROR SHU OR YDORUH DLXWDWRGDOODEHOOH]]DHGLVSRVL]LRQHHJUHJLDPD±PDOSHUOXL±DQFKHDVVDLSRUWDWRDLGXHOOL´, funesta mania, più che passione, dominante la nobiltà napoletana dal secolo XV° alla metà del XIX°. Ebbe proprio nel Seggio di Nido un vivace alterco con un altro patrizio, Pietro Cossa, signore di Procida, e ne seguì uno scontro sul terreno, fuori Porta Nolana, nel quale il Marramaldo rimase ucciso. Sembra che non abbia lasciato discendenza e fu sicuramente lui a vendere la casa antica dei Marramaldo nel quartiere di Nido, pervenutagli per fedecommesso. 2 1. MARRAMALDO (della Marra) 1. MARRAMALDO (Mansella) 1. MARRAMALDO (Borrello) Si riportano qui di seguito le armi delle principali famiglie alleatesi nei secoli (taluna più volte) ai Marramaldo: 2. ACCIAPACCIA 3. ACERRA 4. AJOSSA 5.ALDEMORESCO 6. BRAYDA 7. BRANCIA 3 8. CANTELMO 9. CAPECE BOZZUTO 10. C. SCONDITO 11. C. TOMACELLI 12. CARACCIOLO 13. CARAFA 14. CICCARELLI 15. DEL DOCE 16. DELLA MARRA 17. GIANVILLA 20. RICCARDO 18. MUSCETTOLA 19. OFFERIO 21. SCAGLIONE Poche le notizie concernenti la prima parte della vita di Fabrizio. Sappiamo soltanto che, poco meno che diciannovenne, fu iscritto al Seggio di Nido. Due anni più tardi lo troviamo in armi, al servizio di Ferrante d’ Avalos. Con i d’ Avalos, anch’ essi godenti del patriziato napolitano al Seggio di Nido, i Marramaldo intrattenevano antichi ed eccellenti rapporti e Fabrizio potrà costantemente contare sulla loro potente amicizia. 22. d’ AVALOS Nel marzo di quello stesso 1521 ha già acquisito una certa notorietà nel mestiere delle armi e si scontra, al guado del Tronto, con le Bande Nere di Giovanni de’ Medici. Cinque anni più tardi, al tempo della Lega di Cognac (22 maggio 1526), il suo storico antagonista, Francesco Ferrucci, esordiva, in deciso ritardo, nell’ arte della guerra, militando proprio nelle Bande Nere. 23. de’ MEDICI E’ esattamente un anno dopo, nel marzo del 1522, che Fabrizio Marramaldo, rientrato a Napoli, elimina la moglie, rea convinta o sospetta di adulterio, commesso durante la sua lontananza. Non conosciamo il nome della donna e, certo, non conta che chi scrive abbia ritrovato, in una annotazione a margine di un vecchio libro, quello di Diana Barrese. Il Luzio si diceva certo che 4 uno spoglio della documentazione esistente al Grande Archivio di Simancas sarebbe valso a colmare la lacuna, ma così, almeno ad oggi, non è stato. Certo è che il Marramaldo lasciò la patria in tutta fretta e riuscì a cavarsela senza danno, grazie all’ intervento di un grande personaggio, suo amico ed estimatore: il marchese di Mantova, Federico Gonzaga. Il marchese era assai caro a Carlo d’ Asburgo, in allora re di Spagna e futuro imperatore con il nome di Carlo V, tanto da ottenere che, nel dicembre del 1523, venisse revocato al Marramaldo il bando, comminatogli a Napoli. 24. GONZAGA 24. Carlo V Ma frattanto, al termine dell’ estate di quello stesso anno 1522, Fabrizio è al comando di una compagnia di cavalli, operante tra Modena e Parma. Alcuni dei suoi uomini effettuano una razzia di bestiame a Torricella ma si trovano di fronte ad un ‘osso duro’ , costituito dal governatore pontificio del distretto di Modena, Francesco Guicciardini. Il grande storico svolge l’ incarico, affidatogli da Leone X, con capace fermezza e cattura una ventina di armati al Marramaldo, che, anche questa volta, ricorre al marchese di Mantova. Invano, però, il Gonzaga si adopererà per ottenerne il rilascio. 25. GUICCIARDINI Non passano sei mesi e troviamo il Marramaldo a Milano, alla corte di Francesco Sforza, ove impazza il carnevale. Il fresco vedovo viene officiato quale cavalier servente dall’ affascinante Chiara Visconti, amante del celebre condottiero Prospero Colonna, malgrado anche un’ altra bella dama, Ginevra Pallavicini, aspiri ad avere Fabrizio nello stuolo dei suoi ammiratori. 26. SFORZA 27. VISCONTI 28. COLONNA 29. PALLAVICINI Chiara Visconti lo tratta da signore di gran rango e allora un altro militare napoletano, Giovan Battista Carafa, conte di Cerreto Sannita, figlio del duca di Maddaloni, ammesso, quale patrizio, al Seggio di Nido nello stesso giorno di Fabrizio e che serve nelle truppe del Colonna, si esprime con tono di sufficienza sul grado di nobiltà del Marramaldo, malgrado le numerose alleanze contratte dalla famiglia del nostro con i Carafa. Ottiene in cambio della calunniosa insinuazione un cartello di sfida ed il duello ha luogo nei dintorni di Mantova. Al conte di Cerreto, in qualità di sfidato, spetta la scelta delle armi e decide, forse in memoria della disfida di Barletta, cara a Prospero Colonna, per uno scontro a cavallo, armati di tutte pezze, tranne le spalle, che 5 rimangono sguarnite, e con uno stocco e due spade: il primo in pugno, la seconda all’ arcione e la terza al fianco, come diffusamente descrive il Passero. La strategia del Carafa, puntata sul ferimento del cavallo dell’ avversario alla fronte, in modo che la bestia si volti ed egli abbia modo di ferire alla spalle il Marramaldo, fallisce, perché il cavallo abbassa la testa e, di contro, la cavalcatura del conte si impenna, dando modo a Fabrizio di dargli una buona stoccata all’ inguine. Il Carafa ne muore poco dopo, mentre egli riporta una lieve ferita. Al marchese d’ Avalos viene ordinato di recarsi a Valladolid e Marramaldo, nell’ ottobre del 1523, passa agli ordini del marchese di Mantova, che gli affida la difesa di Cremona. Nel gennaio 1524 incontra a Milano Alfonso d’ Avalos, marchese del Vasto, ed il viceré di Napoli, Carlo di Lannoy. 30. LANNOY A Lodi ha la peggio in uno scontro con 300 cavalli francesi e poco dopo è a Bergamo, ove interviene con Giovanni de’ Medici un alterco, che rischia di sfociare in una vertenza cavalleresca. Riceve allora congedo dal Gonzaga e rinuncia in tutta risposta al compenso che gli sarebbe spettato per il servizio prestato. Ferrante d’ Avalos ha fatto ritorno dalla Spagna e Marramaldo, rientrato al soldo degli imperiali, lo segue in Provenza. Nel febbraio del 1525 partecipa con onore alla battaglia di Pavia, tra gli armati che catturano Francesco I. Ottiene, su segnalazione del marchese del Vasto, il grado di colonnello ed il comando di alcune compagnie di fanteria. 31. Francesco I Invano Guido Rangoni tenta di indurlo a passare sotto le bandiere dei pontifici. 