Christian Klucker - Le Montagne Divertenti
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Christian Klucker - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna T rimestrale di A lpinismo e C ultura A lpina e v r i D tenti n°21 - Estate 2012 - EURO 5 Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio Creature I Gnaùn e gli altri piccoli uomini Val Màsino La punta Rasica Valmalenco Da Chiareggio: l'anello del Forno e le cime del Largo Alpi Orobie Alla Corna Bianca sopra Venina Alta Valtellina Da Santa Caterina al passo di Gavia Valchiavenna Alpinistica al pizzo Ferrè o escursione sopra Fraciscio? Bassa Valtellina L'Ecomuseo della val Gerola Agriturismando Prodotti tipici e km 0 Valtellinesi nel mondo La Terra del Fuoco Poesia dialettale Ode alla carriola Fauna I pipistrelli Insetti A pelo d'acqua Inoltre Ricette, poesie, foto dei lettori, giochi, libri ... Christian Klucker maestro del ghiaccio e della roccia valchiavenna - bassa valtellina - Val Màsino - alpi retiche e orobie - valmalenco - alta valtellina 1 Le Montagne Divertenti Editoriale Mario Sertori Questo numero della rivista è dedicato a Christian Klucker, guida alpina dell’Engadina vissuta tra '800 e '900. Sebbene non abbia avuto discendenza, può essere considerato non solo il padre degli alpinisti, ma anche di tutti coloro che amano - oltre le pareti e i seracchi - i sentieri, i fiori, i ruscelli e gli animali selvatici. La sua figura giganteggia tra i suoi monti prediletti; sui cristalli appuntiti del granito bregagliotto, sulle ultime spoglie dei temibili canaloni ghiacciati del bel tempo che fu. Su quelle linee repulsive Klucker ha dato il via all’esplorazione di un mondo sconosciuto, oggi purtroppo in parte disciolto. Carattere non facile il suo, poco incline al compromesso. Ha accompagnato sulle vie più impervie uomini di nobile schiatta, ma non sempre altrettanto di animo, riportandoli a valle senza una scalfittura. Le montagne erano per lui entità al pari degli esseri viventi e con loro ha avuto una relazione stretta, con loro parlava ricordando in questo il San Francesco di “frate foco e sorella acqua”, ma la sua visione era laica, quasi illuministica. Quando la situazione si faceva difficile, invece di chiedere aiuto all’onnipotente attaccandosi ai santi come facevano i suoi compagni di avventure, si teneva saldamente agli appigli rocciosi, tirando fuori il coraggio della determinazione. La sua era una sfida per la conoscenza: geografica, fisica, interiore. Come un Galileo dei precipizi, era convinto che nessun luogo è veramente inaccessibile e che la partita con l’ignoto deve essere giocata con mezzi leali. Per questo non ha mai usato chiodi né ramponi, ma solo una piccozza dal lungo manico in legno e una piuma di gallo cedrone sul cappello. Uomo dai molti interessi e dalle tante qualità, ha conosciuto il successo professionale e la stima della comunità alpinistica internazionale, ma ha anche attraversato momenti di profonda crisi a causa di una malattia che gli ha impedito per un periodo di frequentare i monti. Oltre ad essere stato un alpinista eccezionale, ha amministrato con lungimiranza il comune di Fex in un momento critico, è stato custode e gestore di un giardino botanico alpino, preside di scuola e molto altro ancora, ma soprattutto ha inventato - con alcuni suoi colleghi - il mestiere di Guida Alpina. In copertina: s'annuncia l'estate in val Torrone. Sullo sfondo il picco Luigi Amedeo (19 giugno 2011, foto Roberto Moiola - www.clickalps.com). Ultima di copertina: il lungo e inconfondibile spigolo N del pizzo Badile, ancora inviolato alla data di questo scatto (1907 ca., foto Alfredo Corti - archivio CAI sez. Valtellinese di Sondrio). 2 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Editoriale: il masso staccato sullo spigolo SO del pizzo Tremogge. Questa bella via veniva percorsa da Klucker (slegato) sia in salita che discesa nel 1874 (1 2011, foto Beno). Ledicembre Montagne Divertenti 3 Editore Beno Direttore Responsabile Enrico Benedetti Redazione Alessandra Morgillo Beno Gioia Zenoni Giorgio Orsucci Roberto Moiola Realizzazione grafica Beno e Giorgio Orsucci Revisore di bozze Mario Pagni Responsabile della cartografia Matteo Gianatti Hanno collaborato a questo numero: Alessandra Morgillo, Andrea Sem, Antonio Boscacci, Beno, Cirillo Ruffoni, Davide Gotti, Davide Trussoni, Eliana e Nemo Canetta, Enrico Minotti, Fabio Meraldi, Fabio Pusterla, Fabrizio Picceni e Laura Terraneo, Flavio Casello, Franca Prandi, Franco Benetti, Giacomo Meneghello, Gioia Zenoni, Giordano Gusmeroli, Giorgio Orsucci, Kim Sommerschield, Luca Pelosi, Luciano Bruseghini, Luigi Fanetti, Luisa Angelici, Manuela Grasso, Marcello Di Clemente (Dicle), Maria Sassella, Marino Amonini, Mario Sertori, Matteo Di Nicola, Matteo Gianatti, Matteo Tarabini, Marco Colombo, Nello Corti, Nicola Giana, Ornella Angelici, Paola Pizzini, Paolo Piani, Paolo Rossi, Raffaele Occhi, Renzo Benedetti, Riccardo Scotti, Roberto Moiola, Roberto Ganassa, Roberto Trabucchi, Roby Lisignoli, Sergio Scuffi, Simona Viganò. ARIO LE MONTAGNE DIVERTENTI Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 Speciali Itinerari d’alpinismo Itinerari d’escursionismo Rubriche 10 56 80 114 Valtellinesi nel mondo Patagonia e Terra del Fuoco 125 Agriturismando 14 Christian Klucker Maestro di ghiaccio, di roccia e di vita I compagni di cordata 64 Valchiavenna Pizzo Ferrè (m 3103) Val Màsino Punta Rasica (m 3305) Valmalenco e dintorni Il periplo del monte del Forno 90 Approfondimenti La capanna del Forno CAI - sezione Valtellinese di Sondrio, Dario Battoraro, Ezio Gianatti, Giovanni Rovedatti, Giulia Stambini, Mario Maffezzini, Fabrizia Vido, Eva Fattarelli, Franco Monteforte, Lorenzo Lenatti, Paolo Messina, la Tipografia Bonazzi, gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli sponsor che credono in noi e in questo progetto. Pubblicità e distribuzione [email protected] tel. 0342 380151 M Si ringraziano inoltre 38 Stampa Bonazzi Grafica -Via Francia, 1 -23100 Sondrio I Gnaùn e gli altri piccoli uomini 70 Approfondimenti 27 giugno 1892 92 Valchiavenna Traversata del Groppera 128 Il mondo in miniatura A pelo d'acqua Per ricevere la nostra newsletter: registra il tuo indirizzo email su www.lemontagnedivertenti.com Abbonamenti per l’Italia annuale (4 numeri della rivista): costo € 22 da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico via Panoramica 549/A 23020 Montagna (SO) nella causale specificare: nome, cognome, indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti” fatto il bonifico è necessario registrare il proprio abbonamento su - www.lemontagnedivertenti.com - oppure mandando email con indirizzo di spedizione e copia del versamento a: [email protected] - oppure telefonando al 0342 380151 (basta lasciare i dati in segreteria). 46 Musei valtellinesi L'Ecomuseo della val Gerola 72 Approfondimenti Granito: così duro, così fragile 100 Alta Valtellina Tra Sobretta e Gavia O [email protected] www.lemontagnedivertenti.com M Contatti, informazioni e merchandising 143 151 S [email protected] - € 6 cad. Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista 21 settembre 2012 136 139 Arretrati Prossimo numero 131 54 Racconti Un bimbo a Zana Estate 2012 72 Porte di Valmalenco Cime del Largo (m 3188) Le Montagne Divertenti 108 Alpi Orobie Corna Bianca 154 Fauna Amici natur...ali Poesia dialettale Ode alla carriola L'arte della fotografia Click d'estate Le foto dei lettori Giochi Ma che scimma i-è, Ma ch'èl Ricette della nonna Ricette con le ortiche Sommario 5 Localizzazione luoghi Zillis Wergenstein Bergün Parsonz Sufers Curtegns 1864 3062 Mulegns 92 Pianazzo Fraciscio Campodolcino 3183 Casaccia Mera Castasegna Prosto Prata Camportaccio Gordona Novate Mezzola 3032 Cima del Desenigo 2845 Verceia Cevo Bùglio Caspano Ardenno Dubino Mantello Mello Traona Dazio Sirta MORBEGNO Delébio Rògolo Còsio Regolédo Geròla Bellàno Taceno Pescegallo Pizzo dei Tre Signori 2554 Introbio Ornica Pasturo Le Montagne Divertenti Colorina Caiolo Tartano Barzio Monte Cadelle 2483 Passo San Marco 1985 Carona Cùsio Piazzatorre Cassiglio 108 Pizzo Campaggio 2502 Pizzo del Diavolo di Tenda 2914 Tresenda Arigna Pizzo Redorta 3039 Carona Pizzo Coca 3050 Aprica Còrteno Estate 2012 Cortenedolo Monte Sellero 2743 Pizzo Camino 2492 (Beno e Roberto Moiola) 64 Val Màsino Punta Rasica (m 3305) (Beno) Passo del Tonale 1883 72 Val Bregaglia Adamello 3554 Monte Carè Alto 3462 Saviore Valle (Beno) Il periplo del monte del Forno (Luciano Bruseghini) 92Valchiavenna Traversata del Groppera (Enrico Minotti) 100Alta Valtellina Monte Fumo 3418 Berzo Cime del Largo (m 3188) 80Valmalenco Garda Paisco Concarena 2549 Ponte di Legno Edolo Loveno Villa Vione Sonico Palone del Torsolazzo 2670 Monte Torena 2911 Pezzo Incudine Monno Malonno Vilminore Colere Gromo Vezza d'Oglio Passo dell'Aprica Monte Gleno 2883 Valbondione Passo del Vivione 1828 Gandellino Corno dei Tre Signori 3359 Punta di Pietra Rossa Monte Tonale 3212 2694 Monte Serottini 2967 Mazzo Punta San Matteo 3678 Passo di Gavia 2621 Fumero Sondalo Tovo Lovero Sernio Schilpario Branzi Roncorbello Pizzo Rodes 2829 Monte Masuccio 2816 TIRANO Bianzone Teglio Adda 100 Le Prese Adda Ponte in Valt. Albosaggia Foppolo Olmo al Brembo 3136 Chiuro Mezzoldo Valtorta Sondrio frana di val Pola Grosotto Brusio Boirolo T. V enin a Premana Le Prese Monte Cevedale 3769 Monte Confinale 3370 Pizzo Ferrè (m 3103) Santa Caterina Grosio Vetta di Ron Tresivio 48 Bellagio 6 Albaredo Pizzo Scalino 3323 Torre di S. Maria Postalesio Berbenno Castione Talamona Bema Tremenico Lierna 3114 Malghera Poschiavo Lanzada Caspoggio Chiesa in Valmalenco San Martino Corni Bruciati T. Livrio Lago di Como 3678 Pizzo Ligoncio Monte Legnone 2610 Dervio Bagni del Màsino Primolo San Antonio BORMIO Valdisotto Cima Saoseo 3263 T. Fo ntana Còlico Monte Disgrazia La Rösa San Carlo T. Mallero Lago di Mezzola 64 Gran Zebrù 3851 Cima de' Piazzi 3439 Cepina Eita Sasso Nero 2917 Chiareggio Cima di Castello 3378 ra T. Code 80 Passo del Bernina Piz Palù 2323 3906 Oga 56Valchiavenna Ortles 3905 Bagni di Bormio Premadio Arnoga i od Lag chiavo Pos Somaggia 72 T. Caldenno Montemezzo Livo Gera Lario Dongo 3308 4050 Passo del Muretto 2562 o T. Màsin Dosso d. Liro Bondo Villa di Chiavenna Pizzo Badile San Cassiano San Pietro Samòlaco Era Pizzo Martello 2459 Vicosoprano Pizzo Bernina Passo dello Stelvio 2757 Isolaccia T. Roasco CHIAVENNA Mese Soglio L'ecomuseo (Maria Sassella e Cirillo Ruffoni) Solda Giogo di Santa Maria 2502 Valdidentro Passo del Foscagno 2291 Piz Languard 3268 Forcola di Livigno 2315 Passo del Maloja 1815 Pizzo Galleggione 3107 1816 Trepalle Sils Maloja Pizzo Stella Pizzo Quadro 3013 St. Moritz Silvaplana Juf Lag 3180 hi d i Ca nca no Pontresina Julierpass Bivio Lago d i Lei Madesimo Isola Cresta Mera 3210 56 Livigno 3057 3392 Pizzo d'Emet Cima la Casina Samedan Piz Nair Piz Piatta Montespluga Pizzo Tambò 3279 3378 Sur 48 Val Gerola Stelvio San Maria Lago del Gallo T. La nte rna 2115 3159 Inn Montechiaro Müstair Piz d'Err Piz Grisch Innerferrera Passo dello Spluga Zuoz Albulapass 2312 Reno Ausserferrera Piz Quattervals 3418 Julia Splügen Medels Piz Kesch Cunter Andeer e itinerari Tra Sobretta e Gavia (Eliana e Nemo Canetta) 108Alpi Orobie Corna Bianca (Fabio Pusterla e Franca Prandi) Capo di Ponte Làveno Le Montagne Divertenti Monte Re di Castello 2889 Niardo © Beno 2011 - riproduzione vietata Localizzazione di luoghi e itinerari 7 L e g e n d a Schede sintetiche e tempistiche Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali del percorso, tra cui dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà. A fianco trovate una breve e divertente spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. Sotto la voce "Dettagli", invece, viene espressa la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica convenzionale, corredata da una breve spiegazione. Le tempistiche, indicate nel testo descrittivo, sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2. Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza, pericolosità e fatica, vi permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario a voi più consono. 1 - Se non emergono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3 km orari su itinerario pianeggiante. 2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto. Bellezza pericolosità Quasi meglio il centro commerciale Carino Basta stare un po’ attenti Assolutamente fantastico Fatica Richiesta discreta tecnica alpinistica Pericoloso (si consiglia una guida) ore di percorrenza Una passeggiata! Nulla di preoccupante Impegnativo Un massacro Si comincia a dover stare attenti alle storte, alle cavallette carnivore e nello zaino è meglio mettere qualche provvista e qualche vestito. Assolutamente sicuro Fico Ottimo anche per anziani non più autosufficienti o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la camporella, anche per le coppiette meno esperte. dislivello in salita meno di 5 ore meno di 800 metri dalle 5 alle 10 ore dagli 800 ai 1500 metri dalle 10 alle 15 ore dai 1500 ai 2500 metri oltre le 15 ore oltre i 2500 metri Le scarpe da ginnastica cominciano ad essere sconsigliate (sono d’obbligo abito da sera e mocassini). È meglio stare attenti a dove si mettono i piedi. Vertigini vietate! su RADIO TSN Itinerario abbastanza lungo, ma senza particolari difficoltà alpinistiche. È richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su ghiacciaio o terreni friabili come la pasta sfoglia. È consigliabile una guida. FM 101.100/97.700 ogni martedì con Beno, Nicola Giana e Antonio Boscacci ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45 WWW.RADIOTSN.IT Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. Sconsigliato a tutti gli appassionati di montagna non esperti e non dopati. 8 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Valida alternativa al suicidio. Solo per persone con un’ottima preparazione fisicoatletica e esperienza alpinistica. Servono sprezzo del pericolo e, soprattutto, barbe lunghe e incolte. Christian Klucker Speciali Mario Sertori “Oggigiorno domina l’arrampicata su roccia e con essa il cosiddetto divoramento delle vette! E dove e quando la forza e la destrezza umana non bastano, si ricorre ai mezzi artificiali: punte di ferro, chiodi, e per le cosiddette nuove discese, anche quando esse non sono effettuabili in salita, anelli di corda! Nelle mie molte peregrinazioni in montagna, io non ho mai portato nel sacco una sola punta di ferro e un solo anello di corda. Certo affrontavo sempre soltanto quei problemi che si potevano risolvere senza mezzi artificiali. Secondo la nuova tendenza, invece, chiodi e anelli di corda fanno parte dell’equipaggiamento dell’alpinista. Devo immensamente deplorare che l’alpinismo ideale sia messo in un angolo dal puro sport”. Christian Klucker 10 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti Nel 1882 il pizzo Torrone Orientale (m 3333) fu la prima cima ancora inviolata salita da Klucker nella sua lunga carriera (3 novembre 2009, foto Mario Sertori). Christian Klucker 11 Miti dell'alpinismo Speciali C hristian Klucker nasce in val di Fex – in alta Engadina – il 23 settembre del 1853. La luce sfavillante dell’autunno lo accolse tra i monti del Bernina nella fattoria Chesa Nova che i genitori avevano preso in gestione. Il padre Augustin (1805 – 1892) era originario della val d’Avers, lunga laterale destra della valle del Reno che inizia poco sopra Andeer e termina a sud, con le creste che guardano la val Bregaglia. Proprio da quei crinali passò Augustin quando, in cerca di un futuro diverso, si trasferì a Bondo. Nel ridente borgo sotto i vertiginosi graniti del Badile si sposò ed ebbe sei figlie. Nel 1850 traslocò in val di Fex e lì tre anni più tardi arrivò Christian. La vita del giovane Klucker fu simile a quella di tanti figli di contadini e già a sei anni ebbe un ruolo importante, quello di portare al pascolo una decina di mucche. Nelle lunghe giornate estive vissute sulle praterie alpine, crebbe in lui un legame profondo con la natura e un bisogno insopprimibile di azione in armonia con essa. A 8 anni, con un seminarista diciassettenne, salì alla Fuorcla del Chapütsch (m 2933) dal ghiacciaio di Fex, rimanendo estasiato dal mondo di ghiacci e dall’ampio panorama verso la val Malenco. Antesignano dei moderni boulderisti, Klucker scalò ogni masso della valle di Fex seguendo un istinto innato per l’arrampicata, ma salì anche in cima a tanti lunghi tronchi di larice, obbedendo al demone della sfida alla normalità. Nelle sue memorie velate da una sottile ironia, parlando di quegli anni dice che tornato a casa da queste avventure con i pantaloni strappati succedeva che: “… la mia cara mamma prendesse la misura dei punti da rattoppare con il palmo della mano, una procedura che era più o meno dolorosa secondo la gravità del caso.” I l mondo dell’alpinismo si affacciò alla sua porta nel luglio del 1865: il padre, con la guida di Chamonix F. Devouassoud, accompagnò infatti i celebri scalatori inglesi D.W. Freshfield e F. Tuckett in val Malenco, passando dalla Fourcla Fedoz. Fino a 15 anni Klucker fu alpigiano, poi terminate le scuole iniziò a lavorare presso un’officina di fabbro ferraio a 12 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti La casa natale di Klucker a Fex Platta (28 aprile 2012, foto Mario Sertori). A fianco: Christian Klucker a Tresivio (1910 circa, archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese). Samaden per apprendere questa professione. Dopo qualche anno, per volere del severo padre, si mise in proprio a Sils Baselgia. Questo passo e l’assunzione di onerosi impegni economici gravarono negativamente sul suo spirito, portandolo sull’orlo del fallimento e della depressione. L’ aiuto amorevole della madre e il desiderio di girovagare per le montagne dell’Engadina furono per lui degli ottimi appigli a cui aggrapparsi per non scivolare nell’abisso. Ed è proprio scendendo dal piz Languard che incontrò un tedesco disposto ad ingaggiarlo per la salita su quella vetta; ad escursione avvenuta ricevette una ricompensa di 10 franchi. Il fatto lo indusse a pensare come sarebbe stato piacevole guadagnarsi da vivere in quel modo, invece di battere tutto il giorno su un pezzo di ferro per far fronte al peso dei debiti. Nell’estate del 1874 abbandonò definitivamente l’officina per darsi alla professione di guida alpina, un lavoro faticoso e di grande responsabilità, ma che si svolgeva negli uffici più luminosi e arieggiati che si potessero desiderare. A quei tempi non c’era da frequentare la scuola e superare esami per poter accompagnare persone sulle cime: Klucker, grazie ad una conoscenza non comune delle montagne engadinesi e al modo di essere garbato, in questi primi otto anni condusse molti turisti di base a Sils Maria sulle panoramiche montagne della zona, approfondì la conoscenza della flora alpina e imparò sul campo un mestiere complesso, ma bellissimo. Esercitò la professione senza nessun tipo di patente dal 1874 al 1908, anno in cui gli venne conferito il brevetto cartaceo. Le gite più frequenti del primo periodo furono piz Margna, Corvatsch, Lagrev, piz Chapütcschin, Tremoggie, Fora, le traversate dall’Engadina alla val Malenco dai valichi alpinistici, e quelle della Bregaglia verso la val Màsino. In questi anni Klucker portò a termine molte “circumnavigazioni” di più giorni sulla catena di confine, tra i bacini del Forno, Màsino, Albigna, Bondasca e Codera, superando dislivelli chilometrici e approfondendo minuziosamente la conoscenza del gruppo montuoso. Gli studi sul campo, sulla letteratura relativa e i contatti con altri arrampicatori, gli tornarono utili successivamente quando con clienti più “sportivamente” alpinisti passò all’esplorazione sistematica di pareti e canali ghiacciati, specialità in cui diede il meglio di sé. Nell’agosto del 1880 partì da Vicosoprano insieme al signor Galimberti con destinazione Bagni di Màsino dal passo di Zocca. Sul ghiacciaio dell’Albigna vennero inghiottiti da una fitta nebbia tanto che il cliente voleva fare dietro-front, ma Klucker lo rassicurò e con un senso dell’orientamento che non necessitava dei moderni GPS, trovò il valico e anche la successiva discesa, alla cieca, nel grigio più indecifrabile, fino all’alpe Zocca. Alle tre del pomeriggio, sani e salvi, raggiunsero la Christian Klucker 13 Miti dell'alpinismo Speciali Theodor Curtius (1857-1928) S e al nome del prof. Theodor Curtius (1857-1928) il mondo scientifico associa d’acchito la sua attività accademica in varie università tedesche e le sue scoperte nel campo della chimica che gli fruttarono fama, riconoscimenti e titoli onorifici, i cultori della letteratura alpinistica, invece, lo collegano alle sue ascensioni fra i monti della Bregaglia con Christian Klucker, così come alla capanna del Forno che, affascinato da quei luoghi, fece erigere nel 1889 accollandosene le spese insieme al fratello. Non sappiamo esattamente quando Curtius iniziò la sua carriera alpinistica; sappiamo però che nel 1883, avendo dovuto rinunciare a una puntata nelle Alpi Occidentali con le abituali guide bernesi, si rivolse all’Engadina e lì, per un contrattempo nella consegna dei bagagli, finì per soggiornare a Sils-Maria anziché a Pontresina. “Questa circostanza insignificante – ricorda – fu decisiva per il mio destino; la sera stessa conobbi delle valorose guide”, Johann Eggenberger e Christian Klucker, che “nulla avevano da invidiare a quelle dell’Oberland o del Vallese”. Di entrambe apprezzò non solo le qualità alpinistiche, ma anche la compagnia veramente piacevole. Con Klucker in particolare si instaurò un rapporto di fiducia e stima reciproca che si protrasse negli anni, tanto che la celebre guida nelle Raffaele Occhi sue memorie ricorda sempre Curtius con gratitudine e riconoscenza. Insieme portarono a compimento una serie mirabile di ascensioni, non solo fra i monti della val Bregaglia (allora quasi sconosciuti) e del Bernina, dove misero a segno diverse prime (pizzo Bacone, cresta SO Glüschaint, cime del Largo, Sciora di Dentro), ma anche nel Vallese (traversata Macugnaga-Zermatt per lo Jägerhorn, Cervino, Zinalrothorn), nell’Oberland Bernese (Schreckhorn e Wetterhorn) e nelle Dolomiti (Tofana, Croda da Lago e Marmolada). Curtius, nel 1892, dovette rinunciare all’alpinismo più impegnativo a causa di una grave malattia. Questo non gli impedì tuttavia di continuare a trascorrere le vacanze autunnali a Sils-Maria, dove aveva acquistato una piccola proprietà, il “Mulin vegl”, e di ritrovarsi col vecchio amico Klucker. Nel 1920 salirono ancora insieme alla capanna del Forno, che in quell’occasione venne donata alla Sezione Rorschach del Club Alpino Svizzero; ci tornarono quattro anni dopo – e fu l’ultimo loro incontro – per l’inaugurazione della struttura ampliata e rinnovata. Il suo nome resta così indissolubilmente legato a quel rifugio fra le montagne bregagliotte che tanto aveva nel cuore. Da grande appassionato di montagna qual era, Curtius nel 1894 aveva fondato la sezione di Kiel del Club Alpino Tedesco ed Austriaco, di cui fu il primo presidente. Non solo montagna e lavoro, però; come scrisse un amico in suo ricordo, anche negli anni dei maggiori successi professionali ed alpinistici Curtius “rimase lo stesso compagno di sempre, allegro e caloroso, appassionato d’arte e di musica, amico della natura”. Il pizzo Glüschaint e la sua aerea cresta SO su cui corre la via di Klucker e Curtius (1 dicembre 2011, foto Beno). 14 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Il monte Disgrazia da NO. Acquerello di Kim Sommerschield (www.kimsommerschield.com). località termale. Qui avvenne l’incontro con Francesco Lurani Cernuschi1 e la sua fortissima guida Antonio Baroni di Sussia (val Brembana). La stima che Klucker nutriva nei confronti del Lurani e di Baroni era ricambiata; il loro fu una sorta di incontro tra “animali della stessa specie”. E finalmente arrivò anche la prima via nuova su una cima ancora inviolata: il poderoso pizzo Torrone Orientale (m 3335). Era il 29 luglio del 1882 e della comitiva facevano parte R. Paulcke e A. von Rydzewski. L’idea venne naturalmente alla guida di Fex che, dopo aver condotto felicemente i due alpinisti sul pizzo Bernina, decise di proporre loro il nuovo, lo sconosciuto, la gita dall’esito l’incerto, ma che poteva dare grande soddisfazione. Di cime inaccesse allora ce n’erano ancora parecchie, l’esplorazione era solo agli inizi, ma trovare clienti disposti a seguirlo su quella china e soprattutto che fossero 1 -Francesco Lurani Cernuschi – (1857 - 1912) nobile milanese con la passione della scalata è stato uno dei più attivi esploratori del gruppo Màsino Bregaglia e autore della prima guida alpinistica della regione, Le montagne di val Màsino edita nel 1883. Suo compagno di cordata fu spesso Antonio Baroni - (1833 - 1912) di Sussia (valle Brembana), una delle più apprezzate guide alpine italiane dell’epoca. Le Montagne Divertenti all’altezza di difficoltà alpinistiche di un certo rilievo non era cosa semplice. L ’incontro, nel 1883, con Theodor Curtius, un professore tedesco di chimica, grande appassionato delle Alpi, fu per Klucker di fondamentale importanza: le doti umane ed intellettuali, la buona abilità in arrampicata e la considerazione per la sua guida fecero di Curtius il soggetto ideale al quale suggerire una campagna sistematica di scalate sui monti della Bregaglia. Le cime vergini e le nuove salite per le quali nutriva un’attrazione quasi istintiva potevano finalmente essere messe nero su bianco, su un taccuino segreto pronto ad essere estratto al momento di inventare l’obiettivo di una giornata. Per Christian Klucker questo faceva parte della professione, ma il suo modo di concepirla andava molto aldilà, perché sentiva una sorta di richiamo dalle sue montagne… opo averlo “testato” con un’ascensione al Bernina, fu la volta di una bella prima. Partirono molto presto dal Maloja il 27 agosto 1883, si inoltrarono sul ghiacciaio del Forno e salirono la piramide di granito del pizzo Bacone (m 3244) senza trovare D particolari difficoltà, quindi scesero dal versante S compiendo anche la prima traversata della montagna. Alle 16.00 erano di nuovo al Maloja! Due giorni dopo furono ancora in pista per la prima della cresta ovest del piz Glüschaint (m 3598), che riuscì nello strabiliante tempo di 7 ore dalle case di Sils Maria, con loro anche la guida Johann Eggenberger. Nell’agosto del 1885 Curtius e Klucker andarono a dare un’occhiata alle cime del Largo (m 3188) giungendo sull’ancora inviolata anticima orientale della vetta principale, che poi salirono due anni più tardi. Quindi passarono alle vie di dettaglio, con la prima dello spigolo N del pizzo Bacone (m 3244), dove incontrarono difficoltà abbastanza sostenute. N ell’agosto del 1886 gli venne chiesto di accompagnare il generale inglese Haig sul monte Disgrazia (m 3678). Haig, che era alto circa 2 metri e si dava arie da alpinista consumato, pretese di essere condotto in giornata, partendo dal Maloja e passando dal monte Sissone; avrebbero pernottato – secondo i suoi piani - nella Christian Klucker 15 Speciali Piccolo Roseg (3868) Pizzo Roseg (3936) Porta Roseg (3522) Il Cervino da NE. Tra ombra e sole la cresta dell'Hornli e a dx la cresta di Zmutt, entrambe percorse da Klucker (21 ottobre 2010, foto M. Sertori). Il versante NE del pizzo Roseg e la via Klucker-Neruda visti dal piz Morteratsch (agosto 1909, archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese). piccola capanna Maria, poco sotto la cima della montagna, godendosi così il tramonto da quella posizione privilegiata. Partecipava a quell’ascensione anche Jakob Ufer, guida alpina “in seconda”. Il team, ostacolato dal maltempo, superò la cima del Sissone, valicò il passo Cecilia e proseguì sul ghiacciaio del Disgrazia via via sempre più ripido. Klucker si sobbarcò totalmente il lavoro di scalinamento (i ramponi non erano ancora in uso), mentre i due compagni davano segni di cedimento; il lungo generale era visibilmente affaticato e continuava a chiedere soste, fino al punto che, in completa defaillance e con il buio imminente, crollò al suolo. La guida di Fex risalì velocemente alla capanna Maria, prendendo un fornelletto e due coperte. Si disposero ad uno scomodissimo bivacco, sospeso tra gli abissi di Chiareggio e quelli non meno spaventevoli di Predarossa. La bufera imperversava e la situazione si faceva di ora in ora più drammatica. Raggiunta la cima dello Jägerhorn (m 3970) in 12 ore i due scesero verso Zermatt. Grande fu lo stupore di Klucker alla vista del Cervino “Mi colpirono più di ogni altra cosa i giganteschi monti che dominano la valle di St. Niklaus e sopra le altre la superba e impressionante piramide del Matterhorn.” Nella località turistica l’attenzione andò anche al gran movimento di guide per le strade davanti agli alberghi, come i già celebri Melchior Anderegg, ghiacciatore di chiara fama, Alexander Burgener, Jean Antoine Carrel, primo salitore da S della Gran Becca ed Emile Rey di Courmayeur. Nel giro di pochi giorni Curtius e Klucker scalarono senza trovare particolari difficoltà il Cervino (m 4478) dalla cresta dell’ Hörnli e lo Zinalrothorn (m 4221); poi si diressero verso l’Oberland bernese per salire la Jungfrau, ascensione che non riuscì per le pessime condizioni meteo. Proprio il maltempo fece sì che, durante una gita turistica sul lago di Thun, Klucher potesse rivedere Anneli, il suo grande amore giovanile che nel frattempo si era sposata con un burbero sessantenne. “Fu un incontro gioioso con un triste commiato” commentò malinconicamente nella sua autobiografia. Il generale moribondo venne avvolto in una coperta e arrotolato nella corda come un lunghissimo salame appeso alla montagna. 