Christian Klucker - Le Montagne Divertenti

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Christian Klucker - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
T rimestrale
di
A lpinismo
e
C ultura A lpina
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i
D tenti
n°21 - Estate 2012 - EURO 5
Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio
Creature
I Gnaùn e gli altri
piccoli uomini
Val Màsino
La punta Rasica
Valmalenco
Da Chiareggio:
l'anello del Forno
e le cime del Largo
Alpi Orobie
Alla Corna Bianca
sopra Venina
Alta Valtellina
Da Santa Caterina
al passo di Gavia
Valchiavenna
Alpinistica al pizzo
Ferrè o escursione sopra
Fraciscio?
Bassa Valtellina
L'Ecomuseo della val
Gerola
Agriturismando
Prodotti tipici e km 0
Valtellinesi nel
mondo
La Terra del Fuoco
Poesia dialettale
Ode alla carriola
Fauna
I pipistrelli
Insetti
A pelo d'acqua
Inoltre
Ricette, poesie, foto dei
lettori, giochi, libri ...
Christian Klucker
maestro del ghiaccio e della roccia
valchiavenna
- bassa valtellina - Val Màsino - alpi retiche e orobie - valmalenco - alta valtellina
1
Le Montagne Divertenti Editoriale
Mario Sertori
Questo numero della rivista è dedicato a Christian Klucker, guida alpina dell’Engadina vissuta tra '800 e '900.
Sebbene non abbia avuto discendenza, può essere considerato non solo il padre degli alpinisti, ma anche di tutti
coloro che amano - oltre le pareti e i seracchi - i sentieri, i fiori, i ruscelli e gli animali selvatici.
La sua figura giganteggia tra i suoi monti prediletti; sui cristalli appuntiti del granito bregagliotto, sulle ultime
spoglie dei temibili canaloni ghiacciati del bel tempo che fu. Su quelle linee repulsive Klucker ha dato il via
all’esplorazione di un mondo sconosciuto, oggi purtroppo in parte disciolto.
Carattere non facile il suo, poco incline al compromesso. Ha accompagnato sulle vie più impervie uomini di
nobile schiatta, ma non sempre altrettanto di animo, riportandoli a valle senza una scalfittura.
Le montagne erano per lui entità al pari degli esseri viventi e con loro ha avuto una relazione stretta, con
loro parlava ricordando in questo il San Francesco di “frate foco e sorella acqua”, ma la sua visione era
laica, quasi illuministica.
Quando la situazione si faceva difficile, invece di chiedere aiuto all’onnipotente
attaccandosi ai santi come facevano i suoi compagni di avventure, si teneva
saldamente agli appigli rocciosi, tirando fuori il coraggio della determinazione.
La sua era una sfida per la conoscenza: geografica, fisica, interiore.
Come un Galileo dei precipizi, era convinto che
nessun luogo è veramente inaccessibile e che
la partita con l’ignoto deve essere giocata con
mezzi leali. Per questo non ha mai usato
chiodi né ramponi, ma solo una piccozza
dal lungo manico in legno e una piuma di
gallo cedrone sul cappello.
Uomo dai molti interessi e dalle tante
qualità, ha conosciuto il successo professionale
e la stima della comunità alpinistica
internazionale, ma ha anche attraversato
momenti di profonda crisi a causa di una
malattia che gli ha impedito per un periodo
di frequentare i monti. Oltre ad essere stato
un alpinista eccezionale, ha amministrato
con lungimiranza il comune di Fex in un
momento critico, è stato custode e gestore
di un giardino botanico alpino, preside
di scuola e molto altro ancora, ma
soprattutto ha inventato - con alcuni
suoi colleghi - il mestiere di Guida
Alpina.
In copertina: s'annuncia l'estate in val Torrone. Sullo
sfondo il picco Luigi Amedeo (19 giugno 2011, foto
Roberto Moiola - www.clickalps.com).
Ultima di copertina: il lungo e inconfondibile spigolo
N del pizzo Badile, ancora inviolato alla data di questo
scatto (1907 ca., foto Alfredo Corti - archivio CAI sez.
Valtellinese di Sondrio).
2
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Editoriale: il masso staccato sullo spigolo SO del pizzo
Tremogge. Questa bella via veniva percorsa da Klucker
(slegato) sia in salita che discesa nel 1874
(1
2011,
foto Beno). Ledicembre
Montagne
Divertenti
3
Editore
Beno
Direttore Responsabile
Enrico Benedetti
Redazione
Alessandra Morgillo
Beno
Gioia Zenoni
Giorgio Orsucci
Roberto Moiola
Realizzazione grafica
Beno e Giorgio Orsucci
Revisore di bozze
Mario Pagni
Responsabile della cartografia
Matteo Gianatti
Hanno collaborato a questo numero:
Alessandra Morgillo, Andrea Sem, Antonio Boscacci, Beno,
Cirillo Ruffoni, Davide Gotti, Davide Trussoni, Eliana e
Nemo Canetta, Enrico Minotti, Fabio Meraldi, Fabio Pusterla,
Fabrizio Picceni e Laura Terraneo, Flavio Casello, Franca
Prandi, Franco Benetti, Giacomo Meneghello, Gioia Zenoni,
Giordano Gusmeroli, Giorgio Orsucci, Kim Sommerschield,
Luca Pelosi, Luciano Bruseghini, Luigi Fanetti, Luisa Angelici,
Manuela Grasso, Marcello Di Clemente (Dicle), Maria Sassella,
Marino Amonini, Mario Sertori, Matteo Di Nicola, Matteo
Gianatti, Matteo Tarabini, Marco Colombo, Nello Corti,
Nicola Giana, Ornella Angelici, Paola Pizzini, Paolo Piani,
Paolo Rossi, Raffaele Occhi, Renzo Benedetti, Riccardo Scotti,
Roberto Moiola, Roberto Ganassa, Roberto Trabucchi, Roby
Lisignoli, Sergio Scuffi, Simona Viganò.
ARIO
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna
Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369
Speciali
Itinerari
d’alpinismo
Itinerari
d’escursionismo
Rubriche
10
56
80
114
Valtellinesi nel mondo
Patagonia e Terra del Fuoco
125
Agriturismando
14
Christian Klucker
Maestro di ghiaccio, di roccia e di vita
I compagni di cordata
64
Valchiavenna
Pizzo Ferrè (m 3103)
Val Màsino
Punta Rasica (m 3305)
Valmalenco e dintorni
Il periplo del monte del Forno
90
Approfondimenti
La capanna del Forno
CAI - sezione Valtellinese di Sondrio, Dario Battoraro, Ezio
Gianatti, Giovanni Rovedatti, Giulia Stambini, Mario
Maffezzini, Fabrizia Vido, Eva Fattarelli, Franco Monteforte,
Lorenzo Lenatti, Paolo Messina, la Tipografia Bonazzi, gli
edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli sponsor
che credono in noi e in questo progetto.
Pubblicità e distribuzione
[email protected]
tel. 0342 380151
M
Si ringraziano inoltre
38
Stampa
Bonazzi Grafica -Via Francia, 1 -23100 Sondrio
I Gnaùn
e gli altri piccoli uomini
70
Approfondimenti
27 giugno 1892
92
Valchiavenna
Traversata del Groppera
128
Il mondo in miniatura
A pelo d'acqua
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intestato a:
Beno di Benedetti Enrico
via Panoramica 549/A
23020 Montagna (SO)
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in segreteria).
46
Musei valtellinesi
L'Ecomuseo della val Gerola
72
Approfondimenti
Granito: così duro, così fragile
100
Alta Valtellina
Tra Sobretta e Gavia
O
[email protected]
www.lemontagnedivertenti.com
M
Contatti, informazioni e merchandising
143
151
S
[email protected] - € 6 cad.
Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista
21 settembre 2012
136
139
Arretrati
Prossimo numero
131
54
Racconti
Un bimbo a Zana
Estate 2012
72
Porte di Valmalenco
Cime del Largo (m 3188)
Le Montagne Divertenti 108
Alpi Orobie
Corna Bianca
154
Fauna
Amici natur...ali
Poesia dialettale
Ode alla carriola
L'arte della fotografia
Click d'estate
Le foto dei lettori
Giochi
Ma che scimma i-è, Ma ch'èl
Ricette della nonna
Ricette con le ortiche
Sommario
5
Localizzazione luoghi
Zillis
Wergenstein
Bergün
Parsonz
Sufers
Curtegns 1864
3062
Mulegns
92
Pianazzo
Fraciscio
Campodolcino
3183
Casaccia
Mera
Castasegna
Prosto
Prata
Camportaccio
Gordona
Novate
Mezzola
3032
Cima del Desenigo
2845
Verceia
Cevo
Bùglio
Caspano Ardenno
Dubino Mantello Mello
Traona
Dazio
Sirta
MORBEGNO
Delébio Rògolo
Còsio
Regolédo
Geròla
Bellàno
Taceno
Pescegallo
Pizzo dei Tre Signori
2554
Introbio
Ornica
Pasturo
Le Montagne Divertenti Colorina
Caiolo
Tartano
Barzio
Monte Cadelle
2483
Passo San Marco
1985
Carona
Cùsio
Piazzatorre
Cassiglio
108
Pizzo Campaggio
2502
Pizzo del Diavolo
di Tenda
2914
Tresenda
Arigna
Pizzo Redorta
3039
Carona
Pizzo Coca
3050
Aprica
Còrteno
Estate 2012
Cortenedolo
Monte Sellero
2743
Pizzo Camino
2492
(Beno e Roberto Moiola)
64 Val Màsino
Punta Rasica (m 3305)
(Beno)
Passo del Tonale
1883
72 Val Bregaglia
Adamello
3554
Monte Carè Alto
3462
Saviore
Valle
(Beno)
Il periplo del monte del Forno
(Luciano Bruseghini)
92Valchiavenna
Traversata del Groppera
(Enrico Minotti)
100Alta Valtellina
Monte Fumo
3418
Berzo
Cime del Largo (m 3188)
80Valmalenco
Garda
Paisco
Concarena
2549
Ponte
di Legno
Edolo
Loveno
Villa
Vione
Sonico
Palone del Torsolazzo
2670
Monte Torena
2911
Pezzo
Incudine
Monno
Malonno
Vilminore
Colere
Gromo
Vezza
d'Oglio
Passo dell'Aprica
Monte Gleno
2883
Valbondione
Passo del Vivione
1828
Gandellino
Corno dei Tre Signori
3359
Punta di Pietra Rossa
Monte Tonale
3212
2694
Monte Serottini
2967
Mazzo
Punta San Matteo
3678
Passo di Gavia
2621
Fumero
Sondalo
Tovo
Lovero
Sernio
Schilpario
Branzi
Roncorbello
Pizzo Rodes
2829
Monte Masuccio
2816
TIRANO
Bianzone
Teglio
Adda
100
Le Prese
Adda
Ponte in Valt.
Albosaggia
Foppolo
Olmo
al Brembo
3136
Chiuro
Mezzoldo
Valtorta
Sondrio
frana
di val Pola
Grosotto
Brusio
Boirolo
T. V
enin
a
Premana
Le Prese
Monte Cevedale
3769
Monte Confinale
3370
Pizzo Ferrè (m 3103)
Santa Caterina
Grosio
Vetta di Ron
Tresivio
48
Bellagio
6
Albaredo
Pizzo Scalino
3323
Torre
di S. Maria
Postalesio
Berbenno
Castione
Talamona
Bema
Tremenico
Lierna
3114
Malghera
Poschiavo
Lanzada
Caspoggio
Chiesa
in Valmalenco
San Martino Corni Bruciati
T. Livrio
Lago
di Como
3678
Pizzo Ligoncio
Monte Legnone
2610
Dervio
Bagni
del Màsino
Primolo
San Antonio
BORMIO
Valdisotto
Cima Saoseo
3263
T. Fo
ntana
Còlico
Monte Disgrazia
La Rösa
San Carlo
T. Mallero
Lago
di Mezzola
64
Gran Zebrù
3851
Cima de' Piazzi
3439
Cepina
Eita
Sasso Nero
2917
Chiareggio
Cima di Castello
3378
ra
T. Code
80
Passo del Bernina
Piz Palù
2323
3906
Oga
56Valchiavenna
Ortles
3905
Bagni di Bormio
Premadio
Arnoga
i
od
Lag chiavo
Pos
Somaggia
72
T. Caldenno
Montemezzo
Livo Gera
Lario
Dongo
3308
4050
Passo del Muretto
2562
o
T. Màsin
Dosso d. Liro
Bondo
Villa
di Chiavenna Pizzo Badile
San Cassiano
San Pietro
Samòlaco
Era
Pizzo Martello
2459
Vicosoprano
Pizzo Bernina
Passo dello Stelvio
2757
Isolaccia
T. Roasco
CHIAVENNA
Mese
Soglio
L'ecomuseo
(Maria Sassella e Cirillo Ruffoni)
Solda
Giogo di Santa Maria
2502
Valdidentro
Passo del
Foscagno
2291
Piz Languard
3268
Forcola
di Livigno
2315
Passo del Maloja
1815
Pizzo Galleggione
3107
1816
Trepalle
Sils
Maloja
Pizzo Stella
Pizzo Quadro
3013
St. Moritz
Silvaplana
Juf
Lag
3180
hi d
i Ca
nca
no
Pontresina
Julierpass
Bivio
Lago d
i Lei
Madesimo
Isola
Cresta
Mera
3210
56
Livigno
3057
3392
Pizzo d'Emet
Cima la Casina
Samedan
Piz Nair
Piz Piatta
Montespluga
Pizzo Tambò
3279
3378
Sur
48 Val Gerola
Stelvio
San Maria
Lago del Gallo
T.
La
nte
rna
2115
3159
Inn
Montechiaro
Müstair
Piz d'Err
Piz Grisch
Innerferrera
Passo dello Spluga
Zuoz
Albulapass
2312
Reno
Ausserferrera
Piz Quattervals
3418
Julia
Splügen
Medels
Piz Kesch
Cunter
Andeer
e itinerari
Tra Sobretta e Gavia
(Eliana e Nemo Canetta)
108Alpi Orobie
Corna Bianca
(Fabio Pusterla e Franca Prandi)
Capo
di Ponte
Làveno
Le Montagne Divertenti Monte Re di Castello
2889
Niardo
© Beno 2011 - riproduzione vietata
Localizzazione di luoghi e itinerari
7
L
e g e n d a
Schede sintetiche e tempistiche
Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali
del percorso, tra cui dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà. A fianco trovate una breve e divertente
spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita.
Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse
capacità. Sotto la voce "Dettagli", invece, viene espressa la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica
convenzionale, corredata da una breve spiegazione.
Le tempistiche, indicate nel testo descrittivo, sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per
raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2.
Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza,
pericolosità e fatica, vi permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario a voi più consono.
1 - Se non emergono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3 km orari su itinerario pianeggiante.
2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento
crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare l'individuazione
dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto.
Bellezza
pericolosità
Quasi meglio il centro commerciale
Carino
Basta stare un po’ attenti
Assolutamente fantastico
Fatica
Richiesta discreta tecnica alpinistica
Pericoloso (si consiglia una guida)
ore di percorrenza
Una passeggiata!
Nulla di preoccupante
Impegnativo
Un massacro
Si comincia a dover stare
attenti alle storte,
alle cavallette carnivore
e nello zaino è meglio mettere
qualche provvista
e qualche vestito.
Assolutamente sicuro
Fico
Ottimo anche per anziani non più autosufficienti
o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale
per la camporella, anche per le coppiette meno
esperte.
dislivello in salita
meno di 5 ore
meno di 800 metri
dalle 5 alle 10 ore
dagli 800 ai 1500 metri
dalle 10 alle 15 ore
dai 1500 ai 2500 metri
oltre le 15 ore
oltre i 2500 metri
Le scarpe da ginnastica
cominciano ad essere
sconsigliate (sono d’obbligo
abito da sera e mocassini).
È meglio stare attenti
a dove si mettono i piedi.
Vertigini vietate!
su RADIO TSN
Itinerario abbastanza
lungo, ma senza
particolari difficoltà
alpinistiche.
È richiesta una buona
conoscenza dell’ambiente
alpino, discreta capacità
di arrampicare
e muoversi su ghiacciaio
o terreni friabili come
la pasta sfoglia.
È consigliabile una guida.
FM 101.100/97.700
ogni martedì con Beno, Nicola Giana e Antonio Boscacci
ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45
WWW.RADIOTSN.IT
Montagna divertente,
itinerario molto lungo
e ricco di insidie di varia
specie. Sconsigliato a tutti gli
appassionati di montagna non
esperti e non dopati.
8
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Valida alternativa
al suicidio. Solo per
persone con un’ottima
preparazione fisicoatletica e esperienza
alpinistica. Servono
sprezzo del pericolo
e, soprattutto, barbe
lunghe e incolte.
Christian
Klucker
Speciali
Mario Sertori
“Oggigiorno domina l’arrampicata su roccia e con essa il cosiddetto divoramento delle
vette! E dove e quando la forza e la destrezza umana non bastano, si ricorre ai mezzi
artificiali: punte di ferro, chiodi, e per le cosiddette nuove discese, anche quando esse non
sono effettuabili in salita, anelli di corda! Nelle mie molte peregrinazioni in montagna,
io non ho mai portato nel sacco una sola punta di ferro e un solo anello di corda. Certo
affrontavo sempre soltanto quei problemi che si potevano risolvere senza mezzi artificiali.
Secondo la nuova tendenza, invece, chiodi e anelli di corda fanno parte dell’equipaggiamento dell’alpinista. Devo immensamente deplorare che l’alpinismo ideale sia
messo in un angolo dal puro sport”.
Christian Klucker
10
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti Nel 1882 il pizzo Torrone Orientale
(m 3333) fu la prima cima ancora
inviolata salita da Klucker nella sua
lunga carriera (3 novembre 2009,
foto Mario
Sertori).
Christian Klucker
11
Miti dell'alpinismo
Speciali
C
hristian Klucker nasce in val di
Fex – in alta Engadina – il 23 settembre del 1853. La luce sfavillante
dell’autunno lo accolse tra i monti del
Bernina nella fattoria Chesa Nova che
i genitori avevano preso in gestione. Il
padre Augustin (1805 – 1892) era originario della val d’Avers, lunga laterale
destra della valle del Reno che inizia
poco sopra Andeer e termina a sud, con
le creste che guardano la val Bregaglia.
Proprio da quei crinali passò Augustin
quando, in cerca di un futuro diverso,
si trasferì a Bondo. Nel ridente borgo
sotto i vertiginosi graniti del Badile si
sposò ed ebbe sei figlie. Nel 1850 traslocò in val di Fex e lì tre anni più tardi
arrivò Christian. La vita del giovane
Klucker fu simile a quella di tanti figli
di contadini e già a sei anni ebbe un
ruolo importante, quello di portare al
pascolo una decina di mucche. Nelle
lunghe giornate estive vissute sulle praterie alpine, crebbe in lui un legame
profondo con la natura e un bisogno
insopprimibile di azione in armonia
con essa. A 8 anni, con un seminarista diciassettenne, salì alla Fuorcla del
Chapütsch (m 2933) dal ghiacciaio di
Fex, rimanendo estasiato dal mondo di
ghiacci e dall’ampio panorama verso la
val Malenco. Antesignano dei moderni
boulderisti, Klucker scalò ogni masso
della valle di Fex seguendo un istinto
innato per l’arrampicata, ma salì anche
in cima a tanti lunghi tronchi di larice,
obbedendo al demone della sfida alla
normalità. Nelle sue memorie velate da
una sottile ironia, parlando di quegli
anni dice che tornato a casa da queste
avventure con i pantaloni strappati succedeva che:
“… la mia cara mamma prendesse
la misura dei punti da rattoppare
con il palmo della mano, una procedura che era più o meno dolorosa
secondo la gravità del caso.”
I
l mondo dell’alpinismo si affacciò
alla sua porta nel luglio del 1865:
il padre, con la guida di Chamonix F.
Devouassoud, accompagnò infatti i
celebri scalatori inglesi D.W. Freshfield
e F. Tuckett in val Malenco, passando
dalla Fourcla Fedoz.
Fino a 15 anni Klucker fu alpigiano,
poi terminate le scuole iniziò a lavorare
presso un’officina di fabbro ferraio a
12
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti La casa natale di Klucker a Fex Platta (28 aprile 2012, foto Mario Sertori).
A fianco: Christian Klucker a Tresivio (1910 circa, archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese).
Samaden per apprendere questa professione. Dopo qualche anno, per volere
del severo padre, si mise in proprio a
Sils Baselgia. Questo passo e l’assunzione di onerosi impegni economici
gravarono negativamente sul suo spirito, portandolo sull’orlo del fallimento
e della depressione. L’ aiuto amorevole
della madre e il desiderio di girovagare
per le montagne dell’Engadina furono
per lui degli ottimi appigli a cui aggrapparsi per non scivolare nell’abisso.
Ed è proprio scendendo dal piz Languard che incontrò un tedesco disposto
ad ingaggiarlo per la salita su quella
vetta; ad escursione avvenuta ricevette
una ricompensa di 10 franchi. Il fatto
lo indusse a pensare come sarebbe stato
piacevole guadagnarsi da vivere in quel
modo, invece di battere tutto il giorno
su un pezzo di ferro per far fronte al
peso dei debiti.
Nell’estate del 1874 abbandonò
definitivamente l’officina per darsi alla
professione di guida alpina, un lavoro
faticoso e di grande responsabilità, ma
che si svolgeva negli uffici più luminosi
e arieggiati che si potessero desiderare.
A quei tempi non c’era da frequentare
la scuola e superare esami per poter
accompagnare persone sulle cime:
Klucker, grazie ad una conoscenza non
comune delle montagne engadinesi
e al modo di essere garbato, in questi
primi otto anni condusse molti turisti
di base a Sils Maria sulle panoramiche
montagne della zona, approfondì la
conoscenza della flora alpina e imparò
sul campo un mestiere complesso, ma
bellissimo. Esercitò la professione senza
nessun tipo di patente dal 1874 al
1908, anno in cui gli venne conferito il
brevetto cartaceo. Le gite più frequenti
del primo periodo furono piz Margna,
Corvatsch, Lagrev, piz Chapütcschin,
Tremoggie, Fora, le traversate dall’Engadina alla val Malenco dai valichi
alpinistici, e quelle della Bregaglia verso
la val Màsino. In questi anni Klucker
portò a termine molte “circumnavigazioni” di più giorni sulla catena
di confine, tra i bacini del Forno,
Màsino, Albigna, Bondasca e Codera,
superando dislivelli chilometrici e
approfondendo minuziosamente la
conoscenza del gruppo montuoso. Gli
studi sul campo, sulla letteratura relativa e i contatti con altri arrampicatori,
gli tornarono utili successivamente
quando con clienti più “sportivamente” alpinisti passò all’esplorazione
sistematica di pareti e canali ghiacciati,
specialità in cui diede il meglio di sé.
Nell’agosto del 1880 partì da
Vicosoprano insieme al signor Galimberti con destinazione Bagni di Màsino
dal passo di Zocca. Sul ghiacciaio
dell’Albigna vennero inghiottiti da una
fitta nebbia tanto che il cliente voleva
fare dietro-front, ma Klucker lo rassicurò e con un senso dell’orientamento
che non necessitava dei moderni GPS,
trovò il valico e anche la successiva
discesa, alla cieca, nel grigio più indecifrabile, fino all’alpe Zocca. Alle tre del
pomeriggio, sani e salvi, raggiunsero la
Christian Klucker
13
Miti dell'alpinismo
Speciali
Theodor Curtius (1857-1928)
S
e al nome del prof. Theodor
Curtius (1857-1928) il mondo
scientifico associa d’acchito la sua
attività accademica in varie università
tedesche e le sue scoperte nel campo
della chimica che gli fruttarono fama,
riconoscimenti e titoli onorifici, i cultori della letteratura alpinistica, invece,
lo collegano alle sue ascensioni fra i
monti della Bregaglia con Christian
Klucker, così come alla capanna del
Forno che, affascinato da quei luoghi,
fece erigere nel 1889 accollandosene le
spese insieme al fratello.
Non sappiamo esattamente quando
Curtius iniziò la sua carriera alpinistica; sappiamo però che nel 1883,
avendo dovuto rinunciare a una
puntata nelle Alpi Occidentali con
le abituali guide bernesi, si rivolse
all’Engadina e lì, per un contrattempo
nella consegna dei bagagli, finì per
soggiornare a Sils-Maria anziché a
Pontresina. “Questa circostanza insignificante – ricorda – fu decisiva per il
mio destino; la sera stessa conobbi delle
valorose guide”, Johann Eggenberger e
Christian Klucker, che “nulla avevano
da invidiare a quelle dell’Oberland o del
Vallese”. Di entrambe apprezzò non
solo le qualità alpinistiche, ma anche
la compagnia veramente piacevole.
Con Klucker in particolare si
instaurò un rapporto di fiducia e
stima reciproca che si protrasse negli
anni, tanto che la celebre guida nelle
Raffaele Occhi
sue memorie ricorda sempre
Curtius con gratitudine e riconoscenza. Insieme portarono a
compimento una serie mirabile
di ascensioni, non solo fra i
monti della val Bregaglia (allora
quasi sconosciuti) e del Bernina,
dove misero a segno diverse
prime (pizzo Bacone, cresta SO
Glüschaint, cime del Largo,
Sciora di Dentro), ma anche
nel Vallese (traversata Macugnaga-Zermatt per lo Jägerhorn,
Cervino, Zinalrothorn), nell’Oberland Bernese (Schreckhorn
e Wetterhorn) e nelle Dolomiti (Tofana, Croda da Lago e
Marmolada).
Curtius, nel 1892, dovette
rinunciare all’alpinismo più
impegnativo a causa di una grave
malattia. Questo non gli impedì
tuttavia di continuare a trascorrere le
vacanze autunnali a Sils-Maria, dove
aveva acquistato una piccola proprietà, il “Mulin vegl”, e di ritrovarsi
col vecchio amico Klucker. Nel 1920
salirono ancora insieme alla capanna
del Forno, che in quell’occasione
venne donata alla Sezione Rorschach
del Club Alpino Svizzero; ci tornarono
quattro anni dopo – e fu l’ultimo loro
incontro – per l’inaugurazione della
struttura ampliata e rinnovata. Il suo
nome resta così indissolubilmente
legato a quel rifugio fra le montagne
bregagliotte che tanto aveva nel cuore.
Da grande appassionato di montagna qual era, Curtius nel 1894 aveva
fondato la sezione di Kiel del Club
Alpino Tedesco ed Austriaco, di cui fu
il primo presidente. Non solo montagna e lavoro, però; come scrisse un
amico in suo ricordo, anche negli anni
dei maggiori successi professionali
ed alpinistici Curtius “rimase lo stesso
compagno di sempre, allegro e caloroso,
appassionato d’arte e di musica, amico
della natura”.
Il pizzo Glüschaint e la sua aerea cresta SO su cui corre la
via di Klucker e Curtius (1 dicembre 2011, foto Beno).
14
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Il monte Disgrazia da NO. Acquerello di Kim Sommerschield (www.kimsommerschield.com).
località termale. Qui avvenne l’incontro con Francesco Lurani Cernuschi1 e
la sua fortissima guida Antonio Baroni
di Sussia (val Brembana). La stima
che Klucker nutriva nei confronti del
Lurani e di Baroni era ricambiata; il
loro fu una sorta di incontro tra “animali della stessa specie”. E finalmente
arrivò anche la prima via nuova su
una cima ancora inviolata: il poderoso
pizzo Torrone Orientale (m 3335).
Era il 29 luglio del 1882 e della
comitiva facevano parte R. Paulcke e A.
von Rydzewski. L’idea venne naturalmente alla guida di Fex che, dopo aver
condotto felicemente i due alpinisti
sul pizzo Bernina, decise di proporre
loro il nuovo, lo sconosciuto, la gita
dall’esito l’incerto, ma che poteva dare
grande soddisfazione. Di cime inaccesse allora ce n’erano ancora parecchie, l’esplorazione era solo agli inizi,
ma trovare clienti disposti a seguirlo su
quella china e soprattutto che fossero
1 -Francesco Lurani Cernuschi – (1857 - 1912)
nobile milanese con la passione della scalata è stato
uno dei più attivi esploratori del gruppo Màsino
Bregaglia e autore della prima guida alpinistica
della regione, Le montagne di val Màsino edita nel
1883. Suo compagno di cordata fu spesso Antonio
Baroni - (1833 - 1912) di Sussia (valle Brembana),
una delle più apprezzate guide alpine italiane dell’epoca.
Le Montagne Divertenti all’altezza di difficoltà alpinistiche di un
certo rilievo non era cosa semplice.
L
’incontro, nel 1883, con
Theodor Curtius, un professore
tedesco di chimica, grande appassionato delle Alpi, fu per Klucker di fondamentale importanza: le doti umane
ed intellettuali, la buona abilità in
arrampicata e la considerazione per la
sua guida fecero di Curtius il soggetto
ideale al quale suggerire una campagna
sistematica di scalate sui monti della
Bregaglia. Le cime vergini e le nuove
salite per le quali nutriva un’attrazione
quasi istintiva potevano finalmente
essere messe nero su bianco, su un taccuino segreto pronto ad essere estratto
al momento di inventare l’obiettivo di
una giornata. Per Christian Klucker
questo faceva parte della professione,
ma il suo modo di concepirla andava
molto aldilà, perché sentiva una sorta
di richiamo dalle sue montagne…
opo averlo “testato” con un’ascensione al Bernina, fu la volta
di una bella prima. Partirono molto
presto dal Maloja il 27 agosto 1883,
si inoltrarono sul ghiacciaio del Forno
e salirono la piramide di granito del
pizzo Bacone (m 3244) senza trovare
D
particolari difficoltà, quindi scesero dal
versante S compiendo anche la prima
traversata della montagna. Alle 16.00
erano di nuovo al Maloja!
Due giorni dopo furono ancora in
pista per la prima della cresta ovest del
piz Glüschaint (m 3598), che riuscì
nello strabiliante tempo di 7 ore dalle
case di Sils Maria, con loro anche la
guida Johann Eggenberger.
Nell’agosto del 1885 Curtius e
Klucker andarono a dare un’occhiata
alle cime del Largo (m 3188) giungendo sull’ancora inviolata anticima
orientale della vetta principale, che poi
salirono due anni più tardi. Quindi
passarono alle vie di dettaglio, con
la prima dello spigolo N del pizzo
Bacone (m 3244), dove incontrarono
difficoltà abbastanza sostenute.
N
ell’agosto del 1886 gli venne
chiesto
di
accompagnare
il generale inglese Haig sul monte
Disgrazia (m 3678). Haig, che era alto
circa 2 metri e si dava arie da alpinista
consumato, pretese di essere condotto
in giornata, partendo dal Maloja e passando dal monte Sissone; avrebbero
pernottato – secondo i suoi piani - nella
Christian Klucker
15
Speciali
Piccolo Roseg
(3868)
Pizzo Roseg
(3936)
Porta Roseg
(3522)
Il Cervino da NE. Tra ombra e sole la cresta dell'Hornli e a dx la cresta di Zmutt, entrambe percorse da Klucker (21 ottobre 2010, foto M. Sertori).
Il versante NE del pizzo Roseg e la via Klucker-Neruda visti dal piz Morteratsch (agosto 1909, archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese).
piccola capanna Maria, poco sotto la
cima della montagna, godendosi così
il tramonto da quella posizione privilegiata. Partecipava a quell’ascensione
anche Jakob Ufer, guida alpina “in
seconda”. Il team, ostacolato dal maltempo, superò la cima del Sissone, valicò
il passo Cecilia e proseguì sul ghiacciaio
del Disgrazia via via sempre più ripido.
Klucker si sobbarcò totalmente il lavoro
di scalinamento (i ramponi non erano
ancora in uso), mentre i due compagni
davano segni di cedimento; il lungo
generale era visibilmente affaticato e
continuava a chiedere soste, fino al
punto che, in completa defaillance e
con il buio imminente, crollò al suolo.
La guida di Fex risalì velocemente alla
capanna Maria, prendendo un fornelletto e due coperte. Si disposero ad uno
scomodissimo bivacco, sospeso tra gli
abissi di Chiareggio e quelli non meno
spaventevoli di Predarossa. La bufera
imperversava e la situazione si faceva di
ora in ora più drammatica.
Raggiunta la cima dello Jägerhorn
(m 3970) in 12 ore i due scesero verso
Zermatt. Grande fu lo stupore di Klucker alla vista del Cervino “Mi colpirono
più di ogni altra cosa i giganteschi monti
che dominano la valle di St. Niklaus e
sopra le altre la superba e impressionante
piramide del Matterhorn.” Nella località turistica l’attenzione andò anche al
gran movimento di guide per le strade
davanti agli alberghi, come i già celebri Melchior Anderegg, ghiacciatore
di chiara fama, Alexander Burgener,
Jean Antoine Carrel, primo salitore da
S della Gran Becca ed Emile Rey di
Courmayeur. Nel giro di pochi giorni
Curtius e Klucker scalarono senza trovare particolari difficoltà il Cervino
(m 4478) dalla cresta dell’ Hörnli e lo
Zinalrothorn (m 4221); poi si diressero verso l’Oberland bernese per salire
la Jungfrau, ascensione che non riuscì
per le pessime condizioni meteo. Proprio il maltempo fece sì che, durante
una gita turistica sul lago di Thun,
Klucher potesse rivedere Anneli, il suo
grande amore giovanile che nel frattempo si era sposata con un burbero
sessantenne. “Fu un incontro gioioso con
un triste commiato” commentò malinconicamente nella sua autobiografia.
Il generale moribondo venne
avvolto in una coperta e
arrotolato nella corda come
un lunghissimo salame
appeso alla montagna.
16
Le Montagne Divertenti Le due guide si misero sotto l’altra
coperta alla meglio, sperando che il
vento cedesse e la tempesta si placasse.
Klucker distrutto dalla fatica si
addormentò. Ma fu svegliato poco
dopo da uno strano lamento.
Era il collega Ufer che chiedeva aiuto
ai santi per poter tornare a rivedere i
figli e la moglie. A quel punto fu chiaro
che le persone delle quali doveva occuparsi il capocordata erano due.
Fortunatamente arrivò anche la luce
del nuovo mattino; la strategia studiata per il ritorno dalla guida di Fex
era di far scendere davanti – assicurato
– Ufer, con la mansione di pulire dalla
neve soffiata dal vento i gradini intagliati il giorno prima, per secondo il
generale, calato come un pacco e infine
lui stesso. Questa fu una delle prime
situazioni complicate che si trovò a
governare in montagna e, come spesso
accadde durante tutta la sua carriera,
potè solo raramente dividere la responsabilità con un collega, perché - come
vedremo più avanti - questi si riveleranno, più che guide sperimentate,
portatori di pesi inadatti agli ambienti
severi dell’alta montagna. O meglio, i
professionisti di spessore erano ingaggiati in coppia dal cliente quando era
di larghe vedute e solido portafoglio,
mentre quelli parsimoniosi affiancavano alla guida un aiutante che, il più
delle volte, non era all’altezza della
situazione, come appunto Jacob Ufer
in quell’occasione.
L
e gite con Theodor Curtius continuarono anche nel 1887
con il severo canalone N della forcola
del Largo, concatenato con l’inaccessa
cima di Spluga (m 3046), il tutto
partendo da Casaccia e rientrando alle
19 al Maloja. E dopo 13 anni di professione esclusivamente sui monti di
casa, arrivò per Klucker l’attesa richiesta
da parte di Curtius di effettuare alcune
arrampicate nel gruppo del monte Rosa
e in Vallese. Nei loro piani c’era la punta
Dufour dalla parete E, ma dopo una
gita per valutarne le condizioni, constatato il continuo precipitare di valanghe
e seracchi, decisero di concentrarsi sulla
traversata dello Jägerhorn. L’osservazione della montagna e la scelta di
percorsi al riparo da eventuali cadute di
ghiaccio e altri pericoli oggettivi era per
la guida di Fex di fondamentale importanza. Ad aiutarlo in questo campo era
l'istinto animalesco di sopravvivenza
che aveva sviluppato con l'esperienza.
Estate 2012
Le Montagne Divertenti A
nche nell’estate del 1888 il
professore tedesco volle fare un
giro nei dintorni di Grindenwald: in
quell’occasione giunsero sulla vetta
dello Schreckhorn e del Wetterhorn,
incantati dalla vista delle pareti nord
di Eiger, Jungfrau e Mönch. Theodor
Curtius divenne per Klucker, più che
un cliente, un amico e un vero compagno di cordata sul quale poter contare.
Negli anni che seguirono le uscite con
il professore si fecero più rare, sia perché Christian Klucker entrò nel giro
delle guide di alto livello e come tale fu
molto richiesto fuori dal suo naturale
territorio natìo, sia perché Curtius ebbe
un periodo di malattia che lo tenne
lontano dai monti. Ma il legame tra i
due non si affievolì mai, anzi le ultime
gite risalgono al 1917 ed ebbero spesso
come meta la capanna del Forno,
rifugio che il professore tedesco fece
costruire nel 1889 e che donò definitivamente al CAS nel 1917.
U
n altro capitolo estremamente
importante della carriera alpinistica di Christian Klucker fu quello
con lo svedese, naturalizzato inglese,
Luwig
Norman-Neruda
(1864
-1898). Si conobbero nel 1889 e
iniziarono con un’uscita al canalone S
del piz Lagrev (m 3165), che si rivelò
assai pericoloso per rocce instabili, ma
da questa giornata Klucker capì che
Neruda era “dotato di un carattere e di
un cuore d’oro, possedeva una volontà di
ferro unita alla calma”, ovvero le doti
giuste per portarlo su difficili itinerari
che da tempo aveva impresso sul suo
taccuino. La forza e la voglia di fare non
gli mancavano, e infatti nel pomeriggio
della stessa giornata del Lagrev salirono
alla neo-costruita capanna del Forno,
con altre 6 persone, con l’intenzione di
raggiungere il giorno dopo il monte del
Forno. E così fecero, ma Neruda e Klucker, riportato il gruppo al rifugio, nel
pomeriggio scalarono l’inviolata cresta
nord del monte Rosso (m 3088), rientrando alla capanna a notte fonda.
Nell’estate del 1890 Neruda si
presentò con un programma assai
ambizioso che prevedeva, dopo un
paio di gite di acclimatamento, alcune
ascensioni che rappresentavano, per l’epoca, quanto di più difficile si potesse
immaginare. Il 9 luglio, partendo alle
2.30 dall’Hotel Roseg aprirono un
nuovo itinerario sulla parete N del
monte Scerscen (m 3971) raggiunChristian Klucker
17
Miti dell'alpinismo
Speciali
Ludwig Norman-Neruda (1864-1898)
L
a conoscenza coi monti della
Bregaglia e del Bernina, ma
prima ancora con Christian Klucker,
Ludwig Norman-Neruda la fece
nel 1889 quando giunse al Maloja
insieme ai coniugi Tauscher e alle loro
guide A. Pinggera e P. Reinstadler
di Solda. Fu un incontro foriero di
grandi successi, e il binomio Klucker
Norman-Neruda entrò così nella storia dell’alpinismo.
Figlio di una violinista morava e di
un compositore e direttore d’orchestra
svedese, Ludwig Norman-Neruda
(1864-1898) era nato a Stoccolma,
ma dopo aver studiato alle accademie
di pittura di Anversa, Parigi e Londra si trasferì in Inghilterra e nei suoi
ultimi anni ad Asolo.
Cominciò a frequentare la montagna a 22 anni, e divenne in breve uno
dei più forti alpinisti del suo tempo.
Klucker lo ricorda come un “giovane
amico” dal “carattere affabile e dal
cuore d’oro, con una volontà di ferro
unita alla calma”. Con lui, NormanNeruda portò a compimento numerose prime salite, principalmente su
ghiaccio. Nel 1890, nell’arco di dieci
giorni, salirono la NO dello Scerscen,
la “Gurgel” sulla NE del Bernina e la
NE del Roseg, considerata ancor oggi
fra le più ardue ascensioni di ghiaccio
delle Alpi; portatisi poi nel Vallese,
superano lo spigolo ENE dell’Obergabelhorn, ma soprattutto la gran-
diosa parete NE del Lyskamm
(con anche la guida J. Reinstadler di Solda) lungo la via
che porta oggi il suo nome.
Col tempo, NormanNeruda si avvicinò sempre più
alle Dolomiti, dove arrampicò
con la moglie (nel gruppo
delle Pale compiono la prima
salita della cima Wilma, così
chiamata dal nome della
figlia), ma pure con il fior fiore
degli alpinisti dell’epoca come
L. Friedmann, A. von Krafft
e R.H. Schmitt, coi quali salì
il Sass Maor e la cima della
Madonna.
Arriviamo così all’inviolata
ed ambita punta delle Cinque
Dita. Norman-Neruda l’aveva
tentata invano con Josef Innerkofler,
prima che la vincesse Robert Hans
Schmitt con Johan Santner per la via
dei camini. “Quest’ascensione – scrisse
Schmitt – è di gran lunga la più difficile che io abbia mai fatto; chi salirà a
riprendere il nostro biglietto da visita?”
Il biglietto da visita se lo prese proprio Norman-Neruda l’anno dopo,
insieme a Klucker, dopo aver salito la
parete N, anche per lui “la più difficile
scalata su roccia mai fatta”. Per Klucker, che guidava la cordata, si trattò
della prima scalata dolomitica. La loro
fu però solo la terza ascensione, erano
infatti stati preceduti di 20 minuti
Raffaele Occhi
dalla signora Jeanne Immink con le
guide A. Dimai e G. Zecchini, che
lasciarono tuttavia a Norman-Neruda
la consolazione del biglietto autografo
di Schmitt.
Quella vetta, che salì altre cinque
volte, fornì a Norman-Neruda lo
spunto per esporre la sua concezione
sportiva dell’alpinismo nell’articolo
“La Punta delle Cinque Dita come
montagna alla moda”.
Crudele ironia della sorte, quella
vetta gli fu pure fatale: precipitò
infatti dal camino Schmitt, durante
un’ascensione con la moglie e un
amico. È sepolto a Ortisei.
Il Sassolungo con, al centro, la punta delle Cinque Dita (1 giugno 2009, foto Roberto Moiola).
18
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Il versante NE del pizzo Bernina con la Biancograt e lo scivolo di ghiaccio su cui corre la via Klucker - Neruda (3 maggio 2012, foto Mario Sertori).
gendo alle 13 la vetta. Questa era stata
salita per la prima volta dal celebre
Naso di ghiaccio nel 1877 dalla cordata
Paul Güssfeldt, Hans Grass e Kaspar
Capat. Il successo diede loro la fiducia
necessaria per tentare di portare a termine l’obiettivo più ambito: il pizzo
Roseg dal versante settentrionale. Questa grande sfida era da alcuni anni sul
quaderno di Klucker e la coincidenza
con il programma di Neruda, dotato di
indiscutibili doti alpinistiche, l’avevano
portata in cima alla lista. Dopo alcune
ricognizioni nei giorni precedenti,
il 16 luglio 1890, poco dopo le 6 di
mattino, attaccarono la parete NE del
pizzo Roseg (m 3936): l’arrampicata
risultò particolarmente impegnativa
per la presenza di ghiaccio su gran
parte del percorso e per la pendenza
sostenuta (fino a 60°). Il lavoro di scalinamento che si dovette sobbarcare
Klucker fu pesantissimo anche perché,
come la maggior parte delle guide svizzere si rifiutava di utilizzare i ramponi,
già in uso a quell’epoca. L’inclinazione
accentuata lo costrinse a scavare appigli
anche per le mani. “ …la considerazione, che i ramponi in questo tratto ci
avrebbero risparmiato tempo e lavoro, la
trovo davvero strana, dato che con tali
Le Montagne Divertenti pendenze su ghiaccio liscio, anche il più
abile ed esperto specialista dei ramponi
deve por mano alla piccozza 2.”