32. RANGONI Si porta in Piemonte e raggiunge Asti nel febbraio del 1526, ove entra in contrasto con altri due colonnelli imperiali, tra i quali Cesare di Napoli (di cognome Maggi, Masi, Maggio o Majo) ed Alfredo Galante. 6 33. MAGGI 34. GALANTE Il castello di Passerano è tenuto dai francesi. Viene attaccato dal Marramaldo, che, però, leva ben presto l’ assedio su premure fattegli di Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, in favore dei Radicati, che hanno chiesto il suo intervento presso l’ antico subalterno di suo marito. 35. RADICATI I sistematici ritardi nel pagamento del soldo producono un ammutinamento, cui segue una dura repressione da parte del d’ Avalos. I caporioni vengono decollati e 1.500 fanti italiani licenziati. Marramaldo supplisce ai mancati pagamenti con razzie e devastazioni. Nel marzo riceve la nomina a governatore di Pontremoli. In aprile è a Borgo San Donnino, in maggio è a Carpi, al comando di 800 fanti, a capo dei quali pone a sacco Correggio e Solera, per poi ritirarsi dinnanzi alle truppe pontificie del Medici e del Rangoni. Alla testa di 150 cavalli e numerosi fanti scorta sino a Correggio la salma di Ferrante d’ Avalos, morto di tubercolosi a Milano, di cui era divenuto da appena una settimana governatore. Ottiene il comando di quattordici EDQGHUDV (ciascuna di esse era formata mediamente da 115 uomini) e servono ai suoi ordini, oltre al di Napoli ed al Galante di cui sopra, capitani del nome di Giacomo da Nocera, Giovanni di Vara, Giovanni Caracciolo e Giorgio Lampugnani. 36. LAMPUGNANI Devastata Brescello, si porta quindi ancora una volta a Carpi e poi a Casalmaggiore. I cronici ritardi nel pagamento del soldo provocano nelle sue file continue diserzioni. Il Gonzaga gli fornisce dei barconi per l’ attraversamento del Po, ma ciò nonostante Marramaldo pretende da Concordia una forte taglia, per cui entra in contrasto con Rodomonte Gonzaga. Tanto gli frutta l’ ordine di raggiungere alla svelta Cremona, dove l’ attende Roberto Sanseverino con 3.000 lanzichenecchi. 37. SANSEVERINO 7 Una sommossa antispagnola a Milano causa la strage di oltre un centinaio dei suoi uomini di guarnigione a Cortevecchia e Marramaldo reagisce con la consueta brutalità, applicata ai cremonesi, per cui viene trasferito a Lodi. Taglieggia, però, anche i lodigiani con tanta crudeltà da disgustare Ludovico Vistarini e indurlo ad abbandonare gli imperiali per aprire le porte alle milizie di Venezia. 38. VISTARINI Marramaldo, con qualche decina di uomini, si asserraglia nella rocca, assediata da Malatesta Baglioni. 39. BAGLIONI Corre in suo soccorso il marchese del Vasto (che alla morte dello zio Ferrante, privo di discendenza maschile, è divenuto anche marchese di Pescara) e il Marramaldo effettua, con successo, una sortita, dalla quale riporta quattro ferite, di cui una, di archibugio al braccio, alquanto grave. Ma il mese successivo lo troviamo tra i padrini del duello, che ha luogo vicino Lambrate, tra il Vistarini e Sigismondo Malatesta. 40. MALATESTA Poco dopo raggiunge Alessandria, sulla quale pone ingente taglia a favore delle sue truppe. Mette a ferro e fuoco San Salvatore Monferrato e poi si porta su Valenza per assediarvi Giovanni Birago e impedire il passaggio a Michele Antonio di Saluzzo, proveniente dalla Francia con 4.000 fanti e 500 lance. 41. BIRAGO 42. di SALUZZO Costretto alla ritirata dalla preponderanza delle forze nemiche, raggiunge Bassignana, Castelnuovo Scrivia e, quindi, Novara, ma la pressione francese lo costringe a ripiegare 8 nell’ ottobre 1526 su Alessandria. Ha con sé 2.000 fantaccini, una compagnia di uomini d’ arme, 150 cavalli leggeri e 15 cannoni, quanto basta per porre l’ assedio ad Asti. Dal convento di S. Maria delle Grazie bombarda la città, che, però, resiste. Nel tempio di San Secondo è una rara (ma non coeva) raffigurazione del Marramaldo, a cavallo, armato di tutte pezze, messo in fuga dal santo patrono. Nel gennaio del 1527 raggiunge a Cassinelle i lanzichenecchi del Connestabile di Borbone e cattura una colonna di 800 francesi, inviati al soccorso di Asti. 43. BOURBON Guadato l’ Adda, staziona a Salvaterra sul Secchia, dove le diserzioni s’ intensificano non soltanto per carenza di denaro, ma anche per mancanza di viveri. La sua forza non supera i 400 uomini e nel maggio partecipa all’ assedio di Roma ed a suo successivo sacco. Pretende dal cardinale Andrea della Valle, che, forte della sua appartenenza alla fazione imperiale, ha dato rifugio nel suo palazzo a qualche centinaio di potenziali vittime, una enorme taglia, poi ridotta alla pur sempre più che rispettabile somma di 35.000 ducati. 44. della VALLE I lanzichenecchi, che si ritengono frodati nella spartizione del bottino dagli spagnoli, si rivoltano, ma Marramaldo piomba loro addosso e ne fa strage in Trastevere, sino a quando l’ intervento del principe di Orange riesce a pacificare le due opposte fazioni di predoni. 46. CHALON d’ ORANGE La peste, intervenuta dopo gli orrori del sacco, lo porta in Umbria, che diviene ovviamente teatro di devastazioni e di rapine. Espugna Monte Rubiaglio, Baschi, Lubriano e Corsara. Rientra a Roma alla testa di tredici EDQGHUDV, ma ben presto gli viene ordinato di portarsi nel regno di Napoli. Conquista Rocca d’ Evandro e costringe alla resa l’ abate di Montecassino, Crisostomo d’ Alessandro, malgrado si tratti di un suo congiunto. 47. d’ ALESSANDRO 9 Si accampa ad Aversa per portarsi successivamente a Troia. Per farsi seguire dalle sue truppe, come al solito in grosso arretrato sulle paghe, dà loro in pegno una preziosa mitria papale, trafugata dal tesoro di San Pietro. Nel febbraio 1528, con 3.000 fanti, raggiunge a Castel di Sangro il principe d’ Orange e Sciarra Colonna. Il mese successivo è ad Atripalda, con quattordici EDQGHUDV, e presenta la forza a Ugo di Moncada. 48. di MONCADA In aprile raggiunge Napoli, assediata da Odette de Foix, visconte di Lautrec. 49. FOIX-LAUTREC Impegna numerose volte le Bande Nere, alla morte di Giovanni de’ Medici comandate da Orazio Baglioni e passate al soldo di Francia, riuscendo a fare entrare in città derrate alimentari. Si impadronisce, assieme a Ferrante Gonzaga, a Dimitri e Teodoro Boccali, dei carri dell’ arcivescovo di Amalfi, Girolamo Vitelli, carichi di rifornimenti per i francesi, e prende prigioniero, mentre siede alla mensa, il vescovo di Avellino, Silvio Messalia. Tali colpi di mano fruttano anche cospicui riscatti, ovviamente. 