16 Le Montagne Divertenti Le due guide si misero sotto l’altra coperta alla meglio, sperando che il vento cedesse e la tempesta si placasse. Klucker distrutto dalla fatica si addormentò. Ma fu svegliato poco dopo da uno strano lamento. Era il collega Ufer che chiedeva aiuto ai santi per poter tornare a rivedere i figli e la moglie. A quel punto fu chiaro che le persone delle quali doveva occuparsi il capocordata erano due. Fortunatamente arrivò anche la luce del nuovo mattino; la strategia studiata per il ritorno dalla guida di Fex era di far scendere davanti – assicurato – Ufer, con la mansione di pulire dalla neve soffiata dal vento i gradini intagliati il giorno prima, per secondo il generale, calato come un pacco e infine lui stesso. Questa fu una delle prime situazioni complicate che si trovò a governare in montagna e, come spesso accadde durante tutta la sua carriera, potè solo raramente dividere la responsabilità con un collega, perché - come vedremo più avanti - questi si riveleranno, più che guide sperimentate, portatori di pesi inadatti agli ambienti severi dell’alta montagna. O meglio, i professionisti di spessore erano ingaggiati in coppia dal cliente quando era di larghe vedute e solido portafoglio, mentre quelli parsimoniosi affiancavano alla guida un aiutante che, il più delle volte, non era all’altezza della situazione, come appunto Jacob Ufer in quell’occasione. L e gite con Theodor Curtius continuarono anche nel 1887 con il severo canalone N della forcola del Largo, concatenato con l’inaccessa cima di Spluga (m 3046), il tutto partendo da Casaccia e rientrando alle 19 al Maloja. E dopo 13 anni di professione esclusivamente sui monti di casa, arrivò per Klucker l’attesa richiesta da parte di Curtius di effettuare alcune arrampicate nel gruppo del monte Rosa e in Vallese. Nei loro piani c’era la punta Dufour dalla parete E, ma dopo una gita per valutarne le condizioni, constatato il continuo precipitare di valanghe e seracchi, decisero di concentrarsi sulla traversata dello Jägerhorn. L’osservazione della montagna e la scelta di percorsi al riparo da eventuali cadute di ghiaccio e altri pericoli oggettivi era per la guida di Fex di fondamentale importanza. Ad aiutarlo in questo campo era l'istinto animalesco di sopravvivenza che aveva sviluppato con l'esperienza. Estate 2012 Le Montagne Divertenti A nche nell’estate del 1888 il professore tedesco volle fare un giro nei dintorni di Grindenwald: in quell’occasione giunsero sulla vetta dello Schreckhorn e del Wetterhorn, incantati dalla vista delle pareti nord di Eiger, Jungfrau e Mönch. Theodor Curtius divenne per Klucker, più che un cliente, un amico e un vero compagno di cordata sul quale poter contare. Negli anni che seguirono le uscite con il professore si fecero più rare, sia perché Christian Klucker entrò nel giro delle guide di alto livello e come tale fu molto richiesto fuori dal suo naturale territorio natìo, sia perché Curtius ebbe un periodo di malattia che lo tenne lontano dai monti. Ma il legame tra i due non si affievolì mai, anzi le ultime gite risalgono al 1917 ed ebbero spesso come meta la capanna del Forno, rifugio che il professore tedesco fece costruire nel 1889 e che donò definitivamente al CAS nel 1917. U n altro capitolo estremamente importante della carriera alpinistica di Christian Klucker fu quello con lo svedese, naturalizzato inglese, Luwig Norman-Neruda (1864 -1898). Si conobbero nel 1889 e iniziarono con un’uscita al canalone S del piz Lagrev (m 3165), che si rivelò assai pericoloso per rocce instabili, ma da questa giornata Klucker capì che Neruda era “dotato di un carattere e di un cuore d’oro, possedeva una volontà di ferro unita alla calma”, ovvero le doti giuste per portarlo su difficili itinerari che da tempo aveva impresso sul suo taccuino. La forza e la voglia di fare non gli mancavano, e infatti nel pomeriggio della stessa giornata del Lagrev salirono alla neo-costruita capanna del Forno, con altre 6 persone, con l’intenzione di raggiungere il giorno dopo il monte del Forno. E così fecero, ma Neruda e Klucker, riportato il gruppo al rifugio, nel pomeriggio scalarono l’inviolata cresta nord del monte Rosso (m 3088), rientrando alla capanna a notte fonda. Nell’estate del 1890 Neruda si presentò con un programma assai ambizioso che prevedeva, dopo un paio di gite di acclimatamento, alcune ascensioni che rappresentavano, per l’epoca, quanto di più difficile si potesse immaginare. Il 9 luglio, partendo alle 2.30 dall’Hotel Roseg aprirono un nuovo itinerario sulla parete N del monte Scerscen (m 3971) raggiunChristian Klucker 17 Miti dell'alpinismo Speciali Ludwig Norman-Neruda (1864-1898) L a conoscenza coi monti della Bregaglia e del Bernina, ma prima ancora con Christian Klucker, Ludwig Norman-Neruda la fece nel 1889 quando giunse al Maloja insieme ai coniugi Tauscher e alle loro guide A. Pinggera e P. Reinstadler di Solda. Fu un incontro foriero di grandi successi, e il binomio Klucker Norman-Neruda entrò così nella storia dell’alpinismo. Figlio di una violinista morava e di un compositore e direttore d’orchestra svedese, Ludwig Norman-Neruda (1864-1898) era nato a Stoccolma, ma dopo aver studiato alle accademie di pittura di Anversa, Parigi e Londra si trasferì in Inghilterra e nei suoi ultimi anni ad Asolo. Cominciò a frequentare la montagna a 22 anni, e divenne in breve uno dei più forti alpinisti del suo tempo. Klucker lo ricorda come un “giovane amico” dal “carattere affabile e dal cuore d’oro, con una volontà di ferro unita alla calma”. Con lui, NormanNeruda portò a compimento numerose prime salite, principalmente su ghiaccio. Nel 1890, nell’arco di dieci giorni, salirono la NO dello Scerscen, la “Gurgel” sulla NE del Bernina e la NE del Roseg, considerata ancor oggi fra le più ardue ascensioni di ghiaccio delle Alpi; portatisi poi nel Vallese, superano lo spigolo ENE dell’Obergabelhorn, ma soprattutto la gran- diosa parete NE del Lyskamm (con anche la guida J. Reinstadler di Solda) lungo la via che porta oggi il suo nome. Col tempo, NormanNeruda si avvicinò sempre più alle Dolomiti, dove arrampicò con la moglie (nel gruppo delle Pale compiono la prima salita della cima Wilma, così chiamata dal nome della figlia), ma pure con il fior fiore degli alpinisti dell’epoca come L. Friedmann, A. von Krafft e R.H. Schmitt, coi quali salì il Sass Maor e la cima della Madonna. Arriviamo così all’inviolata ed ambita punta delle Cinque Dita. Norman-Neruda l’aveva tentata invano con Josef Innerkofler, prima che la vincesse Robert Hans Schmitt con Johan Santner per la via dei camini. “Quest’ascensione – scrisse Schmitt – è di gran lunga la più difficile che io abbia mai fatto; chi salirà a riprendere il nostro biglietto da visita?” Il biglietto da visita se lo prese proprio Norman-Neruda l’anno dopo, insieme a Klucker, dopo aver salito la parete N, anche per lui “la più difficile scalata su roccia mai fatta”. Per Klucker, che guidava la cordata, si trattò della prima scalata dolomitica. La loro fu però solo la terza ascensione, erano infatti stati preceduti di 20 minuti Raffaele Occhi dalla signora Jeanne Immink con le guide A. Dimai e G. Zecchini, che lasciarono tuttavia a Norman-Neruda la consolazione del biglietto autografo di Schmitt. Quella vetta, che salì altre cinque volte, fornì a Norman-Neruda lo spunto per esporre la sua concezione sportiva dell’alpinismo nell’articolo “La Punta delle Cinque Dita come montagna alla moda”. Crudele ironia della sorte, quella vetta gli fu pure fatale: precipitò infatti dal camino Schmitt, durante un’ascensione con la moglie e un amico. È sepolto a Ortisei. Il Sassolungo con, al centro, la punta delle Cinque Dita (1 giugno 2009, foto Roberto Moiola). 18 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Il versante NE del pizzo Bernina con la Biancograt e lo scivolo di ghiaccio su cui corre la via Klucker - Neruda (3 maggio 2012, foto Mario Sertori). gendo alle 13 la vetta. Questa era stata salita per la prima volta dal celebre Naso di ghiaccio nel 1877 dalla cordata Paul Güssfeldt, Hans Grass e Kaspar Capat. Il successo diede loro la fiducia necessaria per tentare di portare a termine l’obiettivo più ambito: il pizzo Roseg dal versante settentrionale. Questa grande sfida era da alcuni anni sul quaderno di Klucker e la coincidenza con il programma di Neruda, dotato di indiscutibili doti alpinistiche, l’avevano portata in cima alla lista. Dopo alcune ricognizioni nei giorni precedenti, il 16 luglio 1890, poco dopo le 6 di mattino, attaccarono la parete NE del pizzo Roseg (m 3936): l’arrampicata risultò particolarmente impegnativa per la presenza di ghiaccio su gran parte del percorso e per la pendenza sostenuta (fino a 60°). Il lavoro di scalinamento che si dovette sobbarcare Klucker fu pesantissimo anche perché, come la maggior parte delle guide svizzere si rifiutava di utilizzare i ramponi, già in uso a quell’epoca. L’inclinazione accentuata lo costrinse a scavare appigli anche per le mani. “ …la considerazione, che i ramponi in questo tratto ci avrebbero risparmiato tempo e lavoro, la trovo davvero strana, dato che con tali Le Montagne Divertenti pendenze su ghiaccio liscio, anche il più abile ed esperto specialista dei ramponi deve por mano alla piccozza 2.” Alle 13.20, dopo un immane sforzo erano finalmente sulla cima principale e avevano portato a compimento una delle più importanti vie glaciali della regione. Oltre all’audacia e alla capacità tecnica di questi uomini, che riuscirono con mezzi oggi impensabili e senza possibilità di assicurarsi in nessun tratto, a vincere una grandiosa sfida, c’è da considerare la loro resistenza fisica: infatti, scesi dalla via normale, poco dopo le 19 erano all’Hotel Roseg! Per la fantastica giornata Neruda regalò a Klucker il suo clinometro. Ma i due non stettero tanto a riposarsi e il giorno dopo salirono alla capanna Boval. Il 18 luglio fu la volta di un nuovo itinerario sulla parete NE del pizzo Bernina (m 4050); con un astuto percorso al riparo dalle scariche di ghiaccio ma lungo e impegnativo, in autentico stile Klucker, uscirono in cresta a valle della cima principale sotto l’imperversare di un terribile temporale. Scesero in direzione del pizzo Bianco e, trovato un esiguo riparo ai piedi di una roc2 - I ramponi in uso all’epoca erano assai rudimentali e non avevano punte frontali. cia strapiombante, passarono lì tre ore terribili tra fulmini, neve furiosamente portata dal vento e freddo feroce. Prima del buio, riuscirono a divallare cavalcando al contrario la Biancograt, l’esposta cresta che, tra l’altro, nessuno dei due conosceva, e raggiunsero verso mezzanotte l’Hotel Roseg. Quello che colpisce leggendo Memorie di una Guida Alpina è la grande fiducia che Klucker aveva in se stesso, la consapevolezza che anche alle ore più terribili ne sarebbero seguite altre meno angoscianti e che le capacità tecniche, con la determinazione, permettevano di gestire le situazioni peggiori e di portarsi fuori dai guai. Questa sul Bernina fu una delle sue più severe giornate passate sui monti - certo sarebbe potuta finire diversamente se il maltempo avesse persistito - ma anche in questo frangente il nostro fece la sua parte, prendendosi carico della sicurezza del compagno. La sorte si accontentò solo di strapazzarli per bene, forse per prepararli ad altre sfide. Quello che la guida di Fex, al termine della durissima giornata, fece più Christian Klucker 19 Miti dell'alpinismo Speciali Rydzewski, Barbaria e Klucker a Promontogno nel 1898 e il canalone N del colle del Cengalo nel 1896. Le foto, riprese dall'apparecchio di Anton von Rydzewski, sono tratte da: Urula Bauer e Jürgen Frischknecht, Ein Russ im Bergell. Anton von Rydzewski (1836-1913) L’ immagine stereotipa del legame “cordiale” tra guida e cliente offertaci generalmente dalla letteratura alpinistica – in cui la guida “fedele” svolge semplicemente il ruolo di servitore che mette a disposizione le sue doti e la sua esperienza, mentre il cliente “magnanimo” appare quale anima della cordata e cuore delle iniziative a cui ascrivere i meriti dell’ascensione – nel caso di Klucker e Rydzewski è del tutto fuori luogo. Il loro rapporto fu infatti sostanzialmente conflittuale, come emerge dalle memorie di Klucker che – forse geloso delle cime della Bregaglia che considerava un po’ come il suo feudo alpinistico – non accettò mai il ruolo di “servitore muto”, rifiutando “senza ambiguità quel servilismo e quell’etichetta da salotto, che Rydzewski pretendeva anche nel severo lavoro dell’alta montagna”. Russo di nascita e tedesco d’adozione, Anton von Rydzewski (1836-1913) arrivò tardi all’alpinismo, già sulla soglia dei 50 anni, quando salì il Monte Bianco. Tra giugno e luglio 1889 lo troviamo nelle Dolomiti dove, guidato da 20 Le Montagne Divertenti Michele Bettega e Mansueto Barbaria, sale numerose cime nel gruppo delle Pale di San Martino e del Pelmo; l’anno successivo è nel gruppo del Silvretta con le guide Christian Jann e Leonard Guler di Klosters. Poi arriva in Bregaglia, dove per ben nove anni (dal 1891 al 1900), portandosi quasi sempre appresso anche Mansueto Barbaria quale seconda guida (in talune occasioni si aggregarono Émile Rey e Martin Schocher), fu cliente abituale di Klucker. A dispetto dell’età e delle modeste capacità tecniche, era però un uomo oltremodo ambizioso e vanitoso, spesso supponente; non nascose, cosa che suscitò l’ironico sarcasmo di Klucker, il desiderio di veder battezzata col proprio nome una delle guglie bregagliotte, l’allora innominata Punta Trubinasca dopo averne fatto la prima salita. Nonostante il contrasto caratteriale – Rydzewski aveva bisogno di Klucker e Klucker, pur di non lasciare che altri violassero il suo giardino, fece buon viso a cattivo gioco – diedero un contributo fondamentale all’esplorazione di quelle Il versante settentrionale dell'Ortles fotografato dalla capanna Payer (3 agosto 1907, archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese). Raffaele Occhi montagne, portando a compimento imprese passate alla storia: dai canaloni ghiacciati dei Gemelli, del Cengalo e del Badile alla prima traversata sud-nord della Fuorcla Roseg, dalle prime ascensioni della Rasica e del Torrone all’Ago di Sciora per non citarne che alcune. Rydzewski ne scrisse sulle pubblicazioni del Club Alpino Svizzero e del Club Alpino Tedesco e Austriaco, nonché sul Bollettino del CAI, con l’aspirazione di restare immortalato nella letteratura alpina come il pioniere dell’esplorazione delle Alpi di val Bregaglia (questo urtò profondamente la suscettibilità di Klucker che, custode geloso delle sue montagne, fu di fatto l’elemento propulsore per la loro esplorazione). Rydzewski è ricordato pure per le sue fotografie: fu infatti il primo a catturare su lastre e celluloide la val Bregaglia nei suoi vari aspetti, riproposti recentemente in un libro1 e in una mostra. 1 - Usrula Bauer und Jürgen Frischknecht, Ein Russ im Bergell. Anton von Rydzewski 1836-1913. Der erste Fotograf des Bergells, Verlag Desertina, 2007 Estate 2012 fatica a sopportare fu il trattamento riservatogli una volta in albergo: con i vestiti fradici e una stanchezza da sfinimento, gli venne dato per dormire un tavolato sopra la stalla, senza coperte nè materasso, mentre il nobile cliente fu messo a letto in una camera! Il 24 luglio passarono nel gruppo del Silvretta dove misero a segno una via nuova sul Gross Seehorn, concatenata con la traversata al Gross Litzner. Trasferitisi in Vallese, salirono Obergabelhorn e Wellenkuppe, preludio ad un’altra grande scalata che passerà alla storia: la prima ascensione della parete nord del Lyskamm. A quest’impresa oltre a Norman-Neruda prese parte anche Joseph Reinstadler, collega abile su ghiaccio. Pernottarono la sera prima al Riffelberg, dove trovarono le famose guide valdostane Rey e Bich con la cliente Miss Richardson, anche loro intenzionati a salire il Lyskamm, ma dalla cresta est. Al mattino lasciarono incamminare la celebre cordata per non svelare il loro obiettivo, ma una volta alla crepaccia terminale, sia Reinstadler che Neruda non furono più così sicuri Le Montagne Divertenti di voler affrontare un tale mostro. Ancora una volta la guida di Fex dovette sobbarcarsi il peso delle decisioni. In sole sette ore di arrampicata, raggiunsero la vetta del Lyskamm orientale (m 4538). La linea seguita si mantenne costantemente presso una costola rocciosa assai impegnativa, ma che secondo Klucker poteva garantire una certa sicurezza perché riparata da cadute di ghiaccio, su quella muraglia molto frequenti. In cima Neruda festeggiò offrendo champagne ai suoi compagni. Per Klucker quella appena compiuta “…era un’aspra eppure bella vittoria. Se così si può chiamare una stupidaggine.” 1891 – L’estate di quell’anno fu meteorologicamente ostile all’attività alpinistica, ma nonostante questo Klucker e Norman-Neruda portarono a termine alcune belle salite nel gruppo del monte Rosa e successivamente viaggiarono alla volta delle Dolomiti. Anche sulle pareti verticali di roccia, certo meno salda del granito del Màsino, il nostro ebbe modo di dar prova della propria abilità portando il suo cliente sulla punta delle Cinque Dita (m 2998) del Sassolungo attraverso il Camino Schmitt. Lasciato Neruda che tornava in patria, Klucker si trovò con Theodore Curtius per le ascensioni della Tofana, Croda da Lago, Marmolada, e sulla strada del ritorno a casa, dell’Ortles. G li anni dal 1891 al 1900 costituirono un capitolo fondamentale dell’attività di Klucker e furono strettamente legati, nel bene e nel male, alle scalate con Anton von Rydzewski, un nobile russo che si era trasferito a Dresda. Questi, poco oltre la cinquantina nel 1891, era solo da pochi anni dedito alla montagna, ma già molto conosciuto nell’ambiente per i numerosi articoli pubblicati sulle riviste dei vari club alpini europei. E come spesso accade, la dimestichezza con la penna lo aveva portato a sopravvalutare le sue capacità e mettere in secondo piano il valore del capocordata nell’ambito delle arrampicate descritte. Soprattutto si arrogava il merito della Christian Klucker 21 Miti dell'alpinismo Speciali Cima di Vazzeda (3302) Cima di Rosso (3366) Sciora di Dentro (3275) Pioda di Sciora (3238) Ago di Sciora (3205) Pizzi Gemelli Cima della (3262-3225) Bondasca Colle dei Gemelli (3289) (3101) Passo di Bondo (3169) Pizzo Cengalo (3367) Pizzo Badile (3308) Colle del Cengalo (3057) Punta S. Anna (3171) Le cime di Rosso e di Vazzeda viste dall'alpe Sentieri. Il primo concatenamento per cresta di queste vette fu opera di Klucker, Rydzewski e Barbaria (5 luglio 2010, foto Mario Sertori). La testata della val Bondasca (5 settembre 2009, foto Luciano Bruseghini). Mansueto Barbaria (1850-1932) T ale il nome, tale il carattere. A differenza di Klucker, che nelle peregrinazioni bregagliotte ostenta insofferenza verso Rydzewski, Barbaria – seconda guida dell’alpinista russo – mostra invece un atteggiamento molto più accomodante, “per amor di quiete”, che gli vale il rimprovero di servilismo e mancanza di iniziativa da parte della guida di Fex. Abile nell’arrampicata sulle sue rocce dolomitiche, meno sul granito, Barbaria su ghiaccio non si trovava a suo agio. Quando, durante la prima salita del canalone dei Gemelli, li sorprese una scarica di sassi, fu preso dal terrore: «Andiamo per l’amore di Dio – esclamò – di ritorno!» Forse era ancor vivo in lui il ricordo di quando, durante un tentativo alla “superba muraglia del Popena verso il passo del Cristallo, reputata una delle più scabrose salite nelle Dolomiti di Ampezzo, e anche pericolosa per cadute di pietre e pessima roccia [...] vi arrischiò la pelle e dovette la propria salvezza all’intelligente prontezza dell’alpinista che aveva con sé”. Sono parole di Leone Siniga- 22 Le Montagne Divertenti glia (cugino di Giorgio, l’esploratore della val Grosina), che quando salì il Sorapiss per la parete NE nel 1893, si avvalse di Barbaria non solo come guida, ma anche come puntello per superare un passaggio scabroso e raggiungere la cengia superiore: “per ultimo – ricorda – assistiamo all’aereo arrivo di Barbaria, giocondamente issato per la corda dalle robuste braccia dei colleghi”. Alto e snello, pacifico e onesto, Mansueto Barbaria Zuprian (18501932) fu guida a Cortina d’Ampezzo fin dal 1885, quando accompagnò il prof. Minnigerode (quello della nord del Gran Zebrù) sulla Croda da Lago. Tra giugno e luglio 1889 lo troviamo invece, insieme a Michele Bettega, a guidare Rydzewski alla Pala di San Martino e al Sass Maor, alla cima di Rosetta e al Pelmo. Il suo nome è legato anche alla prima salita del Campanile Pradidali dove, con Bettega, vi accompagnò l’inglese Mr. Wood; con quest’ultimo, e la prima guida Luigi Bernard raggiunse pure la punta delle Cinque Dita lungo una Raffaele Occhi nuova via per il versante SE, pochi giorni dopo Klucker e NormanNeruda. Fu pure guida di Theodor Wundt, con cui salì per primo il Piccolo Popena, da allora cima Wundt. Fra i monti della Bregaglia Rydzewski, dopo l’esperienza dolomitica, volle prender Barbaria con sé come seconda guida, sia per le sue capacità (sir Edward Davidson lo considerò uno “scalatore eccellente, ammirevolmente sicuro e attento”), sia (forse soprattutto) per le modeste richieste economiche e il buon carattere. E il trio Klucker-BarbariaRydzewski portò a compimento mirabili imprese alpinistiche, a partire dai grandi canaloni della val Bondasca. Rydzewski ricorda infine che Barbaria, diversamente da Klucker rispettoso della natura in tutti i suoi aspetti, usava prendere a sassate piccoli stormi di pernici bianche, e correva in cerca del nido, per rubarvi le uova, non appena un merlo acquaiolo prendeva il volo. Estate 2012 scelta degli obiettivi relegando la guida al ruolo secondario di esecutore materiale. È anche per questo motivo che Christian Klucker si decise a raccogliere le sue memorie in un libro, per fare chiarezza delle meschinità del nobile russo che così descrive“.. Rydzweski era uomo dal carattere maldisposto, inadatto alla nobile alta montagna. Secondo la mia concezione, per avere le capacità necessarie, non basta che l’interessato sappia scrivere bene e in modo piccante! Che un uomo, del quale misi a disposizione durante un decennio, per 4 o 5 settimane all’anno, le mie migliori conoscenze e capacità, e nonostante il modestissimo compenso, mai mi tirai indietro quando ne potevano andare di mezzo vita e salute; che un uomo potesse così largamente permettersi, senza ragione, in ogni occasione, con parole e per iscritto, di infangare l’onore e il buon nome della sua guida, alla quale doveva una serie di bellissime prime ascensioni, era e rimase per me una questione di ingratitudine e di astio. La causa del suo inqualificabile comportamento nei miei riguardi Le Montagne Divertenti si deve ricercare in prima linea nel fatto che io rifiutai senza ambiguità quella servilità e quell’etichetta da salotto, che lui pretendeva anche nel severo lavoro dell’alta montagna”. Nonostante questo tagliente giudizio la guida di Fex non riuscì mai – nel decennio in questione - a separarsi definitivamente dal cliente, ma anzi compì con lui alcune tra le più stupefacenti prime salite del Màsino-Bregaglia. al primo incontro nel 1891, Klucker gli prospettò una serie di arrampicate inedite in val Bondasca: fino ad allora sulla cresta di confine della valle erano stati raggiunti da Nord solo i passi di Bondo e Trubinasca, tutto il resto era lì ad aspettare gli audaci. D È però l’anno successivo (1892) che ebbe inizio il tormentato sodalizio con la scalata dell’inviolata cima della punta Rasica (m 3305). L’impresa