Assemblea Costituente di Arci/Ragazzi, Napoli, 4 aprile 1981

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Assemblea Costituente di Arci/Ragazzi, Napoli, 4 aprile 1981
Assemblea Costituente di Arci/Ragazzi, Napoli, 4 aprile 1981
RELAZIONE INTRODUTTIVA DI CARLO PAGLIARINI
Attualità del problema educazione - Succede che problemi importanti restino a lungo come sotterrati, estranei all’attenzione dei più, per esplodere poi come questioni rilevanti e coinvolgenti. Ecco, sono convinto che si sono create le condizioni perché il problema educativo – con tutte le
sue implicazioni – diventi attuale anche da noi, almeno quanto lo è in altri paesi europei. Ne fanno fede, in positivo, le affollate presenze a convegni, lezioni, seminari; a tutti quegli appuntamenti che si presentano interessanti per temi, novità, superamento di rituali che hanno stancato; ne
sono prova, in negativo, le diffuse preoccupazioni verso fenomeni di violenza, di diffusione della droga, ma anche la crisi crescente, e sempre più
vistosa, del sistema formativo nei suoi diversi organi e gradi. Se questi segnali di interesse di interesse aumenteranno saranno avvertiti dalle istituzioni e dalle forze politiche, specie da quelle tetragone o attardate su analisi e proposte palesemente insufficienti.
C’è da augurarsi che, prima o poi, ne risulti scosso anche il governo centrale, ora del tutto privo di politica e di strumenti, sordo agli appelli e alle
proposte sorte unitariamente con l’anno internazionale del bambino e con la conferenza nazionale dell’infanzia.
Certo le migliori speranze vanno ancora una volta affidate alle forze sociali più dinamiche, alle amministrazioni locali più sensibili, a quanti sentono direttamente i problemi dell’infanzia perché genitori, insegnanti, operatori culturali, cittadini democratici. E’ a queste forze soprattutto che
noi ci rivolgiamo dando vita ad un movimento che si occuperà dell’educazione familiare, della scuola, delle attività, ei ragazzi. E lo farà tanto
affrontando i problemi complessivi dell’infanzia – come abbiamo fatto nell’anno internazionale del bambino trovando vaste intese e convergenze
- quanto misurandosi in concreto con problemi organizzativi e operativi, come è d’altronde nelle caratteristiche specifiche della nostra associazione. L’obiettivo è quello di organizzare adulti e ragazzi attorno alle problematiche relative ai diritti dell’infanzia (istruzione, educazione, crescita complessiva dei bambini e dei ragazzi), nell’ambito di un progetto con i suoi caratteri peculiari e una sua materia storica. Siamo convinti,
infatti, che ogni attività episodica ha significato in quanto testimonia un’esigenza ed una volontà ma, ancor più consapevoli che in campo educativo valgono i tempi lunghi, i processi che si avviano, i percorsi, la continuità, l’esperienza. Quando si comincia sempre da capo, senza accumulo
di esperienza si decide già a priori di non incidere, di non contare, di rinunciare persino a raccogliere i frutti che possono venire dopo la semina.
E di seminagioni anzitempo, oppure prive di cure adeguate, di seminagioni addirittura improvvide se ne sono fatte nelle nostre file tante, forse
troppe. Costituendo l’Arci/ragazzi intendiamo quindi avviare un processo di correzione da un lato e di nuovo sviluppo dall’altro. Operiamo quindi per segnare il campo educativo con una proposta meglio circostanziata. Anche l’Arci infatti non si è sottratta ai limiti di estemporaneità: assai
spesso ha prestato servizi integrativi, certo sempre necessari; più di rado ha assunto i caratteri di soggetto culturale autonomo, portatore di sue
specifiche proposte educative, di sue finalità e metodologie. La presenza di un ampio numero di strumenti di intervento educativo – appoggiati
da forze culturali ed ideali diverse – così come il pluralismo all’interno dei grandi schieramenti ideali, costituisce, a nostro parere, un fatto positivo. Questa nostra convinzione non pare essere condivisa, invece, da certi dirigenti dell’Agesci che sostengono che nell’associazionismo dei ragazzi debba esistere un pluralismo limitato ad una sola area: quella cattolica. A noi sembra che sia un esigenza democratica anche la rimozione di
stati di necessità, quelli ad esempio, che non offrono la possibilità a genitori laici di indirizzare i loro figli verso associazioni di ragazzi in sintonia con le loro concezioni di vita. Ma l’idea che ci muove alla costruzione dell’Arci ragazzi non è certo quella della concorrenza ad altre associazioni. Semmai, vogliamo contribuire a diminuire il gap ora esistente in Italia, fra ragazzi associati – decisamente una piccola minoranza – ed il
loro bisogno di stabilire rapporti di amicizia e di libertà per crescere insieme.