Alle 13.20, dopo un immane sforzo
erano finalmente sulla cima principale
e avevano portato a compimento una
delle più importanti vie glaciali della
regione. Oltre all’audacia e alla capacità tecnica di questi uomini, che riuscirono con mezzi oggi impensabili e
senza possibilità di assicurarsi in nessun
tratto, a vincere una grandiosa sfida, c’è
da considerare la loro resistenza fisica:
infatti, scesi dalla via normale, poco
dopo le 19 erano all’Hotel Roseg! Per
la fantastica giornata Neruda regalò a
Klucker il suo clinometro. Ma i due
non stettero tanto a riposarsi e il giorno
dopo salirono alla capanna Boval. Il 18
luglio fu la volta di un nuovo itinerario sulla parete NE del pizzo Bernina
(m 4050); con un astuto percorso al
riparo dalle scariche di ghiaccio ma
lungo e impegnativo, in autentico stile
Klucker, uscirono in cresta a valle della
cima principale sotto l’imperversare
di un terribile temporale. Scesero in
direzione del pizzo Bianco e, trovato
un esiguo riparo ai piedi di una roc2 - I ramponi in uso all’epoca erano assai
rudimentali e non avevano punte frontali.
cia strapiombante, passarono lì tre ore
terribili tra fulmini, neve furiosamente
portata dal vento e freddo feroce.
Prima del buio, riuscirono a divallare
cavalcando al contrario la Biancograt,
l’esposta cresta che, tra l’altro, nessuno
dei due conosceva, e raggiunsero verso
mezzanotte l’Hotel Roseg. Quello
che colpisce leggendo Memorie di una
Guida Alpina è la grande fiducia che
Klucker aveva in se stesso, la consapevolezza che anche alle ore più terribili
ne sarebbero seguite altre meno angoscianti e che le capacità tecniche, con
la determinazione, permettevano di
gestire le situazioni peggiori e di portarsi fuori dai guai. Questa sul Bernina
fu una delle sue più severe giornate
passate sui monti - certo sarebbe potuta
finire diversamente se il maltempo
avesse persistito - ma anche in questo
frangente il nostro fece la sua parte,
prendendosi carico della sicurezza del
compagno.
La sorte si accontentò solo di
strapazzarli per bene, forse
per prepararli ad altre sfide.
Quello che la guida di Fex, al termine
della durissima giornata, fece più
Christian Klucker
19
Miti dell'alpinismo
Speciali
Rydzewski, Barbaria e Klucker a Promontogno nel 1898 e il canalone N del colle del Cengalo nel 1896. Le foto, riprese dall'apparecchio di Anton
von Rydzewski, sono tratte da: Urula Bauer e Jürgen Frischknecht, Ein Russ im Bergell.
Anton von Rydzewski (1836-1913)
L’
immagine stereotipa del legame
“cordiale” tra guida e cliente
offertaci generalmente dalla letteratura
alpinistica – in cui la guida “fedele”
svolge semplicemente il ruolo di servitore che mette a disposizione le sue doti
e la sua esperienza, mentre il cliente
“magnanimo” appare quale anima
della cordata e cuore delle iniziative a
cui ascrivere i meriti dell’ascensione –
nel caso di Klucker e Rydzewski è del
tutto fuori luogo. Il loro rapporto fu
infatti sostanzialmente conflittuale,
come emerge dalle memorie di Klucker che – forse geloso delle cime della
Bregaglia che considerava un po’ come
il suo feudo alpinistico – non accettò
mai il ruolo di “servitore muto”, rifiutando “senza ambiguità quel servilismo
e quell’etichetta da salotto, che Rydzewski
pretendeva anche nel severo lavoro
dell’alta montagna”.
Russo di nascita e tedesco d’adozione,
Anton von Rydzewski (1836-1913)
arrivò tardi all’alpinismo, già sulla
soglia dei 50 anni, quando salì il Monte
Bianco. Tra giugno e luglio 1889 lo troviamo nelle Dolomiti dove, guidato da
20
Le Montagne Divertenti Michele Bettega e Mansueto Barbaria,
sale numerose cime nel gruppo delle
Pale di San Martino e del Pelmo; l’anno
successivo è nel gruppo del Silvretta con
le guide Christian Jann e Leonard Guler
di Klosters.
Poi arriva in Bregaglia, dove per ben
nove anni (dal 1891 al 1900), portandosi quasi sempre appresso anche Mansueto Barbaria quale seconda guida (in
talune occasioni si aggregarono Émile
Rey e Martin Schocher), fu cliente
abituale di Klucker. A dispetto dell’età
e delle modeste capacità tecniche, era
però un uomo oltremodo ambizioso
e vanitoso, spesso supponente; non
nascose, cosa che suscitò l’ironico sarcasmo di Klucker, il desiderio di veder
battezzata col proprio nome una delle
guglie bregagliotte, l’allora innominata
Punta Trubinasca dopo averne fatto la
prima salita.
Nonostante il contrasto caratteriale
– Rydzewski aveva bisogno di Klucker
e Klucker, pur di non lasciare che altri
violassero il suo giardino, fece buon viso
a cattivo gioco – diedero un contributo
fondamentale all’esplorazione di quelle
Il versante settentrionale dell'Ortles fotografato dalla capanna Payer (3 agosto 1907, archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese).
Raffaele Occhi
montagne, portando a compimento
imprese passate alla storia: dai canaloni
ghiacciati dei Gemelli, del Cengalo e del
Badile alla prima traversata sud-nord
della Fuorcla Roseg, dalle prime ascensioni della Rasica e del Torrone all’Ago
di Sciora per non citarne che alcune.
Rydzewski ne scrisse sulle pubblicazioni del Club Alpino Svizzero e
del Club Alpino Tedesco e Austriaco,
nonché sul Bollettino del CAI, con
l’aspirazione di restare immortalato
nella letteratura alpina come il pioniere
dell’esplorazione delle Alpi di val Bregaglia (questo urtò profondamente la
suscettibilità di Klucker che, custode
geloso delle sue montagne, fu di fatto
l’elemento propulsore per la loro
esplorazione).
Rydzewski è ricordato pure per le sue
fotografie: fu infatti il primo a catturare
su lastre e celluloide la val Bregaglia nei
suoi vari aspetti, riproposti recentemente in un libro1 e in una mostra.
1 - Usrula Bauer und Jürgen Frischknecht, Ein Russ
im Bergell. Anton von Rydzewski 1836-1913. Der
erste Fotograf des Bergells, Verlag Desertina, 2007
Estate 2012
fatica a sopportare fu il trattamento
riservatogli una volta in albergo: con
i vestiti fradici e una stanchezza da
sfinimento, gli venne dato per dormire
un tavolato sopra la stalla, senza coperte
nè materasso, mentre il nobile cliente fu
messo a letto in una camera! Il 24 luglio
passarono nel gruppo del Silvretta
dove misero a segno una via nuova
sul Gross Seehorn, concatenata con la
traversata al Gross Litzner. Trasferitisi
in Vallese, salirono Obergabelhorn
e Wellenkuppe, preludio ad un’altra
grande scalata che passerà alla storia:
la prima ascensione della parete nord
del Lyskamm. A quest’impresa oltre
a Norman-Neruda prese parte anche
Joseph Reinstadler, collega abile su
ghiaccio. Pernottarono la sera prima
al Riffelberg, dove trovarono le famose
guide valdostane Rey e Bich con la
cliente Miss Richardson, anche loro
intenzionati a salire il Lyskamm, ma
dalla cresta est. Al mattino lasciarono
incamminare la celebre cordata per non
svelare il loro obiettivo, ma una volta
alla crepaccia terminale, sia Reinstadler
che Neruda non furono più così sicuri
Le Montagne Divertenti di voler affrontare un tale mostro.
Ancora una volta la guida di Fex dovette
sobbarcarsi il peso delle decisioni.
In sole sette ore di arrampicata,
raggiunsero la vetta del Lyskamm
orientale (m 4538). La linea seguita
si mantenne costantemente presso una
costola rocciosa assai impegnativa, ma
che secondo Klucker poteva garantire
una certa sicurezza perché riparata da
cadute di ghiaccio, su quella muraglia
molto frequenti. In cima Neruda
festeggiò offrendo champagne ai suoi
compagni. Per Klucker quella appena
compiuta “…era un’aspra eppure bella
vittoria. Se così si può chiamare una
stupidaggine.”
1891 – L’estate di quell’anno fu
meteorologicamente ostile all’attività
alpinistica, ma nonostante questo Klucker e Norman-Neruda portarono a
termine alcune belle salite nel gruppo
del monte Rosa e successivamente
viaggiarono alla volta delle Dolomiti.
Anche sulle pareti verticali di roccia, certo meno salda del granito del
Màsino, il nostro ebbe modo di dar
prova della propria abilità portando il
suo cliente sulla punta delle Cinque
Dita (m 2998) del Sassolungo attraverso il Camino Schmitt. Lasciato
Neruda che tornava in patria, Klucker
si trovò con Theodore Curtius per
le ascensioni della Tofana, Croda da
Lago, Marmolada, e sulla strada del
ritorno a casa, dell’Ortles.
G
li anni dal 1891 al 1900
costituirono un capitolo fondamentale dell’attività di Klucker e
furono strettamente legati, nel bene e
nel male, alle scalate con Anton von
Rydzewski, un nobile russo che si era
trasferito a Dresda. Questi, poco oltre
la cinquantina nel 1891, era solo da
pochi anni dedito alla montagna, ma
già molto conosciuto nell’ambiente
per i numerosi articoli pubblicati sulle
riviste dei vari club alpini europei. E
come spesso accade, la dimestichezza
con la penna lo aveva portato a sopravvalutare le sue capacità e mettere in
secondo piano il valore del capocordata
nell’ambito delle arrampicate descritte.
Soprattutto si arrogava il merito della
Christian Klucker
21
Miti dell'alpinismo
Speciali
Cima di Vazzeda
(3302)
Cima di Rosso
(3366)
Sciora di Dentro
(3275)
Pioda di Sciora
(3238)
Ago di Sciora
(3205)
Pizzi Gemelli
Cima della
(3262-3225)
Bondasca
Colle dei Gemelli
(3289)
(3101)
Passo di Bondo
(3169)
Pizzo Cengalo
(3367)
Pizzo Badile
(3308)
Colle del Cengalo
(3057)
Punta S. Anna
(3171)
Le cime di Rosso e di Vazzeda viste dall'alpe Sentieri. Il primo concatenamento per cresta di queste vette fu opera di Klucker, Rydzewski e Barbaria
(5 luglio 2010, foto Mario Sertori).
La testata della val Bondasca (5 settembre 2009, foto Luciano Bruseghini).
Mansueto Barbaria (1850-1932)
T
ale il nome, tale il carattere.
A differenza di Klucker, che
nelle peregrinazioni bregagliotte
ostenta insofferenza verso Rydzewski,
Barbaria – seconda guida dell’alpinista russo – mostra invece un atteggiamento molto più accomodante, “per
amor di quiete”, che gli vale il rimprovero di servilismo e mancanza di
iniziativa da parte della guida di Fex.
Abile nell’arrampicata sulle sue
rocce dolomitiche, meno sul granito,
Barbaria su ghiaccio non si trovava a
suo agio. Quando, durante la prima
salita del canalone dei Gemelli, li
sorprese una scarica di sassi, fu preso
dal terrore: «Andiamo per l’amore di
Dio – esclamò – di ritorno!» Forse era
ancor vivo in lui il ricordo di quando,
durante un tentativo alla “superba
muraglia del Popena verso il passo del
Cristallo, reputata una delle più scabrose salite nelle Dolomiti di Ampezzo,
e anche pericolosa per cadute di pietre e
pessima roccia [...] vi arrischiò la pelle
e dovette la propria salvezza all’intelligente prontezza dell’alpinista che aveva
con sé”. Sono parole di Leone Siniga-
22
Le Montagne Divertenti glia (cugino di Giorgio, l’esploratore
della val Grosina), che quando salì il
Sorapiss per la parete NE nel 1893,
si avvalse di Barbaria non solo come
guida, ma anche come puntello per
superare un passaggio scabroso e
raggiungere la cengia superiore: “per
ultimo – ricorda – assistiamo all’aereo
arrivo di Barbaria, giocondamente
issato per la corda dalle robuste braccia
dei colleghi”.
Alto e snello, pacifico e onesto,
Mansueto Barbaria Zuprian (18501932) fu guida a Cortina d’Ampezzo
fin dal 1885, quando accompagnò
il prof. Minnigerode (quello della
nord del Gran Zebrù) sulla Croda
da Lago. Tra giugno e luglio 1889 lo
troviamo invece, insieme a Michele
Bettega, a guidare Rydzewski alla
Pala di San Martino e al Sass Maor,
alla cima di Rosetta e al Pelmo. Il suo
nome è legato anche alla prima salita
del Campanile Pradidali dove, con
Bettega, vi accompagnò l’inglese Mr.
Wood; con quest’ultimo, e la prima
guida Luigi Bernard raggiunse pure
la punta delle Cinque Dita lungo una
Raffaele Occhi
nuova via per il versante SE, pochi
giorni dopo Klucker e NormanNeruda. Fu pure guida di Theodor
Wundt, con cui salì per primo il Piccolo Popena, da allora cima Wundt.
Fra i monti della Bregaglia
Rydzewski, dopo l’esperienza dolomitica, volle prender Barbaria con
sé come seconda guida, sia per le
sue capacità (sir Edward Davidson
lo considerò uno “scalatore eccellente,
ammirevolmente sicuro e attento”),
sia (forse soprattutto) per le modeste richieste economiche e il buon
carattere. E il trio Klucker-BarbariaRydzewski portò a compimento
mirabili imprese alpinistiche, a
partire dai grandi canaloni della val
Bondasca.
Rydzewski ricorda infine che
Barbaria, diversamente da Klucker
rispettoso della natura in tutti i suoi
aspetti, usava prendere a sassate piccoli stormi di pernici bianche, e correva in cerca del nido, per rubarvi le
uova, non appena un merlo acquaiolo prendeva il volo.
Estate 2012
scelta degli obiettivi relegando la
guida al ruolo secondario di esecutore
materiale.
È anche per questo motivo che Christian Klucker si decise a raccogliere
le sue memorie in un libro, per fare
chiarezza delle meschinità del nobile
russo che così descrive“.. Rydzweski era
uomo dal carattere maldisposto, inadatto
alla nobile alta montagna. Secondo la
mia concezione, per avere le capacità
necessarie, non basta che l’interessato
sappia scrivere bene e in modo piccante!
Che un uomo, del quale misi a disposizione durante un decennio, per 4 o 5
settimane all’anno, le mie migliori conoscenze e capacità, e nonostante il modestissimo compenso, mai mi tirai indietro
quando ne potevano andare di mezzo
vita e salute; che un uomo potesse così
largamente permettersi, senza ragione, in
ogni occasione, con parole e per iscritto,
di infangare l’onore e il buon nome della
sua guida, alla quale doveva una serie di
bellissime prime ascensioni, era e rimase
per me una questione di ingratitudine
e di astio. La causa del suo inqualificabile comportamento nei miei riguardi
Le Montagne Divertenti si deve ricercare in prima linea nel fatto
che io rifiutai senza ambiguità quella
servilità e quell’etichetta da salotto, che
lui pretendeva anche nel severo lavoro
dell’alta montagna”. Nonostante questo tagliente giudizio la guida di Fex
non riuscì mai – nel decennio in questione - a separarsi definitivamente dal
cliente, ma anzi compì con lui alcune
tra le più stupefacenti prime salite del
Màsino-Bregaglia.
al primo incontro nel 1891,
Klucker gli prospettò una serie
di arrampicate inedite in val Bondasca: fino ad allora sulla cresta di confine della valle erano stati raggiunti da
Nord solo i passi di Bondo e Trubinasca, tutto il resto era lì ad aspettare gli
audaci.
D
È però l’anno successivo (1892)
che ebbe inizio il tormentato sodalizio
con la scalata dell’inviolata cima della
punta Rasica (m 3305). L’impresa riuscì il 27 giugno dal ghiacciaio del Forno
e trovò il culmine della difficoltà ed
esposizione nel superamento dell’affilata e aerea cuspide sommitale. Klucker
rifiutò il lancio di corda proposto dal
collega ampezzano Mansueto Barbaria
e volteggiò leggero nell’arduo passaggio
avvolto da un vuoto inquietante, e una
volta sulla vetta issò a forza di braccia
Rydzewski e anche la seconda guida.
Una formidabile prima del 1892 fu
il canalone N del colle dei Gemelli
(m 3101), impresa a cui prese parte
anche Barbaria. Fissarono come campo
base una baita all’alpe Naravedar e
dopo aver perlustrato per bene con il
binocolo la montagna, alle 3.35 del
9 giugno partirono verso il ghiacciaio
della Bondasca: Klucker alla volta del
suo desiderato canale, Rydzewski fiducioso di una nuova conquista e il povero
Barbaria - che detestava neve e ghiaccio
- come se andasse al patibolo. Sull’erto
pendio la guida di Fex procedeva guardinga temendo scariche di pietre che
puntualmente si verificarono, non colpirono la cordata, ma ebbero l’effetto
di impaurire ulteriormente i compagni di Klucker che continuamente
gli tiravano la corda. Dobbiamo solo
provare a immedesimarci nella guida
che durante una severa ascensione, su
Christian Klucker
23
Miti dell'alpinismo
Speciali
Sciora di Fuori
(3169)
Pioda di Sciora
(3238)
Ago di Sciora
(3205)
Scioretta
(3046)
Da sx: Aiguille Blanche e cresta di Peuterey (in centro il Pilone Centrale del Freney) (15 ottobre 2009, foto Mario Sertori).
Q
uando, dopo i successi degli anni
precedenti, nel 1893 Rydzewski
torna in Bregaglia, le sue attenzioni si
concentrano in particolare su una bellissima guglia inviolata che domina la val
Bondasca; ma per questa impresa, oltre
a Klucker (Barbaria quell’anno ha dato
forfait), ci vuole qualcuno della sua stessa
tempra. Ecco allora che – come scrive il
Bonacossa – “venne chiamato Emilio Rey
e, nell’ardente sua rivalità con Klucker, il
russo è issato per primo sull’Ago di Sciora”.
Subito dopo le due guide (che si erano
conosciute in precedenza a Zermatt)
salirono con Rydzewski il canalone del
Cengalo seguito dalla prima della cresta
E del Badile, oltre ad alcune nuove vie
(Torrone occidentale, cima di Rosso e
cima di Castello). Rey, il “principe delle
guide”, aveva già visitato l’Engadina in
precedenza con Paul Güssfeld, e sullo
Scerscen – raggiunto percorrendo per
primi il canalone SO – aveva dato prova
della sua abilità guidando la memorabile, e “un po’ azzardata”, discesa per
il naso di ghiaccio (vinto dallo stesso
Güssfeldt durante la prima ascensione
con H. Grass e C. Capat).
Émile Rey (1846-1895) era nato a La
Saxe ai piedi del monte Bianco, dove
apprese il mestiere di falegname (che gli
tornò utile nella costruzione di alcuni
rifugi); a 22 anni figura nel primo elenco
24
Le Montagne Divertenti ufficiale delle guide di Courmayeur. Ciò
che lo distinse, al di là delle capacità
tecniche e del fiuto per la montagna
(ma anche della disponibilità, in occasione dei bivacchi, a far da “capomastro,
cameriere, cuoco”) furono soprattutto –
un po’ come nel caso di Klucker – lo spirito di iniziativa, l’apertura culturale e la
grande passione alpinistica. “Moi, je suis
pour la grande montagne”, affermò una
volta disdegnando i turisti “poliglotti”
provenienti da tutta Europa che affollavano la Mer de Glace alla ricerca di facili
emozioni.
Guida sicura e ambita di facoltosi
clienti, come i lord Wentworth e i Cunninghum, i Seymour King e i Déchy
per non citarne che alcuni, Émile Rey
spaziò per tutte le Alpi dal Delfinato al
Bernina; portò a compimento straordinarie ascensioni fra cui le prime assolute
dell’Aiguille Noire e dell’Aiguille Blanche di Peuterey, oltre a un’innumerevole
serie di nuovi itinerari nei gruppi del
Bianco e del Gran Paradiso, nel Vallese e
nell’Oberland Bernese. Oltre le Alpi, fu
in Scozia al Ben Nevis, e poi fra i monti
della Bosnia Erzegovina, preludio a una
spedizione nel Caucaso rimasta incompiuta. A lui va pure il merito di due storiche prime invernali, il monte Bian­co
dal versante italiano e la punta Walker
alle Grandes Joras­ses.
Raffaele Occhi
Immagine tratta da: E.Camanni, Grandi guide italiane dell'arco alpino.
Émile Rey (1846-1895)
Il gruppo delle Sciore visto da O (12 settembre 2011, foto Mario Sertori).
La stessa estate delle salite in Bregaglia, Rey con Klucker e il portatore
César Ollier – guidando il berlinese Paul
Güssfeldt – dà il meglio di sé in quella
che si può considerare il fior fiore delle
sue imprese: la prima salita della cresta
di Peuterey al monte Bianco, passando
per il ghiacciaio della Brenva e l’Aiguille
Blanche.
Due anni dopo, muore cadendo dalla
gengiva al Dente del Gigante.
Estate 2012
una parete inviolata, deve far fronte alle
difficoltà tecniche, ai pericoli oggettivi,
alla mancanza totale di protezione in
caso di caduta e non ha nemmeno il
conforto morale dei compagni.
E anzi, sente il suo collega
raccomandarsi l’anima a Dio
vedendo prossima e certa la
fine.
Su questo ripido scivolo ghiacciato
Klucker tirò fuori tutto: le sue energie
fisiche, ma anche una raffinata tecnica
che gli permise di superare un tratto di
30 metri di ghiaccio duro, irto e quasi
indomabile. Giunti al colle si inerpicarono mettendo piede sulla vetta
più alta dei pizzi Gemelli (m 3262).
Un superbo risultato.” Questa bella
ascensione, che voglio inserire tra le mie
più difficili imprese nelle Alpi, è rimasta fino ad oggi un vivo ricordo, come se
l’avessimo compiuta ieri. Ogni volta che
ripenso ai particolari della salita al canalone dei Gemelli, mi sembra di percepire
il batter delle pietre lungo la parete del
Cengalo e il sinistro frullare dei proiettili
giù per la gola ghiacciata. Le mie care
montagne ebbero però riguardo per me
e risparmiarono la vita del loro devoto”.
Solo un mese dopo, il 9 luglio Klucker
chiuse il conto anche con il vicino
Le Montagne Divertenti canalone nord del Colle del Cengalo
(m 3057) sempre con la stessa “collaudata” cordata. L’11 luglio, per la guida
di Fex fu una giornata speciale, che lo
portò molto vicino alla soluzione - in
solitaria, senza corda e “a vista” come
si usa dire oggi - di uno dei massimi
problemi del tempo: lo spigolo N del
Badile (m 3308). Lasciate scarpe e
giacca all’attacco partì verso le 5 per il
tentativo; alle 8 aveva già percorso i due
terzi della cresta affrontando difficoltà
che sfioravano il quinto grado, sospeso,
senza possibilità di errore, tra gli abissi
ombrosi della parete NO e quelli più
solari della NE. Il proseguimento gli
fu precluso da un breve diedro all’apparenza insormontabile e nel quale in
seguito vennero piantati dei chiodi.
Klucker si rese conto che quell’ostacolo
avrebbe potuto essere superato, ma
non senza la corda legata in vita e con
un compagno all’altro capo.
“A sinistra della cresta e poi di nuovo
in cresta per la parete a placche mi sembrò possibile, ma in ogni caso estremamente difficile e rischioso. Lo scopo della
mia ricognizione era raggiunto e decisi
di scendere. La discesa senza corda e con
calzettoni strappati non fu un divertimento, ma a quel tempo trattavamo la
roccia con molta confidenza”.
Si rese anche conto che su quella
meravigliosa cresta non avrebbe potuto
portarci von Rydzewski che sulla roccia difficile era incapace di muoversi
“e quello non è un posto dove poter usare
la tecnica del sacco di farina”.
Il 1893 fu un anno particolarmente significativo; continuò l’impegno con Rydzewski, che si avvalse
anche di Emile Rey di Courmayeur come seconda guida. In giugno
insieme ripercorsero il canalone del
colle del Cengalo, portando a compimento la prima ascensione della cresta
E del Badile e prima traversata della
montagna. La stessa cordata mise a
segno un’altra bella prima assoluta da
tempo pensata da Klucker: l’Ago di
Sciora (m 3205) dal versante Albigna.
In luglio la guida di Fex con il collega
valdostano Daniele Maquignaz condusse John Percy Farrar3 (presidente
dell’Alpine Club inglese dal 1917
al 1929) sul selvaggio Sperone della
Brenva nel gruppo del monte Bianco
3 - Le “Memorie” di Klucker (pubblicate postume)
avrebbero dovuto contenere un capitolo dedicato
alle ascensioni compiute con John Percy Farrar che
però non fece in tempo a scrivere. Per non far torto
alla memoria di entrambi, e ricordare così
l’amicizia che li aveva legati, nell’edizione originale
tedesca e in quella inglese i curatori riportarono in
appendice alcune lettere che la guida di Fex aveva
scritto al capitano inglese.
Christian Klucker
25
Miti dell'alpinismo
Speciali
Pizzo Badile
(3308)
Colle
del Badile
(3114)
Pizzo Cengalo
(3367)
Punta Sertori
(3198)
Colle del
Cengalo
(3057)
Colle dei
Gemelli
(3101)
Pizzi Gemelli
(3262-3225)
La testata della val Porcellizzo da S (6 giugno 2011, foto Roberto Ganassa).
Pizzo del Ferro
Occidentale
(3267)
Pizzo del Ferro
Centrale
(3289)
Pizzo del Ferro
Orientale
(3200)
Torrione del
Ferro
(3234)
La testata della valle del Ferro da S (20 settembre 2011, foto Roberto Ganassa).
Il versante S della Cresta Güzza dal sentiero per il rifugio Marinelli (9 settembre 2010, foto Beno).
John Percy Farrar (1857-1929)
J
ohn Percy Farrar (1857-1929) ,
affezionato cliente e compagno di
cordata di Klucker, fu un personaggio
di spicco dell’Alpine Club di Londra,
nelle cui file esclusive fu accolto nel
1883. Si distinse per alcune prime
salite, fra cui la parete S dell’Obergabelhorn, la cresta N del Polluce, la
cresta NO del Wetterhorn e la prima
traversata completa dal Gran Paradiso
all’Herbetet; fece inoltre la cresta di
Zmutt al Cervino (anche in discesa), la
E del Watzmann e la NE del Rosa da
Macugnaga. Nelle sue peregrinazioni
alpine si affidò alle migliori guide, fra
cui Daniel Maquignaz, Johann Kederbacker e Josef Pollinger; quest’ultimo
ebbe a considerare Farrar uno fra i
migliori alpinisti da lui conosciuti.
Ma più ancora che per le sue ascensioni, Farrar è ricordato soprattutto
quale redattore dell’Alpine Journal
(ufficialmente dal 1920 al 1926, ma
26
Le Montagne Divertenti Raffaele Occhi
di fatto già dal 1909). Grazie al suo
impulso e all’apertura cosmopolita,
la gloriosa pubblicazione dell’Alpine
Club – di cui peraltro fu presidente dal
1917 al 1919 – raggiunse un livello di
eccellenza scientifica e letteraria. Farrar
fu pure membro del Mount Everest
Committee.
Dalle lettere che Klucker gli inviò,
ricordando con nostalgia e gratitudine
le salite fatte insieme (ma pure confidandogli le angosce per i problemi
familiari), si coglie la sua grande stima
per Farrar (“Lei detiene il posto d’onore nei miei ricordi”). Si ritrovarono
nel 1925, e Klucker settantaduenne
poté ancora accompagnare l’amico
sessantottenne sull’Ago di Sciora e al
Badile. Avrebbero voluto rinnovare gli
incontri, ma così non fu; se ne andarono quasi insieme, pochi anni dopo,
per essere ricordati insieme, nel 1929,
sull’Alpine Journal.
(4ª salita), aprendo una variante meno
esposta alle scariche di ghiaccio. Ormai
il nome di Klucker nel 1893 era molto
conosciuto e garanzia di successo per
chi avesse voluto affrontare le più difficili montagne delle Alpi. Lo sapeva
bene Paul Güssfeldt che lo ingaggiò,
insieme a Emilio Rey e Cesare Ollier,
per un’impresa eccezionale: la prima
assoluta della lunghissima cresta di
Peuterey, ascensione, che dalle baite
di Entreves, a 1500 metri porta direttamente ai 4810 metri della cima del
monte Bianco.
Questa scalata, compiuta
con le arcaiche attrezzature
del tempo, è considerata la
più grande realizzazione
alpina del XIX secolo.
Partirono il 14 agosto dalla piazza di
Courmayeur accompagnati da alcuni
portatori con legna e coperte e posero il
loro campo a circa 3200 metri sul versante della Brenva. Alle 11 del 15 agosto, tagliando gradini sull’ultimo tratto,
misero piede sulla cima dell’Aiguille
Blanche a 4112 metri. Per raggiungere
Estate 2012
Le Montagne Divertenti questo primo obiettivo avevano percorso un repulsivo canale sul versante E
della Blanche. Impiegarono ben 2 ore
per scendere dalla sommità al colle di
Peuterey, 2 ore per 100 metri di dislivello che, ovviamente senza ramponi
e con ghiaccio duro, costarono loro
grande lavoro di scalinamento. Proseguirono sempre intagliando gradini
e furono costretti al secondo bivacco
a 4250 metri, nei pressi di alcune
rocce affioranti. Una notte all’aperto
a quell’altezza, con gli indumenti
usati all’epoca e l’incognita dell’ultima
parte di cresta sono elementi da tenere
in considerazione nel valutare questa impresa. Finalmente il 16 agosto
a mezzogiorno, dopo una mattinata
passata a preparare appoggi per gli scarponi rosicchiandoli al ghiaccio dell’alta
quota, lavoro che fecero Rey e Klucker,
la cordata fu sul tetto d’Europa.
Pochi giorni dopo Klucker ripetè con
Farrar la salita al Bianco per la cresta di
Peuterey, ricalcando i gradini che già
aveva tagliato per Güssfeldt.
N
el 1894 Farrar è di nuovo
con Klucker, questa volta in
Engadina, al Disgrazia (una prova di
resistenza di 20 ore, con partenza dalla
capanna del Forno, traversata del Sissone e rientro per il Muretto a Sils) e
poi alla Cresta Güzza (m 3869) raggiunta per una via nuova dal versante
meridionale (Klucker ne farà cenno in
una lettera, polemizzando velatamente
con Alfredo Corti che non l’aveva
riportata nelle guida delle Alpi Retiche
Occidentali).
Nel Delfinato i due furono protagonisti di una veloce ascensione alla
cima della Meije e della traversata a S
verso La Bérarde in 22 ore. E ancora
sul Bianco, alle Aiguilles de Chamonix
ripercorsero la via di Mummery sul
Grépon aprendone una variante.
nton von Rydzewski si ripresentò in Bregaglia nel giugno
del 1896 con programmi assai bellicosi che prevedevano lo spigolo N
del Badile e la parete N del Cengalo:
ingaggiò - oltre a Klucker e al solito
Mansueto Barbaria - il valente ghiacciatore engadinese Martin Schocher.
Iniziarono salendo il pizzo Trubinasca da S allo scopo di osservare con il
binocolo lo spigolo N del Badile in
A
Christian Klucker
27
Miti dell'alpinismo
Speciali
Il pizzo Palù da N con gli inconfondibili tre
speroni (da sx -in onore dei primi salitoriprendono il nome di Kuffner, Bumiller e
Zipper) (1909, archivio Alfredo Corti - CAI
sez. Valtellinese di Sondrio).
G
li obiettivi più che ambiziosi di
Rydzewski per il 1896 – spigolo N del Badile e N del Cengalo –
gli fecero ingaggiare, oltre a Klucker
e Barbaria, anche Martin Schocher, la
più famosa guida di Pontresina.
Schocher, che pure riteneva lo spigolo N non far per loro (e per il Cengalo bisognava aspettare), fu invece
entusiasta alla proposta di salire il
canalone del Badile, che vinsero senza
ramponi, alternandosi a tagliar gradini con un’ascia da ghiaccio, lui e
Klucker da soli. Per comprendere il
valore dell’impresa, si pensi che dopo
la ripetizione dell’anno successivo di
Rydzewski con Klucker e Barbaria,
non venne più salito fino al 1962; e
Ian Clough (il grande alpinista inglese
che salì per primo il pilone del Freney
al Bianco) fu “impressionato dalla difficoltà dell’ascensione”.
Martin Schocher (1850-1916) fu
attivo principalmente nel massiccio
del Bernina e in Bregaglia, ma fece
pure alcune uscite nel Vallese e nell’Oberland Bernese. “Con lui, l’alpinismo
– sono parole di Alfredo Corti – raggiunge le forme più audaci e moderne:
sono i Palü dal nord, la Forcola ScerscenBernina, le vie al Scerscen. E lotta con
lui un amico rivale: Christian Klucker”.
Tra i due infatti, se da un lato ci fu
28
Le Montagne Divertenti collaborazione, ci furono pure competizione e gelosia professionale; così
accadde per la prima salita della N del
Cengalo che Schocher, scaricato da
Rydzewski, portò a compimento col
principe Borghese insieme a Christian
Schnitzler, proprio facendo tesoro
delle informazioni fornitegli confidenzialmente da Klucker "in un eccesso di
fiducia".
Schocher, considerato il “re del Bernina” per averlo salito ben 234 volte
(59 per la Biancograt), fu a suo tempo
coinvolto in una delle prime tragedie
sul ghiacciaio del Morteratsch: la sua
cordata cadde in un crepaccio nascosto
e il cliente, un conte di Parigi, vi perse
la vita. Espulso “sconsideratamente”
dall’associazione delle guide, Schocher
vi fu però successivamente riammesso.
Oltre a itinerari grandiosi come gli
speroni Bumiller e Kuffner del Palù o
la classica traversata Scerscen-Bernina,
Schocher si portò a casa pure una serie
di prime invernali con Mrs. Elizabeth
Main, come il Roseg e la traversata dei
tre Palù, la Cresta Güzza e lo Zupò o
il Disgrazia raggiunto dalla capanna
del Forno, passando per il Sissone.
Fece pure la prima salita con gli sci al
Bernina.
Fu guida, tra gli altri, di Mr.
Garwood (il geologo che fece il giro del
Raffaele Occhi
La val Roseg e la sua testata - parte orientale - con l'imponente ghiacciaio da Tschierva e, da sx, la depressione della fourcla Prievulsa, la Biancograt,
il pizzo Bianco, il pizzo Bernina, il monte di Scerscen, Porta Roseg e il pizzo Roseg. La foto è stata scattata dai pendii meridionali della fuorcla
Surlej (agosto 1906, archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese di Sondrio).
Immagine tratta da Montagne di Valtellina e Valchiavenna.
Martin Schocher (1850-1916)
Kangchenjunga con Freshfield e Vittorio Sella) e di E.L. Strutt (Presidente
dell’Alpine Club) nonché, dal 1909 al
1913, dei granduchi di Sassonia; fra
le guide che si legarono alla sua stessa
corda, oltre a Klucker, ricordiamo
Christian Schnitzler e Johann Gross di
Pontresina, e il celebre Alexander Burgener di Saas Fee.
Morì nel 1916 in un banale incidente di caccia.
Estate 2012
tutto il suo sviluppo. Da quelle ricognizioni e dall’esperienza di Klucker del
1892, emerse che quella arrampicata
era troppo impegnativa e che nessuna
delle due guide l’avrebbe tentata con
Rydzewski. Da quel punto privilegiato
però Klucker scrutò attentamente il
canalone del Badile, una linea che già
stava nel suo libretto e, giudicandolo
fattibile, lo propose al cliente. Pochi
giorni dopo le due guide partirono per
primi, per preparare la scala di gradini
sul ripido scivolo ghiacciato: il nobile
russo con Barbaria li avrebbe raggiunti
più tardi, levandosi l’incombenza di
alzarsi molto presto e dover aspettare
troppo alle soste durante lo scavo delle
tacche nel ghiaccio. Alle 4 del mattino
i due erano alla crepaccia terminale,
lasciarono i sacchi alla base e con un
vento tempestoso iniziarono a zappare il loro campo verticale. Verso le 7
comparvero il cliente e la terza guida;
a quel punto si imponeva che gli scalinatori scendessero in loro aiuto, anche
perché Barbaria era completamente
incapace di condurre la cordata su
ghiaccio. Schocher non ne volle sapere,
per cui Klucker urlò ai due di scendere
di nuovo al campo base di Sass Furà, e
Le Montagne Divertenti che nel frattempo loro avrebbero concluso l’opera sull’intera gola ghiacciata,
quindi il giorno dopo si sarebbe portata a termine il progetto con la salita
del pizzo Badile dalla cresta O. E così
fecero. Le due fortissime guide, scazzottate da un vento furioso, superarono
in 11 ore il severo colatoio, sbucando
al colle del Badile. Divallarono a S e
ritornarono in val Bondasca dai passi
Porcellizzo e Turbinasca dopo 17 ore di
battaglia.
Questa fu una delle rare
occasioni di quel periodo
storico in cui due grandi
alpinisti insieme, senza
il peso dello zaino e del
cliente, condividendo rischi
e fatiche, realizzarono una
splendida ascensione.
Il bizzarro von Rydzewski, nei giorni
successivi, non volle salire sulla pista
già preparata dalle sue guide, e cancellò
per quell’anno il Badile dal suo elenco.
Klucker, anche per la stima reciproca e
dopo la grande giornata sul canalone,
promise a Schocher - e pure Rydzewski
diede la sua parola -, che non avrebbero
completato quella prima senza di lui.
Per quanto riguarda la N del Cengalo
- una difficile scalata prevalentemente
di ghiaccio che la guida di Fex aveva
studiato a lungo intuendo il percorso
più logico - pensava che avrebbe anche
potuto assumersi la responsabilità di
condurvi von Rydzewski, ma solo con
un collega di pari grado, come poteva
essere considerato Martin Schocher
di Pontresina. Quell’anno però non
si verificarono le condizioni giuste,
senza le quali Klucker non avrebbe mai
attaccato e cioè che la grande cornice
di vetta che incombeva sulla via fosse
caduta, e che le temperature si mantenessero mediamente basse in modo da
non provocare scariche di neve e sassi.
Durante le giornate in Bondasca Klucher indicò al collega di Pontresina il
percorso che avrebbero dovuto seguire
per superare quella severa muraglia.
Lasciato il nobile russo, raggiunse
Zermatt dove lo attendevano Edward
Davidson e il collega Cesar Knubel
per la cresta di Zmutt al Cervino, che
portarono a termine il 17 di agosto.
L’
anno dopo, il 1897,
Rydzewski non ingaggiò più
Christian Klucker
29
Speciali
Pizzo Badile
(3308)
Pizzo Cengalo
(3367)
Torrione del Badile
(3148)
Punta Sant'Anna
(3171)
Punta Sertori
(3198)
Colle del Badile
(3114)
Colle Badiletto
(3087)
La testata della val Bondasca e 3 dei 4 canaloni saliti da Klucker in questo settore (27 novembre 2011, foto M. Sertori).
Colle del
Cengalo
(3057)
Schocher perché a suo
dire troppo esoso4 e si presentò in Bregaglia con il solo Barbaria. I tre ripercorsero il canalone N
del colle del Badile e completarono
l’ascensione con la prima della cresta O
della montagna.
Klucker nelle sue memorie, è fiero
del risultato, ma non del tutto: “…
questa prestazione non mi rallegrò particolarmente perché pensai all’accordo con
Schocher del 7 luglio 1896”. E continua con una nota che non ha bisogno
di commenti: “…devo rinunciare ai
particolari di questa salita perché von
Rydzewski ha occupato 26 pagine dello
Zeitschrift des DÖAV. Dal punto di
vista alpinistico la sua descrizione non
ha assolutamente alcun valore! E chi la
volesse utilizzare per una ripetizione
4 - Mansueto Barbaria prendeva da Rydzewski poco
più di 2 franchi nei giorni di riposo e il doppio nei
giorni di lavoro (la paga degna di un servo secondo
Klucker), mentre Martin Schocher 25 franchi al
giorno e Christian klucker 20 franchi al giorno da
cui gli venivano trattenuti 3.5 franchi al giorno per
spese di alloggio.
30
Le Montagne Divertenti della salita, non
capirà proprio dove
siamo passati noi quel
giorno”. Oltre a questa
bella realizzazione la cordata compì
altre ascensioni di modesto interesse
nel gruppo di Cacciabella. L’ultimo
giorno di Klucker in Bregaglia con il
nobile russo coincise con l’incontro a
Promontogno con Schocher, che con
il collega Schnitzler stava aspettando da
Chiavenna la carrozza con il principe
romano Scipione Borghese. Sui loro
piani Schocher stette sul vago, ma non
potè fare a meno di rimarcare che:
" al canalone e alla cresta ovest
del Badile non abbiamo più niente
da cercare, questo l’avete già fatto
voi, come ho saputo, senza la mia
presenza. Perciò non ci rimane che
andare sul già fatto!”
A
questo punto era chiaro anche
a von Rydzewski che avevano progetti importanti e che non
aver ingaggiato la guida di Pontresina
quell’anno era stato un grave errore,
tanto più che Schocher sapeva che la N
del Cengalo era ambita nell’ambiente
alpinistico e soprattutto era stato messo
a conoscenza della via migliore, studiata nei minimi dettagli da Klucker.
La guida di Fex racconta, non senza
una punta di ironia, che il nobile russo
- saputo della partenza per l’alpe Sciora
dei “concorrenti” - gli si presentò in
camera all’alba in “veste da notte” con
il cannocchiale e lo pregò di andare sui
monti sopra Soglio (versante opposto
della val Bregaglia) per cercare di individuare gli alpinisti. La perlustrazione
Estate 2012
ebbe esito negativo e il nostro, sceso a
Promontogno, lasciò la valle per recarsi
in Delfinato. Le poderose pareti della
Bondasca però, osservate così intimamente nei minimi dettagli occuparono
ancora i suoi pensieri: “…lanciai un
rapido saluto di commiato alle mie ispide
conoscenze, il Badile e il Cengalo. Quello
mi guardava giù altezzoso come se mi
volesse dire: “ Il mio spigolo nord è sempre vergine”. E questo con una smorfia
ironica sembrava volesse ricordarmi:”La
salita per il mio vasto petto è rimasta
anche questa volta un problema insoluto”.
