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20 /Docenti per la buona scuola 72 /La storia di Samuel(l)e 74 /NYC Memorial 11/9
www.cittanuova.it
Poste Italiane S.p.A. – Sped. in abb. pt. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/31/2012; “TAXE PERÇUE” “TASSA RISCOSSA”
5,00 euro contiene I.P.
Anno LX-n.9 /Settembre 2016
DOPO IL TERREMOTO
NEL REATINO
E NELL’ASCOLANO
SI COMINCIA GIÀ
A RICOSTRUIRE
Suonerà di nuovo
la campana
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il punto
di Michele Zanzucchi
Varietà è
ricchezza
In questo numero di Città Nuova, che
ormai ha raggiunto una sua stabilità
dopo il passaggio da quindicinale a
mensile, alcuni articoli potrebbero
essere classificati come “delicati”,
nel senso che i lettori potrebbero
ricavarne opinioni profondamente
diverse: penso agli articoli sulla
spinosa questione dei docenti delle
scuole pubbliche italiane (pp.20-23),
o ancora alla diatriba colombiana (pp.
32-34), per non parlare della questione
islamica (pp. 102-104). Ma penso
soprattutto alla testimonianza di
“Samuele” che è diventato “Samuelle”
(pp. 72-75), un giovane di Riva del
Garda scomparso suicida un anno fa,
passato attraverso un cambio di sesso
dopo una vita di folgoranti successi e
indicibili dolori.
Quale la trama che soggiace a
questi articoli così disparati, ma che
sembrano avere l’unica “vocazione” di
dividere chi li legge in due campi ben
contrapposti? Semplicemente il Dna
di Città Nuova: l’uno e il molteplice,
il dialogo come sostanza e non solo
come metodo, l’amore per l’altro come
via all’unità. In parole semplici, la
corrente di pensiero e di vita che sta
alla base della nostra pubblicazione,
e che ne indica la sua stessa ragion
d’essere, è la fraternità universale,
l’unità del genere umano. Fraternità
e unità che non sono ideologia
totalizzante, assicurazione per il
futuro o istigazione a uniformare le
opinioni. Sono l’orizzonte verso cui
camminiamo.
La varietà, è vero, può far paura. Può
spingere a rifugiarsi nella propria
identità personale o di gruppo per
anestetizzare il timore di chi è “altro”
da quello che io sono. È evidente,
tale paura fa oggi proseliti per via
della questione islamica e migratoria;
ma lo fa anche per via della galassia
delle teorie del gender e dell’identità
sessuale delle persone; o per via
del futuro educativo dei nostri figli.
Ma la varietà ha anche una valenza
risolutamente positiva, perché è segno
della libertà della persona umana;
è espressione della ricchezza delle
relazioni umane; è quel qualcosa
che ci fa dire: possiamo accettarci,
rispettarci, addirittura amarci. Senza
varietà tutto ciò non sarebbe possibile:
l’amore ha in effetti bisogno della
varietà per esprimersi, per manifestare
la sua dirompente carica creativa che
cambia l’esistente in meglio.
Avrete notato che abbiamo usato la
parola “varietà” e non “diversità”,
perché il primo termine non pretende
che vi sia una “normalità” con cui
confrontarsi, ma semplicemente che
siamo in una pluralità complessa di
situazioni, di identità. Un esempio
per spiegarci: nell’ecumenismo
non si parla più di “diverse Chiese”
(supponendo una differenza dalla
Chiesa cattolica) ma di “varie
Chiese”. Questo non è relativismo,
ma la convinzione pura e semplice
che solo partendo dalla varietà ci si
può riconoscere fratelli, può nascere
l’unità.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
3
Paolo Magrone/ANSA
Chris Melzer/Ap
38 /INTERVISTA Daniele Garozzo,
oro nel fioretto alle recenti Olimpiadi.
82 /REPORTAGE 11 settembre. Visita al Memorial
Museum, tra testimonianze e reperti.
70 /MADRE TERESA Una vita tra i poveri,
che continua nell’opera da lei fondata.
Saurabh Das/AP
Vincent Thian/AP
20 /SCUOLA Dibattito sulle polemiche per l’assegnazione
delle cattedre e i bocciati al concorsone. CN EXTRA
20 /Docenti per la buona scuola 72 /La storia di Samuel(l)e 74 /NYC Memorial 11/9
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5,00 euro contiene I.P.
Anno LX-n.9 /Settembre 2016
e
In copertina
10 /Il dolore e la voglia di rinascita dopo il sisma.
CN EXTRA
Foto/Andrew Medichini/Ap
DOPO IL TERREMOTO
NEL REATINO
E NELL’ASCOLANO
SI COMINCIA GIÀ
A RICOSTRUIRE
Suonerà di nuovo
la campana
Opinioni
7 /PING PONG di Vittorio Sedini. 31 /OLTRE IL MERCATO di Luigino Bruni.
46 /PIANETA FAMIGLIA Barbara e Paolo Rovea. 67 /SE POSSO di Piero
Coda. 79 /PENSARE L’UNITÀ di Jesús Morán. 101 /GIBI E DOPPIAW
di Walter Kostner.
sommario
Il punto
3 /Varietà
è ricchezza.
Pagine
internazionali
Cantiere Italia
32 /La pace con le Farc.
47 /Cultura delle
relazioni.
di Alberto Barlocci
di Rosalba Poli e Andrea Goller
35 /AMU Notizie. Come
i primi cristiani.
48 /Dopo l’accoglienza.
di Gianni Bianco
di Stefano Comazzi
/Un dicastero
per gli ultimi.
36 /Flash dal mondo.
52 /L’impegno riparte
dalle periferie.
di Michele Zanzucchi
Editoriali
8 /Terremoto e media.
di Giulio Albanese
9 /Il sale della terra.
di Luigi Butori, Javier Rubio,
Armand Djoualeu, Ambra
Maniace
di Fabio Ciardi
Famiglia e società
Le regioni
42 /Poveri di Dio,
poveri dell’uomo.
15 /Trasporto locale,
serve una svolta CN EXTRA
di Ezio Aceti
a cura di Sara Fornaro
Politica lavoro
economia
44 /Domande & risposte.
di Marina Gui, Marco D’Ercole,
Federico De Rosa, Maria e
Raimondo Scotto, don Paolo Gentili
di Maria Chiara De Lorenzo
59 /Non sono
un pesce rosso.
di Aurelio Molè
Spiritualità
61 /Parola di vita –
Ottobre.
di Fabio Ciardi
di Giuseppe Arcuri e Raffaele
Natalucci
62 /Odissea
(ed epopea) dei
braccialetti arancioni.
Storie
di Mara Randazzo
54 /Vedrai come sarai
contenta!
68 /Verso l’unità dei
popoli.
di Michele Genisio
di Chiara Lubich
53 /Storie brevi.
Idee e cultura
di Oreste Paliotti, Marco Fatuzzo,
Giosito Ciampa
72 /Ciao, Samuelle.
di Giulio Meazzini
SEGNALIAMO SU
24 /Da noi l’hot spot
funziona.
a cura di Aurora Nicosia
28 /Yemen. Le nostre
responsabilità.
di Maurizio Certini
POTERI E DEMOCRAZIA
Caso Apple e l’Europa
dei popoli.
BRASILE
La sconfitta di Dilma
Rousseff.
TENDENZE
Dal Giappone il giornale
che fiorisce.
di Gennaro Iorio
di Alberto Barlocci
di Giulia Martinelli
88 /CINEMA Lo statP dell’arte della commedia BMMhitaliana.
Mensile di opinione del Movimento
dei focolari fondato nel 1956
da Chiara Lubich con la collaborazione
di Pasquale Foresi.
Direttore responsabile:
Michele Zanzucchi
Caporedattore: Aurelio Molè
Redazione: Carlo Cefaloni, Sara
Fornaro, Maddalena Maltese, Giulio
Meazzini, Aurora Nicosia
Progetto Grafico: Humus Design
Impaginazione: Umberto Paciarelli
Segreteria di redazione: Luigia Coletta
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Editore: Città Nuova della P.A.M.O.M.
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76 /Obama e il senso
della storia.
a cura di Carlo Cefaloni
78 /Noi, gli animali
e Dio.
di Giovanni Casoli
80 /Il piacere
di leggere.
92 /Musica e teatro.
/Educazione sanitaria.
di Elena D’Angelo, Mario Dal
Bello e Giuseppe Distefano
di Spartaco Mencaroni
93 /Musica leggera.
/Diario di una
neomamma.
di Franz Coriasco
di Luigia Coletta
/Appuntamenti, cd,
novità.
100 /Addio plastica.
Fantasilandia
di Lorenzo Russo
Dialogo
con i lettori
a cura di Gianni Abba
94 /La baia dei giganti.
(Tratto da Big).
81 /In libreria.
di Vittorio Sedini
a cura di Oreste Paliotti
103 /La nostra città.
Pagine verdi
di Marta Chierico
Arte e spettacolo
90 /Televisione.
di Eleonora Fornasari
96 /Il riscatto di Rio.
di Mariano Conte
104 /Guardiamoci
attorno.
98 /Buon appetito con… Penultima fermata
91 /Fumetti.
di Cristina Orlandi
di Davide Occhicone
99 /Alimentazione.
106 /Presidente
e padre femminista.
di Giuseppe Chella
di Elena Granata
Moda. di Beatrice Tetegan
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PING PONG
di VITTORIO SEDINI
editoriali
Comunicazione
Terremoto
e media
di Gianni Bianco
Chiesa
Un dicastero
per gli ultimi
di Giulio Albanese
8
cittànuova n.9 | Settembre 2016
«Luigi ha confermato che sta bene».
Chi quella terribile scossa delle 3.36 ha
avuto la fortuna di non sentirla perché
lontano dall’epicentro, al mattino
di quel 24 agosto è stato avvertito
anche così dell’avvenuto terremoto in
centro Italia. Safety check li chiama
Facebook, messaggi per permettere
a chi si trova in una zona colpita di
far sapere agli amici di non essere in
pericolo. Premessa social a un sisma
che, dal punto di vista comunicativo,
ha trovato il proprio centro proprio
nella Rete. Come mai prima, la
materia grezza – la notizia – tutti o
quasi hanno potuto leggerla in tempo
reale sul proprio smartphone. E così
i giornali hanno preferito proporre
storie personali, riflessioni, punti di
vista e racconti empatici centrati sugli
aspetti umani, piuttosto che solo la
scarna cronaca dei fatti. Necessità
diventata virtù, visto che proprio dai
quotidiani sono arrivati alcuni dei
resoconti migliori su quanto accaduto
dalle parti di Amatrice. Allo stesso
tempo le tv, con edizioni straordinarie
e largo uso di mezzi, hanno provato
a tenere il passo del frenetico flusso
informativo scandito da Internet.
E, a parte qualche caduta di stile,
in generale tg e trasmissioni – con
sensibili miglioramenti rispetto
ai precedenti – sono riuscite a dar
conto della tragedia senza calpestare
il dolore di chi ha visto crollare la
casa e morire i propri cari. Inoltre
la grande gara di solidarietà che,
partendo dal basso, ha trovato proprio
sul web la sua cassa di risonanza,
ha spinto pure la tv ad accendere i
riflettori non più solo nei luoghi del
dramma, ma anche in quelli della
speranza, dando voce – molto più
che in passato – alle vittime che tutto
hanno perso, ma pure alle migliaia di
volontari che, generosamente, tutto
hanno lasciato per dare una mano.
In un inedito controllo reciproco
è stata poi proprio la tv a porre un
argine all’aspetto meno edificante
del mondo social: la diffusione di
bufale senza verifiche. Il fantasioso
complotto sulla magnitudo del sisma o
le polemiche stucchevoli su profughi
e sfollati sono state stoppate anche
dalla battaglia guidata dal direttore de
La7 Mentana, contro quelli che con
un neologismo ha definito “webeti”.
Poco per sancire la nascita, sulle
macerie del cuore d’Italia, di un
sistema informativo maturo, bilanciato
e pienamente rispettoso della persona.
Ma abbastanza per dire che, almeno su
questo, un piccolo passo avanti è stato
fatto.
Papa Francesco non cessa di
sorprendere istituendo un super
dicastero in favore degli ultimi.
La titolazione è altisonante – per
il “Servizio dello sviluppo umano
integrale” – ma la missione è davvero
rivoluzionaria, dunque senza
precedenti nella storia della curia
romana. È quanto si legge nel “motu
proprio” Humanam progressionem,
in cui il vescovo di Roma spiega con
chiarezza che nel nuovo dicastero
confluiranno, dal primo gennaio 2017,
4 pontifici consigli: Giustizia e pace,
Cor unum (coordina e organizza le
azioni umanitarie e di aiuto della
Santa Sede in caso di catastrofi o
di crisi nonché l’attività caritativa
della Chiesa cattolica), Pastorale
migranti e Operatori sanitari. Si
tratta, in sostanza, di un organismo
ecclesiale poliedrico che esprime,
in modo decisamente innovativo, la
sollecitudine della Santa Sede, ispirata
al magistero di papa Francesco,
nei confronti di coloro che vivono
nelle periferie del mondo. Se da una
parte è evidente che l’architettura
su cui si regge il nuovo dicastero è
costituita dai valori della pace e della
giustizia i quali rappresentano il
fondamento delle relazioni umane,
dall’altra emerge a chiare lettere
la concretezza del pensiero di
Bergoglio in riferimento ai temi della
solidarietà, della salute, del rispetto
Sono stato ancora una volta in Terra
Santa. Questo angolo di mondo,
così piccolo (più piccolo della
Sicilia) eppure così rilevante per le
sue implicanze, non sembra più al
centro della geopolitica mondiale.
L’attenzione si è spostata sui Paesi
limitrofi. Il conflitto arabo-israeliano,
considerato “madre di tutte le guerre”,
è in letargo, dimenticato. Ha però
generato, cattiva madre, figli e figlie
che le somigliano: battaglie, attentati,
genocidi, esodi di massa infiammano
il Medio Oriente (o il centro del
mondo, come preferiscono chiamalo
gli arabi, che rifiutano la collocazione
che assegnano loro gli occidentali: i
“punti di vista” cambiano!). Al primo
impatto, in Israele non si avverte
il conflitto. Il muro di 700 km, che
taglia fuori i territori palestinesi, ha
portato una drastica diminuzione
degli attentati, l’intifada è un ricordo
lontano e Gerusalemme è diventata
una delle città più sicure al mondo.
Tuttavia basta poco per cogliere i
segnali di una tensione latente, che
può esplodere da un momento all’altro:
per proteggere una famiglia ebraica
insediatasi in un quartiere arabo si
innalzano due torrette presiedute dai
militari; l’attraversamento del muro
ai checkpoint è fonte di umiliazioni e di
malessere; il confinamento in territori
angusti, avvertiti come prigioni, genera
un odio sordo; l’esproprio di case e
terre per nuovi insediamenti ebraici
alimenta la fiamma della rivolta.
Possiamo continuare a chiamarla
Terra Santa? L’ho chiesto ai cristiani
incontrati a Betlemme (erano il 75%,
ne è rimasto il 28%, nonostante che il
sindaco, per volere di Arafat, sia sempre
un cristiano), a Nazareth (sono solo 19
mila su un totale di 74 mila abitanti).
Questa terra è santa per ebrei, cristiani
e musulmani. Per i cristiani, in modo
particolare, è santa soprattutto perché
l’ha resa santa Gesù. Ma oggi? «Siete
voi – ho detto loro con convinzione
– a rendere santa questa terra con la
vostra presenza, mantenendo vivo
in mezzo a voi Gesù risorto. Sempre
meno numerosi, piccolo gruppo, siete
“sale della terra”; ne basta poco per
dare sapore, per fare di questa terra
martoriata una Terra Santa». Tornato a
Roma mi sono domandato se questa mia
città è ancora la “città santa”, e ho capito
ancora meglio che ovunque i cristiani
sono chiamati ad essere sale della terra,
a far diventare santa la loro terra.
Fabio Frustaci/AP
cristiano, nei confronti della persona
umana. Un dato che certamente non
andrà trascurato, in fase di studio,
riguarda il futuro impegno delle
Chiese locali nell’adeguare la loro
pastorale al nuovo indirizzo impresso
da papa Francesco. Questo in sostanza
significa evitare, in futuro, che nelle
attività di solidarietà a favore dei
poveri vi sia un approccio parziale,
parcellizzando gli interventi secondo
dinamiche che non tengono conto
della complessità dello scenario
mondiale. Un palcoscenico segnato
dall’esclusione sociale che acuisce a
dismisura le sofferenze di coloro che
vivono nei bassifondi della storia: gli
ultimi.
In Terra Santa
Il sale
della terra
di Fabio Ciardi
pavel wolberg/ANSA
del creato e della mobilità umana.
Da rilevare, in particolare, che il
pontefice per il momento, ha stabilito
che si occuperà personalmente,
nell’ambito del nuovo dicastero, del
dipartimento dedicato ai profughi.
Una scelta legata all’emergenza che,
forse più di altre, nel contesto della
globalizzazione, mette in evidenza
il bisogno di cooperazione tra le
Chiese e solidarietà tra le nazioni. La
pubblicazione del “motu proprio” non
solo è avvenuta nell’Anno giubilare
della misericordia, ma a pochi giorni
dalla canonizzazione di Madre Teresa
di Calcutta, a riprova che la Buona
notizia, per essere testimoniata
efficacemente, non può prescindere da
un approccio olistico, autenticamente
cittànuova n.9 | Settembre 2016
9
l’inchiesta
TERREMOTO
per
ricostruire
il cuore
d’italia
Il 24 agosto un sisma di magnitudo 6.0
ha distrutto 4 comuni e provocato
la morte di quasi 300 persone.
Il dolore e la voglia di rinascita
Nella cartina, l’epicentro del sisma del 24 agosto.
/Map Data Google
Quello che resta del sisma del 24
agosto che ha distrutto Accumoli,
Amatrice, Arquata e Pescara del
Tronto, ha gli occhi afflitti di Gabriele, 8 anni. Sotto le macerie ha
perso mamma Letizia, papà Gianluca, la sorellina Martina. È tornato a Roma con i nonni e l’intera
comunità si è stretta intorno a lui,
subissandolo di amore per tentare
di supplire a una perdita troppo
dura da accettare, a qualsiasi età.
L’Italia del dopo terremoto ha il
battito del cuore rallentato di chi è
stato schiacciato da muri e armadi,
10
cittànuova n.9 | Settembre 2016
Crocchioni/ANSA
di Sara Fornaro e Aurelio Molè
Un bambino di pochi mesi in braccio a una poliziotta
di fronte a una casa crollata a Pescara del Tronto.
con detriti sul viso e polvere nella
bocca, il boato che rimbomba nelle
orecchie e la paura nell’anima, e il
ritmo accelerato dei soccorritori.
Il sisma di magnitudo 6.0, capace
di uccidere quasi 300 persone e
sventrare interi edifici non antisismici, non è riuscito a fermare i
volontari che per ore, con caschi
e tute pesanti, hanno scavato sperando di ascoltare un gemito, di
cogliere un segno di vita, come
Umberto, grafico di Città Nuova
e tecnico del Corpo nazionale del
soccorso alpino e speleologico. Ad
Amatrice ha eastratto 10 persone
dalle macerie: solo una respirava
ancora.
«Mi raccomando, trattalo bene»,
ha detto un carabiniere a un
operatore della Croce rossa,
consegnandogli il cadavere di un
bambino. Una delicatezza per la
dignità della vita, anche quando
è finita. «Per favore, mettili
insieme», ha sussurrato un vigile
del fuoco a chi ricomponeva
nelle bare una mamma e il suo
figlioletto. Un’attenzione che
rispetta i legami, gli affetti più cari,
nella speranza della resurrezione.
Il Paese che non dimentica ha il
corpo leggiadro e martoriato di
Giulia, che ha dato la vita per la
sorellina Giorgia, coprendola durante i crolli. «Scusa se siamo arrivati tardi… Quando tornerò a casa
a L’Aquila, saprò che un angelo mi
guarda dal cielo», le ha scritto il vigile del fuoco che l’ha estratta dalle macerie. La comunità che ama
con i muscoli ha le braccia forti di
Luis, il badante colombiano che
ha aiutato Andrea, Gabriella, Giuliana, che ha salvato suor Mariana
cittànuova n.9 | Settembre 2016
11
TERREMOTO
e aiutato tanti altri ad uscire dalla casa delle Ancelle del Signore;
e quelle di don Savino, che con i
confratelli ha portato in salvo i 26
anziani della casa di accoglienza di
Amatrice. E ancora, ha la stretta di
mano gentile del presidente della Repubblica Sergio Mattarella,
le dita rugose degli anziani che lo
hanno implorato di non dimenticare la loro terra ferita, la carezza
dolce e l’affetto concreto di papa
Francesco. È una umanità con
tante mani: che porgono il pane e
preparano migliaia di piatti di pasta, che distribuiscono gli aiuti e
giocano a biliardino sotto le tende,
“
Prevenzione:
scelta obbligata
Ufficio stampa/ANSA
l’inchiesta
Umberto Paciarelli (Soccorso Alpino), grafico di Città Nuova, durante i soccorsi.
«Che facciamo ora per la ricostruzione dopo il terremoto?», ci chiediamo.
Un proverbio cinese dice: «Anche un viaggio di mille chilometri inizia con un
primo passo». L’importante è cominciare e continuare. L’impresa appare ardua
perché su 32 milioni di edifici in Italia, 5 milioni sono ad alto rischio sismico. E
prevenire, anche in questo campo, è meglio che curare. Occorrerebbero 36
miliardi di euro per mettere in sicurezza il territorio, e uno studio Usa indica
che su ogni euro investito in prevenzione se ne risparmiano 4 di costi per
la ricostruzione. «Uno strumento che già esiste e va potenziato – secondo il
presidente di Eucentre Vincenzo Spaziante – sono le agevolazioni fiscali per
l’adeguamento sismico delle case private». Ogni anno la legge di stabilità
concede la detraibilità delle tasse fino al 65% delle spese di adeguamento. I
limiti sono un regolamento complicato, rimborsi in 10 anni e validità solo per la
prima casa su zone sismiche 1 e 2. «Si tratta di elevare la detraibilità portandola
al 100%, di rendere strutturale l’agevolazione fiscale e non rinnovarla ogni
anno e di alzare la possibilità di spesa che ora è solo di 90 mila euro. Non
risolve il problema, ma sarebbe un’efficace e immediata soluzione».
La prevenzione sismica in Italia si realizza attraverso l’utilizzo di due strumenti:
la classificazione sismica e la normativa antisismica che riguarda i criteri per
costruire una struttura in modo da ridurre la sua tendenza a subire un danno,
in seguito a un terremoto. Dal 1° luglio 2009 la normativa sulla costruzione di
nuovi edifici è efficace, il problema è l’esistente e va valutato caso per caso.
Per l’ingegnere Fernando Lugli, che si occupa di progetti di ricostruzione
delle strutture urbane, «la ricostruzione si esegue con la mappatura e la
classificazione della vulnerabilità dei fabbricati lesionati per consentire di
individuare le situazioni più critiche e indirizzare al meglio l’impiego delle
risorse a disposizione per la prevenzione».
Ma il nodo centrale resta l’obiettivo della sicurezza collettiva. «Come si
potrebbe definire antisismico un edificio anche ben progettato se quello
accanto minacciasse di rovesciarvisi sopra? Il terremoto si contrasta con
un’azione sociale e i piani per la sicurezza sismica hanno senso se coinvolgono
l’intera popolazione, se le normative inducono negli abitanti quello spirito di
solidarietà e dedizione al bene comune».
12
cittànuova n.9 | Settembre 2016
che tagliano barbe e acconciano
capelli, che strappano un sorriso
a chi ha dimenticato come si fa.
Ma sono anche mani che esaminano carte e fascicoli, muri e tetti,
per individuare le responsabilità
umane, per capire perché crolla
una scuola ristrutturata, perché un
ospedale diventa inaccessibile.
Il Paese che non abbandona la sua
gente ha il naso umido dei cani,
diligenti e generosi, che hanno
cercato i sopravvissuti o che, amici fedeli, hanno vegliato i corpi
dei loro padroni. Ha le labbra di
quanti hanno lanciato il grido che
li ha fatti salvare, di chi pronuncia
parole di speranza, di coloro che
hanno dato l’ultimo, indimenticabile bacio a chi non ce l’ha fatta,
come Elisa, 14 anni, bella e sorridente, così contenta di stare in vacanza con il cuginetto e le nonne,
con sogni grandi nella mente e nel
cuore. Sogni che i suoi genitori, i
suoi amici, continueranno a far volare in alto, come i palloncini bianchi lanciati in aria dopo l’ultimo
saluto.
L’Italia di questa ennesima ricostruzione ha il pianto inarrestabile di chi
ha perso tutto, quello commosso di
Agnese Renzi ai funerali, quello liberatorio di chi è ancora vivo, come
Lorenzo, di Ascoli Piceno, liberato
dal coraggio del cugino Ottavio e
degli amici Lorenzo e Leonardo da
una trappola di travi insieme a nonno Emidio, nella casa di Villa San
Lorenzo a Flaviano, ad Amatrice.
Umberto Paciarelli
La manutenzione necessaria
ha bisogno di una mappatura della
vulnerabilità dei fabbricati in Italia,
dove si è costruito oltre il fabbisogno.
Le macerie lungo il corso di Amatrice.
La nazione che porge la mano a
chi non ha più nulla ha tante facce, di tutti i colori: quelle scure
dei richiedenti asilo che hanno
Sicurezza sismica in Italia
24 milioni
63,8%
di persone vivono in zone
ad elevato rischio sismico
gli edifici costruiti prima del 1971
5 milioni
36 miliardi
sono gli edifici in aree
soggette a possibili terremoti
di euro necessari per mettere
in sicurezza gli edifici
cittànuova n.9 | Settembre 2016
13
l’inchiesta
TERREMOTO
scavato tra le macerie, quelle dai
tratti asiatici dei cinesi arrivati da
Firenze con furgoni sovraccarichi
di aiuti, quelle abbronzate dei tanti cittadini in vacanza che hanno
raccolto pacchi su pacchi per gli
sfollati. Una solidarietà concreta,
che è andata oltre le richieste, per
consolare chi assisteva impotente a tanto dolore. Una vicinanza
che come un’onda ha coinvolto lo
sport, l’arte, lo spettacolo, il resto
del mondo. «Ti amo, Amatrice»,
hanno scritto i Kennedy gustando,
come tanti, un piatto di “amatriciana solidale”.
Gli italiani tutti adesso devono occuparsi della ricostruzione, affinché non diventi infinita, come in
Irpinia, e non disgreghi la comunità, come a L’Aquila, ma renda le
case sicure, come a Norcia, dove la
terra ha tremato, ma non ci sono
state vittime. Una ricostruzione
che deve interessare le case distrutte, ma anche quelle – milioni!
– che possono crollare alla prossima scossa. Sulla ricostruzione il
premier Matteo Renzi si gioca la
credibilità. Una scommessa che
nel 2009 a L’Aquila è stata persa.
Ma anche noi cittadini abbiamo
gravi responsabilità, quando edifichiamo cercando scorciatoie e non
pensiamo alla salute nostra e di chi
ci sta accanto, dimenticando le nostre responsabilità sociali. Tocca a
ciascuno vegliare e puntare i piedi
se qualcosa non va, come è avvenuto per i funerali, quando la gente è riuscita a salutare per l’ultima
volta i propri cari ad Amatrice, lì
dove erano vissuti. Nella loro amara, ma bellissima e sempre cara
terra natia.
È il momento di sperimentare
la resilienza: la capacità, cioè,
di reagire in maniera positiva
alle tragedie, per migliorarsi,
affinando empatia e sensibilità,
senza perdere la propria identità,
ma arricchendola e aprendosi agli
altri.
Contenuti aggiuntivi su cittanuova.it
Il dopo terremoto.
EXTRA
www.cittanuova.it
Crescere insieme, crescere bene.
SAMUEL CASEY CARTER
QUANDO LA SCUOLA EDUCA
12 progetti formativi di successo
Cosa fa di una scuola un luogo formativo
di successo?
Attraverso la presentazione di 12 scuole
eccellenti, selezionate tra molteplici altre degli
Stati Uniti d’America, il testo indica nella
comunità scolastica, - vista nella sua profonda
dinamica relazionale tra docenti, studenti,
personale amministrativo e dirigente - la vera
risorsa formativa, capace di mettere
intenzionalmente la persona e la formazione
del carattere degli studenti al centro del proprio
progetto educativo.
Edizione italiana a cura di Michele De Beni
pp. 200, € 15,00ca
CONTATTACI T 067802676 - [email protected]
le regioni
MEZZI PUBBLICI
a cura di Sara Fornaro
trasporto locale,
serve una svolta
Lo scontro tra due treni in provincia di Bari, che a luglio ha provocato
23 morti e decine di feriti, alcuni dei quali ancora lottano per ritornare
a una vita normale, ha riportato l’attenzione sui mezzi di trasporto
locale. Un sistema collaudato e funzionale in qualche provincia, ma
ancora molto precario in altre. Scopriamo le condizioni di Roma,
Genova, Cagliari e Napoli.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
15
le regioni
MEZZI PUBBLICI
corsie preferenziali e vanno più
veloci delle auto, allora le persone
useranno i mezzi pubblici.
lazio
L’Atac e l’odissea
dei romani
Intervista a Enrico Stefano,
presidente della commissione
Trasporti
di Claudia Di Lorenzi
Per i romani è un’odissea
quotidiana: spostarsi in città
utilizzando il trasporto pubblico
è un’impresa. Sotto accusa un
sistema di infrastrutture carente
e un trasporto su gomma mal
distribuito e azzoppato da autobus
lumaca, rotti e bloccati dal
traffico. Sta di fatto che i romani
per lo più usano mezzi privati
e nell’ora di punta il trasporto
pubblico assorbe solo il 28% degli
spostamenti. Ma come portare
Roma alla pari delle altre capitali
europee? Ne abbiamo parlato
con Enrico Stefano, per i 5stelle
neopresidente della commissione
Trasporti capitolina.
Come pensate di aumentare il
ricorso al trasporto pubblico?
Da un lato si rende più efficiente
il trasporto pubblico, dall’altro
si opera per ridurre il ricorso
all’auto privata. I problemi sono
in buona parte dettati dal traffico,
ma se gli autobus si spostano su
16
cittànuova n.9 | Settembre 2016
La rete del trasporto pubblico
di superficie su gomma è
mal distribuita rispetto alle
esigenze dei cittadini. Come
razionalizzarla?
Serve uno studio sui percorsi e
rimodulare le linee, integrarle
dove sono più utilizzate e ridurle
dove i mezzi viaggiano spesso
vuoti: pensiamo a servizi a
chiamata tramite taxi, che costano
meno che far passare un autobus
per sole 5 persone. Questo non
significa che si riduce il servizio
nelle aree periferiche, ma che lo si
adatta a quelle zone.
La metro sconta un grande
ritardo infrastrutturale: serve
278 milioni di passeggeri l’anno
con soli 53 km di estensione
e sono frequenti i disservizi.
Come pensate di intervenire?
A Roma è stato accumulato un
debito di manutenzione elevato,
ma siamo riusciti a trovare i fondi
destinati alla metro A che l’ex
commissario Tronca aveva tolto.
Si tratta solo di fare investimenti
importanti. Diverso il discorso per
la ferrovia Roma-Lido che è una
struttura di proprietà regionale
e per cui i fondi devono arrivare
anche da lì. Serve un’opera
importante di ammodernamento
sia della rete che dei treni.
liguria
A Genova il bus
lo spingono gli utenti
I mezzi obsoleti provocano
guasti quotidiani
di Silvano Gianti
Sestri Ponente, ora di punta di
una mattinata lavorativa, e solita
coda che paralizza il traffico. Con
lo scooter cerco spazi tra un po’
di marciapiede e le auto. Dopo
una lieve curva, l’ennesimo bus di
Amt guasto: falliti tutti i tentativi
di rimetterlo in moto, 4 uomini
spingono il mezzo fino al capolinea.
Sissignori, questo è il biglietto
da visita della municipalizzata
dei trasporti di Genova. Ogni
giorno sono circa 700 gli autobus
che escono dalle rimesse per
trasportare cittadini e turisti, ma
non è detto che tutti ci riescano. Lo
stato di salute dei mezzi segnala
una media di circa 5 mila guasti
all’anno – queste le stime dei
sindacati di settore –. Non passa
giorno senza qualche intoppo, dai
più banali a quelli più distruttivi,
e tra questi spesso gli incendi. La
causa di tutto ciò, che poi si riversa
su un disservizio non indifferente
per gli utenti, è l’anzianità dei
mezzi. Genova ha i bus tra i più
vecchi d’Europa. Nel 2013, a seguito
dello sciopero del personale Amt
che bloccò la città per diversi
giorni, la Regione Liguria siglò un
accordo per l’acquisto di 400 nuovi
bus, di cui 200 destinati all’azienda
genovese. A metà del mese di agosto
sono entrati in servizio i primi 15
nuovi mezzi. Entro la fine dell’anno
è previsto l’arrivo di altri 32 veicoli
che consentiranno un ulteriore,
seppur parziale, rinnovo del parco
mezzi Amt.
sardegna
Stanziati i fondi
per le infrastrutture
Serviranno per rimediare
alle carenze del trasporto
pubblico
di Roberto Comparetti
Un’isola senza autostrade
(solo una superstrada, cantiere
perenne da oltre 20 anni), con
una dorsale ferroviaria per la
maggior parte a binario unico
(costruita nella seconda metà
dell’800) e una mobilità legata
essenzialmente al trasporto
su gomma. È la fotografia dei
trasporti in Sardegna. Nelle
scorse settimane è stata siglata
un’intesa con il governo Renzi,
grazie alla quale 2,9 miliardi di
euro arriveranno per colmare i
gap infrastrutturali che rendono
ancora penalizzante l’insularità,
trasporti compresi, per i quali ci
sono 313 milioni e 600 mila euro.
Accanto ai trasporti interni, quelli
da e verso la Penisola vedono il
sistema aereo contrassegnato dal
regime di continuità territoriale
assicurato ai nati e residenti
in Sardegna, e i vettori low
cost che stanno lasciando la
Sardegna dopo che l’Unione
europea ha ravvisato aiuti di
Stato nel sostegno della Regione
per assicurare voli nazionali e
internazionali. Un capitolo a parte
merita il trasporto marittimo
da sempre croce e delizia dei
sardi. È stata privatizzata la
compagnia pubblica Tirrenia,
finita sotto il controllo di un
armatore privato che già operava
sulle rotte da e per la Sardegna.