riuscì il 27 giugno dal ghiacciaio del Forno e trovò il culmine della difficoltà ed esposizione nel superamento dell’affilata e aerea cuspide sommitale. Klucker rifiutò il lancio di corda proposto dal collega ampezzano Mansueto Barbaria e volteggiò leggero nell’arduo passaggio avvolto da un vuoto inquietante, e una volta sulla vetta issò a forza di braccia Rydzewski e anche la seconda guida. Una formidabile prima del 1892 fu il canalone N del colle dei Gemelli (m 3101), impresa a cui prese parte anche Barbaria. Fissarono come campo base una baita all’alpe Naravedar e dopo aver perlustrato per bene con il binocolo la montagna, alle 3.35 del 9 giugno partirono verso il ghiacciaio della Bondasca: Klucker alla volta del suo desiderato canale, Rydzewski fiducioso di una nuova conquista e il povero Barbaria - che detestava neve e ghiaccio - come se andasse al patibolo. Sull’erto pendio la guida di Fex procedeva guardinga temendo scariche di pietre che puntualmente si verificarono, non colpirono la cordata, ma ebbero l’effetto di impaurire ulteriormente i compagni di Klucker che continuamente gli tiravano la corda. Dobbiamo solo provare a immedesimarci nella guida che durante una severa ascensione, su Christian Klucker 23 Miti dell'alpinismo Speciali Sciora di Fuori (3169) Pioda di Sciora (3238) Ago di Sciora (3205) Scioretta (3046) Da sx: Aiguille Blanche e cresta di Peuterey (in centro il Pilone Centrale del Freney) (15 ottobre 2009, foto Mario Sertori). Q uando, dopo i successi degli anni precedenti, nel 1893 Rydzewski torna in Bregaglia, le sue attenzioni si concentrano in particolare su una bellissima guglia inviolata che domina la val Bondasca; ma per questa impresa, oltre a Klucker (Barbaria quell’anno ha dato forfait), ci vuole qualcuno della sua stessa tempra. Ecco allora che – come scrive il Bonacossa – “venne chiamato Emilio Rey e, nell’ardente sua rivalità con Klucker, il russo è issato per primo sull’Ago di Sciora”. Subito dopo le due guide (che si erano conosciute in precedenza a Zermatt) salirono con Rydzewski il canalone del Cengalo seguito dalla prima della cresta E del Badile, oltre ad alcune nuove vie (Torrone occidentale, cima di Rosso e cima di Castello). Rey, il “principe delle guide”, aveva già visitato l’Engadina in precedenza con Paul Güssfeld, e sullo Scerscen – raggiunto percorrendo per primi il canalone SO – aveva dato prova della sua abilità guidando la memorabile, e “un po’ azzardata”, discesa per il naso di ghiaccio (vinto dallo stesso Güssfeldt durante la prima ascensione con H. Grass e C. Capat). Émile Rey (1846-1895) era nato a La Saxe ai piedi del monte Bianco, dove apprese il mestiere di falegname (che gli tornò utile nella costruzione di alcuni rifugi); a 22 anni figura nel primo elenco 24 Le Montagne Divertenti ufficiale delle guide di Courmayeur. Ciò che lo distinse, al di là delle capacità tecniche e del fiuto per la montagna (ma anche della disponibilità, in occasione dei bivacchi, a far da “capomastro, cameriere, cuoco”) furono soprattutto – un po’ come nel caso di Klucker – lo spirito di iniziativa, l’apertura culturale e la grande passione alpinistica. “Moi, je suis pour la grande montagne”, affermò una volta disdegnando i turisti “poliglotti” provenienti da tutta Europa che affollavano la Mer de Glace alla ricerca di facili emozioni. Guida sicura e ambita di facoltosi clienti, come i lord Wentworth e i Cunninghum, i Seymour King e i Déchy per non citarne che alcuni, Émile Rey spaziò per tutte le Alpi dal Delfinato al Bernina; portò a compimento straordinarie ascensioni fra cui le prime assolute dell’Aiguille Noire e dell’Aiguille Blanche di Peuterey, oltre a un’innumerevole serie di nuovi itinerari nei gruppi del Bianco e del Gran Paradiso, nel Vallese e nell’Oberland Bernese. Oltre le Alpi, fu in Scozia al Ben Nevis, e poi fra i monti della Bosnia Erzegovina, preludio a una spedizione nel Caucaso rimasta incompiuta. A lui va pure il merito di due storiche prime invernali, il monte Bianco dal versante italiano e la punta Walker alle Grandes Jorasses. Raffaele Occhi Immagine tratta da: E.Camanni, Grandi guide italiane dell'arco alpino. Émile Rey (1846-1895) Il gruppo delle Sciore visto da O (12 settembre 2011, foto Mario Sertori). La stessa estate delle salite in Bregaglia, Rey con Klucker e il portatore César Ollier – guidando il berlinese Paul Güssfeldt – dà il meglio di sé in quella che si può considerare il fior fiore delle sue imprese: la prima salita della cresta di Peuterey al monte Bianco, passando per il ghiacciaio della Brenva e l’Aiguille Blanche. Due anni dopo, muore cadendo dalla gengiva al Dente del Gigante. Estate 2012 una parete inviolata, deve far fronte alle difficoltà tecniche, ai pericoli oggettivi, alla mancanza totale di protezione in caso di caduta e non ha nemmeno il conforto morale dei compagni. E anzi, sente il suo collega raccomandarsi l’anima a Dio vedendo prossima e certa la fine. Su questo ripido scivolo ghiacciato Klucker tirò fuori tutto: le sue energie fisiche, ma anche una raffinata tecnica che gli permise di superare un tratto di 30 metri di ghiaccio duro, irto e quasi indomabile. Giunti al colle si inerpicarono mettendo piede sulla vetta più alta dei pizzi Gemelli (m 3262). Un superbo risultato.” Questa bella ascensione, che voglio inserire tra le mie più difficili imprese nelle Alpi, è rimasta fino ad oggi un vivo ricordo, come se l’avessimo compiuta ieri. Ogni volta che ripenso ai particolari della salita al canalone dei Gemelli, mi sembra di percepire il batter delle pietre lungo la parete del Cengalo e il sinistro frullare dei proiettili giù per la gola ghiacciata. Le mie care montagne ebbero però riguardo per me e risparmiarono la vita del loro devoto”. Solo un mese dopo, il 9 luglio Klucker chiuse il conto anche con il vicino Le Montagne Divertenti canalone nord del Colle del Cengalo (m 3057) sempre con la stessa “collaudata” cordata. L’11 luglio, per la guida di Fex fu una giornata speciale, che lo portò molto vicino alla soluzione - in solitaria, senza corda e “a vista” come si usa dire oggi - di uno dei massimi problemi del tempo: lo spigolo N del Badile (m 3308). Lasciate scarpe e giacca all’attacco partì verso le 5 per il tentativo; alle 8 aveva già percorso i due terzi della cresta affrontando difficoltà che sfioravano il quinto grado, sospeso, senza possibilità di errore, tra gli abissi ombrosi della parete NO e quelli più solari della NE. Il proseguimento gli fu precluso da un breve diedro all’apparenza insormontabile e nel quale in seguito vennero piantati dei chiodi. Klucker si rese conto che quell’ostacolo avrebbe potuto essere superato, ma non senza la corda legata in vita e con un compagno all’altro capo. “A sinistra della cresta e poi di nuovo in cresta per la parete a placche mi sembrò possibile, ma in ogni caso estremamente difficile e rischioso. Lo scopo della mia ricognizione era raggiunto e decisi di scendere. La discesa senza corda e con calzettoni strappati non fu un divertimento, ma a quel tempo trattavamo la roccia con molta confidenza”. Si rese anche conto che su quella meravigliosa cresta non avrebbe potuto portarci von Rydzewski che sulla roccia difficile era incapace di muoversi “e quello non è un posto dove poter usare la tecnica del sacco di farina”. Il 1893 fu un anno particolarmente significativo; continuò l’impegno con Rydzewski, che si avvalse anche di Emile Rey di Courmayeur come seconda guida. In giugno insieme ripercorsero il canalone del colle del Cengalo, portando a compimento la prima ascensione della cresta E del Badile e prima traversata della montagna. La stessa cordata mise a segno un’altra bella prima assoluta da tempo pensata da Klucker: l’Ago di Sciora (m 3205) dal versante Albigna. In luglio la guida di Fex con il collega valdostano Daniele Maquignaz condusse John Percy Farrar3 (presidente dell’Alpine Club inglese dal 1917 al 1929) sul selvaggio Sperone della Brenva nel gruppo del monte Bianco 3 - Le “Memorie” di Klucker (pubblicate postume) avrebbero dovuto contenere un capitolo dedicato alle ascensioni compiute con John Percy Farrar che però non fece in tempo a scrivere. Per non far torto alla memoria di entrambi, e ricordare così l’amicizia che li aveva legati, nell’edizione originale tedesca e in quella inglese i curatori riportarono in appendice alcune lettere che la guida di Fex aveva scritto al capitano inglese. Christian Klucker 25 Miti dell'alpinismo Speciali Pizzo Badile (3308) Colle del Badile (3114) Pizzo Cengalo (3367) Punta Sertori (3198) Colle del Cengalo (3057) Colle dei Gemelli (3101) Pizzi Gemelli (3262-3225) La testata della val Porcellizzo da S (6 giugno 2011, foto Roberto Ganassa). Pizzo del Ferro Occidentale (3267) Pizzo del Ferro Centrale (3289) Pizzo del Ferro Orientale (3200) Torrione del Ferro (3234) La testata della valle del Ferro da S (20 settembre 2011, foto Roberto Ganassa). Il versante S della Cresta Güzza dal sentiero per il rifugio Marinelli (9 settembre 2010, foto Beno). John Percy Farrar (1857-1929) J ohn Percy Farrar (1857-1929) , affezionato cliente e compagno di cordata di Klucker, fu un personaggio di spicco dell’Alpine Club di Londra, nelle cui file esclusive fu accolto nel 1883. Si distinse per alcune prime salite, fra cui la parete S dell’Obergabelhorn, la cresta N del Polluce, la cresta NO del Wetterhorn e la prima traversata completa dal Gran Paradiso all’Herbetet; fece inoltre la cresta di Zmutt al Cervino (anche in discesa), la E del Watzmann e la NE del Rosa da Macugnaga. Nelle sue peregrinazioni alpine si affidò alle migliori guide, fra cui Daniel Maquignaz, Johann Kederbacker e Josef Pollinger; quest’ultimo ebbe a considerare Farrar uno fra i migliori alpinisti da lui conosciuti. Ma più ancora che per le sue ascensioni, Farrar è ricordato soprattutto quale redattore dell’Alpine Journal (ufficialmente dal 1920 al 1926, ma 26 Le Montagne Divertenti Raffaele Occhi di fatto già dal 1909). Grazie al suo impulso e all’apertura cosmopolita, la gloriosa pubblicazione dell’Alpine Club – di cui peraltro fu presidente dal 1917 al 1919 – raggiunse un livello di eccellenza scientifica e letteraria. Farrar fu pure membro del Mount Everest Committee. Dalle lettere che Klucker gli inviò, ricordando con nostalgia e gratitudine le salite fatte insieme (ma pure confidandogli le angosce per i problemi familiari), si coglie la sua grande stima per Farrar (“Lei detiene il posto d’onore nei miei ricordi”). Si ritrovarono nel 1925, e Klucker settantaduenne poté ancora accompagnare l’amico sessantottenne sull’Ago di Sciora e al Badile. Avrebbero voluto rinnovare gli incontri, ma così non fu; se ne andarono quasi insieme, pochi anni dopo, per essere ricordati insieme, nel 1929, sull’Alpine Journal. (4ª salita), aprendo una variante meno esposta alle scariche di ghiaccio. Ormai il nome di Klucker nel 1893 era molto conosciuto e garanzia di successo per chi avesse voluto affrontare le più difficili montagne delle Alpi. Lo sapeva bene Paul Güssfeldt che lo ingaggiò, insieme a Emilio Rey e Cesare Ollier, per un’impresa eccezionale: la prima assoluta della lunghissima cresta di Peuterey, ascensione, che dalle baite di Entreves, a 1500 metri porta direttamente ai 4810 metri della cima del monte Bianco. Questa scalata, compiuta con le arcaiche attrezzature del tempo, è considerata la più grande realizzazione alpina del XIX secolo. Partirono il 14 agosto dalla piazza di Courmayeur accompagnati da alcuni portatori con legna e coperte e posero il loro campo a circa 3200 metri sul versante della Brenva. Alle 11 del 15 agosto, tagliando gradini sull’ultimo tratto, misero piede sulla cima dell’Aiguille Blanche a 4112 metri. Per raggiungere Estate 2012 Le Montagne Divertenti questo primo obiettivo avevano percorso un repulsivo canale sul versante E della Blanche. Impiegarono ben 2 ore per scendere dalla sommità al colle di Peuterey, 2 ore per 100 metri di dislivello che, ovviamente senza ramponi e con ghiaccio duro, costarono loro grande lavoro di scalinamento. Proseguirono sempre intagliando gradini e furono costretti al secondo bivacco a 4250 metri, nei pressi di alcune rocce affioranti. Una notte all’aperto a quell’altezza, con gli indumenti usati all’epoca e l’incognita dell’ultima parte di cresta sono elementi da tenere in considerazione nel valutare questa impresa. Finalmente il 16 agosto a mezzogiorno, dopo una mattinata passata a preparare appoggi per gli scarponi rosicchiandoli al ghiaccio dell’alta quota, lavoro che fecero Rey e Klucker, la cordata fu sul tetto d’Europa. Pochi giorni dopo Klucker ripetè con Farrar la salita al Bianco per la cresta di Peuterey, ricalcando i gradini che già aveva tagliato per Güssfeldt. N el 1894 Farrar è di nuovo con Klucker, questa volta in Engadina, al Disgrazia (una prova di resistenza di 20 ore, con partenza dalla capanna del Forno, traversata del Sissone e rientro per il Muretto a Sils) e poi alla Cresta Güzza (m 3869) raggiunta per una via nuova dal versante meridionale (Klucker ne farà cenno in una lettera, polemizzando velatamente con Alfredo Corti che non l’aveva riportata nelle guida delle Alpi Retiche Occidentali). Nel Delfinato i due furono protagonisti di una veloce ascensione alla cima della Meije e della traversata a S verso La Bérarde in 22 ore. E ancora sul Bianco, alle Aiguilles de Chamonix ripercorsero la via di Mummery sul Grépon aprendone una variante. nton von Rydzewski si ripresentò in Bregaglia nel giugno del 1896 con programmi assai bellicosi che prevedevano lo spigolo N del Badile e la parete N del Cengalo: ingaggiò - oltre a Klucker e al solito Mansueto Barbaria - il valente ghiacciatore engadinese Martin Schocher. Iniziarono salendo il pizzo Trubinasca da S allo scopo di osservare con il binocolo lo spigolo N del Badile in A Christian Klucker 27 Miti dell'alpinismo Speciali Il pizzo Palù da N con gli inconfondibili tre speroni (da sx -in onore dei primi salitoriprendono il nome di Kuffner, Bumiller e Zipper) (1909, archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese di Sondrio). G li obiettivi più che ambiziosi di Rydzewski per il 1896 – spigolo N del Badile e N del Cengalo – gli fecero ingaggiare, oltre a Klucker e Barbaria, anche Martin Schocher, la più famosa guida di Pontresina. Schocher, che pure riteneva lo spigolo N non far per loro (e per il Cengalo bisognava aspettare), fu invece entusiasta alla proposta di salire il canalone del Badile, che vinsero senza ramponi, alternandosi a tagliar gradini con un’ascia da ghiaccio, lui e Klucker da soli. Per comprendere il valore dell’impresa, si pensi che dopo la ripetizione dell’anno successivo di Rydzewski con Klucker e Barbaria, non venne più salito fino al 1962; e Ian Clough (il grande alpinista inglese che salì per primo il pilone del Freney al Bianco) fu “impressionato dalla difficoltà dell’ascensione”. Martin Schocher (1850-1916) fu attivo principalmente nel massiccio del Bernina e in Bregaglia, ma fece pure alcune uscite nel Vallese e nell’Oberland Bernese. “Con lui, l’alpinismo – sono parole di Alfredo Corti – raggiunge le forme più audaci e moderne: sono i Palü dal nord, la Forcola ScerscenBernina, le vie al Scerscen. E lotta con lui un amico rivale: Christian Klucker”. Tra i due infatti, se da un lato ci fu 28 Le Montagne Divertenti collaborazione, ci furono pure competizione e gelosia professionale; così accadde per la prima salita della N del Cengalo che Schocher, scaricato da Rydzewski, portò a compimento col principe Borghese insieme a Christian Schnitzler, proprio facendo tesoro delle informazioni fornitegli confidenzialmente da Klucker "in un eccesso di fiducia". Schocher, considerato il “re del Bernina” per averlo salito ben 234 volte (59 per la Biancograt), fu a suo tempo coinvolto in una delle prime tragedie sul ghiacciaio del Morteratsch: la sua cordata cadde in un crepaccio nascosto e il cliente, un conte di Parigi, vi perse la vita. Espulso “sconsideratamente” dall’associazione delle guide, Schocher vi fu però successivamente riammesso. Oltre a itinerari grandiosi come gli speroni Bumiller e Kuffner del Palù o la classica traversata Scerscen-Bernina, Schocher si portò a casa pure una serie di prime invernali con Mrs. Elizabeth Main, come il Roseg e la traversata dei tre Palù, la Cresta Güzza e lo Zupò o il Disgrazia raggiunto dalla capanna del Forno, passando per il Sissone. Fece pure la prima salita con gli sci al Bernina. Fu guida, tra gli altri, di Mr. Garwood (il geologo che fece il giro del Raffaele Occhi La val Roseg e la sua testata - parte orientale - con l'imponente ghiacciaio da Tschierva e, da sx, la depressione della fourcla Prievulsa, la Biancograt, il pizzo Bianco, il pizzo Bernina, il monte di Scerscen, Porta Roseg e il pizzo Roseg. La foto è stata scattata dai pendii meridionali della fuorcla Surlej (agosto 1906, archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese di Sondrio). Immagine tratta da Montagne di Valtellina e Valchiavenna. Martin Schocher (1850-1916) Kangchenjunga con Freshfield e Vittorio Sella) e di E.L. Strutt (Presidente dell’Alpine Club) nonché, dal 1909 al 1913, dei granduchi di Sassonia; fra le guide che si legarono alla sua stessa corda, oltre a Klucker, ricordiamo Christian Schnitzler e Johann Gross di Pontresina, e il celebre Alexander Burgener di Saas Fee. Morì nel 1916 in un banale incidente di caccia. Estate 2012 tutto il suo sviluppo. Da quelle ricognizioni e dall’esperienza di Klucker del 1892, emerse che quella arrampicata era troppo impegnativa e che nessuna delle due guide l’avrebbe tentata con Rydzewski. Da quel punto privilegiato però Klucker scrutò attentamente il canalone del Badile, una linea che già stava nel suo libretto e, giudicandolo fattibile, lo propose al cliente. Pochi giorni dopo le due guide partirono per primi, per preparare la scala di gradini sul ripido scivolo ghiacciato: il nobile russo con Barbaria li avrebbe raggiunti più tardi, levandosi l’incombenza di alzarsi molto presto e dover aspettare troppo alle soste durante lo scavo delle tacche nel ghiaccio. Alle 4 del mattino i due erano alla crepaccia terminale, lasciarono i sacchi alla base e con un vento tempestoso iniziarono a zappare il loro campo verticale. Verso le 7 comparvero il cliente e la terza guida; a quel punto si imponeva che gli scalinatori scendessero in loro aiuto, anche perché Barbaria era completamente incapace di condurre la cordata su ghiaccio. Schocher non ne volle sapere, per cui Klucker urlò ai due di scendere di nuovo al campo base di Sass Furà, e Le Montagne Divertenti che nel frattempo loro avrebbero concluso l’opera sull’intera gola ghiacciata, quindi il giorno dopo si sarebbe portata a termine il progetto con la salita del pizzo Badile dalla cresta O. E così fecero. Le due fortissime guide, scazzottate da un vento furioso, superarono in 11 ore il severo colatoio, sbucando al colle del Badile. Divallarono a S e ritornarono in val Bondasca dai passi Porcellizzo e Turbinasca dopo 17 ore di battaglia. Questa fu una delle rare occasioni di quel periodo storico in cui due grandi alpinisti insieme, senza il peso dello zaino e del cliente, condividendo rischi e fatiche, realizzarono una splendida ascensione. Il bizzarro von Rydzewski, nei giorni successivi, non volle salire sulla pista già preparata dalle sue guide, e cancellò per quell’anno il Badile dal suo elenco. Klucker, anche per la stima reciproca e dopo la grande giornata sul canalone, promise a Schocher - e pure Rydzewski diede la sua parola -, che non avrebbero completato quella prima senza di lui. Per quanto riguarda la N del Cengalo - una difficile scalata prevalentemente di ghiaccio che la guida di Fex aveva studiato a lungo intuendo il percorso più logico - pensava che avrebbe anche potuto assumersi la responsabilità di condurvi von Rydzewski, ma solo con un collega di pari grado, come poteva essere considerato Martin Schocher di Pontresina. Quell’anno però non si verificarono le condizioni giuste, senza le quali Klucker non avrebbe mai attaccato e cioè che la grande cornice di vetta che incombeva sulla via fosse caduta, e che le temperature si mantenessero mediamente basse in modo da non provocare scariche di neve e sassi. Durante le giornate in Bondasca Klucher indicò al collega di Pontresina il percorso che avrebbero dovuto seguire per superare quella severa muraglia. Lasciato il nobile russo, raggiunse Zermatt dove lo attendevano Edward Davidson e il collega Cesar Knubel per la cresta di Zmutt al Cervino, che portarono a termine il 17 di agosto. L’ anno dopo, il 1897, Rydzewski non ingaggiò più Christian Klucker 29 Speciali Pizzo Badile (3308) Pizzo Cengalo (3367) Torrione del Badile (3148) Punta Sant'Anna (3171) Punta Sertori (3198) Colle del Badile (3114) Colle Badiletto (3087) La testata della val Bondasca e 3 dei 4 canaloni saliti da Klucker in questo settore (27 novembre 2011, foto M. Sertori). Colle del Cengalo (3057) Schocher perché a suo dire troppo esoso4 e si presentò in Bregaglia con il solo Barbaria. I tre ripercorsero il canalone N del colle del Badile e completarono l’ascensione con la prima della cresta O della montagna. Klucker nelle sue memorie, è fiero del risultato, ma non del tutto: “… questa prestazione non mi rallegrò particolarmente perché pensai all’accordo con Schocher del 7 luglio 1896”. E continua con una nota che non ha bisogno di commenti: “…devo rinunciare ai particolari di questa salita perché von Rydzewski ha occupato 26 pagine dello Zeitschrift des DÖAV. Dal punto di vista alpinistico la sua descrizione non ha assolutamente alcun valore! E chi la volesse utilizzare per una ripetizione 4 - Mansueto Barbaria prendeva da Rydzewski poco più di 2 franchi nei giorni di riposo e il doppio nei giorni di lavoro (la paga degna di un servo secondo Klucker), mentre Martin Schocher 25 franchi al giorno e Christian klucker 20 franchi al giorno da cui gli venivano trattenuti 3.5 franchi al giorno per spese di alloggio. 30 Le Montagne Divertenti della salita, non capirà proprio dove siamo passati noi quel giorno”. Oltre a questa bella realizzazione la cordata compì altre ascensioni di modesto interesse nel gruppo di Cacciabella. L’ultimo giorno di Klucker in Bregaglia con il nobile russo coincise con l’incontro a Promontogno con Schocher, che con il collega Schnitzler stava aspettando da Chiavenna la carrozza con il principe romano Scipione Borghese. Sui loro piani Schocher stette sul vago, ma non potè fare a meno di rimarcare che: " al canalone e alla cresta ovest del Badile non abbiamo più niente da cercare, questo l’avete già fatto voi, come ho saputo, senza la mia presenza. Perciò non ci rimane che andare sul già fatto!” A questo punto era chiaro anche a von Rydzewski che avevano progetti importanti e che non aver ingaggiato la guida di Pontresina quell’anno era stato un grave errore, tanto più che Schocher sapeva che la N del Cengalo era ambita nell’ambiente alpinistico e soprattutto era stato messo a conoscenza della via migliore, studiata nei minimi dettagli da Klucker. La guida di Fex racconta, non senza una punta di ironia, che il nobile russo - saputo della partenza per l’alpe Sciora dei “concorrenti” - gli si presentò in camera all’alba in “veste da notte” con il cannocchiale e lo pregò di andare sui monti sopra Soglio (versante opposto della val Bregaglia) per cercare di individuare gli alpinisti. La perlustrazione Estate 2012 ebbe esito negativo e il nostro, sceso a Promontogno, lasciò la valle per recarsi in Delfinato. Le poderose pareti della Bondasca però, osservate così intimamente nei minimi dettagli occuparono ancora i suoi pensieri: “…lanciai un rapido saluto di commiato alle mie ispide conoscenze, il Badile e il Cengalo. Quello mi guardava giù altezzoso come se mi volesse dire: “ Il mio spigolo nord è sempre vergine”. E questo con una smorfia ironica sembrava volesse ricordarmi:”La salita per il mio vasto petto è rimasta anche questa volta un problema insoluto”. In ogni caso il caparbio e vecchio amico vedeva solo in me il possibile profanatore del suo intatto freddo petto, e appunto Le Montagne Divertenti per questo il 9 giugno 1892 aveva voluto colpirmi con una grandinata di pietre nel canalone dei Gemelli. In quell’ora della mia partenza dalla Bregaglia il caparbio non sospettava che tre audaci compari stavano pensando di realizzare il progetto che io avevo costruito. Altrimenti chissà, avrebbe energicamente scosso prima la gigantesca criniera che lo sovrastava mollemente! Il Canalone del Badile, il Cengalo con la sua minacciosa cornice di neve e il mio collega Schocher con il principe italiano occuparono incessantemente i miei pensieri durante il ritorno a casa. Pensavo e ripensavo a loro non senza una stretta al cuore.” E il 29 giugno gli audaci si presero la N del Cengalo Punta di Trubinasca (2998) (m 3367) e la fortuna fu con loro. Infatti il giorno successivo la grande cornice che allora si formava sulla cima crollò completamente! In autunno Schocher scrisse a Klucker una lettera descrivendogli il percorso e le vicissitudini di quella memorabile scalata. Il fatto che non l’avesse realizzata con lui si deve probabilmente alle circostanze che lo videro escluso dal contratto con von Rydzewski. Inutile dire che per Klucker questo fece diminuire ancor più la poca stima nei confronti del nobile russo. 1898 - Come rivincita per la sconfitta subita con il Cengalo, nel 1898 Christian Klucker 31 Miti dell'alpinismo Speciali von Rydzewski dette l’incarico a Klucker di trovare una prima di pari valore nel territorio di Schocher. La guida di Fex rispose di non essere interessato a nessuna rivincita e che interpretava questa eventuale arrampicata come una ulteriore esplorazione delle montagne retiche, ma individuò nella traversata da S a N della Porta Roseg una nuova valida sfida. In senso contrario, cioè da N a S, questa era stata portata a termine nel 1872 da Güssfeldt con Grass, Jenny e Capat. Klucker pose però la condizione di avere al suo fianco un collega all’altezza della notevole difficoltà. Come al solito, von Rydzewski si presentò nel giugno del 1898 affiancato dal solo Mansueto Barbaria, cosa che fece andare su tutte le furie la guida di Fex che però non ebbe la forza di mandarlo al diavolo... La traversata della Porta Roseg da S a N venne compiuta il 24 giugno. Il tratto chiave consisteva nella discesa del ripidissimo scivolo N. Raggiunta la Porta Roseg, lo spettacolo verso il baratro da percorrere non era certo invitante e Barbaria era tremolante dalla paura. “Pallido e muto il grande e forte uomo si rannicchiava dietro lo scudo di neve del colle e guardava fisso in giù la parete di ghiaccio. Con voce rotta dell’emozione e indicando l’abisso mi rivolse infine la domanda: “È pericoloso?” In quali condizioni di spirito io fossi a quell’ora lo si può immaginare. Mi rimproveravo soprattutto di aver affrontato una simile impresa con simili compagni. Con un collega poco coraggioso e scarso di energia, debole su ghiaccio e neve, e con un turista sessantenne, nervoso e di corta vista, che in situazioni difficili poteva giocare solo il ruolo del sacco di farina, assumere un tale compito andava lontano dal mio principio di tentare solo ciò di cui si può essere personalmente responsabili. Ma la giornata meravigliosa, l’ambiente grandioso, e soprattutto il senso dell’onore e la fiducia in me stesso, scacciarono alla fine ogni perplessità.” Fondamentale importanza ebbe un bastone usato per rimestare la polenta dai portatori alla capanna Marinelli che la guida di Fex mise nello zaino pensando ad un eventuale utilizzo come ancoraggio. 