In ogni caso il caparbio e vecchio amico
vedeva solo in me il possibile profanatore
del suo intatto freddo petto, e appunto
Le Montagne Divertenti per questo il 9 giugno 1892 aveva voluto
colpirmi con una grandinata di pietre nel
canalone dei Gemelli. In quell’ora della
mia partenza dalla Bregaglia il caparbio
non sospettava che tre audaci compari
stavano pensando di realizzare il progetto
che io avevo costruito. Altrimenti chissà,
avrebbe energicamente scosso prima la
gigantesca criniera che lo sovrastava
mollemente! Il Canalone del Badile, il
Cengalo con la sua minacciosa cornice di
neve e il mio collega Schocher con il principe italiano occuparono incessantemente
i miei pensieri durante il ritorno a casa.
Pensavo e ripensavo a loro non senza
una stretta al cuore.” E il 29 giugno
gli audaci si presero la N del Cengalo
Punta di
Trubinasca
(2998)
(m 3367) e la fortuna fu con loro.
Infatti il giorno successivo la grande
cornice che allora si formava sulla cima
crollò completamente! In autunno
Schocher scrisse a Klucker una lettera
descrivendogli il percorso e le vicissitudini di quella memorabile scalata. Il
fatto che non l’avesse realizzata con lui
si deve probabilmente alle circostanze
che lo videro escluso dal contratto con
von Rydzewski. Inutile dire che per
Klucker questo fece diminuire ancor
più la poca stima nei confronti del
nobile russo.
1898 - Come rivincita per la sconfitta subita con il Cengalo, nel 1898
Christian Klucker
31
Miti dell'alpinismo
Speciali
von Rydzewski dette l’incarico a Klucker di trovare una prima di pari valore
nel territorio di Schocher. La guida di
Fex rispose di non essere interessato
a nessuna rivincita e che interpretava
questa eventuale arrampicata come una
ulteriore esplorazione delle montagne
retiche, ma individuò nella traversata
da S a N della Porta Roseg una nuova
valida sfida. In senso contrario, cioè da
N a S, questa era stata portata a termine nel 1872 da Güssfeldt con Grass,
Jenny e Capat. Klucker pose però la
condizione di avere al suo fianco un
collega all’altezza della notevole difficoltà. Come al solito, von Rydzewski
si presentò nel giugno del 1898 affiancato dal solo Mansueto Barbaria, cosa
che fece andare su tutte le furie la guida
di Fex che però non ebbe la forza di
mandarlo al diavolo...
La traversata della Porta Roseg da
S a N venne compiuta il 24 giugno.
Il tratto chiave consisteva nella discesa
del ripidissimo scivolo N. Raggiunta
la Porta Roseg, lo spettacolo verso il
baratro da percorrere non era certo
invitante e Barbaria era tremolante
dalla paura. “Pallido e muto il grande
e forte uomo si rannicchiava dietro lo
scudo di neve del colle e guardava fisso in
giù la parete di ghiaccio. Con voce rotta
dell’emozione e indicando l’abisso mi
rivolse infine la domanda: “È pericoloso?”
In quali condizioni di spirito io fossi a
quell’ora lo si può immaginare. Mi rimproveravo soprattutto di aver affrontato
una simile impresa con simili compagni.
Con un collega poco coraggioso e scarso di
energia, debole su ghiaccio e neve, e con
un turista sessantenne, nervoso e di corta
vista, che in situazioni difficili poteva
giocare solo il ruolo del sacco di farina,
assumere un tale compito andava lontano
dal mio principio di tentare solo ciò di cui
si può essere personalmente responsabili.
Ma la giornata meravigliosa, l’ambiente
grandioso, e soprattutto il senso dell’onore
e la fiducia in me stesso, scacciarono alla
fine ogni perplessità.”
Fondamentale importanza
ebbe un bastone usato
per rimestare la polenta
dai portatori alla capanna
Marinelli che la guida di Fex
mise nello zaino pensando
ad un eventuale utilizzo
come ancoraggio.
32
Le Montagne Divertenti Gruppo del monte Bianco. A dx Le Cardinal (m 3647), salito in prima assoluta da Klucker
(27 novembre 2011, foto Mario Sertori).
Il versante N del Lyskamm dal ghiacciaio del monte Rosa (2 maggio 2009, foto Luciano Bruseghini).
Nella parte finale del pendio, infatti
questo legno, opportunamente conficcato nella neve dura, gli permise di
fissare la corda doppia e scendere con
questa tecnica, superando l’ultimo
ostacolo dato dallo strapiombante labbro superiore della crepaccia terminale.
Nei giorni seguenti von Rydzewski
inviò una cartolina a Martin Schocher
con il seguente testo: “Nell’anno 1897
un principe italiano venne a Promontogno e il 29 giugno salì con Schocher e
Snitzler il Cengalo dal nord! E nell’anno
1898 un nobile russo venne in Engadina
e il 21 giugno con Klucker e Barbaria
attraversò la Sella di Gussefeldt dal sud al
nord! Siamo pari signor Schocher!.”
ché il nobile russo vi rinunciò a causa
della meteo incerta e della nebbia persistente che lo indusse a fermarsi alla
base. Per avere un’idea del contrastato
rapporto tra Klucker e il nobile cliente
basterà dire che per questo spigolo,
che non aveva nemmeno percorso,
von Rydzewski propose il nome di
“Cresta Barbaria”, e che il sottomesso
ampezzano a sua volta suggerì di chiamare l’inviolata sommità “Pizzo von
Rydzewski”, cosa che il nobile accolse
con grande orgoglio. Il nostro fece
solo rilevare che in Svizzera non si usa
dare nomi di persone alle cime. Il 24
giugno, con il pizzo Torrone Centrale
(2ª assoluta della montagna) dalla
parete N e la prima traversata da N a S,
si concluse il decennale ciclo di arrampicate con Anton von Rydzewski.
1899 - Un’altra notevole realizza-
zione di Klucker fu il canalone N della
punta Sant' Anna (m 3171): per l’occasione il nobile russo aveva ingaggiato
un altro portatore ampezzano, Angelo
d’Andrea, che si rivelò tecnicamente
ancor meno all'altezza di Barbaria e
che sul punto cruciale della salita così
si comportò: “mentre facevo sicurezza
all’uomo che mi seguiva mi accorsi con
disagio che questi era già entrato in stretto
rapporto con i santi: una salace osservazione in dialetto da parte mia lo richiamò
alla realtà… e D’Andrea cominciò il
fatale passo con la sua alabarda – portava
una mostruosa piccozza del tempo antico,
un bastone di almeno 130 cm… ad un
certo punto sento qualcosa tintinnare e
vedo la piccozza di d’Andrea scomparire
per sempre nell’abisso. Allora cominciò
un lamento, d’Andrea strisciò di nuovo
all’indietro sulla lista di roccia, giunse
le mani con uno sguardo al cielo e buttò
fuori le seguenti parole: <oh Madonna,
car Signore e tutti i santi aiutatemi!>
Benchè fossi ancorato sopra e furente non
potei fare a meno di ridere di quell’uomo
semplice. La situazione diventò ancor più
piccante quando, a causa del contegno
di D’Andrea, anche il vecchio signor von
Rydzewski uscì di senno. La mia situazione non era invidiabile”. Nonostante
questi compagni Klucker, ancora una
volta, venne a capo di un difficilissimo
problema e condusse sana e salva la
cordata - nella stessa giornata - fino a
Sass Furà.
1900 - L’ultima prima salita di
una cima inviolata con von Rydzewski
sui monti della Bregaglia fu la snella
punta Trubinasca (m 2998) dall’aerea
cresta occidentale, compiuta il 20 giugno del 1900 con il solo Barbaria, perEstate 2012
Negli anni dal 1893 al 1900 Klucker,
con E. Davidson, compì un numero
notevole di ascensioni, al tempo di
prim’ordine, dal Bianco al Vallese
all’Ortles alle Dolomiti, come ad
esempio la traversata dei Charmoz, la
traversata Scerscen-Bernina con discesa
dalla Biancograt, parete N della piccola
di Lavaredo, Sassolungo da N, torri del
Vajolet e cima della Madonna per il
Le Montagne Divertenti camino Winkler.
Nel maggio del 1901 il celebre
alpinista inglese Edward Whymper
organizzò una spedizione sulle Montagne Rocciose canadesi tra gli stati
dell’Alberta e British Columbia. La
parte tecnico/esplorativa fu affidata a
Klucker e ad altre tre guide alpine. Di
questa fantastica opportunità che lo
portò a visitare e scoprire, nel corso di
più di 3 mesi, montagne lontane e così
diverse dalle Alpi, Klucker non fu particolarmente soddisfatto per tutta una
serie di motivi, ma soprattutto per la
conduzione eccessivamente autoritaria
della spedizione da parte di Whymper,
che ormai era molto distante alpinisticamente da colui che per primo aveva
messo piede sulla vetta del Cervino nel
1865. Furono raggiunte parecchie cime
ed esplorato un vasto territorio, ma
tante scalate importanti e le montagne
più attraenti tecnicamente non si poterono salire per la netta opposizione del
capo spedizione. Anche in questo caso
emerse la tendenza della guida di Fex
a non voler sottostare a ordini imposti
dall’alto, e adeguarsi a comportamenti
di sudditanza che comprimevano la sua
autonomia di giudizio e la sua libertà,
soprattutto nel suo campo specifico,
ma anche nella vita normale.
Il 19 luglio del 1902 Klucker con
il collega Christian Zippert portò a
termine un’altra grandissima prima,
la parete N del Lyskamm Occidentale accompagnando la signora Rhona
Roberts Thomson. Purtroppo di questa
e altre importanti arrampicate non si
trova traccia nelle sue memorie.
Nel 1905 per Klucker iniziò un
periodo molto difficile; venne colpito
da una rara patologia alla pelle del
viso. Questo si verificò puntualmente
da aprile a settembre, fino al 1917,
senza possibilità di trovare rimedio da
parte dei medici interpellati. Il fatto
ridusse drasticamente la sua attività in
alta montagna e lo portò sull’orlo della
depressione. In quegli anni le poche
uscite furono compiute sulle montagne
di casa e in autunno, quando i raggi del
sole sono meno invasivi per la pelle.
Nel 1908 gli fu affidato l’incarico
di allestire il giardino alpino di Sils
Maria, sotto la supervisione di Johann
Coaz primo salitore del pizzo Bernina
nel 1850. Questo lavoro, per il quale
Christian Klucker
33
Miti dell'alpinismo
Speciali
Il torrione del Ferro (m 3234), su cui Klucker a 74 anni aprì la sua ultima via nuova, e l'anticima orientale del pizzo del Ferro Centrale fotografati dai pressi
del passo dell'Albigna (2 settembre 1935, archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese di Sondrio). A fianco: Klucker ritratto da Kim Sommerschield.
Klucker, anche grazie alla sua eclettica
personalità, nutriva un particolare interesse, venne mantenuto fino all’inizio
della Prima Guerra Mondiale, quando
vennero a mancare i fondi destinati alla
sua conduzione.
Nel settembre del 1911 con
due clienti scalò la Cresta Güzza, ma
invece di seguire la linea da lui aperta
con J.P. Farrar, a causa della temperatura troppo elevata deviò dal canale di
ghiaccio sulle placche rocciose. Poco
dopo un’enorme scarica si abbattè sulla
parte bassa del colatoio. “…grazie all’acuta capacità di osservazione e alla guida
sicura di Klucker sfuggimmo a morte
certa” così scrisse uno dei clienti sulla
rivista del CAS. E Klucker: “[…] passato il primo spavento continuammo e
raggiungemmo la cresta circa 70 m sotto
la vetta. Giù dalla vetta stavano muovendo un gruppo di 17 alpinisti di Coira
che avevano raggiunto la cima dalla cresta est. La loro guida Christian Zippert
ci attendeva in cima. Con gioia salutai
il mio caro amico e compagno, con cui
avevo compiuto tante difficili e belle
ascensioni […] Un compagno migliore di
lui su ghiaccio e roccia non l’ho mai trovato in 48 anni di professione di guida.”
34
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti Nell’agosto del 1912 forse stimolato positivamente dalle clienti,
due giovani signore di Zurigo, salì il
Piz Corvatsch senza particolari conseguenze per la sua epidermide delicata.
Nel 1913 gli vennero affidati
parecchi incarichi da parte del CAS
per quanto riguardava la costruzione e
ristrutturazione di vari rifugi. Fu anche
nominato dal professor Alfredo Corti
sorvegliante della fornitura dei materiali e supervisore nella costruzione
della capanna Marco e Rosa alla Forcola di Cresta Güzza, che venne inaugurata nel settembre dello stesso anno.
1916 Klucker fu chiamato ad
“assumere il governo del Comune. Avevo
accettato questo incarico di responsabilità
a condizione di assolvere l’impegno solo
finchè il carro comunale, andato fuori
strada, fosse di nuovo rimesso sul giusto binario. Si sarebbe potuto applicare
allora assai bene il proverbio italiano: “
se mancano i cavalli si mette l’asino alla
stanga”. Un contabile esterno e il nostro
valido scrivano misero in ordine entro
l’autunno ciò che non lo era e alla successiva resa dei conti riebbi la mia piena
libertà di movimento.” Nel frattempo
l’Europa era in fiamme per l’esplosione
della prima guerra mondiale e anche
la regione della Bregaglia venne chiusa
militarmente.
Nell’estate del 1917, con l’evoluzione positiva della sua malattia cutanea, iniziò per Klucker un periodo di
rinascita, una specie di seconda giovinezza. Con dei clienti di Zurigo passò
ben 10 giorni consecutivi tra Albigna
e Bondasca salendo parecchie cime.
Dalla vetta della Pioda di Sciora raggiunta in una splendida giornata, la
guida di Fex ammirò ancora una volta
lo stupefacente panorama sui giganti
della Bondasca:
”guardando nell’abisso la famigliare
oasi di Sass Furà, mi assalì un senso di
malinconia. Pensai alle belle, ma anche
alle molte cupe ore, che avevo trascorso su
questo castello di rocce ai piedi del mio
superbo Badile. E laggiù la gola erta e
paurosa del canalone dei Gemelli, con il
suo alto e quasi verticale salto di ghiaccio
a metà, ai cui piedi il 9 giugno 1892, in
compagnia di due uomini incerti cercai e
trovai salvezza dal grave pericolo di scariche di pietre in una crepaccia! Il pensiero
che, per il duro lavoro di quegli anni, io
raccolsi solo ingratitudine mi fece ribolChristian Klucker
35
Miti dell'alpinismo
Speciali
1919 sono finalmente ritornato nella
mia casetta di Sils Maria…dopo quattro piacevoli settimane prendo commiato
da questi tranquilli luoghi. Mi devo
ancora una volta separare dal mio caro
vecchio amico Klucker, e questo mi riesce
difficile. Certo, non posso più seguirlo
nel mondo di rocce della meravigliosa
Bregaglia, nel quale egli coglie un’eterna
giovinezza. Per me invece, prima grande
e potente e adesso lento e prudente.
Klucker morì il 21 dicembre
del 1928 , in seguito ad un
attacco cardiaco, mentre
dalla sua casa in Val di Fex
si recava a Sils Maria per la
festa di Natale degli alunni
della scuola.
La cresta Güzza e la capanna Marco e Rosa. Fu costruita nel 1913 con la partecipazione attiva di
Christian Klucker (5 settembre 1933, archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese di Sondrio).
lire il sangue nelle vene sulla vetta della
Pioda, e me lo fa ribollire tutt’ora”.
Grazie a questi amici e al dott.
Janggen di San Gallo (la persona che
lo convinse anche a scrivere l’autobiografia) tenne una conferenza alpinistica a Coira, la prima di una lunga
serie che lo portò un po’ in tutta la
Confederazione.
movimenti di volteggio e di spinta. Io
guardavo quell’allegro darsi da fare con
sentimenti misti, maledicevo in segreto
i miei molti anni, i miei pochi capelli e
soprattutto il grosso foruncolo che spuntava inopportuno e fastidioso sulla mia
guancia sinistra, tra i peli di una barba
non rasata da qualche giorno”.
1918 - Klucker fu spesso istrut-
sa molto dell’attività di Klucker, in
quanto le sue memorie si fermano
all’estate del 1918. Di sicuro proseguì
quella sorta di rinascita di cui parla
nell’ultima parte dell’autobiografia,
un periodo proficuo di scalate soprattutto nel suo regno del granito che lo
portò ancora come un tempo a prime
importanti e tecnicamente impegnative. Tra queste spiccano la prima del
severo canalone NO del torrione del
Ferro (m 3234) nel 1922 e la prima
della cresta ESE dello stesso torrione
nel 1927, a 74 anni, accompagnando
su entrambe le vie Hans Rutter.
Non mancarono escursioni e arrampicate nel bacino del Forno con il
caro amico Theodor Curtius che così
scrisse sul libretto di guida di Klucker:
“dopo cinque anni, durante i quali il
mondo si è fatto guerra, nell’agosto del
tore ai corsi di formazione delle guide
alpine svizzere e gli venne anche affidata la direzione di vari stages del
CAS per l’istruzione di personale non
professionale, anche se sull’argomento
aveva delle convinzioni che sono
tutt’ora valide “ Veramente noi guide
non abbiamo un particolare interesse per
questi corsi, perché ci portano via tempo e
clienti, in quanto dopotutto promuovono
l’andar senza guide, anche se questo non
è lo scopo dichiarato dell’esercitazione”.
Durante un’uscita sui monti della val
di Blenio, in Ticino, il gruppo degli
allievi giunse ad un alpeggio condotto
da sei graziose fanciulle e con queste
parole che Klucker ricorda l’incontro:”
Oh come si scongelarono gli stanchi zurighesi, mancavano solo chitarra e mandolino per dare grazia e ritmo a tutti i
36
Le Montagne Divertenti Dal 1919 al 1927 non si
È sepolto nel cimitero di Crasta in
val di Fex, in un minuscolo recinto di
tombe, sospeso sulla piana dov’è nato.
Una lastra di granito reca la semplice
scritta:
In memoria da nos
Christian Klucker
Guida
1853 – 1928
da secziun Bernina
dal C.A.S. ed amihs
dal A.C.d’Inghilterra
“Con sicurezza si deve dire che Klucker fu un uomo eccezionale: in primissima linea fra le più grandi guide per
intelligenza, capacità tecnica, e per la
conoscenza delle Alpi, si innalzava per
la speciale gentilezza d’animo, per la
cultura e il desiderio di cultura, ad un
livello che, per quanti poteron formulare
un tal giudizio, nessuna guida ha mai
raggiunto.” (Alfredo Corti - 1929)
Prima di trovare traccia della scomparsa di Klucker sull’organo ufficiale
del Club Alpino Italiano, bisogna
aspettare fino agli anni ’50.
L
a sua figura nella storia dell’alpinismo è di primo piano e in
quella dei monti della Bregaglia e Bernina è immensa e si distanzia assai da
quella classica della guida dell’epoca.
Per Klucker l’alpinismo era conoscenza, cultura, geografia, ma anche
Estate 2012
piacere della scalata tecnica ed esplorazione. È lui che concepiva e progettava le nuove ascensioni, studiava
il percorso minuziosamente, tenendo
in massima considerazione i pericoli
oggettivi ai quali è soggetto un itinerario. In più di 50 anni di attività
ai massimi livelli non ebbe mai un
incidente e portò sempre indietro i
suoi clienti sani e salvi. Non è facile
trovare altri alpinisti dotati della sua
polivalenza: ghiaccio e roccia, granito
e dolomia, placca e muro verticale
per Klucker rappresentavano terreni meravigliosi sui quali mettersi
alla prova, sfoderando una raffinata
tecnica e una forza interiore non
comune. Fu pioniere dell’arrampicata
libera, nel senso più puro del termine,
libera da ogni genere di artificio, compresi i chiodi di protezione e a volte
anche dalla corda. Una delle sue giornate più luminose fu quell’11 luglio
del 1892, quando, scalzo, senza giacca
né corda cavalcò l’inviolato spigolo N
del Badile spingendosi ad un soffio
dalla vetta.
Uomo dai molti interessi, geografici, culturali, botanici, si occupò
di amministrazione del comune di
Fex per un anno, ricoprì la carica di
preside della scuola del suo paese e,
contrariamente a molte guide dell’epoca, si schierò apertamente contro la
caccia. Ecologista ante litteram, diede
senso compiuto al suo impegno civile
attivandosi contro i prelievi d’acqua
a scopo industriale che minacciavano
l’Engadina.
Christian Klucker alla capanna dell'Albigna nel 1922. Immagine tratta da Adventures of an
alpine guide, l'edizione in inglese dell'autobiografia di Klucker.
Prime ascensioni assolute
Pizzo Torrone Orientale, pizzo Bacone, traversata cima del Largo vetta orientale (dal
ghiacciaio del Bacone) - cima del Largo vetta
occidentale, Sciora di Dentro dal versante O,
cima di Spluga, Dente del Lupo, punta Trubinasca, pizzo Trubinasca, pizzi Gemelli, Ago
di Sciora, Pioda di Sciora (1ª e 2ª ascensione),
Sciora di Fuori, pizzo Cacciabella N, cima di
Cantone (1ª e 2ª ascensione), cima del Largo
vetta principale (1ª, 2ª e 3ª ascensione), punta
Rasica, punta Alessandra, pizzo Torrone Centrale (1ª e 2ª ascensione), cima di Vazzeda (1ª,
2ª e 3ª ascensione), Steilerhorn, Cufercalhorn,
pizzas d’Annarosa, piz Forbisch (Oberhalbstein)
(1ª e 2ª ascensione), piz d’Arblatsch (Oberhalbstein) (1ª e 2ª ascensione), Le Cardinal (cresta S
dell’aiguille Verte – monte Bianco)
Vie nuove e prime traversate
Bibliografia
Hermann A. Tanner, Forno-AlbignaBondasca, 1906
Luigi Brasca, Guido Silvestri,
Romano Ballabio, Alfredo Corti, Alpi
retiche occidentali, CAI, Brescia 1911
Hans Rütter, Clubführer Bergellerberge, 1922
Christian Klucker, Memorie di una
Guida Alpina. A cura di Giovanni Rossi
con prefazione di Roberto Osio, Edizioni
Tararà, Verbania 1999
Erinnerungen eines Bergführers, 1930
(S. 125-127)
Aldo Bonacossa, Guida dei monti d'
Italia. Masino Bregaglia Disgrazia, CAI
- TCI, Milano 1936
Le Montagne Divertenti Punta Sant'Anna da N e traversata (1ª e 2ª
salita) del Badile O-E, Cengalo diretto da Sass
Furà per il colle del Cengalo, Sciora di Dentro
per la cresta S, Pioda di Sciora da S, pizzo di
Cacciabella N al Frachiccio, torrione del Ferro
da N a S, pizzo del Ferro Orientale da N, monte
di Zocca da N, cima di Castello per lo spigolo
E, cima di Castello traversando la parete E, cima
di Cantone per la cresta N, pizzo Bacone per la
cresta N, pizzo Torrone Occidentale diretta per
la parete N e 1ª traversata, 1ª traversata da N
a S del pizzo Torrone Centrale, cima di Rosso
da N, dalla cima di Vazzeda alla cima di Rosso,
monte Rosso per la cresta N, monte Disgrazia
per la parete S al Cavallo di Bronzo, piz Fedoz
salita dal versante O e discesa in val Fedoz, pizzo
Tremogge per la cresta O in salita e discesa in
solitaria, pizzo Tremoggia per la parete NO, piz
Glüschaint per la cresta SO, piz Corvatsch per
la cresta di Furtschella, piz Lagrev per la parete
S alla vetta S, piz Julier per la cresta O, piz Julier
da N, pizzo Roseg vetta principale per la parete
NE, Cresta Güzza dal versante SO, monte
Scerscen per la parete della Schneehaube (dallo
Tschiervafirn) Berninascharte direttamente da E
e discesa dalla Biancograt, piz Tschierva da N dal
ghiacciaio di Misaun, Gross Seehorn e traversata
al Gross Litzner da O a E, piz d’Arblatsch per la
cresta E, Schalihorn da S a N E, salita dal Momminghorn allo Zinalrothorn, Wellenkuppe
direttamente dal ghiacciaio di Zinal e salita
dell’Obergabelhorn, punta di Zinal da S a N,
Lyskamm- vetta O - diretta da N, Lyskamm vetta principale - diretta dal ghiacciaio di Grenz,
Jaegenhorn (monte Rosa) prima discesa all’Alpe
Fillar, Strahlhorn dallo Schwbergwiesstor e traversata del Rimpfischhorn, Aiguille Blanche de
Peuterey diretta dal ghiacciaio della Brenva e
salita al monte Bianco, Grépon - traversata con
aggiramento della Fessura Mummery, La Meije
- traversata diretta da La Grave a La Bérarde,
Aiguille d’Arve meridionale diretta per la parete
E, punta delle Cinque Dita, nuova via dal
ghiacciaio di Grohmann alla Forcella del Pollice
e nello stesso giorno salita dalla Forcella del Sassolungo per via nuova alla Forcella del Pollice,
Presanella diretta da N dal Colle d’Amola.
Prime traversate di colli
Colle del Badile da N a S, colle del Cengalo –
discesa dal colle del Cengalo per il canalone del
Cengalo, colle dei Gemelli da N a S, Forcola
di Sciora dalla Bondasca all’Albigna, 1ª discesa
del canalone di Sciora, Ago di Sciora cresta S
(Bondasca/Albigna), vallone del Largo e Forcola del Largo, colle del Castello (passo Lurani
o del Castello) dalla val di Zocca al ghiacciaio
del Forno, colle del Cantone (passo di Cantone)
dal ghiaccio del Forno al ghiacciaio dell’Albigna, colle Rasica dalla val di Zocca al ghiacciaio
del Forno, Fuorcla Tschierva/Scerscen (Porta
Roseg) da S a N, quindi parete di ghiaccio della
sella Güssfeldt in discesa.
L'elenco delle prime salite e di tutte le
ascensioni è stato redatto da Christian Klucker ed è aggiornato all'ottobre del 1924.
Christian Klucker
37
Speciali
I GNAÙN
e gli altri piccoli uomini
Mentre Giovanni del fu Alfonso della contrada del Lago e Fabio Robustelli
della Cuna, abitante della Piazza, inseguivano un gruppo di camozzi nel
Rovinón, sopra il lago del Dragh, hanno visto uno strano essere colorato
che si nascondeva tra i sassi. Non sembrava un tipo pericoloso e per questo hanno deciso di non ricorrere al fucile.
Ma nonostante la buona volontà degli inseguitori nel cercare di catturarlo,
si è dileguato tra i sassi della ganda del Rovinón e di lui si è persa traccia.
Testi Antonio Boscacci, disegni Luisa e Ornella Angelici
Questa1 è la prima testimonianza diretta sulla presenza di strane
creature sulle montagne della provincia di Sondrio.
Mi sono occupato da sempre di faccende curiose e
particolari. Di questi esseri speciali avevo sentito
parlare fin da piccolo nei racconti di mia
nonna Maria. Di solito le sue narrazioni,
in genere sempre brevi e stringate, erano
piene di ansia, paura e anche spesso di
vero e proprio terrore, perché con questi
sentimenti lei era nata, cresciuta e vissuta
e si era nutrita in quella magra terra dei Leüsc,
che sta tra la contrada della Madonnina e la
chiesa di san Giovanni a Montagna in Valtellina.
Quando però parlava dei Gnaùn, piccoli e strani
esseri che riempivano anche loro il suo passato, allora
rideva, si rilassava e diventava perfino un po’ meno
triste. Erano poche le volte che non la vedevo triste e
anche quando gioiva, una vena di amarezza attraversava
comunque sempre la sua faccia e in particolare la sua fronte. Per
questo mi piaceva quando mi raccontava le storie dei Gnaùn e
le loro imprese. Erano talmente fuori dal tempo e incredibili
che anche lei era stupita, di quello stupore infantile di cui tutti
dovrebbero con diritto aver goduto e che lei non aveva mai
nemmeno sfiorato. Le era mancato lo stupore e con i Gnaùn le
tornava fuori.
Non in dosi abbondanti, però le tornava fuori.
La sua storia preferita era quella di una povera ragazza dei
Gnaùn che aveva fatto una vita grama e che poi, a causa di
lunghe, strane e fortuite vicende, era diventata una principessa.
1 - Archivo di Stato di Sondrio, Fondo notaio Lorenzo Bellesini di Grosio, Faldone 15, pag.
398, 12 Settembre 1567.
38
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Una specie di Cenerentola, ma senza la zucca, il ballo
e altri fronzoli. La cosa che più la colpiva in tutto il
racconto era che il principe, prima di sposarla, le aveva
regalato un gigantesco anello di diamanti. Ma sapete
quanto costa un anello così? Ripeteva mia nonna, mentre
noi ce ne stavamo accovacciati ai suoi piedi a sentire per
l’ennesima volta la stessa storia, l’anello di diamanti.
Ci raccontava la stessa storia, ma ogni volta ci pareva
che fosse diversa, che fosse un’altra parte della stessa
avventura. Eppure il regno era sempre quello di Filippo
Appo, chissà se lo aveva scelto lei o se lo aveva “ereditato”
da sua nonna. Il principe Ciro Perocco era sempre lui, il
maggiordomo Sigfredo Rominallo e la regina Buonaporta
Vasa. Solo l’anello di diamanti cambiava di peso e ogni
volta diventava sempre più grosso e importante. Era
ormai diventato il “suo” anello.
La cosa curiosa era che eravamo proprio noi ragazzi, i
miei numerosi fratelli e sorelle più qualche occasionale
visitatore, a chiederle di raccontarci quella storia e
stavamo lì a bocca aperta attaccati alle sue lunghe gonne
nere.
Filippo Appo, il principe Perocco, Sigfredo Rominallo,
la regina Buonaporta Vasa e la povera Maria Gnaùn, chi
potrà mai dimenticarli?
Un giorno, il dottor Gianfranco Salacrist, che allora
lavorava all’Archivio di Stato di Sondrio, mi mostra il
testo che sopra ho trascritto e mi chiede che ne penso.
Ne penso bene rispondo, anche perché questo conferma
quello che vado cercando da tanto tempo.
Ma tu ne avevi già sentito parlare? Insiste lui.
Ho trovato loro notizie in molti luoghi ed è da non
so quanti anni che tengo un fascicoletto dove annoto le
tracce della loro presenza.
Ne abbiamo parlato ancora di lì a qualche giorno,
poi di nuovo in seguito, passata l’estate. Alla fine però
purtroppo lui se n’è andato.
Non prima di lasciarmi una decina di foglietti con delle
annotazioni scritte di suo pugno.
Lì ho sempre tenuti lì, in un angolo del ripiano della
libreria dietro le mie spalle, tra la fotocopia dell’articolo
sull’Alpine Journal relativo la prima salita al monte
Disgrazia e una copia in spagnolo di uno dei miei libri
preferiti, il don Chisciotte di Miguel de Cervantes.
Un giorno, non si sa come, mi giro per cercare altre
cose e l’occhio mi cade su questi foglietti.
È la scrittura del mio amico Gianfranco, non c’è
dubbio.
Così ho ripreso il mio fascicoletto di appunti e mi sono
messo all’opera.
O meglio, mi sono messo a indagare un po’ più a
fondo quella materia, che fino a quel momento avevo
dimenticato o trattato in maniera superficiale e distratta.
Le Montagne Divertenti Taraxacum officinale
I Gnaùn e gli altri piccoli uomini
39
Testimonianze
I NÀRGHEN
Della presenza dei Nàrghen in val Grosina si continuò a
parlare. Perché era di questi personaggi che alla fin fine si
trattava nella citazione notarile riportata sopra.
Da quel 12 settembre 1567 è passata molta acqua sotto il
vecchio ponte di Malghera.
I Nàrghen sono stati avvistati più volte sia nell’alta val
di Sacco, nelle pietraie del lago Zapelàsc, che mettono in
comunicazione con la vicina Svizzera e negli avvallamenti
contorti del Böc’, sia nella valle di Malghera, tra il passo
dell’Uomo Pelato e i pascoli del Cantone.
Nessuno però di questi incontri aveva risolto la questione.
Tutto sommato, avrebbe potuto essere anche lo scherzo
di un gruppo di buontemponi, intenzionati a divertirsi alle
spalle degli altri.
C’era già stato in questo senso una specie di bisbiglio,
di quelli che passano da orecchio a orecchio, mai preciso e
controllabile, come sono del resto giustamente i pettegolezzi
e gli scherzi, che aveva attribuito a un certo Pietro Pini
la diffusione di questa notizia e la sua, per così dire,
materializzazione in mezzo alla gente.
In questo modo, come spesso avviene in faccende del
genere, si erano creati a Grosio e in tutte le contrade della val
Grosina, due gruppi di persone, uno che a questa presenza
credeva strenuamente e l’altro, bisogna dire in assoluta
maggioranza, che non ci credeva affatto.
Anzi.
Quando gli appartenenti al secondo gruppo erano
interrogati su questo argomento generalmente rispondevano
con una alzata di spalle e una frase che corrispondeva più o
meno a buontemponi, poca voglia di lavorare, sempre pronti a
scherzare …
Tutto questo fino al 3 marzo 1913, quando le cose sono
cambiate decisamente, perché l’incontro è avvenuto davvero
e questa volta non è stato per pochi e sfuggevoli istanti.
Nàrghen uomo
Camminavo sul sentiero che dalla baita di Preda Nera in val
Vermolera, porta verso la cascata di Saoseo.
Erano quasi le 7 del mattino.
Lo so di preciso perché è quella l’ora nella quale, in estate, il
sole entra nelle acque del più piccolo dei laghi di Tres.
Impossibile confondersi.
Lo sanno tutti che in val Vermolera il giorno è regolato dai
laghi, dal Mat, dalla cima Viola e dal Sasso Impirato.
Intanto che raggiungevo con le mie quattro capre la Stretta del
Tonio, ho visto scappare lungo il sentiero un piccolo essere.
Un personaggio che non avevo mai visto in vita mia.
Non è certo facile descriverlo, ma ci proverò …
Così comincia il racconto che Pietro Curti della contrada
di Ravoledo ha fatto alle famiglie di Vermolera radunate per
l’occasione nella baita del Santo Cecini.
Avevano usata quella di baita perché era la più grande e lì si
trovavano adesso tutte le famiglie della valle.
40
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Erano arrivati perfino i sei Franzini del Gràs di Vergàt,
compreso il vecchio Martino e sua moglie Celsa, che non
scendevano mai se non era strettamente necessario per
andare a Fusino oppure a Grosio a comprare qualcosa che gli
mancava di urgente.
Era certo un caso molto, molto particolare e tutti erano
attenti come non mai.
Per l’occasione erano presenti tanti ragazzi, anche quelli
molto piccoli.
Perfino tre pecore avevano infilato il muso nella porta della
baita e sembravano molto incuriosite dalle cose che dentro si
raccontavano.
La storia riprese.
La strana creatura era alta circa 30 cm ed era vestita con una
gonna azzurra, di un azzurro un po’ violaceo.
La camicetta era gialla, di un giallo simile a quello della
Margherita trifoglina, che si vede nei pascoli di tutta la valle. I
bordi delle maniche erano rosso mirtillo e aveva due spalline con
dei quadratini neri dalle quali pendevano alcune piccole frange
delle stesso colore.
In testa portava un cappello a punta marrone - nocciolo, con
la parte in alto rossiccia. Questo cappello aveva un bordo molto
particolare fatto di puntini neri, al cui centro c’erano dei puntini
ancora più piccoli bianchi.
Dopo aver corso per circa 5-10 m, il piccolo essere, si trattava
certamente di una femmina per via della gonna, si è infilato
sotto un mucchio di sassi ed è sparito dalla mia vista.
Non poteva che essere un Nàrghen, anzi una Nàrghen, visto
che era una femmina.
La notizia della presenza dei Nàrghen in val Vermolera si
diffuse così rapidamente che il giorno dopo già tutti a Grosio
sapevano di questo fatto.
E naturalmente tutto ciò contribuì a far sì che a molti
tornassero in mente altri incontri fuggevoli che c’erano stati
in altri luoghi e altri pascoli dell’intera valle.
Ci fu chi si ricordò di essersi imbattuto in un Nàrghen
maschio e alla fine venne fatta una descrizione piuttosto
precisa anche di lui.
Il Nàrghen maschio è alto circa 35-40 cm, 5-10 centimetri
in più della femmina.
Indossa un paio di calzoni verde erba che si stringe al
ginocchio. Lì, proprio sotto il ginocchio, arrivano degli
stivaletti di pelliccia di topo delle nevi bianco, ma con
qualche macchietta grigia.
Indossa una blusa rossa a maniche lunghe, tenuta in vita
da una robusta cintura di pelle con una fibbia vistosa e
luccicante. Il bordo inferiore della blusa è rinforzato con una
striscia di stoffa blu scuro dentro la quale c’è un cordoncino
sempre di colore blu che sporge di lato e scende per qualche
centimetro lungo il fianco sinistro del corpo, fin quasi
all’altezza del ginocchio.
Le Montagne Divertenti Nàrghen donna
I Gnaùn e gli altri piccoli uomini
41
Speciali
La fibbia, che come si è detto, è grande e porta ben visibile
un triangolo.
In testa porta un lungo cappello blu con una piccola luna
rosa. Un cordoncino dello stesso colore, lungo quattro,
cinque dita, scende dalla punta e si muove a ogni passo.
Tutti concordano sul fatto che i Nàrghen sono in genere
grassottelli.
Parlando di loro, raccogliendo osservazioni sui brevi
incontri fatti, una notizia qui e l’altra là, si è potuto anche
stabilire quali sono i luoghi in cui vivono.
Si può affermare con certezza che i Nàrghen frequentano le
montagne che vanno dall’attuale chiesetta di san Colombano,
sul crinale tra la valle dell’Adda e la valle Lia, fino ai pascoli di
Eita e Malghera.
Ma sempre al di sopra degli abeti e degli ultimi larici, nelle
vastissime distese di erbe e sassi che da lì raggiungono le
pietraie sotto le vette delle montagne.
Per concludere la descrizione dei Nàrghen si può dire che
gli unici suoni sentiti uscire dalle loro bocche sono stati dei
piccoli gridi di leggera paura.
Pur scappando velocemente a ogni incontro con l’uomo,
sembra che non lo temano affatto.
Aquilegia
Groll donna
42
Le Montagne Divertenti I GROLL
Quando si è diffusa la notizia della presenza dei Nàrghen
in Alta Valtellina, si è scoperto che in altri luoghi c’erano
persone che avevano da raccontare incontri e storie non
meno curiose e interessanti.
Se un sussulto, un piccolo mormorio, un breve riferimento
si mettono insieme, comincia a risuonare nei paesi e nelle
contrade un insieme di voci del tipo, ma anche io avrei
qualcosa da dire … ho sentito che … non ho detto niente finora
ma … insomma, la storia comincia a gonfiarsi da sola e,
quasi senza che ce ne si accorga, diventa ogni giorno che
passa qualche cosa che si allarga sempre di più. Un po’ la si
controlla, un po’ ci si soffia su per spingerla il più lontano
possibile. Così, passando di bocca in bocca, ciascuno ci
aggiunge del suo e la notizia si fa via via più interessante.
Mentre viaggia nell’aria, in quello spazio di tutti e di nessuno,
si deforma, contorce, arricchisce e, quasi sempre, dovesse
andare anche a fuoco e scomparire, la si potrebbe veder
rinascere come un’Araba Fenice.
Così è successo per i Groll.
I primi a rilevare la presenza dei Groll sono stati gli abitanti
dell’Arale, l’ultima delle contrade della val Lunga in quel di
Tartano. Tutto è cominciato, per quello che si è potuto poi
appurare in seguito, forse nel Settecento. Qualcuno dice nella
seconda metà, intorno al 1760.
In ogni caso, fondamentale è stata la fontana della Gerna.
I pascoli della Gerna sono pascoli ripidi e un po’ difficili,
pieni di sassi e poveri d’erba. Però la Gerna ha la particolarità
di avere una bella sorgente di acqua fresca ed è questa che la
rende famosa.
Estate 2012
Per avere le prime notizie sui Groll un po’ attendibili e
sicure, bisogna però aspettare fino al giugno del 1876.
L’inverno precedente era stato freddo e a maggio tutti i
pascoli erano ancora coperti da oltre dieci centimetri di neve.
Giovanni Maria Gusmeroli della Piana, che in quegli anni
portava il suo bestiame all’alpe Gerna, era salito dalla valle del
Cuminello per vedere come stavano le cose. Percorso il tratto
di sentiero che avevano appena scavato nella roccia prima
dell’alpeggio della Gerna, ha visto davanti a sé una scena
davvero curiosa.
Sdraiato su un masso piatto accanto alla porta principale
della baita, con la testa appoggiata su un altro sasso che
sembrava gli facesse da cuscino, c’era una strana figura.
Ha potuto osservarla bene e da vicino, perché quella non
si è accorta di nulla, occupata da un russare profondo e
rilassato. Il respiro pesante era segnato da un piccolo sibilo,
simile al soffio di una marmotta, ma molto molto più
leggero.
Si trattava di un piccolo uomo, alto non più di 40 cm, con
degli stranissimi capelli gialli che gli stavano sul capo come
fossero due fasci di segale matura.
Indossava un paio di calzoni blu, sui quali c’erano due
vistose toppe, che gli ricoprivano le ginocchia.
Le toppe, a righine verticali viola e rosa, ma un rosa appena
distinguibile dal bianco, non erano però state poste sui
calzoni perché lisi, ma erano volute, come fossero una piccola
esuberanza colorata.
Portava una camicia verde chiaro rimboccata oltre il
gomito.
Aveva delle lunghe calze a righe orizzontali
grigio - arancione che aveva fatto scendere fino ai piedi,
probabilmente a causa del sole che in quel momento era
particolarmente vivace.
Un ultimo particolare interessante era un fazzoletto viola
salvia che teneva annodato intorno al collo.
Appoggiati accanto a lui sulla roccia, c’erano un paio di
robusti zoccoli di legno di cembro, ben allineati, con le
punte e i tacchi coincidenti, segno di un modo di fare un
po’ maniacale e un gilet di pelliccia marrone - nera, con la
pelliccia rivolta verso l’interno..
Era certamente un Groll, uno di quegli strani individui dei
quali aveva sentito parlare da suo bisnonno, da suo nonno e
da suo padre.
Purtroppo, un breve starnuto che Giovanni Maria
Gusmeroli non è riuscito a trattenere, nonostante gli sforzi,
ha fatto aprire gli occhi al Groll che, accortosi di quell’essere
gigantesco che si trovava davanti, ha preso i suoi zoccoli e il
suo gilet ed è fuggito nella pietraia, scomparendo alla vista.
Quando Giovanni Maria Gusmeroli è ritornato alla Piana
e ha raccontato quello che aveva visto, sua cugina Marisa
ha detto che lei aveva delle cose da dire a questo proposito e
anche il marito Celestino Bulanti e la zia Renata Gusmeroli,
che era ritenuta la più pettegola della contrada.
Fu proprio dalla sua testimonianza che si è riusciti a
Le Montagne Divertenti Genziana
Aconitum napellus
I Gnaùn e gli altri piccoli uomini
43
Testimonianze
Ermellino
Volpe
44
Le Montagne Divertenti ricostruire come è vestita la donna dei Groll.
È alta 35 - 40 cm e indossa una lunga gonna color arabella
che tiene rimboccata sul davanti, mostrando sotto un’altra
gonna più leggera color ciclamino. La prima è più rustica, fatta
con le fibre della genziana gialla che richiedono solo due mesi
di preparazione e altri due mesi per la sfibratura e la successiva
filatura ed è chiamata Lis de som.