In molti però lamentano il
costo eccessivo dei biglietti nel
periodo estivo, quando tanti
sardi rientrano sull’isola per le
ferie. Le zone interne vivono poi
in una condizione particolare
dato che, dopo la fine delle
scuole, si riducono i collegamenti
assicurati dall’azienda regionale
trasporti e l’uso dell’auto
privata è obbligatorio, per
chi la possiede. Gli operatori
turistici spesso lamentano
l’impossibilità per i vacanzieri
di visitare le zone interne con il
trasporto pubblico. I residenti
nelle isole minori, Carloforte e
La Maddalena, hanno, invece,
visto la privatizzazione della
compagnia pubblica regionale e
l’acquisizione delle rotte da parte
di un armatore privato. Anche qui
i non residenti lamentano rincari
nei prezzi dei biglietti. Ci sono
però anche aziende di trasporto
che vedono riconosciuti gli sforzi
per migliorare il servizio: è il caso
della Ctm, che assicura i trasporti
urbani a Cagliari e nell’hinterland.
I manager e la Concessionaria
sono stati premiati per il lavoro
fatto e i servizi assicurati. Un
settore, quello dei trasporti
in Sardegna, che mostra più
ombre che luci, sintomo di una
infrastrutturazione che resta
carente.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
17
le regioni
MEZZI PUBBLICI
campania
Militari contro
i vandali a Napoli
Troppi disagi per i pendolari,
per disservizi e guasti
di Loreta Somma
C’era una volta la Circumvesuviana,
la società ferroviaria che univa
Napoli alle diverse aree della
provincia: la fascia costiera fino
a Sorrento; la zona vesuviana, al
confine con la provincia di Avellino,
e altri comuni dell’interno verso
la provincia di Salerno. Le sue
caratteristiche erano la puntualità
2016
e la presenza dei controllori,
che scovavano i malcapitati
senza biglietto. Negli ultimi
30 anni ha subìto un declino
inarrestabile con la chiusura
di stazioni minori; i ritardi
cronici, la scarsa manutenzione
e l’insufficiente controllo su
persone e cose. Passata sotto la
gestione dell’Ente Autonomo
Volturno, che comprende anche
altre linee quali Metro Campania
Nordest e Sepsa (Circumflegrea e
Cumana), in tempi recenti, alcune
problematiche sono state superate.
Ma, soprattutto d’estate, scioperi,
guasti, ritardi si succedono senza
fine. Se intorno al Vesuvio non
si viaggia facilmente, nel resto
della provincia e nel capoluogo la
situazione non è molto diversa.
Quest’estate, contro il perdurare
del vandalismo, è stato richiesto
l’intervento dell’esercito per
presidiare le stazioni della CumanaCircumflegrea, che collega Napoli
con Pozzuoli e le zone limitrofe. La
città e la provincia sono servite da
bus che combattono con un traffico
a volte insostenibile; metropolitane
abbastanza funzionanti e funicolari
in perenne manutenzione. Il
problema principale è la mancanza
di fondi dovuta alle spese eccessive
e ai mancati introiti per una
smisurata evasione tariffaria.
Unica novità è la possibilità di
viaggiare gratis per gli studenti di
tutta la Campania. Per quest’anno
scolastico ci sono i fondi, speriamo
che possa ripetersi in futuro. Serve
però un deciso cambio di rotta.
Contenuti aggiuntivi su cittanuova.it
Roma e Napoli, la sfida del trasporto
locale
EXTRA
LOPPIANO (FI)
30 settembre - 2 ottobre
Info e prenotazioni alloggi: 055 9051102 - [email protected]
2016
POWERTÀ
Istituto Universitario
University Institute
La povertà delle ricchezze
e la ricchezza delle povertà
Loppiano
30 settembre – 2 ottobre
Convegno centrale 1° ottobre - Auditorium di Loppiano
Un variegato mosaico di
eventi a copertura di
tutto il week end: focus,
forum, laboratori.
Per i pasti, punti ristoro e
snack veloci.
Frontiere, risorse energetiche, idee di civiltà e di
economie contrapposte prefigurano un futuro legato a
doppia mandata allo schema vincitori e vinti.
La settima edizione di LoppianoLab punta tutto su un
cambio di prospettiva radicale: quella delle povertà.
Un punto d’osservazione che si mette al fianco di chi
l’indigenza la vive sulla propria pelle.
Uno spazio di condivisione per scorgere e offrire le
tante forme di ricchezza di cui spesso la povertà è
portatrice per i singoli, il corpo sociale e popoli interi.
Perché tutti possono “dare”.
FOCUS:
LABORATORI:
Innovazione tecnoscientifica, modelli di
sviluppo e povertà
La povertà delle ricchezze
e la ricchezza delle
povertà
I 25 anni del Progetto
Economia di Comunione
SCENARI DI POVERTÀ E RICCHEZZA
- ecologia e povertà
- stare nelle periferie
- rifugiati e migranti
- dialogo interreligioso
- dis-Abilità
- giornalismo e migrazioni
- arte come riscatto
Nella cornice di Loppiano,
laboratorio di
convivenza
interculturale,
LoppianoLab dà voce a
quanti – cittadini attivi,
imprenditori,
comunicatori, giovani,
educatori – cercano di
costruire un’Italia migliore.
L’Italia di domani che è già
l’Italia di oggi.
FORUM:
I pionieri e i giovani
nell’Economia di
Comunione
ARTE:
Povertà di
partecipazione e
democrazia
Performance letterarie
Povertà e scuola
Performance artistiche
Musica
Workshop
Info e prenotazioni alloggi: 055 9051102 – [email protected]
Cesare Abbate/ANSA
politica lavoro economia
20
cittànuova n.9 | Settembre 2016
EDUCAZIONE
a cura di Carlo Cefaloni
docenti per
una scuola
buona
L’anno scolastico è iniziato con nuove
polemiche sull’assegnazione delle cattedre
e sull’alta percentuale di bocciati nei concorsi
per insegnanti
La scuola è la chiave di volta per
abbattere le diseguaglianze ed
esercitare la democrazia, come
sapevano bene coloro che hanno
guidato, nel dopoguerra, il lungo
passaggio da un’istituzione posta
a servizio del totalitarismo a
una più egualitaria. La scuola
è un’opera collettiva (studenti,
genitori, amministrativi, ecc.)
che raggiunge comunque ottimi
risultati anche con carenza di
mezzi a condizione di avere
dei veri educatori. Un pessimo
insegnante può marcare, invece, la
vita di qualsiasi studente.
L’ennesima riforma, proposta
dal governo Renzi, con il nome
di “Buona scuola”, illustrata nel
sito labuonascuola.gov.it, è stata
approvata nel luglio 2015 con
il voto definitivo della Camera
(277 sì, 173 no e 4 astenuti). Tra
le misure, definite strutturali, la
previsione di un finanziamento
aggiuntivo di 3 miliardi di euro, un
piano straordinario di assunzioni
di docenti e il nuovo ruolo dei
“dirigenti scolastici” definiti
“leader educativi” che possono,
seguendo certe regole, scegliere
e «mettere in campo la squadra»
di «docenti con il curriculum più
adatto a realizzare il progetto
formativo del loro istituto». Il
progetto, come era da attendersi
e come è stato in passato, ha
ricevuto forti critiche, ad esempio
dalla Cgil, che parla di una legge
che «allarga le disuguaglianze
sociali e territoriali» e risulta,
perciò, «indifferente ai principi
connettivi della Repubblica». Il
nuovo ruolo dei dirigenti, con
la «trasformazione delle scuole
in aziende», è dal sindacato
cittànuova n.9 | Settembre 2016
21
politica lavoro economia
EDUCAZIONE
giudicato contrario alla libertà di
insegnamento.
La rivista Tuttoscuola nel
frattempo ha comunicato i
primi risultati del “concorsone”
svolto da oltre 175 mila docenti,
ad aprile 2016. Il numero dei
bocciati è così elevato (55%)
da prevedere altri ricorsi che si
andranno ad aggiungere a quelli
degli insegnanti che contestano
l’assegnazione della sede di
lavoro avvenuta attraverso un
automatismo informatico (un
“algoritmo”).
Che scuola ci attende quest’anno?
Il dibattito è apertissimo.
Partiamo da alcuni contributi
per un dialogo destinato a
continuare.
Proteste di docenti per
l’assegnazione delle cattedre.
Nell’occhio del ciclone
di Marco Fatuzzo, da 40 anni docente e dirigente d’istituto
Docenti messi alla gogna per non
essere riusciti a superare, per il
50%, le prove d’esame dell’ultimo
concorso e per i numerosi
ricorsi legati all’assegnazione
di insegnamento lontano dalla
propria residenza.
Nel primo caso, i media hanno
evidenziato impietosamente
un’insufficiente o inadeguata
preparazione culturale da parte
di molti dei partecipanti alle
prove concorsuali. Eppure si
trattava di docenti tutti abilitati
all’insegnamento (il concorso era
riservato solo a loro) e magari con
alle spalle una più o meno lunga
attività di insegnamento maturata
in anni di precariato. Può darsi
che qualche pecca ci sia pure stata
nella scelta dei contenuti delle
prove selettive, oppure nel fiato
sul collo delle commissioni per
concludere le valutazioni entro
una scadenza troppo ravvicinata
al fine di consentire l’assunzione
dei vincitori prima dell’inizio del
nuovo anno scolastico: questioni
non facilmente dimostrabili.
Nel caso delle proteste
DOCENTI
180
assunzioni entro il 2018
mila secondo la riforma
55%
di bocciati al “concorsone”
di aprile 2016
15 %
di ricorsi accolti sui trasferimenti
per le scuole primarie
22
cittànuova n.9 | Settembre 2016
sull’assegnazione di sede, pur
comprendendo le ragioni di
quanti dovranno trasferirsi in
altre regioni, con le conseguenti
complicazioni per la vita
familiare, appare iniquo parlare
di provvedimenti coatti
(“deportazioni”, addirittura),
essendo lampante, sin dall’inizio
della procedura di immissione
in ruolo, che le assegnazioni
sarebbero avvenute sulla scorta
delle sedi disponibili su scala
nazionale, previa espressione di
preferenze da parte degli stessi
aspiranti (100 province, graduate
dalla propria fino alla più
lontana).
Alcune lagnanze discendono
dalla contestazione di possibili
errori legati all’applicazione
di un “algoritmo” basato sulla
valutazione di alcuni parametri
(titoli, servizio prestato,
specifiche esigenze familiari)
incrociati con la graduatoria delle
province preferite. In questi casi,
esaminati i ricorsi prodotti, si
potrà eventualmente procedere
a sanare eventuali errori del
software utilizzato dal sistema.
In tutti gli altri casi, purtroppo,
occorrerà accettare la sede
assegnata. In ogni campo (sanità,
industria, sistema bancario, forze
dell’ordine, ecc.), se si partecipa
a un concorso, si è consapevoli,
in anticipo, che la sede di lavoro
potrebbe anche essere lontana
dalla residenza del proprio nucleo
familiare.
Professionalità e passione
di Silvio Minnetti, dirigente scolastico
Stanno venendo al pettine i
nodi di un precariato storico, a
lungo tollerato finora dai diversi
governi succedutisi alla guida del
Paese. Non basta una legge che,
mentre ha stabilizzato migliaia
di docenti, un sogno per oltre
100 mila precari, ha finito poi
per creare disagi comprensibili
nell’attribuzione della sede
di servizio, spesso lontana
dalle famiglie di docenti ormai
quarantenni.
Ma cosa occorre prima di tutto?
Innanzitutto è necessario rendere
attraente per i migliori studenti
universitari una professione
complessa. Ciò non è possibile
senza un riconoscimento sociale
ed economico adeguato; ha
invece prevalso quella logica
del “ti pago poco ma ti chiedo
un po’ meno” che ha attirato,
accanto a una maggioranza di
ottimi insegnanti, anche persone
senza motivazione educativa.
Non è mai stata attuata una vera
carriera interna dei docenti.
Non è stato apprezzato il lavoro
d’aula, quello che davvero conta
nel rapporto di insegnamentoapprendimento con gli studenti,
rispetto a incentivi legati a ore
di “progetti”, a volte discutibili.
La legge sulla “buona scuola”
introduce alcune novità positive
ma è tutto il sistema Paese
che deve scommettere sulla
funzione docente con adeguati
investimenti. Non è un lavoro di
routine perché richiede passione
educativa, lifelong learning,
grande capacità psicologica
e relazionale con bambini,
adolescenti e giovani.
Cambiare rotta
di Daniela Scarlata, docente e sindacalista Cisl scuola
Le ingenti risorse umane ed
economiche messe in campo
con la riforma avrebbero potuto
migliorare la scuola, ma serviva
una riflessione realmente
condivisa e non l’imposizione
dall’alto.
Invece ci troviamo di fronte
al caos più totale. Il piano di
immissione in ruolo nonostante
la valenza positiva, in quanto
ha sistemato numerosi docenti
precari, è avvenuto non tenendo
conto delle esigenze reali delle
scuole. È stato utilizzato un
nuovo meccanismo per assegnare
le sedi ai docenti, attraverso
un “algoritmo” che doveva
conciliare numerose esigenze:
anzianità di servizio, titoli
culturali, esigenze di famiglia e
ordine di priorità degli ambiti
espressi. Questo meccanismo si
è rivelato fallimentare e sballato
in moltissimi casi. Docenti che
hanno alle spalle una lunga
gavetta sono stati scavalcati da
colleghi con punteggi inferiori
solo grazie al caso fortuito.
Svanite le legittime aspirazioni
del riavvicinamento a casa di
persone che si erano trasferite per
ottenere un punteggio maggiore.
Stesso destino subìto da coloro
che, in base a criteri irragionevoli,
vedono azzerati il valore di master
universitari o perfezionamenti
post diploma o laurea. Si
prevedono valanghe di ricorsi
amministrativi.
Su tutto, nuoce poi un clima di
inutile competitività scambiata
per riconoscimento del merito.
Il docente neo immesso in
ruolo deve passare, infatti, dalle
“forche caudine” della chiamata
diretta dei presidi. Non si può
immaginare un sistema che
lascia l’insegnante alla mercé
di dirigenti che, a prescindere
dalla loro dirittura, possono
per qualsiasi motivo non
rinnovare l’incarico triennale
ai loro insegnanti. Basta
addurre, tra le motivazioni del
rifiuto, alcune esigenze assenti
nel curriculum dei docenti
“contrastivi” o semplicemente
“non accondiscendenti”. Contro
questa procedura è stata eccepita,
nel ricorso al Tar, l’eccezione di
costituzionalità per la limitazione
della libertà d’insegnamento.
Senza condivisione non si forma
quella comunità educativa
orientata al successo formativo
degli studenti.
Contenuti aggiuntivi su cittanuova.it
Scuola. Dialogo sul futuro
a
EXTRA
cittànuova n.9 | Settembre 2016
23
OLTRE L’EMERGENZA SBARCHI
da noi
l’hot spot
funziona
Mike Palazzotto/ANSA
politica lavoro economia
Intervista con Leopoldo Falco, già prefetto
di Trapani, vicedirettore dell’ufficio Affari
legislativi e relazioni parlamentari degli Interni
L’appuntamento in prefettura
a Trapani è per le 17 di un
pomeriggio assolato d’estate.
Penso che al massimo il prefetto,
Leopoldo Falco, mi concederà
mezz’ora del suo tempo, impegnato
com’è a gestire l’ondata di sbarchi
che è continua. Ma quando
abbiamo finito, mi rendo conto che
è trascorsa 1 ora e 23 minuti. Esco
arricchita da quanto mi racconta:
una persona determinata e con
un carico di umanità notevole.
Napoletano di origine, sposato
e padre di 3 figli, laureato in
Giurisprudenza, ha un curriculum
di rilievo: l’ultimo incarico prima
di assumere la responsabilità della
prefettura di Trapani, nell’agosto
2013, è stato quello di Commissario
straordinario del Comune di
Salemi, sciolto per mafia. Lo scorso
10 agosto il Consiglio dei ministri
lo ha trasferito a Roma, in qualità
di vicedirettore dell’Ufficio Affari
24
cittànuova n.9 | Settembre 2016
legislativi e relazioni parlamentari
degli Interni.
«Quando sono arrivato a
Trapani – mi racconta – mi sono
trovato subito a far fronte a
numeri enormi di migranti che
sbarcavano sulle nostre coste.
Nei primi 8 mesi abbiamo avuto
3 mila presenze sulle 25 mila che
registrava l’Italia».
Come si fa a gestire nel
miglior modo possibile un
problema vasto quanto quello
dell’immigrazione?
Io non ho mai voluto occupare
palazzetti dello sport, stadi,
organizzare tendopoli. Siamo
sempre riusciti a trovare altre
soluzioni, innanzitutto perché
c’è stata una straordinaria
partecipazione del mondo
del volontariato, il grande
protagonista, a iniziare dall’arrivo
nei porti: se non ci fossero stati
loro, saremmo stati travolti subito,
il nostro dispiegamento di forze
non sarebbe stato sufficiente.
Teniamo presente che, quando
arrivano navi con 800 persone
a bordo, di solito il sabato e la
domenica, le operazioni di sbarco
durano anche 24 ore, sotto il
sole torrido o la tempesta, anche
durante le notti gelide. Croce
rossa, Libera, Protezione civile
e altri sono stati un “esercito”
sempre presente. Lo stesso
mondo che ho trovato nei porti
l’ho ritrovato poi nel mondo
dell’accoglienza.
L’accoglienza, appunto. Come è
cambiata in questi anni?
Abbiamo iniziato con gli
affidamenti diretti perché le
persone arrivavano il giorno e
il posto serviva per la sera; ma
nel giugno 2014 ci è stato detto
di indire una gara, quindi ne
abbiamo indetta una per 600
posti. È arrivato un soggetto
prepotente che l’ha stravinta:
siamo riusciti a escluderlo grazie a
un collega prefetto che ha fornito
una certa documentazione.
Respinti i monopolisti è rimasta
l’organizzazione enorme – fino al
2015 gestivamo più immigrati di
a cura di Aurora Nicosia
«Il mondo
del volontariato,
il grande
protagonista.
Senza, saremmo
stati travolti
subito, il nostro
dispiegamento
di forze
non sarebbe stato
sufficiente».
Migranti soccorsi nel Canale di Sicilia.
Napoli e Roma – distribuita su 35
centri, poi ridotti a 27.
Da giugno 2014 è iniziata la
seconda fase: i nostri centri
erano tutti pieni, gli sbarchi
continuavano e quindi siamo
diventati vettori, cioè portavamo
queste persone, che andavamo
a prendere anche in altre
province siciliane, nel resto
d’Italia, specialmente al Nord,
in collaborazione col ministero
dell’Interno. Non è stato semplice
organizzare, fino a tutto il 2015,
vere e proprie batterie di pullman
(immaginiamo 600 persone per
volta da distribuire), ma alla fine
il sistema ha funzionato. Il 22
dicembre 2015 è iniziata la terza
fase, con l’apertura degli hot spot.
Un po’ controversa questa
vicenda degli hot spot…
Ogni hot spot ha una storia
diversa. Siracusa, Ragusa e
Agrigento hanno quasi dell’eroico
come porti di sbarco; molto
meno hanno potuto fare per
l’accoglienza, perché non si può
arrivare a far tutto. Noi siamo
impegnati meno di loro negli
sbarchi, anche perché più lontani.
Io ho fatto la “guerra” per avere
l’hot spot perché a me serviva
un luogo di prima accoglienza.
Avere sempre a portata di mano
i pullman quando le persone
arrivavano e sottoporle subito
a un altro viaggio fino al Nord
Italia, non era una procedura
soddisfacente. A Trapani avevamo
un Centro di espulsione (Cie),
una struttura di per sé molto
bella e ampia (la nostra è la più
grande delle 6 presenti in Italia)
che era però destinata a 50-60
persone e quindi sprecata, oltre
che molto triste. Abbiamo così
creato una struttura da 400
posti che a volte diventano più
di 500 dove si svolgono le varie
operazioni nei 3 giorni previsti.
L’hot spot ci ha cambiato la vita,
perché il porto dopo appena 5
ore è sgombro, non stiamo più 24
ore sulla banchina, ed è meglio
sia per chi sbarca che per chi
accoglie; c’è molta più sicurezza
medica con un’infermeria seria;
l’informativa, che sul porto era
veloce e confusa, qui è fatta bene;
anche il fotosegnalamento a cui
l’Europa tiene tanto. Tutto questo
non si può fare sotto il sole a picco
a 40 gradi.
Dentro l’hot spot, poi, hanno sede
i vari soggetti che devono fornire
l’informativa a tutti quelli che
sono arrivati: li vanno a trovare,
li conoscono, spiegano quanto
è necessario. Questa è una fase
fondamentale, da cui dipende
il buon esito del successivo
fotosegnalamento. Ci sono
inoltre le sedi delle associazioni
cittànuova n.9 | Settembre 2016
25
OLTRE L’EMERGENZA SBARCHI
Ci sono collaborazioni a
livello regionale, nazionale e
internazionale, che potrebbero
migliorare l’organizzazione e
che non vengono ancora messe
in atto?
Coi prefetti siciliani da sempre
siamo una squadra, ci aiutiamo
concretamente nell’affrontare
le situazioni più disperate. La
Regione, però, non ha mai fatto
nulla e le prescrizioni calate
dall’alto si sono rivelate negative.
“Roma” è un po’ lontana, non
sempre capisce. Io penso che
con questi numeri solo l’Europa
insieme possa dare una risposta.
A parte la cattiveria di chi alza
barriere, è chiaro che vanno
stabilite delle quote serie,
dobbiamo dare il massimo tutti,
far partire accordi internazionali.
La mia grande speranza è che si
faccia un passo avanti sostanziale
da questo punto di vista. C’è poi
il tema dei minori stranieri non
accompagnati, la criticità maggiore,
anche perché sono in continuo
aumento. Di questi o l’Italia si fa
carico – attualmente è un problema
solo siciliano – o la Sicilia scoppia.
Direi quindi: sui minori una
risposta nazionale, sul complessivo
una risposta europea più generosa,
più seria, più omogenea. Tutti
compatti, da Nord a Sud.
Come prefetto e come uomo, ha
un sogno nel cassetto?
Se proprio devo sognare, io
sono convinto che ci siano delle
possibilità di integrazione, realtà
rurali dove si possano attivare
comunità composte da italiani e
non, in tanti paesini, dove semmai
gli italiani sono più anziani e gli
26
cittànuova n.9 | Settembre 2016
Il personale della Marina Militare Italiana getta giubbotti di salvataggio
verso un gommone pieno di migranti nel canale di Sicilia.
/AP
umanitarie, i medici, la ludoteca, il
luogo di culto. A quel punto dopo
3 giorni tutti sono in grado di
uscire in condizioni psico-fisiche
diverse ed essere distribuiti nei
centri segnalati dal ministero.
Una volontaria aiuta una mamma nella palestra di Linosa
che ospita alcuni degli immigrati arrivati dalla Libia.
Venezia Filippo/ANSA
politica lavoro economia
altri sono più giovani. Non è che
sono entusiasta all’idea che il
filippino, ad esempio, debba fare
per forza il badante: fra i migranti ci
sono pure persone laureate. C’è poi
il problema di proteggerli perché in
queste zone la criminalità assolda,
non possiamo ignorare il problema.
Si potrebbero creare cooperative,
avviare ricettività turistica,
avviare progetti: questa è una
terra che ha molte potenzialità
inespresse, possiamo immaginare
di tutto se partiamo dall’umiltà
e dalla voglia di lavorare. Qui c’è
tanta bella gente… Sì, c’è anche
la mafia, ma è una terra felice.
Trapani ha spazi, anche chi è
povero vive con poco, quindi
è terra ideale per accogliere.
Bisogna essere ottimisti sulla
Sicilia e sulla sua capacità di
accoglienza e di integrazione.
I prefetti, però, non devono
sognare, devono essere concreti.
Ma non posso negare che a me,
come a tanti volontari, questa
storia ha cambiato la vita.
www.cittanuova.it
Dove
ve c’è
c’è solidarietà noi ci siamo
Da sessant’anni Città Nuova promuove una cultura fondata sull’unità della famiglia umana, per edificare una civiltà basata
sulla conoscenza e l’accoglienza. Il Gruppo editoriale si ispira al pensiero di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei
Focolari, e propone uno sguardo sul mondo inclusivo e rispettoso della verità e della dignità umana.
Perché ciascuno torni a vedere con occhi nuovi un futuro di pace.
CULTURA E INFORMAZIONE
EVENTI E IDEE PER IL MONDO CHE VERRÀ.
politica lavoro economia
GUERRA DIMENTICATA
yemen.
le nostre
responsabilità
Dall’Italia (e da altri Paesi europei) partono
bombe usate dalla coalizione saudita anche
contro ospedali di Medici senza frontiere,
contro quanto dice la nostra Costituzione
A Sanaa (Yemen). Il papà con i resti della bomba
che ha ucciso il figlio Youssef di 10 anni.
Incontro quasi ogni giorno alcuni
carissimi amici yemeniti. Con
il loro lavoro contribuiscono
al bene dell’Italia e si sentono
costruttori di un Paese che è
ormai anche il loro. Ma il cuore,
trepidante, è rivolto allo Yemen,
ai familiari e ai conoscenti,
bersaglio di bombe anche made in
Italy, inserite in un giro d’affari
miliardario.
Quello dello Yemen è un conflitto
troppo poco evidenziato dai
nostri media, che si caratterizza
28
cittànuova n.9 | Settembre 2016
per attacchi indiscriminati che
non escludono quartieri abitati,
ospedali e scuole. Dall’inizio
dello scontro (poco più di un
anno), che si inserisce in una
situazione complicatissima
tra “guerra civile” e interventi
esterni, si contano quasi 26 mila
vittime tra la popolazione, 17
mila feriti, 2 milioni e mezzo di
sfollati. Eppure, nonostante le
gravi responsabilità e la violazione
dei diritti umani per le azioni di
guerra in Yemen da parte della
di Maurizio Certini*
coalizione guidata dall’Arabia
Saudita, l’Italia continua a essere
uno dei maggiori fornitori di
ordigni e sistemi militari alle
monarchie del Golfo; tra cui,
appunto, il regime di Ryad,
accusato dal segretario generale
dell’Onu di gravi violazioni delle
convenzioni internazionali.
Molte associazioni umanitarie
come Amnesty International e
Rete Disarmo, premono sul nostro
governo, ritenendo disattesa
la legge 185 del 1990 che vieta
l’importazione e l’esportazione
di armi a Paesi belligeranti, in
ottemperanza dell’articolo 11
della Carta costituzionale, per il
quale «L’Italia ripudia la guerra
come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali».
Lo stesso Parlamento europeo
ha adottato quest’anno una
risoluzione sulla situazione
umanitaria dello Yemen, perché
si ponga fine con urgenza al
conflitto, chiedendo di bloccare
il flusso di armi verso la regione.
Riuscirà il governo italiano a farsi
promotore del percorso indicato
dal Parlamento europeo?
Sappiamo bene che la realtà
internazionale è molto complessa
e che si pagano oggi gravi errori
del passato, ma occorrono
alternative all’inevitabile
tendenza alla guerra; una guerra
infinita quando la produzione e il
commercio delle armi rispondono
alla stessa logica del mercato.
Sappiamo bene che nessuna
guerra pone fine alle guerre,
e che la pace presuppone una
permanente opera di negoziato e
di dialogo, delicata, intelligente,
lungimirante; opera che
promuova percorsi di giustizia e
di liberazione. Si vis pacem, para
pacem.
* Direttore Centro Giorgio La Pira
di Firenze
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Qualità del servizio. È il concetto forte
intorno al quale ruota la Business Unit
Enti Religiosi e Non Profit, dedicata
da Cattolica Assicurazioni al mondo
della Chiesa e del Volontariato. Offrire
consulenza, formazione e presenza agli
eventi organizzati da queste due realtà
Paolo Bedoni, presidente di Cattolica, e mons. Galantino
è l’obiettivo specifico della struttura,
all’Auditorium Verdi di Veronafiere lo scorso aprile.
implementata di recente con lo scopo
non secondario di assistere la rete agenziale sul territorio.
Unica nel suo genere in tutto il panorama assicurativo italiano, questa funzione aziendale può
essere intesa come un laboratorio progettato tanto per gli agenti già attivi nei settori quanto
per quelli che guardano ad essi come ad una nuova possibilità di lavoro. La Business Unit
Enti Religiosi e Non Profit opera mediante un sito interno, visitabile all’indirizzo
www.osservatorioentirnp.it, pensato nell’ottica di dare una chiave di accesso alle dinamiche
e ai mutamenti della Chiesa e del Volontariato, con particolare attenzione a quegli aspetti
amministrativi e giuridici che interessano il lavoro anche pratico degli agenti; altro canale
diretto per la formazione, poi, è l’organizzazione di workshop e seminari di formazione mirata.
All’aspetto di assistenza specificamente agenziale, la Business Unit Enti Religiosi e Non Profit
affianca un lavoro di consulenza ad uso diretto delle altre Direzioni del Gruppo nello sviluppo
di percorsi progettuali riferibili all’ambiente di sua competenza. Oltre alla progettazione dei
prodotti ideati da Cattolica per andare incontro alle esigenze manifestate dai clienti, una seria
attività di relazione con l’ambiente ecclesiastico e del volontariato garantisce una conoscenza
approfondita del panorama e, quindi, delle sue esigenze.
Sempre nella logica di offrire il miglior servizio possibile, infine, la Compagnia ha disposto
la creazione di un nuovo Polo Liquidativo del tutto dedicato, che si occupa di gestire
esclusivamente le pratiche di rimborso in favore del clero.
«Da quasi trent’anni offro i miei servizi assicurativi a tanti membri
del Movimento dei Focolari, al quale aderisco con la mia famiglia,
così come a diverse altre realtà presenti nella Cittadella di Loppiano.
Considerato l’impegno di Cattolica Assicurazioni verso gli enti e i
movimenti ecclesiastici, espresso attraverso la “Business Unit Enti
Religiosi e Non Profit”, ho accettato di buon grado la proposta della
Compagnia di entrare a far parte della sua rete di Agenti. Sei anni
fa, dunque, ho aperto una nuova Agenzia presso il Polo Lionello
Bonfanti – una delle realtà all’interno della Cittadella – con lo scopo
di offrire ai singoli appartenenti al Movimento e alla stessa Loppiano
un servizio migliore, fatto di disponibilità, presenza stabile sul luogo,
professionalità e consulenza».
Luca Bozza, Agente Generale - Polo Lionello Bonfanti
oltre il mercato
LUIGINO BRUNI
Il tempo
della terra
Luigino Bruni è professore di
Economia politica all’Università
Lumsa di Roma ed editorialista di
Avvenire. È tra i riscopritori della
tradizione italiana dell’Economia
civile e coordinatore del progetto
Economia di Comunione. Insieme
a Stefano Zamagni, è promotore
e cofondatore della Scuola di
Economia Civile.
Dopo il vento, un terremoto, ma Dio non era
nel terremoto» (1 Re, 19).
Quel campanile della chiesa di Amatrice,
che segna le 3.36, è un’immagine forte per
dire che cosa è accaduto questa notte. Quel
minuto è stato l’ultimo per le tante vittime,
sarà un minuto ricordato per sempre perché
inciso nella carne e nel cuore dei loro
famigliari, e sarà ricordato dal nostro Paese,
la cui storia recente è anche una serie di
orologi fermati per sempre dalla violenza
degli uomini o da quella della terra. Anch’io
lo ricorderò per sempre, perché questo urlo
della terra ha raggiunto anche la casa dei
miei genitori di Roccafluvione, a una ventina
di km da Arquata del Tronto, dove quella
notte mi trovavo per visitarli. Pensavo a quei
paesi di pietra, costruiti con immensa fatica
dai nostri nonni, con il travertino delle cave
delle montagne circostanti. Il mio bisnonno
Benedetto visse emigrato per lunghi anni
in America, da solo senza moglie e figli che
erano rimasti in paese. Tornò e investì i
sudati dollari guadagnati nella casa di pietra,
la sua eredità per noi.
Pensavo che quel tempo misurato fino alle
3.36 dall’orologio del campanile, che era lì
bloccato, morto, era solo una dimensione
del tempo, la superficie, il suolo del tempo.
Nel mondo c’è il nostro tempo gestito,
addomesticato, costruito, usato per vivere.
Ma al di sotto di questo c’è un altro tempo:
il tempo della terra, che comanda il tempo
degli uomini, delle mamme, dei bambini.
E pensavo che non siamo noi i padroni di
questo tempo altro, più profondo, abissale,
primitivo, che non segue il nostro passo,
a volte è contro i passi di chi gli cammina
sopra. E quando in queste notti tremende
avvertiamo quel tempo diverso sul quale noi
camminiamo e costruiamo la nostra casa,
nasce tutta nuova la certezza di essere erba
del campo, bagnata e nutrita dal cielo, ma
anche inghiottita dalla terra.
La terra è assieme madre e matrigna.
L’umanesimo biblico lo sa bene, e per
questo ha lottato molto contro i culti pagani
dei popoli vicini che volevano fare della
terra e della natura una divinità. E così, in
quella notte lunghissima la mente andava
ai libri splendidi e tremendi di Giobbe e
di Qohelet, che si capiscono forse solo
durante queste notti. Quei libri dicono che
nessun Dio, nemmeno quello vero, può
controllare la terra, perché anche Lui, una
volta che entra nella storia umana, è vittima
della misteriosa libertà della sua creazione.
Neanche Dio può spiegarci perché i bambini
muoiono schiacciati dalle antiche pietre
dei nostri paesi, e non può spiegarcelo
perché non lo sa, perché se lo sapesse
sarebbe un idolo mostruoso. Dio può solo
farsi le stesse nostre domande: può gridare,
tacere, piangere insieme a noi, scavare
a mani nude. E magari ricordarci con le
parole della Bibbia che «tutto è vanità delle
vanità»: tutto è soffio, vento, nebbia, spreco,
nulla, effimero. Vanità in ebraico si scrive
Habel, la stessa parola di Abele, il fratello
ucciso da Caino. Tutto è vanità, tutto è un
infinito Abele: il mondo è pieno di vittime.