50. VITELLI A Napoli, nel giugno 1528, seda un tumulto, ordinando che venga appiccato alla finestra del capitano di giustizia un piemontese, reo di averlo provocato. Poco dopo è lui stesso a rischiare una simile sorte a seguito di una cospirazione nei suoi confronti, sapientemente ordita dal nemico, che mira a sbarazzarsi con ogni mezzo di un avversario più che temibile. Tale Catta, un ufficiale guascone, lascia Napoli, portando con sé una lettera, indirizzata al Marramaldo da Giovan Vincenzo Gonzaga, nella quale è scritto che Fabrizio intende aprire una delle porte della città al Lautrec. Catta consegna la lettera ad un contadino di un prossimo casale, inducendolo a farsi catturare dagli spagnoli e tanto segue nei pressi di porta Nolana. La lettera viene consegnata al principe d’ Orange, che presta fede alla colpevolezza del Marramaldo, lo pone agli arresti e si propone di farlo giustiziare, malgrado siano intervenuti in suo favore molti personaggi di gran conto, tra i quali il marchese del Vasto, la vedova del marchese di Pescara, la celebre Vittoria Colonna, ed Ugo di Moncada. Per sua fortuna, il contadino, sottoposto a stringente interrogatorio sotto tortura, si contraddice, per cui finisce squartato ed il nostro personaggio viene assolto con tutti gli onori. Poco dopo saccheggia Somma Vesuviana, pone taglia su Benevento, recupera 10 Nocera ed altri luoghi. Riunite le sue forze a quelle del principe di Salerno, Ferrante Sanseverino, e del conte di Sarno, Girolamo Tuttavilla, prende Nola. 51. TUTTAVILLA Con Pedro Navarro, grazie ad un abile stratagemma, s’ impadronisce dell’ importante centro di Capua, facendo strage di francesi. Il capitano du Guerre viene linciato dalla marmaglia, che dal cadavere di Ugo Pepoli, già inumato, strappa le ricche vesti e l’ Ordine di San Michele. 52. NAVARRO 53. du GUERRE 53. PEPOLI Marramaldo conquista la rocca, nella quale si sono rinchiusi Giuliano Strozzi e Francesco Ferrucci, che saranno poi rilasciati, dietro pagamento di riscatto. In questa circostanza, i due ‘eroi’ di Gavinana, quello negativo e quello positivo, si incontrano e non devono essersi ispirata alcuna reciproca simpatia. 54. STROZZI 55. FERRUCCI Raggiunge poi l’ isola di Ischia, mettendola naturalmente a sacco. Alle sue truppe si sono uniti parecchi fanti, provenienti dalle Bande Nere e così riesce a raggranellare un’ unità forte di 3.000 uomini. Esige vettovaglie per le sue truppe, che hanno preso stanza a Marcianise ed a Calvi, nonché l’ elargizione di una somma di denaro a favore del suo fido capitano Maldonato. 56. MALDONATO Alla fine del 1528 gli viene ingiunto di portarsi in Puglia. Frattanto impone, al solito, taglie su Castellammare di Stabia e su Sorrento. Ad Avellino passa in rassegna le forze affidategli per l’ impresa di Puglia: 1.840 uomini, suddivisi in quindici EDQGHUDV. Trascorse le feste del carnevale a Napoli, attendendo il pagamento degli arretrati, marcia sull’ obiettivo assegnatogli, assieme a Fernando Alarcon, Ferrante Gonzaga ed il marchese del Vasto. 11 57. ALARCON Ad Andria si trova di fronte alle truppe di Renzo di Ceri, un Orsini, che è padre di Giampaolo, anche lui valido capitano del tempo. Riuscito vano il tentativo di prendere Barletta, non ha miglior successo l’ assedio di Monopoli, effettuato in più riprese assieme alle forze del d’ Avalos, in quanto la città è strenuamente difesa da Camillo Orsini e Giovanni Caracciolo, che infliggono agli imperiali forti perdite. 58. ORSINI Rinnova il tentativo di attacco a Monopoli con uguale sfortuna. Si porta quindi a Conversano e, devastata Noci, punta su Martinafranca. La sua popolazione offre vettovaglie e 2.000 ducati per essere risparmiata dal sacco, ma l’ offerta è respinta, perché ritenuta inadeguata. Gli abitanti allora si rinchiudono nella matrice di San Martino, affidandosi alla misericordia divina. Interviene, allora, un miracolo: le truppe del Marramaldo si allontanano. La pia leggenda vuole che siano stati volti in fuga dall’ intervento di San Martino in armi, alla testa di un contingente celeste: proprio come San Secondo ad Asti. In realtà, sono stati avvistati reparti di cavalleria francese. Un’ inondazione salva Francavilla Fontana dalla minaccia imperiale e, proprio in quel giugno, al Marramaldo si concede la pingue rendita di 2.500 ducati sui feudi confiscati al conte di Montecalvo, Francesco Carafa, ed a Francesco Pappacoda. 59. PAPPACODA Ma, com’ era da immaginarsi, poco tempo dopo i due esponenti dell’ alta aristocrazia giurano fedeltà alla corona di Spagna e recuperano i feudi. A Fabrizio, allora, vengono pagati sull’ unghia 12.000 scudi, aggiungendo ai quali altri 2.000 scudi, può acquistare la terra di Ottaiano, di cui prende possesso nel mese successivo. Ad Aversa riesce a sedare un ammutinamento mediante il pagamento di quattro paghe, di cui parte è posta a carico della Terra di Lavoro. Assolda presso Cassino altri 600 fanti nel gennaio del 1530 e, ricevuti fondi sufficienti per il soldo, si mette in marcia verso la Toscana, al fine di ristabilire i Medici a Firenze. Roma è in allarme, ma il timore è infondato e le truppe attraversano il viterbese, pur dovendo di continuo fronteggiare la rivolta dei soldati. Entra a Buonconvento con 4.000 fanti, inquadrati in 10 compagnie e, dato che Siena non è riuscita ad apprestare i rifornimenti richiesti, pone a sacco la città, assieme a Pienza e a San Quirico d’ Orcia. Marramaldo ha accanto a sé un suo fratello, Giovan Battista, del quale non si sa altro. Legittimo o meno, sarà molto probabilmente scomparso nel corso dei successivi eventi 12 bellici. Si adopera per impedire gli episodi più gravi nei confronti della popolazione, facendo impiccare una decina di suoi soldati. Impegnato a Siena un gioiello, può recarsi nel marzo a Bologna, per baciare la mano a Carlo V, ivi recatosi per essere incoronato dal papa. Frattanto Ferrucci s’ è impadronito di Volterra. Marramaldo, messe fuori uso le difese dei castelli di San Quirico e di San Gimignano, non riesce ad espugnare Colle Val d’ Elsa. Inizialmente dispone di 500 fanti e di altrettanti cavalli. Respinto brillantemente un attacco della cavalleria leggera fiorentina, si presenta dinnanzi alla porta di San Giusto di Volterra. Adesso si è norevolmente rafforzato e ha con sé 4.000 fanti, numerosi fuorusciti e 500 cavalli, comandati da un superbo generale di cavalleria quale Teodoro Albanese (Manes).. 