La bellezza della seconda gonna, Lis de sut, un po’ nascosta,
è data dalla tela molto più soffice, delicata e ”vaporosa”. Ha
disegnate delle larghe strisce verticali grigio argento su ognuna
delle quali si arrampicano dei fiori azzurri di clematide che si
attorcigliano ancora più stretti verso l’alto scomparendo sotto
l’altra gonna.
Anche le calzature, che purtroppo sono visibili solo in parte,
sono colorate di ricami argentei azzurri, mentre le calze sono
bianco rosacee.
Indossa un grembiule rosso - primula con una grande tasca
dentro la quale conserva molte cose: un fazzoletto, un piccolo
coltello, alcuni fili che utilizza per riparare i vestiti.
Porta una camicetta azzurro - nuvola tessuta con i fili del
cotone selvatico. Sui lunghi polsini scuri, quasi neri, c’è una
striscia orizzontale formata da tre linee a zig zag del colore
della scorza dell’abete.
Nei mesi più freddi indossa un morbido gilet bianco di
volpe oppure Ermellino chiuso da stretti laccetti di Betulla
conciata.
In testa porta una larga cuffia di cotone con un’ampia visiera
rigida dello stesso colore della camicetta. La visiera presenta lo
stesso disegno a zig zag dei polsini.
Qualcuno ha riferito anche di un piccolo che succhiava il
latte dal seno della mamma e si è giunti alla conclusione che, a
parte la statura, i Groll non sono tanto diversi da noi.
Quanto ai luoghi dove vivono, anche se le testimonianze
non sono del tutto concordi, si può dire che sono stati avvistati
un po’ ovunque nella fascia di montagne che va dalla valle del
Tartano alla val Lesina.
Questo in generale.
Però il maggior numero di incontri è avvenuto intorno alla
Gerna, tra il Salinèer e il Cuminello. Occorre anche ricordare
che molti Groll sono stati osservati nella parte alta della val
Budria, tra i ripidi canali della Bràta, del Piàz e della Bruśàda e
nella zona del Ponteranica, al di sopra del lago di Pescegallo.
Perché i Groll siano così diffusi in questi luoghi non si riesce
a capire.
Forse, come è probabile, per una questione di cibo, di
facilità abitative, di disturbo da parte dell’uomo e di presenza
dell’acqua per tutto l’anno.
Si è visto che, ad esempio, la zona della Gerna è ricca
di mirtilli, dal comune mirtillo nero, al mirtillo rosso, al
Malrüden. Quest’ultimo è un piccolo mirtillo strisciante non
particolarmente dolce, ma molto prolifico, che si diffonde
abbarbicato ai sassi da cui trae il calore necessario a vivere.
È certo che i Groll raccolgano cavallette. Queste vengono
poi fatte essiccare al sole e conservate in sacchetti con il
Estate 2012
caratteristico distintivo a zig zag. È un modo per
fornire al proprio corpo le proteine necessarie per
vivere in luoghi così apparentemente disagevoli, ostili
e freddi.
Cacciano anche le lucertole, la cui carne, stesa sui
sassi al caldo, specie nei mesi di luglio e agosto, viene
essiccata e poi raccolta e conservata per l’inverno.
Soprattutto come alimento di scorta, nel caso ci
fossero problemi con il protrarsi dello sciogliersi delle
nevi.
Questo è infatti la difficoltà principale dei Groll e
delle altre comunità.
Se l’inverno segue il suo sviluppo naturale e la neve
se ne va verso febbraio - marzo, non ci sono problemi.
Se invece il manto nevoso persiste anche nella parte
iniziale della primavera o addirittura permane anche
nel mese di maggio, allora ci sono un po’ di difficoltà
e c’è bisogno di un supplemento di cibo, in modo che
l’emergenza possa essere superata.
Secoli di vita a queste quote e di adattamenti hanno
insegnato ai Groll molte strategie, tra le quali notevoli
capacità di accumulare e soprattutto conservare il
cibo.
Qualcuno potrebbe pensare che anche il freddo sia
per loro una calamità, ma in realtà contro il freddo
non hanno mai avuto, né hanno problemi grazie alle
folte pellicce che possiedono e che sono realizzate con
arvicole, volpi ed ermellini.
La presenza degli ermellini in gran numero, così
come quella delle arvicole, sia arvicole comuni che
quelle delle nevi, offrono ai Groll materia prima in
quantità...
[continua sul prossimo numero]
Le Montagne Divertenti Fringuello alpino
I Gnaùn e gli altri piccoli uomini
45
Alla scoperta del
Sistema museale
della Valtellina
Maria Sassella
PER INFORMAZIONI
Sistema museale della Valtellina
Ufficio cultura della Provincia di Sondrio
corso XXV Aprile, 22 - Sondrio
www.sistemamusealevaltellina.it
Facebook: sistema museale valtellina
Twitter: musei valtellina
0342 531231 / 0342 531345
[email protected]
La più grande ricchezza della Valtellina risiede indubbiamente nelle
sue montagne e nel suo paesaggio
naturale, che tanto spazio trovano in
queste pagine. Ma un'altra grossa fetta
del patrimonio valtellinese è costituita
dalle preziose testimonianze storiche,
artistiche ed etnografiche racchiuse in
queste valli, che raccontano la storia
del popolamento del territorio dalla
preistoria ai giorni nostri.
Accanto a un gran numero di chiese,
torri, castelli, palazzi e nuclei rurali, vi
sono anche alcuni musei che, attraverso le loro collezioni e i loro percorsi
espositivi, permettono al visitatore di
scoprire in profondità le peculiarità
del territorio della provincia: dai musei
naturalistici ed ecomusei, specchio
dell’ambiente e del paesaggio, ai musei
storico-artistici ed etnografici, testimoni significativi delle tradizioni, dei
mestieri e dell’identità di questo territorio e della sua comunità.
Allo scopo di valorizzare e di incentiLe Montagne Divertenti vare la fruibilità di questo patrimonio,
la Provincia di Sondrio ha promosso
l'istituzione del Sistema museale della
Valtellina, che ha l’obiettivo di coordinare, sviluppare e promuovere i musei
locali, attraverso la creazione di una
rete che offra servizi qualificati a residenti e turisti.
Le realtà museali che hanno scelto
di far parte del Sistema sono il Museo
civico di Storia naturale di Morbegno,
l’Ecomuseo della Valle del Bitto di
Albaredo, l’Ecomuseo della Valgerola,
il Parco delle Incisioni Rupestri di
Grosio, il Museo Civico di Bormio e il
Museo Vallivo Valfurva.
A ognuno di essi, in questo e nei
prossimi numeri della rivista, sarà
dedicato un approfondimento all'interno di una nuova rubrica volta a
esplorare i musei del Sistema e i beni a
esso collegati: un bel diversivo alle passeggiate e alle scalate, da condividere
con tutta la famiglia.
Musei
47
Speciali
1/
L'ECOMUSEO
DELLA
ValGerola
Cirillo Ruffoni
P
er andare in val Gerola si può prendere la
comoda provinciale che parte da Morbegno poco oltre l’antico ponte sul Bitto e taglia
in diagonale il territorio boscoso del comune
di Cosio, tra casolari e piccoli insediamenti un
tempo abitati tutto l’anno, quando l’Adda con
le sue piene spadroneggiava nella pianura della
bassa Valtellina. La via conduce successivamente
a Sacco, un paese dalla posizione invidiabile, poi
a Rasura, Pedesina e a Gerola Alta, che occupa
la testata della valle. Come negli altri paesi di
montagna, anche qui la storia e l’arte sono concentrate soprattutto nelle chiese, che conservano
preziosi tesori, tramandati con grande cura
dagli abitanti: arredi e statue di legno, ricchi
paramenti e stendardi, pregevoli dipinti, mentre negli archivi parrocchiali sono depositate le
memorie di molti secoli. Non mancano però
autentici gioielli nelle abitazioni civili, come la
celebre camera picta, nella parte alta di Sacco,
ora trasformata in museo, resa famosa dalla bella
raffigurazione dell’homo salvàdego.
48
Le Montagne Divertenti GLI APPUNTAMENTI DA NON PERDERE
23 e 24 giugno a Gerola - Sagra della Mascherpa e festa del fieno
A luglio e agosto - “Rassegna musicale dell’Ecomuseo”
2-3-4-5 agosto a Rasura - Sagra del mirtillo
15-16-17 settembre a Gerola - Sagra del Bitto
6-7 ottobre a Rasura - Sagra della castagna
6-7-13-14 ottobre a Gerola - “Gustosando in Valgerola”
Inoltre, serate danzanti, feste, serate culturali, concerti, giochi e attività
pomeridiane per bambini e corsi per adulti
14 ottobre a Pedesina - castagnata
Rasura, antico telaio presso il museo
etnografico (8 luglio 2010, foto Roberto
Trabucchi – archivio Provincia di
Sondrio).
Estate 2012
Le Montagne Divertenti L'ecomuseo della val Gerola
49
Musei
Speciali
"Lo scopo di un ecomuseo
è quello di coinvolgere
direttamente la popolazione,
per farle conoscere la sua storia
e il territorio, in modo che poi
sia in grado di valorizzare tutto
questo e far sì che le attività del
passato continuino ad essere
una fonte di vita”.
Ponte del Pich sull'antica mulattiera della
val Gerola (8 luglio 2010, foto Roberto
Trabucchi – archivio Provincia di Sondrio).
Se invece non si desidera fruire delle
comodità offerte dai mezzi moderni,
ma si vuole ritrovare l’antico sapore
del lento procedere a piedi, per
gustare più a fondo il paesaggio, si può
imboccare la vecchia mulattiera della
val Gerola, che si diparte nello stesso
punto della provinciale. Il tragitto
ci riserva anche alcuni interessanti
reperti storici, come la cappelletta
sull’ampio dosso di Campione, dove
un’iscrizione ricorda Bona Lombarda:
una donna straordinaria vissuta
nel Quattrocento, nata proprio in
questa località, sposa del capitano di
ventura Brunoro e poi andata con
lui a combattere per la Repubblica di
Venezia contro i Turchi. Più avanti,
dove la vecchia strada attraversa il
torrente che segna il confine tra i
comuni di Cosio e di Rasura, Serafino
Vaninetti ha restaurato un antico
mulino ad acqua (uno dei tanti una
volta presenti lungo questo corso
d’acqua).
Oltre la zona abitata, dove i
prati vanno incontro ad una lenta
ma inesorabile trasformazione per
50
Le Montagne Divertenti l’abbandono
dell’agricoltura,
si
sviluppa l’ampio comprensorio d’alta
montagna che fa parte del Parco delle
Orobie Valtellinesi. Lo caratterizzano
una ricca vegetazione, i pascoli degli
alpeggi, le vette, i caratteristici laghetti
di origine glaciale e i passi, che hanno
sempre favorito le comunicazioni con
la val Brembana e la Valsassina.
L’ecomuseo · Per valorizzare pienamente questo territorio, così ricco di
elementi naturalistici e di storia, nel
2008 è stato costituito l’Ecomuseo
della val Gerola.
Nel nostro panorama culturale il
concetto di ecomuseo è abbastanza
nuovo. Per comprenderlo meglio,
possiamo attingere alcuni elementi
da una simpatica intervista rilasciata
dal suo direttore Ettore Acquistapace
ai bambini di una scuola elementare.
“Un ecomuseo non è un palazzo dove
sono custoditi molti oggetti: è un territorio, nel quale si fondono quattro
elementi: natura, storia, cultura e
gusto. Natura vuol dire boschi, montagne, prati, torrenti e pascoli. La sto-
ria ci dice come l’uomo ha vissuto ed
ha utilizzato la natura. Nell’archivio
parrocchiale di Gerola abbiamo un
documento molto antico: una pergamena del 1238, ma l’origine del paese
è ancora precedente, forse intorno
all’anno Mille. Per cultura non intendiamo il sapere degli abitanti, perché
un tempo pochi sapevano leggere e
scrivere, ma il loro modo di vivere, di
coltivare la terra, allevare gli animali,
tessere la tela, curare le malattie con
le erbe. Il gusto comprende tutto ciò
che gli antichi potevano procurarsi
da mangiare: castagne, segale, orzo,
miglio, latte, formaggio, poi fragole,
mirtilli, parüch (Chenopodium bonushenricus), tarassaco, ortiche e così via.
L’Ecomuseo della Valgerola è stato
costituito su iniziativa del Comune di
Gerola Alta, poi ha incluso anche gli
altri paesi della valle: Pedesina, Rasura
e Sacco (che appartiene al comune di
Cosio). Essi, infatti, costituiscono
una realtà omogenea perché, attraverso la strada di valle, hanno sempre
avuto fra loro strettissimi rapporti.”
Estate 2012
Tradizioni e storia · Tra i motivi
che hanno determinato l’immediato
riconoscimento dell’Ecomuseo della
Valgerola da parte della Regione
Lombardia, vi è stato certamente il
fatto che la sua istituzione non è nata
dal nulla, ma è venuta a coronare e
poi a coordinare una serie di iniziative
che già venivano svolte nei vari paesi
e che costituiscono ormai degli eventi
annuali.
Ci riferiamo anzitutto alle ricerche
sulla storia della valle. Le antiche pergamene conservate negli archivi parrocchiali, gli stessi documenti lasciati
dai parroci, gli atti notarili dell’Archivio di Stato di Sondrio hanno aperto
un mondo che finora era rimasto
quasi completamente sconosciuto.
Piano piano sono venute alla luce
le sorprendenti relazioni tra la valle
del Bitto e le altre, fino alle lontane
Valcamonica e val di Sole, successivamente le emigrazioni verso le città del
Veneto e dell’Italia meridionale, quali
Ancona, Roma, Napoli e Palermo; è
stato possibile ricavare interessanti
notizie sulle origini delle famiglie e
Le Montagne Divertenti Dopo la benedizione del formaggio Bitto, è il momento
degli assaggi per i turisti accorsi alla Sagra del Bitto,
manifestazione annuale che si svolge nel mese di
settembre a Gerola Alta
(16 settembre 2007 - foto Roberto Moiola).
dei cognomi, sull’amministrazione dei
comuni come Gerola e Rasura, autonomi già nel Trecento.
Sempre in ambito culturale, sono
state svolte indagini sulla toponomastica e sui dialetti. In collaborazione
con la Società Storica Valtellinese e
con l’Istituto di Dialettologia sono
stati pubblicati gli inventari dei toponimi di Gerola, Pedesina e Rasura. Su
quest’ultimo, il prof. Remo Bracchi,
linguista di fama internazionale, ha
inserito anche uno studio dei dialetti
dei vari paesi.
Gli studi sulla storia e l’ambiente,
oltre che nelle pubblicazioni dei toponimi e dei volumi Gerola: la sua gente,
le sue chiese (1995) e Rasura tra passato
e futuro (2007), hanno trovato una
sintesi anche in un piccolo museo,
chiamato la Casa del Tempo, creato
a Gerola nell’edificio che era stato
l’antica chiesa medioevale. Attraverso
i pannelli espositivi e la proiezione
di immagini, il visitatore è invitato a
salire su una navicella del tempo, che
gli fa compiere un tragitto virtuale
dalle lontanissime ere geologiche fino
ai nostri giorni.
Nell’economia della valle ha avuto
un’importanza fondamentale l’attività
di estrazione e di lavorazione del ferro
dalle miniere che ancora è possibile
vedere numerose soprattutto nella
zona di Trona e del lago Inferno, collegate a quelle del versante opposto
di Premana e di Valtorta. Le miniere
sono state molto attive in età medioevale, poi gradualmente abbandonate.
Nella stessa zona sono stati ritrovati interessanti fossili, come una
conifera chiamata Cassinisia Orobica
e impronte di Tetrapodi, specie di
lucertoloni a quattro zampe, vissuti
tra i 260 e i 230 milioni di anni fa,
che si possono definire gli antenati dei
dinosauri.
La vera ricchezza per gli abitanti
delle valli del Bitto, però, è sempre
venuta dall’allevamento del bestiame,
soprattutto mucche, ma anche capre,
pecore e maiali. Sui pascoli d’alta
montagna è nato quello straordinario
prodotto che è il formaggio Bitto.
L'ecomuseo della val Gerola
51
Musei
Speciali
Gerola Alta, lo spazio espositivo "Casa del Tempo"
(8 luglio 2010, foto Roberto Trabucchi – archivio Provincia di Sondrio).
Rasura, la camera da letto allestita nel
museo etnografico
(8 luglio 2010, foto Roberto Trabucchi –
archivio Provincia di Sondrio).
È ottenuto dalla cagliatura nel latte
intero, appena munto, con aggiunta di
latte di capra e deve la sua rinomanza
a diversi fattori. Anzitutto all’erba dei
pascoli, poi all’arte che i casari hanno
affinato nel corsi dei secoli e si trasmettono da una generazione all’altra:
una tecnica fatta di pazienza, lavoro
lungo, metodico e attenzione alle
variabili che possono cambiare l’esito
finale. In questo modo il Bitto è un
formaggio che può essere consumato
fresco oppure destinato ad una lunga
stagionatura che può superare tranquillamente i dieci anni.
Per conservare intatte le caratteristiche originarie del "Bitto storico", da
alcuni anni i caricatori degli alpeggi
delle valli del Bitto di Gerola e Albaredo si sono riuniti in un’associazione
ed hanno costruito a Gerola il modernissimo Centro del Bitto, presidio
Slow Food dove viene stagionato e
commercializzato questo formaggio.
Il "Bitto storico" sta così ricevendo
numerosi apprezzamenti in campo
internazionale.
52
Le Montagne Divertenti Da ricordare infine che a metà del
Novecento la società Orobia ha realizzato gli impianti per produrre energia
elettrica con l’acqua di tutta la valle.
Se da un lato i lavori hanno creato un
notevole impatto sull’ambiente con la
costruzione delle dighe e delle linee
elettriche, dall’altro sono stati fondamentali per l’economia dell’intera
regione Lombardia.
Le attività · Oggi l’Ecomuseo
della Valgerola coordina tutte le attività promosse e organizzate dalle
varie Pro-Loco e dalle associazioni di
volontariato, che si propongono di far
conoscere non solo i prodotti locali,
ma anche la storia, l’arte e la cultura
della valle. Soprattutto nel periodo
estivo, quando molti abitanti della
val Gerola emigrati ritornano ai paesi
d’origine, si svolgono le tradizionali
feste religiose, con le caratteristiche
processioni e sagre, anche nelle singole frazioni. Tra le manifestazioni
più rilevanti e ormai consolidate nel
tempo sono da ricordare la sagra del
Bitto e quella del mirtillo che si tengono rispettivamente a Gerola la terza
domenica di settembre e a Rasura la
prima domenica di agosto. Proprio
nell’ambito della sagra del Bitto è
stato creato a Gerola il gruppo folcloristico I Giaröi, che ha sempre riscosso
un notevole interesse anche fuori provincia. I suoi componenti, di ogni
età, indossano i costumi tradizionali
maschili e femminili (da lavoro e della
festa) e presentano in maniera molto
naturale gli attrezzi un tempo utilizzati per le varie attività, che vanno
dalla lavorazione della lana, alla pastorizia, alla produzione del formaggio,
alle piccole attività artigianali.
L’Ecomuseo della Valgerola è
entrato a far parte del Sistema museale della Valtellina, che raggruppa
i principali musei del territorio e sta
svolgendo, con il coordinamento della
Provincia di Sondrio, una serie di iniziative rivolte agli adulti, ai bambini
e alle scuole. I bambini e gli adulti
sono coinvolti soprattutto durante
il periodo estivo con proposte molto
Estate 2012
varie, gestite dagli animatori dell’Ecomuseo, ma anche con l’intervento
di esperti esterni. I temi trattati sono
la lavorazione della lana per ottenere
oggetti in feltro (molto gettonata), il
cestinaggio, la lavorazione del legno,
il restauro, la cucina tradizionale nelle
varie stagioni.
Le attività più interessanti sono
senza dubbio quelle rivolte alle
scuole. A volte sono gli operatori che
si recano negli istituti, soprattutto
quelli della scuola materna, per evitare
il disagio del trasferimento, ma più
spesso sono le classi che vengono in
val Gerola. Da tre anni, infatti, l’Ecomuseo propone alle scuole primarie
e secondarie una serie di interessanti
attività didattiche, che stanno riscuotendo un lusinghiero successo. Nello
scorso anno, ad esempio, hanno partecipato 25 scuole, per un totale di
40 classi. L'offerta didattica si è arricchita seguendo le richieste fatte dagli
insegnanti stessi e oggi si articola in
ben 15 laboratori, dai titoli accattivanti, come: «Piacere, sono l’Homo
Salvadego!» (esempi di vita nella preistoria, in compagnia di quella figura
mitica), «L’aroma del formaggio»
(l’esperienza pratica sulla lavorazione
del latte e la produzione del formaggio), «Il profumo del legno», «Acqua
viva» (l’utilizzo dell’acqua come fonte
Le Montagne Divertenti energetica), «La tela di Penelope» (la
tessitura di tappeti utilizzando strisce
di stoffa). I laboratori più richiesti: «Il
calore della lana», «Svegliamo i sensi»
e «La spesa la faccio io» (conoscenza e
coltivazione di tutti i prodotti che può
offrirci la natura).
Quando i bambini o i ragazzi giungono in paese con la corriera, vengono
accolti dagli operatori Sergio, Elisabetta, Michela ed Elisa nella confortevole aula creata appositamente nel
nuovissimo Centro del Bitto. Questa
è dotata di particolari sussidi didattici,
che Sergio stesso ha costruito con le
sue mani: graziosi modellini di un
mulino ad acqua, di un maglio per
la lavorazione del ferro, di un puiàt,
la caratteristica catasta di legna per
la produzione del carbone, e poi un
telaio e svariati giochi in legno di
una volta. I bambini sono coinvolti
direttamente, con la tipica "didattica
del fare". Nel laboratorio del latte,
ad esempio, ognuno ha il suo contenitore, nel quale sperimenta la cagliatura e la produzione del formaggio;
gli alunni, inoltre, vengono sempre
guidati a produrre qualche oggetto,
che poi portano a casa. Appena possibile, però, i bambini lasciano l’aula
ed escono all’aperto, lungo il torrente,
nei prati, nel silenzio dei boschi, per
apprendere direttamente nella grande
aula della natura. Per molti di loro,
che vivono nei grandi paesi o nelle
città, vedere da vicino i corsi d’acqua,
gli insetti, i fiori, le piante, gli animali
costituisce un’elettrizzante novità. Ma
anche gli alunni della Valtellina, che
già conoscono l’ambiente montano,
nelle attività dell’Ecomuseo scoprono
un modo coinvolgente per imparare
divertendosi. Da sottolineare il fatto
che quest’anno hanno partecipato alle
attività anche gruppi di disabili.
Quali sono le reazioni? «Anche gli
insegnanti che sono più perplessi
nel venire in val Gerola alla fine
rimangono entusiasti delle attività,
del territorio e delle risorse che si
possono trovare in un piccolo paese
di montagna – sottolinea Sergio, il
responsabile dei laboratori –. I risultati degli incontri, poi, li vediamo
direttamente: i bambini vanno via
sempre entusiasti. Molti di loro,
con innocenza, dichiarano che vorrebbero rimanere a vivere qui! Gli
alunni di una scuola, che avevano in
programma un’altra gita di lì a pochi
giorni, sono arrivati a chiedere: “Perché non restiamo qui ancora, invece
di andare tre giorni a Firenze?” Per
il futuro speriamo di poter proporre
una permanenza di più giorni, con
soggiorno in albergo per favorire le
scuole più lontane».
L'ecomuseo della val Gerola
53
Racconti
Speciali
LA MOTTA DI ZANA
Luca Pelosi di anni 11
Il Disgrazia riflesso nel lago di Zana (24 luglio 2011, foto Giorgio Orsucci).
I
n una calda giornata d’estate io, la mia famiglia e degli amici abbiamo deciso di fare
una lunga ma entusiasmante camminata .
Siamo arrivati all’alpe Colina alle dieci e quindici, decisi ad arrivare sotto il Sasso
Bianco in una piana verde chiama Motta di Zana .
Poco dopo la partenza ci siamo trovati davanti un lago stupendo con le acque
limpidissime che prende il nome del posto. Il sentiero era molto tortuoso e faticoso, ma
qualche nuvola ci ha permesso di ripararci dal sole. Inoltre il paesaggio era fantastico
perché si vedevano tutte le cime delle montagne e quella del Sasso Bianco.
Dopo un’ora di lunga e faticosa camminata siamo giunti in cima alla montagna ed io ho
pensato “ .. adesso inizierà la discesa ?! …. “; invece mi sono trovato davanti un’immensa
piana verde: uno spettacolo pazzesco.
Era una piana con erba bassa, qualche sasso e una vista indimenticabile sulla catena
del Disgrazia ed altri monti: sembrava di essere in Paradiso.
Mio papà ha letto tutti i cartelli e ci ha detto che eravamo alla Motta di Zana che si
trova a 2411 metri .
Dopo il pranzo al sacco, non ancora stanchi, ci siamo incamminati fino al Sasso
Bianco. che si trova a 2490 metri.
Arrivati in cima abbiamo trovato un altro quadro mozzafiato: da lì si vedeva l’ immensa
Motta di Zana, il lago di Colina ed anche il lago di Arcoglio, sotto il Sasso Bianco
c’era una roccia friabile contenente cristalli, allora ne abbiamo raccolti alcuni e siamo
tornati a casa felici e soddisfatti della fantastica gita.
54
Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Estate 2012
L'alba e il gruppo del Bernina dalle rive del lago di Zana (24 luglio 2011, foto Giorgio Orsucci).
La Motta di Zana
55
Alpinismo
Pizzo Ferrè (m 3103)
narciso in valle Spluga
Beno e Roberto Moiola
56
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti Il pizzo Ferrè col suo grande
ghiacciaio e i pizzi dei Piani visti dal
lago d'Emet, nei pressi del rifugio
Bertacchi (2 ottobre 2011, foto Enrico
MinottiPizzo
- www.clickalps.com).
Ferrè (m 3103)
57
Alpinismo
Valchiavenna
Il pizzo Ferrè è la cima più elegante della valle Spluga, quella dalle linee più
ardite, dall'aspetto più severo - e questo grazie anche al ghiacciaio che ne
ricopre il versante settentrionale e dona slancio e austerità alla vetta.
Vanitoso, il pizzo Ferrè si specchia nelle acque del lontano lago d'Emet
e osserva tutta la valle Spluga dall'alto dei suoi m 3103. Conscio della sua
bellezza, da molte angolazioni si lascia nascondere da dossi e cime minori.
Non lo fa certo ingenuamente, bensì vuole accrescere ancor più la meraviglia
di chi, di tanto in tanto, se lo vede apparire all'improvviso sulla sx mentre da
Chiavenna percorre la strada per Montespluga.
Al contrario di quello che si è portati a pensare, è una cima sì alpinistica, ma
relativamente facile e di divertente accesso, oltre che di grande soddisfazione
perché presenta, senza eccessive complicanze tecniche, tutti i terreni: roccia,
ghiaccio e cresta aerea, oltre che un amplissimo panorama.
Bellezza
Partenza: Montespluga (m 1924).
Itinerario automobilistico: da Colico si
Fatica
segue la SS 36 dello Spluga in direzione del passo
dello Spluga fino a Monteslpuga. Si può lasciare
l'auto nel parcheggio all'inizio della strada non
transitabile che, dal centro del paese, si diparte sulla
sx e sale in val Loga.
Pericolosità
Itinerario sintetico: Montespluga (m 1924) bivacco Cecchini (m 2770) - pizzo Ferrè dal ghiacciaio
e cresta N (m 3103).
Tempo
di salita previsto: 4 ore e mezzo.
Pizzi dei Piani
(3148-3158)
Pizzo Ferrè
(3103)
Attrezzatura
richiesta: scarponi, corda, un
paio di cordini, imbraco, piccozza e ramponi.
Difficoltà/dislivello: 3.5 su 6 / circa 1200 m.
Dettagli: alpinistica f+. Sentiero bollato fino al
bivacco Cecchini (EE), quindi possibili ometti di
pietra. La parte finale della salita si svolge su
ghiacciaio e cresta rocciosa facile ma esposta (II+).
Mappe: Kompass foglio n.92, Valchiavenna e Val
Bregaglia, 1:50000.
Punti d'appoggio: bivacco Cecchini.
Pizzo Tambò
(3279)
Montespluga e la val Loga. All'estrema dx è il pizzo Tambò, mentre a sx fa capolino il pizzo Ferrè col suo ghiacciaio (12 settembre 2010, foto Moiola).
Nella pagina precedente: dal monte Spadolazzo (29 agosto 2010, foto Roberto Ganassa).
Bivacco
Cecchini
(2770)
A
umentano le tasse, l'incertezza
del lavoro, le difficoltà nel raggiungere le mete lontane decantate
dalle televisione, ma non dobbiamo
certo pensare a questo come a una
cosa negativa perché noi, amanti della
montagna, sappiamo fare di necessità
virtù. E così questa crisi ci fa il dono
più grande: riscoprire le bellezze che
abbiamo a portata di mano, ci fa tornare sulle Alpi e ci invita a riprovare a
salire le vette di casa, quelle snobbate,
quelle oramai meno conosciute dei
picchi himalayani dai nomi bizzarri su
cui i grandi nomi dell'alpinismo mon-
Montespluga
(1908)
58
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti diale tentano costantemente di trovare la soglia dell'ipotermia, di vivere
"avventure" col GPS e in diretta
radio. I nomi più piccini sono là pure
loro, a caccia di gloria nel vantarsi di
una nuova cima raggiunta, o di una
ripetizione resa difficoltosa non tanto
dalla bufera di neve, quanto dalla
valanga di soldi che servono ad avere
i permessi e pagare la trasferta.
Il vanto non riempie il cuore, ma è
quella cipria che copre le rughe profonde che stanno dentro all'animo e
porta alla ricerca dell'invidia altrui più
che della propria felicità.
C
hi tocca la vetta del Ferrè, dopo
le emozioni provate nell'ultimo
tratto di scalata, facile ma non banale,
avrà un tuffo al cuore e grande nostalgia quando, tornato a Montespluga,
riguarderà l'aguzza cima e ripenserà a
quei momenti passati in Valchiavenna
a cavalcioni delle nuvole o ai sogni
fatti mentre si era addormentato ai
piedi della croce di vetta.
Bastano 1 ora di auto da Colico e
poco più di 4 a piedi. Troppo semplice per essere vero? Provateci e fateci
sapere se non è così!
Pizzo Ferrè (m 3103)
59
Alpinismo
Valchiavenna
Alcune liste di neve precedono l'arrivo al bivacco Cecchini. In lontananza il lago di Montespluga sovrastato dal gruppo del Surretta (sx) e dal pizzo
d'Emet (dx) (12 settembre 2010, foto Roberto Moiola).
Da Montespluga (m 1924), adagiato sulle rive del lago omonimo,
seguiamo le indicazioni per il bivacco
Cecchini e imbocchiamo la carrareccia per la val Loga, parcheggiando
dopo poco nello spiazzo che precede
il divieto di accesso. Di fronte a noi
(O) si stende la verdeggiante val Loga,
la cui forma ad U richiama le evidenti
origini glaciali.
Ci incamminiamo lungo la sterrata
che, dopo un ponticello ed essere passata sulla dx idrografica, in corrispondenza di una stalla, diventa un ampio
sentiero (segnavia n. 16).
Il bestiame pascola la verde
val Loga tutta l'estate.
Sullo sfondo il gruppo del
Surretta (12 settembre
60
Montagne
Divertenti 2010, fotoLeRoberto
Moiola).
L'itinerario è, per una buona
mezz'ora, pressoché pianeggiante e
corre sul versante destro idrografico
della vallata.
Guadati numerosi rigagnoli, dopo
aver attraversato il torrente principale,
la via bollata s'impenna tra gli ampi
pascoli. Le ultime chiazze di erba
lasciano il posto ai macereti e agli sfasciumi che caratterizzano spesso i terreni oltre i 2000 metri di quota.
Sulla dx (NNO), in fondo alla valle
sopra il Motto del Belvedere, s'erge
la piramide del pizzo Tambò, la vetta
più alta della Valchiavenna coi suoi
m 3279. Dalla parte opposta è ben
visibile la casetta di legno del nuovo
bivacco Cecchini1, adagiata su un
poggio panoramico e che, ingannevolmente, da l'illusione di trovarsi a
1 - Il primo bivacco in alta val Loga fu inaugurato
il 10 agosto 1978 alla presenza di alpinisti di fama
quali Riccardo Cassin. Era una struttura di metallo,
rossa, con nove posti letto e attrezzatura di prima
necessità. Fu dedicata a Giovanni Cecchini.
Nel 2009 il CAI sezione Vallespuga, grazie
all’impegno dei soci e al contributo di enti e privati
locali, ha sostituito la struttura di lamiera con un
prefabbricato in legno a carden della stessa
capienza. Il CAI ha infine optato per cambiare il
nome del bivacco Cecchini in "val Loga",
denominazione che fatica e faticherà ad entrare in
uso tra alpinisti ed escusionisti.
Il vecchio bivacco Cecchini (22 luglio 2005, foto Beno) è stato sostituito nel 2009 da una bella struttura in legno (12 settembre 2010, foto Moiola).
Estate 2012
Le Montagne Divertenti Pizzo Ferrè (m 3103)
61
Alpinismo
Valchiavenna
pochi minuti.
Sasso dopo sasso, attraversando
anche qualche lista nevosa d'inizio
estate, dobbiamo sudare parecchio per
raggiungerla, forse perché la pendenza
del sentiero non permette mai di riposare (bivacco Cecchini, m 2770, ore
2:30).
Dal bivacco vi è uno splendido
panorama a 360 gradi: di fronte a noi
il maestoso pizzo Ferrè (m 3103), con
la sua ampia massa glaciale che pare
cadere a valle; appena a sx ecco il solco
della valle Spluga, che poi diventa
Valchiavenna e s'infrange contro la
mole del monte Legnone, ormai alle
porte di Valtellina e lago di Como. La
ruota dello sguardo continua quindi
con il pizzo Stella (m 3163) ed il
pizzo Groppera (m 2948), quindi con
gli Andossi che vi si adagiano molto
più in basso. Via via, tra rocce e cielo,
giungiamo al lago di Montespluga, in
parte coperto dalla costiera del monte
Cardine (m 2467). La costiera che va
dal pizzo d'Emet (m 3210) al pizzo
Suretta (m 3027) anticipa, infine, il
pizzo Tambò.
Dal bivacco, guardando sempre la
vetta del pizzo Ferrè, con un arco verso
dx2 e perdendo quasi cento metri di
quota per sfasciumi, scendiamo nella
val Schisarolo, dove montiamo il sofferente ghiacciaio del Ferrè nella sua
parte bassa.
Superiamo l'impennata mediana
(35°) sulla dx, dove c'è meno ghiaccio vivo. Dal settore superiore della
vedretta, poco ripido, puntiamo (sx)
alla sella del Ferrè (m 2922), chiara
depressione della cresta N della
montagna.
Ha ora inizio il tratto più divertente: una aerea cresta rocciosa che
corre a cavallo tra valle Spluga e valle
Mesolcina, per la precisione tra val
Schisarolo e val Curciusa. Non vi
sono grosse difficoltà d'arrampicata,
ma i precipizi possono generare suggestioni negli animi più sensibili.
Scalato un grande dente, ideale per
le foto ricordo, scendiamo sul lato
opposto (S) e proseguiamo con attenzione lungo il filo esposto (II) fino alla
vicina croce di vetta del pizzo Ferrè
(m 3103, ore 2).
2 - Non vi è via obbligata.
62
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti Pizzo Ferrè
(3103)
Il pizzo Ferrè e il tracciato di salita dal bivacco Cecchini (12 settembre 2010, foto R. Moiola).
Pizzo Ferrè
(3103)
Sella del Ferrè
(2922)
Il tracciato per la vetta dai piedi del ghiacciaio del Ferrè (22 luglio 2005, foto Roberto Lisignoli).
Sul dente che precede la vetta del Ferrè. Sulla sx sono i pizzi dei Piani (22 luglio 2005, foto Beno).
Pizzo Ferrè (m 3103)
63
Speciali
Punta Rasica
(m 3305)
Beno
È una delle vette
più caratteristiche e
conosciute del Màsino,
con una bizzarra cuspide
finale dall'aspetto poco
rassicurante.
Fu molto ambita,
specialmente dagli
scalatori italiani, che
tentarono per molti
anni di conquistarne
la cima, ignorando
che Klucker con von
Rydzewski e Barbaria
vi era già riuscito il 27
giugno 1892.
64
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti La cuspide finale della punta Rasica vista da NO (17 gennaio 2012, foto Beno).
Punta Rasica (m 3305)
65
Pizzo Torrone
Occidentale
(3351)
Alpinismo
Cima di Castello
(3386)
Punta Rasica
(3305)
Pizzo Torrone
Centrale
(3290)
Pizzo Torrone
Orientale
(3333)
Ago di Cleopatra
(3235)
Passo Lurani
(3215)
Punta Allievi
(3123)
Passo di Zocca
(2749)
Passo
Cameraccio
(2950)
Picco Luigi
Amedeo
(2800)
Passo val Torrone
(2518)
Rifugio Allievi
(2385)
Le vette di val di Zocca e val Torrone (29 agosto 2010, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com).
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: San Martino Valmasino (m 923).
Itinerario automobilistico: da Morbegno
seguire la SS 38 verso Sondrio. Appena attraversato il
ponte sul Màsino, svoltare a sx all’altezza di Ardenno
(5 km a E di Morbegno) e seguire la SP9 della val
Màsino fino a San Martino. All'ingresso del paese la
SP 9 piega a sx. Prendere invece a dx (negozio Fiorelli)
la stretta strada che tra le case raggiunge prima il
ponte sul Mello, poi il parcheggio gratuito nei pressi
del centro sportivo. Se questo fosse pieno, si deve
ricorrere a quello a pagamento all'ingresso del paese.
Itinerario sintetico: San Martino Valmasino
(m 923) - Cà Panscer (m 1061) - Cascina Piana
(m 1092) - casera Zocca (m 1725) - rifugi Allievi
L
a punta Rasica è una delle cime
più caratteristiche della val
Màsino. La sua bizzarra cuspide sommitale, per molti anni meta di pellegrinaggio alpinistico di chi cercava estetica
ed emozione a costo di "superarla col
lancio della corda", fu calpestata per la
prima volta dalla cordata guidata da
66
Le Montagne Divertenti (m 2385) - Bonacossa (m 2385) - punta Rasica
(m 3305).
Tempo di salita previsto: 8 ore.
Attrezzatura richiesta: casco, corda (50 m),
fettucce, moschettoni, friend/nut utili, cordini, scarpe
da roccia (non indispensabili), scarponi, piccozza e
ramponi.
Difficoltà/dislivello: 5 su 6 / circa 2400 m.
Dettagli: D. Tratti su ghiacciaio ripido. La salita si
conclude con 3 tiri di corda (II/III) che portano
all'esposta e delicata cuspide finale (IV+).
Mappe: Val Màsino - carta escursionistica, 1:30000.
Christian Klucker. I pionieri partirono
il 27 giugno 1892 dalla capanna del
Forno e valicarono il colle Rasica, massima depressione della cresta tra punta
Rasica e pizzo Torrone Occidentale.
Da lì per cresta e cenge raggiunsero
il versante meridionale della cuspide
finale, vinta da Klucker con difficile
arrampicata libera. Poi, "l'ignoranza
della pur dettagliatissima narrazione
della salita creò da noi una fama di verginità a questa montagna, sì da portare
una serie di inutili tentativi sul lato V.
di Zocca"1. Pure Alfredo Corti, amico
1 - Aldo Bonacossa, Guida dei monti d'Italia - Masino, Bregaglia, Disgrazia, CAI-TCI, Milano 1936.
Estate 2012
di Klucker, in Alpi Retiche Occidentali
del 1911 non riconobbe al "maestro"
quella prima salita, così come inspiegabilmente fanno alcuni volumi moderni
sull'arrampicata nel Màsino. Tornando
agli italiani, si dovette aspettare il 1906
perchè Castelnuovo e Fiorelli venissero
a capo del problema con una linea sul
versante ONO. La loro via è quella che
andremo a descrivere essendo la più
facile2 dal rifugio Allievi in val di Zocca.
artiamo da San Martino Valmasino (m 923), dal parcheggio
vicino al centro sportivo, e seguiamo il
sentiero sulla dx idrografica del Mello
che in pochi muniti intercetta la carrozzabile per la val di Mello. Il fondo stradale si fa presto acciottolato e sterrato
dopo il ponte sul torrente del Ferro.
P
2 -Esistono numerose altre possibilità che
indirizzano a tracciati più moderni, come la via
Bramani o Lady D., tutte descritte nel volume:
Mario Sertori e Guido Lisignoli, Solo Granito,
Edizioni Versante Sud, Milano 2007.
Le Montagne Divertenti In 20 minuti siamo al polveroso parcheggio in prossimità del campeggio e
del ristoro Gatto Rosso. Questi quattro
passi a piedi ci hanno fatto risparmiare
5 euro di permesso per l'auto.
Proseguiamo lungo la mulattiera che
s'inoltra in val di Mello. Il Disgrazia
emerge in fondo alla valle (E). 150
anni fa passarono proprio di qui i primi
salitori e quest'estate (24 agosto) verrà
riproposta l'ascensione al Disgrazia
ricalcando proprio le orme di Stephens,
Anderegg, Kennedy e Cox.
Il fragore del torrente si alterna a
silenziosi panorami specchiati nelle sue
pozze. A m 1092 c'è Cascina Piana e,
poco oltre, sulla sx si stacca il ripido
sentiero segnalato per il rifugio Allievi.
Serpeggiando nel fitto bosco, raggiungiamo a m 1600 ca. il ponte sulle scroscianti acque del torrente della val di
Zocca e ci portiamo sulla sx idrografica.
A m 1725, sulla dx si intravede la casera
di Zocca. La vegetazione man mano si
dirada e, dopo un poggio panoramico
con croce e panchina, ci affacciamo al
pianone (m 2092). D'estate questa è la
terra dei cavalli che pascolano ai piedi
della possente cima di Zocca. Il rifugio
Allievi è a N, sopra la barra rocciosa che
racchiude questa conca.
Oltre il pianone, dopo una serie
di ripidi tornantini, il sentiero volge
decisamente a O. Arriviamo al rifugio Bonacossa3 (m 2385, ore 4:30),
affiancato dal fatiscente rifugio Allievi4.
Quassù sono le valanghe che minano
alla stabilità delle strutture, come è
successo nel 2001 quando una ha
semidistrutto entrambi gli edifici, poi
ricostruiti.
3 - Inaugurato nel 1988 e didicato ad Alberto e
Aldo Bonacossa, l'ultimo dei quali è l'autore della
famosissima Guida dei Monti d'Italia. Masino - Bregaglia - Disgrazia.
4 - Donato nel 1905 da Francesco Allievi alla
sezione del CAI di Milano.
Punta Rasica (m 3305)
67
Alpinismo
La via Castelnuovo (normale) alla punta Rasica (17 gennaio 2012, foto Beno). Sotto: Giuliano Maresi attraversa, in equilibrio sull'esile cengetta, la
placca che porta alla cuspide finale della punta Rasica (1975, foto archivio Duilio Strambini).