Questo lo possiamo sapere. Lo sappiamo,
lo dimentichiamo troppo spesso. Queste
notti e questi giorni tremendi ce lo fanno
ricordare.
Questo scrivevo il 24 agosto, all’indomani
del sisma. A distanza di qualche giorno, e
alla luce delle tante vittime, dei funerali,
dei primi dati sui crolli, si possono dire
molte altre cose. Questo terremoto è anche
un’immagine della nostra Italia, la splendida
terra dei paesini-presepi arroccati sulle
pendici dei monti. Una terra ferita da cui è
emersa una stupenda solidarietà, che resta
ancora il nostro grande tesoro, un paese
ancora capace di migliaia di abbracci veri ed
eterni, che sa ancora mischiare le lacrime.
Ma è anche la terra delle strutture molto
fragili, delle regole rispettate a metà nella
speranza che non arrivino mai i controlli, dei
soldi che finiscono troppo spesso nei posti
sbagliati. Il dolore di queste tragedie infinite
non sarà passato invano se non lasceremo
più cadere i campanili sulle famiglie, se
ricostruiremo case dove i nostri bambini
potranno addormentarsi più sereni.
COLOMBIA
Mauricio Duenas Castaneda/ANSA
pagine internazionali
La gioia popolare per l’accordo che ha
messo fine a un conflitto iniziato nel 1964.
di Alberto Barlocci
la pace
con le farc
Conclusi il 25 agosto i negoziati e decretato
il cessate il fuoco definitivo tra il governo e
la guerriglia, il Paese si polarizza intorno al
referendum che seguirà: sarà approvato o no
il patto? Quali le priorità per il post-conflitto?
Da mesi si attendeva la
conclusione dell’accordo
di pace tra il governo e la
guerriglia delle Farc, che è
avvenuto a Cuba, lo scorso
25 agosto. Oggi il dibattito nel
Paese non è tanto sull’accordo
di pace quanto sul referendum
che dovrà approvarlo
popolarmente, fissato per il 2
ottobre.
Una guerrigliera delle Farc.
Rodrigo Abd/AP
La campagna per il sì o il no ai
negoziati di L’Avana, durati quasi 4
anni, è già iniziata e sta polarizzando
i colombiani. La maggioranza di
governo guidata dal presidente Juan
Manuel Santos è già al lavoro per
il sì. Vi si oppone strenuamente, e
con miopia politica, l’ex presidente
conservatore Alvaro Uribe. Nei centri
rurali, più vicini al conflitto, c’è meno
scetticismo e più speranza.
In effetti si è immersi nelle
incertezze. Il governo ha insistito
per una consultazione popolare che
legittimasse gli accordi di pace. Avrà
fatto bene i calcoli? O piuttosto lo
scetticismo rimarrà elevato fino alla
firma? Cosa avverrà se trionfasse il no?
Le Farc sono disponibili a sostenere
egualmente la pace, ma su quale base?
Per i settori di una destra in crescita
appare intollerabile l’applicazione di
una giustizia di transizione nel punire
i crimini di guerra. Nei casi più gravi
si applicheranno le pene correnti, ma
in molti altri si attuerà un percorso
basato sull’ammissione di colpa e il
ripudio dei delitti commessi. Ricorrere
alla giustizia ordinaria avrebbe
aperto la porta al giustizialismo, con
risultati e tempi imprevedibili, senza
la garanzia che i crimini di militari e
paramilitari avrebbe ricevuto lo stesso
trattamento.
I dubbi sono legittimi. Ma, per fare
un esempio, se in Sudafrica si fosse
applicato il codice penale, Mandela
sarebbe morto in carcere.
L’altro rifiuto assoluto della destra è
l’inserimento nel sistema politico delle
Farc. Ma sarebbe realista azzerare
politicamente un gruppo che, pur
facendo una scelta intollerabile come
cittànuova n.9 | Settembre 2016
33
COLOMBIA
Desmond Boylan/AP
pagine internazionali
Le sigle
della guerriglia
colombiana
ELN - Esercito di liberazione
nazionale: è nato nel 1964
ispirato alla rivoluzione
cubana e alla Teologia della
liberazione per il particolare
approccio con i poveri.
Diffuso nelle zone minerarie
e petrolifere del Paese, ha
rifiutato di finanziarsi con il
traffico di droga, preferendo
i sequestri di lavoratori di
multinazionali che avevano
in concessione miniere e
pozzi di petrolio. Numerosi
gli attacchi alle imprese
straniere che sfruttano le
risorse naturali del Paese.
FARC - Forze armate
rivoluzionarie della
Colombia: sono state
fondate nel 1964 e si
sono subito articolate
come organizzazione
guerrigliera, di ispirazione
bolivariana e comunista,
in aperto conflitto con il
governo. Di base contadine,
si ponevano come
rappresentanti delle masse
indigenti in opposizione
ai ricchi, ai monopoli delle
multinazionali straniere,
all’influenza statunitense.
Si finanziano attraverso
l’applicazione di una sorta
di imposte locali alle attività
commerciali e industriali,
sequestri di persona ma
anche la produzione e la
commercializzazione di
cocaina.
34
cittànuova n.9 | Settembre 2016
Soddisfazione per l’accordo di pace del 25 agosto (al centro Raúl Castro).
quella della lotta armata, risponde a
una visione della realtà colombiana?
La storia insegna che non esiste la pace
perfetta, ma solo quella possibile. Per il
gesuita Francisco De Roux, economista
e teologo, legato a settori della società
civile impegnati in progetti di sviluppo
locale, prima di tutto occorre rompere
il circolo vizioso di una violenza
politica che si è portata via la vita di 27
suoi compagni. De Roux ripete spesso
che in Colombia non è in gioco il futuro
dei politici, «ma la possibilità di vivere
come esseri umani».
La pace sarà dunque solo il primo
passo, necessario, per chiudere anni di
violenza che hanno provocato 260 mila
morti, 45 mila desaparecidos e 6 milioni
e 800 mila tra evacuati e rifugiati. Un
passo che potrà aprire la strada anche
alla pace con la guerriglia dell’Esercito
di liberazione nazionale, per poi
neutralizzare le nuove bande criminali,
molte costituite da ex paramilitari,
responsabili dell’uccisione di gran
parte dei 4 mila leader sociali e politici
assassinati negli ultimi 25 anni.
Aldo Civico, antropologo ed esperto
internazionale in risoluzione di
conflitti, che conosce da vicino la
realtà colombiana, conferma che
«la violenza urbana e il controllo
territoriale del crimine organizzato
nelle città, la presenza di gruppi
armati illegali che continuano a
uccidere leader della società civile»
saranno le principali priorità da
affrontare insieme alla «piaga di uno
dei più alti indici di disuguaglianza».
Non va dimenticato che la guerriglia
è sorta storicamente dalle gravi
situazioni di ingiustizia sociale degli
anni ’50 e ’60. Costruire la pace
significherà dunque promuovere
cambiamenti strutturali per ridurre
la povertà che oggi affligge il 27,8%
della popolazione, di cui il 7,9%
vive nell’indigenza. Il 10% più ricco
guadagna 4 volte di più del 40% più
povero. L’indice Gini, che misura le
sperequazioni del reddito, mette la
Colombia al secondo posto in America
Latina. Il valore è di 0,535 (dove 0
indica la massima uguaglianza e 1 la
massima disuguaglianza): ma, quando
si analizza la proprietà terriera, il
tasso sale a 0,86.
Pertanto, il banco di prova non è stata
la conclusione dell’accordo, né lo sarà il
susseguente referendum, quand’anche
la polarizzazione tenderà a semplificare
i dilemmi: contro o a favore della pace;
contro o a favore della giustizia. Il vero
banco di prova sarà quello di innescare
un processo di cambiamento che
faccia di questo Paese un luogo dove
tutti possano vivere, senza bisogno di
imbracciare un’arma.
pagine internazionali
AMU NOTIZIE
di Stefano Comazzi
come i primi
cristiani
Progetti e azioni sociali nel mondo, con lo stile
della fraternità. Come in Burundi e in Argentina
Posiamo insieme,
uno dopo l’altro,
i mattoni del
mondo unito
Scena di lavoro grazie all’azione di microcredito
dell’AMU nella Provincia di Ruyigi, in Burundi.
Non è certo una novità, per chi
legge Città Nuova, la proposta di
una vita radicale e piena come
quella delle prime comunità di
cristiani. Una vita che a tanti
pare oggi solo un’utopia del
passato, non più replicabile,
soprattutto nei nostri Paesi dove
forme di individualismo estremo
hanno contagiato la vita sociale
e comunitaria. Eppure questa
profezia, più necessaria e attuale
che mai, è viva, anche se nascosta
e confusa nelle pieghe della
società. L’associazione Azione per
un Mondo Unito - Onlus (AMU),
nella sua azione trentennale,
ha fatto e continua a fare da
catalizzatore per tante esperienze
di questo tipo, adattandosi ai
tempi mutati ed esplorando vie e
relazioni innovative.
Sono una piccola ma significativa
conferma di questa profezia, le
lacrime di commozione di un
anziano imprenditore venuto
a conoscenza che con gli utili
delle imprese dell’Economia
di Comunione, a cui egli aveva
aderito fin dagli inizi, l’AMU
sostiene un progetto di Turismo
per lo sviluppo delle comunità
rurali e indigene nel Nord Ovest
dell’Argentina.
Anche da una piccola nazione
posta sulle verdi colline e
montagne che scendono verso il
Lago Tanganica, il Burundi, arriva
un’esperienza che ha il sapore
delle prime comunità cristiane: si
tratta dell’azione “Microcredito
comunitario e rafforzamento del
sistema cooperativo in ambito
rurale”, in corso di realizzazione
nella Provincia di Ruyigi, con la
collaborazione di Casobu e un
cofinanziamento della Regione
Autonoma Friuli Venezia Giulia
(vedi inserto AMU allegato a
questo numero di Città Nuova).
Due semplici esempi, a cui si
possono aggiungere, in Italia, le
molte azioni per l’educazione alla
mondialità, e per l’integrazione di
immigrati e richiedenti asilo. Non
servono chiacchiere, ma progetti
concreti, capaci di creare legami
di solidarietà, dove lo scambio
di idee, proposte, bisogni, porta
a un vero arricchimento, e dove
insieme si posano, uno dopo
l’altro, i mattoni che costruiscono
un mondo unito.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
35
pagine internazionali
MYANMAR
Il governo di
Aung San Suu Kyi
di LUIGI BUTORI
SPAGNA
La strategia
del no
di JAVER RUBIO
Una terza elezione
aggraverebbe la situazione
politica interna e il profilo
internazionale del Paese e
questa non è la soluzione
auspicata né dai politici né dai
cittadini, come confermano
i sondaggi del Centro di
ricerche sociologiche,
secondo i quali i votanti sono
sempre più distanti dalle
strane vicende elettorali
che li hanno richiamati
costantemente alle urne.
36
cittànuova n.9 | Settembre 2016
FLASH DAL MONDO
Anche i suoi avversari politici, i
militari, lo sanno bene: solo Aung
San Suu Kyi può garantire l’unità
della nazione. Da aprile, dopo che il
suo partito, la Lega democratica, ha
stravinto le elezioni, è lei la leader
indiscussa. In giugno fondamentale è
stata la visita ufficiale in Thailandia,
dove vivono diversi milioni di
migranti che hanno cercato fuori
dal Myanmar una possibilità di vita
migliore: ad oggi il Paese non è in
grado di riaccogliergli. Serviva questo
viaggio per rinsaldare un legame col
governo thailandese, tenuto anch’esso
dai militari. Ad agosto è toccato alla
Cina. I rapporti commerciali con la
potenza asiatica rappresentano, da
soli, la prima risorsa d’investimento
straniero nel Paese, ma i legami con
Pechino sono sempre stati buoni, fin
dal 1948 quando è iniziata in Myanmar
la guerra civile più lunga della storia.
La Cina si è mostrata favorevole a una
soluzione pacifica dei conflitti interni
che hanno causato circa 250 mila
morti e più di un milione di sfollati.
Il 31 agosto, nella capitale, si è svolto
un incontro di pace con tutti i gruppi
etnici, alcuni dei quali antagonisti
dei militari da ben 67 anni. A 68 anni
dalla morte del padre, il generale Aung
San, assassinato dopo aver ottenuto
l’indipendenza del Paese, la figlia sta
riprendendo le redini del governo con
un lavoro di mediazione difficilissimo,
tra gli esponenti politici e le oltre
14 fazioni in conflitto. Resta ancora
aperto il problema della minoranza
rohingya, musulmana, ma solo la
“Signora” ha il carisma necessario per
garantire la pace.
Dopo 7 mesi con un governo
provvisorio in funzione e due tornate
elettorali, sembra che i partiti politici
spagnoli non sappiano pronunciare
che il monosillabo “no”. No a un
governo guidato da Mariano Rajoy.
No a un governo del Partito popolare
con un altro leader. No a una
coalizione delle forze di sinistra (Psoe
e Podemos). No all’astensionismo
nella fase d’investitura per facilitare
la formazione del governo. A cosa può
condurre una tale strategia se non a
una terza convocazione elettorale, il
prossimo novembre? Lo ha ammesso
lo stesso Rajoy, sottolineando che tale
scenario non si verifica in Europa da
più di 60 anni.
Come mai tanta incapacità nel
trovare un accordo di governabilità?
Forse perché si è troppo abituati
a maggioranze assolute e a leader
solitari? Forse si fatica a trovare
soluzioni plurali o capi di governo
indipendenti in grado di far uscire il
Paese dall’emergenza? «I partiti non
sanno adattarsi a una mappa politica
più frazionata e plurale – scrive
Il Mundo –, ma è intollerabile che
l’intransigenza e i personalismi siano
al di sopra degli interessi generali».
Serve rigenerare la classe dirigente:
pesano troppo sulle spalle della classe
politica i numerosi casi di corruzione
e i milioni di euro che danzano
delittuosamente nelle tasche dei
politici.
UGANDA
L’incertezza
del domani
di ARMAND DJOUALEU
Prosperano i movimenti di
ribellione attivi nel Paese
e nel vicino Congo. Tra
questi si distinguono, per
arruolamento di bambini
soldato e crimini contro
l’umanità, Lra (esercito di
Resistenza del Signore) e A4C
(Attivisti per il Cambiamento),
gruppo musulmano ostile al
presidente.
CANADA
A Montreal
il Social Forum
di AMBRA MANIACE
È difficile per gli ugandesi sbarazzarsi
dell’instabilità sociale e politica che
regna da vari decenni malgrado
i progressi in campo economico
e diplomatico. L’ultima elezione
presidenziale dello scorso febbraio,
sotto lo sguardo di osservatori
internazionali e in mezzo a tensioni
tra opposizione e governo, ha
confermato per la quinta volta
il presidente uscente, Yoweri
Museveni. Il principale oppositore,
Kizza Besigye, durante la campagna
elettorale è stato in prigione e ai
domiciliari e nel giorno dello scrutinio
anche i media sono stati limitati nella
loro attività di informazione da parte
delle autorità governative. Il risultato
è stato quello di un presidente rieletto
al primo turno con il 60,75% delle
preferenze, mentre il suo oppositore
ha totalizzato appena il 35% dei voti,
risultato non disprezzabile dati gli
impedimenti alla sua candidatura.
La verità è che Museveni vuole
assicurarsi un duraturo potere per
sé, per i membri della sua famiglia e
per i tanti amici originari della sua
regione che occupano posti di rilievo
nella pubblica amministrazione: un
vero capoclan. Ogni contestazione
della società civile viene zittita dai
militari come è accaduto in giugno
quando 30 persone e un deputato
dell’opposizione sono stati fermati con
l’accusa di voler rovesciare il governo.
La storia dell’Uganda è segnata
dalla successione di colpi di Stato e
dittature militari e da una permanente
corruzione che usa fondi pubblici
per fini privati. Museveni preparava
la sua ascesa già nel 1980, quando
da ministro della Difesa fondava il
movimento di resistenza nazionale
e la sua branca armata composta
da combattenti esiliati in Ruanda.
È riuscito a prendere il potere nel
1986 e a ristabilire lo stato di diritto,
cancellato dal suo predecessore Amin
Dada che aveva instaurato un regime
di terrore ed espulso più di 40 mila
indù-pakistani accusati di controllare
l’economia del Paese. Il nuovo
presidente ha autorizzato gli asiatici a
tornare e ha incoraggiato investimenti
stranieri e turismo, instaurando una
democrazia senza partiti per evitare
le divisioni tribali, etniche e religiose
che da sempre contraddistinguono
l’Uganda. Nonostante le divergenze
tra Nord e Sud del Paese e le varie
religioni, dal 2000 l’Uganda cresce
economicamente al ritmo del 7%
annuo e lo stesso accade in campo
demografico, che con il 3.2% è tra i
tassi più alti al mondo. Non mancano
le potenzialità anche per le cospicue
risorse naturali e petrolifere; manca
però la coesione nazionale, il reale
fattore di successo per qualunque
nazione africana che vuole affrancarsi
dal suo passato.
Fondato a Porto Alegre, in Brasile, nel
2001 in risposta al Forum economico
tenuto dai potenti della terra a
Davos, questo laboratorio mondiale
dà spazio alla società civile e a chi,
dal basso, prova a imprimere un
cambiamento nell’ambito dei diritti
umani, dell’ambiente, delle economie
alternative, delle energie rinnovabili,
della democrazia partecipativa,
attraverso workshop autogestiti e
assemblee che decidono ambiti di
intervento e azioni internazionali di
pressione su governi e autorità locali.
Quello tenutosi a Montreal lo scorso
agosto è stato il primo ospitato in un
Paese del Nord del mondo, con 25 mila
attivisti che attraverso progetti, studi,
azioni sociali, performance artistiche
hanno lavorato per “un altro mondo
possibile”. Anche il Movimento
dei Focolari è stato presente con 4
laboratori.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
37
”
/ANSA
Dedico
questa vittoria
anche alla
mia terra. Se
un siciliano
è sul podio
davanti a un
americano
e a un russo,
vuol dire che
ce la possiamo
fare.
INTERVISTA A
daniele
garozzo
intervista a cura di Mario Agostino
24 anni e un fresco oro alle Olimpiadi per il
fiorettista di Acireale (Ct), dove ha iniziato nel
Club scherma a 7 anni. Per gli esperti il suo
primato a Rio non è una sorpresa: era già
medaglia d’oro ai Mondiali di Mosca lo scorso
anno. Racconta della sua terra, dei suoi sacrifici
come sportivo e del suo futuro da medico.
Lo incontriamo finalmente
spensierato e rilassato nella sua
“città dei 100 campanili”, che lo
ha accolto trionfalmente, come
del resto tutto il Paese. Non a caso
Daniele ricorderà questo mese
di settembre per essere stato al
fianco del presidente Mattarella
a Sondrio, in occasione della
cerimonia di inizio dell’anno
scolastico (giorno 19), come anche
di essere stato onorato dal suo
corpo militare di appartenenza,
quello delle Fiamme Gialle,
insieme al presidente del Coni,
Giovanni Malagò (giorno 14), non
solo per la sua vittoria sportiva.
Gli chiediamo perciò conto di
tanti sacrifici e apprezzamenti,
ma non solo…
Daniele, prima di tutto la tua
vittoria più grande: perché
donare in beneficienza l’intero
premio di 150 mila euro indetto
dalla Fondazione Giovanni
Agnelli alla medaglia olimpica
giudicata più emozionante
dagli italiani attraverso i voti su
Gazzetta.it?
Ho maturato l’idea valutando di
avere ricevuto davvero tanto da
questa Olimpiade: aggiudicatomi
la fama della vittoria e il premio
di 150 mila euro per il primo
posto, mi sembrava inopportuno
prendere anche quello della
Fondazione Agnelli, così ho
giudicato doveroso donare quanto
avevo ricevuto. So bene quanto
l’idea abbia fatto notizia e sia
stata probabilmente decisiva nel
farmi avere tanto consenso: sono
davvero felice di avere diviso
l’intera quota a Medici senza
frontiere, per la loro missione
(rivelatasi poi importante anche
nei confronti dei terremotati, ndr)
e alla comunità Madonna della
tenda di Cristo di Acireale, che
offre sostegno alle ragazze madri.
Immagino che se tutti facessero la
loro parte anche nel mondo dello
sport, potremmo sopperire meglio
a tante sofferenze.
A proposito della tua dedica
ai coetanei tua terra: sono
stati ben 6 i siciliani su 17
schermidori qualificatisi a Rio…
La densità di siciliani in squadra
è stata enorme, ma tutti sono ad
ora emigranti: a parte Rossella
Fiamingo, nessuno è presente in
Sicilia. Ho voluto dire quella frase
per quelle che possono essere le
difficoltà nel nostro territorio:
è risaputo come per trovare il
modo per emergere, purtroppo,
spesso si debba ancora andare
fuori dalla Sicilia. Personalmente
ho dovuto farlo a 18 anni: sono
I passi verso le Olimpiadi
2008
vince
il Cadet World
Championship di
Acireale
2011
2012
argento al
Campionato
mondiale Junior
2013
bronzo
all’Universiade
2014
2015
argento
alla Coppa
del Mondo
di fioretto
2015
argento al
Campionato
europeo
di Montreux
e oro ai Mondiali
di Mosca
cittànuova n.9 | Settembre 2016
39
intervista a...
DANIELE GAROZZO
Daniele Garozzo (a sin.) contro Alexander Massialas
durante la finale di fioretto individuale a Rio.
sponsor scarseggiano ed è difficile
per i club di paese sostenere
queste spese. I russi ad esempio
sono sostenuti da sponsor come
Gasprom…
Vincent Thian/AP
E il limite principale?
Noto troppa tendenza a
lamentarsi rispetto alla voglia di
fare: genericamente tante persone
che hanno voglia di cambiare le
cose dovrebbero a mio avviso
prodigarsi in più atti e meno
parole. È sempre più costruttivo
che stare seduti e lamentarsi dei
problemi che abbiamo.
andato a Frascati perché reputato
il centro migliore per il fioretto
maschile in Italia, oltre a trovarvi
il maestro Fabio Galli che avevo
già avuto modo di apprezzare
tanto durante i ritiri nazionali
in cui lo avevo incontrato:
cominciammo a lavorare insieme
7 anni fa… Sono entusiasta della
scelta fatta: a Frascati sto bene.
Ovviamente emigrando ho avuto
dolore e dispiacere ma ho trovato
evidentemente un equilibrio che
mi ha permesso di raggiungere
obiettivi importanti.
Quanta strada a ripensarci: da
Acireale all’oro olimpico…
Già… A 7 anni ho cominciato
col maestro Domenico Patti: ci
allenavamo in via Kennedy ad
Acireale. Eravamo una quindicina
ma, di quel gruppo, in ben 3
siamo arrivati alle Olimpiadi:
io, mio fratello Enrico e Marco
Fichera, entrambi recenti
argenti olimpici. Devo dire che
il lavoro del maestro Patti è stato
fondamentale: ci ha plasmati dal
punto di vista caratteriale. Se
siamo molto tenaci come carattere
e inclini al sacrificio, lo dobbiamo
40
cittànuova n.9 | Settembre 2016
in particolare al suo senso
dell’etica del lavoro.
In Sicilia non è mai stato facile:
perché?
Il primo problema in Sicilia è che
le distanze con la sede delle gare
sono ampie: fare gare a Roma,
Milano, come in fondo nella stessa
Cosenza, una delle tappe più
vicine, richiede notevoli spese tra
albergo e incontro. L’altro limite è
il costo dell’attrezzatura sportiva,
che è oneroso per tante famiglie.
Mi piacerebbe restituire qualcosa
alla Sicilia: creare una scuola di
scherma sembrerebbe bello ma
molto impegnativo: mio fratello
Enrico forse lo vorrà, ma ad ora
sono ambizioni lontane.
Vi sono esempi di sostenibilità
“popolare” di questo sport
nell’isola?
Ad esempio Stefano Barrera
(fiorettista due volte campione
del mondo a squadre) al club
Scherma Siracusa paga le trasferte
fuori regione agli iscritti (una
cinquantina). Ma è chiaro che
è sostenibile quando ci sono
risorse: il problema è che gli
A proposito di avversarie, oltre
ai russi, chi segnali a mediolungo termine e quanto ti ritieni
soddisfatto del movimento
azzurro?
Nelle ultime 5 edizioni, l’Italia
ha sempre vinto il medagliere,
centrando con costanza 7 podi,
con la sola eccezione di Sidney
2000, dove furono solo 5.
Guidiamo la classifica all-time dei
Giochi (con 121 medaglie, davanti
alla Francia a 115, ndr). Questa
è stata la prima Olimpiade con
“sole” 4 medaglie di cui una d’oro:
direi che siamo davvero in ottima
salute anche se la scherma è molto
più globalizzata rispetto almeno
a 8 anni fa. Ora gli Usa sono in
grande crescita, ma sta emergendo
la Cina, che nel fioretto è sempre
stata valida, oltre ai grandi
avversari francesi, come abbiamo
visto. Credo comunque che il
movimento italiano non abbia
nulla da invidiare ad altri.
Hai affermato di volerti
dedicare alla medicina,
che studi anche da iscritto
universitario: perché e… a che
punto sei?
Coltivo da anni questo desiderio:
se avessi studiato dopo la scuola
superiore, avrei voluto studiare
medicina. Ho parlato con papà
(angiologo) dopo le superiori:
ricordo che la prima scelta grossa
è stato il test da superare dato
che il tempo, visti gli allenamenti,
era poco. Comunque dare esami
è stato possibile: la carriera
accademica non va avanti come
quella sportiva ma spero di dare
qualche esame in più a breve.
A motivarmi è sempre stato il
fatto di poter aiutare le persone:
in fondo, il mio sogno sarebbe
proprio quello di lavorare
con Medici senza frontiere.
Comunque ad ora sono ancora al
terzo anno fuoricorso: dopo i 6
anni mi piacerebbe specializzarmi
in ortopedia.
Potenzialmente hai le carte
in regola, per lo meno stando
all’anagrafe, per affrontare
altre due Olimpiadi da
protagonista: tecnicamente che
margini di miglioramento pensi
di avere?
Personalmente credo di non
avere ancora espresso il meglio di
quanto posso fare: ho trionfato,
è vero, ma credo soprattutto
perché in gara sono riuscito a
dominare la tensione che magari
ha fiaccato altri grandi avversari.
Sono riuscito a dare il meglio, ma
credo di avere passi avanti da fare:
sulla difensiva non mi reputo tra
i migliori e intendo lavorare per
migliorarmi.
Cosa diresti a uno sportivo agli
inizi?
Prima di tutto di credere in sé
stesso senza preoccuparsi di
risultati quasi fossero un obbligo.
«Puoi smettere quando vuoi»,
mi diceva mio padre fino a poco
prima delle gare: «L’importante
è che continui a studiare…».
Direi perciò di divertirsi, dando
il meglio di sé in ogni occasione
ma continuando a studiare
perché comunque ne sfonda uno
su un migliaio, soprattutto nella
scherma dove, a fronte di una
preparazione molto esigente, non
si fanno i milioni come nel calcio…
La scherma sarà ancora nel tuo
futuro, dopo il ritiro?
“Da grande” mi piacerebbe
insegnarne le basi ai piccolini,
anche se non mi vedo ad oggi
come maestro. Non lo farei
a tempo pieno, ma non mi
dispiacerebbe essere ancora
in qualche modo presente nel
mondo della scherma.
Cosa ti ha colpito
dell’esperienza al villaggio
olimpico?
Il villaggio olimpico è come
avere il mondo in un fazzoletto:
come ha fotografato il mio amico
Andrea Baldini, vedere a mensa
un nordcoreano e un sudcoreano
fa pensare... Ma credo che questa
capacità di unire i popoli più
insospettabili oltre qualsiasi
problema pubblico sia anche
il senso stesso delle Olimpiadi.
Onestamente non ho avuto molto
tempo: quando sei lì, sei molto
concentrato sulle gare. Pensate
che non ho neanche visitato il Pan
di zucchero…
Una vita con la scherma: hai mai
avuto ripensamenti? E cosa ti
ha sostenuto?
Tantissime volte ho pensato di
studiare medicina all’estero, ma
questo non mi ha mai limitato
perché comunque mi allenavo
sempre. Fa parte della carriera
avere momenti di caduta o
ripensamento: in questo senso
non posso non citare mio fratello
Enrico, di fatto il mio migliore
amico, che è stato il primo a
correre ad abbracciarmi a Rio
dopo la vittoria, e la psicologa
Chiara Santi di Frascati, che
mi ha permesso in due anni di
fare un bel salto di qualità. Ero
imbottigliato nelle retrovie del
ranking e non riuscivo a emergere:
questo talvolta sembrava
bloccarmi, ma sono riuscito ad
andare avanti in questo sport
pensando da sportivo che dare
il meglio di me era già il reale
successo. Credevo di avere
un talento importante e non
riuscire a sfondare rischiava di
pesarmi, ma è stato invece bello
e importante comprendere che
quando stai dando il meglio di
te hai già vinto: questo è lo sport
per me. La medaglia è bellissima,
certo, ma se pensi che senza
vincerla non vali niente, sei del
tutto fuori strada: a mio avviso
ciò che più conta sono i valori che
lo sport ti costringe a esercitare
come il sacrificio, l’amore e il
rispetto per ciò in cui credi, il
rispetto per l’avversario e le
diverse culture, la lealtà.
Tante persone
che hanno voglia
di cambiare le
cose dovrebbero
a mio avviso
prodigarsi in più
atti e meno parole.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
41
famiglia e società
ATEISMI PRATICI
poveri di dio,
poveri dell’uomo
La vera emergenza mondiale: chiacchiericcio invece
di relazioni. Chi parla ancora ai bimbi di Dio amore?
Il mondo abitato dagli uomini
presenta al suo interno
disuguaglianze talmente grandi
che nessuna persona sana può
accettarle. L’assurdità deriva non
tanto da un discorso morale, etico
o religioso, quanto da ragioni
profondamente umane. È questione
di intelligenza: le condizioni di
squilibrio si ripercuotono contro
l’uomo. Dobbiamo quindi evitare
che l’uomo si tiri la zappa addosso,
ma agisca dando il meglio di sé, che
poi è il vero di sé e anche il bello di sé.
L’uomo è un essere sociale. Non
può vivere senza l’altro. Perfino
chi sceglie una vita di solitudine,
come l’anacoreta o il monaco o
la suora di clausura, lo fa attratto
da una relazione più profonda
con Qualcun Altro: Dio. La stessa
costituzione fisica di ogni persona
manifesta in modo evidente
l’essere sociale come verità
antropologica. Se pensiamo agli
organi interni del corpo, fra loro
interdipendenti per permettere
la vita, o agli apparati esterni
come occhi, braccia, gambe, con la
funzione di rapportarsi col mondo
e le altre creature, è evidente che
la vera essenza dell’uomo non è
l’individuo come creatura a sé
stante, ma la “persona” come
creatura dialogica, relazionale,
con l’altro che è costitutivo di sé.
Anche dal punto di vista pedagogico
constatiamo come la crescita del
bambino sarebbe impossibile senza
la presenza costante dell’adulto
42
cittànuova n.9 | Settembre 2016
di Ezio Aceti
(madre, padre, educatore). Anche
nel momento della vecchiaia e
della morte abbiamo bisogno del
dialogo amoroso e del conforto di
qualcuno che ci aiuti e ci sostenga.
Quindi pronunciare la parola
“uomo/donna” equivale a dire
relazione, incontro, reciprocità.
Termini co-essenziali per la vita
stessa. Emmanuel Lévinas (19061995), filosofo francese di origine
ebraica, scriveva: «Non c’è più l’Io,
perché è l’altro che mi fa esistere».
La relazione è ontologicamente
presente in ciascuno di noi, e solo
tramite essa ci realizziamo. Essere
poveri di relazioni significa allora
essere poveri dell’umano. Eppure
siamo in un’epoca dove sembra che
le relazioni siano molteplici, e che
gli strumenti relazionali si siano
diffusi a dismisura.
Come si può parlare di povertà
di relazioni quando i social
sono pieni di comunicazioni,
scambi, interazioni, tanto che si è
costretti a strutturare regole sulla
privacy per impedire ad altri di
relazionarsi con noi? La relazione
è diventata quasi una ossessione,
tanto che il valore di una persona
si misura dai contatti in Facebook
o dai follower su Twitter.
Ma se siamo così ricchi di
relazioni, come mai non siamo
«Educare alla fede
significa educare
l’uomo alla
profondità
della vita».
(Da Crescere è una straordinaria
avventura, Città Nuova)
in grado di costruire reti che
aiutino gli esseri umani nella loro
fratellanza? Bisogna intendersi
su cosa significa relazione. La
maggioranza dei contatti virtuali
o degli scambi non sono relazioni,
ma chiacchiericcio, diffusione
di notizie, manifestazioni di
opinioni. Anche se manifestano
qualcosa di positivo, sono relazioni
superficiali, seppur vorrebbero
manifestare qualcosa di profondo,
il bisogno di donarsi, di respirare
la bellezza del vivere insieme.
Questo proliferare di rapporti è
in realtà un bisogno disperato di
incontrarsi, di vivere con gli altri.
Ma non ci si riesce perché manca
il fondamento, il punto focale che
rende lo scambio vero e autentico.
Manca il fulcro che rende l’umano
veramente umano. L’uomo è
relazione perché proviene dalla
relazione d’amore per eccellenza.
L’uomo è dono ineffabile della
relazione con Dio che, al suo
interno, è amore del Padre col Figlio
nello Spirito Santo. Questa verità è
costitutiva di ciascuno di noi, che
siamo in realtà il riflesso donato di
amore da parte del Dio Trinità.
Abbiamo dimenticato di dire ai
nostri figli questa semplice verità:
siamo creature donate per amore
e destinate ad essere dono per gli
altri. Il fondamento della relazione
è l’amore. E l’amore si comprende
a forza di viverlo, conoscerlo,
sperimentarlo. Dimenticare di
insegnarlo ai nostri figli ha come
conseguenza l’ignorare, il non
conoscere, il non sapere. Per
questo i nostri figli manifestano
in modo disperato il bisogno di
relazione: provano a farlo, ma non
hanno il fondamento, la luce.