32 Le Montagne Divertenti Gruppo del monte Bianco. A dx Le Cardinal (m 3647), salito in prima assoluta da Klucker (27 novembre 2011, foto Mario Sertori). Il versante N del Lyskamm dal ghiacciaio del monte Rosa (2 maggio 2009, foto Luciano Bruseghini). Nella parte finale del pendio, infatti questo legno, opportunamente conficcato nella neve dura, gli permise di fissare la corda doppia e scendere con questa tecnica, superando l’ultimo ostacolo dato dallo strapiombante labbro superiore della crepaccia terminale. Nei giorni seguenti von Rydzewski inviò una cartolina a Martin Schocher con il seguente testo: “Nell’anno 1897 un principe italiano venne a Promontogno e il 29 giugno salì con Schocher e Snitzler il Cengalo dal nord! E nell’anno 1898 un nobile russo venne in Engadina e il 21 giugno con Klucker e Barbaria attraversò la Sella di Gussefeldt dal sud al nord! Siamo pari signor Schocher!.” ché il nobile russo vi rinunciò a causa della meteo incerta e della nebbia persistente che lo indusse a fermarsi alla base. Per avere un’idea del contrastato rapporto tra Klucker e il nobile cliente basterà dire che per questo spigolo, che non aveva nemmeno percorso, von Rydzewski propose il nome di “Cresta Barbaria”, e che il sottomesso ampezzano a sua volta suggerì di chiamare l’inviolata sommità “Pizzo von Rydzewski”, cosa che il nobile accolse con grande orgoglio. Il nostro fece solo rilevare che in Svizzera non si usa dare nomi di persone alle cime. Il 24 giugno, con il pizzo Torrone Centrale (2ª assoluta della montagna) dalla parete N e la prima traversata da N a S, si concluse il decennale ciclo di arrampicate con Anton von Rydzewski. 1899 - Un’altra notevole realizza- zione di Klucker fu il canalone N della punta Sant' Anna (m 3171): per l’occasione il nobile russo aveva ingaggiato un altro portatore ampezzano, Angelo d’Andrea, che si rivelò tecnicamente ancor meno all'altezza di Barbaria e che sul punto cruciale della salita così si comportò: “mentre facevo sicurezza all’uomo che mi seguiva mi accorsi con disagio che questi era già entrato in stretto rapporto con i santi: una salace osservazione in dialetto da parte mia lo richiamò alla realtà… e D’Andrea cominciò il fatale passo con la sua alabarda – portava una mostruosa piccozza del tempo antico, un bastone di almeno 130 cm… ad un certo punto sento qualcosa tintinnare e vedo la piccozza di d’Andrea scomparire per sempre nell’abisso. Allora cominciò un lamento, d’Andrea strisciò di nuovo all’indietro sulla lista di roccia, giunse le mani con uno sguardo al cielo e buttò fuori le seguenti parole: <oh Madonna, car Signore e tutti i santi aiutatemi!> Benchè fossi ancorato sopra e furente non potei fare a meno di ridere di quell’uomo semplice. La situazione diventò ancor più piccante quando, a causa del contegno di D’Andrea, anche il vecchio signor von Rydzewski uscì di senno. La mia situazione non era invidiabile”. Nonostante questi compagni Klucker, ancora una volta, venne a capo di un difficilissimo problema e condusse sana e salva la cordata - nella stessa giornata - fino a Sass Furà. 1900 - L’ultima prima salita di una cima inviolata con von Rydzewski sui monti della Bregaglia fu la snella punta Trubinasca (m 2998) dall’aerea cresta occidentale, compiuta il 20 giugno del 1900 con il solo Barbaria, perEstate 2012 Negli anni dal 1893 al 1900 Klucker, con E. Davidson, compì un numero notevole di ascensioni, al tempo di prim’ordine, dal Bianco al Vallese all’Ortles alle Dolomiti, come ad esempio la traversata dei Charmoz, la traversata Scerscen-Bernina con discesa dalla Biancograt, parete N della piccola di Lavaredo, Sassolungo da N, torri del Vajolet e cima della Madonna per il Le Montagne Divertenti camino Winkler. Nel maggio del 1901 il celebre alpinista inglese Edward Whymper organizzò una spedizione sulle Montagne Rocciose canadesi tra gli stati dell’Alberta e British Columbia. La parte tecnico/esplorativa fu affidata a Klucker e ad altre tre guide alpine. Di questa fantastica opportunità che lo portò a visitare e scoprire, nel corso di più di 3 mesi, montagne lontane e così diverse dalle Alpi, Klucker non fu particolarmente soddisfatto per tutta una serie di motivi, ma soprattutto per la conduzione eccessivamente autoritaria della spedizione da parte di Whymper, che ormai era molto distante alpinisticamente da colui che per primo aveva messo piede sulla vetta del Cervino nel 1865. Furono raggiunte parecchie cime ed esplorato un vasto territorio, ma tante scalate importanti e le montagne più attraenti tecnicamente non si poterono salire per la netta opposizione del capo spedizione. Anche in questo caso emerse la tendenza della guida di Fex a non voler sottostare a ordini imposti dall’alto, e adeguarsi a comportamenti di sudditanza che comprimevano la sua autonomia di giudizio e la sua libertà, soprattutto nel suo campo specifico, ma anche nella vita normale. Il 19 luglio del 1902 Klucker con il collega Christian Zippert portò a termine un’altra grandissima prima, la parete N del Lyskamm Occidentale accompagnando la signora Rhona Roberts Thomson. Purtroppo di questa e altre importanti arrampicate non si trova traccia nelle sue memorie. Nel 1905 per Klucker iniziò un periodo molto difficile; venne colpito da una rara patologia alla pelle del viso. Questo si verificò puntualmente da aprile a settembre, fino al 1917, senza possibilità di trovare rimedio da parte dei medici interpellati. Il fatto ridusse drasticamente la sua attività in alta montagna e lo portò sull’orlo della depressione. In quegli anni le poche uscite furono compiute sulle montagne di casa e in autunno, quando i raggi del sole sono meno invasivi per la pelle. Nel 1908 gli fu affidato l’incarico di allestire il giardino alpino di Sils Maria, sotto la supervisione di Johann Coaz primo salitore del pizzo Bernina nel 1850. Questo lavoro, per il quale Christian Klucker 33 Miti dell'alpinismo Speciali Il torrione del Ferro (m 3234), su cui Klucker a 74 anni aprì la sua ultima via nuova, e l'anticima orientale del pizzo del Ferro Centrale fotografati dai pressi del passo dell'Albigna (2 settembre 1935, archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese di Sondrio). A fianco: Klucker ritratto da Kim Sommerschield. Klucker, anche grazie alla sua eclettica personalità, nutriva un particolare interesse, venne mantenuto fino all’inizio della Prima Guerra Mondiale, quando vennero a mancare i fondi destinati alla sua conduzione. Nel settembre del 1911 con due clienti scalò la Cresta Güzza, ma invece di seguire la linea da lui aperta con J.P. Farrar, a causa della temperatura troppo elevata deviò dal canale di ghiaccio sulle placche rocciose. Poco dopo un’enorme scarica si abbattè sulla parte bassa del colatoio. “…grazie all’acuta capacità di osservazione e alla guida sicura di Klucker sfuggimmo a morte certa” così scrisse uno dei clienti sulla rivista del CAS. E Klucker: “[…] passato il primo spavento continuammo e raggiungemmo la cresta circa 70 m sotto la vetta. Giù dalla vetta stavano muovendo un gruppo di 17 alpinisti di Coira che avevano raggiunto la cima dalla cresta est. La loro guida Christian Zippert ci attendeva in cima. Con gioia salutai il mio caro amico e compagno, con cui avevo compiuto tante difficili e belle ascensioni […] Un compagno migliore di lui su ghiaccio e roccia non l’ho mai trovato in 48 anni di professione di guida.” 34 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti Nell’agosto del 1912 forse stimolato positivamente dalle clienti, due giovani signore di Zurigo, salì il Piz Corvatsch senza particolari conseguenze per la sua epidermide delicata. Nel 1913 gli vennero affidati parecchi incarichi da parte del CAS per quanto riguardava la costruzione e ristrutturazione di vari rifugi. Fu anche nominato dal professor Alfredo Corti sorvegliante della fornitura dei materiali e supervisore nella costruzione della capanna Marco e Rosa alla Forcola di Cresta Güzza, che venne inaugurata nel settembre dello stesso anno. 1916 Klucker fu chiamato ad “assumere il governo del Comune. Avevo accettato questo incarico di responsabilità a condizione di assolvere l’impegno solo finchè il carro comunale, andato fuori strada, fosse di nuovo rimesso sul giusto binario. Si sarebbe potuto applicare allora assai bene il proverbio italiano: “ se mancano i cavalli si mette l’asino alla stanga”. Un contabile esterno e il nostro valido scrivano misero in ordine entro l’autunno ciò che non lo era e alla successiva resa dei conti riebbi la mia piena libertà di movimento.” Nel frattempo l’Europa era in fiamme per l’esplosione della prima guerra mondiale e anche la regione della Bregaglia venne chiusa militarmente. Nell’estate del 1917, con l’evoluzione positiva della sua malattia cutanea, iniziò per Klucker un periodo di rinascita, una specie di seconda giovinezza. Con dei clienti di Zurigo passò ben 10 giorni consecutivi tra Albigna e Bondasca salendo parecchie cime. Dalla vetta della Pioda di Sciora raggiunta in una splendida giornata, la guida di Fex ammirò ancora una volta lo stupefacente panorama sui giganti della Bondasca: ”guardando nell’abisso la famigliare oasi di Sass Furà, mi assalì un senso di malinconia. Pensai alle belle, ma anche alle molte cupe ore, che avevo trascorso su questo castello di rocce ai piedi del mio superbo Badile. E laggiù la gola erta e paurosa del canalone dei Gemelli, con il suo alto e quasi verticale salto di ghiaccio a metà, ai cui piedi il 9 giugno 1892, in compagnia di due uomini incerti cercai e trovai salvezza dal grave pericolo di scariche di pietre in una crepaccia! Il pensiero che, per il duro lavoro di quegli anni, io raccolsi solo ingratitudine mi fece ribolChristian Klucker 35 Miti dell'alpinismo Speciali 1919 sono finalmente ritornato nella mia casetta di Sils Maria…dopo quattro piacevoli settimane prendo commiato da questi tranquilli luoghi. Mi devo ancora una volta separare dal mio caro vecchio amico Klucker, e questo mi riesce difficile. Certo, non posso più seguirlo nel mondo di rocce della meravigliosa Bregaglia, nel quale egli coglie un’eterna giovinezza. Per me invece, prima grande e potente e adesso lento e prudente. Klucker morì il 21 dicembre del 1928 , in seguito ad un attacco cardiaco, mentre dalla sua casa in Val di Fex si recava a Sils Maria per la festa di Natale degli alunni della scuola. La cresta Güzza e la capanna Marco e Rosa. Fu costruita nel 1913 con la partecipazione attiva di Christian Klucker (5 settembre 1933, archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese di Sondrio). lire il sangue nelle vene sulla vetta della Pioda, e me lo fa ribollire tutt’ora”. Grazie a questi amici e al dott. Janggen di San Gallo (la persona che lo convinse anche a scrivere l’autobiografia) tenne una conferenza alpinistica a Coira, la prima di una lunga serie che lo portò un po’ in tutta la Confederazione. movimenti di volteggio e di spinta. Io guardavo quell’allegro darsi da fare con sentimenti misti, maledicevo in segreto i miei molti anni, i miei pochi capelli e soprattutto il grosso foruncolo che spuntava inopportuno e fastidioso sulla mia guancia sinistra, tra i peli di una barba non rasata da qualche giorno”. 1918 - Klucker fu spesso istrut- sa molto dell’attività di Klucker, in quanto le sue memorie si fermano all’estate del 1918. Di sicuro proseguì quella sorta di rinascita di cui parla nell’ultima parte dell’autobiografia, un periodo proficuo di scalate soprattutto nel suo regno del granito che lo portò ancora come un tempo a prime importanti e tecnicamente impegnative. Tra queste spiccano la prima del severo canalone NO del torrione del Ferro (m 3234) nel 1922 e la prima della cresta ESE dello stesso torrione nel 1927, a 74 anni, accompagnando su entrambe le vie Hans Rutter. Non mancarono escursioni e arrampicate nel bacino del Forno con il caro amico Theodor Curtius che così scrisse sul libretto di guida di Klucker: “dopo cinque anni, durante i quali il mondo si è fatto guerra, nell’agosto del tore ai corsi di formazione delle guide alpine svizzere e gli venne anche affidata la direzione di vari stages del CAS per l’istruzione di personale non professionale, anche se sull’argomento aveva delle convinzioni che sono tutt’ora valide “ Veramente noi guide non abbiamo un particolare interesse per questi corsi, perché ci portano via tempo e clienti, in quanto dopotutto promuovono l’andar senza guide, anche se questo non è lo scopo dichiarato dell’esercitazione”. Durante un’uscita sui monti della val di Blenio, in Ticino, il gruppo degli allievi giunse ad un alpeggio condotto da sei graziose fanciulle e con queste parole che Klucker ricorda l’incontro:” Oh come si scongelarono gli stanchi zurighesi, mancavano solo chitarra e mandolino per dare grazia e ritmo a tutti i 36 Le Montagne Divertenti Dal 1919 al 1927 non si È sepolto nel cimitero di Crasta in val di Fex, in un minuscolo recinto di tombe, sospeso sulla piana dov’è nato. Una lastra di granito reca la semplice scritta: In memoria da nos Christian Klucker Guida 1853 – 1928 da secziun Bernina dal C.A.S. ed amihs dal A.C.d’Inghilterra “Con sicurezza si deve dire che Klucker fu un uomo eccezionale: in primissima linea fra le più grandi guide per intelligenza, capacità tecnica, e per la conoscenza delle Alpi, si innalzava per la speciale gentilezza d’animo, per la cultura e il desiderio di cultura, ad un livello che, per quanti poteron formulare un tal giudizio, nessuna guida ha mai raggiunto.” (Alfredo Corti - 1929) Prima di trovare traccia della scomparsa di Klucker sull’organo ufficiale del Club Alpino Italiano, bisogna aspettare fino agli anni ’50. L a sua figura nella storia dell’alpinismo è di primo piano e in quella dei monti della Bregaglia e Bernina è immensa e si distanzia assai da quella classica della guida dell’epoca. Per Klucker l’alpinismo era conoscenza, cultura, geografia, ma anche Estate 2012 piacere della scalata tecnica ed esplorazione. È lui che concepiva e progettava le nuove ascensioni, studiava il percorso minuziosamente, tenendo in massima considerazione i pericoli oggettivi ai quali è soggetto un itinerario. In più di 50 anni di attività ai massimi livelli non ebbe mai un incidente e portò sempre indietro i suoi clienti sani e salvi. Non è facile trovare altri alpinisti dotati della sua polivalenza: ghiaccio e roccia, granito e dolomia, placca e muro verticale per Klucker rappresentavano terreni meravigliosi sui quali mettersi alla prova, sfoderando una raffinata tecnica e una forza interiore non comune. Fu pioniere dell’arrampicata libera, nel senso più puro del termine, libera da ogni genere di artificio, compresi i chiodi di protezione e a volte anche dalla corda. Una delle sue giornate più luminose fu quell’11 luglio del 1892, quando, scalzo, senza giacca né corda cavalcò l’inviolato spigolo N del Badile spingendosi ad un soffio dalla vetta. Uomo dai molti interessi, geografici, culturali, botanici, si occupò di amministrazione del comune di Fex per un anno, ricoprì la carica di preside della scuola del suo paese e, contrariamente a molte guide dell’epoca, si schierò apertamente contro la caccia. Ecologista ante litteram, diede senso compiuto al suo impegno civile attivandosi contro i prelievi d’acqua a scopo industriale che minacciavano l’Engadina. Christian Klucker alla capanna dell'Albigna nel 1922. Immagine tratta da Adventures of an alpine guide, l'edizione in inglese dell'autobiografia di Klucker. Prime ascensioni assolute Pizzo Torrone Orientale, pizzo Bacone, traversata cima del Largo vetta orientale (dal ghiacciaio del Bacone) - cima del Largo vetta occidentale, Sciora di Dentro dal versante O, cima di Spluga, Dente del Lupo, punta Trubinasca, pizzo Trubinasca, pizzi Gemelli, Ago di Sciora, Pioda di Sciora (1ª e 2ª ascensione), Sciora di Fuori, pizzo Cacciabella N, cima di Cantone (1ª e 2ª ascensione), cima del Largo vetta principale (1ª, 2ª e 3ª ascensione), punta Rasica, punta Alessandra, pizzo Torrone Centrale (1ª e 2ª ascensione), cima di Vazzeda (1ª, 2ª e 3ª ascensione), Steilerhorn, Cufercalhorn, pizzas d’Annarosa, piz Forbisch (Oberhalbstein) (1ª e 2ª ascensione), piz d’Arblatsch (Oberhalbstein) (1ª e 2ª ascensione), Le Cardinal (cresta S dell’aiguille Verte – monte Bianco) Vie nuove e prime traversate Bibliografia Hermann A. Tanner, Forno-AlbignaBondasca, 1906 Luigi Brasca, Guido Silvestri, Romano Ballabio, Alfredo Corti, Alpi retiche occidentali, CAI, Brescia 1911 Hans Rütter, Clubführer Bergellerberge, 1922 Christian Klucker, Memorie di una Guida Alpina. A cura di Giovanni Rossi con prefazione di Roberto Osio, Edizioni Tararà, Verbania 1999 Erinnerungen eines Bergführers, 1930 (S. 125-127) Aldo Bonacossa, Guida dei monti d' Italia. Masino Bregaglia Disgrazia, CAI - TCI, Milano 1936 Le Montagne Divertenti Punta Sant'Anna da N e traversata (1ª e 2ª salita) del Badile O-E, Cengalo diretto da Sass Furà per il colle del Cengalo, Sciora di Dentro per la cresta S, Pioda di Sciora da S, pizzo di Cacciabella N al Frachiccio, torrione del Ferro da N a S, pizzo del Ferro Orientale da N, monte di Zocca da N, cima di Castello per lo spigolo E, cima di Castello traversando la parete E, cima di Cantone per la cresta N, pizzo Bacone per la cresta N, pizzo Torrone Occidentale diretta per la parete N e 1ª traversata, 1ª traversata da N a S del pizzo Torrone Centrale, cima di Rosso da N, dalla cima di Vazzeda alla cima di Rosso, monte Rosso per la cresta N, monte Disgrazia per la parete S al Cavallo di Bronzo, piz Fedoz salita dal versante O e discesa in val Fedoz, pizzo Tremogge per la cresta O in salita e discesa in solitaria, pizzo Tremoggia per la parete NO, piz Glüschaint per la cresta SO, piz Corvatsch per la cresta di Furtschella, piz Lagrev per la parete S alla vetta S, piz Julier per la cresta O, piz Julier da N, pizzo Roseg vetta principale per la parete NE, Cresta Güzza dal versante SO, monte Scerscen per la parete della Schneehaube (dallo Tschiervafirn) Berninascharte direttamente da E e discesa dalla Biancograt, piz Tschierva da N dal ghiacciaio di Misaun, Gross Seehorn e traversata al Gross Litzner da O a E, piz d’Arblatsch per la cresta E, Schalihorn da S a N E, salita dal Momminghorn allo Zinalrothorn, Wellenkuppe direttamente dal ghiacciaio di Zinal e salita dell’Obergabelhorn, punta di Zinal da S a N, Lyskamm- vetta O - diretta da N, Lyskamm vetta principale - diretta dal ghiacciaio di Grenz, Jaegenhorn (monte Rosa) prima discesa all’Alpe Fillar, Strahlhorn dallo Schwbergwiesstor e traversata del Rimpfischhorn, Aiguille Blanche de Peuterey diretta dal ghiacciaio della Brenva e salita al monte Bianco, Grépon - traversata con aggiramento della Fessura Mummery, La Meije - traversata diretta da La Grave a La Bérarde, Aiguille d’Arve meridionale diretta per la parete E, punta delle Cinque Dita, nuova via dal ghiacciaio di Grohmann alla Forcella del Pollice e nello stesso giorno salita dalla Forcella del Sassolungo per via nuova alla Forcella del Pollice, Presanella diretta da N dal Colle d’Amola. Prime traversate di colli Colle del Badile da N a S, colle del Cengalo – discesa dal colle del Cengalo per il canalone del Cengalo, colle dei Gemelli da N a S, Forcola di Sciora dalla Bondasca all’Albigna, 1ª discesa del canalone di Sciora, Ago di Sciora cresta S (Bondasca/Albigna), vallone del Largo e Forcola del Largo, colle del Castello (passo Lurani o del Castello) dalla val di Zocca al ghiacciaio del Forno, colle del Cantone (passo di Cantone) dal ghiaccio del Forno al ghiacciaio dell’Albigna, colle Rasica dalla val di Zocca al ghiacciaio del Forno, Fuorcla Tschierva/Scerscen (Porta Roseg) da S a N, quindi parete di ghiaccio della sella Güssfeldt in discesa. L'elenco delle prime salite e di tutte le ascensioni è stato redatto da Christian Klucker ed è aggiornato all'ottobre del 1924. Christian Klucker 37 Speciali I GNAÙN e gli altri piccoli uomini Mentre Giovanni del fu Alfonso della contrada del Lago e Fabio Robustelli della Cuna, abitante della Piazza, inseguivano un gruppo di camozzi nel Rovinón, sopra il lago del Dragh, hanno visto uno strano essere colorato che si nascondeva tra i sassi. Non sembrava un tipo pericoloso e per questo hanno deciso di non ricorrere al fucile. Ma nonostante la buona volontà degli inseguitori nel cercare di catturarlo, si è dileguato tra i sassi della ganda del Rovinón e di lui si è persa traccia. Testi Antonio Boscacci, disegni Luisa e Ornella Angelici Questa1 è la prima testimonianza diretta sulla presenza di strane creature sulle montagne della provincia di Sondrio. Mi sono occupato da sempre di faccende curiose e particolari. Di questi esseri speciali avevo sentito parlare fin da piccolo nei racconti di mia nonna Maria. Di solito le sue narrazioni, in genere sempre brevi e stringate, erano piene di ansia, paura e anche spesso di vero e proprio terrore, perché con questi sentimenti lei era nata, cresciuta e vissuta e si era nutrita in quella magra terra dei Leüsc, che sta tra la contrada della Madonnina e la chiesa di san Giovanni a Montagna in Valtellina. Quando però parlava dei Gnaùn, piccoli e strani esseri che riempivano anche loro il suo passato, allora rideva, si rilassava e diventava perfino un po’ meno triste. Erano poche le volte che non la vedevo triste e anche quando gioiva, una vena di amarezza attraversava comunque sempre la sua faccia e in particolare la sua fronte. Per questo mi piaceva quando mi raccontava le storie dei Gnaùn e le loro imprese. Erano talmente fuori dal tempo e incredibili che anche lei era stupita, di quello stupore infantile di cui tutti dovrebbero con diritto aver goduto e che lei non aveva mai nemmeno sfiorato. Le era mancato lo stupore e con i Gnaùn le tornava fuori. Non in dosi abbondanti, però le tornava fuori. La sua storia preferita era quella di una povera ragazza dei Gnaùn che aveva fatto una vita grama e che poi, a causa di lunghe, strane e fortuite vicende, era diventata una principessa. 1 - Archivo di Stato di Sondrio, Fondo notaio Lorenzo Bellesini di Grosio, Faldone 15, pag. 398, 12 Settembre 1567. 38 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Una specie di Cenerentola, ma senza la zucca, il ballo e altri fronzoli. La cosa che più la colpiva in tutto il racconto era che il principe, prima di sposarla, le aveva regalato un gigantesco anello di diamanti. Ma sapete quanto costa un anello così? Ripeteva mia nonna, mentre noi ce ne stavamo accovacciati ai suoi piedi a sentire per l’ennesima volta la stessa storia, l’anello di diamanti. Ci raccontava la stessa storia, ma ogni volta ci pareva che fosse diversa, che fosse un’altra parte della stessa avventura. Eppure il regno era sempre quello di Filippo Appo, chissà se lo aveva scelto lei o se lo aveva “ereditato” da sua nonna. Il principe Ciro Perocco era sempre lui, il maggiordomo Sigfredo Rominallo e la regina Buonaporta Vasa. Solo l’anello di diamanti cambiava di peso e ogni volta diventava sempre più grosso e importante. Era ormai diventato il “suo” anello. La cosa curiosa era che eravamo proprio noi ragazzi, i miei numerosi fratelli e sorelle più qualche occasionale visitatore, a chiederle di raccontarci quella storia e stavamo lì a bocca aperta attaccati alle sue lunghe gonne nere. Filippo Appo, il principe Perocco, Sigfredo Rominallo, la regina Buonaporta Vasa e la povera Maria Gnaùn, chi potrà mai dimenticarli? Un giorno, il dottor Gianfranco Salacrist, che allora lavorava all’Archivio di Stato di Sondrio, mi mostra il testo che sopra ho trascritto e mi chiede che ne penso. Ne penso bene rispondo, anche perché questo conferma quello che vado cercando da tanto tempo. Ma tu ne avevi già sentito parlare? Insiste lui. Ho trovato loro notizie in molti luoghi ed è da non so quanti anni che tengo un fascicoletto dove annoto le tracce della loro presenza. Ne abbiamo parlato ancora di lì a qualche giorno, poi di nuovo in seguito, passata l’estate. Alla fine però purtroppo lui se n’è andato. Non prima di lasciarmi una decina di foglietti con delle annotazioni scritte di suo pugno. Lì ho sempre tenuti lì, in un angolo del ripiano della libreria dietro le mie spalle, tra la fotocopia dell’articolo sull’Alpine Journal relativo la prima salita al monte Disgrazia e una copia in spagnolo di uno dei miei libri preferiti, il don Chisciotte di Miguel de Cervantes. Un giorno, non si sa come, mi giro per cercare altre cose e l’occhio mi cade su questi foglietti. È la scrittura del mio amico Gianfranco, non c’è dubbio. Così ho ripreso il mio fascicoletto di appunti e mi sono messo all’opera. O meglio, mi sono messo a indagare un po’ più a fondo quella materia, che fino a quel momento avevo dimenticato o trattato in maniera superficiale e distratta. Le Montagne Divertenti Taraxacum officinale I Gnaùn e gli altri piccoli uomini 39 Testimonianze I NÀRGHEN Della presenza dei Nàrghen in val Grosina si continuò a parlare. Perché era di questi personaggi che alla fin fine si trattava nella citazione notarile riportata sopra. Da quel 12 settembre 1567 è passata molta acqua sotto il vecchio ponte di Malghera. I Nàrghen sono stati avvistati più volte sia nell’alta val di Sacco, nelle pietraie del lago Zapelàsc, che mettono in comunicazione con la vicina Svizzera e negli avvallamenti contorti del Böc’, sia nella valle di Malghera, tra il passo dell’Uomo Pelato e i pascoli del Cantone. Nessuno però di questi incontri aveva risolto la questione. Tutto sommato, avrebbe potuto essere anche lo scherzo di un gruppo di buontemponi, intenzionati a divertirsi alle spalle degli altri. C’era già stato in questo senso una specie di bisbiglio, di quelli che passano da orecchio a orecchio, mai preciso e controllabile, come sono del resto giustamente i pettegolezzi e gli scherzi, che aveva attribuito a un certo Pietro Pini la diffusione di questa notizia e la sua, per così dire, materializzazione in mezzo alla gente. In questo modo, come spesso avviene in faccende del genere, si erano creati a Grosio e in tutte le contrade della val Grosina, due gruppi di persone, uno che a questa presenza credeva strenuamente e l’altro, bisogna dire in assoluta maggioranza, che non ci credeva affatto. Anzi. Quando gli appartenenti al secondo gruppo erano interrogati su questo argomento generalmente rispondevano con una alzata di spalle e una frase che corrispondeva più o meno a buontemponi, poca voglia di lavorare, sempre pronti a scherzare … Tutto questo fino al 3 marzo 1913, quando le cose sono cambiate decisamente, perché l’incontro è avvenuto davvero e questa volta non è stato per pochi e sfuggevoli istanti. Nàrghen uomo Camminavo sul sentiero che dalla baita di Preda Nera in val Vermolera, porta verso la cascata di Saoseo. Erano quasi le 7 del mattino. Lo so di preciso perché è quella l’ora nella quale, in estate, il sole entra nelle acque del più piccolo dei laghi di Tres. Impossibile confondersi. Lo sanno tutti che in val Vermolera il giorno è regolato dai laghi, dal Mat, dalla cima Viola e dal Sasso Impirato. Intanto che raggiungevo con le mie quattro capre la Stretta del Tonio, ho visto scappare lungo il sentiero un piccolo essere. Un personaggio che non avevo mai visto in vita mia. Non è certo facile descriverlo, ma ci proverò … Così comincia il racconto che Pietro Curti della contrada di Ravoledo ha fatto alle famiglie di Vermolera radunate per l’occasione nella baita del Santo Cecini. Avevano usata quella di baita perché era la più grande e lì si trovavano adesso tutte le famiglie della valle. 