Ripartiamo seguendo per un breve
tratto il sentiero Roma (E), per piegare
quindi a NE. Per blocchi e detriti ci
68
Le Montagne Divertenti infiliamo nel vallone cinto dalle pareti
rocciose di punta Allievi, cima di
Castello e punta Rasica. L'ambiente è
davvero selvaggio. Del ghiacciaio della
Rasica, un tempo signore dell'anfiteatro, rimane ben poco: una ripida lente
lassù in alto e delle grandi placconate
liscie lasciate dal suo ritiro. Appena a dx
della cima di Castello vi è il netto intaglio del passo Lurani. Salendo i liscioni
appena a dx di questa direzione ci portiamo nel settore superiore ai piedi del
salto roccioso della cresta che corre dal
passo Lurani alla punta Rasica. Percorriamo questo cordolo in verso dx. Da
qui la cuspide fa bella mostra di sé,
così come le cime del Màsino che si
stagliano sopra il cordolo nevoso.
A dx (S) della perpendicolare dalla
cuspide vi è il conoide nevoso che
più di tutti si insinua su per la
parete. È quello da risalire. Da
qui mancano circa 200 m.
Senza più neppure l'antico
problema della larga cre-
paccia terminale, tocchiamo le rocce e
iniziamo ad arrampicare. Chiodi e soste
attrezzate ci confortano dell'esattezza
del tracciato.
Passi di II e III su gradoni e canaletti5
ci conducono sullo spartiacque ben
a dx della cuspide, della quale guadagniamo la base dopo aver attraversato,
per mezzo di un'esilissima cengia, una
placca che guarda a O.
La visione non è certo delle più rassicuranti: un sottile fendende s'innalza
verso il cielo per una dozzina di metri.
Pare sospeso in aria contro ogni logica
della gravità. Una breccia ci separa da
questa lama ed occorre sangue freddo
per attraversarla con una spaccata ed
iniziare l'arrampicata finale, di cui non
vi dirò nulla per lasciarvi il gusto di
scoprire questo breve ma emozionante
epilogo (IV+, ben proteggibile).
Alcuni pionieri, che non conoscevano le tecniche basilari della roccia,
5 - Si trovano chiodi e ancoraggi in via. Tutti da
verificare.
Estate 2012
A sx: Duilio Strambini arrampica sul fendente della cuspide. Sotto: Giuliano Maresi verso la vetta (1975, foto archivio Duilio Strambini). Al centro:
la punta Rasica dal colle Rasica nel 1933 - 2 persone in vetta (foto archivio Alfredo Corti). A dx: in fuga dalla Rasica (17 gennaio 2012, foto Beno).
erano soliti lanciare la corda e farla
agganciare al beccuccio posto a circa
6 metri dalla breccia, quindi, come i
monaci di Meteora, si issavano sulla
fune per vincere il passaggio. Altri salivano stringendo la lama tra le ginocchia
e con mosse da cowboy. E queste sono
solo alcune delle tecniche bizzarre che
si trovano scritte sulle guide dell'epoca.
Nella serata a Grosio dedicata a
Duilio Strambini6, il Ragno di Lecco
Giuliano Maresi aveva raccontato di
quando lui e Duilio erano giunti per
la prima volta alla base della cuspide,
colmi di aspettative per tutti i racconti
letti: "Dicevano come afferrare ogni singolo appiglio e facevano sembrare quei
metri lunghi e insidiosi. Poi Duilio è arrivato lì ed è salito senza farne tante!"
Siamo in vetta (punta Rasica,
6 - Duilio Strambini (1947-1978), forte alpinista
grosino a cui sono stati recentemente dedicati, con
il coordinamento di Raffaele Occhi, il n. 18 de Le
Montagne Divertenti e la memorabile serata del 10
dicembre 2011 in cui sono intervenuti i suoi
compagni di cordata.
Le Montagne Divertenti m 3305, ore 3:30). Trovarsi quassù
vale tutte le fatiche fatte per il lungo
avvicinamento!
Per la discesa, ci caliamo dal minore
degli spuntoni sommitali, per quindi
tornare indietro (S) sulla cresta e smontare sul lato O per il canaletto (20 m)
già salito all'andata. Lì troviamo la
prima delle tre soste di calata che ci
riportano sul ghiacciaio, da cui ripercorriamo l'itinerario dell'andata.
ramai fuori pericolo ripenso
a questo inverno. Con Fabio
Meraldi avevo tentato la salita alla
Rasica7 con condizioni meteo
avverse. Eravamo due puntini
sulla parete, il freddo mi
offuscava la ragione mentre
il vento a - 20° C mi gettava
la neve giù per il coppino.
Sbattevo i piedi contro le rocce
per far tornare la circolazione e
avere quel minimo di sensibi-
lità per l'arrampicata.
er fortuna c'era Fabio!
I minuti erano interminabili e
anche solo fare una corda doppia era
diventato per me un'impresa, tanto
che, pur non sopportando il caldo,
avevo più volte sognato il
tepore delle giornate
estive!
P
O
7 - Dopo un paio d'ore in via, siamo stati
rimbalzati pochi metri sotto la cuspide.
Punta Rasica (m 3305)
69
Alpinismo
27
Q
giugno
uesto brano, tratto dalle
memorie di Klucker, ben
sintetizza il difficile rapporto tra Klucker e il vecchio e scorbutico cliente
Rydzewski, il quale, pochi giorni
prima di questa ascensione, aveva
fatto insinuazioni inopportune a Klucker sul senso della vita.
Il 27 giugno partimmo di nuovo
dalla Capanna del Forno alla volta
della Rasica [...]. Salimmo senza speciali difficoltà al piede meridionale
della cuspide terminale. Appena ebbi
raggiunto questo punto, uno sguardo
allo straordinariamente aereo, verticale
e affilato spigolo della cuspide mio disse
che avrei raggiunto la vetta e gridai
verso il basso: «Tutto bene!».
Quando fummo tutti e tre vicini e io
ebbi nota dei visi sconcertati dei miei
compagni mi sfuggì involontariamente
l'osservazione: «Adesso si vedrà chi avrà
ancora forza, e chi l'ha già consumata!».
E tra me e me pensavo: «Oggi hai quel
che ti spetta vecchio!».
Seguì la manovra di Barbaria per il
lancio della corda. Sul filo dello spigolo,
a circa 12 m di altezza, era visibile un
beccuccio. Ed egli cercava di far passare la
corda su questo, cosa che alla fine gli riuscì
legando un sasso a un capo della corda.
Tale sistemazione della corda mi
sembrò alquanto malsicura e di dubbia
utilità. Per cui disdegnai questo aiuto,
e mi arrampicai rapidamente su per
il filo fino al beccuccio, presi con me il
capo della corda a mala pena incastrato,
e continuai a salire (dapprima con difficoltà) fino alla vetta. Qui potevo fare
sicurezza molto bene.
Si era convenuto che Barbaria
avrebbe aiutato dal basso il signor von
Rydzewski a raggiungere lo spigolo, e
poi sarebbe salito da ultimo. Sul come
il nostro signore avrebbe poi superato
lo spigolo verticale e molto affilato, non
avevo dubbi. Solo sollevandolo di peso
sarebbe venuto su, e per una tale prestazione quel giorno mi sentivo eccellentemente disposto.
Quando il malo passo venne affrontato dal mio principale, cominciai a
tirare energicamente e senza pietà. Man
70
Le Montagne Divertenti 1892
dall'autobiografia di Christian Klucker
mano che si alzava, il soffiare e l'ansimare si facevano più vicini. Alla fine,
completamente esausto e senza fiato, egli
fu al mio fianco. Subito gli liberai la
piccola nicchia presso la vetta come posto
di sosta. E appena si fu ripreso, e prima
di lanciare a Barbaria il capo della
nostra corda di 28 m, misi una mano
sulla spalla del signor von Rydzewski,
osservando: «Forse lei si ricorda, che
un anno fa quando ci incontrammo
per la prima volta a Promontogno, mi
fece notare: "Lei sa cos'è la vita, vero?"
Granito: così duro, così fragile
Davide Gotti
Proprio adesso ho constatato, che
anche lei sa cos'è la vita, e in senso
ancor più stretto! Su questo siamo
alla pari!»
Fece con dispetto un gesto di assenso
con la mano, senza proferire parola.
Poteva ben pensare: «Mi basta ben portare a casa la pelle!»
Cinque minuti dopo anche il nostro
artista della corda, Barbaria, era con
noi sulla vetta.
I versanti N di pizzo Cengalo e pizzo Badile il 23 settembre 2011 (foto Roberto Moiola).
G
uardando le cime di val
Màsino e val Bregaglia si ha
quasi l’impressione di essere davanti
al muro di un castello invalicabile in
cui gli stessi merli del castello fanno
da sentinella. Eppure queste cime
granitiche nell’ultimo secolo sono
state interessate da enormi frane
di crollo, che hanno fatto addirittura
sparire alcune delle cime secondarie, come la vetta del Gallo, crollata
nell'agosto del 1923.
Ma il granito non è forse la roccia
più solida in assoluto? La risposta
si può quasi dire che sia un inno al
relativismo: dipende da dove si è. Ci
sono posti dove il granito ha subito
solo alterazione atmosferica (Mottarone) e altri posti, come il crinale
tra la val Màsino e la val Bregaglia,
in cui la muraglia granitica è stata
anche stiracchiata dal movimento
laterale della linea dell’Engadina,
linea di faglia che dalla val Bregaglia svizzera raggiunge St. Moritz. L'
Estate 2012
Le Montagne Divertenti azione di sfregamento della faglia ha
generato delle estese fratture verticali ben visibili sul versante elvetico.
Queste fratture vanno ad aggiungersi alle superfici che segnano
i diversi intervalli in cui la massa
granitica si è deposta all’interno della
crosta terrestre prima di affiorare in
superficie a seguito dell’orogenesi
alpina. Queste superfici corrispondono alle superfici curve e lisce che si
osservano risalendo la val Màsino.
L’unione di questi insiemi di fratture predispone le torri di granito al
crollo. In tutto questo assetto i continui cicli di gelo e disgelo fanno il
resto del gioco, esattamente come è
successo 9 anni fa quando è crollata parte della via normale italiana al
Cervino: l’acqua si intrufola dentro
alle fratture più aperte, ghiaccia, poi,
quando le temperature superano gli
0°C, il ghiaccio fonde. In quest’ultima fase l’acqua esercita una forza
sulla parete della fratture posta sul
lato a valle e espande la frattura.
Tutto questo dura fino a quando un
blocco di roccia si trova completamente staccato dalla parete e crolla
o si ribalta a valle.
Allo stesso modo, negli ultimi anni
si sta sfagliando il versante N del
pizzo Cengalo: nel 2003 si è inabissata una profonda porzione rocciosa
dei "Pilastri Kasper", e il 27 dicembre
2011, dopo i distacchi premonitori di
luglio che avevano messo in guardia
gli esperti, una frana di grosse
dimensioni (3-4 milioni di metri cubi)
ha coinvolto nuovamente la parete
N rendendo inaccessibili le vie che
corrono sul versante NNO, come la
via di Schocher e Scipione Borghese, la via Attilio Piacco, i pilastri
orientali della parete (via Kasper
- Koch), e la via Cacao Meravigliao
nel versante NE.
Granito: così duro, così fragile
71
Alpinismo
Cime del Largo
(m 3188)
Sono tre vette che s'alzano sulla sx orografica del bacino del Forno.
La guglia maggiore assomiglia al pennino di una stilografica, una forma
talmente bizzarra che i primi tempi, quando la osservavo dalle vette sopra
Chiareggio, pensavo fosse una struttura artificiale, tipo l’arrivo di una
funivia. Poi, su un libro di fotografie, trovo una vertiginosa inquadratura di
Christian Klucker che sta scalando quel pinnacolo di granito protetto solo
dal suo cappello con la piuma di gallo cedrone.
Dopo quella visione non ci sono più dubbi: è una montagna vera.
Devo assolutamente salirci!
Beno
72
Cime del Largo, la cuspide finale della vetta
culminante vista da SE. Sono indicati sia
il tracciato di salita, che la posizione degli
ancoraggi per le calate (6 luglio 2011, foto
Beno/Roberto Ganassa - www.clickalps.com).
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti Cime del Largo (m 3188)
73
Alpinismo
Porte di Valmalenco
Bellezza
Partenza: capanna del Forno (m 2574).
Avvicinamento: per l'accesso da Chiareggio
vedi itinerario a pag. 80. Cartina: pag. 64.
Fatica
Pericolosità
Itinerario
sintetico: capanna del Forno vallone E del Bacone - forcola di Bacone (m 3107)
- cime del Largo (vetta culminante - m 3188).
Tempo di salita previsto: 5 ore.
Attrezzatura richiesta: casco, corda (50 m),
fettucce, moschettoni, almeno 3 friend (misure
medie), cordini, scarpe da roccia (non indispensabili),
scarponi, piccozza e ramponi.
Difficoltà/dislivello: 5 su 6 / circa 1200 m.
Dettagli: AD. L’ascesa si conclude con 3 bei tiri
di corda (IV+ max), avvicinamento faticoso e su
terreno pericoloso per caduta blocchi (tratto
ghiacciaio del Forno - forcola del Bacone).
Mappe:
- CNS 1:25000 fogli n. 1276 (Val Bregaglia) +
n. 1296 (Sciora);
- CNS 1:50000 fogli n. 278 (Monte Disgrazia) +
n. 268 (Julierpass);
- Kompass 1:50000 fogli n. 92 (Chiavenna, val
Bregaglia) + n. 93 (Bernina).
Cime del Largo
(3188)
Pizzo Bacone
Cima di Spluga
(3244)
Forcola del
(3046)
Bacone
(3107)
Forcola del Largo
(2957)
Il tracciato per la forcola del Bacone visto dalla capanna del Forno e la via attrezzata che scende dal rifugio (26 agosto 2007, foto Giorgio Orsucci).
A fianco: le cime del Largo viste da Casaccia (acquerello di Kim Sommerschield, www.kimsommerschield.com).
6 luglio 2011
e cime del Largo sono tre guglie
di granito disposte da E a O
lungo una dorsale secondaria che si
stacca da quella N-S che delimita la dx
orografica del bacino del Forno e che
culmina con i m 3386 della cima di
Castello.
Chi guarda dal passo del Forno, delle
cime del Largo nota solo la maggiore1
(m 3188), una vetta stupenda, la canna
di organo che spunta appena a N del
pizzo Bacone. La sua forma è talmente
bizzarra che i primi tempi, quando la
scorgevo da lontano, pensavo fosse
una struttura artificiale, tipo l’arrivo
di una funivia. Poi ho trovato su un
libro di fotografie l’immagine di Chri-
L
1 - Da Casaccia si distinguono chiaramente tutti e
tre i denti accuminati della montagna.
74
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti stian Klucker2. Quella fotografia mi
ha messo un nodo in gola perché la
forte guida engadinese stava scalando
la parete vertiginosa col cappello ben
accomodato sul capo e dei pesanti scarponi, sospeso nel vuoto alla ricerca di
un qualche appiglio, mentre il cliente
teneva in mano la matassa della corda
senza così potergli fare alcuna sicurezza. La corda serviva a Klucker solo
per tirar su di forza chi lo seguiva.
Dopo che le opere di convincimento
di vari e possibili compagni d'avventura erano state tutte vanificate dal
2 - Christian Klucker e Thomas Curtius furono i
primi a salire questa vetta il 12 agosto 1887, come
confermato dall'autobiografia di Klucker. Il
tentativo fatto dai due nel 1885 si arenò prima
della vetta, e in quel punto Klucker lasciò il
colletto della sua camicia per segnalare la quota
raggiunta e ironizzare sull'inutilità del colletto della
camicia nell'abbigliamento delle guide alpine.
timore del lungo avvicinamento, nel
novembre 2010 ero partito da solo
con le ciaspole da Chiareggio, ma il
tentativo si era arenato già alle pericolose placconate per accedere al settore
superiore della valle a E del Bacone:
ghiaccio e troppa neve. Mi ero così
accontentato di salire qualche cimetta
vicina al passo Casnile, tanto sfigata da
non avere neppure un nome, ma solo
una quota sulla CNS.
Oggi ho trovato Roby che pare
molto volenteroso. Gli ho promesso
foto bellissime e sono certo non ne
rimarrà deluso.
Arrivare alla capanna del Forno3 da
Chiareggio è una bella sfacchinata, pur
3 - Per una descrizione più dettagliata del tratto
Chiareggio - capanna del Forno si veda l'articolo di
Luciano Bruseghini a pagina 80.
Cime del Largo (m 3188)
75
Alpinismo
Porte di Valmalenco
Cima di Cantone
(3354)
Pizzi Torrone (3333 - 3290 - 3349)
Ago di Cleopatra
(3234)
Cima di Castello
(3386)
Punta Rasica
(3308)
Lo Scalino
(3164)
3040
Passo dei
Cacciatori
(2943)
Pizzo Casnile
(3189)
3043
Passo Casnile S Passo Casnile N
(2950)
(2950)
Pizzo Bacone
(3244)
Forcola del Riciöl
(3044)
Cime del Largo
(3188)
Cima di Spluga
(3046)
Forcola del Bacone
(3107)
Forcola del Largo
(2957)
Pizzo Casaccia
(3039)
Il bacino del Forno dai pressi della capanna del Forno (6 luglio 2011, foto Beno).
Il nuovo sentiero attrezzato che sale al rifugio Forno (26 agosto 2007, foto G. Orsucci).
mitigata dalle incantevoli fioriture di
rododendri ed erba iva in val Bona.
Ma i fiori appagano la vista, non
certo la gola secca dopo oltre 4 ore di
marcia! Così, vittime dell’arsura, ci
beviamo una birra alla salute del gigantesco ghiacciaio del Forno.
La ragazza che lavora al rifugio ci
76
Le Montagne Divertenti chiede se scendiamo a Maloja: avrebbe
delle lettere da spedire. Io le dico che
andiamo sulle cime del Largo, poi torniamo diretti a Chiareggio.
Le offriamo di imbucarle in Italia,
ma lei ci dice che le Poste Italiane perdono la corrispondenza. Purtroppo,
visto che non manca ad ogni uscita
della rivista un abbonato che non la
riceve, non posso che darle ragione.
Dal rifugio più tracce scendono
verso l’impressionante lingua del
ghiacciaio (e non è diplopia alcolica).
Attualmente solo una, su scale e roccette, è percorribile con poco pericolo:
la morena che separa il poggio roccioso
del rifugio dal fondovalle è alquanto
instabile e i blocchi che di continuo
rotolano giù rendono quantomai insicuri i vecchi itinerari.
Per imboccare la via buona ci portiamo a N del rifugio e seguiamo bolli
e le frecce. Qualche scaletta e passaggio
attrezzato ed eccoci al mostro di ghiaccio. La via più breve, e che seguiamo,
per portarsi sul versante opposto della
valle è quella che attraversa direttamente la crepacciata lingua del ghiacciaio. Se si la volesse evitare, si dovrebbe
guadare il torrente gonfio d’acqua di
disgelo o raggiungere il primo ponte,
ben più in basso.
Estate 2012
Giunti dall'altro lato del ghiacciaio,
per massi instabili ci portiamo alla
base del vallone sospeso a S del pizzo
Bacone, quello che culmina alla bocchetta del Riciöl4. Saliamo un primo
tratto molto faticoso tra massi mobili e
giungiamo alla fascia di placconate che
protegge il vallone. Senza voler star lì
a ragionare, le superiamo direttamente
arrampicando (II/III), ma scopriremo
che la via migliore sarebbe stata portarsi a sx per una ampia cengia obliqua
di rottami ed erba, quindi rientrare nel
vallone al di sopra delle placconate.
Ci troviamo in una conca di blocchi
al di sopra delle cascate del torrente. Tra
ganda e chiazze d’erba ci spostiamo a
NO (dx) fino ai piedi del grande salto
roccioso della cresta che scende dal
Bacone. Lì troviamo una cengia evidenziata dall'erba che porta (N) nel vallone
tra le cime del Largo e il pizzo Bacone.
4 - Nel dialetto locale riciöl significa pietra
arrotondata.
Le Montagne Divertenti I pizzi Torrone dal ghiacciaio del Forno (6 novembre 2010, foto Beno).
Giungere quassù è stata un’impresa,
tra macigni che rotolavano, placche
scivolose e la totale assenza anche
solo di una traccia, se non sull’ultima
cengia (qui abbiamo eretto qualche
ometto di pietra per integrare quelli
vecchi caduti).
Riprendono le gande ma all'improvviso, sotto un masso gigantesco, appare
un bivacco (m 2700 ca.). Avete capito
bene, un bivacco proprio nel mezzo di
queste gande desolate!
Entriamo e vi troviamo corde, ramponi, materassi, sacchi a pelo e addirittura spazzolino, dentifricio, caffè
e fornelli. La struttura, 2 metri per 3,
pare essere il ricovero di qualche alpinista solitario che quassù viene a conCime del Largo (m 3188)
77
Alpinismo
Porte di Valmalenco
frontarsi col le alte pareti di granito del
pizzo Bacone.
Stupefatti, riprendiamo la marcia
salendo verso O per altre faticose pietraie. Per fortuna presto la neve ricopre
interamente il fondo della vallata e
lenisce gli ultimi sforzi per la forcola
del Bacone (m 3107, ore 4).
Pare che le nuvole abbiano deciso di
nascondere tutte le vette, tranne quelle
vicino a noi. A NE, le nebbie si rincorrono vorticosamente attorno ad un’immane torre di granito: la principale
delle cime del Largo.
Dal cocuzzolo scende un possente
lamone rossiccio, in cima al quale sta lì
in equilibrio precario un masso sospeso
delle dimensioni di un furgone. La
vetta è all'apice di pareti verticali e a un
primo sguardo inaccessibili.
Klucker dimostrò il suo
sangue freddo nel tentare
per primo una simile
ascensione.
Con le scarpette d’arrampicata ai
piedi, 3 friend appesi all’imbraco e
una corda da 60 m ci lanciamo nell’avventura - per noi così a rischio zero.
Progrediamo sulla cresta dentellata
(N - II+), aggirando quanti più spuntoni possibili per via non obbligata.
Alla nostra sx è la vetta, sempre più
spaventosa.
Ad un certo punto a O (dx) dalla
dorsale su cui camminiamo, che corre
da S a N e prosegue verso la cima
Spluga, si stacca la linea orografica
secondaria che porta alla vetta culminante, per poi declinare verso le altre
due cime del Largo.
Varie torrette precedono la parete
finale. Aggiriamo le prime due (la
seconda è quella su cui mi trovo nella
foto d'apertura dell'articolo) da sx,
entriamo in passaggio tra i massi, da
cui usciamo a dx della cresta e ci portiamo per una placca alla base di un
gendarme piuttosto alto.
Abbandonato lo zaino, convenientemente ancorato perché non precipiti,
ci leghiamo.
Un erto camino piuttosto atletico
(4 m, IV) ci permette di aggirare
quest’ultimo dente (sosta su clessidra).
Siamo alla base di un placcone solcato
da due larghe fessure parallele che
tagliano da sx a dx il liscione. Usando
78
Le Montagne Divertenti quella di dx, ben proteggibile, esco
(15 m, III+) su una larga terrazza dove
trovo anche una sosta attrezzata con
cordini incastrati. Ha ora inizio il terzo
tiro, il più duro.
Mi sposto di qualche passo a dx e
attacco la fessura che contorna a dx la
lastra verticale incastrata nella parete.
Vi sono dei chiodi in fessura e pochi
appigli per i piedi. Se avessi gli scarponi li incastrerei e salirei più agevolmente. Le scarpette alla fine dei conti
non sono servite a molto.
Svelto afferro il bordo superiore della
lama e monto (sx) sulla sovrastante
cengia obliqua (4 m, IV+).
Volto l'angolo (spigolo SSE, sosta
per calata) e, percorso uno stretto
ed espostissimo cornicione5, giungo
ai massi accatastati della sommità
(cime del Largo - vetta culminante,
m 3188, ore 1:30).
oby mi raggiunge e ci guardiamo attorno pieni di stupore
per la verticalità e la precarietà di questa gigantesca struttura. Tante sono
le crepe, pare possa crollare da un
momento all’altro. Anche il massone
sospeso è davanti a noi. Troviamo lo
scatolotto di metallo del libro di vetta,
ma è vuoto.
Giungon le nebbie e iniziano a
rimbombare i tuoni. In uno squarcio
appare Casaccia, poi non si vede più
nulla. Meglio andarsene! Con 3 calate
in corda doppia sulle soste incontrate
in salita (verificare i cordini!), raggiungiamo lo zaino e poi senza più timore la
forcola di Bacone, dove inizia a piovere.
Scivoliamo sulla neve. Traversiamo la
cengia. Imprechiamo sulle placconate
che erroneamente ripercorriamo anche
in discesa. Rischiamo di lapidarci sui
massi mobili. Traversiamo la fronte
glaciale: si sente il soffio freddo del
mostro gelato che non si vuole arrendere quando si è nel vallone. Su per
le scalette al suono dei rolling stones e
siamo al rifugio, dove prendiamo l’ultima birra. Era da un po' che sognavo
un liquido diverso dall'acqua di disgelo
dei nevai. Giusto il tempo di bere e
arriva un secondo temporale che ci
flagella fino al passo del Forno. Alle
22:30 siamo già a Chiareggio.
R
Dai pressi della forcola del Bacone appare l'impressionante vetta culminante delle cime del
Largo. La freccia indica il punto in cui si trova Klucker nella foto a fianco (foto Beno).
Sul secondo tiro di corda (6 luglio 2011, foto Roberto Ganassa).
Klucker in arrampicata sulla vetta culminante delle cime del Largo. Come si vede il cliente non
lo sta assicurando e tiene la corda arrotolata sul braccio sinistro (fine '800).
Le cime del Largo dalla val Bregaglia (15 novembre 2008, foto Riccardo Scotti).
Estate 2012
Le Montagne Divertenti 5 - Il traverso si trova quasi in cima alla faccia
orientale del diedrone che costituisce il versante
SSE della vetta, ben visibile dalla forcola del
Bacone.
Cime del Largo (m 3188)
79
Escursionismo
Il periplo del
monte del Forno
Luciano Bruseghini
80
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti I ruderi dell'alpe Vazzeda Superiore e il
monte del Forno (20 settembre 2011, foto
Il periplo
del Bruseghini).
monte del Forno
81
Luciano
Escursionismo
Valmalenco e dintorni
Il periplo del monte del Forno (m 3214) è un’escursione molto scenografica che
permette di apprezzare diversi ambienti alpini: dal bosco di aghifoglie, al pascolo di
alta quota fino alle morene e ai ghiacciai. Con questo anello, inoltre, si potranno vedere
da vicino le vette che furono scenario delle incredibili ascensioni di Christian Klucker, la
grande guida alpina a cui è dedicato questo numero della rivista.
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: Chiareggio - pian del Lupo (m 1630).
Itinerario automobilistico: da Sondrio si
prende la SP15 della Valmalenco. Arrivati a Chiesa in
Valmalenco (12 km) si prosegue per il ramo
occidentale della valle fino a Chiareggio (10 km).
Oltre il paese si scende al pian del Lupo, nell’ampio
greto del torrente Mallero, dove si lascia l’auto.
Itinerario
sintetico: pian del Lupo (m 1630) -
alpe Vazzeda inferiore (m 1835) - alpe Vazzeda
superiore (m 2021) - passo del Forno (m 2775) capanna del Forno (m 2574) - passo del Muretto
(m 2560) - alpe dell'Oro (m 2010) - pian del Lupo.
Tempo previsto: 8 ore e mezza per l'intero giro.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Si attraversano nevai anche a stagione inoltrata,
portare l'abbigliamento adeguato.
Difficoltà/dislivello
in salita: 3 su 6 /
complessivamente oltre 1600 m.
Dettagli: EE. Itinerario su sentieri segnalati. Il
tratto capanna del Forno - passo del Muretto
presenta passaggi esposti.
Mappe consigliate:
come per le cime del Largo - vedi pagina 75;
la cartina schematica è a pagina 64.
Alle porte di Chiareggio. Sullo sfondo, da sx, la punta Baroni, il monte Sissone, - appena visibile - la cima di Rosso, la piramide della cima di
Vazzeda, col ghiacciaio dei Ciatté di Vazzeda, e, all'estrema dx, la cima di val Bona. All'incrocio tra val Sissone (sx) e valle del Muretto (dx),
appena oltre l'abitato di Chiareggio, si trova il pian del Lupo, lungo il quale si snoda parte del tracciato della Camminata dei Tre Ponti, gara non
competitiva di 6 km che, ogni anno, si svolge la domenica prima di Ferragosto (8 agosto 2010, foto Beno).
S
iamo alle porte della Valmalenco: metà del tracciato,
infatti, è in territorio svizzero. Si
tratta di una lunga passeggiata che
da Chiareggio risale la val Bona e,
attraversato il passo del Forno, porta
in Svizzera alla capanna del Forno
per infine tornare attraverso il passo
e la valle del Muretto. La gita può
essere convenientemente spezzata in
due giorni, con pernottamento alla
capanna del Forno (tel. 0041 081
82
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti 8243182).
Lasciamo l’auto nel vasto parcheggio dopo Chiareggio, sulla riva
del torrente Mallero, esattamente in
località pian del Lupo1 (m 1630).
Ci incamminiamo in direzione N
lungo la carrareccia che attraversa la
pineta, seguendo le indicazioni per
1 - Ai tempi dell'italianizzazione di tutti i
toponimi, si è pensato bene di tradurre ciàn de la
lòp, toponimo che faceva riferimento agli scarti
della cottura del ferro, con pian del Lupo!
i rifugi Tartaglione-Crispo e Del
Grande-Camerini.
Di coreografia è lo scenario superbo
della testata della val Sissone a sx,
con le cime di Chiareggio al centro,
e ai lati, un po' defilati, la parete N
del monte Disgrazia e il monte Sissone. Attraversato il torrente che
scende dalla valle del Muretto, un
cartello indicatore ci fa abbandonare
la strada sterrata per Forbicina in
favore del sentiero (dx) che risale il
Il periplo del monte del Forno
83
Escursionismo
Passo Sissone
(3149)
Passo di Vazzeda
(2967)
Monte del Forno
(3214)
Cima di val Bona
(3033)
Passo del Forno
(2775)
Rif. Del Grande - Camerini
(2563)
V
Le Montagne Divertenti A
L
CIAT
TÈ
B
O
N
A
A. Monte Rosso Sup.
(2220)
A. Vazzeda Sup.
(2021)
muretto
A. Monte Rosso Inf.
(1934)
A. dell'Oro
(2003)
alle
del
A. Vazzeda Inf.
(1835)
VA
L S
ISS
ON
E
A. Laresin
(1704)
Forbesina
(1659)
pian
del
2 - Bruno Galli-Valerio, Punte e Passi, traduzione a
cura di Antonio Boscacci e Luisa Angelici, CAI,
Sondrio 1998.
3 - La comitiva partì a piedi alle 3 e mezza del
mattino dal capoluogo.
4 - Le notizie sulla storia recente degli alpeggi sono
state fornite da Andrea Sem e Lorenzo Lenatti.
5 - Questo tratto di sentiero viene ripulito da
gruppi di volontari malenchi.
6 - Le tempistiche dei cartelli non coincidono con
quelle da noi valutate.
7 - Soprannome di Vittorio Moroni.
8 - L'alpe Vazzeda era sfruttata dai pastori di
Mossini.
84
Passo del Muretto
(2560)
V
fianco della montagna. Il tracciato,
che si sviluppa in un profumatissimo ambiente di aghifoglie, ricco di
frutti di bosco e funghi, piega verso
dx (NE) fino al torrente Vazzeda,
gonfio delle acque dei numerosi rigagnoli che solcano la conca compresa
fra la calcarea cima di Vazzeda (m
3302) e la granitica cima di val Bona
(m 3033).
Oltre un ponticello di legno, in breve
siamo all’alpe Vazzeda Inferiore
(m 1835, ore 1).
Bruno Galli-Valerio, raccontando
la sua salita da Sondrio alla capanna
del Forno del 26 luglio 1910, scrisse2:
"Alle due e un quarto3 arriviamo
all'alpe di Vazzeda inferiore (1830
m.). Numerose vacche al pascolo ci
guardano coi loro grandi occhi spalancati. Sostiamo là un po' di tempo ad
ammirare il gruppo del Disgrazia che,
da quel punto, appare in tutta la sua
bellezza."
Oggi parecchie baite sono diroccate, altre utilizzate come case
vacanza, ma i pascoli sono ancora
sfruttati nei mesi estivi dall'Azienda
Agricola Fratelli Lenatti con circa 30
capi. Il latte, munto in loco, viene
trasportato al pian del Lupo per la
lavorazione4.
Scarpinando per gli ultimi prati
del lato idrografico sx del torrente
Vazzeda, arriviamo in una zona ricoperta da radi alberi5. Alcuni tornanti
ci accompagnano al gradino roccioso
che fa da sipario all'abbandonata
alpe Vazzeda Superiore (m 2021,
ore 0:306).
Nel 1998 el Murunìn7è stato l'ultimo muşìn8 a caricare l'alpe Vazzeda,
cui competevano i Ciatéé, ovvero gli
ampi pascoli compresi tra le dorsali
orientali di cima di Vazzeda e cima
di val Bona. Da allora, esclusi un
Cima di Rosso
(3366)
Cima di Vazzeda
(3302)
Estate 2012
Le Montagne Divertenti lupo
Val Sissone e valle del Muretto viste dal torrione Porro. Sono
segnati i sentieri che dal pian del Lupo conducono al passo del
Forno e al passo del Muretto (20 sottobre 2011, foto Roberto
Ganassa - www.clickalps.com).
Il periplo del monte del Forno
85
Escursionismo
Valmalenco e dintorni
Il tracciato di discesa del passo del Forno alla capanna del Forno (6 luglio 2011, foto Beno). Un tempo questa conca era ricoperta da un ghiacciaio
e ben più insidiosa di adesso, come testimonia Bruno Galli-Valerio nel 1905: " Ci leghiamo e cominciamo la discesa del ghiacciaio dove i crepacci
sono coperti dalla neve. Siamo subito avviluppati dalle nebbie. Se non fossi già stato alla capanna del Forno, non potrei trovarla."
Mucche al pascolo all'alpe Vazzeda Superiore (estate 1993, foto
Franco Benetti).
Il ponte della val Bona (14 settembre 2011, foto Luciano Bruseghini).
86
Le Montagne Divertenti Verso il pian delle Marmotte (6 luglio 2011, foto Beno).
Passo del Forno (6 luglio 2011, foto Roberto Ganassa).
Estate 2012
paio d'anni di riutilizzo9, quassù non
salgono più né mucche né pastori.
Quasi tutti i tetti dei piccoli ricoveri sono crollati e anche la grande
baita pare non avere più le forze di
resistere: i suoi muri a secco si stanno
squagliando al tempo e la trave portante è sempre più in bilico.
Riprendiamo il cammino. Davanti
a noi si erge a guardiano della val
Bona l'inconfondibile e variopinto
monte del Forno, il cui toponimo
è legato agli antichi forni fusori per
estrarre il ferro dai suoi minerali che
si trovavano alle pendici del monte.
Alle nostre spalle è riconoscibile
il Buchèl del Can, valico sulla cresta tra il monte Senevedo (m 2561)
e la punta Rosalba (m 2809) che
mette in comunicazione la conca del
lago Pirola con la valle Orsera dov'è
il bel Lagazzuolo; ma a catturare
l’attenzione è comunque lo scivolo
ghiacciato della parete N del monte
Disgrazia (m 3678) e il pensiero che
di lì il Bianco è sceso con gli sci10!
Abbandoniamo i triangoli gialli
dell’Alta Via che guidano al rifugio
Del Grande-Camerini, e ci addentriamo nel lariceto (NO). Ai segnavia
bianco rossi italiani, ora si accompagnano quelli bianco-blu svizzeri.
A breve incontriamo una baita
diroccata; fa sempre parte dell'alpe
Vazzeda Superiore, ma chi trascor-
reva qui i mesi estivi faceva pascolare
le mandrie sull'orografica dx della val
Bona.
Valicati due torrentelli, risaliamo
un impervio costone facendo attenzione a non perdere il sentiero che
in questo tratto, a causa del terreno
sconnesso, rimane talvolta privo di
segnaletica. Al di là di alcune placche rocciose ecco il pian delle Marmotte (m 2200 ca., ore 0:30): siamo
entrati nella solitaria val Bona. La
cima di val Bona ci sovrasta dall’alto
dei suoi m 3033 e con il monte Rosso
(m 3088) delimita il lato occidentale
della valle.
I colori delle rocce sono assai eterogenei. Ciò è dovuto al fatto che proprio in questa zona vi è l’incontro di
due differenti tipologie di rocce che
provengono da fenomeni geologici
diversi. Quella chiara appartiene al
plutone del Màsino-Bregaglia, quella
scura alle ofioliti del monte del
Forno. Essendo costituite da minerali diseguali, granito ricco di quarzo
la prima e anfibioliti con ferro e
magnesio la seconda, il loro colore è
diverso.
Superato il torrente su un ponte
di legno, ci portiamo sul versante
sx idrografico e, ignorato sulla dx il
bivio per l’alpe Monte Rosso Superiore11, proseguiamo verso ONO
(sx). Il tracciato sale tra liste d'erba
e rottami fino a toccare un pianoro
9 - Nel 2003-2004 a Vazzeda salì Paganoni di
Albosaggia.
10 - Beno e Mario Sertori, "Le discese estreme del
Bianco", Le Montagne Divertenti, n. 13 Estate
2010.
11 - L'alpe Monte Rosso Superiore veniva
storicamente caricata da quelli di Arquino.
L'ultimo alpeggiatore è stato nel 2003 Renzo
Menesatti - classe 1924 . All'alpe competevano
anche i pascoli sull'idrografica sx della val Bona.
Le Montagne Divertenti erboso con massi, anche di grande
dimensione. Lo si costeggia da N,
poi, al termine di un largo canalone
di sfasciumi, appare l’ampia sella
rocciosa del passo del Forno. Risalito
un primo pendio tra grossi massi,
guadagniamo una conca ricoperta
di neve anche a stagione inoltrata.
Ormai siamo in dirittura d’arrivo,
un'ultima lotta con le pietraie ed
eccoci al passo del Forno (m 2775,
ore 1:45).
La valle che ci si apre innanzi (O)
è una laterale sx della grande valle del
Forno. In basso si intravede il gigantesco ghiacciaio del Forno che, seppure in continua ritirata, con la sua
lingua glaciale si spinge ancora fino
a m 2300. La capanna del Forno da
qui non è visibile, perché nascosta
da uno sperone roccioso; lo raggiungiamo compiendo un arco da dx a
sx sul primo nevaio12, quindi, usciti
dall'anfiteatro terminale della nostra
vallecola, per sentiero segnalato e ben
tenuto sull'orografica dx (m 2574,
ore 0:30).
Chi volesse spezzare l’escursione
in due giorni può pernottare qui,
optando anche per un bel bagno
caldo all’aperto nell’enorme tinozza
di legno posizionata sulla terrazza
con sfondo panoramico! La testata
della valle è racchiusa dalle imponenti guglie dei pizzi Torrone, con in
mezzo l’ago di Cleopatra, dalla punta
Rasica, dalla cima di Castello e dalla
cima dal Cantun.
12 - Quando non c'è neve ci si trova in una
scomoda pietraia.
Il periplo del monte del Forno
87
Escursionismo
Valmalenco e dintorni
P
er completare il circuito vi sono
due differenti percorsi che conducono al passo del Muretto: quello
più lungo contempla la discesa nella
valle del Forno13 fino a 2000 metri
dove si incrocia il sentiero proveniente dal passo del Maloja; l’altro, più breve e molto panoramico,
affronta un traverso in quota.
Noi optiamo per quest’ultima
soluzione e dal rifugio retrocediamo
verso il passo del Forno per un centinaio di metri fino ad un cartello indicatore. Attenzione: solamente qui è
segnalato il passo del Muretto, mentre poi occorre seguire le indicazioni
per il passo Maloja. Per non sbagliare
bisogna sempre insistere sul tracciato
che taglia la montagna in direzione
N e trascurare le altre diramazioni.
iprendiamo la salita su placche
rocciose e pietraie fino a scovare un piccolo laghetto (m 2730,
ore 0:50), parzialmente ghiacciato
anche nei mesi estivi. Ignoriamo la
traccia che si diparte sulla dx e conduce al pizzo dei Rossi (m 3026).
Un breve pendio ci porta a guadare
il gorgogliante ruscello da cui viene
captata l’acqua per il rifugio. Dopo
un tratto in leggera discesa, sempre
su pietraia, superiamo una ripida
gola che precipita a picco verso il
fondovalle14. Rimontata una corta
morena raggiungiamo il torrentello
che fluisce dal versante settentrionale
del monte del Forno. Ci abbassiamo
R
Il laghetto ai piedi del pizzo dei Rossi lungo il sentiero tra la capanna del Il passo del Muretto e il monte del Forno si specchiano nelle acque del
Forno e il passo del Muretto (14 settembre 2011, foto Luciano Bruseghini). lago di Cavloc (26 agosto 2007, foto Giorgio Orsucci).
13 - Il tratto di discesa dal rifugio è attrezzato con
catene, funi e scale, ma richiede attenzione.
14 - Avvertenza: una scivolata qui condurrebbe
sicuramente ad un tragico epilogo!
lungo una scomoda sponda erbosa
che ci indirizza a due piccole pozze
(m 2400 ca., ore 0:50): la seconda è
molto bella perché nelle sue acque si
specchiano il pizzo Fedox, il monte
e il passo del Muretto. Una breve
diagonale in discesa ci fa incrociare il
sentiero che dal lago Cavloc, visibile
chiaramente nel fondovalle, risale
tutto il versante e conduce al valico.
La fatica comincia a farsi sentire e
mancano ancora 200 metri di dislivello. Dopo un tratto poco erto nel
fondovalle, s'impenna la ripida china
di terreno instabile che ci regala il
passo del Muretto (2560, ore 0:40).
Qui è posizionato un ampio pannello che ci ricorda che stiamo
percorrendo il sentiero Rusca, un
tracciato che, partendo dal centro di
Sondrio, attraversa tutta la Valmalenco e arriva al passo del Maloja.
È dedicato all’arciprete di Sondrio
Nicolò Rusca che nel 1618, accusato
di aver sobillato i cattolici contro i
dominatori protestanti, fu catturato
dai Grigioni e portato, legato sotto
un mulo, lungo questo cammino,
fino a Thusis per essere processato.
Lì morì sotto tortura il quattro settembre dello stesso anno. A questo
seguì di ripicca il Sacro Macello,
ma in realtà le ragioni religiose nelle
guerre tra cattolici e protestanti,
che non avevano poi così tanti problemi a convivere, erano dei pretesti per giustificare lotte politiche ed
economiche.
All'altezza del valico, sul versante
italiano, due case dei cacciatori sono
state riaccomodate ed ora sono abita-
Il Pro Shop Patagonia è in Valtellina!
Margherite al passo del Muretto (14 settembre 2011, foto E. Minotti).
88
Le Montagne Divertenti zioni private.
nizia la discesa. Il sentiero è
ampio e si snoda in una pietraia.
È un ottimo tracciato, in quanto,
ancora nell’ottocento, veniva utilizzato per trasportare vino, piode
e altre mercanzie dalla Valtellina
all’Engadina. A un centinaio di metri
dal valico sgorga un piccolo ruscello
che, digradando, si ingrossa fino a
diventare uno dei principali affluenti
del torrente Mallero. Arrivati a m
2200 ca., il sentiero si trasforma in
un comodo tratturo che porta all’alpe
dell’Oro. Questa carrareccia faceva
parte di un progetto militare che
prevedeva una strada jeeppabile che
da Chiareggio conduceva al passo del
Muretto, ma fu abbandonato negli
anni Trenta del novecento.