L’ateismo di oggi non deriva dalla
scelta precisa di non riconoscere
Dio, ma dalla disaffezione alla
preghiera, dalla trascuratezza
da parte di genitori ed educatori
cristiani nel fare l’unica cosa
necessaria: parlare ai figli della
verità di Dio amore e della
Sua presenza in ciascuno. Il
fondamento è Dio amore. Occorre
educare al rapporto con Gesù
amore sin da piccoli, aprire il loro
cuore alla verità in loro, perché
l’identità vera è essere amore,
illuminati dall’amore che c’è in noi.
Questo Dio non impone nulla, non
vuole nulla da noi, ma illumina
le nostre relazioni, ci aiuta a
sostanziarle d’amore. In questo
modo scopriremo l’incanto di
essere uomini e di stare insieme.
La cosa più bella che possiamo
desiderare per i nostri bambini
e ragazzi è aprire il loro cuore
e la loro mente alla bellezza
dell’amore. E a Gesù, il più bello
dei figli dell’uomo.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
43
Una nonna e un nipote
(non della stessa famiglia!)
si confrontano su uno stesso
tema. Per imparare gli uni
dagli altri.
“
MARCO D’ERCOLE
il nipote
44
cittànuova n.9 | Settembre 2016
i giovani rimane una scelta comoda,
in attesa di tempi migliori. Per cui
l’adolescenza dura fino a 40 anni,
come mi testimoniava un amico che
“si sentiva ancora un ragazzo”. Noi
adulti dobbiamo aiutare i figli che non
vogliono lasciare il nido.
Ci sono molti ragazzi, però, che per
intraprendenza o necessità si sono
rimboccati le maniche e si sono
dati da fare cercando nuove strade,
inventandosi il lavoro o rivisitando
creativamente quello dei genitori,
diventando adulti che portano una
ventata di freschezza in tutti i campi.
Pensando ai nipoti, bisognerebbe
non ripetere gli errori della nostra
generazione e farli uscire presto con
una vicinanza “lontana”, per il loro
bene.
La giovinezza si dice sia la fase più
bella della vita. In effetti l’adolescenza
è proprio una bella età. Si tratta
di quel periodo in cui si inizia a
diventare grandi, si continua la
“scoperta del mondo” alla ricerca
di ciò che ci piace fare, di ciò che ci
diverte. Finalmente ci è permesso
cominciare a fare certe cose. È come
una sorta di rinascita. Ma non tutto
è rose e fiori. Anzi, molte sono le
preoccupazioni che assillano i giovani
durante questa età.
La giovinezza è un periodo che oscilla
tra alti e bassi. Ci sono giorni in cui ci
sentiamo a capo del mondo, mentre
in altri ci paragoniamo a formiche.
A volte lo specchio ci fa sentire il
più bello del reame, altre volte ci fa
vedere ciò che non vorremmo, per cui
speriamo di cambiare quel fisico o
quel modo d’essere che non ci piace.
Poi ci sono i litigi con i genitori e
con gli amici, la perenne stanchezza
che ci terrebbe incollati a letto
l’intero giorno avvolti dalla noia, la
scuola che prende molto del tempo a
disposizione, i 4 in una materia e gli
8 in un’altra. La massa che ti spinge e
la moda che ti costringe. Le amicizie
che possono diventare un arrivederci
o addirittura degli addii, a cui si
aggiunge il desiderio continuo di fare
nuove conoscenze.
Che strana età l’adolescenza! Ma
forse è questo il motivo per cui non
vogliamo diventare adulti. La cosa
più assurda è sentire di continuo,
dagli adulti, che poi tutto questo ci
mancherà. Mi viene da pensare a
quanto sia bello il rapporto tra un
giovane e la giovinezza. Può sembrare
come una relazione amorosa. A
volte ci litighi, vuoi che finisca,
mentre altre, la maggior parte, sei
follemente innamorato. Certo è che il
tempo passa in pochi secondi e della
giovinezza non rimane che un bel
ricordo.
i
MARINA GUI
la nonna
Questo sentimento, che provano
molti giovani oggi, si discosta da
quello che sentiva la mia generazione.
Noi, cresciuti da famiglie severe,
non vedevamo l’ora di uscire di casa
per farci una vita, una famiglia, un
lavoro a modo nostro. Volevamo
diventare adulti e indipendenti
presto, per dimostrare che avremmo
agito diversamente dai nostri
genitori, cercando di evitare i loro
sbagli. E ora guardiamo questa
generazione, facendo fatica a
comprenderla. Forse abbiamo dato
eccessiva attenzione ai figli, tenendoli
lontani dal mondo reale, circondati
dall’affetto, accontentandoli in tutto.
I giovani, oggi, hanno in genere
un buon rapporto con la famiglia
di origine, che li aiuta. C’è stata
la crisi economica, il lavoro è un
miraggio, l’indipendenza economica
si allontana e allora continuare a fare
i
“
Non voglio
diventare adulto
i li
Nonni e nipoti
DOMANDE & RISPOSTE
i f
ffamiglia
i li e società
i à
Integrare la diversità
FEDERICO DE ROSA
[email protected]
Handicap
e normalità
Ciao Federico,
tu vorresti essere
come tutti gli altri,
cioè “normale”?
Marco - Roma
Non riesco a capire cosa
voglia dire “normale”.
Sembrerebbe che esista
uno standard, per
cui alcuni individui
sarebbero giusti mentre
altri sbagliati.
È un’idea bizzarra:
Vita di coppia
MARIA E RAIMONDO SCOTTO
[email protected]
Non avrete
il mio odio
Un parente ci ha
fatto del male.
Approfittando della
nostra mitezza, si
è appropriato di un
appartamento, che
mia moglie avrebbe
dovuto ereditare. Le
nostre relazioni si sono
alterate.
Pasquale e Lucia - Campania
Ci ha colpito il libro Non
avrete il mio odio, scritto
da un giovane giornalista
francese, dopo la vicenda
del Bataclan. Antoine
Leiris è a casa col piccolo
Melvil, quando la moglie
muore nell’attentato;
sconvolto dal dolore,
trova il coraggio di
scrivere la storia di quei
se guardo agli
autoproclamatisi
normali, constato che
sono tutti diversi. Ma
allora, questa norma
qual è? Il vostro cervello
che funziona in modalità
neurotipica sarebbe
la norma e il mio che
funziona in modalità
autistica sarebbe
anormale. Benissimo,
comincio a capirci
qualcosa. Scusate un
attimo, però, ma dove sta
scritto questo dogma?
Non potrei ragionare
che autistico è la norma
e il vostro essere ipercomunicativi, spesso
nella desolazione
di contenuti, sia un
handicap?
Non voglio eccedere
in ironia. La normalità
credo sia la proiezione
di paure ancestrali che
ciascun essere umano
tende ad avere verso chi
è diverso da sé. Questa
paura si proietta in una
visione distorta della
realtà, che ci illude di
essere al sicuro perché
siamo tra persone come
noi.
La realtà vera è che
siamo tutti diversi,
ciascuno unico con i suoi
limiti, i suoi handicap.
Quindi nessuno
dovrebbe essere escluso.
E per chi non arriva a
capirlo ci vorrebbe una
maestra di sostegno.
Preferisco restare
autistico e cercare di
allargare il perimetro
delle mie autonomie.
Sono solo penalizzato
dal vivere in una società
poco adatta alle mie
caratteristiche. Un
saluto ai simpaticissimi
normali. Non li svegliate.
Ciascuno ha diritto di
vivere come vuole. E c’è
chi ha così tanta paura
che preferisce dormire,
sognare.
giorni, senza cedere
alla rabbia. L’odio è
un veleno: prima che
agli altri fa male a noi
stessi, nuoce al nostro
equilibrio psicofisico.
In ogni famiglia
accadono episodi simili;
l’egoismo è sempre
dietro l’angolo e spinge
a possesso, maldicenza,
abuso di potere. Così
le relazioni familiari,
che dovrebbero essere
il migliore antidoto a
stress e solitudine, si
trasformano in catene
soffocanti, in fabbriche
di infelicità.
Per uscire da queste
situazioni, ci vuole il
coraggio dell’amore
che, pur denunciando
con chiarezza il male,
vuole interrompere
la catena dell’odio. Ci
vuole qualcuno che
sappia guardare in alto,
fissando lo sguardo in
quei valori che possono
migliorare la nostra
umanità. Non sono le
cose che ci donano la
pace, ma la capacità di
relazioni non violente,
nutrite di perdono e
dialogo. Possono esserci
situazioni in cui il
perdono non è facile,
soprattutto quello del
cuore. Allora bisogna
avere pazienza con noi
stessi e saper aspettare
che si rimargini la ferita,
tenendo presente che
un atteggiamento di
conciliazione di fronte a
chi ci ha offesi spesso ci
risana dentro e ci aiuta
anche a trovare le parole
giuste per spiegare le
nostre motivazioni e far
trionfare la giustizia.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
45
famiglia e società
Popolo e famiglia di Dio
DON PAOLO GENTILI
(Direttore Ufficio Nazionale
per la pastorale familiare
della Cei)
[email protected]
La musica
nuova
dell’Amoris
Laetitia
Vorrei sapere se e
come l’enciclica del
papa è stata recepita
nella Chiesa.
Giorgio
Recentemente papa
Francesco mi ha chiesto:
«Ti è aumentato il lavoro
con l’Amoris Laetitia?».
In questo testo la musica
pianeta famiglia
Stop ai
matrimoni?
Sì ma...
DOMANDE & RISPOSTE
è totalmente nuova:
«Gesù vuole una Chiesa
attenta al bene che lo
Spirito sparge in mezzo
alla fragilità» (AL 308).
In quanti giovani c’è
un desiderio di “fare
famiglia” che non
trova compimento per
mancanza di stabilità
lavorativa? Molti restano
a lungo conviventi
perché «sposarsi è
percepito come un
lusso» (AL 294). Per
altri, il matrimonio è
solo un pesante vincolo.
I padri sinodali hanno
sottolineato che è
mancato un annuncio
gioioso del sacramento
delle nozze. Occorrono
allora i nuovi occhiali
che lo Spirito Santo ci
offre per leggere con
gioia la post-modernità,
superando lo sgomento
che ci intristisce. Siamo
in grado di riconoscere
«la brace che arde
ancora sotto le ceneri»
(AL 114)? Io l’ho vista
in un uomo in cammino
verso il diaconato
permanente a Mazzara
del Vallo che accogliendo
profughi, insieme a
sua moglie, profumava
più di famiglia che di
incenso. L’ho percepita
nelle coppie della diocesi
di Treviso che, dopo
essersi preparate con il
Master in matrimonio
e famiglia, con le loro
fragilità accompagnano
ora le famiglie. L’ho
vista risplendere in
Benedetta, bimba down
con occhi dolcissimi,
al Convegno delle
famiglie di AbruzzoMolise: abbandonata alla
nascita, è stata accolta
e ha fatto diventare
la sua nuova famiglia
«fabbrica di speranza».
Questa è la musica nuova
dell’Amoris Laetitia.
BARBARA E PAOLO ROVEA
Conclusione dello studio Censis (“Non mi
sposo più”): intorno al 2030 sostanziale
sparizione dei matrimoni religiosi, con
crisi importante anche per i riti civili. E
dal 1964 calano le nascite. Dati che ci
interrogano, ma soprattutto stimolano.
Non possiamo approfondire le tante
ragioni possibili: aver presentato «un
ideale teologico del matrimonio troppo
astratto, quasi artificiosamente costruito
lontano dalla situazione concreta e dalle
effettive possibilità così come sono» (Amoris
Laetitia); la mancanza di investimenti seri
della politica sulla famiglia, che ci relega in
Europa al fondo di una classifica umiliante
(molte nazioni spendono in percentuale 2-3
volte l’Italia) e tanto altro.
Eppure… il rapporto Toniolo riferisce: da
9800 giovani (18-33 anni) emerge che l’80%
desidera una famiglia con almeno 2 figli. Dato
confermato dalla sensazione di quanti, come
noi, bazzicano da anni a contatto con giovani
e coppie giovani. Eppure… proprio in questi
mesi siamo circondati da non pochi amici dei
nostri figli che si sposano, felici di farlo.
Eppure… qualche mese fa abbiamo
patecipato a un congresso a Loppiano:
3 giorni, più di 100 coppie di giovani
innamorati, si son dovute chiudere le
prenotazioni per eccesso di richieste.
Coppie le più varie come estrazione,
interessate a condividere esperienze e
ascoltarne, soprattutto relative a dinamiche
di coppia e tra coppie. Abbiamo richieste
di “clonare” questa esperienza (annuale)
fuori Italia, nell’Est e Ovest d’Europa. Sono
tentativi orientati alla costruzione di una
società – come scrive bene l’economista
Becchetti – che soddisfi e aiuti la dimensione
fondamentale del ben-vivere umano: quella
delle relazioni interpersonali. Una società
relation-friendly direbbero gli anglosassoni
(amica delle relazioni), che tenga conto
di questo fondamentale indicatore di
benessere e che faccia un po’ di educazione
sentimentale (ai beni relazionali, diremmo
oggi). La sapienza delle relazioni non si
insegna più e si testimonia poco!
cantiere italia
AZIONI NEL PAESE
Iniziative avviate sul territorio italiano
in campo sociale, politico, economico
ed ecclesiale.
in questo numero
Amatrice (RI),
Castel Gandolfo (RM),
Siracusa
cultura delle relazioni /un impegno comune
Massimiliano Schiazza/AP
Era il nostro
dovere
«Abbiamo fatto il nostro dovere».
Questa la frase, e non di circostanza, che
abbiamo sentito pronunciare da chi si è
prodigato nelle operazioni di soccorso
scattate subito dopo il terremoto dello
scorso 24 agosto. Lo abbiamo letto
da più parti, e non solo sulla stampa
italiana: i volontari che hanno scavato,
sottraendo alla morte 237 vite e
restituendo alla pietà dei loro familiari
e delle comunità le quasi 300 vittime
del sisma, sono stati il volto confortante
di questa tragedia, insieme a tutti
quelli che si sono adoperati e si stanno
adoperando per alleviare il dolore di chi
ne è stato direttamente toccato. Senza
esibizionismo, appunto, senza cercare
pubblicità: semplicemente essendo
lì, a fianco di persone sconosciute ma
diventate prossime. Sentendo ripetere
la frase citata all’inizio, davanti alle
telecamere dei giornalisti, come di
fronte ai rappresentanti delle istituzioni
che ringraziavano i volontari a nome
degli italiani, ci è venuto in mente
quel passaggio del Vangelo dove Gesù
suggeriva di imitare il comportamento
dei propri sottoposti: «Dite: “Siamo
servi inutili, abbiamo fatto quanto
dovevamo fare”» (Lc 17, 10). Una
lezione.
Rosalba Poli e Andrea Goller
cittànuova n.9 | Settembre 2016
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cantiere italia
INTEGRAZIONE
CASTEL GANDOLFO (RM)
Dopo l’accoglienza
Franco Lannino/ANSA
QUALI PROSPETTIVE E QUALE FUTURO PER UN MIGRANTE O UN
RICHIEDENTE ASILO, UNA VOLTA TERMINATO IL PERIODO IN UN CENTRO
DI ACCOGLIENZA? “FARE CASA INSIEME” È UN PROGETTO CHE MIRA
ALL’INSERIMENTO SOCIALE A PARTIRE DA UNA RETE DI RELAZIONI
Nansy e Said sono tra i 15 mila
richiedenti asilo che hanno
fatto domanda in Italia nel 2015.
Mediorientali, due figli piccoli,
Mercurius, un anno, nato in Italia,
e Olivia, 3 anni. Sono cristiani della
Chiesa copta, vissuti fino a dicembre
in diversi centri di accoglienza di
Roma e provincia.
Ma cosa succede quando un numero
diventa un volto? Quando dietro
quel numero si scoprono storie e
persone? Possono accadere miracoli
sociali. Come quello che vi stiamo per
48
cittànuova n.9 | Settembre 2016
raccontare. Non un caso isolato, ma
la prima esperienza di un progetto
pilota che mira a “fare casa”, offrendo
un’alternativa alla vita nei centri di
accoglienza.
«Fuggiti dal proprio Paese perché in
pericolo di vita, Nansy e Said hanno
lasciato tutto: patria, famiglie di
origine, casa, lavoro, approdando in
Italia con grande umiltà. Ma passare
un anno nei centri di accoglienza li ha
completamente disorientati. Adesso
sono alloggiati in una delle nostre
case e cerchiamo di prenderci cura
di Maria Chiara De Lorenzo
/ANSA
La grande domanda è come
favorire una reale integrazione
nel Paese ospitante, una volta
usciti dai centri: imparare
davvero la lingua, conoscere
il mondo all’esterno, poter
affrontare un progetto di vita
(cfr. Dossier Immigrazione CN
aprile 2016).
di loro finché non raggiungeranno
un’autonomia economica». A parlare
è un gruppo di famiglie di Castel
Gandolfo, le prime a dire di sì a
un progetto che sembrava ardito:
prendersi cura in prima persona di
una famiglia di migranti, fino a farli
sentire a casa.
Impossibile farlo da soli: «Appena
ce lo hanno proposto, abbiamo detto
di no», confessa candidamente
Chiara Bell, tra i tutor della famiglia
mediorientale. Ma non quando si
crea una rete, e le persone coinvolte
in questo percorso di sostegno
e accompagnamento diventano
una massa critica: chi si cura di
insegnare l’italiano, chi di assolvere
gli adempimenti burocratici, chi
di inviare i curriculum per tentare
un inserimento lavorativo, chi
segue le pratiche mediche, chi fa
da baby sitter… E la rete si estende:
disponibilità da parte di pediatri,
specialisti e dentisti per offrire cure
gratuite. «In un’occasione la pediatra
stessa ha fatto da autista per portare
il piccolo Mercurius da un ortopedico
amico», raccontano.
L’amicizia tra la loro famiglia e
queste famiglie italiane cresce e si
approfondisce: a gennaio vengono
procurate le cose più necessarie
(passeggino, omogeneizzatore,
seggiolone, tritatutto); a febbraio la
famiglia è già in grado di orientarsi
per la spesa nei posti più convenienti;
a marzo un passo avanti con la
predisposizione di uno schema per
redigere un vero e proprio bilancio
che li aiuti a capire il costo della vita
in Italia.
Due volte a settimana un’équipe
d’insegnanti e baby-sitter si reca a
casa loro per le lezioni d’italiano:
«Ora riusciamo a comunicare anche
telefonicamente, senza l’aiuto dei
gesti come all’inizio. La strada, per
gente che parla solo l’arabo, è lunga,
ma ce la mettono tutta, perché
sanno che la lingua è un ostacolo per
entrare nel mondo del lavoro».
Said faceva il calzolaio e ora,
grazie a un artigiano della zona, sta
facendo un po’ di pratica anche qui.
Ma il lavoro non è sufficiente per
mantenere entrambi, e la ricerca
continua. Con Nansy realizzano
borse, zaini, grembiuli, a partire da
vecchi jeans: cuciono entrambi molto
bene, e Nansy crea anche degli oggetti
molto carini. A breve sarà disponibile
la Linea Nansy e Said!
E Nansy e Said non sono gli
unici. Con loro anche Shayeste
e Mohammed hanno trovato
accoglienza con lo stesso sistema.
Si tratta di un progetto pilota
al quale anche altre comunità
possono aderire, promosso
dall’associazione Una città non basta
Onlus, in partnership con AMU
e AFN onlus, per un percorso di
accoglienza e accompagnamento
volto a favorire l’integrazione di
rifugiati o richiedenti la protezione
internazionale all’interno delle
comunità territoriali del Lazio. La
prima fase è stata avviata nel mese di
gennaio scorso.
I dati Eurostat registrano l’Italia al
3° posto in Europa per le domande di
asilo, solo lo scorso anno 15 mila su
185 mila totali. Il lavoro non manca.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
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cantiere italia
INTEGRAZIONE
Progetto Facciamo casa insieme
Obiettivo: realizzare un percorso
specifico e personalizzato di
accompagnamento che condurrà
i beneficiari al raggiungimento
dell’autonomia economica e
relazionale.
Il lavoro è il vero problema.
Il progetto prevede di
accompagnare le famiglie
fino al raggiungimento della
loro completa indipendenza
economica, oltre che
relazionale.
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cittànuova n.9 | Settembre 2016
Durata: il percorso di
accompagnamento ha una durata
di 19 mesi. Il progetto prevede di
garantire un sostegno economico
alle famiglie che progressivamente
diminuirà nel tempo in modo da
stimolare il contributo crescente
da parte dei beneficiari stessi. In
modo parallelo le famiglie saranno
accompagnate in un percorso di
inserimento sociale nei contesti
locali in cui vivono.
Fasi del progetto: Le attività
saranno condotte in 3 fasi. Le
tempistiche sono condivise con
i beneficiari prima dell’inizio del
progetto.
Fase 1 - Accoglienza e inizio
percorso: si identifica una comunità
di accoglienza e una soluzione
abitativa adatta. Il progetto si fa
carico del pagamento dell’affitto
e delle spese domestiche.
Parallelamente inizia l’inserimento
nella comunità.
Fase 2 - Approfondimento
integrazione: i beneficiari iniziano a
contribuire al pagamento di alcune
spese (es. bolletta luce). Sono
sostenuti nella ricerca del lavoro
attraverso il supporto nella stesura
del CV, e l’accompagnamento
presso strutture competenti.
Continua l’assistenza nella gestione
domestica e il sostegno allo studio
della lingua italiana. Si provvede
inoltre all’inserimento scolastico dei
figli.
Fase 3 - Raggiungimento
autonomia: i beneficiari hanno
trovato un lavoro e sono pronti
per vivere in autonomia facendo
a meno del sostegno economico
della comunità. I beneficiari usciti
dal progetto vengono inseriti nella
rete comunitaria a sostegno di altre
famiglie nella loro stessa situazione
in modo da favorire lo scambio di
informazioni e di buone pratiche in
una logica di reciprocità.
Coordinamento del progetto:
l’équipe di progetto effettuerà
il monitoraggio costante delle
attività per garantire il pieno
raggiungimento dei risultati attesi.
Come aderire: l’Associazione Una
città non basta ONLUS è in grado
di operare anche al di là del suo
specifico territorio di appartenenza.
A partire dal progetto sarà possibile
identificare altre comunità locali
presso cui organizzare e gestire i
percorsi di accoglienza.
Come sostenere il progetto:
c/c bancario n. 120434 presso
Banca Popolare Etica - Filiale
di Roma codice IBAN: IT16 G050
1803 2000 0000 0120 434
intestato a AMU - Ass. Azione per
un Mondo Unito Onlus CAUSALE:
Facciamo casa insieme.
Dettagli del progetto:
www.focolaritalia.it
Contatti e info: tel. 348 8064931
Facebook: Una città non basta
Curioso
di natura
Al Museo delle Scienze di Trento
vi aspettano sei piani dedicati a scienza,
natura, tecnologia e ai grandi temi del futuro del pianeta,
come lo sviluppo sostenibile e il rispetto ambientale.
E fino al 26 giugno 2017 la grande mostra
“Estinzioni. Storie di catastrofi e altre opportunità”.
MUSE - Museo delle Scienze
Corso del Lavoro e della Scienza, 3
38122 - Trento
www.muse.it
cantiere italia
CITTADINANZA ATTIVA
SIRACUSA
L’impegno riparte
dalle periferie
PER LA TERZA ESTATE CONSECUTIVA, I QUARTIERI AKRADINA E TIKE,
E DA QUEST’ANNO ANCHE QUELLO DI GROTTASANTA,
HANNO OSPITATO IL “SIRACUSA SUMMER CAMPUS”,
ORGANIZZATO DAI GIOVANI PER UN MONDO UNITO D’ITALIA
Dal 2 all’11 agosto i giovani
dei Focolari hanno prestato
servizio concreto alla periferia
di Siracusa con attività
per chi ha più bisogno,
per gli ultimi e soprattutto
per i bambini.
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cittànuova n.9 | Settembre 2016
Diffondere una “cultura del noi” e
creare un terreno fertile su cui far
nascere uno “spirito di comunità”:
questo era l’obiettivo per cui 120
giovani provenienti da 17 regioni
italiane si sono dati appuntamento a
Siracusa quest’estate.
Per 10 giorni hanno tenuto
vari laboratori (musica, danza,
giornalismo, teatro, pittura) insieme
a circa 130 bambini delle scuole
Martoglio e Chindemi: ragazzi
brillanti ma invisibili, che vivono
ai margini della città, in assenza di
spazi o strutture accoglienti, humus
ideale per la malavita. In tale contesto
un semplice litigio può diventare il
pretesto per saldare i conti ricorrendo
alle maniere forti. Attraverso il
confronto con le mamme e i bambini,
è stata ribadita dagli animatori
l’importanza fondamentale di saper
fare gruppo, coltivando il rispetto e
il dialogo reciproco. Sorprendono le
parole pronunciate l’ultimo giorno da
un ragazzino: «Smettiamola di fare
i mafiosi. Basta con la violenza e la
vendetta. Siamo cambiati adesso».
A conclusione del Campus, nel
cortile delle due scuole e in presenza
di genitori e abitanti del quartiere,
sono stati realizzati due spettacoli,
frutto dell’esperienza vissuta
nei vari laboratori. Suggestiva la
rappresentazione teatrale messa in
scena dai ragazzi in cui l’eroe Guido,
a bordo della sua mongolfiera, riesce
nell’impresa di colorare Grigiolandia.
I ragazzi del Campus hanno anche
realizzato alcune opere concrete:
di Giuseppe Arcuri e Raffaele Natalucci
«L’esperienza di questi 3
anni – afferma Carmelina
Morana, di Rosolini – è stata
un’opportunità per essere
ciascuno strumento di
cambiamento alla scoperta
della bellezza autentica che
vive oltre le apparenze».
«Il team della riqualificazione –
spiega Maria Chiara Cefaloni di
Ciampino – è stato un vero e proprio
laboratorio creativo. Ci siamo
messi a disposizione del quartiere,
realizzando le insegne per il “Solarium
Vaccamotta”, sistemando il campo di
calcio della scuola e alcuni locali della
“Casa del Cittadino”, una struttura
diventata punto di riferimento per
il quartiere. Un’esperienza che ci ha
fatto sperimentare cosa significhi non
temere di sporcarsi le mani».
Nei pomeriggi ci sono stati vari
momenti di approfondimento sui
temi della legalità, azzardo e finanza
etica, immigrazione e accoglienza,
pace e disarmo. Significativa la
testimonianza di Gregorio Porcaro,
in passato giovane seminarista con il
desiderio di impegnarsi per i poveri
del terzo mondo, diventato poi
viceparroco al fianco di don Puglisi,
dopo aver toccato con mano la miseria
nel quartiere Brancaccio di Palermo:
«Puoi fare qualsiasi cosa se ti metti
nella prospettiva di amare».
Illuminante anche l’intervento
di Keith Abdelhafid, imam della
Moschea della misericordia di Catania
e presidente dalla Comunità islamica
di Sicilia: «Cambiare la società e
abbattere i muri che alcuni stanno
cercando di costruire è compito degli
uomini della fede – ci ha detto –. Da
musulmano il testo sacro mi indica
che devo “dialogare”. Lo scontro è la
fine, la distruzione. Lo scambio è la
vita, è il futuro dell’uomo. La Sicilia
oggi è un modello di dialogo». Parole,
queste, pronunciate nella parrocchia
Maria Madre della Chiesa di Bosco
Minniti, dove don Carlo, il parroco, da
anni ha aperto le porte della chiesa ai
migranti, in larga parte musulmani.
Colpisce l’invito rivolto da uno di loro:
«Durante la nostra vita, nei rapporti
con gli altri, lasciamo segni e non
cicatrici».
Al termine del campus, afferma Clara
Anicito, di Paternò: «C’è bisogno
di lottare, nella propria terra, ogni
giorno, con la speranza che qualcosa
cambi, con la necessità di farlo, con
tutte le paure e il coraggio che questo
comporta. Quel sogno chiamato
libertà, chiamato cambiamento,
chiamato speranza, non solo è reale
ma è vivo e batte in quei 120 cuori, e
chissà in quanti altri in tutta Italia e in
tutto il mondo».
cittànuova n.9 | Settembre 2016
53
storie
TEMPO PER GLI ALTRI
vedrai come
sarai contenta!
Un numero di telefono.
Una ragazza molto timida. Un bambino
col labbro leporino. Un racconto di gioia
di Michele Genisio / illustrazione di Valerio Spinelli
Seduti uno di fronte all’altra,
Maddalena mi racconta. Era una
ragazzina, allora, nel ’54, buona,
timida, educata e lavoratrice, di
famiglia povera, una ragazzina
di provincia, nel cuneese.
Nel cuore grandi aspirazioni:
studiare, diventare medico,
fare del bene, magari andare
in Africa. Mi racconta che in
quel periodo conobbe una certa
Giusta. Le piaceva quella donna,
col suo modo di fare aperto e
luminoso. Giusta aveva appena
conosciuto il Movimento dei
Focolari che era animato da
tanti ideali, entusiasmo, novità,
attirava tante persone e suscitava
la riprovazione di altre. Giusta
scrisse su un biglietto un numero
di telefono e lo diede a Maddalena
raccomandandola di chiamare:
«Vedrai che sarai contenta», le
disse con una sicurezza che le fece
tremare il cuore. Era un numero
di Torino, la città dove Maddalena
lavorava presso una famiglia
benestante. Raggranellava così
un po’ di soldi che, spendendo il
minimo indispensabile, metteva
da parte, anche se erano proprio
pochi. La speranza era di averne
un giorno abbastanza per poter
studiare e, chissà, diventare
medico. Nei giorni che seguirono,
la frase le ronzava nella testa:
«Vedrai che sarai contenta».
Ma era timida, e il biglietto col
54
cittànuova n.9 | Settembre 2016
numero di telefono rimaneva
lì, in una tasca. Passò parecchio
tempo. Un giorno si fece coraggio.
Infilando con trepidazione il
dito nella rotella del telefono
compose il numero. S’aspettava
la voce dolce, incoraggiante
di una donna, magari una
suora o una maestra.
Rispose invece un
vocione di uomo:
«Pronto, chi
parla?».
Maddalena si spaventò e mise
giù la cornetta. Riprovò poco
dopo, credendo d’aver sbagliato
numero. Ancora quell’uomo. Mise
giù di nuovo. Nelle settimane
che seguirono era combattuta, se
riprovare o stracciare il biglietto.
Ma quella frase nella sua testa
aveva il valore d’una promessa.
Riprovò alcune volte. Sempre quel
vocione, e lei che metteva giù la
cornetta.
Un giorno raccolse il coraggio
e parlò. Disse che le aveva dato
il numero la signora
Giusta, che le
aveva parlato dei Focolari. Il
vocione dell’uomo risuonò di
tutta l’affabilità d’un padre: «Ma
certo, io sono Vittorio – le disse
–. Ti passo la mia segretaria».
Le passò una donna, che lei non
riuscì a capire come si chiamava,
Dirce o Desi. «Vieni a trovarci»,
le disse. Le diede appuntamento
in un alloggio di corso Dante.
Grande fu il suo stupore quando
entrò in quella che era una delle
prime comunità dei Focolari. In
”
Era timida, e il biglietto
col numero di telefono
rimaneva lì,
in una tasca.
Passò parecchio
tempo. Un giorno
si fece coraggio.
effetti – si chiese poi – perché
aveva provato tanto stupore?
Non c’era nulla in quella stanza,
povera e senza mobili. Solo una
persona seduta su una sedia e le
altre per terra. C’era Desi-Dirce,
alcuni uomini, alcune donne. Uno
era in divisa da postino, Beppe si
chiamava. Un altro era ferroviere.
Uno garagista. C’era Vittorio,
quello del vocione: lui era un
pezzo grosso (anche fisicamente),
un avvocato, era stato partigiano
e politico, ma aveva gli occhi
luminosi d’un bambino. C’era
Mariuccia, una giovane donna
con un passato comunista. C’era
Tonino, studente di medicina.
Pigiati in quella piccola
stanza, parlavano.
Raccontavano fatti
della loro vita.
Fatti semplici, ma
pregni di vita. Fatti
autentici, senza
fronzoli, pulsanti
di Vangelo. L’anima
di Maddalena
sussultava di gioia.
Gliel’avessero detto
che si poteva essere
così contenti non
ci avrebbe creduto.
Ma contenta di cosa?
Dei fatterelli che
raccontavano quelle
persone? No. Contenta
per una presenza a cui
non sapeva dare nome,
ma che s’imponeva
con evidenza in quella
stanzetta. Esclamò
dentro di sé: «Qui c’è
un clima di paradiso!»,
ma non sapeva quello
che diceva. A un certo
punto parlò Antonietta,
una giovane mamma. Con
semplicità, quasi parlasse
di cosa accadeva a un’altra,
Antonietta raccontò del suo
bambino di un anno, nato col
labbro leporino e il palato aperto.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
55
storie
TEMPO PER GLI ALTRI
Avrebbero dovuto operarlo, ma
la chirurgia plastica a quell’epoca
era agli albori. Ci volevano soldi
e loro non li avevano, lavorava
solo il papà, operaio in un piccola
fabbrica. Antonietta raccontò
quello che più la lacerava in quel
momento. Prima di uscire di casa,
suo marito, in un momento di
sconforto, le aveva rimproverato
con amarezza: «Perdiamo tempo
ad andare dietro ai preti, a quelli
del Focolare, invece dovremmo
lavorare di più per cercare i soldi
per questo bambino, e lasciar
perdere quelle cose lì».
Dopo le parole d’Antonietta, un
attimo di silenzio. E subito Beppe,
il postino, si tolse l’orologio
d’oro – un’eredità, l’unica cosa
preziosa che aveva – e lo posò
per terra: «L’ora la potrò chiedere
a chi passa e potrò parlare con
tanta gente». Tonino, lo studente:
«Vado a vendere alcuni miei libri
di medicina, che valgono tanto».
Altri misero sul pavimento quello
che avevano. Antonietta era
contenta, ma il suo volto sembrava
non fosse cambiato: era luminoso
quando aveva raccontato il
suo cruccio, era luminoso ora
che vedeva quella provvidenza
inaspettata, di fronte a lei sul
pavimento.
«Uscimmo – continua Maddalena
– e tornando a casa non toccavo
con i piedi per terra. Quella
frase, “Vedrai sarai contenta”,
era un giubilo nel mio cuore».
Quella sera Maddalena volle fare
qualcosa anche lei. Prese il suo
libretto di risparmi e lo portò a
Desi, nell’alloggio di corso Dante.
Era tutto quello che aveva, poca
cosa in realtà. Addio sogno di
studiare! Aveva però trovato
qualcosa che valeva molto di
più. Oggi Maddalena ha 80 anni.