40 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Erano arrivati perfino i sei Franzini del Gràs di Vergàt, compreso il vecchio Martino e sua moglie Celsa, che non scendevano mai se non era strettamente necessario per andare a Fusino oppure a Grosio a comprare qualcosa che gli mancava di urgente. Era certo un caso molto, molto particolare e tutti erano attenti come non mai. Per l’occasione erano presenti tanti ragazzi, anche quelli molto piccoli. Perfino tre pecore avevano infilato il muso nella porta della baita e sembravano molto incuriosite dalle cose che dentro si raccontavano. La storia riprese. La strana creatura era alta circa 30 cm ed era vestita con una gonna azzurra, di un azzurro un po’ violaceo. La camicetta era gialla, di un giallo simile a quello della Margherita trifoglina, che si vede nei pascoli di tutta la valle. I bordi delle maniche erano rosso mirtillo e aveva due spalline con dei quadratini neri dalle quali pendevano alcune piccole frange delle stesso colore. In testa portava un cappello a punta marrone - nocciolo, con la parte in alto rossiccia. Questo cappello aveva un bordo molto particolare fatto di puntini neri, al cui centro c’erano dei puntini ancora più piccoli bianchi. Dopo aver corso per circa 5-10 m, il piccolo essere, si trattava certamente di una femmina per via della gonna, si è infilato sotto un mucchio di sassi ed è sparito dalla mia vista. Non poteva che essere un Nàrghen, anzi una Nàrghen, visto che era una femmina. La notizia della presenza dei Nàrghen in val Vermolera si diffuse così rapidamente che il giorno dopo già tutti a Grosio sapevano di questo fatto. E naturalmente tutto ciò contribuì a far sì che a molti tornassero in mente altri incontri fuggevoli che c’erano stati in altri luoghi e altri pascoli dell’intera valle. Ci fu chi si ricordò di essersi imbattuto in un Nàrghen maschio e alla fine venne fatta una descrizione piuttosto precisa anche di lui. Il Nàrghen maschio è alto circa 35-40 cm, 5-10 centimetri in più della femmina. Indossa un paio di calzoni verde erba che si stringe al ginocchio. Lì, proprio sotto il ginocchio, arrivano degli stivaletti di pelliccia di topo delle nevi bianco, ma con qualche macchietta grigia. Indossa una blusa rossa a maniche lunghe, tenuta in vita da una robusta cintura di pelle con una fibbia vistosa e luccicante. Il bordo inferiore della blusa è rinforzato con una striscia di stoffa blu scuro dentro la quale c’è un cordoncino sempre di colore blu che sporge di lato e scende per qualche centimetro lungo il fianco sinistro del corpo, fin quasi all’altezza del ginocchio. Le Montagne Divertenti Nàrghen donna I Gnaùn e gli altri piccoli uomini 41 Speciali La fibbia, che come si è detto, è grande e porta ben visibile un triangolo. In testa porta un lungo cappello blu con una piccola luna rosa. Un cordoncino dello stesso colore, lungo quattro, cinque dita, scende dalla punta e si muove a ogni passo. Tutti concordano sul fatto che i Nàrghen sono in genere grassottelli. Parlando di loro, raccogliendo osservazioni sui brevi incontri fatti, una notizia qui e l’altra là, si è potuto anche stabilire quali sono i luoghi in cui vivono. Si può affermare con certezza che i Nàrghen frequentano le montagne che vanno dall’attuale chiesetta di san Colombano, sul crinale tra la valle dell’Adda e la valle Lia, fino ai pascoli di Eita e Malghera. Ma sempre al di sopra degli abeti e degli ultimi larici, nelle vastissime distese di erbe e sassi che da lì raggiungono le pietraie sotto le vette delle montagne. Per concludere la descrizione dei Nàrghen si può dire che gli unici suoni sentiti uscire dalle loro bocche sono stati dei piccoli gridi di leggera paura. Pur scappando velocemente a ogni incontro con l’uomo, sembra che non lo temano affatto. Aquilegia Groll donna 42 Le Montagne Divertenti I GROLL Quando si è diffusa la notizia della presenza dei Nàrghen in Alta Valtellina, si è scoperto che in altri luoghi c’erano persone che avevano da raccontare incontri e storie non meno curiose e interessanti. Se un sussulto, un piccolo mormorio, un breve riferimento si mettono insieme, comincia a risuonare nei paesi e nelle contrade un insieme di voci del tipo, ma anche io avrei qualcosa da dire … ho sentito che … non ho detto niente finora ma … insomma, la storia comincia a gonfiarsi da sola e, quasi senza che ce ne si accorga, diventa ogni giorno che passa qualche cosa che si allarga sempre di più. Un po’ la si controlla, un po’ ci si soffia su per spingerla il più lontano possibile. Così, passando di bocca in bocca, ciascuno ci aggiunge del suo e la notizia si fa via via più interessante. Mentre viaggia nell’aria, in quello spazio di tutti e di nessuno, si deforma, contorce, arricchisce e, quasi sempre, dovesse andare anche a fuoco e scomparire, la si potrebbe veder rinascere come un’Araba Fenice. Così è successo per i Groll. I primi a rilevare la presenza dei Groll sono stati gli abitanti dell’Arale, l’ultima delle contrade della val Lunga in quel di Tartano. Tutto è cominciato, per quello che si è potuto poi appurare in seguito, forse nel Settecento. Qualcuno dice nella seconda metà, intorno al 1760. In ogni caso, fondamentale è stata la fontana della Gerna. I pascoli della Gerna sono pascoli ripidi e un po’ difficili, pieni di sassi e poveri d’erba. Però la Gerna ha la particolarità di avere una bella sorgente di acqua fresca ed è questa che la rende famosa. Estate 2012 Per avere le prime notizie sui Groll un po’ attendibili e sicure, bisogna però aspettare fino al giugno del 1876. L’inverno precedente era stato freddo e a maggio tutti i pascoli erano ancora coperti da oltre dieci centimetri di neve. Giovanni Maria Gusmeroli della Piana, che in quegli anni portava il suo bestiame all’alpe Gerna, era salito dalla valle del Cuminello per vedere come stavano le cose. Percorso il tratto di sentiero che avevano appena scavato nella roccia prima dell’alpeggio della Gerna, ha visto davanti a sé una scena davvero curiosa. Sdraiato su un masso piatto accanto alla porta principale della baita, con la testa appoggiata su un altro sasso che sembrava gli facesse da cuscino, c’era una strana figura. Ha potuto osservarla bene e da vicino, perché quella non si è accorta di nulla, occupata da un russare profondo e rilassato. Il respiro pesante era segnato da un piccolo sibilo, simile al soffio di una marmotta, ma molto molto più leggero. Si trattava di un piccolo uomo, alto non più di 40 cm, con degli stranissimi capelli gialli che gli stavano sul capo come fossero due fasci di segale matura. Indossava un paio di calzoni blu, sui quali c’erano due vistose toppe, che gli ricoprivano le ginocchia. Le toppe, a righine verticali viola e rosa, ma un rosa appena distinguibile dal bianco, non erano però state poste sui calzoni perché lisi, ma erano volute, come fossero una piccola esuberanza colorata. Portava una camicia verde chiaro rimboccata oltre il gomito. Aveva delle lunghe calze a righe orizzontali grigio - arancione che aveva fatto scendere fino ai piedi, probabilmente a causa del sole che in quel momento era particolarmente vivace. Un ultimo particolare interessante era un fazzoletto viola salvia che teneva annodato intorno al collo. Appoggiati accanto a lui sulla roccia, c’erano un paio di robusti zoccoli di legno di cembro, ben allineati, con le punte e i tacchi coincidenti, segno di un modo di fare un po’ maniacale e un gilet di pelliccia marrone - nera, con la pelliccia rivolta verso l’interno.. Era certamente un Groll, uno di quegli strani individui dei quali aveva sentito parlare da suo bisnonno, da suo nonno e da suo padre. Purtroppo, un breve starnuto che Giovanni Maria Gusmeroli non è riuscito a trattenere, nonostante gli sforzi, ha fatto aprire gli occhi al Groll che, accortosi di quell’essere gigantesco che si trovava davanti, ha preso i suoi zoccoli e il suo gilet ed è fuggito nella pietraia, scomparendo alla vista. Quando Giovanni Maria Gusmeroli è ritornato alla Piana e ha raccontato quello che aveva visto, sua cugina Marisa ha detto che lei aveva delle cose da dire a questo proposito e anche il marito Celestino Bulanti e la zia Renata Gusmeroli, che era ritenuta la più pettegola della contrada. Fu proprio dalla sua testimonianza che si è riusciti a Le Montagne Divertenti Genziana Aconitum napellus I Gnaùn e gli altri piccoli uomini 43 Testimonianze Ermellino Volpe 44 Le Montagne Divertenti ricostruire come è vestita la donna dei Groll. È alta 35 - 40 cm e indossa una lunga gonna color arabella che tiene rimboccata sul davanti, mostrando sotto un’altra gonna più leggera color ciclamino. La prima è più rustica, fatta con le fibre della genziana gialla che richiedono solo due mesi di preparazione e altri due mesi per la sfibratura e la successiva filatura ed è chiamata Lis de som. La bellezza della seconda gonna, Lis de sut, un po’ nascosta, è data dalla tela molto più soffice, delicata e ”vaporosa”. Ha disegnate delle larghe strisce verticali grigio argento su ognuna delle quali si arrampicano dei fiori azzurri di clematide che si attorcigliano ancora più stretti verso l’alto scomparendo sotto l’altra gonna. Anche le calzature, che purtroppo sono visibili solo in parte, sono colorate di ricami argentei azzurri, mentre le calze sono bianco rosacee. Indossa un grembiule rosso - primula con una grande tasca dentro la quale conserva molte cose: un fazzoletto, un piccolo coltello, alcuni fili che utilizza per riparare i vestiti. Porta una camicetta azzurro - nuvola tessuta con i fili del cotone selvatico. Sui lunghi polsini scuri, quasi neri, c’è una striscia orizzontale formata da tre linee a zig zag del colore della scorza dell’abete. Nei mesi più freddi indossa un morbido gilet bianco di volpe oppure Ermellino chiuso da stretti laccetti di Betulla conciata. In testa porta una larga cuffia di cotone con un’ampia visiera rigida dello stesso colore della camicetta. La visiera presenta lo stesso disegno a zig zag dei polsini. Qualcuno ha riferito anche di un piccolo che succhiava il latte dal seno della mamma e si è giunti alla conclusione che, a parte la statura, i Groll non sono tanto diversi da noi. Quanto ai luoghi dove vivono, anche se le testimonianze non sono del tutto concordi, si può dire che sono stati avvistati un po’ ovunque nella fascia di montagne che va dalla valle del Tartano alla val Lesina. Questo in generale. Però il maggior numero di incontri è avvenuto intorno alla Gerna, tra il Salinèer e il Cuminello. Occorre anche ricordare che molti Groll sono stati osservati nella parte alta della val Budria, tra i ripidi canali della Bràta, del Piàz e della Bruśàda e nella zona del Ponteranica, al di sopra del lago di Pescegallo. Perché i Groll siano così diffusi in questi luoghi non si riesce a capire. Forse, come è probabile, per una questione di cibo, di facilità abitative, di disturbo da parte dell’uomo e di presenza dell’acqua per tutto l’anno. Si è visto che, ad esempio, la zona della Gerna è ricca di mirtilli, dal comune mirtillo nero, al mirtillo rosso, al Malrüden. Quest’ultimo è un piccolo mirtillo strisciante non particolarmente dolce, ma molto prolifico, che si diffonde abbarbicato ai sassi da cui trae il calore necessario a vivere. È certo che i Groll raccolgano cavallette. Queste vengono poi fatte essiccare al sole e conservate in sacchetti con il Estate 2012 caratteristico distintivo a zig zag. È un modo per fornire al proprio corpo le proteine necessarie per vivere in luoghi così apparentemente disagevoli, ostili e freddi. Cacciano anche le lucertole, la cui carne, stesa sui sassi al caldo, specie nei mesi di luglio e agosto, viene essiccata e poi raccolta e conservata per l’inverno. Soprattutto come alimento di scorta, nel caso ci fossero problemi con il protrarsi dello sciogliersi delle nevi. Questo è infatti la difficoltà principale dei Groll e delle altre comunità. Se l’inverno segue il suo sviluppo naturale e la neve se ne va verso febbraio - marzo, non ci sono problemi. Se invece il manto nevoso persiste anche nella parte iniziale della primavera o addirittura permane anche nel mese di maggio, allora ci sono un po’ di difficoltà e c’è bisogno di un supplemento di cibo, in modo che l’emergenza possa essere superata. Secoli di vita a queste quote e di adattamenti hanno insegnato ai Groll molte strategie, tra le quali notevoli capacità di accumulare e soprattutto conservare il cibo. Qualcuno potrebbe pensare che anche il freddo sia per loro una calamità, ma in realtà contro il freddo non hanno mai avuto, né hanno problemi grazie alle folte pellicce che possiedono e che sono realizzate con arvicole, volpi ed ermellini. La presenza degli ermellini in gran numero, così come quella delle arvicole, sia arvicole comuni che quelle delle nevi, offrono ai Groll materia prima in quantità... [continua sul prossimo numero] Le Montagne Divertenti Fringuello alpino I Gnaùn e gli altri piccoli uomini 45 Alla scoperta del Sistema museale della Valtellina Maria Sassella PER INFORMAZIONI Sistema museale della Valtellina Ufficio cultura della Provincia di Sondrio corso XXV Aprile, 22 - Sondrio www.sistemamusealevaltellina.it Facebook: sistema museale valtellina Twitter: musei valtellina 0342 531231 / 0342 531345 [email protected] La più grande ricchezza della Valtellina risiede indubbiamente nelle sue montagne e nel suo paesaggio naturale, che tanto spazio trovano in queste pagine. Ma un'altra grossa fetta del patrimonio valtellinese è costituita dalle preziose testimonianze storiche, artistiche ed etnografiche racchiuse in queste valli, che raccontano la storia del popolamento del territorio dalla preistoria ai giorni nostri. Accanto a un gran numero di chiese, torri, castelli, palazzi e nuclei rurali, vi sono anche alcuni musei che, attraverso le loro collezioni e i loro percorsi espositivi, permettono al visitatore di scoprire in profondità le peculiarità del territorio della provincia: dai musei naturalistici ed ecomusei, specchio dell’ambiente e del paesaggio, ai musei storico-artistici ed etnografici, testimoni significativi delle tradizioni, dei mestieri e dell’identità di questo territorio e della sua comunità. Allo scopo di valorizzare e di incentiLe Montagne Divertenti vare la fruibilità di questo patrimonio, la Provincia di Sondrio ha promosso l'istituzione del Sistema museale della Valtellina, che ha l’obiettivo di coordinare, sviluppare e promuovere i musei locali, attraverso la creazione di una rete che offra servizi qualificati a residenti e turisti. Le realtà museali che hanno scelto di far parte del Sistema sono il Museo civico di Storia naturale di Morbegno, l’Ecomuseo della Valle del Bitto di Albaredo, l’Ecomuseo della Valgerola, il Parco delle Incisioni Rupestri di Grosio, il Museo Civico di Bormio e il Museo Vallivo Valfurva. A ognuno di essi, in questo e nei prossimi numeri della rivista, sarà dedicato un approfondimento all'interno di una nuova rubrica volta a esplorare i musei del Sistema e i beni a esso collegati: un bel diversivo alle passeggiate e alle scalate, da condividere con tutta la famiglia. Musei 47 Speciali 1/ L'ECOMUSEO DELLA ValGerola Cirillo Ruffoni P er andare in val Gerola si può prendere la comoda provinciale che parte da Morbegno poco oltre l’antico ponte sul Bitto e taglia in diagonale il territorio boscoso del comune di Cosio, tra casolari e piccoli insediamenti un tempo abitati tutto l’anno, quando l’Adda con le sue piene spadroneggiava nella pianura della bassa Valtellina. La via conduce successivamente a Sacco, un paese dalla posizione invidiabile, poi a Rasura, Pedesina e a Gerola Alta, che occupa la testata della valle. Come negli altri paesi di montagna, anche qui la storia e l’arte sono concentrate soprattutto nelle chiese, che conservano preziosi tesori, tramandati con grande cura dagli abitanti: arredi e statue di legno, ricchi paramenti e stendardi, pregevoli dipinti, mentre negli archivi parrocchiali sono depositate le memorie di molti secoli. Non mancano però autentici gioielli nelle abitazioni civili, come la celebre camera picta, nella parte alta di Sacco, ora trasformata in museo, resa famosa dalla bella raffigurazione dell’homo salvàdego. 48 Le Montagne Divertenti GLI APPUNTAMENTI DA NON PERDERE 23 e 24 giugno a Gerola - Sagra della Mascherpa e festa del fieno A luglio e agosto - “Rassegna musicale dell’Ecomuseo” 2-3-4-5 agosto a Rasura - Sagra del mirtillo 15-16-17 settembre a Gerola - Sagra del Bitto 6-7 ottobre a Rasura - Sagra della castagna 6-7-13-14 ottobre a Gerola - “Gustosando in Valgerola” Inoltre, serate danzanti, feste, serate culturali, concerti, giochi e attività pomeridiane per bambini e corsi per adulti 14 ottobre a Pedesina - castagnata Rasura, antico telaio presso il museo etnografico (8 luglio 2010, foto Roberto Trabucchi – archivio Provincia di Sondrio). Estate 2012 Le Montagne Divertenti L'ecomuseo della val Gerola 49 Musei Speciali "Lo scopo di un ecomuseo è quello di coinvolgere direttamente la popolazione, per farle conoscere la sua storia e il territorio, in modo che poi sia in grado di valorizzare tutto questo e far sì che le attività del passato continuino ad essere una fonte di vita”. Ponte del Pich sull'antica mulattiera della val Gerola (8 luglio 2010, foto Roberto Trabucchi – archivio Provincia di Sondrio). Se invece non si desidera fruire delle comodità offerte dai mezzi moderni, ma si vuole ritrovare l’antico sapore del lento procedere a piedi, per gustare più a fondo il paesaggio, si può imboccare la vecchia mulattiera della val Gerola, che si diparte nello stesso punto della provinciale. Il tragitto ci riserva anche alcuni interessanti reperti storici, come la cappelletta sull’ampio dosso di Campione, dove un’iscrizione ricorda Bona Lombarda: una donna straordinaria vissuta nel Quattrocento, nata proprio in questa località, sposa del capitano di ventura Brunoro e poi andata con lui a combattere per la Repubblica di Venezia contro i Turchi. Più avanti, dove la vecchia strada attraversa il torrente che segna il confine tra i comuni di Cosio e di Rasura, Serafino Vaninetti ha restaurato un antico mulino ad acqua (uno dei tanti una volta presenti lungo questo corso d’acqua). Oltre la zona abitata, dove i prati vanno incontro ad una lenta ma inesorabile trasformazione per 50 Le Montagne Divertenti l’abbandono dell’agricoltura, si sviluppa l’ampio comprensorio d’alta montagna che fa parte del Parco delle Orobie Valtellinesi. Lo caratterizzano una ricca vegetazione, i pascoli degli alpeggi, le vette, i caratteristici laghetti di origine glaciale e i passi, che hanno sempre favorito le comunicazioni con la val Brembana e la Valsassina. L’ecomuseo · Per valorizzare pienamente questo territorio, così ricco di elementi naturalistici e di storia, nel 2008 è stato costituito l’Ecomuseo della val Gerola. Nel nostro panorama culturale il concetto di ecomuseo è abbastanza nuovo. Per comprenderlo meglio, possiamo attingere alcuni elementi da una simpatica intervista rilasciata dal suo direttore Ettore Acquistapace ai bambini di una scuola elementare. “Un ecomuseo non è un palazzo dove sono custoditi molti oggetti: è un territorio, nel quale si fondono quattro elementi: natura, storia, cultura e gusto. Natura vuol dire boschi, montagne, prati, torrenti e pascoli. La sto- ria ci dice come l’uomo ha vissuto ed ha utilizzato la natura. Nell’archivio parrocchiale di Gerola abbiamo un documento molto antico: una pergamena del 1238, ma l’origine del paese è ancora precedente, forse intorno all’anno Mille. Per cultura non intendiamo il sapere degli abitanti, perché un tempo pochi sapevano leggere e scrivere, ma il loro modo di vivere, di coltivare la terra, allevare gli animali, tessere la tela, curare le malattie con le erbe. Il gusto comprende tutto ciò che gli antichi potevano procurarsi da mangiare: castagne, segale, orzo, miglio, latte, formaggio, poi fragole, mirtilli, parüch (Chenopodium bonushenricus), tarassaco, ortiche e così via. L’Ecomuseo della Valgerola è stato costituito su iniziativa del Comune di Gerola Alta, poi ha incluso anche gli altri paesi della valle: Pedesina, Rasura e Sacco (che appartiene al comune di Cosio). Essi, infatti, costituiscono una realtà omogenea perché, attraverso la strada di valle, hanno sempre avuto fra loro strettissimi rapporti.” Estate 2012 Tradizioni e storia · Tra i motivi che hanno determinato l’immediato riconoscimento dell’Ecomuseo della Valgerola da parte della Regione Lombardia, vi è stato certamente il fatto che la sua istituzione non è nata dal nulla, ma è venuta a coronare e poi a coordinare una serie di iniziative che già venivano svolte nei vari paesi e che costituiscono ormai degli eventi annuali. Ci riferiamo anzitutto alle ricerche sulla storia della valle. Le antiche pergamene conservate negli archivi parrocchiali, gli stessi documenti lasciati dai parroci, gli atti notarili dell’Archivio di Stato di Sondrio hanno aperto un mondo che finora era rimasto quasi completamente sconosciuto. Piano piano sono venute alla luce le sorprendenti relazioni tra la valle del Bitto e le altre, fino alle lontane Valcamonica e val di Sole, successivamente le emigrazioni verso le città del Veneto e dell’Italia meridionale, quali Ancona, Roma, Napoli e Palermo; è stato possibile ricavare interessanti notizie sulle origini delle famiglie e Le Montagne Divertenti Dopo la benedizione del formaggio Bitto, è il momento degli assaggi per i turisti accorsi alla Sagra del Bitto, manifestazione annuale che si svolge nel mese di settembre a Gerola Alta (16 settembre 2007 - foto Roberto Moiola). dei cognomi, sull’amministrazione dei comuni come Gerola e Rasura, autonomi già nel Trecento. Sempre in ambito culturale, sono state svolte indagini sulla toponomastica e sui dialetti. In collaborazione con la Società Storica Valtellinese e con l’Istituto di Dialettologia sono stati pubblicati gli inventari dei toponimi di Gerola, Pedesina e Rasura. Su quest’ultimo, il prof. Remo Bracchi, linguista di fama internazionale, ha inserito anche uno studio dei dialetti dei vari paesi. Gli studi sulla storia e l’ambiente, oltre che nelle pubblicazioni dei toponimi e dei volumi Gerola: la sua gente, le sue chiese (1995) e Rasura tra passato e futuro (2007), hanno trovato una sintesi anche in un piccolo museo, chiamato la Casa del Tempo, creato a Gerola nell’edificio che era stato l’antica chiesa medioevale. Attraverso i pannelli espositivi e la proiezione di immagini, il visitatore è invitato a salire su una navicella del tempo, che gli fa compiere un tragitto virtuale dalle lontanissime ere geologiche fino ai nostri giorni. Nell’economia della valle ha avuto un’importanza fondamentale l’attività di estrazione e di lavorazione del ferro dalle miniere che ancora è possibile vedere numerose soprattutto nella zona di Trona e del lago Inferno, collegate a quelle del versante opposto di Premana e di Valtorta. Le miniere sono state molto attive in età medioevale, poi gradualmente abbandonate. Nella stessa zona sono stati ritrovati interessanti fossili, come una conifera chiamata Cassinisia Orobica e impronte di Tetrapodi, specie di lucertoloni a quattro zampe, vissuti tra i 260 e i 230 milioni di anni fa, che si possono definire gli antenati dei dinosauri. La vera ricchezza per gli abitanti delle valli del Bitto, però, è sempre venuta dall’allevamento del bestiame, soprattutto mucche, ma anche capre, pecore e maiali. Sui pascoli d’alta montagna è nato quello straordinario prodotto che è il formaggio Bitto. L'ecomuseo della val Gerola 51 Musei Speciali Gerola Alta, lo spazio espositivo "Casa del Tempo" (8 luglio 2010, foto Roberto Trabucchi – archivio Provincia di Sondrio). Rasura, la camera da letto allestita nel museo etnografico (8 luglio 2010, foto Roberto Trabucchi – archivio Provincia di Sondrio). È ottenuto dalla cagliatura nel latte intero, appena munto, con aggiunta di latte di capra e deve la sua rinomanza a diversi fattori. Anzitutto all’erba dei pascoli, poi all’arte che i casari hanno affinato nel corsi dei secoli e si trasmettono da una generazione all’altra: una tecnica fatta di pazienza, lavoro lungo, metodico e attenzione alle variabili che possono cambiare l’esito finale. In questo modo il Bitto è un formaggio che può essere consumato fresco oppure destinato ad una lunga stagionatura che può superare tranquillamente i dieci anni. Per conservare intatte le caratteristiche originarie del "Bitto storico", da alcuni anni i caricatori degli alpeggi delle valli del Bitto di Gerola e Albaredo si sono riuniti in un’associazione ed hanno costruito a Gerola il modernissimo Centro del Bitto, presidio Slow Food dove viene stagionato e commercializzato questo formaggio. Il "Bitto storico" sta così ricevendo numerosi apprezzamenti in campo internazionale. 