Raggiunto lo splendido alpeggio
dell’alpe dell’Oro (m 2010, ore
1:10), posto sopra un dosso che
guarda la val Sissone e la parete N
del Digrazia, ci abbassiamo sempre
più lungo la strada sterrata che ora si
sviluppa in un fitto bosco di larici e
abeti. Aiutati da diversi tornanti e da
alcune scorciatoie, perdiamo quota
rapidamente e arriviamo alla locanda
"Pian del Lupo", in corrispondenza
della quale è la strada in discesa che
ci riporta al pian del Lupo dove
abbiamo lasciato l’auto15 (m 1630,
ore 0:40).
I
15 - Nei mesi estivi Chiareggio è servita da autobus
di linea. Sul sito http://stps.it si trovano gli orari
delle corse Sondrio-Chiesa-Chiareggio.
3 Passi - Morbegno - Piazza Marconi
Baita dell'alpe Oro, sullo sfondo il Disgrazia (7 agosto 2008, foto Orsucci).
Estate 2012
Le Montagne Divertenti Il periplo del monte del Forno
89
Un po' di storia
Valmalenco e dintorni
La capanna del Forno
Raffaele Occhi
La capanna del Forno oggi: si noti la considerevole diminuzione di spessore del ghiacciaio rispetto al
1933 (6 luglio 2011, foto Roberto Ganassa).
ristrutturazione della capanna, impegnandosi come sempre a sostenerne i
costi; il lodevole proposito restò purtroppo incompiuto, a causa della “maledetta guerra mondiale”.
La capanna, dopo la guerra, venne
donata da Curtius alla sezione Rorschach del Club Alpino Svizzero, e più
volte ampliata.
Nei suoi pressi dovette passare senza
trovarla, il 12 marzo 1944, Ettore Castiglioni in fuga dal Maloja, braccato dalla
tempesta prima della tragica fine.
Oggi la capanna del Forno è uno
splendido e assai frequentato rifugio
con oltre 100 posti-letto.
Bruno Galli-ValeriO
La capanna del Forno1
La capanna del Forno e la testata della valle del Forno con, da sx, i pizzi Torrone, la punta Rasica e, all'estrema dx, la squadrata cima di Castello
(26 luglio 1933, foto Alfredo Corti - lastra su vetro 6x6 - archivio CAI Valtellinese sez. di Sondrio).
“S
crivono da Sils­
-Maria (Engadina) che per la prossima estate
sarà compiuta una nuova capanna del
C.A.S. al ghiacciaio del Forno, sopra un
ripiano di roccie a sud-ovest appiè del
Monte del Forno, al­l’altezza di m. 2500
ca ed a tre ore di distanza da Maloggia.
Questa capanna agevolerà l’ascensione di
almeno 18 cime, fra le quali la Cima di
Rosso, il Pizzo Torrone ecc., e la traversata
di otto passi; di là si potrà raggiungere
anche il Monte della Disgrazia in 8 ore
circa”.
Solo su un punto il trafiletto della
90
Le Montagne Divertenti Rivista Mensile del CAI del 1888 era
in errore: l’attribuzione al Club Alpino
Svizzero, fin dalle origini, della nuova
capanna.
L’idea di costruire un rifugio lassù,
che permettesse di spezzare il lungo
percorso tra il fondovalle del Maloja
e le cime, fu concepita da Christian
Klucker e Theodor Curtius durante
le marce di avvicinamento al pizzo
Bacone, alle cime del Largo, al Sissone.
Dall’idea all’azione: Curtius, insieme al
fratello Friedrich – entrambi innamorati delle montagne della val Bregaglia
ancora prive di rifugi, e della valle del
Forno col suo meraviglioso ghiacciaio
in particolare – decide di assumersene
l’onere; dopo diversi sopralluoghi per
stabilire il luogo più appropriato, nel
1889 viene finalmente inaugurata la
nuova capanna: “è divisa in due stanze,
assai bene disposta e arredata, e può dar
comodo al­loggio a 24 persone.”
Klucker, cui Curtius aveva affidato
la responsabilità del rifugio, fu anche
il primo a pernottarvi con NormanNeruda, i Tauscher e le loro guide. Tanti
altri alpinisti seguirono; il Galli-Valerio,
Estate 2012
nel tessere gli elogi della splendida
capanna, affermò che
“chi visita V. Malenco e non
fa una punta alla capanna
del Forno, per la facile
forcella omonima, perde
l’occasione di ammirare uno
dei più splendidi panorami
d’alta montagna.”
Nel 1912 Curtius, che ogni autunno
vi saliva in visita con Klucker, pensò che
fosse giunto il momento di una radicale
Le Montagne Divertenti "La capanna del Forno (2661 m.)
è bellissima. Di forma rettangolare, è
divisa in due metà : L'una chiusa, in
cui stanno cuccette e coperte, l'altra
aperta, contenente 6 cuccette con paglia,
un fornello, una pentola, un tavolo ed
una panca.
Vi si sta benissimo.
La situazione di questa capanna, è
incomparabile. Posta su di un promontorio, che si incunea nel ghiacciaio del
Forno, domina tutto questo immenso
fiume di ghiaccio, e l'orizzonte, vastissimo, è chiuso dalle eleganti cima
di Rosso, dai Torroni, dalla cima di
Castello, di Cantone ecc. Qui manca
completamente la sensazione di soffocamento, che si prova in molte altre
capanne, troppo rinserrate fra alte cime.
1 - Tratto da La Valtellina (11 novembre e 10
dicembre 1905).
Chi visita V. Malenco e non fa una
punta alla capanna del Forno, per la
facile forcella omonima, perde l' occasione di ammirare uno dei più splendidi
panorami d'alta montagna. [...]
Alle 3 e 1/2, rientriamo alla capanna
del Forno. In attesa della cena, passiamo
il tempo a cercar noccioli di albicocca e
di pesca.
La ricerca è fruttuosa, e lassù a più
di 2000 metri, quei poveri nocciuoli,
ci sembrano squisiti. Più pratico di
noi, Luigi cerca legna, e la scoperta di
una vecchia cassa da petrolio, nascosta
nella ganda, ci assicura il fuoco per la
sera. Dopo cena, stiamo sorbendo il
caffè, quando fanno la loro apparizione
un tedesco ed una guida. Il primo si
lamenta con me, perchè la sua guida,
dal mattino in poi, non ostante il tempo
splendido, continua a predire la pioggia.
Alzo le spalle.
Si sta tanto bene alla capanna del
Forno!
Ho bevuto tanto caffè, che la notte mi
è impossibile dormire.
Esco dalla capanna.
Il Daudet ha scritto, che se il giorno
è la vita degli esseri, la notte è la vita
delle cose: un silenzio infinito domina
su quell' immensa estensione di ghiacci
e di nevi, luccicanti sotto i raggi della
luna. I giganti che si rizzan d'intorno,
appaiono ancor più grandi, e se si fissano, sembrano mettersi in movimento,
e spostarsi tutt' intorno alla capanna.
Di tanto in tanto, lo scroscio di un
serac che precipita, pare la voce di quei
giganti. Lontano, sotto la cima di Rosso,
mi par veder passare i poveretti precipitati lo scorso anno [...]."
La capanna del Forno
91
Escursionismo
Valchiavenna
Traversata del Groppera,
da Angeloga a Motta
Enrico Minotti
La magnifica conca di Angeloga (15 giugno 2011,
foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com).
92
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti Traversata del Groppera
93
Escursionismo
Valchiavenna
Prerogativa dell’andar per monti è l’atavico, interiore desiderio di vedere di più
e più lontano, di aprire lo sguardo e l’animo agli ampi spazi offerti dalle alte vie.
L’uomo del terzo millennio, spesso costretto a spazi minimali e ai viali “canyon”
delle fumose e caotiche città, vive sognando una tregua di pace in valli amene, dove
passeggiare tra coloratissime e odorose distese di fiori, dove sedersi per ammirare
in silezio le delicate tinte dell’alba e i toni caldi dei tramonti infuocati. Questi
luoghi non sono chimere, bensì sono dietro l’angolo, a qualche ora di cammino.
Ad esempio, da Fraciscio ...
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: Fraciscio (m 1341).
Itinerario automobilistico: da Chiavenna
seguire la SS36 dello Spluga in direzione del passo
dello Spluga fino a Campodolcino (13,4 km).
All'altezza della chiesa, prima del ponte sulla
Rabbiosa, seguire l'indicazione per Fraciscio. In
paese, nei pressi del cimitero, c'è un ampio
parcheggio, oppure si può lasciare l'auto 1 km più
avanti, in località Soste. È possibile raggiungere
Campodolcino anche con autobus di linea (per gli
orari consultare il sito www.valchiavenna.com).
Itinerario sintetico: Fraciscio (m 1341) –
Soste (m 1445) – rifugio Chiavenna (m 2044) –
statua della Madonna d'Europa (m 1924) – alpe
Motta (m 1750) - Fraciscio (m 1341).
Tempo previsto: 5 ore.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello: 2 su 6 / circa 900 m.
Dettagli: EE. Escursione su sentieri segnalati e
mulattiere rurali. Tratti esposti ma ben protetti nel
traverso Angeloga-Motta.
Mappe:
Kompass n. 92 Chiavenna - Val Bregaglia,
1:50000.
Il solivo paese di Fraciscio sorge ai piedi del pizzo Groppera (10 agosto 2011, foto Enrico Minotti).
L’
escursione sulle pendici del
pizzo Groppera che proponiamo è adatta veramente a tutti, con
l’unica accortezza di sfruttare la frescura
mattutina in quanto questo sentiero,
magnificamente esposto a O,in estate
è già pienamente soleggiato dalle nove
del mattino, e alcuni strappi, come
nel tratto del “Calvario”, vengono resi
ancor più faticosi dalla calura.
Lasciata la SS dello Spluga a Campodolcino (m 1070), raggiungiamo con
una serie di tornanti il solivo abitato di
Fraciscio (m 1341), 170 anime divise
in 58 nuclei familiari, come recita il sito
www.fraciscio.it.
A E del paese, con poco cammino,
arriviamo alle caratteristiche baite della
frazione Soste (m 1442, ore 0:15),
94
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti dove vi è possibilità di parcheggio.
Seguiamo per un breve tratto la strada
sterrata (E) che si inoltra nella valle,
cercando sulla nostra sx la palina indicatrice del vecchio sentiero1 che corre in
un bel bosco di larici e abeti rossi2. Risaliamo la valle della Rabbiosa, fiancheggiando per un buon tratto l’omonimo
torrente. Lasciato il bosco prendiamo
quota sul ripido e pietroso lato dx orografico della valle, superando alcuni
costoni e un torrentello sino a raggiungere il bivio a m 1620. Ignoriamo la
traccia che si addentra nel fondo valle
(E) ad una piccola chiusa e pieghiamo
invece a sx, affrontando così il tratto
1 - Segnavia bianco-rosso, sentiero C3.
2 - In alternativa si può seguire la strada sterrata
che, al suo termine, si ricongiunge al sentiero.
più faticoso dell’escursione, “il Calvario”, un ripido pendio che conduce al
caratteristico intaglio roccioso detto “la
Pizeta” (m 1900).
Il pizzo Stella occhieggia a dx, la via
spiana e raggiungiamo una valletta
percorsa da un placido torrentello.
Una scritta sulla parete alla nostra sx
ci avvisa che mancano dieci minuti al
rifugio. Costeggiamo il ruscello sino
a superare l’ultima balza che ci separa
dalla magnifica piana di Angeloga
(m 2039, ore 1:30).
Angeloga, ovvero il “luogo degli
angeli”. L’ardita ed elegante piramide
del pizzo Stella che, vanitoso, si specchia
nelle cristalline acque del lago, le suggestive baite, coloratissime distese di rododendri, il silenzio sovrano rotto solo
Traversata del Groppera
95
Escursionismo
Valchiavenna
Piz Platta
(3392)
Pizzo Groppera
(2948)
Pizzo Peloso
(2780)
Lago Nero
(2358)
Angeloga
(2038)
Motta di Sopra
(1850)
Madonna
d'Europa
(1927)
Ca
lva
rio
Soste
(1442)
Fraciscio
(1341)
Motta
(m 1725)
Le montagne di Motta e Fraciscio e la valle della Rabbiosa visti dal pizzo Quadro (4 agosto 2007, foto Enrico Minotti).
da campanacci e armenti al pascolo,
rievocano la quiete e ritmi di vita ormai
dimenticati.
Imperativa una sosta presso gli ospitali
Monica e Matteo Pedroncelli, gestori
dello storico e confortevole rifugio
Chiavenna3. Continuiamo l’escursione
in direzione (NO) seguendo i segnavia,
in leggera salita, verso la sommità di un
dosso (m 2100) e i ruderi della funivia che servì al trasporto del personale
tecnico addetto alla costruzione della
gigantesca diga in val di Lei.
Il sentiero, sempre ben segnalato e
visibile, traversa a mezza costa il versante meridionale del pizzo Groppera,
senza mai essere impegnativo. Molto
aereo, ma ben protetto nei tratti esposti,
offre straordinari panorami su tutta la
valle Spluga.
l pizzo Peloso e i tre canaloni ghiacciati del pizzo Stella a E, la cresta
del Calcagnolo con il suo tetro canalone
di sfasciumi a S. Quasi in verticale sotto
di noi il luccicare dei tetti di Fraciscio
e delle acque della Rabbiosa. Poco oltre
i dolci verdi declivi di Mottala e Gualdera, più lontano a O, i profili azzurrini
I
Angeloga e il pizzo Stella (5 giugno 2011, foto Roberto Ganassa).
96
Le Montagne Divertenti Estate 2012
3 - Inaugurato il 15 luglio 1928 è di proprietà della
Sezione CAI Chiavenna. Contatti: tel. 0343/50490
- email: [email protected].
Le Montagne Divertenti delle Camoscie, del pizzo Forato, del
Sevino e del Quadro.
Guadagniamo in breve l’altura dove
c'è la statua della Madonna d’Europa4
(m 1924).
Lo sguardo vaga libero in lontananza:
ampie distese di pascoli, dolci pendii
verdeggianti incorniciati da folti boschi
di conifere a tratti interrotti da chiazze
di prato da sfalcio, dove occhieggiano i
tetti delle baite. Sembra quasi di sentire
lontano nel vento il suono del corno. Sì,
il corno di becco (maschio della capra)
che era in ogni alpe e veniva suonato per
segnalare l’avvenuto carico dell’alpeggio
e in certi momenti come per dire: noi
ci siamo! E l’alpeggio vicino rispondeva
con il suo corno.
Ogni alpe aveva un suono riconoscibile: Fop, Fupeta, Casun, Munt,
Pianei, Munt da bas (Monte dell’Avo)
e Calcagnolo. Veniva suonato anche
in certe serate, quando qualcuno
era in solitudine e cercava una sorta
di solidarietà dall’alpeggio vicino.
4 - La statua metallica, alta 13 metri e del peso di 4
tonnellate, è ricoperta di lamina d'oro e fu eretta il
15 ottobre 1957, anno della fondazione della
Comunità Economica Europea. Realizzata dallo
scultore Egidio Casagrande e posizionata su una
base di forma circolare, si trova esattamente al
centro del bacino idrografico europeo.
Scendiamo a Motta5 (m 1750, ore
1:45) seguendo la comoda pista sterrata, o al dritto per ripidi pascoli6.
Attraversiamo in piano la bella conca in
direzione S e, dietro l’imponente edificio della Casa Alpina di Motta7, ritroviamo la nostra traccia. Perdiamo quota
rapidamente sull' agevole sentiero che
si snoda per prati, toccando l'alpe de la
Mutala.
Al bivio (m 1620), ignorata l'indicazione per l'alpe Fontana, teniamo a sx
addentrandoci in un magnifico bosco
di larici. Iniziamo ora un lungo traverso
in leggera discesa che, quando permesso
dalla vegetazione, offre sorprendenti
scorci sulla piana di Campodolcino.
Superato il Munt da bas, il bosco dirada
e in breve raggiungiamo Fraciscio
(m 1341, ore 1:15).
5 - Motta deriva da “mot” o “mut” cioè poggio o
motto; infatti si trova sui resti della morena di un
antico ghiacciaio.
6 - Sui prati di Motta il 6 settembre 2009 si sono
svolti, su percorso muscolare ma poco tecnico, i
campionali mondiali di corsa in montagna. Ad
aggiudicarsi il titolo è stato l'ugandese Geoffrey
Kusuro che ha percorso i 13 km della gara in
54'51''. In quarta posizione è giunto l'italiano
Bernad Dematteis, ottavo il bormino Marco De
Gasperi, staccati di meno di 2' dal fuoriclasse
africano che vanta un personale di 13' e 11" sui
5000 metri.
7 - Casa per vacanze voluta dal prete milanese Don
Luigi Re.
Traversata del Groppera
97
Escursionismo
Valchiavenna
Angeloga con gli occhi di un bambino
U
Il pizzo Stella e il lago di Angeloga dal sentiero Angeloga - Motta (17 agosto 2005, foto Enrico Minotti).
La statua della Madonna d'Europa.
98
Le Montagne Divertenti Alpe de la Mutala. Sullo sfondo la Casa Alpina di Motta (16 agosto 2011, foto Enrico Minotti).
Estate 2012
scivamo la mattina presto dalla casa del signor
Simeone a Fraciscio, dove stavamo
a pigione per tutta la bella stagione.
La mamma davanti con l’abito estivo
di tutti giorni e un golf di lana, perchè finchè non usciva il sole faceva
freddo. Ai piedi le ciabatte con la
suola di sughero e il tacco appena
accennato, che erano comode per
andare in montagna, e la “sporta” di
stoffa pesante rossa, punteggiata da
minuscoli fiorellini neri con i manici
bianchi di plastica, contenente i
panini e l’aranciata per il pic-nic in
riva al lago e che portavamo su dandoci il cambio.
Ancora non sapevo che l’Angeloga è
il luogo degli angeli, ma mi piaceva lo
stesso, anche se a volte mi sembrava
troppo lontano. Come smarrito in un
sogno, seguivo l’ombra di mia madre
mentre le nebbie mattutine si dissolvevano ai primi raggi di sole. Ovunque fiori, forse esempio massimo della
grazia che la natura può donare ad un
essere vivente. Lietamente salivo e il
rumore di acque scorrenti e leggeri
freschi vortici di vento scendenti dai
monti mi avvolgevano, portandosi
via ogni pensiero e fatica. Fantasticando - gli occhi fissi ai profili delle
creste che immaginavo un giorno
di percorrere, abbacinato da fulgidi
contrasti di prati fioriti e maestose
scure pinete, inebriato dal granito e
dal profumo degli aghi di pino - sotto
il sole mi inerpicavo leggero su per
il “ Calvario”. Si raggiungeva così il
lago, disteso in una magnifica piana
totalmente priva d'alberi e cosparsa di
macigni affioranti dalla bassa vegetazione, un soffice e compatto manto di
erbe come una sorta di macroscopica
muffa, costellato tutto intorno e su
per i versanti da sfavillanti drappi di
velluto rosso e rosa dei rododendri.
Fra le baite, i silenzi solenni, il bel
lago, il granito, i rododendri e il cielo
azzurro sempre sereno dell’infanzia, il
soave suono della voce di mia madre
nell’aria cristallina che, chiamandomi, dolcemente allungava le vocali
del mio nome.
Le Montagne Divertenti Da sx Elia Trussoni, Angelo e Sergio Levi. Sullo sfondo il pizzo Peloso (inizio anni '50, foto
archivio Davide Trussoni).
Paolo Trussoni, detto Paulin, munge le sue vacche ad Angeloga (inizio anni '50, foto archivio
Davide Trussoni).
A
nsioso, di volta in volta sono
tornato al lago che magicamente rifletteva lo Stella, le montagne
d’intorno e i miei smarrimenti giovanili. Vi salgo per vedere e accertare,
rinfrancandomi, che quel luogo esiste
davvero e mi appartiene soltanto per
l’immagine che mi ero costruito e
cerco di conservare dentro di me.
E alla fine capisco che, anche dopo
tanti anni, Angeloga è ancora capace
di evocare suggestioni ed eccitare la
mia fantasia.
Angeloga con gli occhi di un bambino
99
Escursionismo
Tra Sobretta
e Gavia
fuori dalla pazza folla!
Santa Caterina di Valfurva è un centro turistico che ben raramente rallenta
la sua attività. Famosa in inverno per lo sci alpino e di fondo, celebre in
primavera per lo sci alpinismo, frequentatissima in estate come cuore
lombardo del Parco Nazionale dello Stelvio. Non è raro, raggiungendo in
auto i Forni, anticamera del mondo di vette e di ghiacci del Cevedale e del
Gran Zebrù, faticare a trovar parcheggio. E la strada del mitico passo di Gavia,
realizzata solo nel 1916 dal nostro Genio Militare, in estate pullula di ciclisti,
moto ed auto provenienti da tutta Europa: fare il Gavia è considerato, forse
più all’estero che in Italia, un vero blasone per chi viaggia a 4 ed ancor più
a 2 ruote.
Ma se tutto questo è ben noto al turismo e all’escursionismo di massa, esiste
pure un’area, a due passi da Santa Caterina che (fortunatamente) non è
stata ancora scoperta dai vacanzieri...
Alba al lago Bianco al passo di Gavia. Sullo
sfondo da sx monte Confinale, Ortles, monte
Zebrù, Gran Zebrù e sulla dx pizzo Tresero, punta
Pedranzini e punta San Matteo (12 agosto 2011,
foto Giacomo Meneghello - www.clickalps.com).
Eliana e Nemo Canetta
100
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti Tra Sobretta e Gavia
101
Escursionismo
Alta Valtellina
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: Santa Caterina (ponte sul
Frodolfo (m 1734).
Itinerario
automobilistico: da
Bormio prendere la SP 300 per Santa
Caterina (13 km). C'è un ampio
parcheggio all'inizio della strada per i
Forni, in prossimità degli impianti di
fondo.
Itinerario sintetico: Santa Caterina
(ponte sul Frodolfo (m 1734) - Vedig
(m 1777) - Sclanera (m 2042) - Plaghera
di Fuori (m 2088) - rifugio Sunny Valley
(m 2606) - passo dell'Alpe (m 2461) quota 2920 - rifugio Bonetta al passo di
Gavia (m 2618).
Difficoltà/dislivello
2.5 su 6 / 1500 metri
in salita:
Tempo previsto: 7 ore.
Attrezzatura richiesta: scarponi.
Dettagli: EE. Escursione su sentieri
solo in parte segnalati.
Mappe: Kompass n.72 - Parco
Nazionale dello Stelvio, 1:50000.
Variante di salita: la salita al
monte Gavia è classificata come
"alpinistica facile +". Vi sono passi su
roccia fino al II grado (2:15 ore dal
rifugio Bonetta). Si consiglia uno
spezzone di corda e l'imbraco.
Esiste un'area appena sopra Santa Caterina che permette
all’escursionista che vuole battere vie meno frequentate e meno
alla moda, di assaporare atmosfere d’altri tempi; conoscendo un
ambiente, forse meno grandioso, ma non certo meno interessante
di quello delle grandi mete e ove, durante gli anni di ferro e di
fuoco dal 1915 al ’18, avevano palpitato la vita e le ansie dei nostri
soldati. Ci riferiamo ai massicci del Sobretta e del Gavia che, pur
visibilissimi, scontano un poco la minor quota rispetto ai colossi
dell’Ortles-Cevedale; fatto del resto già segnalato nella guida “Regione
dell’Ortler” di Bonacossa del 1914.
S
e pensiamo che allora l’alpinismo era certo più attento alle
vette minori di quanto sia oggi, ben
possiamo comprendere come queste
montagne sappiano veramente offrire
scenari di silenzio e di tranquillità,
difficili da trovare altrove. Ma c’è
dell’altro. Il nostro itinerario si collega
idealmente alla traversata escursionistica dal Gavia al Tonale; una lunga
galoppata, in gran parte su sentieri
militari, per conoscere un altro settore di montagne e trincee poco note
e trascurate, specie da chi abita in
Valtellina: le costiere dal Corno dei
Tre Signori alle rupi dell’Albiolo. Ne
parleremo prossimamente, per completare la lunga traversata, di cui ora
descriveremo la tratta che si svolge in
Alta Valtellina, proponendo un percorso non inedito - ma certo ben poco
frequentato.
D
al ponte coperto sul Frodolfo
nei pressi di piazza Magliavaca
Santa Caterina (m 1734), si va a SO,
si traversa la SS 300 del Gavia (sx) e si
prende via Vedich, percorsa la quale si
raggiunge la frazione Vedig e la si traversa su una stradella che, poco dopo,
penetra nel fitto del bosco. Sottopassati gli impianti di risalita, al di là delle
piste ecco l’incassato rio di Sclanera,
che varchiamo al ponte dei Sospiri,
poco sopra una fragorosa cascata.
La stradella, tranquilla e silenziosa,
continua in direzione NO nel bosco
di Cornogna; noi invece prendiamo
decisamente a SO un sentiero che
risale lungo l’orlo del torrente. In 250
metri eccoci all’improvviso al grumo
102
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti di baite di Sclanera (m 2042), una
località che, pure vicina agli impianti,
con la sua architettura lignea ci fa tornare indietro nel tempo. A monte ci
sovrasta la Costa Sobretta, orlata dai
residui di un paio di ghiacciai; sull’opposto versante i fitti boschi di Ables,
dominati dal Confinale. Trascurati
altri sentieri imbocchiamo, verso
SSO, un buon tracciato che ci permette di guadare il rio di Sclanera e
di guadagnare l’area sciistica di Santa
Caterina.
ale la pena di narrare come
questa zona fosse già consigliata, anche senza impianti, da pubblicazioni del TCI negli anni ‘30 del
XX secolo; in seguito vi fu costruita
una slittovia, rudimentale impianto di
risalita che costituiva pur sempre una
grande facilitazione per gli sciatori.
Ovviamente non esistevano piste per-
V
manenti: ognuno sceglieva, tra boschi
e radure, il percorso preferito!
T
ransitando da Plaghera di
Fuori (m 2088), ci portiamo
alla stazione intermedia degli impianti
(m 2120 ca.); a questo punto è giocoforza continuare lungo la pista sciistica, affiancata da un tracciato per
4x4 che, aggirato il dosso Sobretta,
porterà alla stazione superiore e al
rifugio Sunny Valley. La pista, a tratti
ripida, offre belle visuali sull’antistante
valle dei Forni e sulle vette che la rinserrano; quindi ci si affaccia all’imbocco della valle del Gavia, dominata
dall’inconfondibile piramide del Pizzo
Tresero.
Verso quota 2570, siamo nei pressi
di un caratteristico fungo di roccia calcarea (targa); poco oltre eccoci sotto il
dosso Sobretta (m 2617). Nei pressi
Tra Sobretta e Gavia
103
Escursionismo
Alta Valtellina
Il sentiero militare nella vallecola calcarea del torrente dell'Alpe (13 ottobre 2007, foto Canetta).
Il rifugio Sunny Valley. In lontananza a sx la cima Sforzellina e la piramide del Corno dei Tre Signori, cime che dominano il passo di Gavia.
Sulla dx invece la cima di Gavia che domina la valle dell'Alpe (1 settembre 2010, foto Giacomo Meneghello).
della sommità si trovano i resti delle
trincee che costituivano il lato settentrionale delle fortificazioni a difesa
del passo dell’Alpe e della val di Rezzalo da eventuali offese da parte degli
austriaci. Particolarmente interessante
il panorama, che ben chiarisce perché
la posizione fosse stata scelta dai militari: la vista spazia infatti su gran parte
della Valfurva, sull’antistante valle dei
Forni e a S sulla valle del Gavia e le
vette che la rinserrano.
Continuando lungo il tracciato
della pista, con un ultimo strappo
si giunge al rifugio Sunny Valley
104
Le Montagne Divertenti (m 2606, ore 3), ubicato nei pressi di
un laghetto artificiale e dello snodo di
due tratte degli impianti sciistici.
L’ambiente è d’alta montagna:
macereti, barre rocciose, magri
pascoli; a ONO si alzano le grandi
morene lungo il graduale pendio che
risale verso la sommità del Sobretta.
La facile vetta è la regina di questo piccolo gruppo montuoso compreso tra
la Valtellina vera e propria e il versante
orografico sinistro della Valfurva. Un
massiccio ancora poco frequentato,
inserito solo nel 1977 nel territorio
del Parco Nazionale dello Stelvio.
Sull’opposto versante della valle spicca
ad E la piramide del pizzo Tresero
(m 3594) che, durante la Grande
Guerra, fu occupata dagli italiani
nel 1917. Essa costituiva un importante punto di difesa e d’osservazione, rispetto alle linee asburgiche
che dominavano la valle dei Forni.
Infatti dalla cima si potevano controllare quasi tutte le celebri Tredici
Cime: la catena di vette, tutte oltre
i 3400 metri, che unisce il Tresero
al Cevedale. Verso S sono invece le
rupi ferrigne della Costa di Gavia,
che culmina con la cima omonima
Estate 2012
Galleria militare a quota 2507 nella valle dell'Alpe (13 ottobre 2007, foto Canetta).
(m 2991). Più a SO la costiera della
quota 2920, che signoreggia sul sottostante passo dell’Alpe e che risaliremo
nella seconda parte dell’itinerario.
Ancora più oltre, la torre
rocciosa del monte di Gavia
(m 3223), una delle vette
più attraenti delle costiere
che si estendono tra il
passo di Gavia e quello del
Mortirolo.
I
nizia ora un percorso su tracce
e vecchi sentieri di guerra, senza
Le Montagne Divertenti indicazioni, che richiede senso d’orientamento, buona visibilità e un
minimo d’attenzione.
Dal Sunny Valley traversiamo, in
direzione SSO, piste ed impianti di
risalita sino al minuscolo specchio
d’acqua di quota 2570; sul crestone
antistante, con un po’ di ricerca, possiamo scoprire tratti di trincee. Dal
laghetto scavalchiamo un dosso verso
O, affacciandoci all’incassata valletta
del torrente dell’Alpe, sempre ricco
d’acqua. Il luogo è particolare poiché
il ruscello traversa una potente bancata di rocce calcaree marmorizzate,
dando origine a caratteristiche forme
d’erosione. Il sentierino divalla, verso
SE sino a raggiungere il fondo di una
minuscola forra il cui sbocco domina,
a mezzodì, gli ampi ripiani prativi del
sottostante passo dell’Alpe. È facile
osservare, sulle rupi che rinserrano il
torrente, gli imbocchi di due gallerie di guerra che portano a feritoie a
controllo della zona; mentre la galleria
sulla dx è raggiungibile ma sconsigliabile, quella sull’opposto versante
può essere visitata senza particolari
problemi.
Tra Sobretta e Gavia
105
Escursionismo
Alta Valtellina
Quot
a 292
0 / rif
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i / rif.
2730
Bonet
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gallerie
gallerie
gallerie
trincee
Passo dell'Alpe
(2461)
Archeologia militare e tracciato escursionistico visti dai pressi del passo dell'Alpe (13 ottobre 2007, foto Canetta).
T
raversiamo il corso d’acqua su
un caratteristico ponte naturale
e guadagniamo il successivo testone
roccioso, quota 2623. Non resta che
scendere il ripido versante SO del
cucuzzolo, per raggiungere - senza
via obbligata - l’ampia sella del passo
dell’Alpe (m 2461, ore 1), valico che
collega direttamente la Valtellina alla
conca di Santa Caterina.
Il passo dell'Alpe era considerato un
punto strategico di primaria importanza; infatti se gli austriaci, discesi
a Santa Caterina, avessero forzato il
passo sarebbero giunti, attraverso la
val di Rezzalo, addirittura nella conca
di Sondalo, aggirando ogni difesa italiana alla stretta del ponte del Diavolo.
Un problema di cui si erano accorti,
già nel 1859, i patrioti valtellinesi
attestati alla stretta che, non a caso,
avevano inviato pattuglie nell’alta val
di Rezzalo per scongiurare il possibile
aggiramento.
Ecco allora che, nel 1915, i nostri
comandi provvidero a fortificare il
valico, sia con le opere appena citate,
sia con trinceramenti e siepi di filo
spinato di cui è abbastanza agevole
scoprire l’andamento nei prati, specie
osservando con attenzione dall’alto.
106
Le Montagne Divertenti Chi ha fretta può
continuare direttamente
(S) in direzione della
sovrastante quota 2504; chi
al contrario è interessato ai
reperti del primo conflitto
mondiale, può dedicare
un’oretta a meglio esplorare
la zona, spostandosi in
graduale salita a mezza
costa, verso E.
Un buon punto di riferimento è la
grotta di guerra, indicata sull’IGM
alla quota 2507; nell’area si rinvengono resti di trincee e delle relative
mulattiere d’accesso. Le fortificazioni
del 1915 furono continuamente
rafforzate durante tutto il conflitto;
pertanto nel 1918 costituivano un
complicato insieme di difese campali,
che stavano per estendersi pure alla
quota 2920 e alla cima di Gavia. La
Vittoria del 4 novembre troncò ulteriori lavori e in seguito il materiale
metallico fu in gran parte raccolto.
Così, zigzagando tra magri pascoli
e macereti, si giunge alle opere di
quota 2600 ca., ove s’incontra una
buona mulattiera che, alta sui ripiani
di fondovalle, valica un rigagnolo
che scende dalla conca sottostante la
Monumento ai Caduti del San Matteo presso il rifugio Berni. Sullo sfondo il monte Gavia (13 ottobre 2007, foto Canetta).
sella 2862 e risale in breve alla quota
2504. Si segue ora per un breve tratto
la mulattiera che, dal passo dell’Alpe,
risale sul costone che culmina alla
quota 2920. A m 2550 ca. siamo ad
un bivio. La mulattiera principale
continua a dx, ma in più punti è danneggiata; noi imbocchiamo invece,
a sx (SE), un ramo secondario che
raggiunge un dosso a circa m 2600.
Qui è giocoforza traversare a dx (SO)
un ripido pendio di sfasciumi, per
riprendere la cresta e risalirla su facili
ma erte rocce sino alla quota 2737
che domina il passo dell’Alpe e la
selvaggia conca sottostante la cima
Gavia, frequentata da ungulati; assai
interessante è la vista verso il gruppo
del Sobretta. Seguendo il facile crinale raggiungiamo un intaglio ove,
da O, sale quanto resta della mulattiera che avevamo prima lasciato; nei
pressi sono i resti delle fondamenta di
una baracca, ultime vestigia di opere
belliche prima della sommità. Facili
gradoni conducono alla quota 2859;
poco oltre, tenendosi a sx del filo, si
risale una valletta di sfasciumi che,
senza difficoltà di sorta, ci guida alla
quota 2920 (ore 2), termine del crestone che abbiamo appena risalito.
La vista si apre improvvisa sull’alEstate 2012
tipiano del passo di Gavia, dominato
dalle vette circostanti, tra le quali
spicca la piramide del Corno dei Tre
Signori; da qui, disponendo delle
mappe d’epoca è agevole riconoscere
i luoghi ove gli italiani controllavano
vette e selle di queste costiere.
bbiamo due possibilità: scendere direttamente al rifugio
Berni1, oppure continuare verso il
rifugio Bonetta e il passo di Gavia.
Volendo seguire questo secondo itinerario, divalliamo brevemente su
detrito minuto, poi pieghiamo a dx
(SSE) percorrendo, senza via obbligata, i placidi terrazzi di macereti,
morene e magri pascoli ai piedi del
versante orientale dell’incombente
monte Gavia. Guadagniamo così il
laghetto (m 2786) e la vicina quota
2793. Verso O, è possibile scorgere
ciò che resta della vedretta del Gavia:
minuscolo e poco noto ghiacciaio,
all’epoca della Grande Guerra ben
A
1 - Dalla quota 2920 è possibile discendere
direttamente al sottostante rifugio Berni. Si
procede senza via obbligata, toccando le quote
2852 e 2754. Macereti, poi magri pascoli non
presentano alcun problema, mentre la vista resta
grandiosa sul massiccio del Tre Signori e in
direzione del ghiacciaio del Dosegù. Si raggiunge
così il rifugio Berni (m 2541, ore 0:30). Al di là
del torrente Gavia, vi è il rifugio Gavia, realizzato
poco prima della Grande Guerra e base operativa
fortificata durante tutto il conflitto.
Le Montagne Divertenti più esteso come mostrano le immagini del tempo. Tenendosi alla base
del ripido versante di rocce e morene,
pianeggiamo alle quote 2755 e 2764.
Ci troviamo così all'attacco della cresta SE del monte Gavia, ove il costone
va a morire tra dossi montonati e
vallette. Scendiamo a S, incontrando
resti di apprestamenti militari, per
raggiungere senza problemi il rifugio
Bonetta al passo di Gavia (m 2618,
ore 1).
variante: monte Gavia (m 3221)
D
i grande interesse e di notevole
soddisfazione, è realmente il
completamento di questa traversata
ed ottimo inizio per il tratto successivo sino al Tonale. Richiede però un
minimo di esperienza alpinistica e
assenza di vertigini.
Dal retro del rifugio Bonetta si
imbocca la stradella militare, assai ben
conservata, che compie un semicerchio nel vallone petroso tra le creste
SE e SSE del monte Gavia. A quota
2720 si trascura un bivio a dx (NO),
piegando verso mezzodì sino ai bivi
di quota 2723. A questo punto si
abbandona il percorso che divalla al
lago Nero, per risalire a lenti zig zag
il crestone SSE, lungo un tracciato
panoramico e ben riconoscibile. Superata la quota 2853, la via diviene più
incerta, trasformandosi in un sentiero,
a tratti danneggiato. Poche rocce e si
è sull’anticima 3083 (ore 1:45); si
scende con un po’ d’attenzione ad una
sella per risalire, per blocchi e facili
rocce (tracce), all’anticima 3138, uno
spuntone che dal passo si può scambiare per la vera vetta.
Di qui la sommità appare ardita e
fasciata da ripide rocce; qui termina
il tratto escursionistico. Scesi ad una
sella detritica, si vince il primo dei tre
canali rocciosi che solcano la parete
SE. Il tratto più arduo è una paretina
facile ma verticale (II), cui seguono
rocce più elementari ma sempre erte
ed esposte. Seguendo con attenzione
gli ometti, si giunge ripidamente
alla spaziosa vetta del monte Gavia
(m 3221, ore 0:30).
Vista a 360°, interessante ed insolita sui massicci dell’Adamello e
dell’Ortles-Cevedale, nonché sulle
costiere del Sobretta e della Pietra
Rossa. Al ritorno fare attenzione, nel
primo tratto, a seguire gli ometti e le
tracce di passaggio.
Tra Sobretta e Gavia
107
Escursionismo
Alpi Orobie
Corna Bianca
La gente di pianura, abituata ai grandi spazi, spesso si chiede come noi
valtellinesi riuscissimo a vivere tra le montagne in paesini dove apparentemente non c'è nulla, come Corna Bianca, minuscolo maggengo della
val Venina.
Fabio Pusterla
108
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Corna Bianca (25 aprile 2012, foto Fabio Pusterla).
Le Montagne Divertenti Corna Bianca
109
Escursionismo
Alpi Orobie
L
a montagna è un grande libro in divenire che narra di posti, persone, arti e mestieri.
Racconta di come l'uomo è riuscito a vivere (o soppravvivere) in territori apparentemente
non favorevoli. Ci si metterà tutta la vita per leggerlo e non si arriverà mai a una fine, perchè
ognuno di noi, con la sua esperienza e le sue ricerche, contribuirà ad ampliarlo.
I nostri antenati hanno saputo interpretare questa preziosa opera e nello stesso tempo
hanno composto pagine importati scoprendo nuove località a cui hanno dato un nome e da
cui hanno attinto risorse. Nonostante negli ultimi decenni siano state narrate anche imprese
memorabili, certi capitoli di questa storia stanno sbiadendo e con essi gli ultimi segni della
presenza dell'uomo in certi luoghi.
A fatica abbiamo scovato un posto particolare della val Venina lontano dalle classiche mete,
un maggengo impervio e brullo, ma con molte tracce che testimoniano un attivo passato di
vita rurale che oggi appare tristemente dimenticato.
L
asciata l'automobile nel parcheggio libero poco prima della
centrale idroelettrica di Vedello
(m 1000 ca.) ci incamminiamo alla
volta del borgo di Venina1 attraversando l'omonimo torrente tramite
un ponticello pedonale e seguendo
l'antica mulattiera. Dal villaggio ci
portiamo sopra le case (O) per imboccare un bel sentiero che si allontana
verso N. Ci alziamo dolcemente fino
a lambire una formazione rocciosa
sulla quale c'è una mappa incisa nella
roccia che riporta buona parte del
nostro itinerario: raggiungeremo il
maggengo di Bratta, ci alzeremo alle
baite delle Foppe e quindi ci dirigeremo alla Corna Bianca2.
roseguiamo brevemente in salita
poi seguiamo il sentiero inizialmente pianeggiante di dx3. A un certo
punto, mentre prendiamo quota,
giungiamo a un bivio. Dobbiamo
proseguire a sx, proprio in corrispondenza di di un grosso masso triangolare piantato nel terreno. Il bosco è
per lo più di nocciolo, ma troviamo
anche numerosi sorbi degli uccellatori
e qualche bell'esemplare di faggio.
Quando la vegetazione si apre, verso
NO ammiriamo la Gradiscia, una formazione rocciosa dirimpetto al maggengo denominato Ronco. Durante la
salita troviamo inoltre numerose piazzole localmente chiamate àai o aiài4.
Si tratta di antiche carbonaie dove
veniva accatastata e bruciata la legna,
preferibilmente di faggio o castagno, per ottenere il carbone vegetale.
Questo combustibile, assai pregiato,
alimentava il forno fusore di Vedello
dal quale si ricavava un'ottima ghisa.
I forni in alta val Venina e in alta val
Caronno servivano solo ad effettuare
una prima cottura dei minerali di
ferro per cui venivano alimentati a
legna.
Muretti a secco e piccoli recinti
in pietra ci annunciano l'arrivo alla
Bratta (m 1280, ore 1). Troviamo
una manciata di baite ormai diroccate. Prima di raggiungerle pren-
P
Il portone della baita principale di Corna
Bianca (27 marzo 2012, foto Fabio Pusterla).
Bellezza
Partenza: parcheggio nei pressi della centrale
idroelettrica di Vedello (m 1000).
Fatica
Pericolosità
-
110
Itinerario automobilistico: alla fine della
tangenziale di Sondrio (direzione Tirano), prima del
passaggio a livello si svolta a dx e si segue la strada
provinciale fino a Busteggia. Al semaforo si prende la
stradina sulla dx che sale a Pam per poi ricongiungersi
all'arteria principale per Piateda Alta. Dopo circa 7 km
da Sondrio si è al bivio in località Mon. Si segue sulla
dx la carrozzabile che si inoltra in val Vedello fino alla
centrale di Vedello (m 1000, 6 km), poco prima della
quale, sulla dx sotto la carreggiata vi è un ampio
parcheggio.
Le Montagne Divertenti Itinerario sintetico: Venina (m 1141) Bratta (m 1280) - Baite La Foppa (m 1396) Corna Bianca (m 1389) - ponte nuovo - Vedello
(m 1051) - Venina (m 1141).