Quando termina il racconto, sento
un tuffo al cuore. Perché è un
fatto stupendo. E anche perché
quell’Antonietta del suo racconto
è la mia mamma, morta alcuni
anni fa. E quel bambino, che poi è
stato operato, sono io.
Cristiana Caricato
DUE MADRI
Marco Onofrio
DIARIO DI UN PADRE
INNAMORATO
IN
Salvatore D’Antona
UN BACIO
PRIMA
PR
RIMA DELL
DELL’ALBA
ALBA
Due donne che hanno
nno
in comune il dolore
della perdita,
un’amicizia che le
porterà a scoprire un
nuovo modo di essere
madri.
Con un saggio di
Giuseppe Di Nola
Nascesti alle
N
9.50 minuti.
Eri tu:
unica irripetibile...
Trepidazioni, paura,
gioia di un uomo
che diventa padre.
Con un saggio di
Paolo Di Paolo.
L’a
L’alba
L
alba di un primo
bacio, preludio
del tempo bello
che verrà. Due storie,
due amori, due
epoche diverse…
Con un saggio di
Loredana Petrone.
Raccontare
e.
per comprendere.
Racconti che parlano di noi.
Passaparola è la collana dedicata
alla famiglia e ispirata a storie vere.
Ogni due mesi un volume di 120
pagine con un breve saggio sul tema
in appendice.
Abbonamento annuale carta (6 libri)
28 euro
ABBONAMENTO ANNUALE DIGITALE 19 EURO
Disponibile anche in libreria.
CONTATTACI
T 06 96522200-201
[email protected]
www.cittanuova.it
sognare… con
i piedi per terra
Sogni che poi si
avverano sono quelli
di Loris, insegnante
crotonese il cui mix italotedesco si sta rivelando
vincente in Calabria
a cura di Oreste Paliotti
Dieci anni fa la loro sede erano
i bar. Squattrinati, con niente
di concreto tra le mani, solo
sogni nella testa. Oggi hanno
un’associazione che fa corsi
di lingua tedesca nella scuola
dell’obbligo e gestisce a Crotone
un centro di aggregazione per
ragazzi, presso Cutro un ostello
della gioventù, nel comune di
Cropani un albergo diffuso e a
Cropani Marina una casa vacanza.
Ieri sollecitavano finanziamenti
dalle istituzioni, oggi non riescono
a soddisfare le offerte di beni
comunali in gestione. Sono Loris
e Lidia Rossetto. Lui insegna la
lingua di Goethe a 250 ragazzi
di una scuola media a Crotone.
Lei fa sostegno scolastico. Tre
figli: Cristian, Serena e Sara.
«Da Crotone, appena sposati
15 anni fa – racconta Loris –, ci
eravamo trasferiti in Trentino,
dove avevo trovato lavoro come
insegnante di sostegno. Pensavo:
la Calabria è una bella terra, però
l’economia non va. Se facciamo
macchine, i tedeschi sono più
bravi; se facciamo magliette, i
cinesi ci battono. Sul turismo però
possiamo essere concorrenziali.
Chissà cosa potrebbe venir fuori
coniugando la cordialità della
nostra gente con l’efficienza tipica
del mondo germanico…».
Lo attirava l’idea di favorire lo
Loris Rossetto (in piedi al centro) a San Leonardo di Cutro (KR).
sviluppo del territorio attraverso
la conoscenza della lingua tedesca
e gli scambi culturali con i Paesi
del Centro Europa. Quanto a
Lidia, «io mi trovavo bene in
Trentino – interviene –, lavoravo
come Tagesmutter, una sorta di
assistente all’infanzia che ospita
a casa sua i bambini di altre
mamme. In Calabria i nostri figli
non avrebbero usufruito delle
stesse possibilità che in Trentino.
Loris ha dovuto convincermi».
Dopo l’abilitazione, appena si apre
per lui la possibilità di insegnare
in Calabria, i Rossetto fanno
ritorno a Crotone. È l’estate del
2005 e già il 2 luglio dell’anno
seguente, col sostegno del GoetheInstitut, nasce l’associazione
“Amici del tedesco”: «Molti mi
dicevano: “Ma tu sei matto! Chi
vorrà mai studiare il tedesco?”».
Più tardi, a sorpresa, una
Fondazione, riutilizzando beni
confiscati alla mafia, finanzia
il loro progetto di un centro di
aggregazione giovanile. «Hanno
creduto in noi che avevamo un
bilancio di soli 500 euro! – osserva
Lidia –. Tre anni dopo abbiamo
vinto un altro bando per un
nuovo progetto: un ostello della
gioventù. Ci hanno sostenuto la
Croce Rossa tedesca, un istituto
culturale di Innsbruck, una
cooperativa del Trentino, ma
soprattutto il comune di Hamm,
180 mila abitanti».
Quando il sindaco e un assessore
di lì hanno avviato questa amicizia
– precisa Loris –, si son sentiti
dire: «Non potevate scegliere una
regione più tranquilla come la
Toscana?». Invece loro si erano
innamorati di questa terra.
Con difficoltà all’ordine del giorno
da affrontare, saranno mai venuti
dubbi ai Rossetto sulla scelta
fatta? Loris sorride, rispondendo
per entrambi: «Io sono per
l’ordine, per le cose fatte bene,
mentre qui spesso mi scontro
con una realtà diversa. Tante
volte verrebbe da dire: “Basta,
torniamocene su in Trentino, là
stavamo più tranquilli”. Cosa ci fa
cambiare idea? Guardare le cose
con gli occhi della fede. Tanti si
lamentano che da noi in Calabria
le cose vanno male: proprio
questo è un incentivo per restare
e dare l’esempio che è possibile
un cambiamento. Un giorno il mio
preside di Bressanone, sapendomi
intenzionato a tornare in Calabria,
mi ha detto: “Loris, non smettere
mai di sognare”. E i sogni si
stanno avverando».
cittànuova n.9 | Settembre 2016
57
storie
TEMPO PER GLI ALTRI
amore
condiviso 2.0
Giovanna è una giovane
siracusana, sposata,
ricercatrice con borsa
di studio post-dottorale
presso l’Università di
Catania. Ha postato
su Facebook una sua
esperienza
a cura di Marco Fatuzzo
«Andavo da Siracusa verso
Catania. Dentro la prima
galleria, scorgo da lontano due
figure nere come la pece che
camminano al bordo della strada
e che le automobili scansano.
Passo accanto a loro e noto che
si tratta di due giovanissimi
extracomunitari. Li supero e
procedo oltre.
Ma all’uscita della galleria, mi
fermo alla prima piazzola. Li
aspetto. Quando si avvicinano,
chiedo loro dove stanno andando.
Non parlano né italiano, né
inglese, né francese. Pronunciano
la parola “Catania” e li faccio
salire, tra lo stupore e anche un
po’ di timore da parte loro.
Mi fanno capire di voler
raggiungere Milano, ma non
sanno neppure con quale mezzo.
Sembrano due cani bastonati,
indossano vestiti vecchi e logori,
sono magri e sporchi. Non hanno
nessuna borsa, l’unica cosa che
portano è mezza bottiglia d’acqua.
Avranno circa 18, 20 anni.
Giunti a Catania, mi fermo alla
stazione ferroviaria, li faccio
scendere e chiedo loro a gesti se
hanno mangiato. Mi fanno cenno
di no, e chissà da quanto. Do loro
dei panini, i soldi che avevo nel
58
cittànuova n.9 | Settembre 2016
portafoglio, e loro mi guardano
stupiti, mi dicono tante volte
“grazie”.
Li saluto, sperando in cuor mio
che possano avverare i propri
sogni.
Un’automobile che avevo notato
da un bel po’ di tempo dietro di
me in autostrada, mi si affianca.
L’autista è un signore gentile,
che mi dice di aver visto la
scena, decidendo di farmi da
scorta “perché, non si sa mai…”.
Aggiunge: “Si è trattato di un bel
gesto. Dio ti benedica”, e poi è
andato via.
Molti ben pensanti avrebbero
detto che sono una grande
sprovveduta, che si tratta di
situazioni pericolose da evitare...
Ma io sono stata alla “scuola di
padre Carlo” che nelle periferie
di Siracusa da 20 anni si occupa
di extra-comunitari. So guardare
al di là di ciò che vedo. Riconosco
oramai gli occhi spauriti di
bambini di questi scarti del nostro
tempo, costretti a lasciare le loro
certezze, i propri affetti, senza
portare nulla, quasi nudi e privati
di una dignità che dovremmo
garantire a ogni essere umano.
Conosco lo sguardo basso di
costoro, pronto però a incrociare
i tuoi occhi per ringraziarti fino
all’esasperazione anche solo per
un tuo sorriso, perché sanno
di essere indesiderati, sanno di
essere rifiuti della nostra società, e
una nostra piccola considerazione
può ridestarli alla dignità di
persona e dà loro una piccola
speranza: la speranza che in noi,
cittadini del benessere, ci siano
ancora un seme di umanità e una
piccola fiammella di fraternità».
Fin qui il racconto di Giovanna.
La sua condivisione su Facebook
ha ricevuto numerosissimi
commenti. «Grazie Giovanna!
Ogni tanto una sveglia dal torpore
che ci avvolge ci vuole». «Grande
Giovanna, tanti di noi avrebbero
esitato, anteponendo paure o
esigenze personali». «Pensa
Giovanna, ho visto anch’io quei
ragazzi stamattina in autostrada,
e non mi sono fermata. Tu sei
stata veramente coraggiosa».
squilla
il telefono
In Comune spesso
nessuno risponde,
ora ci penso io
di Giosito Ciampa
Lavoro presso il Comune della
mia città, dove coordino un
servizio. Un mese fa, ho preso
una settimana di ferie. Da
fuori ho avuto la necessità di
contattare qualcuno dei miei
collaboratori per presentare
un problema e prospettare la
soluzione. Nonostante abbia
digitato 5 numeri telefonici, sono
rimasto a lungo in attesa senza
che nessuno mi rispondesse. Sono
rimasto molto male e ho pensato
ai cittadini che, telefonando in
Comune, non ottenevano risposta
facendosi così un’idea non proprio
bella dell’andamento degli uffici.
Da quando sono rientrato al mio
posto di lavoro, nonostante i
molteplici impegni e la certezza
che il 90% delle volte chi chiama
vuole passati altri uffici, ogni volta
che squilla il telefono rispondo
sempre, malgrado io non sia il
centralinista. A volte mi verrebbe
la tentazione di lasciare squillare
l’apparecchio ma passa subito; i
cittadini si sentono considerati
e io mi sento gratificato di poter
dare loro delle risposte.
storie
INCONTRI ROMANI
non sono
un pesce rosso
Waris è del Pakistan. Sposa Pina,
una coreana, e vive a Roma. Lavora
per un’organizzazione umanitaria e incontra
migliaia di giovani a cui racconta la sua storia
di Aurelio Molè
Waris con la moglie Pina e le figlie.
Un eloquio dirompente. Una
simpatia calamitata da un sorriso
avvolgente. Una nuova storiella
da raccontare sempre pronta:
divertente e sapiente. Non è
un comico, ma spesso strappa
una risatina. Il suo nome deriva
dal poeta Waris Shah, un sufi
considerato lo Shakespeare
del Punjab. Il nostro Waris è
anch’esso pachistano, ma suo
padre, anche se cattolico, gli
diede il nome di un grande
mistico musulmano della “terra
dei cinque fiumi” perché sapeva
cantare a memoria i suoi poemi
mistici.
Una caratteristica, il saper
narrare “frammenti d’amore”
che facevano bene al cuore, che
è, evidentemente, caratteristica
genetica, tramandata di padre
in figlio. Chi lo ascolta rimane
incantato per l’autenticità della
sua vita e la sua storia, densa di
gustosi episodi, narrata in Non
sono un pesce rosso per CNx, si
legge tutta d’un fiato.
La sua originalità è lui stesso,
nell’epopea della sua storia e nella
sua famiglia, un vero meticciato
di civiltà e culture. Slanciato, viso
ovale, occhi scuri, portamento
da principe orientale, dai modi
gentili forma con la moglie Pina,
una bella donna coreana, una
coppia che non ti aspetti. Tanto
più che, entrambi, dalla fine degli
anni ’80 vivono, si sono sposati e
hanno avuto due figlie a Roma.
Un aneddoto dello scrittore
Anthony De Mello ben si adatta
alla storia di Waris: «Una signora,
volendo cambiare l’acqua della
vaschetta dei suoi pesci rossi, li
trasferì nella vasca da bagno per
alcuni minuti. Era convinta che
i pesciolini gioissero di quello
spazio maggiore. Ma quando
tornò a riprenderli, enorme
fu la sua sorpresa nel vedere
che nuotavano in tondo in un
angolo, proprio in uno spazio
corrispondente alle dimensioni
della loro vaschetta».
Waris non è un pesce rosso.
È l’assioma vivente che si
può cambiare, e in meglio. Si
possono modificare le proprie
abitudini, allargare gli orizzonti,
fare scoperte sempre nuove ed
evidenziare la bellezza e la cultura
del Belpaese che lo ha adottato
senza perdere la propria identità.
Nato nel Punjab da genitori
contadini si trasferisce a Karachi
perché il padre trova un impiego
nella marina pakistana. Waris
trascorre le sue giornate con i
suoi amici in riva a un mare di
un azzurro intenso, imparando a
catturare i pesci intrappolati tra
gli scogli, facendo amicizia con i
pescatori che portavano in cuore
il sapore del mare. «Nessuno di
noi andava a scuola». L’incontro
con un pescatore gli cambia la
vita: il figlio è morto a 12 anni
mentre giocava con gli amici sulla
riva del mare. Trascinato a largo
da un’onda anomala. «Quella
cittànuova n.9 | Settembre 2016
59
storie
INCONTRI ROMANI
sera stessa ଫ racconta Waris ଫ ne
parlai con mamma: “Voglio andare
a scuola, perché ho sentito da un
signore sulla spiaggia che chi non
studia non ha futuro”». È una
vita dura, percorre 12 chilometri a
piedi ogni giorno per raggiungere
la scuola elementare più vicina.
Giunto alle scuole medie non può
permettersi di pagare le tasse e
così, per essere esentato, trasporta
ogni sera due taniche d’acqua di
20 litri ciascuna per 2 chilometri
a piedi per riempire la cisterna
della sua scuola. È deriso dai suoi
compagni, secondo i più classici
schemi di un bullismo senza
Waris ଫ gli occhi di una ragazza
che salutava tutti sorridendo; mi
disse semplicemente: “Aspetta
un attimo, ti pulisco il sedile”. Un
gesto davvero gentile e cordiale,
fatto con tanta grazia e dolcezza
che mi portò in cuore gioia ed
entusiasmo. Guardavo i suoi occhi
a mandorla pieni di luce. Vestiva
in modo “fresco” e giovane e
l’abbinamento dei colori lasciava
trasparire l’armonia di un Oriente
più lontano del mio». È colpo
di fulmine da cui Waris cerca di
ripararsi con un ombrello fatto di
doveri, di studi, di impegni presi
con la sua famiglia che lo attende
Parenti e amici festeggiano il loro 25° di matrimonio.
confini. Ma un professore gli disse
una di quelle frasi che restano:
«Non importa da dove vieni, non
importa se a casa tua non hai
tante cose firmate come i tuoi
compagni. L’importante è dove vai
nella vita e se hai uno scopo, una
meta da raggiungere».
Dopo il diploma, gli studi
universitari e la grande svolta.
Un sacerdote gli offre una borsa
di studio biennale per studiare a
Roma in una università pontificia.
«Impossibile», è la sua risposta.
Nel 1988 è a Roma.
Pina la incontra subito, sul
pullmino che lo porta in Questura
per richiedere il permesso di
soggiorno. «Incrociai ଫ ricorda
60
cittànuova n.9 | Settembre 2016
Waris lavora per la Onlus Gruppo India.
perché lui è essenziale per il
suo sostentamento. La famiglia
di Pina, al contrario, dopo un
trasferimento dal Nord al Sud
della Corea per motivi di lavoro
dopo la Seconda guerra mondiale,
ha un grande e frequentato
negozio di stoffe pregiate.
Terminati gli studi, per entrambi,
è ora di tornare a casa. Come
sempre Waris si affida a Maria. Il
1° settembre è il suo compleanno.
Veste l’abito tradizionale
pakistano e con Pina organizza
una festa. «Io non so ballare ଫ
ricorda ଫ ma quella sera, insieme
agli amici latino-americani,
abbiamo ballato a lungo. C’era
luna piena e le stelle spuntavano
ovunque nel cielo». Lo scenario
adatto per incoraggiare Waris.
«Spero che la mia domanda non
ti offenda. Mi vuoi sposare?».
Dopo una lunga notte, il giorno
seguente, la risposta di Pina:
«Ho pensato alla tua proposta di
matrimonio. Siamo molto diversi
ma le nostre diversità possono
diventare una grande ricchezza.
Sì, Waris, anch’io sono innamorata
di te e ti voglio sposare». La vera
storia comincia dopo l’happy
end, fatta di grandi scelte, piccoli
sacrifici, gioie piene, tribolazioni.
Una vita ancora in corso.
Waris Umer, Non sono un pesce rosso
Se voglio posso cambiare, e in meglio.
CNx
spiritualità
PAROLA DI VITA
di FABIO CIARDI
«Perdona l’offesa al tuo prossimo
e allora per la tua preghiera ti
saranno rimessi i peccati» (Sir 28, 2)
Ottobre
In una società violenta come quella nella
quale viviamo, il perdono è un argomento
difficile da affrontare. Come si può
perdonare chi ha distrutto una famiglia,
chi ha commesso crimini inenarrabili o chi,
più semplicemente, ci ha toccato sul vivo
in questioni personali, rovinando la nostra
carriera, tradendo la nostra fiducia?
Il primo moto istintivo è la vendetta, rendere
male per male, scatenando una spirale
di odio e aggressività che imbarbarisce
la società. Oppure interrompere ogni
relazione, serbare rancore e astio, in un
atteggiamento che amareggia la vita e
avvelena i rapporti.
La Parola di Dio irrompe con forza nelle più
varie situazioni di conflitto e propone, senza
mezzi termini, la soluzione più difficile e
coraggiosa: perdonare.
L’invito, questa volta, ci giunge da un saggio
dell’antico popolo di Israele, Ben Sira, che
mostra l’assurdità della domanda di perdono
rivolta a Dio da una persona che a sua volta
non sa perdonare. «A chi [Dio] perdona i
peccati? – leggiamo in un antico testo della
tradizione ebraica – A chi sa perdonare
a sua volta»1. È quanto Gesù stesso ci ha
insegnato nella preghiera che rivolgiamo al
Padre: «Padre… rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori»2.
Anche noi sbagliamo, e ogni volta
vorremmo essere perdonati! Supplichiamo
e speriamo che ci sia data nuovamente
la possibilità di ricominciare, che si abbia
ancora fiducia nei nostri confronti. Se è
così per noi, non lo sarà anche per gli altri?
Non dobbiamo amare il prossimo come noi
stessi?
Chiara Lubich, che continua a ispirare la
nostra comprensione della Parola, così
commenta l’invito al perdono: esso «non
è dimenticanza che spesso significa non
voler guardare in faccia la realtà. Il perdono
non è debolezza, e cioè non tener conto
di un torto per paura del più forte che
l’ha commesso. Il perdono non consiste
nell’affermare senza importanza ciò che
è grave, o bene ciò che è male. Il perdono
non è indifferenza. Il perdono è un atto di
volontà e di lucidità, quindi di libertà, che
consiste nell’accogliere il fratello così com’è,
nonostante il male che ci ha fatto, come
Dio accoglie noi peccatori, nonostante i
nostri difetti. Il perdono consiste nel non
rispondere all’offesa con l’offesa, ma nel fare
quanto Paolo dice: “Non lasciarti vincere dal
male, ma vinci con il bene il male”3.
Il perdono consiste nell’aprire a chi ti fa del
torto la possibilità d’un nuovo rapporto con
te, la possibilità quindi per lui e per te di
ricominciare la vita, d’aver un avvenire in cui
il male non abbia l’ultima parola».
La Parola di vita ci aiuterà a resistere
alla tentazione di rispondere a tono, di
ricambiare il male subìto. Ci aiuterà a
vedere chi ci è “nemico” con occhi nuovi,
riconoscendo in lui un fratello, anche se
cattivo, che ha bisogno di qualcuno che
lo ami e lo aiuti a cambiare. Sarà la nostra
“vendetta d’amore”.
«Dirai: “Ma ciò è difficile” – continua Chiara
nel suo commento –. Si capisce. Ma qui è il
bello del cristianesimo. Non per nulla sei alla
sequela di un Dio che, spegnendosi in croce,
ha chiesto il perdono a suo Padre per chi gli
aveva dato la morte. Coraggio. Inizia una
vita così. Ti assicuro una pace mai provata e
tanta gioia sconosciuta»4.
1 Cf. Talmud babilonese, Megillah 28a.2.
2 Mt 6, 12.
3 Rom 12, 21.
4 Costruire sulla roccia, Città Nuova, Roma 1983,
p. 46-58.
testimoni
del Vangelo
Jozsef Mindszenty patì in
Ungheria i totalitarismi del XX
secolo. Fu arrestato nel 1919
sotto la Repubblica sovietica
ungherese. Venne eletto vescovo
nel 1944 e incarcerato di nuovo
dai nazisti per un anno. Divenne
primate d’Ungheria e poi
cardinale. Arrestato per la terza
volta nel 1948 venne liberato
durante la rivolta di Budapest del
1956. Il suo discorso sulla libertà
in Parlamento fu trasmesso in
tutto il Paese. Ma la sera stessa
dovette rifugiarsi nell’ambasciata
americana di Budapest. Morì
a Vienna nel 1975. È in corso la
causa di beatificazione.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
61
spiritualità
GMG A CRACOVIA
odissea (ed epopea)
dei braccialetti
arancioni
Reportage alternativo dalle periferie della Giornata mondiale della
gioventù. L’avventura di 49 italiani provenienti da Lazio e Toscana
Tutto è cominciato lì, davanti a
quel box office. Fuori Cracovia,
all’ingresso del Micura Tent
Camp (leggi “tendopoli”). Sono
ormai alle spalle le 20 ore di
pullman per arrivare da Roma
a Brno (Cechia) dove ci siamo
concessi la prima sosta, con notte
su un letto comodo, doccia e
colazione. Sarebbe stata l’ultima
prima del rientro, ma ancora non
62
cittànuova n.9 | Settembre 2016
lo sapevamo. È lontana anche
Wadowice, visitata solo poche
ore prima, con la casa museo di
Giovanni Paolo II e una storia
che parla di lui e scava segni
profondi nell’anima, desiderio di
eroismo e di santità. Una frase su
tutte: «Solo l’Amore può impedire
all’uomo di scivolare nell’abisso»,
inchiodando così nella mente
l’unica arma di resistenza agli
orrori del nazismo e della
dittatura comunista.
Braccialetti arancioni
Sono quelli che ci vengono
assegnati al momento della
registrazione, a metà tra
braccialetto da ospedale e da
villaggio turistico, con una
simpatica scritta in polacco. Fieri
del nostro voucher che ci sta per
di Mara Randazzo
aprire le porte a tutti i servizi
del pacchetto Gmg: alloggio
a Cracovia, ticket per i pasti,
zainetto del pellegrino, pass. Ma
c’è un ma: il braccialetto che ci
assegnano è arancione e non
giallo come deve essere, perché
i gialli... sono finiti! Solo che gli
arancioni non li lasciano entrare.
È una questione di sicurezza,
dicono. Ok, aspettiamo che arrivi
il responsabile. Il momento è
un po’ critico. Dopo una lunga
attesa: tutti in fila! A uno a uno
i nostri braccialetti vengono
segnati con un Uniposca nero
(proprio così) e finalmente... Tra
il fango e il buio, arriviamo a una
tenda. È l’1.30. #pensapositivo
dice qualcuno, almeno non ha
piovuto! Naturalmente niente
cena e domani colazione tra le 5 e
le 7. Ma i ragazzi sono tutti felici, e
anche noi. Anche questa è Gmg!
La discesa a Cracovia
Al mattino il responsabile non c’è
più. Rimangono solo i volontari con
le facce stanche che ci comunicano
lapidari: «Potrete ritirare i ticket
solo a partire dalle ore 14». Paolo,
Lela e Doro si sacrificano ad
attendere l’apertura del ticket
office e col resto del gruppo ci
incamminiamo verso Cracovia
centro. Vedremo almeno qualcosa
della Polonia, la cattedrale del
Wawel, dove Giovanni Paolo II ha
celebrato la prima Messa. Siamo già
stanchi – l’assenza d’acqua domina
su tutto –, ma allegri e fiduciosi nel
metterci in cammino. E lungo la
via, il primo regalo: papa Francesco
passa davanti a noi diretto al
santuario di Giovanni Paolo. Allora
è vero, allora siamo alla Gmg.
I giovani protagonisti dell’esperienza raccontata in queste pagine.
Le disavventure
vissute insieme
ci hanno fatto
vivere comunque
il vero spirito
della Gmg.
nel frattempo hanno recuperato
zaini, pass e buoni pasto. Da lì
dovremmo dirigerci in treno a
Wieliczka, avvicinandoci così
al Campus Misericordiae, la
nostra meta, per la veglia con
papa Francesco. Sono le 4 del
pomeriggio. Sotto il sole, un po’
cotti, ci avviamo ai binari e…
sorpresa! I treni non partono più.
Bisogna avviarsi a piedi o con
altri mezzi. Sono solo 6 km, ci
dicono. E qui ha inizio la parte
La messa con papa Francesco al Campus Misericordiae.
Treni bloccati
Dopo la visita al Wawel e una
breve sosta mangereccia a nostro
carico ci avviamo alla stazione
di Krakow Plaszow, luogo di
ritrovo con i nostri amici che
cittànuova n.9 | Settembre 2016
63
spiritualità
GMG A CRACOVIA
più “tragica” dell’odissea. Una
camminata interminabile in cui
i 6 km sono diventati quasi 16.
Con 3 ore di sonno alle spalle,
poca acqua a disposizione,
zaini zavorra da portare, che
per qualcuno, negli ultimi
chilometri, sono raddoppiati.
È stato necessario, infatti, farsi
carico di chi lo zaino, a portarlo,
non ce la faceva più. Per noi
accompagnatori la domanda
esistenziale cresceva a ogni
istante, la preoccupazione
per i ragazzi, il dispiacere per
continuare a essere ai margini
della Gmg e la stanchezza fisica
che aveva davvero oltrepassato
ogni soglia. Quando arriviamo alle
porte del Campus Misericordiae
è già buio. E il papa è andato via
da un pezzo. Lo scoprirò solo
una volta dentro, perché fino
all’ultimo ho creduto di poter
ascoltare le sue parole.
Il risveglio
La colazione la racimoliamo
in qualche modo. In queste
condizioni, l’incontro con
Francesco nella messa finale
diventa il nostro balsamo. I ragazzi,
come spugne, assorbono ogni parola
di un’omelia che è un discorso
diretto, pronunciato con nostra
grande gioia in italiano. Il papa
parla degli ostacoli per incontrare
Gesù. Come non rileggere quanto
vissuto alla luce di queste parole
uniche? «Dio fa il tifo per noi come
il più irriducibile dei tifosi». E beati
i misericordiosi, quei «sognatori
che credono in una nuova umanità,
l’unica famiglia umana che qui
così bene rappresentate». E forse
i chilometri percorsi, le difficoltà,
i dubbi sono valsi la pena per far
parte di quell’oceano di gente che
vuole testimoniare con la sua sola
presenza un ideale e una speranza
comune. Sì, lo si legge nei volti dei
ragazzi, e più di uno, commosso, lo
esprime.
64
cittànuova n.9 | Settembre 2016
L’arrivo dei giovani per la veglia al Campus Misericordiae.
Si torna a casa, forse
Con il cuore carico di gioia, si
riparte per l’ultimo tratto. Ma
ancora una volta, il peggio deve
ancora venire. Sulla via del rientro
dal Campus Misericordiae ci
sorprende la pioggia, che non
cessa per un paio d’ore. Fradici
e stremati aspettiamo senza
crederci l’arrivo dell’autobus,
che – bloccato dalla polizia
prima in un parcheggio, poi per
strada, poi in autostrada – riesce
a recuperarci solo alle 22, quando
a Cracovia erano rimasti ormai
solo “pochi” pellegrini. È l’ora di
un po’ di amarezza. Dubitiamo di
riuscire a ripartire, ma la nostra
stanchezza è sorretta da tante
opere di misericordia, come i
bambini che per strada escono ad
offrire acqua e frutta, o la signora
che in notturna gira con delle
tazze di tè caldo e zuccherato.
#eancheoggisidormedomani
Alle 22 riusciamo a ripartire,
siamo senza parole. Arriviamo
a Vienna alle 5, all’hotel che ci
aspettava per cena la sera prima.
Chi si butta sul letto, chi sotto la
doccia, chi cerca vestiti asciutti.
Poche ore di sonno e si parte
per la visita guidata per Vienna.
E nella mezz’ora che ci separa
dal centro, dall’appuntamento
con la guida al castello di
Schönbrunn, le parole dei
ragazzi mi meravigliano, segnano
un’esperienza indimenticabile.
Sono un fiume in piena, sia al
microfono del pullman, sia nel
diario di bordo. «Sono sorpreso.
Tutto quello che è successo è
incredibile. Non si è smesso di
amare, di aiutarsi, di tenerci su col
morale». La parola più ricorrente
è grazie, per le «disavventure
vissute insieme che comunque ci
hanno fatto vivere il vero spirito
della Gmg». Come i ragazzi stessi
hanno scritto a papa Francesco,
nel regalargli il diario di bordo
con un pezzo di vita di ciascuno:
«Tutte queste difficoltà che ci
hanno messo alla prova, ci hanno
fatto comprendere cose che sul
«divano» non si potevano capire.
Dopo tutti gli sforzi siamo stati
capaci di apprezzare ancora di
più l›arrivo alla veglia il sabato
sera. Ci siamo detti: “Ce l’abbiamo
fatta, siamo qui, insieme ad altri
2 milioni di ragazzi che come noi
hanno degli ideali in comune,
hanno la voglia di cambiare il
mondo”. E lì, fra tutta quella
gente, abbiamo sentito la presenza
di Gesù».
www.cittanuova.it
Dare voce a chi non ha voce
Nelle grandi città,
rimangono coperte
le voci di tanti volti
che non hanno “diritto”
alla cittadinanza,
non hanno diritto
a far parte della città
– gli stranieri, i loro figli
(e non solo) che
non ottengono
la scolarizzazione,
le persone prive
di assistenza medica,
i senzatetto,
gli anziani soli –
confinati ai bordi
delle nostre strade,
nei nostri marciapiedi
in un anonimato
assordante.
Omelia
di Papa Francesco
a Madison
Square Garden,
New York,
25 settembre 2015
Tra autobiografia
e cronaca Silvano Gianti
racconta le storie
di tanti che vivono
ai bordi delle strade
in un «anonimato
assordante».
pp. 112, € 12,00
CONTATTACI T 067802676 - [email protected]
QUARTA EDIZIONE
FESTIVAL DEL LIBRO
& DELLA CULTURA
GASTRONOMICA
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14-16 OTTOBRE 2016
CUCINA | GASTRONOMIA
LIBRI | LETTERATURA
Dal 14 al 16 ottobre 2016
a Montecatini Terme
si terrà la quarta edizione
del festival “Food&Book,
la cultura del cibo,
il cibo nella cultura”
con protagonisti scrittori
che nei loro romanzi
raccontano il cibo
e grandi chef che lo
presentano nelle loro
ricette e spesso in libri
di successo.
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PIERO CODA
Il mondo come
un arcobaleno
Piero Coda, teologo, è preside
dell’Istituto Universitario Sophia
a Loppiano (Figline-Incisa
Valdarno). Tra le sue tante opere
ricordiamo “Dalla Trinità” (Città
Nuova).
Nei nostri precedenti appuntamenti ci
siamo soffermati su due vie della “riforma”
che papa Francesco con determinazione
convinta propone alla Chiesa: camminare
insieme (la sinodalità) e fare la verità
nella carità (la misericordia). Questa volta
spendiamo una parola sulla terza via
che ritorna nel suo costante magistero
dei gesti e delle parole: il dialogo. Può
sembrare paradossale ed è senz’altro
controcorrente indicare questa via come
quella dell’annuncio e della testimonianza
del Vangelo e, insieme, come la prospettiva
culturale e sociale discriminante del
nostro tempo. Soprattutto oggi: quando
l’esplosione folle ed enigmatica della
violenza e del terrorismo provoca la fuga
protettiva dietro le fortificazioni sicure
e difensive – almeno così si crede – della
propria identità. Il dialogo va nella direzione
opposta. È uscire disarmati per andare
incontro all’altro sul terreno incognito della
reciproca apertura. Anche, e soprattutto,
quando si ha da fare il primo passo senza
garanzia di una risposta positiva.
Non è una tattica di addomesticamento del
diverso, e neppure soltanto una strategia
cortese per mostrare all’altro la propria
superiorità. Ma l’espressione sincera della
volontà di scoprire e imparare qualcosa
dall’altro, che sempre ha qualcosa di vero e
di buono da dire e da dare, a propria volta
presentandogli con convinzione e insieme
con umiltà le ricchezze della propria identità
e della propria tradizione. Senza secondi
fini. Gratuitamente. Per capire insieme come
costruire fraternità e come vivere nella
giustizia e nella libertà.
Certo, non è facile. Anzi! Gli equivoci e i
fraintendimenti, sino a sperimentare la
durezza all’apparenza insormontabile dei
differenti punti di vista e delle differenti
posizioni che tali vogliono restare, sono
all’ordine del giorno. Ma è proprio allora,
di fronte all’oscurità e all’impervietà
dell’ostacolo, che la decisione e la capacità
di dialogo mettono alla prova la loro verità
e la loro forza. Che sono in definitiva – se
percorriamo la via stretta ma alla fine
vincente del Vangelo – quelle della croce.
Ovvero del martirio come intenzione a
testimoniare col dono della vita – in tutte
le sue espressioni, e costi quel che costi –
che solo l’amore ha l’ultima parola. Non ha
creduto Gesù nella verità e nella forza del
dialogo sino a dare via tutto di sé, anche la
cosa sua più preziosa: l’unione col Padre?