52 Le Montagne Divertenti Da ricordare infine che a metà del Novecento la società Orobia ha realizzato gli impianti per produrre energia elettrica con l’acqua di tutta la valle. Se da un lato i lavori hanno creato un notevole impatto sull’ambiente con la costruzione delle dighe e delle linee elettriche, dall’altro sono stati fondamentali per l’economia dell’intera regione Lombardia. Le attività · Oggi l’Ecomuseo della Valgerola coordina tutte le attività promosse e organizzate dalle varie Pro-Loco e dalle associazioni di volontariato, che si propongono di far conoscere non solo i prodotti locali, ma anche la storia, l’arte e la cultura della valle. Soprattutto nel periodo estivo, quando molti abitanti della val Gerola emigrati ritornano ai paesi d’origine, si svolgono le tradizionali feste religiose, con le caratteristiche processioni e sagre, anche nelle singole frazioni. Tra le manifestazioni più rilevanti e ormai consolidate nel tempo sono da ricordare la sagra del Bitto e quella del mirtillo che si tengono rispettivamente a Gerola la terza domenica di settembre e a Rasura la prima domenica di agosto. Proprio nell’ambito della sagra del Bitto è stato creato a Gerola il gruppo folcloristico I Giaröi, che ha sempre riscosso un notevole interesse anche fuori provincia. I suoi componenti, di ogni età, indossano i costumi tradizionali maschili e femminili (da lavoro e della festa) e presentano in maniera molto naturale gli attrezzi un tempo utilizzati per le varie attività, che vanno dalla lavorazione della lana, alla pastorizia, alla produzione del formaggio, alle piccole attività artigianali. L’Ecomuseo della Valgerola è entrato a far parte del Sistema museale della Valtellina, che raggruppa i principali musei del territorio e sta svolgendo, con il coordinamento della Provincia di Sondrio, una serie di iniziative rivolte agli adulti, ai bambini e alle scuole. I bambini e gli adulti sono coinvolti soprattutto durante il periodo estivo con proposte molto Estate 2012 varie, gestite dagli animatori dell’Ecomuseo, ma anche con l’intervento di esperti esterni. I temi trattati sono la lavorazione della lana per ottenere oggetti in feltro (molto gettonata), il cestinaggio, la lavorazione del legno, il restauro, la cucina tradizionale nelle varie stagioni. Le attività più interessanti sono senza dubbio quelle rivolte alle scuole. A volte sono gli operatori che si recano negli istituti, soprattutto quelli della scuola materna, per evitare il disagio del trasferimento, ma più spesso sono le classi che vengono in val Gerola. Da tre anni, infatti, l’Ecomuseo propone alle scuole primarie e secondarie una serie di interessanti attività didattiche, che stanno riscuotendo un lusinghiero successo. Nello scorso anno, ad esempio, hanno partecipato 25 scuole, per un totale di 40 classi. L'offerta didattica si è arricchita seguendo le richieste fatte dagli insegnanti stessi e oggi si articola in ben 15 laboratori, dai titoli accattivanti, come: «Piacere, sono l’Homo Salvadego!» (esempi di vita nella preistoria, in compagnia di quella figura mitica), «L’aroma del formaggio» (l’esperienza pratica sulla lavorazione del latte e la produzione del formaggio), «Il profumo del legno», «Acqua viva» (l’utilizzo dell’acqua come fonte Le Montagne Divertenti energetica), «La tela di Penelope» (la tessitura di tappeti utilizzando strisce di stoffa). I laboratori più richiesti: «Il calore della lana», «Svegliamo i sensi» e «La spesa la faccio io» (conoscenza e coltivazione di tutti i prodotti che può offrirci la natura). Quando i bambini o i ragazzi giungono in paese con la corriera, vengono accolti dagli operatori Sergio, Elisabetta, Michela ed Elisa nella confortevole aula creata appositamente nel nuovissimo Centro del Bitto. Questa è dotata di particolari sussidi didattici, che Sergio stesso ha costruito con le sue mani: graziosi modellini di un mulino ad acqua, di un maglio per la lavorazione del ferro, di un puiàt, la caratteristica catasta di legna per la produzione del carbone, e poi un telaio e svariati giochi in legno di una volta. I bambini sono coinvolti direttamente, con la tipica "didattica del fare". Nel laboratorio del latte, ad esempio, ognuno ha il suo contenitore, nel quale sperimenta la cagliatura e la produzione del formaggio; gli alunni, inoltre, vengono sempre guidati a produrre qualche oggetto, che poi portano a casa. Appena possibile, però, i bambini lasciano l’aula ed escono all’aperto, lungo il torrente, nei prati, nel silenzio dei boschi, per apprendere direttamente nella grande aula della natura. Per molti di loro, che vivono nei grandi paesi o nelle città, vedere da vicino i corsi d’acqua, gli insetti, i fiori, le piante, gli animali costituisce un’elettrizzante novità. Ma anche gli alunni della Valtellina, che già conoscono l’ambiente montano, nelle attività dell’Ecomuseo scoprono un modo coinvolgente per imparare divertendosi. Da sottolineare il fatto che quest’anno hanno partecipato alle attività anche gruppi di disabili. Quali sono le reazioni? «Anche gli insegnanti che sono più perplessi nel venire in val Gerola alla fine rimangono entusiasti delle attività, del territorio e delle risorse che si possono trovare in un piccolo paese di montagna – sottolinea Sergio, il responsabile dei laboratori –. I risultati degli incontri, poi, li vediamo direttamente: i bambini vanno via sempre entusiasti. Molti di loro, con innocenza, dichiarano che vorrebbero rimanere a vivere qui! Gli alunni di una scuola, che avevano in programma un’altra gita di lì a pochi giorni, sono arrivati a chiedere: “Perché non restiamo qui ancora, invece di andare tre giorni a Firenze?” Per il futuro speriamo di poter proporre una permanenza di più giorni, con soggiorno in albergo per favorire le scuole più lontane». L'ecomuseo della val Gerola 53 Racconti Speciali LA MOTTA DI ZANA Luca Pelosi di anni 11 Il Disgrazia riflesso nel lago di Zana (24 luglio 2011, foto Giorgio Orsucci). I n una calda giornata d’estate io, la mia famiglia e degli amici abbiamo deciso di fare una lunga ma entusiasmante camminata . Siamo arrivati all’alpe Colina alle dieci e quindici, decisi ad arrivare sotto il Sasso Bianco in una piana verde chiama Motta di Zana . Poco dopo la partenza ci siamo trovati davanti un lago stupendo con le acque limpidissime che prende il nome del posto. Il sentiero era molto tortuoso e faticoso, ma qualche nuvola ci ha permesso di ripararci dal sole. Inoltre il paesaggio era fantastico perché si vedevano tutte le cime delle montagne e quella del Sasso Bianco. Dopo un’ora di lunga e faticosa camminata siamo giunti in cima alla montagna ed io ho pensato “ .. adesso inizierà la discesa ?! …. “; invece mi sono trovato davanti un’immensa piana verde: uno spettacolo pazzesco. Era una piana con erba bassa, qualche sasso e una vista indimenticabile sulla catena del Disgrazia ed altri monti: sembrava di essere in Paradiso. Mio papà ha letto tutti i cartelli e ci ha detto che eravamo alla Motta di Zana che si trova a 2411 metri . Dopo il pranzo al sacco, non ancora stanchi, ci siamo incamminati fino al Sasso Bianco. che si trova a 2490 metri. Arrivati in cima abbiamo trovato un altro quadro mozzafiato: da lì si vedeva l’ immensa Motta di Zana, il lago di Colina ed anche il lago di Arcoglio, sotto il Sasso Bianco c’era una roccia friabile contenente cristalli, allora ne abbiamo raccolti alcuni e siamo tornati a casa felici e soddisfatti della fantastica gita. 54 Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Estate 2012 L'alba e il gruppo del Bernina dalle rive del lago di Zana (24 luglio 2011, foto Giorgio Orsucci). La Motta di Zana 55 Alpinismo Pizzo Ferrè (m 3103) narciso in valle Spluga Beno e Roberto Moiola 56 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti Il pizzo Ferrè col suo grande ghiacciaio e i pizzi dei Piani visti dal lago d'Emet, nei pressi del rifugio Bertacchi (2 ottobre 2011, foto Enrico MinottiPizzo - www.clickalps.com). Ferrè (m 3103) 57 Alpinismo Valchiavenna Il pizzo Ferrè è la cima più elegante della valle Spluga, quella dalle linee più ardite, dall'aspetto più severo - e questo grazie anche al ghiacciaio che ne ricopre il versante settentrionale e dona slancio e austerità alla vetta. Vanitoso, il pizzo Ferrè si specchia nelle acque del lontano lago d'Emet e osserva tutta la valle Spluga dall'alto dei suoi m 3103. Conscio della sua bellezza, da molte angolazioni si lascia nascondere da dossi e cime minori. Non lo fa certo ingenuamente, bensì vuole accrescere ancor più la meraviglia di chi, di tanto in tanto, se lo vede apparire all'improvviso sulla sx mentre da Chiavenna percorre la strada per Montespluga. Al contrario di quello che si è portati a pensare, è una cima sì alpinistica, ma relativamente facile e di divertente accesso, oltre che di grande soddisfazione perché presenta, senza eccessive complicanze tecniche, tutti i terreni: roccia, ghiaccio e cresta aerea, oltre che un amplissimo panorama. Bellezza Partenza: Montespluga (m 1924). Itinerario automobilistico: da Colico si Fatica segue la SS 36 dello Spluga in direzione del passo dello Spluga fino a Monteslpuga. Si può lasciare l'auto nel parcheggio all'inizio della strada non transitabile che, dal centro del paese, si diparte sulla sx e sale in val Loga. Pericolosità Itinerario sintetico: Montespluga (m 1924) bivacco Cecchini (m 2770) - pizzo Ferrè dal ghiacciaio e cresta N (m 3103). Tempo di salita previsto: 4 ore e mezzo. Pizzi dei Piani (3148-3158) Pizzo Ferrè (3103) Attrezzatura richiesta: scarponi, corda, un paio di cordini, imbraco, piccozza e ramponi. Difficoltà/dislivello: 3.5 su 6 / circa 1200 m. Dettagli: alpinistica f+. Sentiero bollato fino al bivacco Cecchini (EE), quindi possibili ometti di pietra. La parte finale della salita si svolge su ghiacciaio e cresta rocciosa facile ma esposta (II+). Mappe: Kompass foglio n.92, Valchiavenna e Val Bregaglia, 1:50000. Punti d'appoggio: bivacco Cecchini. Pizzo Tambò (3279) Montespluga e la val Loga. All'estrema dx è il pizzo Tambò, mentre a sx fa capolino il pizzo Ferrè col suo ghiacciaio (12 settembre 2010, foto Moiola). Nella pagina precedente: dal monte Spadolazzo (29 agosto 2010, foto Roberto Ganassa). Bivacco Cecchini (2770) A umentano le tasse, l'incertezza del lavoro, le difficoltà nel raggiungere le mete lontane decantate dalle televisione, ma non dobbiamo certo pensare a questo come a una cosa negativa perché noi, amanti della montagna, sappiamo fare di necessità virtù. E così questa crisi ci fa il dono più grande: riscoprire le bellezze che abbiamo a portata di mano, ci fa tornare sulle Alpi e ci invita a riprovare a salire le vette di casa, quelle snobbate, quelle oramai meno conosciute dei picchi himalayani dai nomi bizzarri su cui i grandi nomi dell'alpinismo mon- Montespluga (1908) 58 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti diale tentano costantemente di trovare la soglia dell'ipotermia, di vivere "avventure" col GPS e in diretta radio. I nomi più piccini sono là pure loro, a caccia di gloria nel vantarsi di una nuova cima raggiunta, o di una ripetizione resa difficoltosa non tanto dalla bufera di neve, quanto dalla valanga di soldi che servono ad avere i permessi e pagare la trasferta. Il vanto non riempie il cuore, ma è quella cipria che copre le rughe profonde che stanno dentro all'animo e porta alla ricerca dell'invidia altrui più che della propria felicità. C hi tocca la vetta del Ferrè, dopo le emozioni provate nell'ultimo tratto di scalata, facile ma non banale, avrà un tuffo al cuore e grande nostalgia quando, tornato a Montespluga, riguarderà l'aguzza cima e ripenserà a quei momenti passati in Valchiavenna a cavalcioni delle nuvole o ai sogni fatti mentre si era addormentato ai piedi della croce di vetta. Bastano 1 ora di auto da Colico e poco più di 4 a piedi. Troppo semplice per essere vero? Provateci e fateci sapere se non è così! Pizzo Ferrè (m 3103) 59 Alpinismo Valchiavenna Alcune liste di neve precedono l'arrivo al bivacco Cecchini. In lontananza il lago di Montespluga sovrastato dal gruppo del Surretta (sx) e dal pizzo d'Emet (dx) (12 settembre 2010, foto Roberto Moiola). Da Montespluga (m 1924), adagiato sulle rive del lago omonimo, seguiamo le indicazioni per il bivacco Cecchini e imbocchiamo la carrareccia per la val Loga, parcheggiando dopo poco nello spiazzo che precede il divieto di accesso. Di fronte a noi (O) si stende la verdeggiante val Loga, la cui forma ad U richiama le evidenti origini glaciali. Ci incamminiamo lungo la sterrata che, dopo un ponticello ed essere passata sulla dx idrografica, in corrispondenza di una stalla, diventa un ampio sentiero (segnavia n. 16). Il bestiame pascola la verde val Loga tutta l'estate. Sullo sfondo il gruppo del Surretta (12 settembre 60 Montagne Divertenti 2010, fotoLeRoberto Moiola). L'itinerario è, per una buona mezz'ora, pressoché pianeggiante e corre sul versante destro idrografico della vallata. Guadati numerosi rigagnoli, dopo aver attraversato il torrente principale, la via bollata s'impenna tra gli ampi pascoli. Le ultime chiazze di erba lasciano il posto ai macereti e agli sfasciumi che caratterizzano spesso i terreni oltre i 2000 metri di quota. Sulla dx (NNO), in fondo alla valle sopra il Motto del Belvedere, s'erge la piramide del pizzo Tambò, la vetta più alta della Valchiavenna coi suoi m 3279. Dalla parte opposta è ben visibile la casetta di legno del nuovo bivacco Cecchini1, adagiata su un poggio panoramico e che, ingannevolmente, da l'illusione di trovarsi a 1 - Il primo bivacco in alta val Loga fu inaugurato il 10 agosto 1978 alla presenza di alpinisti di fama quali Riccardo Cassin. Era una struttura di metallo, rossa, con nove posti letto e attrezzatura di prima necessità. Fu dedicata a Giovanni Cecchini. Nel 2009 il CAI sezione Vallespuga, grazie all’impegno dei soci e al contributo di enti e privati locali, ha sostituito la struttura di lamiera con un prefabbricato in legno a carden della stessa capienza. Il CAI ha infine optato per cambiare il nome del bivacco Cecchini in "val Loga", denominazione che fatica e faticherà ad entrare in uso tra alpinisti ed escusionisti. Il vecchio bivacco Cecchini (22 luglio 2005, foto Beno) è stato sostituito nel 2009 da una bella struttura in legno (12 settembre 2010, foto Moiola). Estate 2012 Le Montagne Divertenti Pizzo Ferrè (m 3103) 61 Alpinismo Valchiavenna pochi minuti. Sasso dopo sasso, attraversando anche qualche lista nevosa d'inizio estate, dobbiamo sudare parecchio per raggiungerla, forse perché la pendenza del sentiero non permette mai di riposare (bivacco Cecchini, m 2770, ore 2:30). Dal bivacco vi è uno splendido panorama a 360 gradi: di fronte a noi il maestoso pizzo Ferrè (m 3103), con la sua ampia massa glaciale che pare cadere a valle; appena a sx ecco il solco della valle Spluga, che poi diventa Valchiavenna e s'infrange contro la mole del monte Legnone, ormai alle porte di Valtellina e lago di Como. La ruota dello sguardo continua quindi con il pizzo Stella (m 3163) ed il pizzo Groppera (m 2948), quindi con gli Andossi che vi si adagiano molto più in basso. Via via, tra rocce e cielo, giungiamo al lago di Montespluga, in parte coperto dalla costiera del monte Cardine (m 2467). La costiera che va dal pizzo d'Emet (m 3210) al pizzo Suretta (m 3027) anticipa, infine, il pizzo Tambò. Dal bivacco, guardando sempre la vetta del pizzo Ferrè, con un arco verso dx2 e perdendo quasi cento metri di quota per sfasciumi, scendiamo nella val Schisarolo, dove montiamo il sofferente ghiacciaio del Ferrè nella sua parte bassa. Superiamo l'impennata mediana (35°) sulla dx, dove c'è meno ghiaccio vivo. Dal settore superiore della vedretta, poco ripido, puntiamo (sx) alla sella del Ferrè (m 2922), chiara depressione della cresta N della montagna. Ha ora inizio il tratto più divertente: una aerea cresta rocciosa che corre a cavallo tra valle Spluga e valle Mesolcina, per la precisione tra val Schisarolo e val Curciusa. Non vi sono grosse difficoltà d'arrampicata, ma i precipizi possono generare suggestioni negli animi più sensibili. Scalato un grande dente, ideale per le foto ricordo, scendiamo sul lato opposto (S) e proseguiamo con attenzione lungo il filo esposto (II) fino alla vicina croce di vetta del pizzo Ferrè (m 3103, ore 2). 2 - Non vi è via obbligata. 62 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti Pizzo Ferrè (3103) Il pizzo Ferrè e il tracciato di salita dal bivacco Cecchini (12 settembre 2010, foto R. Moiola). Pizzo Ferrè (3103) Sella del Ferrè (2922) Il tracciato per la vetta dai piedi del ghiacciaio del Ferrè (22 luglio 2005, foto Roberto Lisignoli). Sul dente che precede la vetta del Ferrè. Sulla sx sono i pizzi dei Piani (22 luglio 2005, foto Beno). Pizzo Ferrè (m 3103) 63 Speciali Punta Rasica (m 3305) Beno È una delle vette più caratteristiche e conosciute del Màsino, con una bizzarra cuspide finale dall'aspetto poco rassicurante. Fu molto ambita, specialmente dagli scalatori italiani, che tentarono per molti anni di conquistarne la cima, ignorando che Klucker con von Rydzewski e Barbaria vi era già riuscito il 27 giugno 1892. 64 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti La cuspide finale della punta Rasica vista da NO (17 gennaio 2012, foto Beno). Punta Rasica (m 3305) 65 Pizzo Torrone Occidentale (3351) Alpinismo Cima di Castello (3386) Punta Rasica (3305) Pizzo Torrone Centrale (3290) Pizzo Torrone Orientale (3333) Ago di Cleopatra (3235) Passo Lurani (3215) Punta Allievi (3123) Passo di Zocca (2749) Passo Cameraccio (2950) Picco Luigi Amedeo (2800) Passo val Torrone (2518) Rifugio Allievi (2385) Le vette di val di Zocca e val Torrone (29 agosto 2010, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com). Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: San Martino Valmasino (m 923). Itinerario automobilistico: da Morbegno seguire la SS 38 verso Sondrio. Appena attraversato il ponte sul Màsino, svoltare a sx all’altezza di Ardenno (5 km a E di Morbegno) e seguire la SP9 della val Màsino fino a San Martino. All'ingresso del paese la SP 9 piega a sx. Prendere invece a dx (negozio Fiorelli) la stretta strada che tra le case raggiunge prima il ponte sul Mello, poi il parcheggio gratuito nei pressi del centro sportivo. Se questo fosse pieno, si deve ricorrere a quello a pagamento all'ingresso del paese. Itinerario sintetico: San Martino Valmasino (m 923) - Cà Panscer (m 1061) - Cascina Piana (m 1092) - casera Zocca (m 1725) - rifugi Allievi L a punta Rasica è una delle cime più caratteristiche della val Màsino. La sua bizzarra cuspide sommitale, per molti anni meta di pellegrinaggio alpinistico di chi cercava estetica ed emozione a costo di "superarla col lancio della corda", fu calpestata per la prima volta dalla cordata guidata da 66 Le Montagne Divertenti (m 2385) - Bonacossa (m 2385) - punta Rasica (m 3305). Tempo di salita previsto: 8 ore. Attrezzatura richiesta: casco, corda (50 m), fettucce, moschettoni, friend/nut utili, cordini, scarpe da roccia (non indispensabili), scarponi, piccozza e ramponi. Difficoltà/dislivello: 5 su 6 / circa 2400 m. Dettagli: D. Tratti su ghiacciaio ripido. La salita si conclude con 3 tiri di corda (II/III) che portano all'esposta e delicata cuspide finale (IV+). Mappe: Val Màsino - carta escursionistica, 1:30000. Christian Klucker. I pionieri partirono il 27 giugno 1892 dalla capanna del Forno e valicarono il colle Rasica, massima depressione della cresta tra punta Rasica e pizzo Torrone Occidentale. Da lì per cresta e cenge raggiunsero il versante meridionale della cuspide finale, vinta da Klucker con difficile arrampicata libera. Poi, "l'ignoranza della pur dettagliatissima narrazione della salita creò da noi una fama di verginità a questa montagna, sì da portare una serie di inutili tentativi sul lato V. di Zocca"1. Pure Alfredo Corti, amico 1 - Aldo Bonacossa, Guida dei monti d'Italia - Masino, Bregaglia, Disgrazia, CAI-TCI, Milano 1936. Estate 2012 di Klucker, in Alpi Retiche Occidentali del 1911 non riconobbe al "maestro" quella prima salita, così come inspiegabilmente fanno alcuni volumi moderni sull'arrampicata nel Màsino. Tornando agli italiani, si dovette aspettare il 1906 perchè Castelnuovo e Fiorelli venissero a capo del problema con una linea sul versante ONO. La loro via è quella che andremo a descrivere essendo la più facile2 dal rifugio Allievi in val di Zocca. artiamo da San Martino Valmasino (m 923), dal parcheggio vicino al centro sportivo, e seguiamo il sentiero sulla dx idrografica del Mello che in pochi muniti intercetta la carrozzabile per la val di Mello. Il fondo stradale si fa presto acciottolato e sterrato dopo il ponte sul torrente del Ferro. P 2 -Esistono numerose altre possibilità che indirizzano a tracciati più moderni, come la via Bramani o Lady D., tutte descritte nel volume: Mario Sertori e Guido Lisignoli, Solo Granito, Edizioni Versante Sud, Milano 2007. Le Montagne Divertenti In 20 minuti siamo al polveroso parcheggio in prossimità del campeggio e del ristoro Gatto Rosso. Questi quattro passi a piedi ci hanno fatto risparmiare 5 euro di permesso per l'auto. Proseguiamo lungo la mulattiera che s'inoltra in val di Mello. Il Disgrazia emerge in fondo alla valle (E). 150 anni fa passarono proprio di qui i primi salitori e quest'estate (24 agosto) verrà riproposta l'ascensione al Disgrazia ricalcando proprio le orme di Stephens, Anderegg, Kennedy e Cox. Il fragore del torrente si alterna a silenziosi panorami specchiati nelle sue pozze. A m 1092 c'è Cascina Piana e, poco oltre, sulla sx si stacca il ripido sentiero segnalato per il rifugio Allievi. Serpeggiando nel fitto bosco, raggiungiamo a m 1600 ca. il ponte sulle scroscianti acque del torrente della val di Zocca e ci portiamo sulla sx idrografica. A m 1725, sulla dx si intravede la casera di Zocca. La vegetazione man mano si dirada e, dopo un poggio panoramico con croce e panchina, ci affacciamo al pianone (m 2092). D'estate questa è la terra dei cavalli che pascolano ai piedi della possente cima di Zocca. Il rifugio Allievi è a N, sopra la barra rocciosa che racchiude questa conca. Oltre il pianone, dopo una serie di ripidi tornantini, il sentiero volge decisamente a O. Arriviamo al rifugio Bonacossa3 (m 2385, ore 4:30), affiancato dal fatiscente rifugio Allievi4. Quassù sono le valanghe che minano alla stabilità delle strutture, come è successo nel 2001 quando una ha semidistrutto entrambi gli edifici, poi ricostruiti. 3 - Inaugurato nel 1988 e didicato ad Alberto e Aldo Bonacossa, l'ultimo dei quali è l'autore della famosissima Guida dei Monti d'Italia. Masino - Bregaglia - Disgrazia. 4 - Donato nel 1905 da Francesco Allievi alla sezione del CAI di Milano. Punta Rasica (m 3305) 67 Alpinismo La via Castelnuovo (normale) alla punta Rasica (17 gennaio 2012, foto Beno). Sotto: Giuliano Maresi attraversa, in equilibrio sull'esile cengetta, la placca che porta alla cuspide finale della punta Rasica (1975, foto archivio Duilio Strambini). Ripartiamo seguendo per un breve tratto il sentiero Roma (E), per piegare quindi a NE. Per blocchi e detriti ci 68 Le Montagne Divertenti infiliamo nel vallone cinto dalle pareti rocciose di punta Allievi, cima di Castello e punta Rasica. L'ambiente è davvero selvaggio. Del ghiacciaio della Rasica, un tempo signore dell'anfiteatro, rimane ben poco: una ripida lente lassù in alto e delle grandi placconate liscie lasciate dal suo ritiro. Appena a dx della cima di Castello vi è il netto intaglio del passo Lurani. Salendo i liscioni appena a dx di questa direzione ci portiamo nel settore superiore ai piedi del salto roccioso della cresta che corre dal passo Lurani alla punta Rasica. Percorriamo questo cordolo in verso dx. Da qui la cuspide fa bella mostra di sé, così come le cime del Màsino che si stagliano sopra il cordolo nevoso. A dx (S) della perpendicolare dalla cuspide vi è il conoide nevoso che più di tutti si insinua su per la parete. È quello da risalire. Da qui mancano circa 200 m. Senza più neppure l'antico problema della larga cre- paccia terminale, tocchiamo le rocce e iniziamo ad arrampicare. Chiodi e soste attrezzate ci confortano dell'esattezza del tracciato. Passi di II e III su gradoni e canaletti5 ci conducono sullo spartiacque ben a dx della cuspide, della quale guadagniamo la base dopo aver attraversato, per mezzo di un'esilissima cengia, una placca che guarda a O. La visione non è certo delle più rassicuranti: un sottile fendende s'innalza verso il cielo per una dozzina di metri. Pare sospeso in aria contro ogni logica della gravità. Una breccia ci separa da questa lama ed occorre sangue freddo per attraversarla con una spaccata ed iniziare l'arrampicata finale, di cui non vi dirò nulla per lasciarvi il gusto di scoprire questo breve ma emozionante epilogo (IV+, ben proteggibile). Alcuni pionieri, che non conoscevano le tecniche basilari della roccia, 5 - Si trovano chiodi e ancoraggi in via. Tutti da verificare. Estate 2012 A sx: Duilio Strambini arrampica sul fendente della cuspide. Sotto: Giuliano Maresi verso la vetta (1975, foto archivio Duilio Strambini). Al centro: la punta Rasica dal colle Rasica nel 1933 - 2 persone in vetta (foto archivio Alfredo Corti). A dx: in fuga dalla Rasica (17 gennaio 2012, foto Beno). erano soliti lanciare la corda e farla agganciare al beccuccio posto a circa 6 metri dalla breccia, quindi, come i monaci di Meteora, si issavano sulla fune per vincere il passaggio. Altri salivano stringendo la lama tra le ginocchia e con mosse da cowboy. E queste sono solo alcune delle tecniche bizzarre che si trovano scritte sulle guide dell'epoca. Nella serata a Grosio dedicata a Duilio Strambini6, il Ragno di Lecco Giuliano Maresi aveva raccontato di quando lui e Duilio erano giunti per la prima volta alla base della cuspide, colmi di aspettative per tutti i racconti letti: "Dicevano come afferrare ogni singolo appiglio e facevano sembrare quei metri lunghi e insidiosi. Poi Duilio è arrivato lì ed è salito senza farne tante!" Siamo in vetta (punta Rasica, 6 - Duilio Strambini (1947-1978), forte alpinista grosino a cui sono stati recentemente dedicati, con il coordinamento di Raffaele Occhi, il n. 18 de Le Montagne Divertenti e la memorabile serata del 10 dicembre 2011 in cui sono intervenuti i suoi compagni di cordata. Le Montagne Divertenti m 3305, ore 3:30). Trovarsi quassù vale tutte le fatiche fatte per il lungo avvicinamento! Per la discesa, ci caliamo dal minore degli spuntoni sommitali, per quindi tornare indietro (S) sulla cresta e smontare sul lato O per il canaletto (20 m) già salito all'andata. Lì troviamo la prima delle tre soste di calata che ci riportano sul ghiacciaio, da cui ripercorriamo l'itinerario dell'andata. ramai fuori pericolo ripenso a questo inverno. Con Fabio Meraldi avevo tentato la salita alla Rasica7 con condizioni meteo avverse. Eravamo due puntini sulla parete, il freddo mi offuscava la ragione mentre il vento a - 20° C mi gettava la neve giù per il coppino. Sbattevo i piedi contro le rocce per far tornare la circolazione e avere quel minimo di sensibi- lità per l'arrampicata. er fortuna c'era Fabio! I minuti erano interminabili e anche solo fare una corda doppia era diventato per me un'impresa, tanto che, pur non sopportando il caldo, avevo più volte sognato il tepore delle giornate estive! P O 7 - Dopo un paio d'ore in via, siamo stati rimbalzati pochi metri sotto la cuspide. Punta Rasica (m 3305) 69 Alpinismo 27 Q giugno uesto brano, tratto dalle memorie di Klucker, ben sintetizza il difficile rapporto tra Klucker e il vecchio e scorbutico cliente Rydzewski, il quale, pochi giorni prima di questa ascensione, aveva fatto insinuazioni inopportune a Klucker sul senso della vita. Il 27 giugno partimmo di nuovo dalla Capanna del Forno alla volta della Rasica [...]