Tempo previsto: 2 ore e mezza.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello: 1 su 6 / 255 m.
Dettagli: E. Sentieri non bollati e purtroppo
spesso invasi dalla vegetazione.
Mappe:
Kompass n. 93 - Bernina , 1:50000.
Estate 2012
1 - Solitamente si pensa che Vedello comprenda
tutte le case alla confluneza tra val Venina e val
Vedello, invece il torrente Venina determina la divisione in due contrade: a E Vedello e a O Venina.
2 - Localmente chiamate Bràata, Fòpi e Còrna
Blàaca.
3 - Il ramo di sx è invece una via più diretta.
4 - In particolare sul sentiero troviamo l’aiàl dul
Birulì a valle (E) de la Bràata.
Le Montagne Divertenti La centrale di Vedello dal sentiero per la Corna Bianca (21 aprile 2012, foto Fabio Pusterla).
diamo il sentiero che sale nel bosco.
Dobbiamo alzarci per un dislivello di
un centinaio di metri attraversando
due volte una valletta. Una volta
in quota proseguiamo verso S per
una bretella pianeggiante. Troviamo
anche una traccia che torna verso N,
ma questa ci porterebbe al Ronco5.
L'uomo ha spostato una quantità
enorme di pietre per ricavare piccoli
prati e pascoli, oggi boschi incurati.
Non è raro scorgere, tra i massi più
grossi, delle piccole caverne chiamate
crotti. Un tempo i pastori salivano in
primavera per riempirle con la neve
5 - In dialetto locale è chiamato Rùuch, ironicamente la "risaia degli Zani" per la scarsa presenza
d'acqua.
che veniva poi utilizzata d'estate per
la conservazione del latte. L'acqua,
infatti, in questi luoghi è molto scarsa
e per lo più veniva utilizzata per abbeverare il bestiame. Dopo un tratto
incerto tra la vegetazione, il sentiero
si incanala tra due muretti a secco e
in breve giunge alle baite della Foppa
(m 1396, ore 0:30).
Anche qui regna un clima di abbandono: solo la baita più a S è in buone
condizioni (miracolata dalla vicina
caduta di un grosso abete). Ignorato il
sentiero in discesa, che termina ad un
piccolo bàit per la conservazione del
latte, proseguiamo in leggera salita e
quindi scendiamo dolcemente fino a
un baitello diroccato. Notiamo qualCorna Bianca
111
Escursionismo
cosa di strano: è il classico casèl del
lac, ma le pietre sono insolitamente
ben lavorate come se fossero destinate
o state prese da qualche costruzione
nobile. Per la nostra meta dobbiamo
dirigerci verso S. Man mano che camminiamo scorgiamo la sagoma di una
bella baita; sembrerebbe addirittura
ristrutturata da poco. È la costruzione principale della Corna Bianca6
(m 1389, ore 0:15).
Da vicino ci appare evidente che è
un vecchio fabbricato con chiari segni
di cedimento. Le pietre evidenziano
una lavorazione molto curata, così
come nelle vicine baite in rovina.
Ci troviamo su un terrazzo prativo a
picco su Venina e Vedello che offre un
superbo panorama sulla val Caronno,
dove fa bella mostra di sè l'arrotondata cima Soliva, e sulle alpi Retiche
centrali.
Possiamo scegliere se rifocillarci
seduti comodamente ai tavolini in
legno sistemati tra le baite, oppure se
riposarci all'ombra del grande ciliegio.
Più in alto c'è un altro gruppo di baite
che colonizzano un versante davvero
inospitale7.
itorniamo al piccolo baitello
diroccato ma, invece di proseguire diritti, scendiamo. In breve
ci portiamo a ridosso di una roccia
sulla quale, con un po' di attenzione,
dovremmo trovare un bollo rosso.
Subito dopo dobbiamo deviare a dx8.
Tratti pianeggianti con veloci discese a
tornanti ci fanno perdere quota e aggirare la formazione rocciosa che sovrasta Venina. Fortunatamente il sentiero
passa su una bella cengia che offre un
piacevole panorama. Passiamo sopra
le baite del Dosso9, che vediamo in
basso nel bosco, per poi attraversare
un antico corpo franoso e infine sbucare sulla carrozzabile per Ambria nei
pressi del ponte nuovo sul torrente
R
6 - Il maggengo era caricato da due famiglie: i
Martinolini ed i Taloni. Pare che l'ultimo ad averci
portato il bestiame fosse il Tranquillo Taloni.
Negli anni '60 l'Angelo Taloni e Luigi Credaro
impiantarono una voliera per l'allevamento delle
coturnici per effettuare una riproduzione nelle valli
orobiche (testimonianza raccolta da Marino
Amonini dalla figlia Pinuccia Taloni che risiede a
Poggiridenti).
7 - Sulle mappe sono denominate baite Bolveggio
(Bulvésc) ma in realtà solo le Masùu.
8 - Se proseguissimo per il sentiero principale
scenderemmo per la via direttissima che ci
porterebbe nei pressi della cartina incisa nella
roccia.
9 - Dòs.
112
Le Montagne Divertenti Alpi Orobie
Il forno fusorio di Vedello
Franca Prandi
Il forno di riduzione in alta val Venina è ancor oggi visitabile. Quello fusorio a Vedello è andato distrutto (26 ottobre 2010, foto Marino Amonini).
A
La mappa incisa nella roccia sopra Venina (25 aprile 2012, foto Fabio Pusterla).
Venina. Qui troviamo l'unico cartello
escursionistico, che comunque non ci
avrebbe aiutato molto per raggiungere
la Corna Bianca. Volendo possiamo
fare un giro verso la vicina Ambria,
altrimenti ci incamminiamo per la
via del ritorno che ci permette di sciogliere i muscoli. Al di là del ponte, un
paio di chilometri su strada in discesa
e, poco oltre il sottopasso della condotta forzata affiancata dai binari
del carrello che serve gli impianti di
Scais, Zappello, Venina e Publino, ci
immettiamo nella strada principale
che da Vedello porta ad Agneda. Vale
la pena, prima del ponte che attraversa il torrente Caronno, entrare
tra le case di Vedello. All'ingresso si
notano le rovine della costruzione che
ospitava il forno fusore riaperto nel
1800 per fondere il ferro destinato
ad uso bellico. A Vedello c'era pure la
scuola, che chiuse i battenti nel 1959.
Tra le ultime insegnanti si ricordano
Marcella Ronconi, Ancilla De Maestri
e Orsola Gaburri.
assiamo dietro il grosso stabile
della centrale per dirigerci verso
Venina (m 1141, ore 1) e quindi
P
riprendere la stradina che ci porta al
parcheggio. Forse l'uomo di pianura
non vedrà l'ora di uscire da queste
forre, ma dopo un simile viaggio avrà
capito che la montagna è un luogo
davvero ricco, ma dove tutto deve
essere faticosamente guadagnato.
ll’ingresso attuale di Vedello,
a monte della stradina, sono
ancora visibili i ruderi del forno di
fusione del ferro. Esso era già attivo
nel ‘300, quando in un atto del
1382 si legge che i figli del fu Franzino Ambria ne acquistarono una
parte e mezza delle otto da Simone
Quadrio. Passato di mano, nel ‘500
appartenne ai Beccaria di Masegra;
in un atto di vendita del 1591 si
trova la descrizione del manufatto. Il
forno, del tipo cosiddetto bergamasco,
era a pianta rettangolare; nella parte
inferiore erano collocati i mantici
azionati dall’acqua della roggia captata dal Caronno. Il minerale veniva
colato nel canecchio dove il fuoco
era mantenuto acceso dai mantici.
Dalla bocca di carico, situata al piano
superiore, si versavano a strati successivi il carbone, il minerale torrefatto,
possibilmente proveniente da diverse
miniere, e il grassone, cioè la pietra calcarea che facilitava la fusione. Il ferro
liquefatto veniva lasciato defluire ogni
due o tre ore.
Il forno fu ricostruito nel 1803
dai fratelli Guicciardi di Ponte che
con i loro soci producevano palle di
cannone per il governo napoleonico.
Lavorava cinque-sei mesi all’anno e,
quando era ben riscaldato, arrivava
a produrre giornalmente fino a 120
pesi di ghisa (1 peso di ghisa equivale
a 8 kg) che veniva esportata a Lecco e
Bènuli e zapù
Lugano.
Nel 1833 il forno era dismesso da
tempo, perché i boschi, da cui si ricavava il carbone, erano stati distrutti.
Il minerale dalla val Venina, perciò, dopo una prima riduzione sul
posto, veniva condotto nella valle del
Livrio, dopo un tragitto di circa 4 ore.
Dovendo scollinare per il passo dello
Scoltador, il dislivello veniva superato
per mezzo di 4 o 5 argani distribuiti
lungo il fianco della montagna, dalla
cima della quale veniva inviato al
forno per mezzo di un canale in legno.
Chiuso anche il forno fusorio della
valle del Livrio, il minerale venne trasportato all’altoforno di Premadio, in
Valdidentro, che operò fino al 1875.
Franca Prandi
Venina (16 maggio 2010, foto Marino Amonini).
P
Tracce di vita pastorale: el cavalét de la grasa
(25 aprile 2012, foto Fabio Pusterla).
Estate 2012
ochi, fra quanti non sono del
posto, si ricordano che Boffetto
e Piateda fino al 1867 hanno costituito due entità comunali ben distinte,
pur possedendo in comunione pascoli
e alpeggi. Quella che sembra una
realtà omogenea, come l’intera asta
della val Venina, in effetti amministrativamente era molto frammentata.
Agneda e Vedello appartenevano a
Boffetto; Ambria, Venina e tutta la
parte inferiore della valle a Piateda.
Le alpi indivise venivano godute o
Le Montagne Divertenti affittate ad anni alterni. Prima della
costruzione delle opere di captazione
delle acque e della centrale di Vedello,
da parte della Falck, i due piccoli
nuclei di Venina e Vedello erano ben
distinti: il primo a O della Venina e
il secondo a S del Caronno. Entrambi
vantano origini molto antiche: nel
1250 è testimoniata “Riccabella de
Vedello della Val d’Ambria”, mentre nel 1385 è ricordato "Betino fu
Zanne de la Venina".
A partire dagli anni Cinquanta non
sono più abitati permanentemente;
infatti i residenti si sono spostati tutti
nel fondovalle, ma vi ritornano frequentemente, in tutte le stagioni, e
soprattutto d’estate. Con grande orgoglio portano i loro soprannomi: quelli
di Venina sono definiti li bènuli, cioè
le donnole, mentre quelli di Vedello i
zapù, ovvero i picconi. Difficile è risalire all’origine di tali appellativi, che si
perde oramai nella notte dei tempi!
Vedello e Venina
113
Rubriche
valtellinesi
nel mondo
Patagonia y
Tierra del Fuego
Testi e foto Luciano Bruseghini
Le Torri del Paine si stagliano all’orizzonte, viste dalla Laguna Amarga (9 novembre 2011).
Tra i primi occidentali che
visitarono la Patagonia e la
Terra del Fuoco vi fu Charles
Darwin. Egli non poteva sapere
che molte culture che avrebbe
incontrato sarebbero sparite di
lì a poco, non perché convertite
alla "civiltà", ma perché
cancellate dalla devastazione
ambientale, dalle malattie
portate dagli occidentali e
dall'imposizione di uno stile di
vita loro estraneo. Genti che oggi
avrebbero molto da insegnarci
su come vivere in simbiosi con
l'ambiente naturale. Tra questi
vi erano anche gli Yaghan,
popolazione che si sviluppò
nell’estremo lembo meridionale
del continente americano tra
l’Argentina e il Cile.
114
Le Montagne Divertenti Il mio viaggio in compagnia di
Valeria alla scoperta di questo territorio è suddiviso in varie tappe, dove
momenti prettamente turistici si alternano a giorni di trekking per toccare
da vicino le bellezze di queste terre.
Partiamo da Ushuaia, cittadina in
stile norvegese, con le case multicolori e il limite della neve appena sopra
l’abitato. Il suo nome è di origine
Yaghan, significa "baia che penetra
a ovest", ed è la città più australe del
mondo: 54° e 46' di latitudine sud,
oltre che la capitale della Terra del
Fuoco, dell'Antartide argentino e delle
isole dell'Atlantico del sud. È situata
ai piedi dei monti Martiales, sopra
la costa settentrionale dell'omonima
baia, bagnata dall’acqua del canale di
Beagle che unisce gli oceani Atlantico
e Pacifico. Il punto dove oggi sorge la
città era il centro della regione occupata
dagli Yaghan e si possono ancora distinguere tracce della loro passata presenza:
i pozzi circolari, avvistabili dall'aereo
e, sparsi un po' ovunque, i monticoli
formati dalle conchiglie vuote dei molluschi che gli indigeni mangiavano in
grandi quantità.
Il Parco Nazionale della Terra del
Fuoco è una delle attrattive principali
di questa zona. Per raggiungerlo, ci
rechiamo verso ovest, passando dalla
stazione del trenino de la fin del mundo.
Costruito dai prigionieri che qui scontavano le loro pene, sfruttato un tempo
per il trasporto del legname, è oggi
impiegato a scopo turistico. Nel secolo
scorso infatti Ushuaia era una colonia
penale molto utilizzata; non servivano
particolari misure di sicurezza, perché
questa era una terra sperduta e disabiEstate 2012
tata per centinaia di chilometri.
Proseguendo oltre la stazione raggiungiamo l’inizio del trekking Senda
Costera. Prima di intraprenderlo passiamo dall’ufficio postale più meridionale del mondo (ubicato addirittura su
un molo all’interno della Bahia Ensenada) per apporre timbri commemorativi sul passaporto e spedire cartoline.
Attacchiamo la camminata di otto chilometri fino alla Bahia Lapataia, costeggiando l’oceano all’interno di un bosco
di lenga - tipica pianta della Terra del
Fuoco, simile alla betulla, l’unica che
riesce a sopravvivere al clima estremo
di questa zona. Godiamo di scorci paesaggistici veramente suggestivi con insenature protette e piante variopinte in
fiore. Notiamo escrescenze arancioni,
a forma di piccola palla, che crescono
sui tronchi e sui rami degli alberi: sono
Le Montagne Divertenti funghi di cui un tempo si cibavano gli
indigeni Yaghan.
Per completare la visita della zona
bisogna assolutamente fare un giro in
battello nelle gelide e metalliche acque
australi. All’uscita del canale di Beagle,
appena si entra nell’oceano, le violente
correnti sballottano l’imbarcazione
come un fuscello, ma fortunatamente
quando si arriva al largo tutto si calma.
Passiamo accanto all’Isla de los Lobos
dove vediamo numerosi leoni marini
sdraiati al sole: le femmine assomigliano alle foche, mentre gli enormi
maschi sfoggiano una criniera degna
dei loro omonimi africani. Sullo stesso
isolotto vi è anche una popolosa colonia di cormorani imperiali, grandiosi
uccelli bianchi e neri che coi loro stridii
fanno un fragore assordante, e di cormorani rossi, più piccoli dei precedenti,
che devono il loro nome alla vistosa
macchia infuocata attorno all’occhio.
Proseguendo verso sud raggiungiamo
lo scoglio su cui è posto il simbolo di
Ushuaia: un vistoso faro rosso e bianco
che indica la via del porto ai naviganti
in queste acque agitate nel sud del
mondo. Al rientro compiamo una breve
escursione all’isola Bridge. Visioniamo
i siti occupati dagli indigeni prima
dell’arrivo degli europei. Notiamo degli
avvallamenti circolari di cui non riusciamo a definire l'origine. La guida ci
spiega che qui sorgevano le capanne; il
fatto che il terreno sia rialzato è dovuto
all'abitudine di gettare all’esterno delle
capanne i dermoscheletri dei molluschi che mangiavano, fino a circondare
completamente la struttura.
I Yaghan vivevano senza indumenti,
cospargendosi la pelle con il grasso dei
Patagonia y Tierra del Fuego
115
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
Le guglie bicrome dei Cuernos del Paine (9 novembre 2011).
Uno stormo di cormorani imperiali riposa al sole su uno scoglio
dell'Isla de los Lobos (6 novembre 2011).
Leoni marini e cormorani sono i padroni incontrastati dell'Isla de los Lobos (6 novembre 2011).
leoni marini, preda assai ambita. Gli
europei li costrinsero a vestirsi; c'è anche
chi sostiene che i tessuti creassero un
microclima inadeguato al loro metabolismo e ciò fu una delle cause della loro
estinzione.
Lasciata Ushuaia si imbocca l’unica
strada che porta verso nord passando
per il passo Garibaldi (m 430), nelle cui
vicinanze sorgono gli impianti sciistici
di Cerro Castor, dove anche gli atleti
italiani vengono ad allenarsi quando da
noi è estate. Oltrepassata la cittadina di
Rio Grande, ci dirigiamo verso il Cile,
attraversando la dogana a S. Sebastian.
La legge cilena è molto severa e vieta
l’importazione di prodotti di origine
vegetale e animale da altri paesi, ma
da buoni italiani non possiamo fare a
meno del Grana e quindi rischiamo.
Fortunatamente non ce lo trovano, sicché potremo goderne durante i nostri
trekking. Il bus prosegue attraverso la
campagna cilena, su strada sterrata, tra
verdi colline ammantate di immensi
greggi di pecore e fattorie isolate, sotto
un cielo tanto blu da sembrare finto.
Finalmente, dopo tre ore, arriviamo
a Punta Delgada e ci imbarchiamo
sul ferry boat per valicare lo stretto
116
Le Montagne Divertenti di Magellano, scorciatoia per passare
dall'Atlantico al Pacifico, individuata
nel 1520 dal navigatore portoghese che
gli ha dato il nome.
Salutiamo la Terra del Fuoco e ci
accingiamo ad entrare in Patagonia.
Lungo il breve trasbordo di 15 minuti,
siamo scortati da simpatici delfini di
Commerson, bianchi e neri, che nuotano di fianco al traghetto e sembra
vogliano darci il benvenuto.
Nel tardo pomeriggio raggiungiamo
Puerto Natales, piccolo e affascinante
villaggio di pescatori che sorge sulle rive
di un incantato fiordo oceanico. Negli
ultimi anni ha visto svilupparsi il comparto turistico grazie alla vicinanza del
Parco Nazionale delle Torri del Paine.
Il giorno seguente, sempre in bus,
ci rechiamo nel Parco Nazionale delle
Torri del Paine per alcuni giorni di
trekking, in cui ammireremo da diverse
angolazioni gli eleganti pilastri di granito che si innalzano sulle steppe della
Patagonia. Dopo una breve sosta a
laguna Amarga per immortalare le tre
guglie simbolo del parco, raggiungiamo
il porto di Pudeto. Da qui in battello
navighiamo sul lago Pehoe per un’oretta
fino al rifugio omonimo, dove inizia il
nostro trekking di tre giorni. Gli zaini
sono un po’ pesanti perché dobbiamo
portarci tutto il necessario per sopravvivere in completa autonomia: tenda,
sacchi a pelo, vestiti, fornelletto e cibo di
vario genere.
Costeggiamo il lago Scottsberg
immersi in una foresta di lenga e
cespugli con fiori rosso fuoco e dopo
due ore sbuchiamo al Campamento
Italiano dove pernotteremo in tenda.
Abbandonati gli zaini, risaliamo la
valle dei Francesi in direzione del
Campamento Britannico per una
breve escursione che ci porta ad ammirare il lago Nordenskjold e i picchi
bicolori dei Cuernos del Paine.
Al mattino ripartiamo per il Campamento Torres. Guardando gli orari
indicati sulla mappa dovremmo farcela in circa dieci ore. Immaginiamo
già la fatica per compiere questo lungo
tragitto carichi come muli, ma la cosa
è sopportabile visto lo stupendo paesaggio che ci circonda. Il sentiero inizia nel bosco, poi pian piano si abbassa
fino a costeggiare il lago Nordenskjold
dal colore verde smeraldo. Sembra di
essere su una spiaggia caraibica, se non
fosse per l’acqua gelida e poco invitante
Estate 2012
Le Montagne Divertenti Patagonia y Tierra del Fuego
117
Rubriche
La riserva della laguna Nimez, nei pressi
del lago Argentino, è un'oasi naturale per
numerose specie d'uccelli (11 novembre 2011).
Tipica sfida fra gaucios argentini
(11 novembre 2011).
Il ghiacciaio del Perito Moreno, uno dei più famosi e
affascinanti ghiacciai al mondo (12 novembre 2011).
Le maestose Torri del Paine, fiore all’occhiello
della Patagonia cilena (9 novembre 2011).
al bagno! Il sentiero risale e ci conduce
al rifugio Los Cuernos, posizionato
proprio ai piedi delle imponenti guglie
bianche e nere. Il tracciato si addentra poi nella valle del Rio Ascenzio,
dove assistiamo alle acrobazie di uno
stormo di condor. Giungiamo quindi
al rifugio Cileno. Non ci fermeremo
qui per la notte - la nostra vacanza low
cost non ce lo permette - per cui proseguiamo fino al Campamento Torres
(m 550) dove piazziamo la tenda.
Sono le 14.30: abbiamo impiegato
solamente sette ore e mezza invece
delle dieci preventivate. Si vede che
il passo malenco è migliore di quello
cileno! Certo la stanchezza si fa sentire,
ma basta il tempo di rizzare la tenda
che recuperiamo un minimo di energia, cosicché decidiamo di puntare al
Mirador Torres (m 900) per gustare da
vicino un incredibile spettacolo della
natura.
118
Le Montagne Divertenti Saliamo faticosamente per
quaranta minuti tra grossi massi
e terreno instabile, ma appena
scollinati restiamo a bocca
aperta: davanti a noi appaiono
in tutto il loro splendore le tre
Torri del Paine, lambite da una
grande laguna verde smeraldo.
Siamo talmente stanchi e
appagati che ci appisoliamo al
sole sopra un grosso masso. La
sveglia ce la dà l’abbassamento
di temperatura quando il sole
tramonta dietro le guglie.
Ripartiamo l'indomani alla volta di
Puerto Natales. Un ultimo spettacolo
ce lo riserva il lago Sarmento dal colore
blu cobalto con lo sfondo delle Torri
del Paine e Los Cuernos. Questo parco
nazionale cileno è veramente una
meraviglia della natura per le forme,
i colori e i contrasti e ora capiamo
perché richiama così tanti visitatori da
tutto il mondo.
Salutato il Cile rientriamo in Argentina per dirigerci verso la cittadina di El
Calafate, nei pressi della quale si trova il
famoso ghiacciaio Perito Moreno. Nel
tardo pomeriggio visitiamo la riserva di
laguna Nimez dove nidificano numerose specie di uccelli. Tra tutti spiccano
i fenicotteri rosa, fermi in mezzo a un
laghetto con la testa sott’acqua alla
ricerca di cibo. Tira un forte vento ma
finché c’è il sole il clima è ottimo. Dopo
il tramonto però la temperatura scende
in picchiata.
In serata assistiamo al Die de la tradicion, una festa popolare che si tiene
allo stadio. Vi sono dei gaucios (i cowboys argentini) che si sfidano a cavallo:
il povero quadrupede viene imbavagliato e legato ad un palo. Uno sfidante
vi sale in groppa e quando l'animale
Estate 2012
viene liberato, il concorrente deve cercare di restare in sella il più possibile
per vincere la competizione. È una cosa
veramente spettacolare, ma mai quanto
un choripan, il tipico panino con salsiccia e verdure.
Oggi è il giorno del Perito Moreno,
uno dei più grandi ghiacciai del mondo.
Percorriamo un’ottantina di chilometri
in bus e costeggiamo il lago Argentino,
fino a giungere al dosso dove sorge il
Mirador Los Sospiros. Capiamo subito
perché questa postazione è così definita:
vedendo l’immensità e la spettacolarità
del ghiacciaio patagonico che si getta
nel lago Argentino, non possiamo che
rimanere a bocca aperta ed emettere un
sospiro di meraviglia. Delle passerelle
pedonali ci permettono di accostarci
ulteriormente: nel punto più vicino
Le Montagne Divertenti siamo a una trentina di metri. Com'è
noto, l’enorme massa di ghiaccio, cozzando contro la penisola di Magellano,
divide in due il “Brazo Ricco” del lago
e così facendo limita l’apporto idrico al
troncone più meridionale che attualmente si trova circa cinque metri più in
basso rispetto al braccio settentrionale.
Quando il dislivello aumenta di molto,
l’enorme pressione dell’acqua spacca la
barriera con immenso fragore e il livello
dei due bacini s'appiana.
Il Perito Moreno avanza di circa due
metri al giorno e questa sua spinta provoca spettacolari crolli di iceberg grandi
come automobili, con tonfi assordanti
che catturano l'attenzione di migliaia di
turisti. Lungo trenta chilometri e largo
cinque, ha un’altezza variabile tra i quaranta e i settanta metri.
Alle cinque siamo di ritorno in città;
giusto il tempo di fare un po’ di shopping e recuperare i bagagli, perché alle
sei e mezza parte il bus per il villaggio
di El Chalten, dove avvieremo un altro
minitrekking. Il meteo va peggiorando:
è molto nuvoloso e tira un vento pazzesco, e anche il bus nel suo tragitto rettilineo sbanda pericolosamente.
Il vento continua a soffiare per tutta
la notte. All'alba le cime montuose sono
avvolte da nuvoloni grigi, carichi di
pioggia e neve. Rinviamo di un giorno
l'inizio del trekking, in attesa che le
condizioni atmosferiche migliorino.
L'indomani ci svegliamo che pioviggina e tira vento; le cime sono ancora
nascoste, ma stabiliamo di partire
lo stesso perché le previsioni danno
miglioramenti dal pomeriggio. Puntiamo al Campamento Poincenot, ai
piedi della catena montuosa del Fitz
Roy, con le cime frastagliate che si
innalzano nella zona settentrionale
del parco Los Glaciares. La pioggia ci
sferza il volto, ma non molliamo. La
situazione migliora quando il sentiero
si addentra nel bosco, dentro il quale
avvistiamo due picchi intenti a bucherellare un tronco in cerca di larve; la
femmina è completamente nera, mentre il maschio ha le piume della testa
rosse. Nei pressi v'è anche un falchetto,
appollaiato su un ramo, che attende che
i picchi facciano cadere qualcosa a terra
con cui cibarsi a sbafo.
Dopo tre ore di scarpinata raggiungiamo l’accampamento e piazziamo
la tenda. Nel primo pomeriggio il
cielo si apre, così decidiamo di salire ai
m 1100 della laguna Los Tres. Siamo
proprio ai piedi dell’immensa parete
sud del Fitz Roy che finalmente si
mostra in tutta la sua imponenza,
Patagonia y Tierra del Fuego
119
Rubriche
L'alba sul Fitz Roy (15 novembre 2011).
imbiancato da una spruzzata di neve
fresca. Le nuvole che si addensano sulla
sua cima lo fanno sembrare un vulcano.
Non c'è da stupirsi quindi che i primi
abitanti della zona avessero chiamato
questo picco El Chalten (“montagna
che fuma”).
La prima visione di questi meravigliosi pinnacoli merita un festeggiamento, sicché decidiamo di cenare con
degli ottimi pizzocheri liofilizzati.
L'indomani ci svegliamo alle cinque e
mezza per tornare alla Laguna Los Tres
e godere dello spettacolo del Fitz Roy
tinto della luce calda dell'alba. Lungo
la salita il vento soffia con sempre maggior impeto, tanto da piegarci e buttarci
quasi a terra. Ma la vista del Fitz Roy,
infine, ripaga ancora una volta la fatica.
Sostiamo un’ora e mezza al riparo tra
grossi massi ad ammirare questa meraviglia delle Ande.
Smontata la tenda ci rimettiamo in
moto verso il Cerro Torre, bizzarra
guglia di roccia che si innalza in mezzo
ai ghiacci. Costeggiamo la grande
laguna Madre e la più piccola laguna
Figlia, sui cui bordi ci foraggiamo.
Una curiosità di queste lagune è la
potabilità dell’acqua, data la sterilità
dell'ambiente circostante.
120
Le Montagne Divertenti Il Cerro Torre (16 novembre 2011).
Entrati nella valle che conduce al
Cerro, rimaniamo basiti per l'incredibile via vai di gente, dovuto naturalmente al forte richiamo turistico
esercitato da questa spettacolare
montagna. Piazzata la tenda al Campamento De Agostini, decidiamo di
raggiungere il Mirador Maestri, da cui
scattare un po’ di foto più da vicino.
Fa molto caldo: è la prima volta che
siamo in maglietta e la cosa non ci
dispiace.
n ci dispiace affatto.
Saliamo alla laguna anche
la mattina seguente all'alba
- non si può certo dire che le
nostre vacanze siano riposanti.
Inizialmente la cima del Cerro
Torre è coperta, ma con il
passare dei minuti le nuvole si
dissolvono svelando un quadro
sbalorditivo: la montagna con
cappello di neve e ghiaccio si
specchia perfettamente nella
laguna.
Fatte le trecento foto di rito, rientriamo verso l’accampamento. Lungo la
via, assistiamo all’attraversamento di un
grosso torrente da parte di alcuni turisti
accompagnati da guide locali. Indossata
un'imbracatura agganciata a una carrucola, si lasciano scorrere su una fune tesa
fra due enormi massi situati sulle rive
opposte.
È l'ora di ritornare nella civiltà. Carichi di belle esperienze, raggiungiamo il
villaggio di El Chalten, dove passiamo
la notte. Al mattino ci accoglie una giornata da sogno, che ci invoglia a restare
in questo bellissimo posto, ma il nostro
viaggio è ancora lungo e ci attende un
trasferimento in bus da paura. Ad attenderci è la mitica “Route 40” che taglia
verticalmente l’Argentina, dalla Patagonia a sud fino al confine con la Bolivia a
nord. Siccome ci sono molti cantieri per
ampliarla e sistemarla, siamo costretti
spesso a procedere lungo una strada
sterrata parallela.
Alle sette e mezza, dopo un viaggio
interminabile di oltre dieci ore e 500 chilometri, siamo a Perito Moreno, cittadina isolata nella pampa argentina, unico
punto di appoggio per visitare la Cueva
de las Manos Questo sito è famoso per
le pitture rupestri rappresentanti le mani
(e infatti a ciò deve il suo nome) di un
popolo indigeno, probabilmente progenitori dei Tehuelche, vissuto fra i 13000
e i 9500 anni fa. La datazione è stata
effettuata non sulle pitture, che essendo
Estate 2012
di origine minerale non si prestano a
questi tipi di analisi, bensì sui resti degli
strumenti (ossa cave) usati per applicare
il colore alla roccia.
Per accedere all'area occorre scendere
nel canyon de Las Pinturas, superare il
torrente che scorre sul suo fondo, quindi
risalire il versante opposto. Lungo una
parete al riparo dal sole e dalle intemperie
possiamo finalmente ammirare queste
antiche rappresentazioni. Le immagini
delle mani sono spesso in negativo e
appartengono prevalentemente ad adolescenti, forse in relazione a un qualche
rito di iniziazione. Vi sono pure scene di
caccia, esseri umani, lama, nandù, felini
e altri animali, nonché figure geometriche e rappresentazioni del sole. Il soffitto
è cosparso di puntini rossi, ottenuti
probabilmente immergendo nell'inchiostro le bolas (palle attaccate a una
corda e utilizzate per la caccia) lanciate
poi verso l'alto. I colori usati variano dal
rosso (ottenuto dall'ematite) al bianco,
al nero e al giallo. Nel 1999 la Cueva de
las Manos è stata inserita nell'elenco dei
Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO.
Riprendiamo il viaggio in direzione
est, verso l’Atlantico. Lungo questo
tratto sorgono numerosi pozzi di
petrolio e così capiamo perché qui la
Le Montagne Divertenti Un ponte poco convenzionale (16 novembre 2011).
Le mani della Cueva de las Manos (18 novembre 2011).
Patagonia y Tierra del Fuego
121
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
Le balene concedono la loro performance migliore quando si immergono
compiendo un tuffo a spruzzo alzando la coda al cielo (22 novembre 2011).
benzina costi meno della metà che da
noi! A partire da Comodoro Rivadavia il paesaggio si fa spettacolare: alla
nostra destra s'apre l'oceano.
Alle sette e mezza siamo a Trelew e, come si compete a dei veri
malenchi, non prendiamo un taxi,
ma camminiamo per la città carichi
come muli fino all’hotel. Alle otto
del mattino il signor Edoardo della
“Patagonia rent a car” ci consegna
l’auto prenotata la sera precedente:
una Gol 1.6 grigia (non ho dimenticato una “f ”, si chiama proprio così
il modello prodotto nei paesi dell’America latina!). Fatta la spesa per due
giorni, imbocchiamo la Route 3 in
direzione sud verso Punta Tombo per
visitare la famosa pinguinera. Lungo
la strada incrociamo diversi armadilli
che camminano imperterriti a bordo
strada.
Entrati nella riserva visitiamo il bellissimo museo relativo alla storia dei
pinguini, dopo il quale siamo pronti
ad andare in spiaggia per l'incredibile
spettacolo di migliaia di pinguini di
Magellano (i guardiani dicono mezzo
milione), alti circa cinquanta centimetri, che vengono qui a deporre le
uova e allevare i piccoli finché non
sono in grado di prendere il mare.
122
Le Montagne Divertenti All’interno di piccole buche, protette
dagli arbusti, vediamo le madri che
riscaldano e cibano i piccoli pulcini
appena nati. A rallegrare l’ambiente
vi sono anche tantissimi piccoli roditori che si muovono velocissimi.
In serata raggiungiamo Puerto
Piramides, nella penisola Valdes, e
piazziamo la tenda in spiaggia.
Il giorno seguente facciamo il giro
della penisola in macchina. Prima
tappa Punta Delgada. La strada è
tutta sterrata, ma il fondo è ben
tenuto quindi viaggiamo comodamente a 70-80 km/h. Lungo il tragitto avvistiamo parecchie sperdute
fattorie e animali particolari come
nandù (molto simili agli struzzi) e
mara (piccoli porcellini che invece di
camminare saltellano), poi cavalli e le
innumerevoli e immancabili pecore!
Alle undici siamo al faro di punta
Delgada. Purtroppo tutta la zona
è proprietà privata e quindi non ci
fanno entrare. Riusciamo solamente
a rubare alcuni scatti dall’esterno.
Proseguiamo per Caleta Valdes con la
strada che ora corre parallela alla scogliera a picco sull’Atlantico. Sostiamo
brevemente a osservare i numerosi
elefanti marini appisolati sulla spiaggia e poi via per Punta Norte, il posto
Un branco di cavalli nella penisola Valdes (21 novembre 2011).
più settentrionale della penisola.
Appena rientrati a Puerto Pirammides, prenotiamo l’uscita in barca
per avvistare le balene. Prendiamo il
largo alle sei, imbacuccati nei giacconi ed armati di giubbotto salvagente. Siamo su un piccolo battello
con circa quindici persone a bordo,
pilotato da un vero lupo di mare.
Nelle due ore che navighiamo avvistiamo una cinquantina di esemplari,
alcuni più lontani, altri che vengono
addirittura a cozzare contro l’imbarcazione. Ci sono parecchie madri
con i loro piccoli. Piccoli per modo
di dire, visto che già alla nascita sono
lunghi circa sei metri. Questa specie,
la balena franca australe, da adulta
arriva a diciotto metri di lunghezza e
ha un peso medio di 55 tonnellate.
Non ancora stanchi ci rechiamo
a Gaiman, un piccolo villaggio di
origine Gallese distante diciassette
chilometri da Trelew. La sua particolarità sono le case da tè, dove ogni
pomeriggio è tradizione bere del
tipico tè gallese. Non sapendo quale
locale scegliere, seguiamo le indicazioni di un cartello molto appariscente con un drago rosso, simbolo
del Galles. Così finiamo in una
struttura immersa nel bosco dove
Estate 2012
nel 1995 anche la principessa Lady
Diana sorseggiò il liquido ambrato. Il
posto si chiama Ty Te Caerdydd (casa
da tè gallese) e l’interno è veramente
curioso: foto e stoviglie di ogni tipo
esposte in bacheche come in un
museo. All’entrata ci accoglie una
cameriera che ci informa della tariffa
fissa di 80 pesos -circa 15 euro-, ma il
motivo di questo costo un po' elevato
è presto chiarito: insieme ad un litro
di tè caldo ci vengono offerti nove
spicchi di torta, tre biscotti, quattro
fette di pane con il burro, due ciotole
di marmellata e cinque sandwich.
Ne avanziamo anche per la cena e la
colazione del giorno successivo!
Il nuovo giorno ci riserva però una
spiacevole sorpresa: il nostro volo
per Buenos Aires è stato annullato a
causa di uno sciopero. Ci rechiamo
perciò alla stazione dei bus ad acquistare i biglietti per il pullman di mezzogiorno diretto alla Capital Federal.
L’autobus è molto accogliete e ci permette di dormire abbastanza confortevolmente durante la notte.
Il primo impatto con la capitale
non è dei migliori: il traffico è opprimente e ci fa tardare di due ore sulla
tabella di marcia. Lasciati i bagagli in
ostello, facciamo un giro a piedi nella
Le Montagne Divertenti zona del centro e del porto. È un'area moderna, di recente ristrutturazione, con alberghi e ristoranti. Nella
piazza antistante la Casa Rosada
(sede del presidente della repubblica)
assistiamo alla sfilata delle Madri
de Plaza de Mayo. Sono mamme,
sorelle e parenti dei desaparecidos
della dittatura degli anni ottanta:
ogni giovedì pomeriggio sfilano in
corteo per sollecitare il governo a
fornire informazioni sui propri cari.
Gettiamo poi lo sguardo sul quartiere di Palermo, con le sue belle case
e i parchi, e di Boca, più malfamato
e decrepito con il caratteristico
stadio giallo in cui gioca il Boca
Juniors. Ci fermiamo presso
l’immenso obelisco che sorge
al centro della strada più
larga del mondo: sette
corsie per ogni senso
di marcia! Infine visitiamo il cimitero della
Recoleta per rendere
omaggio alla tomba
di Evita Peron, uno
dei monumenti più
visitati di Buenos
Aires. Ma è ora andare in aeroporto
dove ci attende il volo che ci riporterà in Italia.
Che dire.
Il viaggio in Patagonia e nella Terra
del Fuoco è un'avventura fantastica.
La bellezza selvaggia della natura, le
cime frastagliate, i fiumi impetuosi,
le lagune blu, gli immensi ghiacciai
sono testimonianze di uno spettacolo primordiale, quando l'uomo
non aveva ancora sciupato il pianeta.
Una coppia di pinguini
di Magellano si scambia
effusioni (20 novembre
2011).
Patagonia y Tierra del Fuego
123
Agriturismando
Rubriche
Lascia un segno.
Sezioni comunali della Provincia di Sondrio
AVIS di Bormio 0342 902670 • AVIS di Caspoggio 0342 451954 • AVIS di Chiavenna 0343 67297
AVIS di Lanzada 0342 452633 • AVIS di Livigno 334 2886020 • AVIS di Morbegno 0342 610243
AVIS di Poggiridenti 0342 380292 • AVIS di Sondalo 0342 801098 • AVIS di Sondrio 800593000
124
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Una guida per l'utente che vuole avere un approccio corretto
all'agriturismo e alla ristorazione in genere,
dove "piatto tipico" e " km 0" dovrebbero essere dei sinonimi
Le Montagne Divertenti Agriturismando
125
Rubriche
L
a bellezza di un territorio è
strettamente legata al modo in
cui l'uomo ne trae sostentamento.
Paesaggi armoniosi che trasmettono
serenità sono quelli dove si utilizzano
principalmente risorse rinnovabili e
questo sfruttamento viene fatto con
criterio e rispetto.
Nelle nostre valli il turismo intelligente ricerca le tradizioni e la genuinità
del paesaggio, apprezzando così agricoltura e pastorizia di montagna: coltivazioni e allevamenti di specie adatte
al territorio alpino, rispettosi di tempistiche lente e con uso limitato della
chimica (toséc).
Di fatto il prezzo dei prodotti che ne
derivano non è competitivo con quello
di merci analoghe ottenute da colture
intensive; ma se capiamo la profonda
differenza qualitativa, allora riusciremo
anche a giustificare il sovrapprezzo,
comunque già ridotto in conseguenza
del taglio della filiera di intermediari e
dei costi di trasporto.
Uno dei maggiori produttori biologici svizzeri in una conferenza ha
illustrato il paradosso della società
moderna, la quale tende a risparmiare
fino all'osso sul cibo, comperando dalla
grande distribuzione prodotti in offerta
di bassa qualità e di dubbia origine, per
poi acquistare grosse automobili e altri
beni che le assillanti campagne pubblicitarie hanno reso psicologicamente
necessari o addirittura indispensabili.
Studi scientifici, invece,
confermano che il benessere
di una persona è legato alla
qualità del cibo che mangia,
più che alla cilindrata della
vettura che guida o ai pollici
del televisore che ha in
salotto.
È risaputo: allevamento e agricoltura intensiva implicano l'utilizzo di
sostanze e procedure indiscriminate
per aumentare la produttività e quindi
abbassare i costi, il tutto a sfavore della
salute di chi quei prodotti li consuma.
I soldi spesi in cibo di qualità non sono
mai sprecati e mangiare bene si riflette
positivamente sul nostro umore, oltre
che sulla nostra salute.
Una lodevole iniziativa per favorire
il settore primario e la filiera corta è
stata l'introduzione degli agriturismi,
che dovrebbero permettere agli utenti
di consumare pietanze ottenute con
ingredienti prodotti in prevalenza nella
fattoria stessa.
Purtroppo capita che dietro al nome
di "agriturismo" si nascondano dei
ristoranti specializzati in cibi fatti con
ingredienti reperiti chissà dove al termine di una gara al sotto costo. Quindi
agriturismo non è affatto sinonimo di
genuinità, perché su questa denominazione i soliti furbi e senza scrupoli
hanno speculato per ottenere contributi e altre agevolazioni.
Si sono eletti a piatti tipici valtellinesi
sciàt e pizzoccheri, ma facendo un'indagine si constata che spesso in ciò che
viene servito c'è ben poco di Valtellina,
sia nel formaggio degli sciàt, che nelle
farine e nelle patate per i pizzoccheri,
che addirittura nel vino. Ciò è una
beffa per chi mangia e un grave danno
per il territorio, dal momento che
agricoltori e allevatori non trovano un
mercato adeguato per i loro prodotti.
È così nata l'idea di questa rubrica,
che non vuole essere tanto un premio
per chi fa le cose bene, quanto una
guida per avere un approccio corretto
all'acquisto e al consumo di alimenti,
dove "prodotto tipico" e "km 0"
dovrebbero essere sinonimi.
In Valtellina esistono ambienti dove
si mangia e si compra cibo genuino,
ma non ci sono ancora criteri oggettivi
per individuarli.
126
Le Montagne Divertenti Ad esempio nel formaggio l'erba
mangiata dalla mucca, la temperatura, la stagione di caeseficazione
incidono fortemente su sapore e
consistenza. L'eterogeneità del
sapore può anzi essere indice di
genuinità e deve essere intesa come
un pregio, una particolarità e non
certo un difetto;
- chiedete sempre vino della casa
o della zona; in genere è quello che
meglio si abbina ai piatti tipici;
- chiedete l'acqua del rubinetto che
in Valtellina è sempre ottima, economica e non fa inutilmente movimentare mezzi e gettare involucri;
Semele
N
ei prossimi numeri vi presenteremo qualche esempio
virtuoso, senza pretesa di esaustività:
due amici dall'identità segreta stanno
facendo un campionamento sporadico
di attività commerciali per poi parlarvi
di alcune tra quelle che hanno superato
il test del "km 0". Ovviamente gli esaminati non sono al corrente di nulla,
né vengono prese in considerazione
segnalazioni esterne (tangenti, intimidazioni o raccomandazioni).