Conoscere i bambini e i ragazzi di oggi - il primo impegno a cui ci accingeremo consisterà nel sollecitare e organizzare un grande sforzo collettivo per interpretare e fare esprimere i bambini, i ragazzi, gli adolescenti. E’ noto che questo risultato si realizza solo con un lavoro difficile,
con l’uso di strumenti adeguati, stando insieme ai ragazzi, vivendo con loro una pratica di vita autenticamente democratica e sappiamo, del pari,
quanto siano sempre in agguato i pericoli del plagio, del gregarismo, della subordinazione, della strumentalizzazione.
Partiamo dalla convinzione che molte delle analisi, largamente accreditate nel senso comune, siano inadeguate e, forse, ingiuste, perché frutto
essenzialmente della cultura di precedenti generazioni e di categorie interpretative proprie del mondo adulto più abituato, per esperienze vissute,
a riproporre il nuovo e a progettare il futuro.
Verso i bambini ed i ragazzi ci muoviamo d’altra parte, tutti, con i condizionamenti delle realtà urbane, dei mass-media, dell’industria multinazionale dei consumi. Gareggiamo, ahinoi!, con gli strumenti sofisticati della pubblicità, con la televisione, i videogiochi elettronici. Cosicché poco sappiamo delle mutazioni in atto, siamo assai più abituati a giudicare la lettura, o le forme di adeguamento ed assoggettamento – sempre difficili – dei ragazzi alla vita familiare e parentale. Dai giovani, da quelli che hanno quattro o cinque anni in più dei nostri ragazzi, emergono segnali
ben più evidenti, non tutti positivi, ma nemmeno tutti negativi.
Che accade, quindi fra i ragazzi, fra quei cittadini che hanno più difficoltà a farsi sentire, quali modificazioni, in positivo, si manifestano? Su
quelle negative non difettano gli studi, gli sfoghi letterari e neppure i discorsi preoccupati dei genitori che – da sempre – considerano i loro figli
diversi e spesso non migliori di loro. Eppure è soprattutto fra i giovani delle diverse fasce di età che si vanno a combinare i principali reagenti
che determinano poi comportamenti futuri. I ragazzi di cui ci occupiamo in questa assemblea saranno uomini e donne nel pieno delle loro forze e
possibilità quando inizierà il terzo millennio della nostra era.
Occorre un grande sforzo di avvicinamento e di immaginazione, necessità ad esempio, capire il valore rivoluzionario presente nelle nuove tecnologie elettroniche. Quale potenziale si accumula su un bambino che si rapporta alla televisione come un tecnico, che mischia programmi, accavalla immagini, introita una gamma infinita di informazioni, giudica con lo scatto di un pulsante e il flash di un immagine di che tipo di programma si tratta e se lo interessa o no. Quali abilità esprime un bambino che compete con un videogioco, che gli sollecita riflessi istantanei e gli
offre un’alta variabilità di situazioni? Quale differenza con i lontani calcio-balilla , ma anche con i luccicanti e ticchettanti flippers! Il mondo ha
certamente bisogno di strumenti di analisi adeguati, se non se ne dota lo stacco fra le generazioni è destinato ad aumentare. Né serve certo, ad
acquietare le coscienze, buttare le responsabilità sui giovani, tanto si sa che non sono così facilmente scaricabili! Quindi è opportuno facilitare il
sorgere osservatori, perché oggi mancano, come mancano gruppi di esplorazione, città del sole che sperimentano il futuro, manca anche Rodari
con le sue ricerche e creazioni trentennali, si presenta una innegabile tendenza ad appiattire gli interventi e le speranze solo sull’istituzione scolastica, come se non fosse già abbastanza evidente che la sue centralità è insediata e la vita del ragazzo ben più ricca di quella dello scolaro tradizionalmente inteso. Ogni sforzo per conoscere avrà risultati più consistenti e certi se si manifesterà all’interno di un intervento concreto. Conoscere e trasformare è un binomio che fa parte sia delle scelte politiche e congressuali dell’Arci sia di ogni seria ipotesi di lavoro progettuale. Ma
su quali mondi concentrare l’attenzione? Noi ne esamineremo tre: la scuola, il lavoro, il giuoco.