. Salimmo senza speciali difficoltà al piede meridionale della cuspide terminale. Appena ebbi raggiunto questo punto, uno sguardo allo straordinariamente aereo, verticale e affilato spigolo della cuspide mio disse che avrei raggiunto la vetta e gridai verso il basso: «Tutto bene!». Quando fummo tutti e tre vicini e io ebbi nota dei visi sconcertati dei miei compagni mi sfuggì involontariamente l'osservazione: «Adesso si vedrà chi avrà ancora forza, e chi l'ha già consumata!». E tra me e me pensavo: «Oggi hai quel che ti spetta vecchio!». Seguì la manovra di Barbaria per il lancio della corda. Sul filo dello spigolo, a circa 12 m di altezza, era visibile un beccuccio. Ed egli cercava di far passare la corda su questo, cosa che alla fine gli riuscì legando un sasso a un capo della corda. Tale sistemazione della corda mi sembrò alquanto malsicura e di dubbia utilità. Per cui disdegnai questo aiuto, e mi arrampicai rapidamente su per il filo fino al beccuccio, presi con me il capo della corda a mala pena incastrato, e continuai a salire (dapprima con difficoltà) fino alla vetta. Qui potevo fare sicurezza molto bene. Si era convenuto che Barbaria avrebbe aiutato dal basso il signor von Rydzewski a raggiungere lo spigolo, e poi sarebbe salito da ultimo. Sul come il nostro signore avrebbe poi superato lo spigolo verticale e molto affilato, non avevo dubbi. Solo sollevandolo di peso sarebbe venuto su, e per una tale prestazione quel giorno mi sentivo eccellentemente disposto. Quando il malo passo venne affrontato dal mio principale, cominciai a tirare energicamente e senza pietà. Man 70 Le Montagne Divertenti 1892 dall'autobiografia di Christian Klucker mano che si alzava, il soffiare e l'ansimare si facevano più vicini. Alla fine, completamente esausto e senza fiato, egli fu al mio fianco. Subito gli liberai la piccola nicchia presso la vetta come posto di sosta. E appena si fu ripreso, e prima di lanciare a Barbaria il capo della nostra corda di 28 m, misi una mano sulla spalla del signor von Rydzewski, osservando: «Forse lei si ricorda, che un anno fa quando ci incontrammo per la prima volta a Promontogno, mi fece notare: "Lei sa cos'è la vita, vero?" Granito: così duro, così fragile Davide Gotti Proprio adesso ho constatato, che anche lei sa cos'è la vita, e in senso ancor più stretto! Su questo siamo alla pari!» Fece con dispetto un gesto di assenso con la mano, senza proferire parola. Poteva ben pensare: «Mi basta ben portare a casa la pelle!» Cinque minuti dopo anche il nostro artista della corda, Barbaria, era con noi sulla vetta. I versanti N di pizzo Cengalo e pizzo Badile il 23 settembre 2011 (foto Roberto Moiola). G uardando le cime di val Màsino e val Bregaglia si ha quasi l’impressione di essere davanti al muro di un castello invalicabile in cui gli stessi merli del castello fanno da sentinella. Eppure queste cime granitiche nell’ultimo secolo sono state interessate da enormi frane di crollo, che hanno fatto addirittura sparire alcune delle cime secondarie, come la vetta del Gallo, crollata nell'agosto del 1923. Ma il granito non è forse la roccia più solida in assoluto? La risposta si può quasi dire che sia un inno al relativismo: dipende da dove si è. Ci sono posti dove il granito ha subito solo alterazione atmosferica (Mottarone) e altri posti, come il crinale tra la val Màsino e la val Bregaglia, in cui la muraglia granitica è stata anche stiracchiata dal movimento laterale della linea dell’Engadina, linea di faglia che dalla val Bregaglia svizzera raggiunge St. Moritz. L' Estate 2012 Le Montagne Divertenti azione di sfregamento della faglia ha generato delle estese fratture verticali ben visibili sul versante elvetico. Queste fratture vanno ad aggiungersi alle superfici che segnano i diversi intervalli in cui la massa granitica si è deposta all’interno della crosta terrestre prima di affiorare in superficie a seguito dell’orogenesi alpina. Queste superfici corrispondono alle superfici curve e lisce che si osservano risalendo la val Màsino. L’unione di questi insiemi di fratture predispone le torri di granito al crollo. In tutto questo assetto i continui cicli di gelo e disgelo fanno il resto del gioco, esattamente come è successo 9 anni fa quando è crollata parte della via normale italiana al Cervino: l’acqua si intrufola dentro alle fratture più aperte, ghiaccia, poi, quando le temperature superano gli 0°C, il ghiaccio fonde. In quest’ultima fase l’acqua esercita una forza sulla parete della fratture posta sul lato a valle e espande la frattura. Tutto questo dura fino a quando un blocco di roccia si trova completamente staccato dalla parete e crolla o si ribalta a valle. Allo stesso modo, negli ultimi anni si sta sfagliando il versante N del pizzo Cengalo: nel 2003 si è inabissata una profonda porzione rocciosa dei "Pilastri Kasper", e il 27 dicembre 2011, dopo i distacchi premonitori di luglio che avevano messo in guardia gli esperti, una frana di grosse dimensioni (3-4 milioni di metri cubi) ha coinvolto nuovamente la parete N rendendo inaccessibili le vie che corrono sul versante NNO, come la via di Schocher e Scipione Borghese, la via Attilio Piacco, i pilastri orientali della parete (via Kasper - Koch), e la via Cacao Meravigliao nel versante NE. Granito: così duro, così fragile 71 Alpinismo Cime del Largo (m 3188) Sono tre vette che s'alzano sulla sx orografica del bacino del Forno. La guglia maggiore assomiglia al pennino di una stilografica, una forma talmente bizzarra che i primi tempi, quando la osservavo dalle vette sopra Chiareggio, pensavo fosse una struttura artificiale, tipo l’arrivo di una funivia. Poi, su un libro di fotografie, trovo una vertiginosa inquadratura di Christian Klucker che sta scalando quel pinnacolo di granito protetto solo dal suo cappello con la piuma di gallo cedrone. Dopo quella visione non ci sono più dubbi: è una montagna vera. Devo assolutamente salirci! Beno 72 Cime del Largo, la cuspide finale della vetta culminante vista da SE. Sono indicati sia il tracciato di salita, che la posizione degli ancoraggi per le calate (6 luglio 2011, foto Beno/Roberto Ganassa - www.clickalps.com). Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti Cime del Largo (m 3188) 73 Alpinismo Porte di Valmalenco Bellezza Partenza: capanna del Forno (m 2574). Avvicinamento: per l'accesso da Chiareggio vedi itinerario a pag. 80. Cartina: pag. 64. Fatica Pericolosità Itinerario sintetico: capanna del Forno vallone E del Bacone - forcola di Bacone (m 3107) - cime del Largo (vetta culminante - m 3188). Tempo di salita previsto: 5 ore. Attrezzatura richiesta: casco, corda (50 m), fettucce, moschettoni, almeno 3 friend (misure medie), cordini, scarpe da roccia (non indispensabili), scarponi, piccozza e ramponi. Difficoltà/dislivello: 5 su 6 / circa 1200 m. Dettagli: AD. L’ascesa si conclude con 3 bei tiri di corda (IV+ max), avvicinamento faticoso e su terreno pericoloso per caduta blocchi (tratto ghiacciaio del Forno - forcola del Bacone). Mappe: - CNS 1:25000 fogli n. 1276 (Val Bregaglia) + n. 1296 (Sciora); - CNS 1:50000 fogli n. 278 (Monte Disgrazia) + n. 268 (Julierpass); - Kompass 1:50000 fogli n. 92 (Chiavenna, val Bregaglia) + n. 93 (Bernina). Cime del Largo (3188) Pizzo Bacone Cima di Spluga (3244) Forcola del (3046) Bacone (3107) Forcola del Largo (2957) Il tracciato per la forcola del Bacone visto dalla capanna del Forno e la via attrezzata che scende dal rifugio (26 agosto 2007, foto Giorgio Orsucci). A fianco: le cime del Largo viste da Casaccia (acquerello di Kim Sommerschield, www.kimsommerschield.com). 6 luglio 2011 e cime del Largo sono tre guglie di granito disposte da E a O lungo una dorsale secondaria che si stacca da quella N-S che delimita la dx orografica del bacino del Forno e che culmina con i m 3386 della cima di Castello. Chi guarda dal passo del Forno, delle cime del Largo nota solo la maggiore1 (m 3188), una vetta stupenda, la canna di organo che spunta appena a N del pizzo Bacone. La sua forma è talmente bizzarra che i primi tempi, quando la scorgevo da lontano, pensavo fosse una struttura artificiale, tipo l’arrivo di una funivia. Poi ho trovato su un libro di fotografie l’immagine di Chri- L 1 - Da Casaccia si distinguono chiaramente tutti e tre i denti accuminati della montagna. 74 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti stian Klucker2. Quella fotografia mi ha messo un nodo in gola perché la forte guida engadinese stava scalando la parete vertiginosa col cappello ben accomodato sul capo e dei pesanti scarponi, sospeso nel vuoto alla ricerca di un qualche appiglio, mentre il cliente teneva in mano la matassa della corda senza così potergli fare alcuna sicurezza. La corda serviva a Klucker solo per tirar su di forza chi lo seguiva. Dopo che le opere di convincimento di vari e possibili compagni d'avventura erano state tutte vanificate dal 2 - Christian Klucker e Thomas Curtius furono i primi a salire questa vetta il 12 agosto 1887, come confermato dall'autobiografia di Klucker. Il tentativo fatto dai due nel 1885 si arenò prima della vetta, e in quel punto Klucker lasciò il colletto della sua camicia per segnalare la quota raggiunta e ironizzare sull'inutilità del colletto della camicia nell'abbigliamento delle guide alpine. timore del lungo avvicinamento, nel novembre 2010 ero partito da solo con le ciaspole da Chiareggio, ma il tentativo si era arenato già alle pericolose placconate per accedere al settore superiore della valle a E del Bacone: ghiaccio e troppa neve. Mi ero così accontentato di salire qualche cimetta vicina al passo Casnile, tanto sfigata da non avere neppure un nome, ma solo una quota sulla CNS. Oggi ho trovato Roby che pare molto volenteroso. Gli ho promesso foto bellissime e sono certo non ne rimarrà deluso. Arrivare alla capanna del Forno3 da Chiareggio è una bella sfacchinata, pur 3 - Per una descrizione più dettagliata del tratto Chiareggio - capanna del Forno si veda l'articolo di Luciano Bruseghini a pagina 80. Cime del Largo (m 3188) 75 Alpinismo Porte di Valmalenco Cima di Cantone (3354) Pizzi Torrone (3333 - 3290 - 3349) Ago di Cleopatra (3234) Cima di Castello (3386) Punta Rasica (3308) Lo Scalino (3164) 3040 Passo dei Cacciatori (2943) Pizzo Casnile (3189) 3043 Passo Casnile S Passo Casnile N (2950) (2950) Pizzo Bacone (3244) Forcola del Riciöl (3044) Cime del Largo (3188) Cima di Spluga (3046) Forcola del Bacone (3107) Forcola del Largo (2957) Pizzo Casaccia (3039) Il bacino del Forno dai pressi della capanna del Forno (6 luglio 2011, foto Beno). Il nuovo sentiero attrezzato che sale al rifugio Forno (26 agosto 2007, foto G. Orsucci). mitigata dalle incantevoli fioriture di rododendri ed erba iva in val Bona. Ma i fiori appagano la vista, non certo la gola secca dopo oltre 4 ore di marcia! Così, vittime dell’arsura, ci beviamo una birra alla salute del gigantesco ghiacciaio del Forno. La ragazza che lavora al rifugio ci 76 Le Montagne Divertenti chiede se scendiamo a Maloja: avrebbe delle lettere da spedire. Io le dico che andiamo sulle cime del Largo, poi torniamo diretti a Chiareggio. Le offriamo di imbucarle in Italia, ma lei ci dice che le Poste Italiane perdono la corrispondenza. Purtroppo, visto che non manca ad ogni uscita della rivista un abbonato che non la riceve, non posso che darle ragione. Dal rifugio più tracce scendono verso l’impressionante lingua del ghiacciaio (e non è diplopia alcolica). Attualmente solo una, su scale e roccette, è percorribile con poco pericolo: la morena che separa il poggio roccioso del rifugio dal fondovalle è alquanto instabile e i blocchi che di continuo rotolano giù rendono quantomai insicuri i vecchi itinerari. Per imboccare la via buona ci portiamo a N del rifugio e seguiamo bolli e le frecce. Qualche scaletta e passaggio attrezzato ed eccoci al mostro di ghiaccio. La via più breve, e che seguiamo, per portarsi sul versante opposto della valle è quella che attraversa direttamente la crepacciata lingua del ghiacciaio. Se si la volesse evitare, si dovrebbe guadare il torrente gonfio d’acqua di disgelo o raggiungere il primo ponte, ben più in basso. Estate 2012 Giunti dall'altro lato del ghiacciaio, per massi instabili ci portiamo alla base del vallone sospeso a S del pizzo Bacone, quello che culmina alla bocchetta del Riciöl4. Saliamo un primo tratto molto faticoso tra massi mobili e giungiamo alla fascia di placconate che protegge il vallone. Senza voler star lì a ragionare, le superiamo direttamente arrampicando (II/III), ma scopriremo che la via migliore sarebbe stata portarsi a sx per una ampia cengia obliqua di rottami ed erba, quindi rientrare nel vallone al di sopra delle placconate. Ci troviamo in una conca di blocchi al di sopra delle cascate del torrente. Tra ganda e chiazze d’erba ci spostiamo a NO (dx) fino ai piedi del grande salto roccioso della cresta che scende dal Bacone. Lì troviamo una cengia evidenziata dall'erba che porta (N) nel vallone tra le cime del Largo e il pizzo Bacone. 4 - Nel dialetto locale riciöl significa pietra arrotondata. Le Montagne Divertenti I pizzi Torrone dal ghiacciaio del Forno (6 novembre 2010, foto Beno). Giungere quassù è stata un’impresa, tra macigni che rotolavano, placche scivolose e la totale assenza anche solo di una traccia, se non sull’ultima cengia (qui abbiamo eretto qualche ometto di pietra per integrare quelli vecchi caduti). Riprendono le gande ma all'improvviso, sotto un masso gigantesco, appare un bivacco (m 2700 ca.). Avete capito bene, un bivacco proprio nel mezzo di queste gande desolate! Entriamo e vi troviamo corde, ramponi, materassi, sacchi a pelo e addirittura spazzolino, dentifricio, caffè e fornelli. La struttura, 2 metri per 3, pare essere il ricovero di qualche alpinista solitario che quassù viene a conCime del Largo (m 3188) 77 Alpinismo Porte di Valmalenco frontarsi col le alte pareti di granito del pizzo Bacone. Stupefatti, riprendiamo la marcia salendo verso O per altre faticose pietraie. Per fortuna presto la neve ricopre interamente il fondo della vallata e lenisce gli ultimi sforzi per la forcola del Bacone (m 3107, ore 4). Pare che le nuvole abbiano deciso di nascondere tutte le vette, tranne quelle vicino a noi. A NE, le nebbie si rincorrono vorticosamente attorno ad un’immane torre di granito: la principale delle cime del Largo. Dal cocuzzolo scende un possente lamone rossiccio, in cima al quale sta lì in equilibrio precario un masso sospeso delle dimensioni di un furgone. La vetta è all'apice di pareti verticali e a un primo sguardo inaccessibili. Klucker dimostrò il suo sangue freddo nel tentare per primo una simile ascensione. Con le scarpette d’arrampicata ai piedi, 3 friend appesi all’imbraco e una corda da 60 m ci lanciamo nell’avventura - per noi così a rischio zero. Progrediamo sulla cresta dentellata (N - II+), aggirando quanti più spuntoni possibili per via non obbligata. Alla nostra sx è la vetta, sempre più spaventosa. Ad un certo punto a O (dx) dalla dorsale su cui camminiamo, che corre da S a N e prosegue verso la cima Spluga, si stacca la linea orografica secondaria che porta alla vetta culminante, per poi declinare verso le altre due cime del Largo. Varie torrette precedono la parete finale. Aggiriamo le prime due (la seconda è quella su cui mi trovo nella foto d'apertura dell'articolo) da sx, entriamo in passaggio tra i massi, da cui usciamo a dx della cresta e ci portiamo per una placca alla base di un gendarme piuttosto alto. Abbandonato lo zaino, convenientemente ancorato perché non precipiti, ci leghiamo. Un erto camino piuttosto atletico (4 m, IV) ci permette di aggirare quest’ultimo dente (sosta su clessidra). Siamo alla base di un placcone solcato da due larghe fessure parallele che tagliano da sx a dx il liscione. Usando 78 Le Montagne Divertenti quella di dx, ben proteggibile, esco (15 m, III+) su una larga terrazza dove trovo anche una sosta attrezzata con cordini incastrati. Ha ora inizio il terzo tiro, il più duro. Mi sposto di qualche passo a dx e attacco la fessura che contorna a dx la lastra verticale incastrata nella parete. Vi sono dei chiodi in fessura e pochi appigli per i piedi. Se avessi gli scarponi li incastrerei e salirei più agevolmente. Le scarpette alla fine dei conti non sono servite a molto. Svelto afferro il bordo superiore della lama e monto (sx) sulla sovrastante cengia obliqua (4 m, IV+). Volto l'angolo (spigolo SSE, sosta per calata) e, percorso uno stretto ed espostissimo cornicione5, giungo ai massi accatastati della sommità (cime del Largo - vetta culminante, m 3188, ore 1:30). oby mi raggiunge e ci guardiamo attorno pieni di stupore per la verticalità e la precarietà di questa gigantesca struttura. Tante sono le crepe, pare possa crollare da un momento all’altro. Anche il massone sospeso è davanti a noi. Troviamo lo scatolotto di metallo del libro di vetta, ma è vuoto. Giungon le nebbie e iniziano a rimbombare i tuoni. In uno squarcio appare Casaccia, poi non si vede più nulla. Meglio andarsene! Con 3 calate in corda doppia sulle soste incontrate in salita (verificare i cordini!), raggiungiamo lo zaino e poi senza più timore la forcola di Bacone, dove inizia a piovere. Scivoliamo sulla neve. Traversiamo la cengia. Imprechiamo sulle placconate che erroneamente ripercorriamo anche in discesa. Rischiamo di lapidarci sui massi mobili. Traversiamo la fronte glaciale: si sente il soffio freddo del mostro gelato che non si vuole arrendere quando si è nel vallone. Su per le scalette al suono dei rolling stones e siamo al rifugio, dove prendiamo l’ultima birra. Era da un po' che sognavo un liquido diverso dall'acqua di disgelo dei nevai. Giusto il tempo di bere e arriva un secondo temporale che ci flagella fino al passo del Forno. Alle 22:30 siamo già a Chiareggio. R Dai pressi della forcola del Bacone appare l'impressionante vetta culminante delle cime del Largo. La freccia indica il punto in cui si trova Klucker nella foto a fianco (foto Beno). Sul secondo tiro di corda (6 luglio 2011, foto Roberto Ganassa). Klucker in arrampicata sulla vetta culminante delle cime del Largo. Come si vede il cliente non lo sta assicurando e tiene la corda arrotolata sul braccio sinistro (fine '800). Le cime del Largo dalla val Bregaglia (15 novembre 2008, foto Riccardo Scotti). Estate 2012 Le Montagne Divertenti 5 - Il traverso si trova quasi in cima alla faccia orientale del diedrone che costituisce il versante SSE della vetta, ben visibile dalla forcola del Bacone. Cime del Largo (m 3188) 79 Escursionismo Il periplo del monte del Forno Luciano Bruseghini 80 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti I ruderi dell'alpe Vazzeda Superiore e il monte del Forno (20 settembre 2011, foto Il periplo del Bruseghini). monte del Forno 81 Luciano Escursionismo Valmalenco e dintorni Il periplo del monte del Forno (m 3214) è un’escursione molto scenografica che permette di apprezzare diversi ambienti alpini: dal bosco di aghifoglie, al pascolo di alta quota fino alle morene e ai ghiacciai. Con questo anello, inoltre, si potranno vedere da vicino le vette che furono scenario delle incredibili ascensioni di Christian Klucker, la grande guida alpina a cui è dedicato questo numero della rivista. Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: Chiareggio - pian del Lupo (m 1630). Itinerario automobilistico: da Sondrio si prende la SP15 della Valmalenco. Arrivati a Chiesa in Valmalenco (12 km) si prosegue per il ramo occidentale della valle fino a Chiareggio (10 km). Oltre il paese si scende al pian del Lupo, nell’ampio greto del torrente Mallero, dove si lascia l’auto. Itinerario sintetico: pian del Lupo (m 1630) - alpe Vazzeda inferiore (m 1835) - alpe Vazzeda superiore (m 2021) - passo del Forno (m 2775) capanna del Forno (m 2574) - passo del Muretto (m 2560) - alpe dell'Oro (m 2010) - pian del Lupo. Tempo previsto: 8 ore e mezza per l'intero giro. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Si attraversano nevai anche a stagione inoltrata, portare l'abbigliamento adeguato. Difficoltà/dislivello in salita: 3 su 6 / complessivamente oltre 1600 m. Dettagli: EE. Itinerario su sentieri segnalati. Il tratto capanna del Forno - passo del Muretto presenta passaggi esposti. Mappe consigliate: come per le cime del Largo - vedi pagina 75; la cartina schematica è a pagina 64. Alle porte di Chiareggio. Sullo sfondo, da sx, la punta Baroni, il monte Sissone, - appena visibile - la cima di Rosso, la piramide della cima di Vazzeda, col ghiacciaio dei Ciatté di Vazzeda, e, all'estrema dx, la cima di val Bona. All'incrocio tra val Sissone (sx) e valle del Muretto (dx), appena oltre l'abitato di Chiareggio, si trova il pian del Lupo, lungo il quale si snoda parte del tracciato della Camminata dei Tre Ponti, gara non competitiva di 6 km che, ogni anno, si svolge la domenica prima di Ferragosto (8 agosto 2010, foto Beno). S iamo alle porte della Valmalenco: metà del tracciato, infatti, è in territorio svizzero. Si tratta di una lunga passeggiata che da Chiareggio risale la val Bona e, attraversato il passo del Forno, porta in Svizzera alla capanna del Forno per infine tornare attraverso il passo e la valle del Muretto. La gita può essere convenientemente spezzata in due giorni, con pernottamento alla capanna del Forno (tel. 0041 081 82 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti 8243182). Lasciamo l’auto nel vasto parcheggio dopo Chiareggio, sulla riva del torrente Mallero, esattamente in località pian del Lupo1 (m 1630). Ci incamminiamo in direzione N lungo la carrareccia che attraversa la pineta, seguendo le indicazioni per 1 - Ai tempi dell'italianizzazione di tutti i toponimi, si è pensato bene di tradurre ciàn de la lòp, toponimo che faceva riferimento agli scarti della cottura del ferro, con pian del Lupo! i rifugi Tartaglione-Crispo e Del Grande-Camerini. Di coreografia è lo scenario superbo della testata della val Sissone a sx, con le cime di Chiareggio al centro, e ai lati, un po' defilati, la parete N del monte Disgrazia e il monte Sissone. Attraversato il torrente che scende dalla valle del Muretto, un cartello indicatore ci fa abbandonare la strada sterrata per Forbicina in favore del sentiero (dx) che risale il Il periplo del monte del Forno 83 Escursionismo Passo Sissone (3149) Passo di Vazzeda (2967) Monte del Forno (3214) Cima di val Bona (3033) Passo del Forno (2775) Rif. Del Grande - Camerini (2563) V Le Montagne Divertenti A L CIAT TÈ B O N A A. Monte Rosso Sup. (2220) A. Vazzeda Sup. (2021) muretto A. Monte Rosso Inf. (1934) A. dell'Oro (2003) alle del A. Vazzeda Inf. (1835) VA L S ISS ON E A. Laresin (1704) Forbesina (1659) pian del 2 - Bruno Galli-Valerio, Punte e Passi, traduzione a cura di Antonio Boscacci e Luisa Angelici, CAI, Sondrio 1998. 3 - La comitiva partì a piedi alle 3 e mezza del mattino dal capoluogo. 4 - Le notizie sulla storia recente degli alpeggi sono state fornite da Andrea Sem e Lorenzo Lenatti. 5 - Questo tratto di sentiero viene ripulito da gruppi di volontari malenchi. 6 - Le tempistiche dei cartelli non coincidono con quelle da noi valutate. 7 - Soprannome di Vittorio Moroni. 8 - L'alpe Vazzeda era sfruttata dai pastori di Mossini. 84 Passo del Muretto (2560) V fianco della montagna. Il tracciato, che si sviluppa in un profumatissimo ambiente di aghifoglie, ricco di frutti di bosco e funghi, piega verso dx (NE) fino al torrente Vazzeda, gonfio delle acque dei numerosi rigagnoli che solcano la conca compresa fra la calcarea cima di Vazzeda (m 3302) e la granitica cima di val Bona (m 3033). Oltre un ponticello di legno, in breve siamo all’alpe Vazzeda Inferiore (m 1835, ore 1). Bruno Galli-Valerio, raccontando la sua salita da Sondrio alla capanna del Forno del 26 luglio 1910, scrisse2: "Alle due e un quarto3 arriviamo all'alpe di Vazzeda inferiore (1830 m.). Numerose vacche al pascolo ci guardano coi loro grandi occhi spalancati. Sostiamo là un po' di tempo ad ammirare il gruppo del Disgrazia che, da quel punto, appare in tutta la sua bellezza." Oggi parecchie baite sono diroccate, altre utilizzate come case vacanza, ma i pascoli sono ancora sfruttati nei mesi estivi dall'Azienda Agricola Fratelli Lenatti con circa 30 capi. Il latte, munto in loco, viene trasportato al pian del Lupo per la lavorazione4. Scarpinando per gli ultimi prati del lato idrografico sx del torrente Vazzeda, arriviamo in una zona ricoperta da radi alberi5. Alcuni tornanti ci accompagnano al gradino roccioso che fa da sipario all'abbandonata alpe Vazzeda Superiore (m 2021, ore 0:306). Nel 1998 el Murunìn7è stato l'ultimo muşìn8 a caricare l'alpe Vazzeda, cui competevano i Ciatéé, ovvero gli ampi pascoli compresi tra le dorsali orientali di cima di Vazzeda e cima di val Bona. Da allora, esclusi un Cima di Rosso (3366) Cima di Vazzeda (3302) Estate 2012 Le Montagne Divertenti lupo Val Sissone e valle del Muretto viste dal torrione Porro. Sono segnati i sentieri che dal pian del Lupo conducono al passo del Forno e al passo del Muretto (20 sottobre 2011, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com). Il periplo del monte del Forno 85 Escursionismo Valmalenco e dintorni Il tracciato di discesa del passo del Forno alla capanna del Forno (6 luglio 2011, foto Beno). Un tempo questa conca era ricoperta da un ghiacciaio e ben più insidiosa di adesso, come testimonia Bruno Galli-Valerio nel 1905: " Ci leghiamo e cominciamo la discesa del ghiacciaio dove i crepacci sono coperti dalla neve. Siamo subito avviluppati dalle nebbie. Se non fossi già stato alla capanna del Forno, non potrei trovarla." Mucche al pascolo all'alpe Vazzeda Superiore (estate 1993, foto Franco Benetti). Il ponte della val Bona (14 settembre 2011, foto Luciano Bruseghini). 