Agriturismo: istruzioni per l'uso
Ecco alcuni suggerimenti per
vivere con consapevolezza la vostra
avventura in agriturismo:
- informatevi sempre sulle materie
prime utilizzate per il piatto che vi
viene servito. Un valido oste è a
conoscenza sia della provenienza
degli ingredienti, sia di come questi
siano stati prodotti (trattamenti,
annata, ...);
- non pretendete mai l'uniformità
del sapore di una stessa portata da
una volta con l'altra: le produzioni
contadine non sono certo standardizzate, ma il loro gusto varia perché
dipendente da molti fattori mutevoli.
Agriturismando
- preferite agriturismi di piccole dimensioni e che non vantano
pietanze esotiche nel menù;
- non fermatevi ai soliti piatti turistici
standard (sciàt, pizzoccheri, chiscioi
...), ma chiedete anche qualcosa di
casalingo;
- preferite sempre la qualità del
cibo alla quantità, o tornerete a casa
col mal di testa;
- verdura e frutta fresca devono
essere sempre di stagione;
- se possibile chiedete di visitare allevamento, orti e cantina per
apprezzare dove è stato prodotto e
conservato ciò che avete mangiato.
Estate 2012
S
emele, personaggio della mitologia greca poco conosciuto, è
la madre del dio Bacco, nato da una
sua relazione clandestina con il possente Zeus.
In Valtellina, in particolare a
Regoledo di Berbenno in via Parini
74, Semele è anche il nome di un
grazioso agriturismo. Prendendo la
strada che da Regoledo di Berbenno
porta a Monastero si passa per i
caratteristici vicoletti in mezzo ai
quali, in seguito al recupero di un
vecchio fienile trasformato in sala
con grande camino, soppalco e tetto
in legno a vista, è nato l'agriturismo.
Vi consigliamo di visitarlo la sera,
momento in cui l'illuminazione
della struttura fatta di legno, sasso e
vetro con un arredamento alla moda
vegia, crea un effetto molto speciale.
Semele è strettamente legato all'attività principale di Gregorio, il proprietario, il quale è viticoltore e con i
suoi cinque ettari di vigneto garantisce il vino all'agriturismo, mentre le
materie prime genuine provengono
dall'allevamento e dalla macellazione
dei maiali, che tiene nel piano di
Berbenno, nonché dai vicini orti.
Gregorio vi propone: il prosciutto,
la coppa, la lonza, i cacciatori, le salsicce, le costine, i salami, la mortadella, i cotechini, le vedure dell'orto,
il filetto di maiale con le mele, ma
la sua specialità esclusiva è la zuppa
asciutta. Una ricetta che la nonna gli
cucinava quando era bambino e che
ora lui prepara con successo ai suoi
ospiti.
Quello che ci ha colpito sin dalla
prima volta è che Gregorio propone
i piatti che la sua famiglia mangia nella quotidianità e di cui egli
stesso produce gli ingredienti, piuttosto che i "classici" della cucina
valtellinese.
Il proprietario apre Semele solo su
prenotazione (tel. 339 1270190),
dovendo dedicare le proprie energie principalmente a campagna e
animali. La conduzione, infatti, è
familiare e talvolta è lo stesso Gregorio a cucinare e servire le portate.
Gli ingredienti di produzione non
diretta, se possibile, vengono acquistati nelle aziende vicine.
SPECIALITÀ
INGREDIENTE 1
INGREDIENTE 2
km TOTALI
zuppa asciutta
verza dell'orto (0 km)
formaggio acquistato da Azienda Agricola
Codazzi Daniele a Villapinta (2 km)
2
filetto di maiale con
le mele
maiale (0 km)
mele dell' Azienda Agricola Badorini di
Polaggia (2 km)
2
Le Montagne Divertenti Agriturismando
127
Rubriche
Il mondo in miniatura
Uno stagno è come uno scrigno che racchiude un’incredibile
varietà di forme di vita. In estate
specialmente è un vero brulicare
di insetti, larve, pesci, girini e altri
anfibi. Quando si osserva la superficie dell’acqua stagnante l’attenzione viene subito catturata da quei
bizzarri “ragnetti” dalle zampe lunghissime che corrono veloci sull’acqua. Sono molto dinamici e perciò
difficili da osservare e da fotografare.
Come faranno a spostarsi in questo
modo senza affondare?
A PELO
D'ACQUA
Il Gerride (Gerris sp.) scivola sulla superficie
dell’acqua sfruttandone la tensione superficiale
(25 marzo 2012, foto Paolo Rossi).
Matteo Di Nicola, collega naturalista e appassionato di erpetologia e fauna minore, ci aiuterà a
svelare i segreti di questi particolarissimi organismi, che vengono
chiamati impropriamente ragni…
· Si tratta di insetti rincoti (o emitteri), sottordine eterotteri, quindi
parenti stretti delle cimici, e costituiscono la famiglia a se stante dei gerridae. I ragni invece appartengono a
tutt’altra classe, gli aracnidi, e si riconoscono principalmente per il fatto di
possedere otto zampe contro le sei degli
insetti.
Alessandra Morgillo
A proposito di zampe: osservando bene le due anteriori sembrano molto diverse dalle altre.
Come mai? I gerridi in generale sono
zoofagi, cioè si nutrono di altri organismi. Questi possono essere già morti,
per esempio insetti caduti in acqua,
oppure prede vive, come larve di altri
artropodi che risalgono in superficie
per respirare, che vengono cacciate
attivamente.
Il Gerride (Gerris sp.) è un insetto acquatico
(25 marzo 2012,
foto Paolo
128pattinatore
Le Montagne
Divertenti
Rossi).
Estate 2012
Le zampe anteriori sono molto
più corte e raptatorie: hanno
la funzione di catturare e
immobilizzare le prede dopo
che sono state individuate
grazie alle vibrazioni che esse
propagano sulla superficie
dell'acqua.
consente a questi insetti di spostarsi
rapidamente sull’acqua con il tipico
movimento a scatti, guadagnando
anche più di un metro con un singolo
scatto.
Per forare l'esoscheletro delle loro vittime i gerridi si servono di uno speciale
apparato boccale pungente-succhiatore
a forma di rostro che a riposo è tenuto
ripiegato sulla parte ventrale.
Le altre due paia di zampe invece
servono a dare la spinta propulsiva che
Sono insetti nuotatori o “camminano” sull’acqua? · Vengono definiti pond skaters, insetti pattinatori.
Non nuotano né galleggiano ma sono
semplicemente appoggiati sulla superficie dell’acqua, sfruttandone la tensione
superficiale.
Le Montagne Divertenti Cosa significa? · La superficie
libera dell’acqua è come trattenuta da
un’invisibile pellicola, risultato dell’effetto combinato di due forze antagoniste, di adesione e di coesione, che
agiscono a livello molecolare nell’elemento liquido. Grazie anche alla leggera peluria idrofuga, cioè imbevuta
di sostanze oleose idrorepellenti, che
riveste le estremità delle lunghe zampe
e al peso relativamente leggero, l’insetto scivola su questa pellicola senza
bagnarsi nè affondare.
A pelo d'acqua
129
Rubriche
Amici
NATUR...ALI
Alessandra Morgillo
Molto diffusi sono anche gli
insetti acquatici predatori
appartenenti al genere
Notonecta che presentano
un particolarissimo sistema
di locomozione: sfruttano
anch’essi la tensione
superficiale, ma si muovono
a pancia in su appena sotto il
pelo dell’acqua.
È eccezionale come le specie
viventi sappiano adattarsi all’ambiente in cui vivono. · È vero! Ma
anche in questo caso l’uomo potrebbe
compromettere gravemente il delicato equilibrio naturale. I detersivi
tensioattivi, per esempio, rompono o
diminuiscono la tensione superficiale,
perciò l’inquinamento modifica drasticamente l’ambiente di vita di questi
e di tanti altri animali legati all’acqua, mettendone a rischio la stessa
sopravvivenza.
Notonetta con preda (Coccinella
7-punctata). Le coccinelle sono
assolutamente inappetibili per
la gran parte dei predatori. Ciò
è confermato anche dal loro
colore aposematico, ma non per
gli emitteri come le notonette
che, grazie al robusto rostro,
attaccano ogni sorta di insetto,
così come girini e persino anfibi
adulti, e può infliggere all'uomo
punture dolorose (28 maggio
2011, foto Matteo Di Nicola).
130
Le Montagne Divertenti Il corpo si è adattato al nuoto, grazie ad una modificazione che ha reso
le robuste e lunghe zampe posteriori
simili a pagaie.
Ma se le notonette vivono sotto
la superficie dell’acqua, come
fanno a respirare? · Grazie ad un
sistema molto curioso, utilizzato
anche da altri artropodi. Sull’addome
possiedono dei peli rigidi che trattengono delle bolle d'aria, così, quando si
immergono, il loro corpo è circondato
da aria. Una volta esaurito l’ossigeno
Che specie possiamo incontrare le notonette fanno emergere l’apice
nelle nostre acque stagnanti? · Tra dell’addome e immagazzinano nuove
i gerridi le specie più comuni sono bolle rinnovando la provvista d’aria.
Aquarius najas, Aquarius paludum, Una curiosità: seppur passano le
Gerris thoracicus, Gerris costae, Ger- giornate nuotando, a volte di notte
ris lacustris e Gerris maculatus; molto escono spontaneamente dall’acqua e
simili ai gerridi sono anche le idrome- si alzano in volo per migrare da una
tre, che “passeggiano” più lentamente zona umida all'altra, assomigliando
sul pelo dell’acqua e per questo predili- vagamente a delle cicadelle.
gono acque molto ferme.
Estate 2012
Le Montagne Divertenti Volo di notte dell’orecchione alpino (Plecotus
macrobullaris). Le specie del genere Plecotus (5 in
Italia) sono caratterizzate da padiglioni auricolari
estremamente sviluppati, aventi una lunghezza
quasi pari a quella corporea (circa 5 cm)
Pipistrelli
131
(29 settembre 2011, foto
Marco Colombo).
Rubriche
Fauna
Rinolofo Minore (Rhinolophus hipposideros)
dopo il pasto (22 aprile 2011, foto Marco
Colombo).
Solo a sentirli nominare a
molti corre un brivido lungo la
schiena e nell’immaginazione
prendono forma orribili
topastri volanti che nel buio
insidioso della notte planano
rovinosamente sulla testa delle
persone con il disdicevole
intento di attaccarsi ai capelli e
non staccarsi più. Protagonisti
di questa e di molte altre false
leggende, i pipistrelli non hanno
mai goduto di buona fama e
la cattiva nomea di creature
pericolose è diffusa e continua
a perseguitarli.
Il loro aspetto un po’ bizzarro, le
abitudini notturne e i numerosissimi
inquietanti racconti letterari e cinematografici che, con la sola eccezione
di Batman, li dipingono come terrifici
anti-eroi, hanno potenziato la paura e
la diffidenza nei loro confronti. Non
capita di rado, infatti, di assistere a
vere e proprie scene di panico quando,
a causa delle finestre lasciate spalancate le sere d’estate, qualche sventurato pipistrello finisce per sbaglio
dentro casa. Superato il grande spavento iniziale ci si allerta per scacciare
l’intruso: di solito si impugna la scopa
e, non prima di aver indossato, a mo’
di elmetto o bandana, un copricapo di
fortuna, si interpretano improbabili
danze attorno al lampadario, inseguendo lo sfarfallio del malcapitato,
la cui ombra intanto si proietta, ingigantita e minacciosa, sulle pareti della
stanza.
Non è facile riabilitare l’immagine
dei pipistrelli, né sovvertire o smentire radicalmente tutte le credenze
popolari che persuadono a temerli
ed allontanarli, ma è bene sapere che
sono animali selvatici innocui e le
132
Le Montagne Divertenti Pipistrello albolimbato (Pipistrellus kuhlii).
Uscita dal riparo diurno (13 luglio 2007, foto
Marco Colombo).
35 specie presenti in Italia sono tutte
protette dalla legge (L. 157/1992,
L. 104/2005, D.P.R. 357/1997 e
120/2003), pertanto non solo è illegale far loro del male, ma anche catturarli o detenerli, nonché disturbarli o
distruggere i loro rifugi.
Fortunatamente oggi i pipistrelli
stanno riacquistando una più dignitosa considerazione e popolarità. Si
sente spesso parlare di questi animali
che vengono studiati con rinnovato
interesse: servizi al telegiornale e articoli sui quotidiani attribuiscono ad
essi l’appellativo di antidoto naturale
contro l’invasione delle zanzare e sono
persino in commercio i rifugi artificiali
(bat-box), ovvero cassettine di legno
che si appendono alle pareti esterne
degli edifici o al tronco degli alberi
per poterli ospitare nei pressi delle
abitazioni. In diverse città hanno preso
il via campagne di sensibilizzazione a
favore della salvaguardia dei pipistrelli,
in linea coi programmi dell’Anno
Internazionale del Pipistrello (Year of
the Bat 2011-2012), in cui molti paesi
del mondo stanno organizzando ini-
ziative per promuovere la conoscenza
di questi preziosi animali.
Mettiamo per un momento da
parte i pregiudizi e proviamo ad osservare con incondizionata curiosità questi stravaganti capolavori della Natura.
Sarebbe riduttivo definirli solo come
l’egregio risultato di una sofisticata
evoluzione. Essi, infatti, sono forse la
più straordinaria prova dell’efficiente e
strabiliante fantasia con cui la Natura
plasma la vita, nella continua ricerca
della soluzione migliore, ai limiti
dell’impossibile.
Un mondo a testa in giù · Non
esiste alcun mammifero in grado
di compiere volo attivo. Nessuno,
eccetto i pipistrelli.
L’uomo è riuscito a conquistare il
cielo grazie al suo ingegno, imitando,
con la tecnologia, le caratteristiche
degli uccelli, i veri padroni dell’aria,
gli unici vertebrati a possedere le ali.
Ma il corpo dei mammiferi è ricoperto da peli e pelliccia, mentre le
penne rimangono prerogativa esclusiva degli uccelli; com’è dunque posEstate 2012
sibile librarsi in volo in mancanza di
una struttura morfologica adeguata?
Qui entra in gioco la paziente evoluzione che, alimentata dalla necessità
di questi insettivori di catturare prede
volanti, ha avviato una lenta trasformazione, durata milioni di anni, che
ha modificato gli arti superiori e li ha
resi strumenti di volo. Una membrana
di pelle sottile e resistente, detta patagio, unisce le dita della “mano”, che
sono diventate estremamente lunghe
e sottili, con il lato del corpo e gli arti
posteriori. Il termine scientifico “Chirotteri” con cui vengono chiamati i
pipistrelli deriva dal greco cheir, cioè
mano, e ptéron, ala, e riassume perciò
con efficacia tale peculiarità.
Nel nostro paese vivono solo pipistrelli appartenenti alla categoria
dei microchirotteri, che presentano
dimensioni ridotte (5-7 cm di lunghezza, 20-25 cm di apertura alare e
dai 5 ai 15 grammi di peso) e sono
per la maggior parte grandi mangiatori di insetti. Esistono anche i
megachirotteri, che possono anche
superare il metro di apertura alare, ma
Le Montagne Divertenti IL FOTOGRAFO
Le splendide immagini a corredo di questo articolo sono scattate dal fotografo naturalista Marco Colombo (www.calosoma.it). Nato nel 1988 e laureato in Scienze
Naturali presso l’Università degli Studi di Milano, inizia a fotografare nel 19992000. Tra i suoi soggetti preferiti si annoverano rettili e anfibi, invertebrati e organismi subacquei, oltre a uccelli, mammiferi e orchidee spontanee, ritratti con ottiche
varie, da grandangolari a macro e teleobiettivi Nikon. Sue foto e articoli sono stati
pubblicati su diverse riviste scientifiche e divulgative; è inoltre coautore di due libri e
due mostre fotografiche. Alcuni suoi scatti hanno ricevuto menzioni speciali o vinto
in concorsi internazionali, incluso il Veolia Environnement Wildlife Photographer
of the Year 2011.
In alto la natrice (Natrix natrix), immagine con cui Marco ha vinto il primo premio
nella categoria “ritratto animali” del concorso Wildlife Photographer of the Year
2011, indetto dal Natural History Museum di Londra in collaborazione con il BBC
Wildlife Magazine.
Pipistrelli
133
Rubriche
Fauna
vivono nelle zone tropicali del vecchio
mondo e si nutrono quasi tutti esclusivamente di frutta.
L’adattamento al volo giustifica
anche un’altra strana abitudine di
questi animali: quella di stare appesi a
testa in giù. Ciò è frutto di un compromesso, che risponde alla necessità
di alleggerirsi per consentire a quelle
“mani trasformate” di sostenerli in aria.
Zampe posteriori forti e robuste, adatte
a vincere la forza di gravità e sorreggere
l’animale una volta a terra, sarebbero
state un inutile fardello durante il volo,
così si sono parzialmente atrofizzate e
specializzate a garantire, grazie ai robusti artigli, un saldo e sicuro appiglio ai
più svariati supporti.
Nottola di Leisler (Nyctalus leisleri), tipica
specie di bosco, si nasconde nelle fessure e
buchi dei tronchi (8 settembre 2011, foto
Marco Colombo).
La più straordinaria tra le
peculiarità di questi singolari
animali è senz’altro la capacità
fuori dal comune di muoversi
anche in totale assenza di luce.
Un mistero che ha da sempre affascinato studiosi e scienziati e, solo
nell’Ottocento, dopo l’invenzione
di apparecchi elettronici in grado di
rivelare suoni che si trovano fuori
della gamma di frequenze percepibili
dall’udito umano, venne dimostrato
che i pipistrelli si orientano grazie
all’ecolocalizzazione. Si tratta di un
raffinato sistema basato sull’emissione di ultrasuoni e sulla ricezione
dell’eco di ritorno. Grazie a questa
dote geniale riescono a schivare con
sicurezza anche i più piccoli ostacoli
e a catturare in volo prede minuscole,
senza aver bisogno della vista, peraltro molto scarsa, quanto piuttosto di
un udito speciale. Le grandi orecchie
sono in grado di captare e decodificare il segnale acustico che poi il cervello traduce in una sorta di mappa
mentale che riproduce nei dettagli
l’ambiente circostante. Un po’ come
fa il sonar di una nave quando scandaglia il fondale marino. Davvero
eccezionale, no?
Perché i pipistrelli sono utili? · In
qualità di predatori naturali di insetti,
i chirotteri tengono effettivamente
sotto controllo il loro proliferare,
compreso quello delle fastidiosissime
zanzare. È stato provato che in zone
dove si sono insediate colonie di pipi-
134
Le Montagne Divertenti strelli la quantità di insetti è considerevolmente diminuita.
Poter contare sul contributo di
questi preziosi alleati significherebbe
poter garantire l’integrità e la qualità dell’ambiente. L’uso massiccio
di pesticidi chimici, infatti, oltre a
inquinare l’ambiente, a lungo termine
risulta inefficace perché gli insetti
superstiti diventano via via più resistenti ai trattamenti. Inoltre gli insetticidi di sintesi che vengono nebulizzati
non sono selettivi e uccidono tutti gli
insetti, non solo quelli nocivi, avvelenando anche i loro predatori e l’intera
catena alimentare.
Assai comuni nell'ambiente urbanizzato, ma particolarmente sensibili
alle modificazioni ambientali, i pipistrelli negli ultimi decenni sono in
diminuzione. Inoltre, con la modernizzazione dei vecchi edifici, le specie
fessuricole, cioè che amano insediarsi
in anfratti e spazi angusti, riscontrano sempre maggiori difficoltà a
trovare luoghi idonei dove trascorrere
il riposo diurno e il letargo invernale.
Offrire loro rifugio mettendo in posa
una bat-box, ha un significato che va
al di là del concreto supporto ad animali che da sempre vivono a stretto
contatto con noi, ma che ora vedono
Estate 2012
la loro stessa esistenza gravemente
minacciata dalle attività antropiche.
In questo gesto risiede anche il nobile
intento di suscitare una sempre maggiore sensibilità di fronte alle attuali
tematiche ambientali, nonché di far
conoscere e, quindi, imparare ad
apprezzare e rispettare anche quelle
creature che per tradizioni ingiustificate non riscontrano molta simpatia,
ma che, invece, possono considerarsi
"indicatori biologici" della qualità
ambientale, in quanto con la loro presenza certificano la salute e l’integrità
del territorio, ricoprendo un ruolo
fondamentale nell’ecosistema.
Le Montagne Divertenti PER APPROFONDIRE
"Amici natur...ali" è un libretto didattico-divulgativo rivolto principalmente ai bambini e alle
loro famiglie con l'obbiettivo di far conoscere
i principali antagonisti naturali dei fastidiosi
insetti nocivi, tra cui la famigerata zanzara tigre:
le rondini e i pipistrelli. Le sue pagine offrono
tante curiosità, giochi e informazioni utili, tra
cui le istruzioni per istallare una bat-box e consigli per una convivenza serena con queste specie
selvatiche comuni nelle nostre città.
L’opuscolo è scaricabile dal sito del Comune di
Brescia (nella sezione dedicata alla zanzara tigre,
area gestione del territorio - settore ambiente),
oppure al link: www.csnb.it/soci/morgillo.htm
Pipistrelli
135
Rubriche
o d e alla
Poesia in dialetto di Albosaggia - zona Torchione di Paolo Piani
Poesie dialettali
carriola
In principio c’era “il gerlo”:
In principio c’era la gerla
Quàata fadìga la pora géet!!!
Quàati strozzàdi sensa sintiméet!!!
Carghi de roba sura la schena,
gopp come àsén, quàata la pena!
Quanta fatica la povera gente!
Fatiche sovrumane senza senso!
Carichi pesanti sulle spalle,
gobbi come asini, quanta pena!
Ol cool fò lónch come chél de ‘n strüz,
ol fiàat cà al vée cà sü dal canarüz,
pesanc’ i pass, al cröva i giönöc’:
na vita da ‘ngürach gnàa ca ‘n ciöc’!
Il collo tirato come quello di uno struzzo,
il fiato che non esce dalla gola,
pesanti i passi, le ginocchia che cedono,
una vita da non augurare neanche a un pidocchio!
Ol Signór a idìi i so pori fiöi
cunciac’ péc’ che a Pasqua i ‘gnöi,
en ciel al gh’a fac’ ol disegn con li stèli:
na carèta granda e una piscìna: propi beli!
Il nostro Signore a vedere i suoi figli,
conciati peggio che a Pasqua gli agnelli,
in cielo ha disegnato uno schizzo con le stelle:
il grande ed il piccolo carro: simili alla carriola!
Poi hanno inventato la carriola:
Poi hanno inventato la carriola.
Sant chèl óm, cà dal ciel al t’ha copiàda:
con la röda davanti a cercàa strada,
e du mànech derét fàcei da olsàa
par portà i püsè gran pées sensa s-ciopà.
Santo quell’uomo che in cielo ti ha copiata:
con la ruota davanti a cercare strada,
e dietro due manici per alzarla facilmente,
e portare pesi ancora maggiori senza scoppiare.
Ecco la cariola: de ogni atrèzzi ol püsè dégn,
sia ca la gh’àbes la röda de goma, sia de légn,
gran ristoro de li fadìghi umàni:
sarìs da fat di na mèsa tüti li sitimàni!
Ecco la carriola: di ogni attrezzo il più degno,
sia che abbia la ruota di gomma che di legno,
gran ristoro alle umane fatiche:
meriterebbe una messa di ringraziamento a settimana.
En poo a la olta, ai t’a ‘mbeletàda,
coi miglior matériai a-i t’a stampada :
de legn, de fèr, de plastega, de lamèra,
sèmpre püsè bèla, sèmpre püsè lengéra!
Un po’ alla volta l’hanno resa sempre più bella,
con i migliori materiali l’hanno stampata:
di legno, di ferro, di plastica, di lamiera,
sempre più gradevole, sempre più leggera!
E infine: l’evoluzione della specie:
E infine, l’evoluzione della specie:
Tanto l’era bèla la tua forma e tanti li virtù,
ca la gh’a sügerìt notra idea a ‘n gran striù:
metèmech en motòr che va a miscèla,
fasemèch la gabìna col post da mèt la mèla,
Tanto era bella la tua forma e tante le virtù,
che hai suggerito un’idea innovativa ad una testa fina:
mettiamogli un motore che va a miscela,
facciamogli la cabina, con porta attrezzi per la roncola,
tachemèch ol casù con li trèi spóndi,
e par giònta anca la targa con sü Sóndri:
ed ecco creàt iscè dal nient en bel miraggio:
tùlìi gió ol capèl davànti a l’Ape Piaggio!
136
Le Montagne Divertenti aggiungiamogli il cassone con le tre sponde,
e per giunta anche una targa di Sondrio:
ed ecco creato quasi dal nulla un gran miraggio:
togliete il cappello davanti all’Ape Piaggio!
Estate 2012
Le Montagne Divertenti Poesie dialettali
137
Rubriche
138
Le Montagne Divertenti CLICK
d'estate
Estate 2012
Dati EXIF
Recensione
Autore / Giacomo Meneghello
Data di scatto / 11 agosto 2011
Ora di scatto / 19.30
Fotocamera / Canon EOS 7D
Obiettivo / EF24-70mm f/2.8L USM
Lunghezza focale equiv. / 36mm
Tempo di esposizione / 1/80 sec
Apertura del diaframma / f.9
ISO / 200
In montagna è sufficiente trovare una
piccola pozza d’acqua per creare un’immagine incantevole. Giacomo in questo caso ha atteso nei pressi del passo
di Gavia che il lago andasse in ombra
per esaltare la specchiata. L'imponente
ghiacciaio alla base della cima piramidale del corno dei Tre Signori aumenta
l’importanza dello scatto, mentre il cielo
è ornato da alcuni sbuffi di nuvole. Una
brezza leggera accarezza il lago, rompendo il riflesso perfetto a favore di un
effetto più mosso e sfumato.
Le Montagne Divertenti L'arte della fotografia
139
Rubriche
Dati EXIF
Recensione
Autore / Enrico Minotti
Data di scatto / 8 luglio 2008
Ora di scatto / 16.30
Fotocamera / Nikon D300
Obiettivo / Nikkor AF DX Fisheye 10.5mm f/2.8G ED
Lunghezza focale equiv. / 16mm
Tempo di esposizione / 1/125 sec
Apertura del diaframma / f.22
ISO / 200
Quello catturato da Enrico è uno dei momenti più magici che l'alta
montagna ci possa regalare: la pace di un lago in perfetta quiete.
Purtroppo è un momento anche molto raro, poiché in genere la
calma piatta tipica del primo mattino lascia celermente il posto alle
brezze pomeridiane, che increspano i laghi alpini distruggendo il
riflesso perfetto.
Lo scatto ha inoltre un tono molto cromatico, dovuto all’erba verdissima e alla neve ancora presente sulle cime che disegna il riflesso
nel lago. I cumuli nel cielo, allungati dalla distorsione dell'obiettivo fortemente grandagolare, incorniciano la composizione sia nel
mondo reale, che nella realtà riflessa.
Lo specchio d'acqua immortalato è stato certamente riconosciuto
da molti lettori: è il meraviglioso lago di Angeloga, situato in valle
Spluga in amena posizione sotto la mole del pizzo Stella (nel centro
dell'immagine) e vicino al rifugio Chiavenna. Lo si raggiunge da
Fraciscio, paese di villeggiatura del fotografo che qui trascorre le sue
vacanze sin da quando era bambino.
140
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti Dati EXIF
Recensione
Autore / Beno
Data di scatto / 27 giugno 2010
Ora di scatto / 11.55
Fotocamera / Pentax K10D
Lunghezza focale equiv. / 27mm
Tempo di esposizione / 1/1000 sec
Apertura del diaframma / f.8
ISO / 100
Una buona fotografia è anche quella che
documenta qualcosa di eccezionale. In queste
circostanze, la presenza di buone condizioni
di luce è certamente cosa gradita al fotografo,
ma non costituisce un fattore di fondamentale importanza. La foto di Beno, scattata nel
fantastico contesto dei laghetti di Sassersa, ai
piedi del pizzo Rachele in Valmalenco, è certamente bene inquadrata, ma soffre la piattezza della luce di mezzogiorno. Tuttavia ciò
non inficia lo scatto che deve la sua forza alla
rara occasione di immortalare un temerario
che fa il bagno nell'acqua di disgelo.
L'arte della fotografia
141
Speciali
Foto dei lettori - il miglior fotografo
Da Scermendone. Bizzarre nuvole sopra la cima Averta o Vicima (29 agosto 2011, foto Alfredo Costanzo).
Ruttico
gomme
MANDA LE TUE FOTOGRAFIE
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a guidare sicuro
Due sezioni dedicate ai nostri lettori:
• una che premia il fotografo più bravo tra quelli che pubblicheranno i loro scatti inerenti i monti di
Valtellina e Valchiavenna sul forum accessibile dall'indirizzo: www.clickalps.com/forum-montagna .
Due delle sue foto verranno pubblicate con recensione e scheda di presentazione del fotografo.
• una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate a
[email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo.
Gli scatti migliori che ci sono pervenuti negli ultimi 3 mesi sono di:
IL FOTOGRAFO
LA FOTOGRAFIA (recensione di Roberto Ganassa)
Mi chiamo Alfredo Costanzo. Sono originario di Menaggio, ma ora abito a Grandola
ed Uniti, un grazioso paesino nelle sue vicinanze, in provincia di Como
La passione per tutto ciò che concerne la
montagna mi accompagna da sempre.
Ho cominciato a scattare foto con una
macchina compatta, che mi ha permesso di
cogliere i momenti più significativi delle mie
escursioni, facendomi appassionare sempre
più alla fotografia.
Da circa due anni ho acquistato una reflex
più professionale e da allora la porto sempre
con me. Mi piace “raccontare con le immagini” l’ambiente della montagna, con le sue
caratteristiche naturali e antropiche, cercando
scorci che spesso riflettono peculiarità che
stanno scomparendo.
A volte non è indispensabile esibire una grande tecnica per
portare a casa un bello scatto, basta essere al posto giusto al
momento giusto. In questo caso il nostro lettore Alfredo ha
scelto una giornata con aria limpidissima per andare a fare
un’escursione sulle Alpi Retiche, precisamente sopra l’alpe
Scermendone. Le montagne in oggetto si trovano tra la valle
di Sasso Bisolo e la val di Mello, nel comprensorio della val
Màsino.
Uno dei soggetti principali di questo scatto sono le nuvole
che, stirate dal vento, disegnano il cielo: senza di loro la foto
avrebbe perso sicuramente molto del suo fascino.
Altra cosa fondamentale per realizzare uno scatto buono
come questo è l’orario. Si nota benissimo che qui siamo nel
tardo pomeriggio, quando le luci sono radenti, le ombre si
allungano e donano così tridimensionalità alla foto aumentando l'incisione di creste e canali.
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142
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori
143
le foto dei lettori
Rubriche
CINA
Nicola Buzzetti, 24 anni, è di Sondrio. Da settembre 2011 vive e lavora in Cina a Changzhou, dove insegna italiano in
una scuola superiore cinese. In Italia era solito leggere Le Montagne Divertenti, e qualche mese fa i suoi genitori, insieme a
cibo italiano e qualche regalo, gli hanno inviato un numero della rivista, che ha subito portato in classe (1 aprile 2012).
TOSCANA
Paolo e Ines a Figline Valdarno per il Raduno Registro
Storico Renault 4 (5 giugno 2011).
FIRENZE
MAIELLA
Le classi 3B e 4B dell'Istituto tecnico Geometri di Sondrio
in viaggio di istruzione a Firenze (28 marzo 2012).
Gruppo del Cai Valmalenco (Enrico, Daniela, Dorico e
Luciano) sul monte Focalone, nel gruppo della Maiella
(11 aprile 2012).
DOTTORE! DOTTORE!
Le Montagne Divertenti è l'ospite speciale della festa di
laurea di Davide Bettini (16 marzo 2012).
VALSASSINA
Francesca al rifugio Sassi Castelli ai Piani di
Artavaggio (25 febbraio 2012).
GRAN ZEBRÙ
Gigi Testini in vetta al Gran Zebrù (31 marzo 2012).
144
Le Montagne Divertenti CUBA
Franco e Loredana durante la loro esplorazione del parco nazionale
di Vinales (patrimonio Unesco) (febbraio 2012).
KENYA
Maurizio nel villaggio di Pisikisho con una famiglia della tribù
dei Burana, nel Kenya del Nord (24 gennaio 2012).
Estate 2012
Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori
145
le
foto dei lettori
Rubriche
CARAIBI
Le Montagne Divertenti sono andate in
crociera in compagnia di Anna e Otto, Anita e
Walter, Vilma e Sandro (27 gennaio 2012).
ISRAELE
Yotam e Eynav nel deserto di Israele (4 febbraio 2012).
ETNA
Paolo, Milvia, Eliana, Domenico, Fulvio e Giovanni poco
sotto la cima dell'Etna (17 marzo 2012).
AFGHANISTAN
Carlo in compagnia dei suoi collaboratori afghani (5 gennaio 2012).
MALDIVE
Enrica e Paolo alle Maldive
(17 febbraio 2012).
ANDE
Francesco, Michele, Roberto e Chiara, colleghi della Banca
Popolare di Sondrio e compagni di viaggio nel tour della
Patagonia (10 febbraio 2012).
I GIOVANI CANTORI GIUSEPPE FUMASONI
I Giovani Cantori Giuseppe Fumasoni di Berbenno di Valtellina a Roma; dopo aver cantato in piazza del Vaticano
hanno avuto udienza dal Santo Padre (15 marzo 2012, foto Flavio Forzi - Photo Service Castione).
146
Le Montagne Divertenti Estate 2012
CUBA
Cristian e Mauro a Trinidad de Cuba
(2 dicembre 2011).
Le Montagne Divertenti VALTELLINA
Una ciaspolata in notturna a Prato Valentino con Le
Montagne Divertenti (9 marzo 2012).
Le foto dei lettori
147
le
foto dei lettori
Rubriche
SVEZIA
Ingrid in giro con gli sci nel Muddus
National Park, nelle vicinanze del Circolo
Polare Artico (4 marzo 2012).
RUSSIA - PETROZAVODSK
PIZZO DI PRATA
Fabio, Mirko, Stefano, Mara e la "guida" Daniele sul
pizzo di Prata (26 giugno 2011).
GRANDE ATLANTE
Oreste, Dino, Gabry, Lorenzo, Beltra, Franca, Cesarino, Ale e Maria sulla
cima del Toubkal (m 4165) (6 marzo 2012).
Lago Onega. Katerina Shlapeko, organizzatrice di
"Hyperborea winter festival" (festival delle sculture di
neve), indossa la maglietta de Le Montagne Divertenti
donatale dalla squadra italiana.
BANGLADESH
LONDRA
Corrado Tavelli alla maratona di Londra 2012.
RUSSIA
Eliana e Nemo Canetta nel gelo della loro amata Russia (11 gennaio 2012).
NEPAL
Mario Gianola al campo I dell'Ama Dablam, il
Cervino dell'Himalaya (7 novembre 2011).
Padre Luigi Paggi, Renata e Tita in compagnia di alcuni
tribali Munda su una barca all'ingresso della foresta del
Sunderban, quella della Tigre del Bengala (17 aprile 2012).
VALTELLINA
Sergio sulla strada per l'alpe Rogneda.
VALMALENCO
I bambini della scuola dell'infanzia "Don Gatti" di Caspoggio in visita alla miniera della Brusada Ponticelli (27 aprile 2012).
148
Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori
149
le
foto dei lettori
Rubriche
soluzioni del n.20
Vincitori e
Ma ch'el?
vinti
L'oggetto in questione è la pestarola utilizzata per la lavorazione
delle castagne.
"Detto anche spacagus (rompigusci) o spacacastegne, era utilizzato per separare i gusci o le bucce delle castagne dalla polpa,
per procedere a successive lavorazioni, quali la trasformazione
in farina con un pestello in un apposito mortaio. A seconda
della stagionatura del frutto, più tardi vennero introdotti mulinelli che affinavano il processo di separazione dei residui dalla
castagna che andava in macina" (spiegazione di Ivan Andreoli).
In particolare, l'attrezzo fotografato è stato reperito da Mauro
De Bernardi a Albosaggia.
I vincitori sono:
1- Alessandro Piani di Albosaggia
2- Ivan Andreoli di Poggiridenti
3- Simone Nonini di Sorico
4- Enrico Gottifredi di Dubino
5- Giovanni Rovedatti di Morbegno
VIETNAM
Eleonora e Mimmo alla fine di un mese di viaggio nel Vietnam; la foto è stata scattata presso il delta del
Mekong, nella parte meridionale del paese (25 marzo 2012).
Che scimma ì-è?
OROBIE
Giuliana e Francesco Marveggio in vetta al
pizzo Redorta (28 marzo 2012).
CINA
Le cime ritratte nella fotografia di Enrico Minotti sono (risposta
sufficiente per essere considerata valida):
- le cime dei pizzi dei Piani (m 3148 e m 3158);
- il pizzo Ferrè (m 3103).
SERMIG
I vincitori sono:
Veronica e Sergio: anche le ferrate (peraltro facili) della montagna
sacra Huashan sono divertenti! (6 marzo 2012).
Alcuni ragazzi degli oratori dell'Alta Valle di ritorno dal campo
invernale al Sermig, l'Arsenale della Pace di Torino (1 gennaio 2012).
1- Enrico Gottifredi di Dubino
2- Sergio Proh di Mossini
3- Maria Azzimondi di Sondrio
4- Simone Nonini di Sorico
5- Lino Tenni di Tirano
Hanno inoltre indovinato (sono inseriti i nickname dove il
concorrente non ha firmato col proprio nome): Giovanni Rovedatti, Giulia Bertolini, Pippirippi, Davide Della Morte, Bruna
Sarotti, Gianfra, Fabrizio Franzini e Bazzialbe.
VAL MÀSINO
Paolo, Rolando, Emiliano, Alessandro
mostrano Le Montagne Divertenti al bar
La Bregolana (“La Baracca”) in val Màsino
(31 dicembre 2011).
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Le Montagne Divertenti Estate 2012
Le Montagne Divertenti Giochi
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Giochi
Che scimma i-è?
Questa volta non sarà facile! Qual'è la vetta più alta ritratta in questa fotografia?
Ai 2 più veloci dalle ore 21:00 del 28 giugno 2012 una foto stampata su
tela (altezza 70 cm - già con telaio e supporti). La foto può essere scelta tra
quelle presenti sul sito www.clickalps.com e riguardanti le montagne di Valtellina e Valchiavenna o tra quelle presenti sull'ultimo numero della rivista.
Il 3° classificato avrà cappellino e maglietta de “Le Montagne Divertenti”, il
4° e il 5° un libro tra quelli disponibili sul sito www.lemontagnedivertenti.com.
Scrivi la tua risposta sul forum “Che scimma i-è?” accessibile da
www.lemontagnedivertenti.com/concorsi
Ma ch'èl?
Sei pratico di vecchi utensili?
Dimmi allora come si chiama e a
cosa serve quello qui fotografato.
I 2 più veloci dalle ore 21:00 del
26 giugno 2012 vinceranno
un buono acquisto di 50 euro
da spendersi presso uno degli
inserzionisti presenti all'interno
di questo numero della rivista, il
3° classificato riceverà cappellino
+ maglietta de "Le Montagne
Divertenti", il 4° e il 5° un libro a
scelta tra quelli disponibili sul sito
www.lemontagnedivertenti.com.
Scrivi la tua risposta sul forum
“Ma ch'èl? ” accessibile da
www.lemontagnedivertenti.com/
concorsi
ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE
Le Montagne Divertenti Giochi
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Rubriche
lE RICETTE
DELLA NONNA
Le ortiche
gusto pungente
Testi e foto Fabrizio Picceni e Laura Terraneo
V
Chi non ha mai avuto a che fare con le ortiche? Spesso odiate, non tutti sanno che oltre
a pungere, hanno proprietà nutritive che ne
fanno un pregiato alimento.
L'ortica è alta fino a 2 metri, predilige luoghi
umidi e ricchi di azoto, meglio se ombrosi. Le
foglie sono grandi, ovate e opposte, lanceolate,
seghettate e acuminate. I fiori femminili sono
verdi e raccolti in spighe lunghe e pendenti,
mentre i fiori maschili sono riuniti in spighe
erette. Fiorisce da maggio a ottobre.
Ricca di sali minerali (tra i quali ferro, potassio,
magnesio e fosforo) e vitamine (A, C, K), le sue
proprietà medicinali son note fin dall'antichità: è
efficace contro l’anemia, i reumatismi e le infiammazioni; ma noi ci occuperemo degli utilizzi
culinari.
Generalmente vengono utilizzate solo le foglie,
meglio ancora le cime. Se prese in primavera
restano più tenere, ma le si possono raccogliere
pure in estate, avendo cura di scegliere le foglie
più giovani e sane.
Per quanto riguarda la raccolta, dire di munirsi
di un paio di guanti forse è superfluo! Così come
è inutile dire dove la si può trovare, in quanto è
talmente diffusa che spesso viene considerata una
pianta infestante.
L’ortica perde le proprie capacità urticanti con la
cottura. Può essere utilizzata per minestre, risotti,
frittate. I più temerari potranno pure provarla
in insalata, con l’accortezza di lasciarla immersa
in acqua bollente per almeno 5 minuti prima di
consumarla.
Ma noi, che temerari non siamo, vi proponiamo
tre semplici ricette.
MINESTRA DI ORTICHE
Dosi per 4 persone.
Preparare un soffritto con olio (o burro), mezza
cipolla affettata, una patata a cubetti e 80 g di
foglie di ortica precedentemente tritate. Aggiungere il brodo (vegetale o di carne). Portare a bollore. Aggiungere 4 cucchiai di riso e cuocere per
15/20 minuti.
Accompagnare con parmigiano grattuggiato.
RISOTTO ALL’ORTICA
Dosi per 4 persone.
Rosolare nel burro mezza cipolla affettata e
200 g di foglie di ortica precedentemente tritate.
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Le Montagne Divertenti Aggiungere 400 g di riso e tostarlo. Bagnare con vino bianco e
far evaporare. Portare a cottura il riso unendo il brodo (vegetale
o di carne). Mantecare il riso con una noce di burro e parmigiano grattugiato. Lasciar riposare per qualche minuto e servire.
FRITTATA CON ORTICHE
Dosi per 4 persone.
Rosolare nel burro 6 cucchiai di foglie di ortica tritate.
Sbattere 6 uova con sale, pepe e parmigiano e aggiungere alle
ortiche. Cuocere a fuoco basso. Volendo si può aggiungere al
soffritto di ortiche una patata lessata e tagliata a cubetti, prosciutto cotto o speck.
Estate 2012
"La discesa senza corda e con calzettoni strappati
non fu un divertimento, ma a quel tempo
trattavamo la roccia con molta confidenza”.
11 luglio 1892 - Christian Klucker dopo la ricognizione solitaria, senza corda
e senza scarpe, sullo spigolo N del Badile
Le Montagne Divertenti Ricette
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