Sì, questa è la via del dialogo. Non un’altra.
Quella di Gesù abbandonato. Solo passando
attraverso la cruna di quest’ago, i discepoli
di Gesù possono oggi annunciare e
testimoniare la gioia del Vangelo. E sarà,
ogni volta, un nuovo inizio, un sentiero
inesplorato che si apre, un orizzonte che
inaspettatamente si rischiara.
Questo stile di dialogo, oltre tutto, è ciò che
di più proprio i discepoli di Gesù hanno la
responsabilità urgente di mettere in gioco
nella ricerca culturale e sociale più acuta
e drammatica del presente e del prossimo
futuro: vivere, crescere e camminare
insieme nella logica della convivialità libera
e arricchente delle proprie identità. Scriveva
nel 1949 Chiara Lubich: «Ho sentito che io
sono stata creata in dono a chi mi sta vicino
e chi mi sta vicino è creato da Dio in dono
per me… Sulla terra tutto è in rapporto
d’amore con tutto: ogni cosa con ogni cosa.
Bisogna essere l’Amore per trovare il filo
d’oro tra gli esseri».
cittànuova n.9 | Settembre 2016
67
spiritualità
LA GRANDE ATTRATTIVA
verso
l’unità
dei popoli
Sto osservando la foto di un pompiere
che regge tra le braccia una giovane vita tratta
in salvo dal suo coraggio e dalla sua tenacia. Un
volto segnato dalla fatica, coperto di polvere ma
uno sguardo intensamente felice: ha salvato una
vita umana. E quante vite umane possiamo salvare
con la pace e l’unità tra i popoli! Occorre però
attraversare piccole e grandi fiamme, pericoli di
crolli, privazioni forse... Chiara Lubich ci avverte:
nel fare questo non siamo mai soli, Dio è sempre
presente e anche Maria, che è madre e come tale
opera con noi il bene.
68
cittànuova n.9 | Settembre 2016
Chiara Lubich è stata fondatrice e prima presidente del Movimento
dei Focolari, nonché scrittrice prolifica. I suoi testi sono
un suo lascito e, ancora oggi, una fonte d’ispirazione per tanti.
Ogni mese Città Nuova ne propone uno stralcio.
”
Sentirsi un solo popolo,
abbellito dalla diversità di ognuno
e custode delle differenti identità.
una Chiesa o ad una Religione: è
universale e può in qualche modo
essere vissuta da tutti.
Per essa, infatti, si sono aperti
fecondi dialoghi con tutti gli
uomini: con cristiani di molte
Chiese – come ho già detto –, con
credenti di diverse religioni e con
persone delle più varie culture,
le quali trovano qui sottolineati i
valori in cui credono. E insieme ci
si avvia a quella pienezza di verità
cui tutti tendiamo.
Per essa, per questa spiritualità,
oggi uomini e donne di quasi tutte
le nazioni del mondo, lentamente
ma decisamente stanno tentando
di essere, almeno là dove si
trovano, germi di un popolo
nuovo, di un mondo di pace, più
solidale soprattutto verso i piccoli,
i più poveri, di un mondo più
unito.
Simposio alla Sede delle Nazioni Unite
(New York), 28 maggio 1997
a cura di Donato Falmi
Scena di guerra ad Aleppo (Siria).
UGC/AP
Non si fa nulla di buono, di
utile, di fecondo al mondo senza
conoscere, senza sapere accettare
la fatica, la sofferenza, in una
parola senza la croce.
Non è uno scherzo impegnarsi
a vivere ed a portare la pace!
Occorre coraggio, occorre saper
patire.
[...]
Ma, certamente, se più uomini
accettassero la sofferenza per
amore, la sofferenza che richiede
l’amore, essa potrebbe diventare
la più potente arma per donare
all’umanità la sua più alta dignità:
quella di sentirsi non solo un
insieme di popoli uno accanto
all’altro, spesso in lotta tra di loro,
ma un solo popolo, abbellito dalla
diversità di ognuno e custode
delle differenti identità.
Dio Padre inoltre col Suo amore
ci aiuta sempre in questo arduo
cammino.
E vorrei ricordare Maria, la madre
di Gesù e di ogni uomo della terra,
amata, venerata, presente anche
in altre religioni. A lei si può
attingere ispirazione, conforto,
sostegno: è compito di una madre
comporre e ricomporre sempre la
famiglia.
Questa spiritualità comunitaria
non è legata necessariamente ad
cittànuova n.9 | Settembre 2016
69
spiritualità
CHIESA
la “madre”
Il 4 settembre la canonizzazione
di Madre Teresa di Calcutta.
Una vita fra i più poveri dei poveri,
che continua nell’opera da lei fondata
70
cittànuova n.9 | Settembre 2016
Madre Teresa rappresenta, forse
come pochi altri, l’immagine
del cristianesimo del XX secolo.
Con tutta probabilità la donna
albanese-macedone di nascita,
ma indiana di adozione e di scelta
di vita, verrà ricordata nei secoli
come un paradigma del Vangelo,
al pari di un Francesco e di una
Chiara d’Assisi, di una Teresa di
Lisieux, di un Ignazio di Loyola
o di una Caterina da Siena. Per
l’opinione pubblica l’iter canonico
per arrivare alla proclamazione
della sua santità è apparso, come
forse per nessuno dei santi
proclamati negli ultimi decenni,
una mera formalità. Quella donna
dal volto sempre più grinzoso,
avvolta nel suo sari bianco che,
con il passare degli anni, pareva
sempre più grande ad avvolgere
quel corpo sempre più curvo,
era per tutti già santa. Eppure è
sempre rimasta semplicemente
Madre Teresa o, come spesso la
si chiama in India ancora oggi,
mother, la madre.
Ho avuto modo di incontrarla
in 3 occasioni nella mia vita e
sempre casualmente: momenti
semplici e di grande intensità,
soprattutto l’ultima volta,
pochi mesi prima della morte.
Ricordo quella stretta di mano
che non accennava ad allentarsi
con quello sguardo penetrante
che cercava un rapporto
diretto. Fu un momento, ma mi
sembrò un’eternità, anche se ci
scambiammo brevissime parole
mentre la suora che spingeva la
carrozzella su cui si trovava si
era già mossa per arrivare alla
cappella della sua casa madre nel
cuore di Kolkata. Ma altrettanto
intenso è stato un incontro
successivo. Accompagnavo
Chiara Lubich in viaggio in India
e sostammo per alcuni minuti
davanti alla tomba della “Madre”.
Chiara la considerava una “sua
grande amica”, come avrebbe
di Roberto Catalano
Gennaio 2001: Chiara Lubich nella casa madre
delle Suore della Carità a Calcutta.
detto, dopo pochi minuti, a 300
suore dell’ordine. Mai ho avuto
l’impressione, come in quei
minuti, che il silenzio parlasse.
C’era un colloquio nascosto
ma vivissimo fra le due donne:
una viva e l’altra nell’eternità.
Esperienze difficili da trasmettere
a chi non le ha vissute, ma che
penetrano nel più profondo delle
fibre dell’essere. Un’impressione
simile, altrettanto complicata da
esprimere, l’ho sperimentata il
giorno della sua beatificazione.
Poco dopo l’alba ero già a Roma
per arrivare sul sagrato di San
Pietro dove avrei assistito alla
cerimonia fra un gruppo di
invitati speciali. Mi colpì la folla
che ancora alle 7 della mattina
affollava via della Conciliazione
e la zona attorno a San Pietro.
Era il popolo, un caleidoscopio
di razze, età, etnie, lingue, colori
che proclamavano quella donna
“beata”. Fra la gente, quella
mattina capii il famoso adagio
classico: vox populi vox Dei.
Dal giorno del suo funerale, dove
Kolkata si fermò per rendere
omaggio alla “madre”, delle
sue suore e della sua opera si
è parlato sempre meno. Il suo
carisma, del resto, è sempre stato
quello di arrivare agli ultimi, ma
quasi senza che nessuno se ne
accorgesse. In questi anni le sue
suore e la congregazione arrivano
a far notizia quando qualcuna
di loro incontra una fine tragica,
come lo scorso anno, nel Golfo
Persico. Altrimenti, sempre
discrete, il passo veloce, il volto
sereno danno l’impressione di
aver fretta di arrivare a coloro
per i quali hanno lasciato tutto:
gli ultimi, le periferie estreme
per dirla con papa Francesco. La
madre aveva anticipato anche lui;
lei a quelle periferie era arrivata
dal giorno in cui, sul treno fra
Kolkata e Darjeeling, aveva
sentito la chiamata a tornare
sulle vie del mondo, fuori del suo
convento nel cuore della Kolkata
bene, per uscire dove nessuno
voleva andare. Ora un papa ci
sta conducendo, a fatica, tutta la
Chiesa.
Stranamente, forse c’è un solo
aspetto che continua, almeno di
tanto in tanto, a portare Madre
Teresa sulle prime pagine. In
India, il Paese che l’ha adottata, di
tanto in tanto scoppiano, nei suoi
confronti, accuse di proselitismo
religioso. Era accaduto anche
durante la sua vita e lei mai se ne
era preoccupata: aveva da pensare
ai suoi moribondi, commentava.
In questi momenti, come era
solita fare Madre Teresa, le sue
suore tacciono. Sembrano non
aver tempo per queste chiacchiere
e continuano la loro opera in
silenzio e con dedizione eroica,
sempre pronte a cambiare la loro
sede, come desiderava la Madre,
nel giro di un’ora. In fin dei conti,
per un miliardo e più di indiani, a
qualsiasi religione appartengano,
la canonizzazione del 4 settembre
resta una formalità. Da sempre
la santità della donna macedonealbanese è stata ovvia, come recita
la tradizione indù del jivan-mukta,
coloro che arrivano alla piena
realizzazione dell’essere quando
sono ancora in vita.
In India,
per milioni
di indù
e musulmani,
la figura
di Madre Teresa
rappresenta
l’immagine
del cristianesimo
cittànuova n.9 | Settembre 2016
71
idee e cultura
A UN ANNO DALLA SCOMPARSA
Samuele, a destra, col fratello Bruno.
ciao, samuelle
Famiglia, scuola, lavoro, cambio di sesso, suicidio.
I genitori, Leonia e Mario Daves, e il fratello Bruno,
di Riva del Garda, aprono lo scrigno dei ricordi
«Bruno aveva 3 anni quando sono
nati i gemelli: Samuele e Simone.
Samuele è sempre stato inquieto,
dormiva pochissimo. Allo stesso
tempo era un bambino con una
capacità speciale di vivere ed
esplorare l’ambiente. Fin da
piccolo è stato un entusiasta,
non vedeva i pericoli, mentre il
gemello era il suo angelo custode.
A 4 anni la pediatra mi ha detto:
“Questo è un bambino sfortunato”.
Al mio stupore, ha ripreso: “Lo
scoprirà nel tempo. Rispetti le
72
cittànuova n.9 | Settembre 2016
sue tendenze nel gioco e nelle
relazioni”. All’asilo era amico di
tutti, ma giocava soprattutto con le
bambine. Aveva una vera passione
per le bambole. A livello sportivo
era molto competitivo, specie nel
gioco del pallone.
A scuola, poi, Samuele ha iniziato
a percepire di essere diverso,
perché i compagni lo chiamavano
donnetta. Come reazione cercava
di essere eccellente, perché
nessuno lo potesse accusare di
valere meno degli altri. Da grande
ripeteva che nella vita aveva
“dovuto” essere il migliore. Alle
superiori ha avuto amiche e amici
carissimi, anche se col tempo la
problematica si è accentuata. Lui
non ne parlava molto con noi, forse
perché non sapevamo niente di
queste cose, nella nostra cultura
non se ne parlava, solo sussurri.
Sembravano cose lontane.
Durante il secondo anno di
università (20 anni) un giorno mi
ha detto, piangendo: “Mamma,
sono omosessuale. Te lo devo
di Giulio Meazzini
dire perché mi hai insegnato che
bisogna essere fedeli alla verità. Mi
emoziono per un ragazzo, non per
una donna”. Allora ho pianto tutte
le mie lacrime e litigato col Padre
Eterno, pregandolo: “Non farmi
questo, si dice che siano peccatori
incorreggibili, la rovina del mondo”.
Ma poi ho trovato le parole del
Vangelo: “Vi sono eunuchi che
nacquero così dal seno della madre”
(Matteo 19, 12) e ho riletto negli
Atti degli Apostoli il battesimo
dell’eunuco da parte dell’apostolo
Filippo (Atti 8, 26-40). Allora, mi
sono detta, Dio li ha creati e li ama
così, per cui ho accettato: “Signore,
tu me l’hai dato, insegnami ad
accompagnarlo”.
Simpatico e
brillante, sapeva
sempre tenere
la scena: forza,
entusiasmo,
passione per
la vita.
La nonna, invece, ha subito
riunito parenti, zii e nipoti, e
ha ammonito: “Guai a voi se
qualcuno si permette di prenderlo
in giro”. Nelle feste Samuele era
sempre il protagonista, il più
allegro e spigliato. Con i cugini
c’erano una complicità e un
affetto assoluti. A volte mi diceva:
“Quanto mi piacciono i bambini e
pensa che non ne avrò mai”».
Sono a Riva del Garda, a casa della
famiglia Daves. Intorno al tavolo
di cucina, la mamma Leonia, il
padre Mario e il fratello maggiore
Bruno mi raccontano qualcosa
di Samuele, morto suicida il 14
settembre 2015. Al di là di lustrini
e chiacchiere, sono qui per capire
Samuele con i genitori Leonia e Mario.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
73
idee e cultura
A UN ANNO DALLA SCOMPARSA
qualcosa della sofferenza che c’è
stata dietro la sua vita.
Milano
Riprende Mario: «Un giorno mi
ha detto: “Papà, qui nel Trentino
non riesco più a vivere, portami
a Milano”. Soffriva dentro, ma
non giudicava chi lo emarginava.
Siamo partiti, nonostante
avesse 38 di febbre. Ha fatto un
colloquio di lavoro dal quale è
uscito contentissimo, perché
l’avevano preso nel mondo della
moda. A 25 anni è dunque andato
via di casa».
Bruno spiega: «Sono cresciuto
con i soliti luoghi comuni
per cui l’omosessuale è una
persona debole, fragile. Eppure
il pregiudizio non coincideva
col fratello reale che avevo
davanti. Simpatico e brillante,
sapeva sempre tenere la scena:
le persone che hanno avuto
rapporti con lui, in 20 anni di
lavoro, hanno sempre colto
forza, entusiasmo, passione
per la vita. Dietro certi modi
di fare, intuivo però il dolore
perché non si sentiva accettato.
Doveva per forza buttarsi in
certi mondi, era la sola strada
per eccellere. Nel mondo della
moda milanese la sua diversità
era un punto di forza. Anche
l’approccio al femminile
risultava facile: ha avuto amiche
che l’hanno accolto, sostenuto,
accompagnato, valorizzato.
Scherzando mi diceva: “Vorrei
un compagno come te, ma
non lo trovo”. Ha avuto tante
conoscenze, ma mai una
relazione stabile. Non trovando
un rapporto vero, a volte
scivolava nella sessualità fine
a sé stessa. Amava la bellezza.
Ha viaggiato molto, sempre in
nome della creatività, animando
una scuola di moda; quando
l’hanno chiusa, per lui è stata
74
cittànuova n.9 | Settembre 2016
una devastazione psicologica.
Ha avuto molte sofferenze
professionali. Sono stati 20
anni di vita intensa, in ambienti
lussuosi dove giravano i soldi.
Solo quando tornava a casa a
volte cadeva la maschera».
Donna
«Samuele – continua Bruno –
era perfettamente consapevole
che la dimensione dominante
in lui era quella femminile.
Durante tutta la sua vita c’è stata
una graduale rielaborazione
e comprensione di sé stesso,
con fatica, fino alla decisione
di declinare il suo nome al
femminile: Samuelle. Per noi
è sempre stato “il” fratello,
ma ultimamente ci siamo
trovati “la” sorella. Era giusto
riconoscere questo passaggio,
parlare a “lei” al femminile,
perché sentivi che aveva trovato
La prima pagina del quotidiano del Trentino in occasione del funerale.
il suo essere e quindi chiamarla
con quel nome significava
accoglierla fino in fondo».
Interviene Leonia: «La decisione
del cambio di sesso l’ha presa
proprio perché pensava che
in questo modo sarebbe stato
accettato. Ma soprattutto lo
faceva per gli altri. Mi diceva:
“Pensa, mamma, a quelli che
sono rifiutati, cacciati da casa
perché i loro compagni non sono
accettati, e vivono l’angoscia
della solitudine. Io ho la forza
di battermi per loro”. Ma nella
mia cultura contadina il corpo è
sacro, per cui ribattevo: “Dio ti
ha fatto così, accettati, truccati
e vestiti come vuoi, ma non farti
operare”. Paventavo la possibile
sofferenza e la devastazione del
corpo. Naturalmente intorno a
lui c’erano altri personaggi che
invece lo spingevano a farlo.
Non c’è stato niente da fare. Lui
mi spiegava: “Mi sento donna e
voglio vivere come donna. Se non
ho il seno come metto un abito
femminile?”. A 40 anni ha fatto la
cura ormonale e poi l’operazione
per il seno. In parallelo ha iniziato
la battaglia legale per il cambio
del nome al femminile. Secondo
l’avvocato le perizie psicologiche
che aveva fatto erano state
positive e avrebbe vinto la causa.
L’operazione al seno è stata
comunque per lui devastante, sia
a livello psicologico che fisico.
Aveva dolori continui».
L’ultimo anno
È ancora Mario che riprende
il filo: «L’anno scorso mi ha
telefonato: “Papà, vieni a
prendermi, torno a casa, sto
malissimo”. Era scoppiato dentro,
non ce la faceva più. Abbiamo
pianto insieme tutto il viaggio.
Gli ho proposto di venire con
me a Medjugorie: sono stati
giorni bellissimi, gli altri del
“Il valore della
persona deve
prevalere sempre,
a prescindere dalla
sua sessualità”.
Samuelle
Samuelle Regina Daves.
gruppo gli hanno fatto festa.
Era generoso, aiutava chi era in
difficoltà. Ha pagato anche per
le persone emarginate come lui.
Ha fatto colloqui con un frate
francescano. A un amico morente
di Aids, Samuele scriveva: “Dio è
misericordioso. La Madonna ha
braccia infinite e ci ama tutti. Ti
voglio con me nel Paradiso”».
Bruno precisa: «A Milano stava
per farla finita, ma poi ha pensato
che prima doveva prepararsi e
prepararci. Per questo è tornato
a casa. La sua fatica di vivere gli
faceva dire: “Non ce la faccio più,
la faccio finita”, ma il rimpianto
era sempre lo stesso: “Avrei voluto
innamorarmi di qualcuno con cui
condividere la vita puntando su
ideali alti”.
Ha vissuto l’ultimo anno
provando a rilanciare amicizie,
lavoro, la causa in tribunale, un
po’ di politica: essersi candidato
alle elezioni ha fatto diventare di
pubblico dominio il fatto che fosse
transgender. Per il suo livello
culturale è stato chiamato in tv
come opinionista, da Chiambretti.
Questo gli permetteva di
impegnarsi per le persone come
lui in difficoltà, e di rilanciare
i valori che aveva condiviso
in gioventù con i giovani dei
Focolari, per esempio Omnia
vincit amor.
Finito il programma tv, c’è stato
l’ultimo crollo psicologico. Dentro
era spento, non aveva più voglia.
La mattina del suo compleanno,
il 14 settembre, si è chiuso
in camera e si è gettato dalla
finestra. Ha lasciato una lettera:
“Mamma e papà: solo grazie, ma
sono più serena così. La vita mi
è troppo grave, la fede vi sarà di
conforto”».
Con gli occhi umidi, mamma
Leonia ricorda che «è stata una
creatura speciale, per sensibilità
e amorevolezza. Dobbiamo
ringraziare Dio di avercela
donata, nella certezza che non
può amarla meno di noi. Perciò ci
ritroveremo nella Sua luce».
Per il funerale hanno
concelebrato 12 sacerdoti. La
chiesa era gremita di persone,
credenti e no, alcune arrivate
da Paesi lontani. Tutti l’hanno
chiamata e ricordata al femminile.
Come nome nuovo aveva scelto
Samuelle Regina Daves. Regina,
in onore della Madonna, Regina
della pace.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
75
idee e cultura
VISIONI
obama
e il senso
della storia
Le radici del realismo politico
del presidente che lascia la Casa Bianca.
Il pensiero del teologo Niebuhr.
Intervista a Giovanni Dessì (Istituto Sturzo)
Dopo 8 anni trascorsi al comando
della superpotenza Usa, Barack
Obama lascia la presidenza.
Facendo un bilancio, si può forse
leggere un forte legame tra le azioni
del primo presidente afroamericano
e il pensiero di Reinhold Niebuhr,
il teologo considerato il padre del
realismo politico statunitense.
Giovanni Dessì, professore di Storia
delle dottrine politiche a Roma 2
e segretario generale dell’Istituto
Luigi Sturzo, è tra i maggiori
studiosi di Niebuhr.
Quali sono le tracce del
pensiero di Niebuhr in Obama?
Già in un’intervista del 2007 il
presidente Obama aveva ricordato
76
cittànuova n.9 | Settembre 2016
Reinhold Niebuhr come uno dei
suoi autori di riferimento. L’idea
centrale che Obama riprende
dal teologo protestante morto
nel 1971, riproposta nel suo
discorso tenuto in occasione
del conferimento del Nobel per
la pace, è che il male, la fatica
e il dolore non possano essere
eliminati interamente dal mondo.
Questa convinzione si radicava
per Niebuhr nella consapevolezza,
maturata negli anni delle due
guerre mondiali che hanno
segnato il ’900, che le migliori
intenzioni dell’uomo moderno
di sconfiggere totalmente
il male avevano condotto a
forme di idealismo politico
incapaci di considerare la realtà
storica nella sua complessità.
In altre parole la pretesa di
moralizzare interamente il
mondo poteva condurre solo
a una cecità nei confronti
delle concrete dinamiche di
potere, aumentandone la forza
distruttiva.
Come si legge questa visione
nell’azione politica del
presidente Usa?
Nel realismo nei confronti
della politica. Piuttosto che una
politica intesa come realizzazione
integrale di principi ideali,
Obama ha espresso una politica
che, seppure animata da forti
ideali, può essere compresa
come tentativo di rimedio, di
limitazione del male. Egli ha
evitato un certo prometeismo,
che si esprime nella convinzione
che il mondo possa essere
totalmente rifatto dalla volontà e
dall’impegno dell’uomo. D’altra
a cura di Carlo Cefaloni
Jacquelyn Martin/AP
politiche sull’Impero del bene o
del male…
Bisogna tener conto che in
Niebuhr la consapevolezza della
complessità e drammaticità
dell’azione politica scaturiva
dalla sua concezione della
libertà: riteneva che la libertà
umana, come tendenza di
autorealizzazione, trascendimento
e aspirazione al significato,
fosse all’origine delle più grandi
conquiste umane. Pensava che
questa stessa libertà potesse
sbagliare identificando il proprio
compimento in beni parziali.
La posizione nei confronti della
politica aveva quindi origine dalla
complessità della natura umana,
allo stesso tempo immagine di Dio
e peccato.
parte non ha rifiutato strade
pericolose (e a volte aspre)
per realizzare i propri intenti,
soprattutto a livello di rapporti
internazionali. Sebbene possa
sembrare paradossale, si potrebbe
parlare di umiltà: certamente non
si tratta di scarsa considerazione
del suo ruolo e dell’importanza
globale delle sue scelte. Si tratta
piuttosto sia della consapevolezza
che il male non sarà mai
eliminato dal mondo, perché
non verrà mai rimosso dal cuore
dell’uomo, sia dell’accettazione
che la responsabilità, per coloro
che sono chiamati a decidere,
può comportare scelte che
individualmente non sarebbero
tollerabili.
Tra queste due dimensioni,
quella relativa alla necessità di
raggiungere obiettivi concreti
e quella delle convinzioni
morali personali, non ci può
essere una radicale separazione.
La consapevolezza di questo
legame e la percezione che agire
politicamente può significare, in
precise circostanze, favorire la
prima dimensione, impedisce al
politico di considerare la propria
attività come una trasposizione in
politica della lotta tra bene e male.
Impedisce al politico di pensare
a sé stesso come a un simbolo del
bene contro il male nel mondo.
Un bel passo avanti rispetto
a certe rudimentali teologie
E oggi, quale consegna da
questa presidenza che termina?
Oggi le posizioni niebuhriane
non appaiono dominanti nella
scena politica americana, al
contrario caratterizzata da una
polarizzazione tra posizioni che
il teologo avrebbe probabilmente
definito come fondamentalismo
e progressismo. Nell’era della
semplificazione mediatica,
dell’imporsi della cultura del
narcisismo e dello strapotere
della finanza internazionale,
il riferimento di Obama a
Niebuhr, certamente limitato
dalla necessità di tenere conto di
precisi condizionamenti storici,
appare comunque un atto di
coraggio.
D’altra parte uno degli
insegnamenti meno richiamati
di Niebuhr, è l’idea che la storia,
proprio perché creata dalla libertà
degli uomini, esprima non solo
gli errori della libertà, ma anche
le tracce della grandezza umana,
segni che chi svolge un ruolo
politico deve ascoltare e seguire.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
77
idee e cultura
PARADISO TERRESTRE
noi,
gli animali
e dio
Un barbone, un cane abbandonato,
una fedeltà senza limiti. Riusciamo
a capire che c’è un’alleanza tra
il creatore e ogni essere vivente?
In Giappone il cane Achiko
ritornò ogni giorno, fino alla sua
morte, alla stazione ferroviaria
dove arrivava sempre il suo
padrone, anche dopo la morte di
lui, né fu possibile convincerlo a
smettere. Giustamente gli hanno
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cittànuova n.9 | Settembre 2016
dedicato una statua e un film.
A Catanzaro vivevano insieme
da mesi un barbone e un cane
abbandonato, che si erano adottati
l’un l’altro. Giorni fa il “padrone” è
morto e il cane ha abbaiato prima
per risvegliarlo, poi per attirare
di Giovanni Casoli
l’attenzione dei passanti, poi per
“difendere” l’uomo, e i poliziotti
hanno faticato non poco per
arrivare all’uomo morto.
Noi crediamo di vivere nello
stesso mondo degli animali,
ma non è vero. Essi vivono nel
paradiso terrestre, noi ne siamo
stati giustamente allontanati per
gli effetti della colpa originale
di voler essere “come Dio”, e ne
subiamo e facciamo subire anche
agli animali tutte le conseguenze.
Il grande poeta Rainer Maria
Rilke dice che noi abbiamo la testa
voltata indietro, gli animali vivono
nell’“Aperto” e hanno davanti a sé
solo Dio.
Nel capitolo nono della Genesi
Dio fa «alleanza tra me e voi e
ogni essere vivente che è con voi»:
dopo il peccato. Ma noi siamo
ancora qui duri, durissimi a capire
l’alleanza di Dio non solo con
noi, colpevoli, ma anche con gli
animali, innocenti.
Dio disse: «Questo è
il segno dell’alleanza,
che io pongo tra me
e voi e ogni essere
vivente che è con
voi, per tutte le
generazioni future.
Pongo il mio arco
sulle nubi, perché sia
il segno dell’alleanza
tra me e la terra.
(Genesi 9, 12-13)
pensare l’unità
JESÚS MORÁN
Quale anima
per l’Europa?
Jesús Morán è copresidente
del Movimento dei Focolari.
Laureato in Filosofia,
è specializzato in antropologia
teologica e teologia morale.
«Dio sta morendo. In Europa è persino già
morto. […] Ci domandiamo: perché l’Europa?
Perché solo l’Europa? L’unica, nello spazio
planetario e nella storia dell’umanità, a
produrre una civiltà senza Dio?». Queste
parole del filosofo André Glucksmann,
recentemente scomparso, lapidarie nella
loro durezza, pongono una domanda
ineludibile che richiede risposta, altrimenti
difficilmente potremo far fronte alle sfide
immani che ci interpellano, come persone e
come comunità.
Perché l’Europa ha dato vita negli ultimi
secoli a una cultura che ha fatto di Dio non
un mistero, ma un problema irrisolvibile?
E, di conseguenza, ha fatto dell’uomo un
problema inestricabile nel rapporto con
sé stesso, con gli altri, con il cosmo, con
l’Assoluto?
La domanda è tanto più “scandalosa” se si
pensa alla storia del continente europeo
che ha elaborato, nei secoli, un forte e
originale umanesimo spirituale, artistico,
filosofico, scientifico, giuridico, politico. In
piena Seconda guerra mondiale, un grande
interprete della cultura europea, Bonhoeffer,
si domandava: «Come parliamo di Dio senza
religione, cioè appunto senza i presupposti
storicamente condizionati della metafisica e
dell’interiorità?».
Nel 2004, l’allora card. Ratzinger si
domandava se non fosse vero, come
affermava Toynbee, che il destino delle
società dipende in gran misura da
minoranze creative. Forse – sosteneva – è
questo il compito che spetta ai cristiani:
concepire sé stessi come la minoranza
creativa che porta l’Europa a riscoprire la
sua eredità. Quale sia questa eredità ci viene
ricordato da intellettuali del calibro di H.G.
Gadamer e G. Steiner: da prospettive diverse
vedono entrambi per l’Europa un compito
“tanto spirituale quanto intellettuale”. Per
Gadamer: «Vivere con l’altro, vivere come
l’altro dell’altro, è un compito universale
e valido, nel piccolo come nel grande.
Come noi, crescendo ed entrando nella
vita, impariamo a vivere insieme all’altro,
lo stesso vale per i grandi gruppi umani,
i popoli e gli Stati. Ed è probabilmente un
privilegio dell’Europa il fatto di aver saputo
e dovuto imparare, più di altri Paesi, a
convivere con la diversità».
Questo destino richiede la creatività,
l’ingegno, la capacità di rialzarsi e superare
i propri limiti che sono sempre stati parte
dell’anima dell’Europa, come dimostra la sua
storia, soprattutto dopo la Seconda guerra
mondiale. In quel momento, quando lo
scenario di devastazione era sotto gli occhi
di tutti, i Padri fondatori hanno manifestato
l’audacia non solo di sognare un’altra idea di
Europa, ma anche di incominciare a metterla
in atto, puntando sull’integrazione di tutto il
patrimonio del continente.
Si tratta, quindi, di tornare a una cultura
dei diritti umani che sappia legare la
dimensione personale a quella del bene
comune di tutti i gruppi intermedi che
si uniscono nella comunità sociale e
politica, senza perdere di vista la dignità
trascendente dell’essere umano. In questo
percorso, il ruolo delle comunità ecclesiali si
presenta ancora una volta decisivo, perché
questa è la loro missione: l’annuncio gioioso
della buona novella. In un’epoca in cui
sembra si sia spezzata “l’alleanza culturale”
delle Chiese con la società circostante, si
tratta di ritornare al Vangelo, di suscitare
incontri significativi alla luce della Scrittura,
dei racconti evangelici, onde generare la
stessa vita generata da Gesù di Nazareth.
Come ha sottolineato poche settimane
fa papa Francesco, in occasione della
consegna del Premio Carlomagno: «Dio
desidera abitare tra gli uomini, ma può farlo
solo attraverso uomini e donne che, come
i grandi evangelizzatori del continente,
siano toccati da Lui e vivano il Vangelo
senza cercare altro. Solo una Chiesa ricca
di testimoni potrà ridare l’acqua pura del
Vangelo alle radici dell’Europa. In questo, il
cammino dei cristiani verso la piena unità
è un grande segno dei tempi, ma anche
l’esigenza urgente di rispondere all’appello
del Signore perché tutti siano una sola cosa
(Gv 17, 21)».
L’Europa ha una indiscussa vocazione
all’incontro, all’unità nella diversità. Questa
vocazione si declina come progetto
culturale di fraternità vissuta, misticocontemplativa ed etica. Solo realizzando
questo progetto l’Europa potrà ricuperare
Dio e l’uomo.
idee e cultura
IL PIACERE DI LEGGERE
giornalisti scrittori
Il Ciclope
PAOLO RUMIZ
Feltrinelli,
€ 15,00
/recensione a cura di
PIETRO PARMENSE
Il valore dei valori
GIUSEPPE ARGIOLAS
Città Nuova, € 20,00
Quando si dice impresa, si
pensa inconsciamente che
non sia possibile portarla
avanti mettendo al centro
la persona e valorizzando
i territori. Arriviamo così al
caso dell’amministratore
delegato che, in un incontro
pubblico, ha postulato la
necessità di terrorizzare
i dipendenti per ottenere
80
cittànuova n.9 | Settembre 2016
Non è una novità che celebri giornalisti siano sospettati di aver “corretto” i loro
reportage, e che non proprio tutto quello che viene raccontato sia veramente
accaduto. Tra i sospettati, firme straordinarie come quelle di Kapuściński
e della Fallaci, o penne meno belle ma più mediatizzate come quella di
Bernard Henri-Lévy. In qualche modo li si accusa di aver dato una passata di
belletto alla loro prosa, per renderla più avventurosa, spesso descrivendo le
loro avventure come vere e proprie “imprese”. Anche questo Il ciclope, del
giornalista e scrittore triestino Paolo Rumiz, apre un’infinità di sospetti sulla
realtà di quanto da lui vissuto e soprattutto sulla localizzazione dell’isola dove
avrebbe trascorso un mese. Sembra si tratti dell’isola croata di Palagruža,
geologicamente legata al Gargano, da cui dista soltanto 53 km.
Ma in fondo poco importa perché questo è un racconto, è fiction scritta su
una base di realtà. Inutile cercare di capire se Rumiz sia stato colpito da un
fulmine o meno, e francamente non ce ne importa. Perché il protagonista vero
di questo racconto è il faro, non tanto il Faro del Ciclope, ma “l’eterno faro”, il
faro ancestrale, la luce nella notte, il mare turbinoso, il vento, la natura al suo
stato primordiale… Con una nota di “maschia poesia” e qualche affermazione
filosofica un po’ gratuita. Ma la lettura è gradevole, con profusione di aneddoti
e dati storici, geografici e marinari che rendono ricco il racconto.
migliori risultati. Sono
poi arrivate le scuse, ma
vale l’onestà intellettuale
di aver parlato chiaro
per far comprendere
la logica dell’azienda
schiacciata sull’unica
dimensione del profitto.