La scuola - Non c’è dubbio, per noi, che grandi sforzi debbano essere compiuti per conservare alla scuola la sua centralità, per arrestare i
gravi processi di dequalificazione e privatizzazione, per conquistare nuovi programmi per la scuola elementare e, finalmente, la riforma
per quella secondaria. La nostra associazione vanta un patrimonio di lavoro consistente verso la scuola e con la scuola; particolare attenzione l’Arci ha avuto verso gli organi collegiali e specialmente nella definizione del ruolo dei distretti scolastici. Abbiamo agito per conquistare una maggiore considerazione del ruolo dei distretti scolastici.
Abbiamo agito per conquistare una maggiore considerazione del ruolo educativo delle cosiddette agenzie culturali, trovando spesso non
poco disagio quando la poliedrica azione che viene sviluppata dal ricco tessuto associativo, viene ridotta a supporto nel tempo libero,
termine ambiguo, nel quale rientrano a fatica i colori dell’impegno, più facilmente quelli ben più scialbi del dopolavorismo e
dell’evasione. E vogliamo impegnarci ancor di più nella scuola. Intanto perché ci sono i ragazzi, gli insegnati, perché nella scuola i genitori ripongono sempre grandi attese, perché infine nulla di buono può venire da un ulteriore acuirsi della crisi del sistema formativo. Le
relazioni con la scuola assumono caratteristiche molto diversificate. Ci sono gli interventi di appoggio alla attività così dette integrative:
educazione al linguaggio del corpo, attraverso iniziative psico-motorie coi ragazzi e corsi di aggiornamento con i docenti; ci sono i linguaggi audiovisuali, della comunicazione con il cinema, la tv, l’animazione; esistono varie attività, cosiddette espressive, nelle quali interveniamo con animatori, con le scuole di musica, con i gruppi di dama e scacchi e poi ci sono le iniziative sull’ambiente, sull’ecologia,
sull’energia, l’organizzazione di gite scolastiche, di campi scuola, di feste, di incontri, di atti di solidarietà. Vogliamo quindi rilanciare il
nostro impegno, aprire un fronte di lotta contro coloro che vogliono tenere la scuola chiusa alla cultura del territorio e quanti – e sono
molti – ostacolano qualsiasi pseudo contaminazione della scuola rispetto al suo esterno. Mirabile in proposito una fatto piccolo ma significativo. Proprio mentre il Ministro Bodrato in un dibattito promosso dall’Agesci tesseva le lodo del rapporto scuola – territorio arrivava
ai consigli di circolo e di istituto una circolare in cui si faceva divieto ad affrancare lettere destinate “a ditte, enti, sindacati, amministrazioni non statali o privati”; tali lettere se proprio dovevano essere scritte – ed è legittimo il dubbio della direzione del Ministero della
Pubblica Istruzione – avrebbero dovuto essere spedite con tassa a carico del destinatario. Siamo come ben si vede ad un’alta idea del rapporto scuola – territorio, siamo al ridicolo. Nell’ambito del nostro impegno educativi, ed in previsione della riforma dei programmi scolastici della scuola elementare, l’Uisp nazionale sta preparando un seminario di riflessione e di studio, che dovrà portare alla fissazione di
criteri da suggerire alla commissione che elaborerà i nuovi testi e da fare oggetto di ulteriori approfondimenti, con il contributo di esponenti del mondo sportivo e delle scienze dell’educazione. Particolare importanza attribuiamo al problema della scuola intesa come struttura di educazione permanente ad uso continuo. Abbiamo svolto in proposito studi sulle risorse educative della scuola: sedi, arredi, attrezzature, aree cortilive, ecc. Una ricerca fatta in sei distretti meridionali ha dimostrato la presenza di possibilità ove maggiori, ove decisamente povere, sempre però di notevole rilevanza. Eppure si registra un uso diffuso dei soli impianti sportivi a seguito delle battaglie
combattute dagli enti di promozione sportiva e poi dallo stesso Coni. Le altre risorse restano – di regola – inutilizzate, comunella pessima
tradizione delle istituzioni pubbliche abituate a conservare , rinserrare, a togliere, piuttosto che a dare, promuovere, sollecitare. Probabilmente la scarsa utilizzazione della scuola come struttura educativa ad uso polivalente – non riservata cioè soltanto al pur fondamentale
ruolo della formazione – è dovuta anche ai limiti del movimento innovatore. Gli organi di gestione collegiale presentano oggi una tendenza verso la flessione, frutto di una politica centralistica che ha cercato di logorare le migliori energie per aprire le vie alla restaurazione. Ma – a nostro sommesso parere – frutto anche del fatto che il movimento è stato esclusivamente dominato dalle tematiche scolastiche,
non ha rivendicato in proprio forme di intervento educativo – come prevedeva l’art. 12 della legge 517 del 1977, se i genitori si fossero
organizzati per gestire in proprio – con l’appoggio di insegnanti e la partecipazione attiva degli studenti – degli spazi di intervento –
com’è avvenuto in altri paesi europei – forse l’attuale consistenza del fronte riformatore sarebbe più incisiva. Mi pare d’altronde difficilmente confutabile la tesi che ogni ipotesi riformatrice comporta sia una battaglia dentro l’istituzione da riformare, sia la creazione di un
movimento che abbia spazi autonomi, che maturi sue esperienze, dimostri la praticabilità delle sue idee. Nel dibattito che si sta sviluppando sulla politica scolastica rientra il problema della scuola a tempo pieno. E’ noto che molti di noi hanno delle riserve sul fatto che la
soluzione dei problemi educativi, o la loro evoluzione, debba necessariamente passare attraverso un aumento della durata dello studio.