60. ALBANESE (MANES) Nel borgo fuori porta San Francesco pone in linea di tiro il suo minuscolo parco d’ artiglieria, forte di appena sei pezzi, ma in grado di demolire le difese, parzialmente d’ età etrusca. Si scontra tutti i giorni con le milizie del Ferrucci e, quando capitola il fortificato monastero di Sant’ Andrea H[WUDPRHQLD, crede di avere la vittoria in pugno. Invia allora un tamburino ad intimare la resa al commissario fiorentino, che, per tutta risposta, lo minaccia di morte ove osi tornargli davanti. Quando il messo – forse perché incredulo, oppure costretto dal suo spietato comandante – si ripresenta con un nuovo XOWLPDWXP, il Ferrucci lo fa immediatamente impiccare alla porta di San Francesco, con il suo tamburo appeso al collo. Alcuni storici fiorentini giustificano tale gesto, asserendo che erano state trovate sull’ infelice lettere destinate a cittadini volterrani di fede imperiale. Marramaldo intensifica, allora, gli attacchi, sgomina gli assediati, che avevano tentato una sortita, ed occupa infine il borgo di San Giusto. Ma quando sembra ormai imminente la caduta di Volterra, deve fare ancora una volta i conti con la mancata corresponsione del soldo, che provoca la diserzione di due reparti di fanti calabresi, passati al Ferrucci, il quale, trovando improvvisamente sguarnito il fronte avversario, riesce a guastare le mine, poste alla base delle mura. Il commissario fiorentino si fa beffe, a questo punto, del suo antagonista, soprannominato 0DUDPDX, facendo penzolare per la coda dalle mura di Volterra e dalle finestre delle abitazioni un buon numero di poveri gatti, i cui miagolii fanno da colonna sonora ai dileggi toscani. Marramaldo respinge, comunque, altre due sortite e viene, infine, raggiunto dal marchese del Vasto, che comanda un contingente di fanteria spagnola forte di 4.000 uomini, accompagnato da 10 cannoni. Preceduto da un fitto fuoco di artiglieria, viene sferrato l’ attacco generale, ma il Ferrucci, sebbene ferito ad un gomito e ad un ginocchio, riesce a respingerlo. Rafforza le difese, approfittando del contrasto, intervenuto tra il marchese del Vasto e il Marramaldo, che si disputano la direzione delle operazioni e perdono in tal modo tempo decisivo. I due tardivi attacchi degli imperiali falliscono e il marchese, ammalato, rientra a Napoli, mentre Marramaldo è costretto da diserzioni, sfocianti in tentativi di ammutinamento e, infine, dalla peste, a levare l’ assedio e portarsi a San Gimignano. In una chiesa, affidati alla pietà degli avversari, sono sessanta soldati, per il più spagnoli, feriti o gravemente ammalati. Le truppe fiorentine incendiano la chiesa. Marramaldo riceve ordine dal principe di Orange d’ intercettare il Ferrucci, che si sta dirigendo su Cecina con 1.500 uomini, e si porta quindi verso Val di Fievole, congiungendosi all’ Orange ed al Vitelli. Al 2 di agosto, con 7.000 fanti e 400 uomini d’ arme, marcia da Empoli su Gavinana, nell’ appennino pistoiese, ove il giorno successivo si scontrano con le sopraggiungenti 13 truppe del Ferrucci, che ha con sé Giampaolo Orsini, 3.000 uomini e 400 cavalli. Il duro combattimento ha per teatro il paese. Dapprima la vittoria sembra arridere ai fiorentini, in quanto il comandante in capo degli imperiali, Filiberto d’ Orange, stramazza ferito a morte da tre archibugiate, ma sopraggiunge in soccorso del Marramaldo la retroguardia di 2.000 lanzichenecchi, mentre il Vitelli aggira e disperde le milizie fiorentine. Dopo tre ore di aspro combattimento, la vittoria è totale e vengono portati innanzi al Marramaldo, sulla piazza maggiore di Gavinana, il Ferrucci e l’ Orsini, che hanno invano cercato scampo in una casupola. Ordina che il Ferrucci sia spogliato della corazza e, dopo avergli rinfacciato l’ impiccagione del tamburino (diamo la parola al della Marra, peraltro con lui imparentato), ³«FRQTXDOFKHVRUWD GL FUXGHOWj GL SURSULD PDQR j FROSL GL SXJQDOH XFFLVH LO )HUUXFFL«´, non tanto a titolo di personale vendetta (tamburino, gatti ed eccidio dei feriti), quanto ³LQJUDWLDGH¶VROGDWLHTXDVL LQ YLWWLPD FRQVHJUDWD SHU XQ WDQWR JUDQ &DSLWDQR PRUWR LQ TXHOOD EDWWDJOLD TXDQWR HUD LO SULQFLSHGL2UDQJHV´. Pochi cenni sull’ Orange e sul Ferrucci. Philibert de Chalon era nato nel 1502 e, alla sua morte, aveva compiuto appena ventotto anni. Apparteneva al ramo cadetto dei Chalon-Arlay e suo padre, Jean IV, era mancato pochi mesi dopo la sua nascita. La madre era Philiberte de Luxembourg, seconda moglie di Jean IV, alla morte di Jeanne de Bourbon, figlia del duca Charles I. Di sangue sovrano ed erede di un’ immensa fortuna, ricevette educazione cavalleresca alla corte degli Asburgo. Ventunenne fu insignito del Toson d’ Oro. Le sue prime prove militari furono Tornai e la campagna di Catalogna. Passò poi in Italia e, caduto il connestabile di Borbone, divenne il comandante supremo delle forze imperiali durante l’ assedio ed il sacco di Roma. Carlo V gli conferì il grado di generalissimo delle sue armate e lo inviò quale viceré a Napoli, fregiandolo del titolo di duca di Gravina, da aggiungere a quelli aviti di principe d’ Orange, conte di Tonnerre, signore d’ Arlay, d’ Arguel e di Nozeroy. Era con ogni probabilità il più capace dei condottieri imperiali. Il Marramaldo dette onorata sepoltura al suo corpo in una cappella di Gavinana, poi la salma fu portata a Firenze e, infine, a Lons, la sua città natale, dove fu tumulata nell’ avito sepolcro della chiesa dei Cordeliers, con un grandioso rito funebre, nel quale arsero quattromila torce alle ami degli Chalon. Assistettero alla cerimonia molti grandi personaggi e non poche teste coronate. Privo di discendenza, aveva istituito suo erede il nipote H[VRURUH, René de Nassau. Francesco Ferrucci era nato il 13 agosto 1489 a Firenze, nel quartiere di San Frediano, da Niccolò e da Piera di Francesco Simone Guiducci. Erano i Ferrucci un’ antica famiglia del secondo popolo fiorentino di parte guelfa, orginaria di Piombino, da dove si era traferita a Firenze nei primi decenni del secolo XIII°. Annoverata tra gli