Un dogma accettato, di
fatto, da tante persone
teoricamente per bene.
Il libro dell’economista
Argiolas è per coloro che
vogliono capire i sistemi
manageriali e passare dalle
prediche alla vita reale. Con
linguaggio comprensibile,
ci fa entrare nei meandri
dell’impresa moderna e
delle sue sfide. Consigliato
dall’Aipec, l’associazione
degli imprenditori EdC che
accoglie come soci anche
lavoratori e disoccupati.
Persone forse ingenue, ma
libere, con i piedi per terra.
/recensione a cura di
CARLO CEFALONI
Solo i malati
guariscono.
L’umano del (non)
credente
LUIGI MARIA EPICOCO
San Paolo, € 10,00
È fresco di stampa il testo
del giovanissimo Luigi
Maria Epicoco, prete alla
parrocchia San Giuseppe
Artigiano nella diocesi de
L’Aquila, evangelizzatore
preparato e arguto
(ascoltatelo su YouTube o
tramite il suo blog “Orfeo
Malato”). Quest’ultimo
suo lavoro si rivolge a un
pubblico di fratelli credenti
e no, che desiderano
camminare insieme.
L’obiettivo è spiegare che
la debolezza non è cosa
brutta o sbagliata, ma
è anzi lo stato d’animo
di chi desidera guarire.
D’altronde anche Dio si è
fatto uomo, quindi fragile,
venuto ad abitare la terra
per salvare «non i sani
a cura di Gianni Abba
ma i peccatori». La forza
della debolezza è nel testo
portata alla ribalta anche
da testimonianze fresche
di vita e intrise di dubbi, a
cui egli stesso non riesce
a rispondere. Sarà la sua
“umanità” a far trovare a un
giovane ateo la via per la
madre Chiesa.
/recensione a cura di
PATRIZIA CAROLLO
1946. La guerra
in tempo di pace
VICTOR SEBESTYEN
Rizzoli, € 28,00
Può un libro emozionare e
deprimere, amareggiare e
avvincere? 1946 fa proprio
in libreria
questo (doppio) effetto.
Scoprire con dovizia di
dettagli, che l’immediato
dopoguerra quanto a
conflitti, violenze, tragedie,
errori diplomatici, odio,
disperazione sia stato
quasi un sequel della
Seconda guerra mondiale
non è incoraggiante.
D’altra parte il testo di
Sebestyen è come un
romanzo corale, la saga
dell’Europa che si lecca
le ferite. Sebestyen si è
documentato benissimo e
non trascura nulla. Va alle
radici della Guerra Fredda,
della Cortina di Ferro,
della nascita di Israele;
racconta la guerra civile in
Grecia, il dramma di milioni
di profughi nell’Europa
orientale (non erano
bastati i campi nazisti!), la
contrastata denazificazione
della Germania, il crollo
degli imperi coloniali,
ecc. Tutto in un anno,
terribilmente denso, che
aiuta a capire il nostro
presente.
/recensione a cura di
MARIO SPINELLI
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linguaggio
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cittànuova
cittànuovan.9
n.1| |Settembre
1 gennaio 2016
2015
81
reportage
NEW YORK 15 ANNI DOPO
Il Memorial museum custodisce
nelle fondamenta delle Torri gemelle
le testimonianze e i reperti del giorno
che ha cambiato la storia degli Stati Uniti
e di tutto l’Occidente
Christina Horsten/AP
di Maddalena Maltese
dentro
le viscere
dell’11
settembre
reportage
NEW YORK 15 ANNI DOPO
Chris Melzer/AP
Un gruppo di visitatori nel museo dell’11 settembre davanti a “l’ultima colonna” lasciata intatta tra le macerie dopo il crollo.
9/11. Nine eleven. Bastano
due numeri per ricordare agli
statunitensi uno dei giorni più
tragici della loro storia: l’11
settembre 2001. Non bastano
invece i 7 piani sotto terra del
Memorial museum a contenerne
il lutto. E non espiano il dolore i
2983 nomi incisi sulle balaustre
delle due vasche, che disegnano
il perimetro di quelle che fino
alle 8.46 e alle 9.03 di 15 anni
fa erano le Torri gemelle. Quel
mattino due aerei di linea
dirottati da un commando di
terroristi di origine mediorientale
si schiantarono sulle Torri.
Oggi sono due voragini, su cui
si riversa una cascata d’acqua di
migliaia di metri cubi, a dare le
proporzioni delle fondamenta
e dell’altezza. Al tramonto le
pareti di questi abissi si colorano
di arancio e giallo, effetto del
riflesso delle migliaia di luci sulla
lega d’alluminio e rame di cui
84
cittànuova n.9 | Settembre 2016
Un mazzo di fiori sui nomi delle vittime
incisi sulle balaustre di una delle due vasche.
sono forgiati. Qui sorgevano i due
grattacieli più alti della Grande
mela, quelli delle cartoline e delle
foto ricordo, luogo di lavoro di
50 mila persone: il World trade
center, il centro d’affari della
città e non solo. Dopo 15 anni il
cantiere è ancora aperto: si lavora
a una stazione della metro e alla
chiesa greco-ortodossa sventrata
dai crolli. New York esorcizza la
tragedia edificando del nuovo.
Ci si scopre ad accarezzare quei nomi
con le dita, quasi che il contatto fisico
possa restituire, per qualche secondo,
una sorta di consolazione alle vite
spezzate
Bebeto Matthews/AP
Attorno alle enormi vasche si
ergono 400 querce bianche
disposte in filari ordinati. Ognuna
celebra il coraggio dei poliziotti,
pompieri, medici, volontari che
persero la vita nelle operazioni di
salvataggio: il Memorial plaza, la
piazza della memoria, è dedicata
a loro.
Intanto qualche rosa bianca o
rossa viene appuntata sui nomi
delle vittime incisi sul parapetto
delle vasche. I giocatori del
Bayern Monaco vi depositano fiori
e qualcuno infilza una bandiera
americana. Ci si scopre ad
accarezzare quei nomi con le dita,
quasi che il contatto fisico possa
restituire, per qualche secondo,
una sorta di consolazione alle
vite spezzate dei Ragusa, Fazio,
Ricciardelli. Tanti gli italoamericani, ma ci sono pure russi,
coreani, irlandesi e poi buddhisti,
musulmani, ebrei, cristiani.
Questa è la tomba di un pezzo di
umanità.
Resti delle colonne perimetrali del World Trade Center
installate nel museo dell’11 settembre.
Ho perso un amico
George e Lucille sono due
volontari che in questa piazza
custodiscono la memoria di quel
giorno e del periodo seguente.
Ben 16 milioni di persone hanno
finora visitato questo luogo. Lucille
ha visto il crollo dalle finestre del
suo ufficio: una volta in pensione
ha deciso di accogliere chi arriva
qui a conoscere, a capire. «Dopo
avergli raccontato dell’albero della
cittànuova n.9 | Settembre 2016
85
NEW YORK 15 ANNI DOPO
Craig Ruttle/AP
reportage
Andraya Croft/AP
Un’immagine dell’ex World Trade Center
riflessa sul vetro del 9/11 Memorial Museum.
Il caschetto da vigile del fuoco del tenente
David Halderman, morto durante i soccorsi.
memoria e mostrato le foto, i volti
e gli atteggiamenti cambiano.
Nascondono bibite e panini. Le
loro scarpe poggiano su un suolo
ancora dolente». L’albero della
memoria è un pero chanticleer,
con fiori dal profumo intensissimo.
Riemerse ancora vivo quando 1.8
milioni di tonnellate di macerie
furono rimosse dalla piazza.
Curato nel giardino botanico del
Bronx, è tornato nella sua sede.
Incrocio anche scettici e polemici:
«Leggi i prezzi per l’ingresso
al museo: gli americani sanno
far soldi anche dalle tragedie»…
86
cittànuova n.9 | Settembre 2016
«Hanno creato un cimitero a
pagamento». E qui è George a
prendere la parola con le sue foto
consumate dal tempo. Lui ha
perso un amico, un pompiere. Non
discute. Racconta della polvere
che per giorni sovrastava la città
e che oggi si pensa sia causa di
oltre 5 mila tumori. Racconta
di chi scavava a mani nude tra
il ferro rovente. Mostra ragazze
con in mano la foto del fratello,
del marito, del padre. Chiedevano
ragione o un corpo o almeno uno
di quei 1900 brandelli umani
ritrovati tra gli scavi.
Il suono dei ricordi
L’attesa concitata all’ingresso
del Memorial museum diventa
silenzioso raccoglimento man
mano che ci si avvicina alla cupola
in vetro. Il rituale dei controlli
smorza la tensione e appena
dentro il vociare riprende. Ma
non si ride. E non si salgono scale.
Si scende. Si fa una gimkana tra i
pannelli virtuali su cui i visitatori,
in forma sonora e scritta, incidono
la loro memoria di quel giorno.
«C’è un tempo prima e un tempo
dopo l’11 settembre», commenta
Robert De Niro, aprendo la app
che funge da audio guida. Non
c’è spazio neppure per la sua
voce suadente. Si ha bisogno di
silenzio mentre si scende la scala
in cemento grezzo, costruita
sulla rampa che i soccorritori
scavarono per individuare i
primi seppelliti dalle macerie.
Si continua a scendere a fianco
del tridente, la colonna d’acciaio
piegata dall’urto dell’aereo tra il
93° e il 96° piano della Torre sud.
Dall’altro lato ci sono i 38 gradini
di Vesey street, la via di fuga per
gli impiegati della Torre nord, la
differenza tra chi ce l’ha fatta e
chi no. La penombra è costante,
fino alle fondamenta in granito
che reggevano i 110 piani. Qui una
parete di mattonelle dall’azzurro
al cobalto, al celeste, al color
lavanda ti si para innanzi con
un’enorme scritta: No day shall
erase you from the memory of
time (nessun giorno vi cancellerà
dalla memoria del tempo). A
Virgilio viene affidato il senso
di questa tragedia e il dovere di
non dimenticarla: non archiviare
i colori del cielo di quel mattino
riprodotti dalle piastrelle e
neppure i resti d’acciaio della
Torre con cui sono state forgiate le
lettere della frase. Appena dietro,
un muro raccoglie le foto delle
vittime. Primi piani. Scatti di festa
o in uniforme. Mentre le osservi,
ascolti voci che ne pronunciano il
nome e il legame d’affetto. Tutti
nella sala registrazione possono
incidere la loro memoria, mentre
in un cubo nero si ascoltano i
racconti di queste vite spezzate.
/AP
Il calvario di Ground zero
L’antenna di teletrasmissioni
situata sulla Torre nord si para
innanzi in tutta la sua imponenza
ferita. C’è poi il primo camion dei
pompieri che accorse e fu travolto
dai crolli. E lei, l’ultima colonna
in acciaio a essere stata rimossa.
da udire e vedere. Gli schermi
all’ingresso e lungo il percorso
trasmettono le immagini delle tv
di tutto il mondo con lo schianto,
i crolli delle Torri, l’attentato al
Pentagono e l’abbattimento (o
la caduta) del volo United 93 in
Pennsylvania. Quasi nascoste sono
le riprese di chi si è lanciato nel
vuoto. Non si possono trattenere
le lacrime, osservando i 23 secondi
che li hanno separati dalla morte.
In una teca in vetro si slancia
verso l’alto la croce ritrovata
da Frank Silecchia: l’operaio la
Foto e filmati sull’attacco aereo nel 9/11 Memorial Museum.
Densa di scritte e messaggi,
ricorda operai, fabbri, volontari,
assistenti spirituali sacerdoti,
ristoratori e forze dell’ordine
che si spesero per la bonifica
di Ground Zero. Il numero 37
che spicca in alto è l’omaggio
al sacrificio di 37 agenti della
polizia portuale. Infine una porta
a vetri si apre sul museo vero e
proprio, che espone oltre 2900
reperti. Scarpe rosa impolverate,
Clark consumate dalle fiamme,
mostrine e berretti d’ordinanza,
autoambulanze e macchine
della polizia; e anche qui parole,
individuò in un atrio sotterraneo
formato dai detriti. È il calvario di
Ground zero ai cui piedi, per mesi,
si sono celebrate messe e funzioni
religiose.
Dopo l’11 settembre, le indagini
che portarono a individuare in
Osama Bin Laden il mandante
dell’attentato concludono il
percorso storico, non senza
interrogativi. Perché, se i
terroristi erano in prevalenza
sauditi, si dichiarò guerra all’Iraq
di Saddam e non all’Arabia
Saudita? Perché non si fa
memoria del recente rapporto
Chilcot in cui Toni Blair, tra i
fautori del conflitto, dichiara
di essersi sbagliato e non si fa
lo stesso con le dichiarazioni
di Colin Powell che confessava
di essere stato costretto a
mentire all’Onu sul possesso di
un arsenale nucleare da parte
di Saddam? Quanto questa
scelta armata ha influito sulla
formazione dell’Isis e sull’odierna
strategia terrorista? Questo
è l’angolo più scomodo del
museo, perché vi si incrociano le
vicende di ieri e di oggi, quella
dell’Occidente e del Medio
Oriente, senza happy end.
Si risale dalle viscere di Ground
zero sulle scale mobili e si vede
la luce, ma ci si volta indietro
spesso perché in quell’oscurità
ciascuno ha capito qualcosa di sé,
del dolore e della speranza che
continuano a scrivere la Storia.
16 milioni
di persone
hanno visitato
questo luogo
dalla sua
inaugurazione.
Difficile definirsi
turisti in quello
che è un sacrario.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
87
arte e spettacolo
il reale scrive le storie
CINEMA
La commedia all’italiana è il genere principale
della cinematografia nazionale. Cresce la capacità
espressiva. Mancano ancora grandi personaggi
«È tornata la commedia
all’italiana», esulta uno.
«Andiamoci piano», lo stoppa
prontamente un altro. «Ma
come – ribatte infastidito il
primo –, e Perfetti sconosciuti di
Paolo Genovese dove me lo
metti? E Smetto quando voglio di
Sidney Sibilia non ha fatto morir
dal ridere toccando il doloroso
Scena da “Quo vado”, con Checco Zalone.
“Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese.
88
cittànuova n.9 | Settembre 2016
tema del lavoro? E dell’ultimo
Zalone che mi dici? Il suo Quo
vado non ha divertito milioni
di italiani con intelligenza e
genialità?». «Sediamoci – sospira
l’interlocutore cauto, lasciando
intendere che la questione
è articolata e le va dedicato
tempo –. È vero – risponde
con pazienza all’entusiasta –, i
titoli che citi hanno sbancato al
botteghino senza vendersi alla
farsa e senza rifugiarsi nella
baia delle crisi sentimentali;
raccontano i problemi del
presente e appartengono a una
nuova generazione di registi.
Ciò fa ben sperare per il futuro».
Questo accenno di dialogo tra due
appassionati osservatori di cinema
italiano è ovviamente immaginario,
ma aiuta a dipingere il complesso
momento attraversato dalla nostra
commedia, oggi. Lo spettatore
entusiasta continua ad ascoltare
l’altro per scovare l’origine della
sua diffidenza. «Come i registi
di cui parli – prosegue ancora
l’osservatore scettico –, ce ne
sono anche degli altri: Edoardo
Leo, le cui più recenti commedie,
La mossa del pinguino e Noi e la
Giulia, sono legate nuovamente
al tema del lavoro; Massimiliano
Bruno, che con Gli ultimi saranno
ultimi ha completato il suo
crescendo espressivo e ha parlato
di crisi economica e di contratti di
lavoro non rinnovati; Pif, che con
preziosa leggerezza ha raccontato
addirittura la storia della mafia
siciliana: il suo La mafia uccide
solo d’estate è stato l’esordio più
apprezzato degli ultimi anni e
c’è attesa per il secondo film del
regista siciliano, in sala dal 27
ottobre con In guerra per amore,
di nuovo miscela di commedia,
mafia e Storia d’Italia, visto che
si parlerà dello sbarco degli
americani in Sicilia, nell’estate del
’43. Ci metto pure Roan Johnson
– aggiunge l’osservatore prudente
Il regista Paolo Virzì.
Alberto Sordi e Vincenzo Crocitti in “Un borghese piccolo piccolo”.
Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant in “Il sorpasso”.
– che a Venezia ha presentato da
pochissimo la sua terza commedia,
Piuma, e ancora una volta ha
parlato (con realismo) di giovani
e del presente non semplice
che li circonda». Lo spettatore
soddisfatto adesso è in confusione.
Continua a non capire dove sia il
problema. «Ma insomma – chiede
seccamente all’altro –, il momento
per te è positivo o negativo?».
La risposta è la seguente. «La
principale caratteristica della
commedia all’italiana è sempre
stata quella di attingere dalla
realtà, e da questo punto di
vista il presente è migliore del
passato recente, quando le nostre
commedie, concentratissime sui
sentimenti, furono ribattezzate
con sarcasmo “telefonini bianchi”.
Fu Citto Maselli a definirle così,
paragonando gli amori giovanili di
Moccia e Brizzi al lontano cinema
fascista dei “telefoni bianchi”,
ovvero commedie servite dal
regime per distrarre lo spettatore
con turbolenze amorose di ragazzi
che in zona cesarini afferravano
il lieto fine. Oggi il presente è
tornato nella commedia, e questo
è un bene. Ma basta? Prendiamo
Perfetti sconosciuti, la più
strutturata ed elegante commedia
dell’ultimo periodo, capace di
portare tanta gente al cinema e di
guadagnare i complimenti della
critica. Per carità, un film scritto
bene, come si dice in gergo e
messo in scena ancora meglio. Ma
dopo la pregevole tensione della
proiezione, stringi stringi, cosa
ti porti a casa? Quali profonde
verità hai ascoltato dai tanti
protagonisti? Il respiro della vita
lo hai sentito? È questo il punto.
Una generale crescita espressiva
è evidente, ma mancano ancora
i grandi personaggi che ti fanno
male perché ti somigliano, che ti
fanno pena e tenerezza perché
pensi che esistano davvero. Silvio
Magnozzi di Una vita difficile,
Gianni Perego di C’eravamo
tanto amati, Bruno Cortona de Il
sorpasso, Giovanni Vivaldi di Un
Borghese piccolo piccolo. Ecco,
allora, che prontamente, di fronte a
tanta nostalgia, l’unico che ci viene
in soccorso solitario continua ad
essere Paolo Virzì, l’erede ancora
unico della grande commedia
all’italiana e dei suoi sorrisi amari.
Manca ancora questo – conclude
l’interlocutore con riserve – ai
giovani e bravi registi italiani di
commedia». L’ottimista resta in
silenzio. Ha compreso, finalmente,
la posizione dell’altro. E forse è un
pizzico meno entusiasta.
Edoardo Zaccagnini
cittànuova n.9 | Settembre 2016
89
arte e spettacolo
una mamma per amica
TELEVISIONE
L’ottava e inedita stagione della serie
“Gilmore girls”, sbarcherà in 4 nuovi episodi
a novembre prossimo su Netflix
Lauren Graham (nei panni di mamma Lorelai) e Alexis Bledel (la figlia Rory).
Le ragazze Gilmore stanno per
tornare, per la gioia di tutti i
fan: l’ottava e inedita stagione di
Gilmore Girls, conosciuta in Italia
come Una mamma per amica,
sbarcherà in 4 nuovi episodi da
90 minuti l’uno, sulla piattaforma
Netflix, a partire dal 25 novembre
2016. Il titolo originale della
serie rimanda al cognome delle
due protagoniste, Lorelai e
Rory Gilmore, rispettivamente
madre e figlia, che vivono a Stars
Hollow, paesino immaginario
del Connecticut, popolato da
personaggi divertenti e originali.
La serie, andata in onda per la
prima volta in America nel 2000
e conclusasi inaspettatamente
nel 2007 dopo 7 stagioni e 157
puntate, ha rappresentato un
vero e proprio cult nel decennio
passato, soprattutto grazie ai
dialoghi super veloci e spesso
90
cittànuova n.9 | Settembre 2016
nonsense tra madre e figlia.
Lorelai e Rory sembrano quasi
sorelle: si divertono insieme,
condividono gioie e dolori e
soprattutto hanno solo 16 anni di
differenza. Lorelai ha avuto Rory
in giovanissima età e l’ha cresciuta
come una ragazza studiosa,
responsabile e determinata. La
serie ha inizio proprio quando
Rory viene ammessa all’interno
della prestigiosa Chilton School,
un college che le garantirà
quasi sicuramente l’ingresso ad
Harvard, il suo sogno da sempre.
La Chilton è però una scuola
molto costosa e Lorelai, suo
malgrado, si trova a chiedere un
aiuto economico ai suoi ricchi
genitori, Emily e Richard Gilmore,
ancora scottati dall’onta di una
figlia che è madre single e per di
più non laureata. La serie si basa
quindi sulle vicende personali e
amorose che riguardano Lorelai
e Rory, ma anche sul rapporto
intergenerazionale che vede a
confronto mamma, figlia e nonni.
La serie, attraverso la cifra
stilistica della commedia,
affronta temi interessanti, come
la determinazione nel portare
avanti una gravidanza inattesa,
divenuta in seguito motivo di
gioia e di realizzazione personale,
piuttosto che di impedimento
al raggiungimento dei propri
obiettivi, così come l’importanza
dello studio e della preparazione
nel conseguimento dei propri
scopi professionali. La nuova
serie sarà ambientata nel
tempo presente, 9 anni dopo la
conclusione della precedente
narrazione televisiva. Ogni
puntata rappresenterà una
stagione diversa nella vita delle
protagoniste ņ inverno, primavera,
estate e autunno ņ, andando così
a ricoprire l’arco temporale di
un intero anno. In occasione del
revival, Italia Uno sta mandando
in onda le repliche della serie,
mentre dal primo luglio,
Netflix ha reso disponibili in
contemporanea tutte le 7 stagioni
precedenti, anche in versione
originale e sottotitolati. Gilmore
Girls è una serie divertente e
brillante, che dà il meglio di
sé proprio nella versione in
lingua originale, che consente di
apprezzare i dialoghi witty, ossia
spiritosi e scanzonati, intelligenti
e molto ironici. Grazie a queste
sue caratteristiche, Gilmore Girls
è stata citata nel tempo in diverse
serie tv tra cui Scrubs, Gossip
Girl, Veronica Mars, Ugly Betty e
molte altre, testimoniando così il
suo successo e forte impatto nella
cultura pop del Paese.
Eleonora Fornasari
il viaggio di amal
La Collezione estiva 2016 e il
realismo crudo della Sicilia di Dolce
& Gabbana rimandano al vocio, alla
cantilena quasi araba, ai profumi e
ai colori della Vucciria, di Palermo,
al cinema italiano di De Sica,
Visconti, Rossellini, alla poetica
di Togliatti che fa esplodere il
conflitto con l’Informale. Le parole
di Cesare Brandi sono un omaggio
alla Sicilia di Dolce & Gabbana,
archetipo senza tempo, signum
degli scarafaggi, pubblicato
dall’editore patavino BeccoGiallo
con un agile racconto illustrato
dal titolo L’immigrazione spiegata
ai bambini, il viaggio di Amal.
Utilizzando un punto di vista caro
ai piccoli, quello degli animali,
i due autori siciliani affrontano
con semplicità e in maniera
diretta uno degli argomenti
più spinosi del nostro tempo.
La gatta Amal, il cane Joe, la
capretta: i protagonisti della storia
attraversano il Mediterraneo in
un viaggio della speranza come
migliaia di disperati profughi che
affidano il proprio destino a questi
veri e propri gusci di noce che
sovente li tradiscono.
L’approccio chiaro, le grandi
illustrazioni, le reazioni forti
degli animali agli eventi che
si susseguono rapidamente:
tutto viene narrato con un tono
delicato, quasi sommesso, ma che
non omette praticamente nessuna
delle problematiche relative a
immigrazione, razzismo, guerre
e disperazione, i veri protagonisti
della storia. Lettura indicata per
iniziare a coinvolgere i propri figli
in tematiche decisamente spinose.
individuationis di attualità perenne
di «quella consonanza segreta che
lega alla madre, fluido che monta
da terra e per le vene risale il corpo,
irrora come altro sangue» e che
fa riemergere miti mediterranei
e mercati arabi, nell’impeto
cromatico di gioiosa esaltazione
sensuale come nell’affresco del
Teatro Vittorio Emanuele di
Messina. La Collezione Women’s
Carretto 2016 evoca l’incanto e lo
stupore di Renato Guttuso bambino
mentre osservava dipingere i
carretti siciliani, la musica di Marco
Betta, il Nocturnes di Debussy,
estasi immobile di una moltitudine
di variabili, ritmo eterno da cui
affiorano le voci e i rumori del
mercato.
Davide Occhicone
Beatrice Tetegan
cittànuova n.9 | Settembre 2016
91
MODA
dolce & gabbana
women’s carretto
FUMETTI
L’Italia vanta una importante
tradizione nel campo della
narrativa per l’infanzia: con nomi
di spessore, da Collodi a Gianni
Rodari, fino a fenomeni odierni
come le storie di Geronimo
Stilton. C’è inoltre un settore
dell’entertainment, quello a
fumetti, che ha visto nell’Italia
la patria dei più grandi scrittori
e disegnatori di storie Disney di
paperi e topi (Romano Scarpa,
Giovan Battista Carpi, per citarne
solo un paio). Oggi, in una libreria,
il settore dedicato a volumi
illustrati e fumetti per l’infanzia
riveste una grande importanza
commerciale e culturale. Il tutto
con la capacità di raccontare
qualsiasi evento e aspetto della
vita reale ma con il modo corretto
per rendere il tutto fruibile in
una età delicata come la prima
infanzia.
Lo scrittore (di fumetti come di
libri di inchiesta) e giornalista
Marco Rizzo e il disegnatore
(di fumetti e illustrazioni) Lelio
Bonaccorso danno un seguito
ideale al loro volume La mafia
spiegata ai bambini; l’invasione
MUSICA E TEATRO
arte e spettacolo
monster allergy
Al Teatro Sistina di Roma la
stagione del musical riparte
alla grande. Il fumetto Monster
Allergy, nato dalla penna del
dream team Centomo - Artibani Centucci - Canepa e già fortunato
cartone animato prodotto dalla
Rainbow, approderà sulle scene
il 22 settembre in anteprima
assoluta. Una trasposizione
teatrale inedita: animazione,
effetti speciali e canzoni composte
ad hoc. Per l’occasione, poi, è
stata fondata una compagnia di
artisti composta esclusivamente
di bambini e ragazzi tra gli 8 e i
12 anni. I Ciprix, così si chiama il
gruppo, nonostante la giovane età,
sono tutto fuorché dilettanti allo
sbaraglio. La loro storia ha inizio
nella Musical Weekend, scuola per
giovanissimi fondata da Francesca
Cipriani. Il progetto originale:
preparare bambini e ragazzi
ad affrontare il palcoscenico
con gli strumenti giusti. Da veri
professionisti. Si tratta in assoluto
della prima compagnia stabile del
musical composta solo da bambini
provenienti da tutta Italia. Una
bella occasione, quindi, per
avvicinarsi al mondo del fumetto
made in Italy e per godere di
uno spettacolo adatto a tutta la
famiglia.
Elena D’Angelo
michele mariotti
il barone rampante
Classe 1979, pesarese doc, ha
respirato da sempre Rossini. Lo
incontro dopo una splendida
Donna del lago al Rossini Opera
Festival. Un’opera “liquida” dice
Mariotti, sorriso cordiale, tratto
semplice e affabile. «È fatta di
emozioni, sensazioni, ci scorre
addosso». L’ha diretta a Londra
e New York, ma con la “sua”
orchestra di Bologna è altra cosa:
«Ci conosciamo da 9 anni». E si
vede: c’è un rapporto non solo
artistico, ma umano. Mariotti è
meticoloso: «L’orchestra deve
cantare con cantanti». Lo si
avverte, quando dirige Bellini
Donizetti Verdi ma anche Bizet.
«Io continuo a studiare: un
direttore deve essere un uomo di
cultura». E la lezione dei grandi
del passato? «Bisogna, come loro,
rinnovarsi di continuo, creare un
proprio suono, non basta eseguire
ciò che è scritto». Ci sono colori e
sfumature: il New York Times l’ha
notato, definendolo un direttore
“eminente”. Stanziale a Bologna,
gira però il mondo. «Stamane
ho messo la sveglia – racconta
– per studiare Gli Ugonotti
di Meyerbeer per Berlino.
Speriamo vada bene», sospira con
naturalezza. Si riposerà questo
ex sportivo? «Non posso più
praticare il basket, ma almeno
giro in bicicletta», sorride.
La nuova creazione del genio del
circo contemporaneo Mathurin
Bolze, Baron Perchés, fonde
danza, teatro e acrobazia. Il duo
in cui Bolze dialoga con Karim
Messaoudi è ispirato alla scelta
del protagonista del romanzo di
Italo Calvino Il barone rampante,
di andare a vivere su un albero.
Padronanza del corpo e sforzo
reso invisibile trasformano la
materia in astrazione poetica per
far emergere il movimento nella
sua purezza. L’abilità maschera la
tecnica, rende leggero e sospeso
ogni movimento. Ritroviamo
Bachir nella casa sull’albero
con le finestre, ma non più solo.
Con lui c’è qualcuno che è un sé
stesso più vecchio ma anche più
Mario Dal Bello
giovane. È un alter ego, un sogno
o un incubo? La proiezione di
un desiderio o di un fantasma
burlone? Forse ha inventato un
amico immaginario, oppure la
vita sull’albero lo sta facendo
impazzire e sta basculando, lui
come la casa, verso la follia.
Le acrobazie diventano quasi
levitazione perché il pavimento
elastico nel piccolo spazio vitale è
un trampolino che sospende gesti
e azioni ma soprattutto sospende
giudizio, buon senso e luoghi
comuni.
Giuseppe Distefano
Al Festival Torino Danza, dal 15 al 18/9
92
cittànuova n.9 | Settembre 2016
provvidenziali per i loro
asfittici bilanci.
Per quel che concerne
i gusti, i prodotti poprock italiani tengono, e
detengono attualmente
un buon 44% del
mercato, contro il
38% del repertorio
internazionale che
comunque sta dando
chiari segnali di risalita.
La nuova stagione ci
dirà se i succitati trend
si consolideranno,
certo è che abbiamo
a che fare con scenari
G. Rossini: “Matilde
di Shabran”
Giuliano Palma:
“Groovin’” (Universal)
Tom Odell: “Wrong
Crowd” (Sony Music)
L’opera del Pesarese in una
luminosa edizione del Rossini
Opera Festival 2013 con i
superbi Juan Diego Flçrez,
Olga Peretyatko e Nicola
Alaimo. Orchestra e coro del
Teatro Comunale di Bologna
sono diretti da Michele
Mariotti, la regia è di Mario
Martone. 2 dvd Decca. M.D.B.
Fa il verso al reggae e allo
ska, cita il Vasco con Fabri
Fibra e strizza l’orecchio al
pop italico anni ’60, passa con
scioltezza da Pino Daniele
ai Rascals: un disco di cover
costruito mettendoci molto di
suo, con la leggerezza stilosa
e nostalgica di ogni sua
produzione. F.C.
Uno dei migliori cantautori
dell’ultima generazione
britannica. Un second-out
all’altezza delle attese per
questo giovanotto che fa sue
le lezioni dei grandi della
black-music e del pop bianco
(Elton John in primis) con un
prodotto insieme moderno e
tradizionalista. F.C.
MUSICA LEGGERA
Crollano i cd, risorge il
vinile, ma il botto vero lo
fa lo streaming, ovvero il
consumo musicale legato
non più all’acquisto e
dunque al possesso di un
prodotto, ma al semplice
ascolto e dunque
all’accesso alla musica.
I dati salienti sono
eclatanti, tanto più che
le ultime rilevazioni
segnalano che per
la prima volta nella
storia la vendita dei
prodotti audio digitali
(tramite download o
streaming appunto) ha
sorpassato quella dei
supporti convenzionali.
Scendendo nello
specifico, nella prima
metà di questo 2016 lo
streaming rappresenta
ormai il 40% del
consumo musicale
globale, con un
incremento superiore
al 50%. Il mercato
della musica fattura
comunque molto meno
dei tempi d’oro: per
quanto riguarda l’Italia
poco più di 65 milioni
l’anno, con un misero
1% in più rispetto
all’anno scorso. Merito
anche dell’evoluzione
dello streaming:
se gran parte dei
consumatori continua
ad accontentarsi
dell’ascolto gratuito
online – sorbendosi
una buona dose di
spot pubblicitari che
inframmezzano gli
ascolti – è in forte
incremento (+68%) il
numero di coloro che
preferiscono la formula
dell’abbonamento – circa
10 euro al mese, e 15
per un abbonamento
usufruibile da tutti
i familiari. Spotify e
Deezer sono ormai i
nuovi colossi ai quali
tutte le componenti
del music-business
non possono che
genuflettersi,
ricavandone del resto
introiti sempre più
inimmaginabili solo
un paio di decenni fa.
Eppure la musica è
sempre lei, almeno nella
sua essenza: quel che è
cambiato sono i modi di
farla e di fruirla. Ma il
fatto che siano sempre di
più i mercati a guidarla,
e non il contrario, mi fa
pensare che il termine
artista sempre meno
s’adatti a chi la produce.
Franz Coriasco
Poesia del reale
Le fotografie di Toni Nicolini,
dagli anni ’60 al 2000,
testimoniano uno sguardo
attento e partecipe ai
mutamenti della società
realizzando per anni le
campagne fotografiche
per i libri del Touring Club
Italiano in Italia e in Europa.
Milano, Forma Meravigli, fino
al 23/10 (Cat. Contrasto). G.D.
cittànuova n.1 | gennaio 2015
93
APPUNTAMENTI CD NOVITÀ
il nuovo
mercato
A
T R AT TG NOO -D
L U G L I O - A G O S TO 2 0 1 6
n. 6 - GIU
Testo e disegni di V. Sedini
il giornalino dei bambini in gamba*
LA BAIA
DEI GIGANTI
«Un posto così non è facile
trovarlo!» diceva spesso
il buon vecchio Pietro. E
non aveva torto: era una
piccola baia nascosta
da rocce formidabili sormontate da un fantastico intrico di cespugli
contorti e un po’ strani e comunque sempre profumatissimi: la “macchia
mediterranea”. Così la chiamano gli uomini, ma in realtà si trattava… di
capelli! Quelle rocce, infatti, erano nientemeno che le facce di enormi
giganti. Il resto del loro smisurato corpaccione stava sottoterra ed era lì
da qualche millennio. Le rocce se ne stavano sempre ben ferme perché
non volevano spaventare i turisti, i bagnanti, i bambini che giocavano
sulla sabbia e le signore che prendevano il sole. Ma verso sera, quando
tutti se ne andavano e tornava la pace, la luce radente
del tramonto svelava lineamenti di volti misteriosi e antichissimi.