Resta pur tuttavia vero che, probabilmente, i tempi della scuola, non sono sempre sufficienti, in particolare dove si presenta ancora diffuso il fenomeno delle ripentenze e degli abbandoni. Ci sono situazioni in cui un consolidamento ed un rafforzamento delle scuole è probabilmente indispensabile. È in queste zone che dovrà essere soprattutto applicato il tempo pieno. Perché, come dice B. Schwarz, nella
scuola i ragazzi entrano diseguali e se la scuola ha il compito di eguagliarli – in quanto a conoscenze ed abilità entro il periodo in cui li
forma – questa deve dare di più a chi ha più bisogno. Mi pare comunque assai utile il dibattito sul tempo pieno, specie quando supera la
formulazione referendaria del si o del no e si misura con le esperienze, con i bisogni del ragazzo, con le realtà territoriali. Probabilmente
può essere più comprensibile un tempo pieno nella scuola elementare che non in quella media; il ragazzo delle medie dovrebbe infatti
essere messo in grado di poter scegliere fra molte opportunità e queste opportunità potrebbero essere offerte da varie agenzie.
Il lavoro - Il fenomeno del lavoro minorile resta rilevante e si presenta con un alto livello di complessività. In sé molto grave, il lavoro
minorile pur tutta via evidenzia una gamma di problemi irrisolti. Irrisolto il problema dell’eguaglianza sociale, quello dell’eguagliamento
delle opportunità formative; irrisolto quello dell’occupazione in età da lavoro; irrisolto, infine, quello di un’alternativa alla strada. Il lavoro minorile entra in queste coordinate con i caratteri di un fenomeno organico e collaterale al tipo di sviluppo economico operante, alla
crisi e alle incapacità storiche della scuola. Si intende, noi rivendichiamo il diritto dei ragazzi a non essere ridotti a merce (addirittura
attraverso il ricorso a forme di “servaggio” feudale come è nel caso dell’affitto di giovanissimi pastori), non neghiamo però l’esistenza di
un problema: quello del rapporto dei ragazzi con il lavoro. Il tema è all’attenzione di altri paesi europei capitalisti e socialisti, che hanno
dibattuto e sperimentato, sia all’interno del sistema formativo, che in altre forme di lavoro occasionale o stagionale. I ragazzi vengono
avviati alla studio ed al lavoro di regola a partire dalla 7° o 8° classe, partecipano ad un insieme di lavoro socialmente utili (in alcuni paesi sono i ragazzi che adornano le piazze di fiori o si fanno carico di servizi di pubblica utilità: per esempio si dedicano ai bambini più piccoli di loro): lavorano in fabbrica o nelle campagne, nel quadro del programma curricolare scolastico, rivolto a fornire abilità ed esperienze reali piuttosto che prodotti, inteso però non come gioco ma come educazione al lavoro. Possono sorgere in proposito delle diffidenze,
francamente ingiusta è però ogni negazione del problema. Dunque, mi sembra opportuno avanzare l’ipotesi che il problema dei bambini e
del lavoro venga affrontato in tutte le sue implicazioni, ma prima di tutto nei sui termini; ma prima di tutto nei suoi termini decisamente
negativi che sono poi da noi quelli più rilevanti., più preoccupanti e più gravi, va poi definita una strategia di intervento che chiami in
causa tutti coloro che sono interessati, e sono tanti: famiglia, scuola, sindacati, imprenditori, ragazzi e poi politici, magistrati, operatori
dell’educazione, ecc. Va cioè costruita una politica rivolta a rimuovere il fenomeno, magari in tempi non brevi, ma in tempi certi. La via
repressiva, come quella delle campagne stampa e delle denuncie individuali, non porta a risultati, non sposta i termini oggettivi del problema. Le possibilità di muoversi ci sono, esistono ricerche compiute da diversi istituti – ivi compresi quelli sindacali – vi sono accenni
di impegno da parte di regioni ed enti locali, c’è, inaccettabile sul piano morale e culturale, un fenomeno abbastanza diffuso di abbandono della scuola per un avvio precoce al lavoro che si regge su una motivazione inquietante: “tanto la scuola non serve”.