Anziani dal 1253, dette due Confalonieri di Compagnia, due Confalonieri di Giustizia, venti Priori di Libertà e fu dei X di Balia dal 1406. Furono ascritti al patriziato di Firenze dal 1500 e contrassero, nel tempo, alleanze con molte illustri famiglie, tra le quali Cavalcanti, Strozzi, Carnesecchi, Albizzi, Velluti, Aldobrandini, Manetti, Guiducci, Pitti, Rondinelli e Rucellai. Non disponevano, però, di grandi mezzi di fortuna e Francesco – come peraltro molti giovani di qualità della città del Fiore – fece il suo noviziato attendendo alla vendita, canna di misura in mano, dietro il banco della bottega del mercante di panni Girolami. Aveva complessione atletica e una testa tanto calda, da giovinetto, da sfidare e ferire in duello un Medici. Fu quindi costretto a cambiare aria per un po’ , rifugiandosi in una casa paterna del Casentino. Gli venne la passione per la politica, ma dovette rinunciare alla candidatura di podestà di Larciano perché indebitato con la cassa del comune di Firenze. Ciò non impedì, però, che divenisse nel 1523 podestà di Campi e, tre anni più tardi, di Radda in Chianti. Nel 1527, alla cacciata dei Medici, ormai trentanovenne, iniziò la sua carriera 14 militare, arruolandosi nelle Bande Nere, al tempo operanti a fianco del Lautrec, dapprima come ufficiale di commissariato. Il resto è, in buona sostanza, noto. A sollevare un minimo di dubbio sull’ uccisione del Ferrucci da parte del Marramaldo, Carrelli cita una lettera di quest’ ultimo agli Anziani di Lucca, datata 5 agosto 1530 (dunque, due giorni dopo il fatto d’ armi) e conservata nell’ Archivio di Stato di quella città, in cui si legge: ³&UHGR FKHOH69KDUDQQRVDSXWRODQRVWUDYLFWRULDFRQWURLOVLJU*LDPSDROR[Orsini] HGLO)HUUXFFLR LOTXDOH)HUUXFFLRqPRUWRHWLOVLJQRU*LDPSDXORqTXLSULJLRQHFRQQRL´. L’ indizio è, però, di assai scarso rilievo. Dopo Gavinana e qualche altra scaramuccia, il Marramaldo dirige su Roma, nella vana speranza di ottenere dal Papa gli arretrati del soldo, ammontanti a 36.000 ducati. Nell’ ottobre è a Firenze, ove riceve dalla Signoria 23.000 ducati ed un anticipo di 10.000 ducati dal Vaticano. E’ tutto un andirivieni da Firenze a Roma, sino a quando, alla metà di novembre riceve il saldo complessivo, pari ad 80.000 ducati, oltre ad una gratifica personale. Congeda allora le truppe, che discendono dalla Toscana verso il sud, mettendo a sacco qualsiasi contrada incontrino lungo il loro passaggio e si ferma qualche tempo a Siena, ospite di Alfonso Piccolomini d’ Aragona, duca d’ Amalfi e Gran Giustiziere del regno di Napoli. 61. PICCOLOMINI d’ ARAGONA E’ a Mantova nei primi mesi del 1531, dove viene raggiunto da un trombetta, che vorrebbe consegnargli un cartello di sfida da parte dell’ antico collega-nemico Cesare di Napoli, ma Federico Gonzaga impedisce il duello, proibendo la consegna del cartello. Marramaldo nell’ aprile è a Bruxelles, trattenendosi presso la corte di Carlo V, che gli dimostra simpatia e stima, dando il suo SODFHWall’ acquisto del feudo di Ottaiano, già dell’ Orange e vendutogli dal suo erede, con in aggiunta un premio straordinario di 6.000 ducati. Nel giugno dell’ anno successivo, gli viene conferito il comando di 3.000 uomini, con i quali combattere i turchi, passando al servizio del fratello dell’ imperatore, Ferdinando, a quel tempo re di Ungheria. Della Marra ci fornisce un sapido aneddoto, che bene illustra il carattere iracondo del Marramaldo anche nei confronti dello stesso Carlo V. Una volta che, sia pure a torto, questi lo contraddisse, nel corso di una seduta del consiglio di guerra, il nostro non resistette e ³«FRQPRGRGLSDUODUHDVVDLOLEHUR H VHFRQGR O¶XVR GHOOD 1DSROHWDQD IDYHOOD JOL ULVSRVH +DYHVVH XQD PHX]D [colica viscerale] 9RVWUD 0DHVWj H VHJXLWz D VRVWHQHU FRQ UDJLRQL LO YRWR VXR FRQ JUDQGLVVLPD ULVD H JXVWR GHOO¶,PSHUDGRUHFK¶HOWXWWRFRQRVFHDSURFHGHUHGDJUDQGHLQWHURDQLPR´. Nell’ agosto, a Peschiera sul Garda, Carlo V, dietro consiglio del d’ Avalos, lo nomina capitanogenerale della fanteria italiana, il che gli frutta una ulteriore razione di astio da parte dei suoi H[parigrado, tra i quali fanno spicco Pier Maria de’ Rossi, appoggiato da Ferrante Gonzaga, Filippo Tornielli, Guido Rangoni e, più di ogni altro, Gian Battista Castaldo, il quale aveva precedentemente ottenuto proprio dal marchese del Vasto promessa di tale comando. 15 62. de’ ROSSI 63. TORNIELLI 64. CASTALDO In settembre è tra Kremps e Vienna e si propone di prendere Buda, ma anche questa volta deve fare i conti con un ammutinamento delle sue truppe, causato non soltanto da enormi ritardi nel pagamento del soldo, ma dall’ odio verso questo implacabile generale, che non esita ad imporre severissima disciplina, infliggendo anche di fronte a mancanze di poco conto la pena capitale. Invano attende a Innsbruck i promessi anticipi e, per giunta, il pane è immangiabile. La forza passa da 14.000 a soli 6.000 uomini, cioè i soldati del Marramaldo e quelli del Tornielli. Gli altri fanti italiani si disperdono in piccole bande, che tentano di rientrare in patria mediante il sistematico saccheggio lungo l’ itinerario. Si vede infine costretto a ripiegare anche lui, con non più di 4.000 uomini, e si affianca ad Albaredo d’ Adige all’ esercito di Carlo V, diretto a Milano. Nell’ estate fa ritorno a Napoli, dove l’ attende un’ accoglienza trionfale, e dove, il 27 settembre 1533, si risposa con una dama di alto lignaggio, Porzia, figlia di Restaimo Cantelmo conte di Popoli, secondogenito del duca di Sora, e di Giovannella Gaetani d’ Aragona dei conti di Fondi, vedova di Carlo Carafa, marchese di Montesarchio. Nel dicembre si rimette in marcia verso la Lombardia. Transita dagli Abruzzi, si trattiene nelle Marche e poi si dirige a Bologna, a Modena, dove il suo contingente si congiunge a quello di Claudio Rangoni, per raggiungere infine Reggio Emilia, ove l’ attende il di Leyva. 65. di LEYVA Nel giugno 1536 s’ imbarca a Trapani, facendo rotta verso la costa africana.Partecipa, distinguendosi per capacità militare e personale valore, alla presa della Goletta di Tunisi. Due mesi dopo è ancora una volta in Piemonte. Crea un grosso deposito di grano, presidiato da 300 uomini a Cirié, ma i francesi scalano di nottetempo le mura, massacrano la guarnigione e s’ impadroniscono delle derrate. Pone l’ assedio a Torino, ma il cronico ritardo nei pagamenti del soldo si traduce nelle solite diserzioni di massa. Per di più riceve una seria ferita d’ archibugio ad una coscia. E’ ad Alessandria nel maggio del 1537, da dove indirizza una lettera a Francesco Maria della Rovere, pregandolo d’ intervenire in favore di alcuni gentiluomini, serventi come ODQFHVSH]]DWH, detenuti nelle carceri veneziane. 