Però ci volevano occhi, per così dire, speciali e soprattutto bisognava
conquistarsi la fiducia dei giganti, se no continuavano
ad apparire semplici rocce.
Il vecc
vecchio Pietro, che era pescatore, la fiducia dei giganti se l’era
certamente
conquistata, perché amava il mare e la natura, e anche lui
ce
era
er lì da tanto, tanto tempo. Abitava in una minuscola casetta di pietra
al limitare della baia e tutte le sere, seduto a riparare le reti, scambiava
quattro
chiacchiere con i faccioni dei giganti, raccontava barzellette e
qu
loro ridevano agitando le capigliature. Gli uomini credevano che fosse il
vento, ma spesso gli uomini credono a cose sbagliate.
Per esempio: una notte, venne una furiosa mareggiata. Così dissero gli uomini; ma in verità si trattava di
un’allegra e quanto mai chiassosa visita che i giganti del mare fecero ai giganti delle rocce. Non vi dico
cosa successe in quella baia: il vecchio Pietro, pur essendo un tipo comprensivo, sgridò severamente i
giganti, perché quando è troppo, è troppo! Dovette buttar fuori di casa secchiate e secchiate d’acqua,
riparare la barca che era stata sbatacchiata malamente e lavorare come un matto per tirar fuori le reti
semisepolte dalla sabbia. I giganti chiesero scusa e promisero che non sarebbe più successo e tutto finì
lì. Ma la mareggiata aveva lasciato sulla sabbia una quantità di conchiglie. Alcune erano molto strane e
tutte erano bellissime: il mare infatti sa fare cose piene di fantasia.
La più grossa e la più bella, che era finita proprio dove la sera Pietro solitamente ripatava le reti, si mise a
vantarsi: «Guarda come sono bella e che bei colori ho! Sai che in certi negozi mi vendono per un sacco di
soldi?». Per un po’ lui la ascoltò pazientemente, ma poi prese a risponderle per le rime: «Ma va là che sei
soltanto il guscio di un mollusco morto!»
A questa battuta i giganti scoppiarono in una sonora risata e non la finivano più, tanto che i giganti del
mare accorsero per sapere cosa succedeva… ed ecco un altro finimondo!
«Allora! – disse il pescatore – Ricominciamo!?!?»
Ma questi non la smettevano. «Ecco – diceva Pietro –, quando scoppia la ridarola non ci si ferma più», e si
mise a ridere anche lui.
pagine verdi
SPORT
il riscatto di rio
Leo Correa/AP
Rafaela Silva e Monica Puig, due giovani giunte
all’oro olimpico perché capaci di non cedere a
rassegnazione e disagio sociale
La magia dell’atmosfera
carioca, i suoi botti, i
suoi colori, le medaglie,
le performance di atleti
più o meno noti di tutto
il mondo hanno colorato
di fascino l’estate 2016 di
milioni di appassionati.
Tra tante originali
parabole evidenziate
dalla rassegna,
concentriamo il nostro
mirino sulla tenacia di
due donne che la storia
delle Olimpiadi ha
immortalato a modello
di riscatto per tanti. La
prima è Rafaela Silva,
24 anni, medaglia d’oro
nel judo per la categoria
57 kg: nata e vissuta nel
quartiere poverissimo di
Cidade De Deus a Rio, ha
raggiunto un traguardo
per i più impensabile,
date le umili origini
96
cittànuova n.9 | Settembre 2016
nella favela. Una corona
dolorosa che avvolge
grattacieli e splendori,
come tante città del
contraddittorio Brasile.
È stata lei a vincere la
prima medaglia d’oro
del Brasile, concedendo
alla comunità di Cidade
De Deus un motivo
per asciugare qualche
lacrima, dato che
proprio nella notte dell’8
agosto, quella della sua
storica vittoria, questa
favela è stata al centro
di un’operazione di
polizia costata cruente
sparatorie. Dona
Zenilda e Luiz Carlos
ricorderanno la vittoria
della propria figlia e la
sparatoria davanti casa,
ma solo la prima avrà
fatto, purtroppo, notizia.
Perché nella favela di
La commozione di Rafaela Silva sul podio dopo la vittoria.
/AP
«Voglio solo essere felice», è scritto sulla maglietta
mostrata da Rafaela Silva, festeggiata dalla suaw comunità.
Cidade de Deus, resa
famosa dal film City of
God del regista Fernando
Mereilles (uno degli
autori della spettacolare
serata di inaugurazione
delle Olimpiadi allo
stadio Maracanã), i
Giochi erano arrivate
più come minaccia che
come gioia: le favelas
hanno visto soprattutto
espropriazioni forzate
(circa 77 mila) in vista
dell’evento olimpico la
cui base, Rio de Janeiro,
lamenta 19 miliardi
di reais di debito che
costringono lo Stato a
non pagare molti medici,
insegnanti e docenti. La
sensazione, che solo i
prossimi anni potranno
smentire, è che gli
enormi finanziamenti
ricevuti per le Olimpiadi
finiscano nelle mani
di pochissimi, mentre
diversi ospedali
chiudono e le scuole
pubbliche sono al
collasso. Inoltre lo
stipendio minimo in
Brasile si aggira sui
mille reais (circa 300
euro) e il biglietto per
vedere un evento costa
in media 2 mila reais:
Rafaela abbracciava
probabilmente tutti i
moradores, eufemismo
per definire gli abitanti
delle favelas, per le
disuguaglianze che non
hanno trovato spazio sui
media.
La seconda storia è
quella di Monica Puig, 23
anni questo settembre:
numero 37 del tennis
mondiale salita sul
gradino più alto del
Vadim Ghirda/AP
di Mariano Conte
Monica Puig sventola la bandiera del Portorico dopo l’oro di Rio.
Purtroppo è stata eliminata al primo turno degli US Open 2016.
podio di Rio quale prima
atleta del Portorico
a fregiarsi dell’oro
olimpico. «Mi sono
messa a pregare Dio e a
chiedergli di aiutarmi…»,
ha confessato alla fine:
ora, non sappiamo
per chi Dio facesse
specificamente il tifo ma,
se non altro, il minuscolo
Portorico, ultimo tra gli
ultimi per tanti disagi
sociali, ha messo in
fila stavolta le grandi
potenze del mondo,
per lo meno sul campo
da tennis. Una serie di
partite straordinarie
ha portato Monica al
trionfo: battuta due volte
persino la campionessa
di Wimbledon, Kvitova.
Un caso? No: fossero i
Giochi centroamericani
o panamericani, Monica
è sempre andata a
medaglia fin dal 2010,
quando aveva solo 17
anni. Il Portorico ha
festeggiato da eroina
la sua Monica, che
nonostante le lusinghe
della Federtennis USA
(di cui ha passaporto
come tanti atleti), «si è
sempre sentita troppo
portoricana per giocare
per un’altra bandiera».
Monica non ha battuto
solo la numero 2 del
mondo, Angelique
Kerber, in finale, né solo
la numero 3 del mondo,
Garbiñe Muguruza,
ancora prima. Arrivata
all’oro sconfiggendo 3
campionesse di Slam,
ha dichiarato: «In
ogni incontro che ho
giocato sono migliorata
e migliorata, sono
diventata più potente,
più veloce, ho iniziato
a credere di più in me
stessa». Grazie a lei
e Rafaela, bellissime
sorprese potrebbero
diventare qualcosa di
meno raro.
JUDO (57 kg)
Oro: Rafaela Silva
(Brasile)
Argento:
Dorjsürengiin Sumiyaa
(Mongolia)
Bronzo: Kaori
Matsumoto (Giappone)
TENNIS
Oro: Monica Puig
(Porto Rico)
Argento: Petra Kvitová
(Repubblica Ceca)
Bronzo: Angelique
Kerber (Germania)
cittànuova n.9 | Settembre 2016
97
pagine verdi
BUON APPETITO CON...
Semifreddo
di fichi
al marsala
di Cristina Orlandi
Un dessert veloce e semplice da realizzare
da personalizzare modificando il quantitativo di fichi,
oppure aggiungendo gherigli di noce, uva sultanina
o altra frutta secca.
INGREDIENTI
›
›
›
›
›
per 6 persone
Per il semifreddo:
250 gr. di panna fresca
3 uova
1 bicchierino di marsala
12 fichi
230 gr. di zucchero semolato
›
›
›
›
›
Per la decorazione:
25 gr. di zucchero semolato
75 ml di acqua
4 fichi
zucchero a velo
8 amaretti
98
cittànuova n.9 | Settembre 2016
cottura
5 min
preparazione
30 min
PREPARAZIONE
Semifreddo: Far
caramellare 80 gr. di
zucchero con mezzo
cucchiaio d’acqua.
Distribuire il caramello
(sarà color nocciola) in
modo uniforme in uno
stampo da plum-cake.
Frullare la polpa di 12
fichi. Sbattere i tuorli
con 150 gr. di zucchero
e montare a neve gli
albumi, aggiungere il
marsala. Montare la
panna e unirla al frullato
di fichi e al composto con
le uova. Versare la crema
ottenuta nello stampo e
porre in congelatore per
qualche ora.
Decorazione: Far
sciogliere 25 gr. di
zucchero con 75 ml
di acqua. Portare a
ebollizione e unire 4 fichi
tagliati in 4 spicchi, farli
caramellare per qualche
minuto e farli freddare
su carta forno. Sformare
il semifreddo, sbriciolarvi
sopra gli amaretti
e decorare coi fichi
caramellati. Zucchero a
velo a piacere.
Ricchi di fibre sono
tra i migliori lassativi
naturali. Hanno molti
zuccheri, vitamine e sali
minerali. Sono molto
energetici. Possiedono
diversi polifenoli
che contribuiscono a
mantenere giovani le
cellule e secondo studi
condotti specialmente
in Giappone aiutano
a prevenire diversi
tipi di tumori e a
EDUCAZIONE SANITARIA
VACCINI:
L’ORA DELLA
CHIAREZZA
di Spartaco Mencaroni
Qualche organo
istituzionale riesce
a parlare chiaro
sull’argomento?
Col documento sulle
vaccinazioni presentato
l’8 luglio scorso, la
Federazione nazionale
degli ordini dei
medici (Fnomceo) ha
preso posizione: «La
disinformazione sta
minando il principio
di sicurezza dei
cittadini». Superando
l’impostazione del
“dibattito di opinioni”,
il documento parte dal
fatto che «la prevenzione
e la scomparsa di
malattie infettive, in
passato tra i più terribili
flagelli dell’umanità,
costituiscono un
successo senza pari e
il più gran numero di
vite salvate grazie alla
scienza medica». E si
rischia di dimenticarlo,
inducendo «la
cittadinanza a credere
che il successo sulle
malattie infettive fosse
definitivo». A ricordarci
quanto è pericoloso per
sé e gli altri abbassare
la guardia, sono i
casi di morti o gravi
DIARIO DI UNA NEOMAMMA
SORA LUMACA
E FRATE VERME
rinforzare il nostro
sistema immunitario.
Contengono prebiotici
che favoriscono la
flora intestinale.
Sono considerati
antinfiammatori e
un consumo regolare
assicura salute anche per
le ossa. Quelli freschi
sviluppano per 100 gr.
47 calorie, quelli secchi
circa 270.
danni subiti anche dai
pazienti che, per età o
controindicazioni, non
possono vaccinarsi. Un
elemento che richiama
«l’individualismo
prevalente, che porta a
dimenticare gli obblighi
verso la collettività».
Il documento mette a
nudo una vera e propria
sottocultura strisciante,
sfruttata da chi, anche
per interessi, diffonde
stravaganti teorie di
complottismo, contrarie
a ogni evidenza e buon
senso.
di Luigia Coletta
Irene ha un animo nobile
e uno spirito aperto e
disponibile. Anche con
gli animali. Si dice che
le mele non caschino
mai lontano dagli alberi
e così mio marito le
avrà geneticamente
trasmesso interesse e
passione per il mondo
degli animali, anche i
più piccoli. Tradizione
vuole che le mamme
siano un po’ più restie
allo studio e all’analisi
ravvicinata di grilli o
coleotteri, quindi il mio
ruolo molto marginale
in questi momenti
mi spinge a voltare lo
sguardo altrove con
tanto di smorfia di
disappunto. E questo è
già un traguardo rispetto
a quando le intimavo di
mollare immediatamente
il lombrico o la formica
di turno. Così per noi
è normale adottare
coccinelle, lumache o gli
animaletti che diventano
una pallina quando li
tocchi, per poi liberarli
quando ci accorgiamo
che l’adattamento in
casa non funziona. E
sono felice per questa
educazione francescana
che ricevo da lei.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
99
[email protected]
Molti centenari
attribuiscono ai fichi
il segreto della loro
longevità. Il prof.
Angel Keys, lo studioso
scopritore della dieta
mediterranea morto
a 101 anni, aveva
l’abitudine di mangiare
ogni sera alcuni fichi
freschi o secchi. I
fichi hanno un alto
valore nutritivo e sono
facilmente digeribili.
[email protected]
I FICHI
di Giuseppe Chella
[email protected]
ALIMENTAZIONE
pagine verdi
AMBIENTE
di Lorenzo Russo
addio plastica
L’imballaggio della birra che quando finisce in mare
nutre gli animali invece che ferirli
In Florida è nata un’idea
geniale. Alcuni scienziati
si sono chiesti come
fare per non inquinare
l’ambiente con gli anelli
di plastica che tengono
unite le lattine di birra
e che uccidono migliaia
di pesci, tartarughe e
uccelli marini. E così
sono stati realizzati gli
anelli commestibili che
non solo non inquinano,
ma diventano cibo per
gli animali.
Nata negli stabilimenti
della Saltwater Brewery,
un’azienda di birra
artigianale, l’idea sta
spopolando sul web
ed è pronta per essere
esportata anche in varie
aziende che producono
altre bevande.
L’imballaggio è prodotto
dai sottoprodotti della
birra, come orzo e grano.
Sono biodegradabili e
compostabili al 100% e
totalmente sicuri per gli
animali e per gli uomini.
L’azienda americana ha
tenuto a precisare che il
prodotto è resistente ed
efficiente come il vecchio
imballaggio in plastica.
L’unico inconveniente è
il costo di produzione più
elevato. Ma si spera nella
generosità dell’utente
che sia disposto a pagare
qualcosina in più per
aiutare gli animali e
l’ambiente.
100
plastica. E non solo:
nel 2015 l’elemento
più comune tra la
spazzatura, ingerito
dalle tartarughe marine,
è proprio la plastica.
Lo afferma l’Ocean
Conservancy’s 2015
Ocean Trash Index, che
ha arruolato 561.895
volontari per raccogliere
16.186.759 chili di
spazzatura. Inoltre i
volontari hanno trovato
57 mammiferi marini,
440 pesci e 22 esemplari
tra squali e razze
incastrati nella plastica.
Gli anelli commestibili
potrebbero sicuramente
risolvere questi
problemi. «Speriamo
di influenzare le grandi
aziende», ha detto Chris
Goves, presidente della
Saltwater Brewery.
«Speriamo di farle salire
a bordo».
«È un grande
investimento per una
piccola fabbrica di birra
creata da pescatori,
surfisti e persone che
amano il mare», dice
Agardy, responsabile
del marchio Saltwater
Brewery.
Ma come abbattere
questo costo aggiuntivo?
Il prezzo di produzione
cittànuova n.9 | Settembre 2016
scenderebbe se più
aziende investissero
negli anelli commestibili,
mettendosi in
competizione con quelli
in plastica. In questo
modo si potrebbe salvare
la vita della fauna marina.
Secondo un rapporto
pubblicato sulla rivista
Pnas, il 90% degli uccelli
marini hanno mangiato
Pacific
Trash Vortex
Isola di immondizia
raccolta dalle correnti
estesa tra lo 0,41 e il 5,6%
del Pacifico
la vignetta
GIBI E DOPPIAW
di WALTER KOSTNER
Dialogo con i lettori
Rispondiamo solo a lettere brevi, firmate, con l’indicazione del luogo
di provenienza.
INVIA A [email protected]
OPPURE via Pieve Torina, 55 - 00156 Roma
Terremoto/1
Stai dormendo e
all’improvviso arriva un
pugno nel sonno. Gira la
testa, perdi equilibrio, poi
capisci cos’è e ti chiedi
come diavolo ci sei finito
dentro. Respiri tufo,
se respiri, quello delle
piastrelle che cadono,
prodotto dai muri della
tua casa, dall’intonaco
che precipita, dai piatti
che si rompono. Dopo ti
domanderai tante cose,
ma in quel momento
riesci solo a vedere il
buio. I gesti, tutti, li guida
l’istinto di sopravvivenza,
le parole se le mangia
la paura. Gridi solo i
nomi delle persone che
ti sono vicine, e aspetti
rispondano dall’altra
parte dell’incubo. Se
riesci a uscire all’aperto,
ti accorgi come sei
grazie alle poche luci dei
lampioni della strada. Ti
specchi negli altri che
si radunano al centro
delle piazze. Ti vedi
fragilissimo, di carta
velina, che stropicciano le
scosse nuove, quelle che
chiamano d’assestamento
ma accelerano di più il
battito dei cuori. Passa
molto tempo prima
che possa accorgerti se
hai un graffio addosso,
neppure consideri le
mani, le gambe. Se ricevi
una botta non la senti.
C’è altro che ho visto.
C’è altro che ricordo,
102
ma non è importante la
cronaca sanguigna: se la
si incoraggia, si genera un
inutile gusto per l’orrido,
le carcasse, l’odio, le
pietre… Che conforto
può dare una pietra? Che
sia amore quel che resta
invece. Questo conta. Il
tuo, adesso, oggi, per chi
ti circonda. Lo grida chi
muore (e io ne ho persi
molti nel 2009). Tante
disquisizioni sono inutili
se sai che puoi ritrovarti a
condividere con qualcuno
la stessa coperta sulle
spalle, con la fame e
il freddo nella pancia,
mentre il resto è andato
perduto. Ama.
› Alberto Zuccalà
Quante testimonianze
dirette questi giorni, quante
immagini toccanti, quanta
vita anche nella morte!
Il “fattore umano” ad
Amatrice e dintorni è stato
esaltato, grazie a Dio.
Terremoto/2
Amatrice è un posto
facile da amare. Il nome
comincia con quel verbo.
La punta di quel triangolo
scaleno che è la provincia
reatina. Nome talmente
noto ai palati di tutto
il mondo, da suscitare
aggettivi, diatribe sugli
ingredienti di una ricetta
solo apparentemente
semplice. Il posto reatino
più lontano da Roma
cittànuova n.9 | Settembre 2016
eppure quello più vicino,
soprattutto d’estate,
quando il paese e le sue
69 frazioni si gonfiano di
ritorni alle case di origine
e di accenti trasteverini,
quando le camere degli
alberghetti sono contese,
soprattutto in prossimità
della sagra delle sagre,
quella degli spaghetti con
guanciale, pomodoro e
pecorino che nel prossimo
fine settimana avrebbe
festeggiato il mezzo secolo
di storia. Amatrice che
«non c’è più», dice il suo
sindaco Sergio Pirozzi.
Amatrice è un paese
sbriciolato, ma circondato
e animato di speranza.
L’emergenza, con i suoi
sacrifici, ha suscitato
ancora una volta unione
e solidarietà, coraggio e
dignità.
› Stefano Mariantoni
Amare Amatrice vuol dire
certamente partecipare
al grande movimento di
solidarietà iniziato. Ma
vuol dire anche ricostruirla.
E impedire che vi siano
altre Amatrice squassate
dal terremoto, con quasi
300 persone morte sotto le
macerie.
Terremoto/3
Ho letto con interesse
l’articolo di Luigino
Bruni sul terremoto.
Specialmente ha suscitato
la mia attenzione il
passaggio secondo
cui neanche Dio può
rispondere alle domande
piene di angoscia che ci
facciamo, perché «non lo
sa, e se lo sapesse sarebbe
un idolo mostruoso».
Questa affermazione
mi ha colpito, e ci ho
riflettuto a lungo.
Mi sembra di poter
dissentire. La Scrittura
ci dice che egli, «uomo
dei dolori, ben conosce
il patire» (Is 53, 3). Egli
conosce profondamente
la sofferenza, ne conosce
le radici, e ha condiviso
fino in fondo il dolore
dell’uomo. Egli “lo sa”. E
ci rivela nel suo mistero
di morte e resurrezione
che questo dolore non è la
parola fine, che la morte
non è la fine. Egli “lo sa”,
e noi riceviamo sapienza
in lui. Una sapienza del
cuore, e non della mente,
che ci fa certi della vita
mentre contempliamo il
mistero di tante morti che
non capiamo. › Laura C. Paladino
Il dubbio fa parte del Dio
cristiano; Gesù stesso
ha dubitato. Ma anche
la certezza nell’amore di
Dio fa parte del mistero
cristiano. Dobbiamo tenerli
assieme.
Terremoto/4
A proposito della
domanda apparsa oggi
su Avvenire e relativa
di Michele Zanzucchi
risposta del prof. Luigino
Bruni, premetto che
proprio la notte del
terremoto avevo appena
letto su Civiltà Cattolica
di agosto la stessa
domanda provocatoria
sentita alle spalle
dall’ebreo Elie Wiesel di
fronte all’impiccagione
di un ragazzo nel lager:
«Dov’è dunque Dio?». E io
sentivo in me una voce che
gli rispondeva: «Dov’è?
Eccolo: è appeso lì, a
quella forca»... Quella sera
la zuppa aveva sapore di
cadavere. Questa mattina
alla Caritas diocesana
dove faccio il volontario
al centro d’ascolto, dopo
aver pregato insieme,
abbiamo ricordato
pure i morti, i feriti e i
senzatetto del terremoto.
Anch’io portavo in cuore
questo dolore latente, ma
subito dopo si presenta
una mamma, straniera con
4 figli, con l’imminente
stacco di luce, gas e
acqua con una situazione
debitoria assurda, il
marito incapace di gestire
la famiglia, i parenti che
dall’Africa pretendono
da lei il necessario per
vivere... Di fronte a
questa impotenza sento
dentro di me una voce:
«Perché ti commuovi per i
terremotati, per la guerra
in Siria per l’ingiustizia nel
Sud-Sudan quando “io” ora
sono qui davanti a te? Tu
fa’ la tua parte e io penso
al resto!». Ci lasciamo con
la promessa di aiuto, ma
subito dopo un paio di
telefonate ecco arrivare
tutto il necessario!
› Lino
Il mistero del dolore
universale si riassume e
viene sempre simboleggiato
nel dolore di persone
precise.
Il lanciafiamme
e l’appendino
Leggo su La Stampa
il “Buongiorno” di
Gramellini, un corsivo
sulla parabola politica
di Renzi. Condivisibile,
ineccepibile, gradevole e
brillante come sempre.
Peccato che Gramellini
usi la sua ammirabile
penna solo e sempre
per lanciar sentenze e
parlar male di chiunque.
Preferisco i giornalisti
che propongono e
costruiscono a quelli che
criticano sempre perché
in fondo... gli viene
sempre molto bene.
› Roberto di Pietro
La penna di Gramellini
è acuta e spesso felice,
indubbiamente. E anche
le sue intuizioni estrose e
originali lasciano talvolta
a bocca aperta. Ma quel
che Gramellini scrive
non è Vangelo, per carità!
Ad esempio, ha scritto
un invito ai musulmani
autentici, quelli non
violenti, a uscire allo
scoperto, a rifiutare
l’amicizia degli islamici
violenti. Uno scivolone,
un testo francamente
imbarazzante (leggete su
Facebook l’acuta risposta
di una giornalista italiana
musulmana, Sabika Shah
Povia), un’offesa per tutti
quei musulmani che non
sono violenti, che non sono
certo né amici né complici
di quei fanatici, e che
soffrono delle loro pazzie
come e più di chi non è
musulmano.
Sport ed eutanasia
Mi ha colpito
(tristemente) la storia
dell’atleta paralimpica
belga Marieke Vervoort,
che dopo la sua
partecipazione a Rio
La nostra città.
MARKETING UMILE
Fa sorridere l’abbinamento. Marketing,
sinonimo di sfacciataggine, convinzione di
avere il prodotto giusto per ogni occasione,
tutte le risposte a tutte le domande; e umiltà
dal latino humus, terra. Anche la parola uomo
ha la stessa radice: creatura generata dalla
Terra. Fa bene ricordarlo in questi giorni in
cui la terra ha tremato inghiottendo uomini
e speranze. E sembra strano, inappropriato
iniziare l’anno con i nostri lettori parlando delle
nostre pubblicazioni (vedi pubblicità a pag. 2).
Rifletto su questo quando mi arriva la telefonata
di Amedeo, teramano tutto di un pezzo, uomo
di profonda cultura dal cuore grande: «Anche
oggi trema, il palazzo oscilla, ma bisogna
farsene una ragione», sembra sdrammatizzare
alla mia richiesta di notizie sulle scosse. Gli
comunico le mie riflessioni sul marketing di Città
Nuova centrato sull’amicizia che non può non
comunicare le ragioni della propria speranza.
Mi risponde con un fatto: «Alcuni giorni fa, mi
trovavo nella saletta di attesa del mio dentista.
Aspettando il mio turno, ingannavo il tempo
leggendo una rivista di esplorazioni geografiche
e viaggi. Tra i vari giornali non avevo scelto
Città Nuova a cui il mio dentista è abbonato
da tempo in quanto le copie sul tavolino le
avevo già lette. Tra i pazienti ho riconosciuto un
signore sulla trentina che sapevo sordo muto,
in quanto spesso frequentava il centro giovani
Kairos di Teramo, dove si incontrava con altri
nelle sue stesse condizioni. Inaspettatamente
mi tocca il braccio e, indicando una copia di
Città Nuova che teneva in mano, mi dice con
gesti e con espressioni tipiche che la rivista è
veramente buona e mi invita a lasciare quella
che stavo leggendo. Che fare? Semplice. Ho
preso dalle mani del giovane Città Nuova e
con sua grande soddisfazione ho cominciato a
leggerla con attenzione».
a cura di MARTA CHIERICO
[email protected]
cittànuova n.9 | Settembre 2016
103
Dialogo con i lettori
di Michele Zanzucchi
ricorrerà all’eutanasia.
Mi chiedo come si possa
essere simboli di morte
e carica vitale allo stesso
tempo. La sua decisione ci
ricorda quanta solitudine
possa nascondersi dietro
al coraggio di una vita.
› Cristina
Tema inquietante,
certamente. Eros e thanatos:
già i greci consideravano
l’amore (la vita) e la morte
come due facce della
stessa medaglia. Che poi
si scelga la morte dopo
tanta vita sportiva, lascia
un po’ perplessi, perché
solitamente gli sportivi
non parlano d’eutanasia.
Ma i tempi cambiano: è
la testimonianza della
vita altruistica che può
convincere a non ricorrere
alla morte procurata contro
sé stessi.
Ferragosto
Ferragosto è una linea di
demarcazione. All’inizio
dell’anno, essendo degli
inguaribili ottimisti,
immaginiamo che i primi
225 giorni dell’anno
saranno esaltanti,
siamo convinti che
ci attenda un grande
futuro, siamo pieni di
speranza, desideriamo
che non ci siano guerre,
che i terroristi islamici
diventino buoni, che
l’immigrazione si dia una
regolata, che i rifugiati
siriani vengano, e noi
apriremo loro le nostre
case, che il Pil cresca
almeno di “uno virgola”.
Via via che il Ferragosto
si avvicina, le speranze
lentamente si spengono.
Superato il Ferragosto,
mi attendono gli ultimi
140 giorni di questo
2016, che cosa leggere?
I giornali stanno
diventando tutti uguali,
come tanti Big Mac,
differenziati solo dal
tipo di lattuga. D’altra
parte è giusto così, ormai
si limitano a mettere in
bella le storytelling degli
uffici stampa e degli spin
doctor dei leader.
Ho provato a leggere di
tutto, parte fuffa, parte
cipria. Meglio Città
Nuova, almeno hai, in
italiano, il meglio.
› Giovanni Arletti
Padre Jacques
Non credo di essere il solo
a pensare che la barbara
uccisione del prete
francese sia stata una
provocazione, da parte
dell’Isis, nei confronti
dei cristiani per indurli
a una guerra di religioni
e bene ha fatto il papa a
non cadere nel tranello.
Infatti ha parlato di
atto terroristico ma non
islamico. Non possiamo
fare di tutta l’erba un
fascio e condannare un
miliardo e 400 milioni
di musulmani. Perché
la maggior parte di
loro non condividono
il terrorismo, anzi loro
stessi ne sono spesso
vittime. La posizione di
papa Francesco non è
un cedimento all’Islam,
ma un atto di saggezza.
Anche Giovanni Paolo II
non condivise la guerra in
Iraq voluta dalle potenze
occidentali, perché
avrebbe incrementato il
terrorismo. A distanza di
anni e alla luce di quanto
sta avvenendo oggi direi
che il papa aveva ragione.
› Alessio Nolan
La facile profezia di
Giovanni Paolo II e di
tantissimi uomini e donne
di buona volontà non è
stata ascoltata dai potenti
di questo mondo. E ancor
oggi le grida che segnalano
uno scoglio enorme sulla
via delle relazioni tra fedeli
di religioni diverse vengono
poco ascoltate. Si continua
a considerare le armi come
la sola risposta possibile.
Stupidità.
Guardiamoci attorno a cura dell’associazione Progetto Sempre Persona
IN CERCA DI LAVORO
Si cerca aiuto per la
famiglia di un detenuto
(composta da moglie, figlia
e nipotina) per fornire
un lavoro alla moglie.
Andrebbe bene qualunque
mansione, come donna
delle pulizie, cameriera
o supporto in cucina.
La famiglia è in chiara
situazione di indigenza.
104
FAMIGLIA INDIGENTE
Si cerca aiuto per la
famiglia di un ex detenuto
(moglie italiana al sesto
mese di gravidanza e
una figlia di due anni) per
fornire un lavoro; vive con
200 euro al mese con
un piccolo contratto di
accompagnatore a uno
scuolabus che fa servizio al
campo nomadi dove vive.
Lui sa svolgere lavori di
giardinaggio, muratura e
piccoli servizi di idraulica.
cittànuova n.9 | Settembre 2016
UN SOSTEGNO FUORI DAL
CARCERE
Un detenuto agli arresti
domiciliari, con moglie e 3
figli, cerca un aiuto perché
la moglie possa trovare
un semplice lavoro e dare
sostentamento alla famiglia.
Vivono in un appartamento
con forte disagio
ambientale in una periferia
di Roma, come pure le due
famiglie degli appelli qui
accanto.
Invia il tuo contributo tramite
c.c.p. n. 34452003 oppure
tramite bonifico bancario
(Iban IT46R07601032000000
34452003) intestato a
Città Nuova della PAMOM,
specificando come causale
“Guardiamoci attorno”.
Oppure scrivi a Città Nuova,
via Pieve Torina 55
00156 Roma.
Le richieste di aiuto si
accettano solo se convalidate
da un sacerdote. Scrivete a
[email protected]
o all’indirizzo di posta.
Verranno pubblicate a nostra
discrezione e nei limiti dello
spazio disponibile.
STEREOTIPI DI GENERE
Presidente
e padre femminista
penultima fermata
di Elena Granata
106
cittànuova n.9 | Settembre 2016
Me lo immagino nelle lunghe sere
invernali a cercare di raccapezzarsi
nel fiume di racconti delle figlie alla
madre. Perché parlano così in fretta
e sembrano intendersi tra loro con
pochi cenni? Perché se la prendono
così tanto per una amicizia tradita, per
un compito andato male?
Me lo immagino provare apprensione
alle prime uscite da sole, interrogarsi
sul loro futuro, sentirle in pericolo in
un mondo non sempre ospitale.
Me lo immagino il presidente Barack
Obama, cresciuto con una mamma
sola e con la nonna, compagno di una
donna forte e volitiva e poi padre di
due figlie femmine, affinare dentro di
sé, con il passare degli anni, il proprio
spirito femminista. Lo ha raccontato
il presidente stesso in una magistrale
lettera-confessione a Glamour, forse
la più bella e alta del suo mandato
politico.
«Quando diventi padre di due figlie
– scrive –, sei molto più consapevole
degli stereotipi di genere che
pervadono la nostra società. Senti
l’enorme pressione a causa della quale
le ragazze sono portate a comportarsi,
ad apparire e anche a pensare in un
certo modo. È una responsabilità
assoluta degli uomini combattere il
sessismo».
È il destino di molti padri, mariti,
compagni, partner, diventare
femministi. Non in astratto, ma alla
scuola delle donne che amano. E la
paternità di figlie femmine, quando
vissuta con intensità e maturità,
può diventare una grande scuola
di consapevolezza. Ci vorrebbe un
termine specifico per esprimere la
paternità verso figlie femmine.
«Abbiamo bisogno di cambiare la
mentalità che ci porta a crescere le
nostre figlie riservate e i nostri figli
risoluti, che ci porta a criticare le
nostre figlie quando dicono ciò che
pensano a voce alta e i nostri figli
quando piangono. Abbiamo bisogno
di cambiare la mentalità che ci porta a
“punire” le donne per la loro sessualità
e, al contrario, ad ammirare gli uomini
per lo stesso motivo. Abbiamo bisogno
di cambiare la mentalità che insegna
agli uomini a sentirsi minacciati dalla
presenza e dal successo delle donne.
Abbiamo bisogno di cambiare la
mentalità che porta a congratularsi
con gli uomini che cambiano un
pannolino, che stigmatizza i papà
a tempo pieno e che penalizza le
mamme lavoratrici».
I padri come Barack Obama imparano
lo spirito femminile dalle figlie e
al contempo possono, con la loro
presenza, renderle immuni dalla
subalternità, dalla sottomissione
e dall’accettazione di ogni forma
di violenza che, ahimè, è spesso
all’origine di molti femminicidi.
«È importante – conclude – che il loro
papà sia femminista, perché adesso
è ciò che si aspetteranno di trovare
in ogni uomo che incontreranno». Sì,
presidente, è proprio vero, una società
giusta con le donne è generata da
padri femministi.
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