Vogliamo proporre in proposito agli organi dello stato – finora sostanzialmente latitanti – di impegnarsi, con noi e con quant’altri rilevazione e di elaborazione di proposte risolutive. Potrebbero concorrere a questo sforzo i Ministeri degli Interni, della Pubblica Istruzione,
del lavoro; le regioni ed enti locali particolarmente investiti dal fenomeno, i sindacati, gli istituti di ricerca universitari e privati, le organizzazioni professionali, giovanili, dei ragazzi, ecc. Questa iniziativa, per essere più produttiva, potrebbe aprirsi ad un confronto internazionale e quindi, interessare il Bit, il Consiglio d’Europa, le organizzazioni internazionali dei ragazzi e gli adolescenti. Si continuerebbe
così a far avanzare quel po’ di buono che anche sul piano internazionale s’è fatto durante l’anno internazionale del bambino.
Il giuoco - La città industriale tende a plasmarsi e ad assestarsi su linee estranee agli interessi dei bambini e dei ragazzi. È certo che questo discorso e valido anche per gli altri cittadini, ma per i ragazzi ciò avviene in forma e con un’intensità assolutamente senza paragoni.
Dove sono finiti gli spazi di socializzazione che tutti i borghi hanno avuto per millenni con le loro piazze, i loro slarghi, destinati al gioco
dei bambini? Quale seguito ha avuto l’edilizia cittadina meridionale cha ha abbandonato tradizionalmente negli spazi per il gioco libero, a
testimonianza di una sensibilità oggi fortemente attenuata? Ora ci sono dappertutto le automobili; da qualche parte si fanno le isole pedonali, certo non è praticata la chiusura temporanea o permanente di strade e piazze al traffico e alla sosta per destinazione “gioco”, ma bisognerà pure battersi perché lo si faccia. Occorre porsi dal punto di vista dei bisogni dei bambini ed operare per un risarcimento. Occorre
forse superare un blocco culturale ed un vizio di impostazione, secondo il quale non bisognerebbe ghettizzare il problema bambini, non
settorializzarlo, perché la questione è invece generale; dopodiché, però, alle dichiarazioni di principio non corrispondono più i comportamenti e delle esigenze del mondo infantile si perdono le tracce. Per creare spazi fruibili dai bambini e dai ragazzi ci sono di certo molte
cose da fare. Intanto bisogna essere davvero sicuri che siano ad uso polivalente (per esempio negli arredamenti), che siano a misura di
bambino (per esempio areati e non ricettacolo di fumo) e questo vale certo anche per le nostre case del popolo che sono state costruite per
una fruibilità assai ampia poi riservata, pressoché esclusivamente, agli adulti di sesso maschile. Abbiamo detto che bisogne schierarsi dalla parte dei bambini. Quindi dei loro interessi, che sono meno cristallizzati e settoriali di quegli degli adulti, per cui è opportuno che le
offerte siano varie. Oggi viene affermandosi l’idea della piazza come riferimento educativo intendendo un luogo di incontro, di convergenza e di ridistribuzione di attività, uno spazio ove si affacciano botteghe con varie prestazioni. Ma, a parte questo recupero medioevale
o rinascimentale, resta l’esigenza di disporre degli spazi deputati: la scuola, gli impianti sportivi, e di spazi di libertà ove si possano svolgere giochi liberi e organizzati. La presenza o meno di spazi non è indifferente ma determinante sul piano educativo. In preparazione di
questa assemblea fra le moltissime cose che si sono fatte ci sono stati incontri con i ragazzi. Gli atteggiamenti dei ragazzi, sono apparsi
sensibilmente diversi – sotto la falsa patina omologante - a seconda dei luoghi di abitazione. Nei grandi centri urbani, dove non ci sono
alternative alla vita in famiglia, l’influenza della proposta televisiva è sensibilissima (incide cioè fortemente con i suoi modelli sui ragazzi): a Fabbrico (Reggio Emilia). Invece, dove ci sono spazi, attività di gruppo, dove i ragazzi sono mischiati agli adulti in mille attività e
si spostano autonomamente in bicicletta, non è così: certi messaggi arrivano come ovattati e forte appare la cultura del territorio, della
realtà produttiva, civile, umana. La battaglia per conquistare spazi è quindi una battaglia di libertà, è una rivendicazione su cui ci muoveremo con costanza, noi adulti prima di tutto. Tutti gli spazi sono oggettivamente educativi. Ebbene è opportuno che la loro valenza sia
sistematicamente qualificata, ma che siano anche scomponibili, plasmabili, utilizzabili in vari modi. Il che non è sempre consentito da