66. della ROVERE Riceve conferma nell’ incarico di maestro generale di campo dal d’ Avalos, ma sa bene che a godere crescente credito presso il marchese del Vasto è il suo vecchio, dichiarato nemico, Cesare 16 di Napoli. Ottiene allora licenza di recarsi a Napoli per sottoporsi a cure, ma non farà mai più ritorno sui campi di battaglia. L’ anno seguente Carlo V lo nomina suo ciambellano, facendogli rimettere 2.500 ducati a titolo di trattamento fine rapporto. Conduce vita mondana e dispendiosa, alla corte del viceré don Pedro de Toledo. 67. ALVAREZ de TOLEDO Scipione Ammirato riporta: ³)DEULWLR«FRQREELLRHVVHQGRHJOLJLjYHFFKLR)XEHOORKXRPR GHO FRUSR PD GL FRUWD YLVWD RQGH XVDYD FRPH PROWR LQ 1DSROL VL FRVWXPD GL SRUWDU GHO FRQWLQXR JOL RFFKLDOL 6H OH SLFFROH FRVH DOOH JUDQGL VL SRVVRQR FRPSDUDUH SDU FKH GL OXL DYYHQLVVH TXHO FKH GL /XFXOOR FHOHEUDWLVVLPR FDSLWDQR URPDQR VL VFULYH SHUFLRFFKp z VWDQFR GHOOHIDWLFKHPLOLWDULzSXUGLVXDHOHWWLRQHPRVVRIRUWHVLGLHGHDJOLDJLGHOYLYHUHHjSLDFHUL GHO JXVWR FRPH FKH PROWR IRVVH GDOOH JRWWH WUDYDJOLDWR 0RUu VLJQRUH G¶2WWDLDQR GRQDWRJOL GDOO¶,PS &DUOR 9 SHU ULEHOOLRQH G¶(QULFR 2UVLQR FRQWH GL 1ROD O¶DQQR QRQ DYHQGR ODVFLDWR GL OXL DOWUR FKH XQ ILJOLXRO QDWXUDOH LQ FXL OD IDPLJOLD 0DUUDPDOGR VL VSHQVH´. Malgrado anche il della Marra e l’ Aldimari tramandino che sia morto nel suo feudo di Ottaiano, senza discendenza legittima maschile, deve dirsi che il condottiero aveva rivenduto tale feudo nel 1551 a Ferdinando Gonzaga di Molfetta, che, a sua volta, nel 1567 lo esitò ai de’ Medici, ramo napoletano, che ancor oggi portano titolo principesco su tale predicato feudale. Tanto al di là del fatto provato della precedente successione nel feudo, tra gli Orsini ed il Marramaldo, dell’ Orange. L’ avito feudo di Lusciano era stato da Fabrizio liberamente venduto il 4 aprile 1541 a Giacomo Caracciolo. Non fu rozzo epicureo e neppure egoista, giacché fu amico di artisti e di poeti, in specie di Luigi Tansillo e, nella sua corrispondenza riportata dal Luzio, si rinvengono frequenti espressioni di compassione per i poveri. Pare che Fabrizio Marramaldo morisse negli ultimi mesi del 1552 e, in ogni caso, defunto certamente risulta, da documenti, nel febbraio del 1558. Lasciò, secondo l’ uso del tempo, numerosi e significativi OHJDWLGHOO¶DQLPD ad una serie di istituti religiosi e andrebbe ad indubbio merito della congregazione dei Teatini, ove corrispondesse a verità, l’ avere sdegnosamente rinunciato al pingue lascito, disposto in suo favore, motivando il rifiuto con la memoria della più che attiva partecipazione del Marramaldo al sacco di Roma. Ignoriamo se la moglie Porzia gli fosse sopravvissuta e lo stesso vale per la sorte delle due figlie femmine, che, secondo il mai documentato Guerrazzi, sarebbero nate dal matrimonio. Venne quasi certamente tumulato nella cappella gentilizia di San Domenico Maggiore. Da Alessandro Luzio, grande ricercatore di documenti archivistici, apprendiamo che il figlio illegittimo di Fabrizio, portava il suo medesimo nome proprio e che coprì d’ infamia il nome dei Marramaldo, poiché venne condannato, come falsificatore di moneta, alle galere, se non, addirittura, alla forca. Un giovane appassionato di storia patria, Francesco Regina, di recente ha compiuto un interessante ricerca, a tappeto, nei registri parrocchiali della cittadina calabrese di Mormanno, ove è fiorita, almeno dalla prima metà del XVI° secolo sino al 1901, data della sua estinzione con un Francesco, una famiglia Marramaldi, ai cui membri veniva di norma attribuito l’ appellativo di ‘nobile’ o di ‘magnifico’ e che godevano di giuspatronato, connesso al MXV 17 VHSXOFKUL, su una cappella nella chiesa di San Nicola. Il nome di Fabrizio era ricorrente in tale famiglia e il Regina ipotizza che il primo dei Marramaldi, Pompeo, nato a Mormanno nel 1535, fosse figlio del celebre condottiero imperiale. Per il poco che possa significare, Regina non fa cenno dell’ arma di tali mormannesi. Più di uno scrittore toscano, Guerrazzi in testa (che peraltro gli assegna quale data di nascita il 28 di ottobre e non del dicembre 1594), ha voluto attribuire al Marramaldo origine calabrese, forse ritenuta di per sé giustificante l’ efferato gesto di Gavinana, ma non esistono, al momento, quanto meno, elementi probatori in tal senso. Ignoriamo chi fosse, peraltro, il Magnifico Gio. Alfonso Marramaldo, figlio del fu Magnifico Cornelio, che, da un UHOHYLR del marzo 1578, chiese l’ investitura di beni feudali per ducati 58 sulla terra di Tortora. Un Marramaldi della prossima Mormanno, oppure un discendente dei Marramaldo di Barletta? Del tutto improbabile, in ogni caso, che si sia trattato di un discendente legittimo della famiglia napoletana, originaria di Amalfi. GHVFUL]LRQLEODVRQLFKH Le 91 armi, che illustrano la comunicazione, sono state tutte realizzate mediante l’ impiego di un programma di disegno araldico. Alla loro blasonatura si è ritenuto di aggiungere le più significative varianti, alcune armi spettanti a rami diversi di una medesima agnazione e, ancora, insegne gentilizie considerate in qualche modo connesse. Tanto non ha avuto luogo per le armi reali, ove gli DOLDV hanno non di rado carattere dominante. Sconoscendo a quale branca appartenessero le alleanze Caracciolo e Carafa, contratte dai Marramaldo, in due partiti sono state abbinate le armi dei Caracciolo Rossi e dei Caracciolo Pisquizi e quelle dei Carafa della Spina e dei Carafa della Stadera, conformandosi, peraltro, ad un uso antico. 