una cultura urbanistica basata su presunti cardini estetici o su concezioni proprie del mondo adulto, come la sicurezza, che spesso si riverberano sui ragazzi come una maledizione. Dove viene infatti coltivato il bisogno di scoperta, di avventura, di rischio? Solo negli incubi notturni? L’offerta dei cosiddetti campi gioco è allucinante, è anche limitatissima, si ferma alle prime età infantili; fa fuori del tutto le
preadolescenza e, quindi, tutta una gamma di interventi più flessibili e stimolanti. Il giuoco è quindi fondamentale per l’educazione e deve essere – paradossalmente – considerato come un problema di grande serietà. Nel gioco si realizza l’autoeducazione, si stabiliscono regole, si fanno conoscenze, si prova piacere, soddisfazione. Se il ragazzo non scopre un territorio non diventa autonomo. Se non ha pluralità di scelta non è libero; anche se ha un televisore a colori, un portatile in bianco e nero nella sua stanza, dei giocattoli, sofisticati da usare da sé, fuori dalla vita, dalla socializzazione vera. Alcuni nostri amici francesi dell’associazione Francs et Franches Camarades – un milione di adulti organizzati attorno ai problemi dell’educazione – ci hanno fornito sulla base di un esperienza diffusa, ricca, durata
trent’anni, una serie di considerazioni e di proposte che non abbiamo nessuna intenzione di sottovalutare. Intanto è essenziale una visione dinamica nell’intervento, cioè la fruibilità di materiali che i bambini e i ragazzi possano modificare. Vanno poi rimosse categorie reazionarie, ordine e fissità che - purtroppo – regolano la tenuta delle abitazioni e delle cose in forme rassicuranti solo il modo adulto. Una
forte pratica dinamica si concilia con la formazione di un cittadino attivo nelle comunità, mentre spazi ristretti, insufficienti, poveri di
suggestioni, contribuiscono a creare un individuo limitato, atrofizzato, con possibilità fisiche o l’esistenza di impedimenti permanenti,
creano turbe nella personalità, determinano un individuo bloccato, angosciato, soggetto a squilibri affettivi; la disponibilità di spazi che
non si possono modificare crea un’abitudine all’assenza di azione, alla passività. Oltre a queste considerazioni, frutto della sperimentazione delle scienze dell’educazione, occorre fare un altro richiamo fondamentale. Quali differenziazioni esistono oggi nel consumo del
tempo da parte dei ragazzi delle diverse classi sociali? Certo le differenziazioni sono grandi, probabilmente in crescita, molto più forti nel
tempo libero che non nel sistema scolastico, che pure lo abbiamo visto è soggetto da un lato alla crisi e dall’altro ad una espansione
dell’offerta privata indirizzata soprattutto a ceti sociali a reddito alto. Alla conferenza nazionale dell’infanzia De Rita portava i risultati di
una ricerca del Censis e sue riflessioni. Risultava che nei figli delle famiglie ad alto reddito la programmazione di attività atte a sviluppare nei ragazzi abilità è notevole, persino eccessiva. Si arriva fino a 55 ore la settimana tra scuola vera e propria e il passaggio da clubs,
laboratori, intrattenimenti vari. Qui esiste certo una esagerazione che preoccupa la sensibilità di De Rita ma si manifestano, ben intrecciati, i modelli dell’identificazione sociale e la preparazione delle nuove classi dirigenti. Senza suggerire imitazioni resta il problema: quali
opportunità d sviluppo hanno i nostri ragazzi nella famiglia, nella scuola, nel terzo tempo? Sono adeguate queste ai loro bisogni, alle loro
possibilità o non sono invece scarse e povere? Noi ci proponiamo di sollevare la questione, di allargare le nostre conoscenze sul problema
degli spazi educativi per i bambini e per i ragazzi, di stimolare iniziative in proposito: gruppi di lavoro e di progettazione, seminari, corsi,
convegni di sensibilizzazione. Uno di questi convegni, svoltosi di recente a Foggia per iniziativa di quella amministrazione provinciale,
ha avuto meritato successo ed avviato un progetto di sperimentazione nel concreto. Ci proponiamo infine, di dare vita ad una agenzia che
raccolga una documentazione nazionale ed internazionale sugli spazi per i ragazzi, che raccolga non solo idee e teorizzazioni ma anche
foto, progetti prototipi, affinché si realizzi – attraverso la politica degli enti locali soprattutto – un decisivo salto di qualità nell’offerta….
Organizzazione dei ragazzi - Le linee che intendiamo seguire attraverso il binomio Arci-ragazzi è originale, inedita. Intanto perché dalla
convinzione che i modelli organizzativi seguiti dagli scouts, dai pionieri e dai falchi – tutti elaborati entri i primi venti anni del secolo –
sono ora inadeguati per corrispondere ai caratteri di una associazione nuova che nasce invece negli ultimi venti anni del secolo. I contesti
storici e sociali sono oggi ben diversi da quelli dell’inizio del secolo ove rigidità e militarismo imperavano. Ma c’è una condizione più
qualificante che non la discutibile categoria della modernità. L’Arci ha oggi caratteristiche tali da consentire la nascita di un movimento
di ragazzi e di adulti autonomo rispetto agli storici condizionamenti religiosi, ideologici e partitici, assai versatile e multilaterale. A tal
punto da corrispondere, quasi naturalmente, con le sue attività normali, a tante elle esigenze e bisogni dei ragazzi. L’Arci Ragazzi significherà non solo la continuazione di un lavoro ma la sua generalizzazione e qualificazione. La sua evoluzione verso forme organizzative
meglio definite nelle loro finalità è funzionalità seguirà un percorso non troppo breve. Intanto perché noi vogliamo costruire l’Arci ragazzi con i ragazzi e a ciò si arriva presentando proposte, verificandole, per poi passare ad una loro generalizzazione solo quando si è in possesso di sufficienti elementi di riscontro. Ma vediamo, a questo proposito, alcuni problemi: i gruppi di interesse e di socializzazione, i riferimenti culturali e fantastici, la denominazione ed i simboli, gli organi dirigenti.
L’acquisizione di abilità attraverso i gruppi di interesse - Quando l’Arci già sviluppa con i ragazzi attraverso l’Uisp, la DamaScacchi, il teatro, la musica, il cinema. La Lega per l’ambiente, l’Arci Pesca va conservato ed esteso. Attraverso queste attività specifiche
i ragazzi acquisiscono abilità, quindi è necessario che gli sforzi principali siano diretti a fornire queste abilità nelle condizioni migliori ed
al massimo livello possibile. L’obiettivo principale del ragazzo deve essere quindi anche il nostro. Su di esso va misurata l’efficienza o
l’inefficienza dell’intervento. Questo richiamo rinvia al problema della qualità della prestazione specialistica e quindi a quello
dell’istruttore e della didattica seguita. Resta, certo, ancora aperto un obiettivo ulteriore: valorizzare sempre i problemi educativi più
complessivi, per passare dalla sola tecnica alla cultura. Ecco perché diventa utile scandire le attività settoriali con le tappe di verifica coi
ragazzi, proprio per essere sicuri che il nostro intervento sia diretto a fornire abilità certe e controllabili e non a soddisfare aspirazioni
proprie del mondo adulto (status sociale, realizzazione sui propri figli di aspirazioni personali deluse o frustrate) oppure da spinte meramente occupazionali. Un alto livello della prestazione non impedisce certo che nelle attività settoriali si possano realizzare anche forme di
aggregazione, attraverso società, ecc. Ci sono discipline che si conciliano con un’ipotesi di socializzazione di gruppo, altre meno, si potrà
appunto porre in relazione il problema delle abilità con quello della socializzazione, tenendo conto delle priorità del primo rispetto al secondo. Vi sarà quindi nell’Arci Ragazzi un tipo di aggregazione basato su interessi specifici, diretto a fornire e consolidare abilità laddove i ragazzi manifestano interesse.
I gruppi di amicizia: sedi sociali, spazi di giuoco, abitazioni - Tra i ragazzi è sempre molto forte, e spesso insoddisfatto, il bisogno di
stare insieme: l’urbanizzazione costringe i ragazzi a forme aggregative che hanno spesso un basso tasso di libera scelta: si gioca con i fratelli – che sono sempre meno – e i parenti, con i compagni di scuola, con i vicini di casa. È difficile che i ragazzi possano selezionare le
amicizie con criteri più larghi ed elettivi: ragazzi con diversa esperienza, di diversa età, ecc. Ancora più difficile la pratica della coeducazione che noi intendiamo come azione comune di ragazzi dei due sessi, di diversa età, di ragazzi e adulti. Infatti, senza la presenza di un
progetto associativo cha parta da un mondo adulto disposto e capace di fare da garante e da supporto all’associazionismo dei ragazzi, è
difficile offrire possibilità di incontri più ricchi e più vari, è difficile fare assaporare ai ragazzi il gusto vero dell’amicizia e della libertà.