1., 1ELV. e 1TXDWHU. MARRAMALDO di Napoli –arma: %DQGDWRG¶DUJHQWRHG¶D]]XUURFROODERUGXUDVSLQDWDGL URVVR 1WHU.: '¶DUJHQWRDWUHEDQGHG¶D]]XUUR. 2. ACCIAPACCIA di Napoli – arma: '¶DUJHQWR DO OHRQH GL URVVR FROOD EDQGD G¶D]]XUUR FDULFD GL WUH DFFHWWH G¶RURLOWDJOLRLQEDVVRDWWUDYHUVDQWH 3. ACERRA (ramo dei conti d’ Aquino) – arma: '¶D]]XUUR D WUH VFDJOLRQL G¶DUJHQWR FDULFKL GL PRVFDWXUH G¶DUPHOOLQRGLQHUR 4. AJOSSA (d’ ) di Napoli - arma: '¶D]]XUURDGXHVEDUUHG¶DUJHQWRDFFRPSDJQDWHGDGXHFRQFKLJOLHGHOORVWHVVR XQDLQFDSRHXQDLQSXQWD 5. ALDEMORESCO di Napoli - arma: 7URQFDWRSDOL]]DWR G¶D]]XUURHG¶DUJHQWRFROFDSRGHOVHFRQGRFDULFRGL XQDFURFHVFRUFLDWDGHOSULPR 5ELV.ALDEMORESCO di Sicilia - arma: '¶RURDOOHWHVWDGLPRURGLQHURDWWRUWLJOLDWDG¶DUJHQWR 6. BRANCIA di Napoli - arma: '¶D]]XUURDOODEUDQFDGLOHRQHG¶RURPRYHQWHGDOILDQFRVLQLVWURGHOORVFXGR 6ELV.BRANCIA di Calabria - arma: '¶RURDOODEUDQFDGLOHRQHGLURVVRUHFLVDSRVWDLQIDVFLD 18 6WHU.BRANCIA di Amalfi e Sorrento - arma: 'LURVVRDOODEUDQFDGLOHRQHG¶RURPRYHQWHGDOILDQFRVLQLVWURGHOOR VFXGR 7. CANTELMO degli Abruzzi - arma: '¶RURDOOHRQHGLURVVRDWWUDYHUVDWRGDOODPEHOORGLWUHSHQGHQWLG¶D]]XUUR 8. CAPECE BOZZUTO di Napoli - arma: '¶RURDOODEDQGDG¶D]]XUURFDULFDGLWUHFRQFKLJOLHG¶DUJHQWR 9. CAPECE SCONDITO di Napoli - arma: '¶RURDOOHRQHGLQHURDUPDWRHODPSDVVDWRGLURVVR 10. CAPECE TOMACELLI di Napoli - arma: 'LURVVRDOODEDQGDVFDFFDWDG¶D]]XUURHG¶RURGLWUHILOH 11. CARACCIOLO di Napoli - arma: 3DUWLWR QHO EDQGDWR G¶RUR H GL URVVR FRO FDSR G¶D]]XUUR (CARACCIOLO-ROSSI); QHOG¶RURDOOHRQHG¶D]]XUURFRQODFRGDULYROWDLQGHQWURDUPDWRHODPSDVVDWRGL URVVR (CARACCIOLO-PISQUIZI). 11ELV.CARACCIOLO del SOLE di Napoli - arma: 'LURVVRDOVROHG¶RURFDULFR GLXQOHRQH G¶D]]XUURODFRGD ULYROWDLQGHQWURDUPDWRHODPSDVVDWRGLURVVR 12. CARAFA di Napoli - arma: 3DUWLWRQHOGLURVVRDWUHIDVFHG¶DUJHQWRFROODVSLQDGLYHUGHDWWUDYHUVDQWHLQ EDQGD (CARAFA della SPINA); QHOGLURVVRDWUHIDVFHG¶DUJHQWR (CARAFA della STADERA). 13. CICCARELLI di Matera - arma: '¶D]]XUURDOO¶DOEHURGLXOLYRDFFRPSDJQDWRGDXQFDQHEDLORQDWRLOWXWWRDO QDWXUDOH 14. del DOCE di Napoli - DUPD7URQFDWRQHOGLURVVRDOODPEHOORGLWUHSHQGHQWLG¶RURQHOG¶D]]XUURD WUHEDQGHG¶RUR 15. della MARRA DI Napoli - arma: '¶D]]XUUR DOODEDQGDGRSSLRPHUODWDG¶DUJHQWRDFFRPSDJQDWDQHOFDSRGD XQODPEHOORGLWUHSHQGHQWLFXFLWDGLURVVR 16. BRAIDA del Napoletano - arma: '¶D]]XUURDWUHVFDJOLRQLG¶DUJHQWR 16ELV. Di BRAYDA di Alba - arma: '¶DUJHQWRDWUHVFDJOLRQLG¶D]]XUUR 19 17. GIANVILLA di Napoli - arma: 7URQFDWR QHO G¶DUJHQWR VHPLQDWR GL ILRFFKL GL URVVR DO OHRQH QDVFHQWH GDOOD WURQFDWXUD GHOOR VWHVVR FRURQDWR G¶RUR QHO GL QHUR D VHL SLXPH G¶DUJHQWR RUGLQDWH LQ IDVFLD OH SXQWHYROWHDOFHQWUR 18. MUSCETTOLA di Napoli - arma: '¶RURDWUHEDQGHG¶D]]XUURFROFDSRFXFLWRG¶RURFDULFRGLWUHXFFHOOLGL QHURDIIURQWDWLHILVVDQWLXQDVWHOODGLURVVRSRVWDQHOSXQWRGHOFDSR 19. OFFERIO, DAUFERIO o AUFERIO di Napoli e Benevento - arma: 'LURVVRDOODEDQGDYDLDWDDFFRPSDJQDWD GDGXHURVHG¶DUJHQWR 19ELVDAUFERIO di Benevento (DOLDV) - arma: 'LYHUGHDOODFURFHG¶DUJHQWRDFFDQWRQDWDGDTXDWWURURVHFXFLWH GLURVVR 20. RICCARDO di Napoli - arma: 'L URVVR DOOD SLDQWD IRJOLDWD GL FLQTXH SH]]L G¶DUJHQWR QRGULWD VX XQ PRQWH GHOORVWHVVRXVFHQWHGDOODSXQWD 20ELV. RICCARDO di Benevento - arma: )DVFLDWRLQQHVWDWRG¶RURHG¶D]]XUURFROFDSRGHOVHFRQGRFDULFRGLWUH SLJQHGHOSULPR 20WHU. RICCARDO di Amalfi - arma: 7URQFDWRPHUODWRGLDUJHQWRHGLURVVR 21. SCAGLIONE di Napoli - arma:%DQGDWRG¶DUJHQWRHGLURVVR 21ELVSCAGLIONE (DOLDV) - arma: 'LURVVRDWUHEDQGHG¶RUR 21WHUSCAGLIONE di Calabria e Sicilia: 3DUWLWRQHOG¶D]]XUURDOOHRQHG¶RURQHOG¶DUJHQWRDWUHEDQGHGL URVVR 20 22. d’ AVALOS, DAVALOS, di Napoli e Spagna - arma: '¶D]]XUURDOFDVWHOORG¶RURFROODERUGXUDFRPSRVWDGL URVVRHG¶DUJHQWR 23. de’ MEDICI di Toscana - arma: '¶RURDFLQTXHWRUWHOOLGLURVVRGLVSRVWLLQRUORVRUPRQWDWLLQFDSRGD XQWRUWHOORSLJUDQGHG¶D]]XUURFDULFRGLWUHJLJOLG¶RUR 24. GONZAGA di Mantova - arma: '¶DUJHQWR DOOD FURFH SDWHQWH GL URVVR DFFDQWRQDWD GD TXDWWUR DTXLOH DIIURQWDWHGLQHURHFDULFDWDLQFXRUHGDXQRVFXGHWWRLQTXDUWDWRDHGGLURVVRDOOHRQHG¶DUJHQWR(BOEMIA) EHFIDVFLDWRG¶RURHGLQHUR(GONZAGA antico). 25. CARLO V – arma (da re di Spagna e di Sicilia): 7URQFDWRQHOSDUWLWR$LQTXDUWDWRDHGGLURVVRDO FDVWHOOR G¶RUR DSHUWR H ILQHVWUDWR G¶D]]XUUR (CASTIGLIA); E H F G¶DUJHQWR DO OHRQH GL SRUSRUD DUPDWR ODPSDVVDWR H FRURQDWR G¶RUR (LEON) QHO SDUWLWR , G¶RUR D TXDWWUR SDOL GL URVVR (ARAGONA) ,, LQTXDUWDWR LQ GHFXVVH G¶RUR D TXDWWUR SDOL GL URVVR (ARAGONA-NAPOLI) H G¶DUJHQWR DOO¶DTXLOD FRO YROR VSLHJDWRGLQHUR(SVEVIA-SICILIA)LQQHVWDWRLQSXQWDG¶DUJHQWRDOSRPRJUDQDWRFXFLWRG¶RURJUDQLWRGLURVVR JDPEXWR H IRJOLDWR GL YHUGH (GRANADA) QHO SDUWLWR $ GL URVVR DOOD IDVFLD G¶DUJHQWR (AUSTRIA) % EDQGDWR G¶RUR H GL D]]XUUR FROOD ERUGXUD GL URVVR (BORGOGNA antico) % GL QHUR DO OHRQH G¶RUR DUPDWR H ODPSDVVDWR GL URVVR (BRABANTE) VXO WXWWR SDUWLWR D G¶RUR DO OHRQH GL QHUR (FIANDRE) E G¶DUJHQWR DOO¶DTXLODGLURVVRPHPEUDWDLPEHFFDWDHFRURQDWDG¶RUR(TIROLO). 26. GUICCIARDINI di Firenze – arma: '¶D]]XUURDWUHJXLFFLDUGHG¶DUJHQWRLPERFFDWHHRUODWHG¶RUROHJDWHGL URVVRXQDVXOO¶DOWUD 27. SFORZA di Milano - arma: ,QTXDUWDWRQHOHG¶RURDOO¶DTXLODFROYRORDEEDVVDWRGLQHURQHOH G¶DUJHQWRDOELVFLRQHRQGHJJLDQWHLQSDORGLYHUGHFRURQDWRG¶RURLQJRODQWHXQIDQFLXOORLJQXGRGLFDUQDJLRQH SRVWRLQIDVFLDFRQOHEUDFFLDGLVWHVH(VISCONTI). 27ELV. SFORZA di Cotignola - arma: '¶D]]XUUR DO OHRQH G¶RUR DUPDWR H ODPSDVVDWR GL URVVR WHQHQWH WUD OH EUDQFKHXQUDPRGLFRWRJQRDOQDWXUDOHJDPEXWRHIRJOLDWRGLYHUGH 28. VISCONTI di Milano - arma: '¶DUJHQWRDOELVFLRQHRQGHJJLDQWHLQSDORGLYHUGHFRURQDWRG¶RURLQJRODQWH XQIDQFLXOORLJQXGRGLFDUQDJLRQHSRVWRLQIDVFLDFRQOHEUDFFLDGLVWHVH 29. COLONNA di Roma - arma: 'L URVVR DOOD FRORQQD G¶DUJHQWR OD EDVH HG LO FDSLWHOOR G¶RUR FRURQDWD GHOOR VWHVVR 30. PALLAVICINI di Cremona e di Milano - arma: &LQTXHSXQWLG¶DUJHQWRHTXLSROOHQWL D TXDWWUR GLURVVRFRO FDSRGHOO¶,PSHUR 30ELV. PALLAVICINO, PALLAVICINI di Piacenza e di Parma - arma: &LQTXHSXQWLGLURVVRHTXLSROOHQWLDTXDWWUR G¶DUJHQWRFROFDSRGHOO¶,PSHUR 21 30WHUPALLAVICINI di Ceva - arma: &LQTXHSXQWLG¶RURHTXLSROOHQWLDTXDWWURG¶D]]XUURFROFDSRGHOO¶,PSHUR 30TXDWHU. PALLAVICINO di Genova - arma: &LQTXHSXQWLG¶RURHTXLSROOHQWLDTXDWWURG¶D]]XUURFROFDSRG¶RUR FDULFRGLXQDIDVFLDVFRUFLDWDFRQWURPHUODWDGLWUHSH]]LGLQHUR 31. de LANNOY delle Fiandre e di Napoli - arma: '¶DUJHQWRDWUHOHRQLFRURQDWLGLYHUGH 32. FRANCESCO I - arma: '¶D]]XUURDWUHJLJOLG¶RUR 33. RANGONI di Modena - arma: )DVFLDWR G¶DUJHQWR H G¶D]]XUUR FRO FDSR GL URVVR FDULFR GL XQD FRQFKLJOLD G¶DUJHQWRDEEDVVDWRVRWWRXQDOWURFDSRG¶DUJHQWRDOO¶DTXLODVSLHJDWDGLURVVRPHPEUDWDLPEHFFDWDHFRURQDWD G¶RUR 34. MAGGIO, MAGGI, MASI di Napoli - arma: '¶DUJHQWR D GXH JULIL GL URVVR DIIURQWDWL H FRQWURUDPSDQWL D XQ¶DVWDGLQHURLQSDORFROFDSRGHOO¶,PSHUR 35. GALANTE di Napoli - arma: '¶D]]XUUR D WUH JLJOL G¶DUJHQWR FLDVFXQR VRUPRQWDWR GD XQD VWHOOD GHOOR VWHVVR 36. RADICATI del Piemonte - arma: 7URQFDWR QHO GL QHUR DOO¶DTXLOD FRURQDWD G¶RUR QHO G¶DUJHQWR DOO¶DOEHURGLFDVWDJQRDOQDWXUDOHVUDGLFDWR 37. LAMPUGNANI di Milano - arma: 'L URVVR DOOD EDQGD VFDFFDWD G¶DUJHQWR H GL QHUR GL WUH ILOH FRO FDSR GHOO¶,PSHUR 38. SANSEVERINO di Napoli - arma: '¶DUJHQWRDOODIDVFLDGLURVVR 39. VISTARINI di Lodi - arma: ,QTXDUWDWRQHOHGLURVVRDOOHRQHG¶RURQHOHG¶D]]XUURDWUHIDVFH VSLQDWHG¶DUJHQWR 40. BAGLIONI di Perugia - arma: '¶D]]XUURDOODIDVFLDG¶RUR 41. MALATESTA di Rimini - arma: ,QTXDUWDWR QHO H GL YHUGH DWUHWHVWHGL GRQQDGLFDUQDJLRQHFULQLWH G¶RUR (MALATESTA antico)QHOHG¶DUJHQWRDWUHIDVFHVFDFFDWHG¶RURHGLQHURFROODERUGXUDGHOORVFXGR LQFKLDYDWDG¶DUJHQWRHGLQHUR (MALATESTA moderno) 22 41ELV. MALATESTA di Roma e Rimini - arma: '¶DUJHQWRDWUHIDVFHVFDFFDWHG¶RURHGLQHURFROODERUGXUDGHOOR VFXGRLQFKLDYDWDG¶DUJHQWRHGLURVVR 42. BIRAGO di Milano - arma: '¶DUJHQWRDWUHIDVFHGRSSLRPHUODWHGLURVVRFLDVFXQDFDULFDGLTXDWWURWULIRJOL G¶RUR 43. di SALUZZO del Piemonte - arma: '¶DUJHQWRDOFDSRG¶D]]XUUR 44. BORBONE (ducale) - arma: '¶D]]XUURVHPLQDWRGLJLJOLG¶RURDOODFRWLVVDLQEDQGDGLURVVRDWWUDYHUVDQWH 45. della VALLE di Roma - arma: '¶RURDGXHOHRQLDIIURQWDWLHFRQWURUDPSDQWLGLURVVRDFFRPSDJQDWLGDFLQTXH VWHOOHGHOOVWHVVRWUHRUGLQDWHLQIDVFLDQHOFDSRHGXHRUGLQDWHLQSDORWUDLOHRQLFROFDSRFXFLWRG¶RURFDULFRGL XQ¶DTXLODGLQHURFRURQDWDGHOFDPSR 45ELV. DELLA VALLE, LAVALLE, VALLE di Sicilia - arma: '¶DUJHQWRD GXH OHRQL GL QHUR DIIURQWDWLDFFRPSDJQDWLGDFLQTXHVWHOOHG¶D]]XUURRUGLQDWHLQFURFHGL6DQW¶$QGUHDFRQLOFDSRGHOSULPRFDULFR GLXQ¶DTXLODQDVFHQWHFRURQDWDGLQHURVRVWHQXWRGDXQDWUDQJODFHQWUDWDGHOORVWHVVR 45WHU. DELLA VALLE di Aversa e S. Maria Capua Vetere - arma: '¶D]]XUURDOODEDQGDG¶RURFDULFDGLWUHURVH GLURVVR. 45TXDWHU. DELLA VALLE di Andorno - arma: 7URQFDWRG¶D]]XUURHG¶DUJHQWRLOSULPRFDULFRGLXQDVWHOODG¶RUR FRQLOWURQFRG¶DOEHURQRGHURVRGLYHUGHSRVWRLQIDVFLDDWWUDYHUVDQWHVXOODWURQFDWXUD 45TXLQTXLHV. DELLA VALLE di Clavesana, da Cuneo, Mondovì e Costigliole di Saluzzo - arma: 3DODWRG¶RURHGL URVVR. 23 46. CHALON d’ ORANGE della Franca Contea - arma: ,QTXDUWDWR QHO H GL URVVR DOOD EDQGD G¶RUR (CHALON) QHO H G¶RUR DO FRUQR GD FDFFLD G¶D]]XUUR OHJDWR GL URVVR LPERFFDWR H RUODWR G¶DUJHQWR (ORANGE)VXOWXWWRFLQTXHSXQWLGLRURHTXLSROOHQWLDTXDWWURG¶D]]XUUR*(1(9(6(. 47. d’ ALESSANDRO di Napoli - arma: '¶RUR DO OHRQH GL URVVR FROOD EDQGD GL QHUR FDULFD GL WUH VWHOOH GHO FDPSRDWWUDYHUVDQWH. 48. MONCADA di Aragona e di Sicilia - arma: ,QTXDUWDWRQHOHIXVDWRLQEDQGDG¶DUJHQWRHG¶D]]XUUR QHO HGLQHURDOOHRQHFRURQDWRG¶RURLOOHRQHGHODIIURQWDWR(BAVIERA)VXOWXWWRSDUWLWRDGLURVVRDVHL ELVDQWLHGXHPH]]LG¶RURRUGLQDWLLQGXHSDOL(MONCADA)QHOG¶RURDTXDWWURSDOLGLURVVR(ARAGONA). 49. FOIX- LAUTREC di Francia - arma: ,QTXDUWDWR QHO H G¶RUR D WUH SDOL GL URVVR (FOIX) QHO H G¶RURDGXHYDFFKHGLURVVRO¶XQDVXOO¶DOWUDFRUQDWHFROODULQDWHHFODULQDWHGLD]]XUUR(BÉARN). 50. VITELLI di Città di Castello - arma: 7URQFDWRQHOG¶D]]XUURDWUHJLJOLG¶RURQHOGLURVVRDOYLWHOOR G¶RURVGUDLDWRVXOODSLDQXUDHUERVDGLYHUGHWHQHQWHXQDSDOPDGHOORVWHVVRSRJJLDQWHVXOODVSDOODVLQLVWUD 51. TUTTAVILLA di Napoli - arma: ,QTXDUWDWRQHOHGLURVVRDWUHIDVFHG¶DUJHQWRQHOHG¶DUJHQWR DWUHIDVFHGLURVVRVXOWXWWRG¶D]]XUURDOEDVWRQHGLURVVRVFRUFLDWRHFXFLWRSRVWRLQEDQGDDFFRPSDJQDWRGD WUHJLJOLG¶RUR 52. NAVARRO di Aragona e Navarra -arma: 'LD]]XUURDGXHOXSLSDVVDQWLG¶RURXQRVXOO¶DOWURFRQODERUGXUD GLURVVRFDULFDGLQRYHFURFHWWHGL6$QGUHDVFRUFLDWHG¶RUR. 53. du GUERRE della Guyenne - arma: '¶DUJHQWRDOORVFDJOLRQHGLQHUR 54. PEPOLI di Bologna - arma: 6FDFFDWRG¶DUJHQWRHGLQHURGLVHWWHILOH 55. STROZZI di Firenze -arma: '¶RURDOODIDVFLDGLURVVRFDULFDGLWUHFUHVFHQWLULYROWLG¶DUJHQWR 56. FERRUCCI di Firenze - arma: %DQGDWRGRSSLRPHUODWRG¶RURHG¶D]]XUUR 57. MALDONATO, MALDONADO (ALDANA de) di Calabria, Sicilia e Galizia - arma: 'LURVVRDFLQTXHJLJOL G¶RURRUGLQDWLLQFURFHGL6DQW¶$QGUHD 57ELV.MALDONATO (arma antica) - arma: '¶RURDGXHOXSLSDVVDQWLGLURVVRXQRVXOO¶DOWUR 58. ALARCON di Napoli e delle Asturie - arma: 'L URVVR DOOD FURFH JLJOLDWD G¶RUR RUODWD GHO FDPSR FROOD ERUGXUDFXFLWDGLURVVRFDULFDGLRWWRFURFHWWHGL6DQW¶$QGUHDVFRUFLDWHG¶RUR 59. ORSINI di Roma - arma: %DQGDWRG¶DUJHQWR H GLURVVR FROFDSRGHO SULPR FDULFRGL XQD URVD GHO VHFRQGR VRVWHQXWRGDXQDWUDQJODFXFLWDG¶RURFDULFDGLXQ¶DQJXLOODRQGHJJLDQWHLQIDVFLDG¶D]]XUUR 60. PAPPACODA di Napoli - arma: 'LQHURDOOHRQHG¶RURFROODFRGDSDVVDQWHVRSUDODWHVWDHWHQXWDWUDLGHQWL 24 61. ALBANESE (MANES) di Calabria e Albania - arma: '¶D]]XUUR DOO¶DOEHUR GL SDOPD GL YHUGH QRGULWR VRSUD XQDWHUUD]]DGHOORVWHVVR. 61ELV. ALBANESE, ALBANES di Napoli e Sicilia - arma: 'LURVVRDOOHYULHUHULWWRG¶DUJHQWRFROODULQDWRG¶RUR 61WHUALBANESE di Sicilia - arma: '¶DUJHQWRDOODIDVFLDG¶D]]XUURFDULFDGLXQVROHGLURVVRUDGLRVRGLRUR 62. PICCOLOMINI d’ ARAGONA - arma: ,QTXDUWDWRQHOHG¶RURDTXDWWURSDOLGLURVVR(ARAGONA)QHO G¶DUJHQWRDOODFURFHG¶D]]XUURFDULFDGLFLQTXHFUHVFHQWLPRQWDQWLG¶RUR(PICCOLOMINI)QHOLQWHU]DWRLQ SDORDIDVFLDWRG¶DUJHQWRHGLURVVR(UNGHERIA)EG¶D]]XUURVHPLQDWRGLJLJOLG¶RUR(ANGIO’ , pur in assenza del lambello di tre o cinque pendenti, di rosso)FG¶DUJHQWRDOODFURFHSRWHQ]LDWDG¶RURDFFDQWRQDWDGDTXDWWUR FURFHWWHGHOORVWHVVRSHULQFKLHVWD(GERUSALEMME – l’ interzato in palo è per ANGIO’ DURAZZO). 63. de’ ROSSI di Milano e Parma - arma: '¶D]]XUURDOOHRQHG¶RUR 64. TORNIELLI di Novara - arma: 'LURVVRDOOR VFXGHWWRLQ DELVVR G¶RURFDULFR GLXQ¶DTXLODFRURQDWD GLQHUR DFFRVWDWRGDGXHVFHWWULULFXUYLG¶RURWHUPLQDQWLLQJLJOLDIIURQWDWLQHOFDSR 65. CASTALDO di Nocera Inferiore e di Milano - arma: ,QTXDUWDWRQHOG¶D]]XUURDWUHJLJOLG¶RURVRUPRQWDWL LQFDSRGDXQDFRURQDJLJOLDWDG¶RURQHOGLURVVRDOODFDWHQDG¶RURSDVVDWDLQWULSORRUORLQFURFHHLQGHFXVVH (NAVARRA)QHOSDUWLWRDIDVFLDWR QHEXORVRG¶DUJHQWRHG¶D]]XUUREWURQFDWR,GLURVVRDOOHRQHG¶RUR QDVFHQWHGDOODWURQFDWXUD,,G¶D]]XUURDEDQGHG¶RURQHOGLURVVRDOODVSDGDG¶DUJHQWRJXDUQLWDG¶RUROD SXQWDLQDOWRSRVWDLQVEDUUDDFFRPSDJQDWDQHOFDSRGDXQDPDQRSRODGLIHUURDOQDWXUDOHRUODWDG¶RURSRVWDLQ IDVFLD 66. di LEYVA di Murcia, Milano, Napoli – arma: 'LYHUGHDOFDVWHOORG¶RURFROODERUGXUDGLURVVRFXFLWDFDULFD GLWUHGLFLVWHOOHG¶RUR 66ELVdi LEYVA, DOLDV– arma: '¶D]]XUURDOFDVWHOORVFDFFDWRG¶DUJHQWRHGLURVVRDSHUWRHILQHVWUDWRGHOFDPSR 67. della ROVERE del Montefeltro - arma: '¶D]]XUUR DO URYHUH IUXWWDWR VUDGLFDWR G¶RUR FRQ L UDPL SDVVDWL LQ GHFXVVH 68. ALVAREZ de TOLEDO di - arma: 6FDFFDWRSDUWLWRGLGXHHWURQFDWRGLTXDWWURG¶D]]XUURHG¶DUJHQWR 25 )RQWL QRWDle principali fonti, purtroppo esclusivamente bibliografiche o reperite sul web, sono state: - A. 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