Sono quindi necessari condizioni e spazi perché i ragazzi da 7 a 14-15 anni si possano organizzare in gruppi locali, per stare insieme,
programmare attività, vivere esperienze comuni. L’associazione di base è necessaria ai ragazzi, è congeniale ai loro bisogni di comunicazione e affermazione, corrisponde alla proposta complessiva che l’Arci rivolge a tutti i cittadini affinché si associno per essere più liberi e
per contare di più. Le organizzazioni locali dei ragazzi noi le promuoveremo ovunque, dando una mano ai ragazzi, combattendo – anche
al nostro interno – una battaglia contro quanti sottovalutano l’importanza del problema e assumono posizioni di conservazione, cercando
di convincere tutti della necessità che le sedi siano messe a disposizione dei ragazzi, in orari e condizioni da definire, affinché in tutte le
società sportive, nelle case del popolo, nelle società di mutuo soccorso, siano presenti i ragazzi. Questo stesso invito lo rivolgiamo alle
cooperative, alle scuole – e quindi alle associazioni dei genitori – alle biblioteche, ovunque è possibile raccoglierlo, in Italia. Ma lo estendiamo alle zone di emigrazione, dove i ragazzi hanno particolarmente bisogno di appropriarsi della loro cultura d’origine, condizione indispensabile per integrarsi all’ambiente di cui sono ospiti e non farsi assimilare da esso. Vi sarà quindi un tipo di aggregazione che corrisponde a bisogni complessivi e trova la sua specificità nel soddisfare una necessità semplice, stare insieme.
Riferimenti culturali e linea pedagogica - Questa assemblea ha come simboli una poesia di Gianni Rodari e il sole. Anzi, il manifesto
presenta ottantuno soli in sequenza, aperta da un ironico sole atzeco e chiusa da quello assai pallido degli esquimesi. L’ottantaduesimo
sole a colori, lo abbiamo scelto come simboli nazionale dell’Arci Ragazzi. La scelta non è immotivata né casuale. È un primo segnale di
un itinerario che contiamo di esplorare e che potrebbe portare ad offrire al nostro movimento un sistema di segnali di riferimento collegato al grande tema dell’uomo davanti al futuro, alla ricerca di energia, proiettato a conoscere e a comunicare con gli spazi sterminati del
cosmo. Attorno al sole si possono raccogliere leggende, storie: il sole è energia, potenza, passato, presente futuro; l’arco attorno a cui si
regge un sistema di pianeti, un universo di vita. Viviamo già da tempo nell’era dell’esplorazione degli spazi extraterrestri. Viviamo
un’epoca in cui la scienza ha un peso determinante; i riferimenti spaziali fanno già parte della produzione multinazionale destinata ai ragazzi; sono presenti nei serial televisivi, nei film di fantascienza, nelle canzoni, in giocattoli, in capi di abbigliamento, fors’anche nelle
paure e nelle angosce dei bambini e dei ragazzi. Certo la rappresentazione che viene data di questo grande capitolo che si è aperto nella
vita umana è ben riduttivo. Negli spazi i mass-media riproducono gli imperi, le guerre, le semplicistiche categorie del buono e del cattivo,
del bello e del brutto, tutta la tradizionale letteratura, definita per l’infanzia, ha costituito materiale di ricalco, per riproporsi integra, seppure con nuovi riferimenti e nuovi linguaggi. Probabilmente siamo ancora una volta di fronte ad un offerta al di sotto del gusto e della
capacità di lettura dei ragazzi. Anzi, questo basso livello, ha dato l’estro ad alcuni genitori di rivendicare forme di censura. Proposta certo
ingiusta attorno alla quale si sono schierati il partito favorevole e contrario ai serial giapponesi. Ma non c’è proprio modo di trovare un
terzo orientamento: quello di un impegno attivo misurandoci nel concreto con i contenuti, i linguaggi, gli strumenti destinati ai nostri ragazzi? Possibile che non possano venire avanti delle proposte positive? L’opera di Rodari, rivolta a mettere in collegamento il mondo infantile con quello adulto, la sua rappresentazione del mondo contadino attraverso Cipollino, costituirono alcuni decenni fa, una forma attiva di inserimento, diedero risultati innegabili, travalicarono persino le nostre frontiere, espandendosi all’estero, dove, in realtà Rodari
divenne celebre prima ancora di essere accettato in Italia dalle forze moderate.