86 Le Montagne Divertenti Verso il pian delle Marmotte (6 luglio 2011, foto Beno). Passo del Forno (6 luglio 2011, foto Roberto Ganassa). Estate 2012 paio d'anni di riutilizzo9, quassù non salgono più né mucche né pastori. Quasi tutti i tetti dei piccoli ricoveri sono crollati e anche la grande baita pare non avere più le forze di resistere: i suoi muri a secco si stanno squagliando al tempo e la trave portante è sempre più in bilico. Riprendiamo il cammino. Davanti a noi si erge a guardiano della val Bona l'inconfondibile e variopinto monte del Forno, il cui toponimo è legato agli antichi forni fusori per estrarre il ferro dai suoi minerali che si trovavano alle pendici del monte. Alle nostre spalle è riconoscibile il Buchèl del Can, valico sulla cresta tra il monte Senevedo (m 2561) e la punta Rosalba (m 2809) che mette in comunicazione la conca del lago Pirola con la valle Orsera dov'è il bel Lagazzuolo; ma a catturare l’attenzione è comunque lo scivolo ghiacciato della parete N del monte Disgrazia (m 3678) e il pensiero che di lì il Bianco è sceso con gli sci10! Abbandoniamo i triangoli gialli dell’Alta Via che guidano al rifugio Del Grande-Camerini, e ci addentriamo nel lariceto (NO). Ai segnavia bianco rossi italiani, ora si accompagnano quelli bianco-blu svizzeri. A breve incontriamo una baita diroccata; fa sempre parte dell'alpe Vazzeda Superiore, ma chi trascor- reva qui i mesi estivi faceva pascolare le mandrie sull'orografica dx della val Bona. Valicati due torrentelli, risaliamo un impervio costone facendo attenzione a non perdere il sentiero che in questo tratto, a causa del terreno sconnesso, rimane talvolta privo di segnaletica. Al di là di alcune placche rocciose ecco il pian delle Marmotte (m 2200 ca., ore 0:30): siamo entrati nella solitaria val Bona. La cima di val Bona ci sovrasta dall’alto dei suoi m 3033 e con il monte Rosso (m 3088) delimita il lato occidentale della valle. I colori delle rocce sono assai eterogenei. Ciò è dovuto al fatto che proprio in questa zona vi è l’incontro di due differenti tipologie di rocce che provengono da fenomeni geologici diversi. Quella chiara appartiene al plutone del Màsino-Bregaglia, quella scura alle ofioliti del monte del Forno. Essendo costituite da minerali diseguali, granito ricco di quarzo la prima e anfibioliti con ferro e magnesio la seconda, il loro colore è diverso. Superato il torrente su un ponte di legno, ci portiamo sul versante sx idrografico e, ignorato sulla dx il bivio per l’alpe Monte Rosso Superiore11, proseguiamo verso ONO (sx). Il tracciato sale tra liste d'erba e rottami fino a toccare un pianoro 9 - Nel 2003-2004 a Vazzeda salì Paganoni di Albosaggia. 10 - Beno e Mario Sertori, "Le discese estreme del Bianco", Le Montagne Divertenti, n. 13 Estate 2010. 11 - L'alpe Monte Rosso Superiore veniva storicamente caricata da quelli di Arquino. L'ultimo alpeggiatore è stato nel 2003 Renzo Menesatti - classe 1924 . All'alpe competevano anche i pascoli sull'idrografica sx della val Bona. Le Montagne Divertenti erboso con massi, anche di grande dimensione. Lo si costeggia da N, poi, al termine di un largo canalone di sfasciumi, appare l’ampia sella rocciosa del passo del Forno. Risalito un primo pendio tra grossi massi, guadagniamo una conca ricoperta di neve anche a stagione inoltrata. Ormai siamo in dirittura d’arrivo, un'ultima lotta con le pietraie ed eccoci al passo del Forno (m 2775, ore 1:45). La valle che ci si apre innanzi (O) è una laterale sx della grande valle del Forno. In basso si intravede il gigantesco ghiacciaio del Forno che, seppure in continua ritirata, con la sua lingua glaciale si spinge ancora fino a m 2300. La capanna del Forno da qui non è visibile, perché nascosta da uno sperone roccioso; lo raggiungiamo compiendo un arco da dx a sx sul primo nevaio12, quindi, usciti dall'anfiteatro terminale della nostra vallecola, per sentiero segnalato e ben tenuto sull'orografica dx (m 2574, ore 0:30). Chi volesse spezzare l’escursione in due giorni può pernottare qui, optando anche per un bel bagno caldo all’aperto nell’enorme tinozza di legno posizionata sulla terrazza con sfondo panoramico! La testata della valle è racchiusa dalle imponenti guglie dei pizzi Torrone, con in mezzo l’ago di Cleopatra, dalla punta Rasica, dalla cima di Castello e dalla cima dal Cantun. 12 - Quando non c'è neve ci si trova in una scomoda pietraia. Il periplo del monte del Forno 87 Escursionismo Valmalenco e dintorni P er completare il circuito vi sono due differenti percorsi che conducono al passo del Muretto: quello più lungo contempla la discesa nella valle del Forno13 fino a 2000 metri dove si incrocia il sentiero proveniente dal passo del Maloja; l’altro, più breve e molto panoramico, affronta un traverso in quota. Noi optiamo per quest’ultima soluzione e dal rifugio retrocediamo verso il passo del Forno per un centinaio di metri fino ad un cartello indicatore. Attenzione: solamente qui è segnalato il passo del Muretto, mentre poi occorre seguire le indicazioni per il passo Maloja. Per non sbagliare bisogna sempre insistere sul tracciato che taglia la montagna in direzione N e trascurare le altre diramazioni. iprendiamo la salita su placche rocciose e pietraie fino a scovare un piccolo laghetto (m 2730, ore 0:50), parzialmente ghiacciato anche nei mesi estivi. Ignoriamo la traccia che si diparte sulla dx e conduce al pizzo dei Rossi (m 3026). Un breve pendio ci porta a guadare il gorgogliante ruscello da cui viene captata l’acqua per il rifugio. Dopo un tratto in leggera discesa, sempre su pietraia, superiamo una ripida gola che precipita a picco verso il fondovalle14. Rimontata una corta morena raggiungiamo il torrentello che fluisce dal versante settentrionale del monte del Forno. Ci abbassiamo R Il laghetto ai piedi del pizzo dei Rossi lungo il sentiero tra la capanna del Il passo del Muretto e il monte del Forno si specchiano nelle acque del Forno e il passo del Muretto (14 settembre 2011, foto Luciano Bruseghini). lago di Cavloc (26 agosto 2007, foto Giorgio Orsucci). 13 - Il tratto di discesa dal rifugio è attrezzato con catene, funi e scale, ma richiede attenzione. 14 - Avvertenza: una scivolata qui condurrebbe sicuramente ad un tragico epilogo! lungo una scomoda sponda erbosa che ci indirizza a due piccole pozze (m 2400 ca., ore 0:50): la seconda è molto bella perché nelle sue acque si specchiano il pizzo Fedox, il monte e il passo del Muretto. Una breve diagonale in discesa ci fa incrociare il sentiero che dal lago Cavloc, visibile chiaramente nel fondovalle, risale tutto il versante e conduce al valico. La fatica comincia a farsi sentire e mancano ancora 200 metri di dislivello. Dopo un tratto poco erto nel fondovalle, s'impenna la ripida china di terreno instabile che ci regala il passo del Muretto (2560, ore 0:40). Qui è posizionato un ampio pannello che ci ricorda che stiamo percorrendo il sentiero Rusca, un tracciato che, partendo dal centro di Sondrio, attraversa tutta la Valmalenco e arriva al passo del Maloja. È dedicato all’arciprete di Sondrio Nicolò Rusca che nel 1618, accusato di aver sobillato i cattolici contro i dominatori protestanti, fu catturato dai Grigioni e portato, legato sotto un mulo, lungo questo cammino, fino a Thusis per essere processato. Lì morì sotto tortura il quattro settembre dello stesso anno. A questo seguì di ripicca il Sacro Macello, ma in realtà le ragioni religiose nelle guerre tra cattolici e protestanti, che non avevano poi così tanti problemi a convivere, erano dei pretesti per giustificare lotte politiche ed economiche. All'altezza del valico, sul versante italiano, due case dei cacciatori sono state riaccomodate ed ora sono abita- Il Pro Shop Patagonia è in Valtellina! Margherite al passo del Muretto (14 settembre 2011, foto E. Minotti). 88 Le Montagne Divertenti zioni private. nizia la discesa. Il sentiero è ampio e si snoda in una pietraia. È un ottimo tracciato, in quanto, ancora nell’ottocento, veniva utilizzato per trasportare vino, piode e altre mercanzie dalla Valtellina all’Engadina. A un centinaio di metri dal valico sgorga un piccolo ruscello che, digradando, si ingrossa fino a diventare uno dei principali affluenti del torrente Mallero. Arrivati a m 2200 ca., il sentiero si trasforma in un comodo tratturo che porta all’alpe dell’Oro. Questa carrareccia faceva parte di un progetto militare che prevedeva una strada jeeppabile che da Chiareggio conduceva al passo del Muretto, ma fu abbandonato negli anni Trenta del novecento. Raggiunto lo splendido alpeggio dell’alpe dell’Oro (m 2010, ore 1:10), posto sopra un dosso che guarda la val Sissone e la parete N del Digrazia, ci abbassiamo sempre più lungo la strada sterrata che ora si sviluppa in un fitto bosco di larici e abeti. Aiutati da diversi tornanti e da alcune scorciatoie, perdiamo quota rapidamente e arriviamo alla locanda "Pian del Lupo", in corrispondenza della quale è la strada in discesa che ci riporta al pian del Lupo dove abbiamo lasciato l’auto15 (m 1630, ore 0:40). I 15 - Nei mesi estivi Chiareggio è servita da autobus di linea. Sul sito http://stps.it si trovano gli orari delle corse Sondrio-Chiesa-Chiareggio. 3 Passi - Morbegno - Piazza Marconi Baita dell'alpe Oro, sullo sfondo il Disgrazia (7 agosto 2008, foto Orsucci). Estate 2012 Le Montagne Divertenti Il periplo del monte del Forno 89 Un po' di storia Valmalenco e dintorni La capanna del Forno Raffaele Occhi La capanna del Forno oggi: si noti la considerevole diminuzione di spessore del ghiacciaio rispetto al 1933 (6 luglio 2011, foto Roberto Ganassa). ristrutturazione della capanna, impegnandosi come sempre a sostenerne i costi; il lodevole proposito restò purtroppo incompiuto, a causa della “maledetta guerra mondiale”. La capanna, dopo la guerra, venne donata da Curtius alla sezione Rorschach del Club Alpino Svizzero, e più volte ampliata. Nei suoi pressi dovette passare senza trovarla, il 12 marzo 1944, Ettore Castiglioni in fuga dal Maloja, braccato dalla tempesta prima della tragica fine. Oggi la capanna del Forno è uno splendido e assai frequentato rifugio con oltre 100 posti-letto. Bruno Galli-ValeriO La capanna del Forno1 La capanna del Forno e la testata della valle del Forno con, da sx, i pizzi Torrone, la punta Rasica e, all'estrema dx, la squadrata cima di Castello (26 luglio 1933, foto Alfredo Corti - lastra su vetro 6x6 - archivio CAI Valtellinese sez. di Sondrio). “S crivono da Sils -Maria (Engadina) che per la prossima estate sarà compiuta una nuova capanna del C.A.S. al ghiacciaio del Forno, sopra un ripiano di roccie a sud-ovest appiè del Monte del Forno, all’altezza di m. 2500 ca ed a tre ore di distanza da Maloggia. Questa capanna agevolerà l’ascensione di almeno 18 cime, fra le quali la Cima di Rosso, il Pizzo Torrone ecc., e la traversata di otto passi; di là si potrà raggiungere anche il Monte della Disgrazia in 8 ore circa”. Solo su un punto il trafiletto della 90 Le Montagne Divertenti Rivista Mensile del CAI del 1888 era in errore: l’attribuzione al Club Alpino Svizzero, fin dalle origini, della nuova capanna. L’idea di costruire un rifugio lassù, che permettesse di spezzare il lungo percorso tra il fondovalle del Maloja e le cime, fu concepita da Christian Klucker e Theodor Curtius durante le marce di avvicinamento al pizzo Bacone, alle cime del Largo, al Sissone. Dall’idea all’azione: Curtius, insieme al fratello Friedrich – entrambi innamorati delle montagne della val Bregaglia ancora prive di rifugi, e della valle del Forno col suo meraviglioso ghiacciaio in particolare – decide di assumersene l’onere; dopo diversi sopralluoghi per stabilire il luogo più appropriato, nel 1889 viene finalmente inaugurata la nuova capanna: “è divisa in due stanze, assai bene disposta e arredata, e può dar comodo alloggio a 24 persone.” Klucker, cui Curtius aveva affidato la responsabilità del rifugio, fu anche il primo a pernottarvi con NormanNeruda, i Tauscher e le loro guide. Tanti altri alpinisti seguirono; il Galli-Valerio, Estate 2012 nel tessere gli elogi della splendida capanna, affermò che “chi visita V. Malenco e non fa una punta alla capanna del Forno, per la facile forcella omonima, perde l’occasione di ammirare uno dei più splendidi panorami d’alta montagna.” Nel 1912 Curtius, che ogni autunno vi saliva in visita con Klucker, pensò che fosse giunto il momento di una radicale Le Montagne Divertenti "La capanna del Forno (2661 m.) è bellissima. Di forma rettangolare, è divisa in due metà : L'una chiusa, in cui stanno cuccette e coperte, l'altra aperta, contenente 6 cuccette con paglia, un fornello, una pentola, un tavolo ed una panca. Vi si sta benissimo. La situazione di questa capanna, è incomparabile. Posta su di un promontorio, che si incunea nel ghiacciaio del Forno, domina tutto questo immenso fiume di ghiaccio, e l'orizzonte, vastissimo, è chiuso dalle eleganti cima di Rosso, dai Torroni, dalla cima di Castello, di Cantone ecc. Qui manca completamente la sensazione di soffocamento, che si prova in molte altre capanne, troppo rinserrate fra alte cime. 1 - Tratto da La Valtellina (11 novembre e 10 dicembre 1905). Chi visita V. Malenco e non fa una punta alla capanna del Forno, per la facile forcella omonima, perde l' occasione di ammirare uno dei più splendidi panorami d'alta montagna. [...] Alle 3 e 1/2, rientriamo alla capanna del Forno. In attesa della cena, passiamo il tempo a cercar noccioli di albicocca e di pesca. La ricerca è fruttuosa, e lassù a più di 2000 metri, quei poveri nocciuoli, ci sembrano squisiti. Più pratico di noi, Luigi cerca legna, e la scoperta di una vecchia cassa da petrolio, nascosta nella ganda, ci assicura il fuoco per la sera. Dopo cena, stiamo sorbendo il caffè, quando fanno la loro apparizione un tedesco ed una guida. Il primo si lamenta con me, perchè la sua guida, dal mattino in poi, non ostante il tempo splendido, continua a predire la pioggia. Alzo le spalle. Si sta tanto bene alla capanna del Forno! Ho bevuto tanto caffè, che la notte mi è impossibile dormire. Esco dalla capanna. Il Daudet ha scritto, che se il giorno è la vita degli esseri, la notte è la vita delle cose: un silenzio infinito domina su quell' immensa estensione di ghiacci e di nevi, luccicanti sotto i raggi della luna. I giganti che si rizzan d'intorno, appaiono ancor più grandi, e se si fissano, sembrano mettersi in movimento, e spostarsi tutt' intorno alla capanna. Di tanto in tanto, lo scroscio di un serac che precipita, pare la voce di quei giganti. Lontano, sotto la cima di Rosso, mi par veder passare i poveretti precipitati lo scorso anno [...]." La capanna del Forno 91 Escursionismo Valchiavenna Traversata del Groppera, da Angeloga a Motta Enrico Minotti La magnifica conca di Angeloga (15 giugno 2011, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com). 92 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti Traversata del Groppera 93 Escursionismo Valchiavenna Prerogativa dell’andar per monti è l’atavico, interiore desiderio di vedere di più e più lontano, di aprire lo sguardo e l’animo agli ampi spazi offerti dalle alte vie. L’uomo del terzo millennio, spesso costretto a spazi minimali e ai viali “canyon” delle fumose e caotiche città, vive sognando una tregua di pace in valli amene, dove passeggiare tra coloratissime e odorose distese di fiori, dove sedersi per ammirare in silezio le delicate tinte dell’alba e i toni caldi dei tramonti infuocati. Questi luoghi non sono chimere, bensì sono dietro l’angolo, a qualche ora di cammino. Ad esempio, da Fraciscio ... Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: Fraciscio (m 1341). Itinerario automobilistico: da Chiavenna seguire la SS36 dello Spluga in direzione del passo dello Spluga fino a Campodolcino (13,4 km). All'altezza della chiesa, prima del ponte sulla Rabbiosa, seguire l'indicazione per Fraciscio. In paese, nei pressi del cimitero, c'è un ampio parcheggio, oppure si può lasciare l'auto 1 km più avanti, in località Soste. È possibile raggiungere Campodolcino anche con autobus di linea (per gli orari consultare il sito www.valchiavenna.com). Itinerario sintetico: Fraciscio (m 1341) – Soste (m 1445) – rifugio Chiavenna (m 2044) – statua della Madonna d'Europa (m 1924) – alpe Motta (m 1750) - Fraciscio (m 1341). Tempo previsto: 5 ore. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà/dislivello: 2 su 6 / circa 900 m. Dettagli: EE. Escursione su sentieri segnalati e mulattiere rurali. Tratti esposti ma ben protetti nel traverso Angeloga-Motta. Mappe: Kompass n. 92 Chiavenna - Val Bregaglia, 1:50000. Il solivo paese di Fraciscio sorge ai piedi del pizzo Groppera (10 agosto 2011, foto Enrico Minotti). L’ escursione sulle pendici del pizzo Groppera che proponiamo è adatta veramente a tutti, con l’unica accortezza di sfruttare la frescura mattutina in quanto questo sentiero, magnificamente esposto a O,in estate è già pienamente soleggiato dalle nove del mattino, e alcuni strappi, come nel tratto del “Calvario”, vengono resi ancor più faticosi dalla calura. Lasciata la SS dello Spluga a Campodolcino (m 1070), raggiungiamo con una serie di tornanti il solivo abitato di Fraciscio (m 1341), 170 anime divise in 58 nuclei familiari, come recita il sito www.fraciscio.it. A E del paese, con poco cammino, arriviamo alle caratteristiche baite della frazione Soste (m 1442, ore 0:15), 94 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti dove vi è possibilità di parcheggio. Seguiamo per un breve tratto la strada sterrata (E) che si inoltra nella valle, cercando sulla nostra sx la palina indicatrice del vecchio sentiero1 che corre in un bel bosco di larici e abeti rossi2. Risaliamo la valle della Rabbiosa, fiancheggiando per un buon tratto l’omonimo torrente. Lasciato il bosco prendiamo quota sul ripido e pietroso lato dx orografico della valle, superando alcuni costoni e un torrentello sino a raggiungere il bivio a m 1620. Ignoriamo la traccia che si addentra nel fondo valle (E) ad una piccola chiusa e pieghiamo invece a sx, affrontando così il tratto 1 - Segnavia bianco-rosso, sentiero C3. 2 - In alternativa si può seguire la strada sterrata che, al suo termine, si ricongiunge al sentiero. più faticoso dell’escursione, “il Calvario”, un ripido pendio che conduce al caratteristico intaglio roccioso detto “la Pizeta” (m 1900). Il pizzo Stella occhieggia a dx, la via spiana e raggiungiamo una valletta percorsa da un placido torrentello. Una scritta sulla parete alla nostra sx ci avvisa che mancano dieci minuti al rifugio. Costeggiamo il ruscello sino a superare l’ultima balza che ci separa dalla magnifica piana di Angeloga (m 2039, ore 1:30). Angeloga, ovvero il “luogo degli angeli”. L’ardita ed elegante piramide del pizzo Stella che, vanitoso, si specchia nelle cristalline acque del lago, le suggestive baite, coloratissime distese di rododendri, il silenzio sovrano rotto solo Traversata del Groppera 95 Escursionismo Valchiavenna Piz Platta (3392) Pizzo Groppera (2948) Pizzo Peloso (2780) Lago Nero (2358) Angeloga (2038) Motta di Sopra (1850) Madonna d'Europa (1927) Ca lva rio Soste (1442) Fraciscio (1341) Motta (m 1725) Le montagne di Motta e Fraciscio e la valle della Rabbiosa visti dal pizzo Quadro (4 agosto 2007, foto Enrico Minotti). da campanacci e armenti al pascolo, rievocano la quiete e ritmi di vita ormai dimenticati. Imperativa una sosta presso gli ospitali Monica e Matteo Pedroncelli, gestori dello storico e confortevole rifugio Chiavenna3. Continuiamo l’escursione in direzione (NO) seguendo i segnavia, in leggera salita, verso la sommità di un dosso (m 2100) e i ruderi della funivia che servì al trasporto del personale tecnico addetto alla costruzione della gigantesca diga in val di Lei. Il sentiero, sempre ben segnalato e visibile, traversa a mezza costa il versante meridionale del pizzo Groppera, senza mai essere impegnativo. Molto aereo, ma ben protetto nei tratti esposti, offre straordinari panorami su tutta la valle Spluga. l pizzo Peloso e i tre canaloni ghiacciati del pizzo Stella a E, la cresta del Calcagnolo con il suo tetro canalone di sfasciumi a S. Quasi in verticale sotto di noi il luccicare dei tetti di Fraciscio e delle acque della Rabbiosa. Poco oltre i dolci verdi declivi di Mottala e Gualdera, più lontano a O, i profili azzurrini I Angeloga e il pizzo Stella (5 giugno 2011, foto Roberto Ganassa). 96 Le Montagne Divertenti Estate 2012 3 - Inaugurato il 15 luglio 1928 è di proprietà della Sezione CAI Chiavenna. Contatti: tel. 0343/50490 - email: [email protected]. Le Montagne Divertenti delle Camoscie, del pizzo Forato, del Sevino e del Quadro. Guadagniamo in breve l’altura dove c'è la statua della Madonna d’Europa4 (m 1924). Lo sguardo vaga libero in lontananza: ampie distese di pascoli, dolci pendii verdeggianti incorniciati da folti boschi di conifere a tratti interrotti da chiazze di prato da sfalcio, dove occhieggiano i tetti delle baite. Sembra quasi di sentire lontano nel vento il suono del corno. Sì, il corno di becco (maschio della capra) che era in ogni alpe e veniva suonato per segnalare l’avvenuto carico dell’alpeggio e in certi momenti come per dire: noi ci siamo! E l’alpeggio vicino rispondeva con il suo corno. Ogni alpe aveva un suono riconoscibile: Fop, Fupeta, Casun, Munt, Pianei, Munt da bas (Monte dell’Avo) e Calcagnolo. Veniva suonato anche in certe serate, quando qualcuno era in solitudine e cercava una sorta di solidarietà dall’alpeggio vicino. 4 - La statua metallica, alta 13 metri e del peso di 4 tonnellate, è ricoperta di lamina d'oro e fu eretta il 15 ottobre 1957, anno della fondazione della Comunità Economica Europea. Realizzata dallo scultore Egidio Casagrande e posizionata su una base di forma circolare, si trova esattamente al centro del bacino idrografico europeo. Scendiamo a Motta5 (m 1750, ore 1:45) seguendo la comoda pista sterrata, o al dritto per ripidi pascoli6. Attraversiamo in piano la bella conca in direzione S e, dietro l’imponente edificio della Casa Alpina di Motta7, ritroviamo la nostra traccia. Perdiamo quota rapidamente sull' agevole sentiero che si snoda per prati, toccando l'alpe de la Mutala. Al bivio (m 1620), ignorata l'indicazione per l'alpe Fontana, teniamo a sx addentrandoci in un magnifico bosco di larici. Iniziamo ora un lungo traverso in leggera discesa che, quando permesso dalla vegetazione, offre sorprendenti scorci sulla piana di Campodolcino. Superato il Munt da bas, il bosco dirada e in breve raggiungiamo Fraciscio (m 1341, ore 1:15). 5 - Motta deriva da “mot” o “mut” cioè poggio o motto; infatti si trova sui resti della morena di un antico ghiacciaio. 6 - Sui prati di Motta il 6 settembre 2009 si sono svolti, su percorso muscolare ma poco tecnico, i campionali mondiali di corsa in montagna. Ad aggiudicarsi il titolo è stato l'ugandese Geoffrey Kusuro che ha percorso i 13 km della gara in 54'51''. In quarta posizione è giunto l'italiano Bernad Dematteis, ottavo il bormino Marco De Gasperi, staccati di meno di 2' dal fuoriclasse africano che vanta un personale di 13' e 11" sui 5000 metri. 7 - Casa per vacanze voluta dal prete milanese Don Luigi Re. Traversata del Groppera 97 Escursionismo Valchiavenna Angeloga con gli occhi di un bambino U Il pizzo Stella e il lago di Angeloga dal sentiero Angeloga - Motta (17 agosto 2005, foto Enrico Minotti). La statua della Madonna d'Europa. 98 Le Montagne Divertenti Alpe de la Mutala. Sullo sfondo la Casa Alpina di Motta (16 agosto 2011, foto Enrico Minotti). Estate 2012 scivamo la mattina presto dalla casa del signor Simeone a Fraciscio, dove stavamo a pigione per tutta la bella stagione. La mamma davanti con l’abito estivo di tutti giorni e un golf di lana, perchè finchè non usciva il sole faceva freddo. Ai piedi le ciabatte con la suola di sughero e il tacco appena accennato, che erano comode per andare in montagna, e la “sporta” di stoffa pesante rossa, punteggiata da minuscoli fiorellini neri con i manici bianchi di plastica, contenente i panini e l’aranciata per il pic-nic in riva al lago e che portavamo su dandoci il cambio. Ancora non sapevo che l’Angeloga è il luogo degli angeli, ma mi piaceva lo stesso, anche se a volte mi sembrava troppo lontano. Come smarrito in un sogno, seguivo l’ombra di mia madre mentre le nebbie mattutine si dissolvevano ai primi raggi di sole. Ovunque fiori, forse esempio massimo della grazia che la natura può donare ad un essere vivente. Lietamente salivo e il rumore di acque scorrenti e leggeri freschi vortici di vento scendenti dai monti mi avvolgevano, portandosi via ogni pensiero e fatica. Fantasticando - gli occhi fissi ai profili delle creste che immaginavo un giorno di percorrere, abbacinato da fulgidi contrasti di prati fioriti e maestose scure pinete, inebriato dal granito e dal profumo degli aghi di pino - sotto il sole mi inerpicavo leggero su per il “ Calvario”. Si raggiungeva così il lago, disteso in una magnifica piana totalmente priva d'alberi e cosparsa di macigni affioranti dalla bassa vegetazione, un soffice e compatto manto di erbe come una sorta di macroscopica muffa, costellato tutto intorno e su per i versanti da sfavillanti drappi di velluto rosso e rosa dei rododendri. Fra le baite, i silenzi solenni, il bel lago, il granito, i rododendri e il cielo azzurro sempre sereno dell’infanzia, il soave suono della voce di mia madre nell’aria cristallina che, chiamandomi, dolcemente allungava le vocali del mio nome. Le Montagne Divertenti Da sx Elia Trussoni, Angelo e Sergio Levi. Sullo sfondo il pizzo Peloso (inizio anni '50, foto archivio Davide Trussoni). Paolo Trussoni, detto Paulin, munge le sue vacche ad Angeloga (inizio anni '50, foto archivio Davide Trussoni). A nsioso, di volta in volta sono tornato al lago che magicamente rifletteva lo Stella, le montagne d’intorno e i miei smarrimenti giovanili. Vi salgo per vedere e accertare, rinfrancandomi, che quel luogo esiste davvero e mi appartiene soltanto per l’immagine che mi ero costruito e cerco di conservare dentro di me. E alla fine capisco che, anche dopo tanti anni, Angeloga è ancora capace di evocare suggestioni ed eccitare la mia fantasia. Angeloga con gli occhi di un bambino 99 Escursionismo Tra Sobretta e Gavia fuori dalla pazza folla! Santa Caterina di Valfurva è un centro turistico che ben raramente rallenta la sua attività. Famosa in inverno per lo sci alpino e di fondo, celebre in primavera per lo sci alpinismo, frequentatissima in estate come cuore lombardo del Parco Nazionale dello Stelvio. Non è raro, raggiungendo in auto i Forni, anticamera del mondo di vette e di ghiacci del Cevedale e del Gran Zebrù, faticare a trovar parcheggio. E la strada del mitico passo di Gavia, realizzata solo nel 1916 dal nostro Genio Militare, in estate pullula di ciclisti, moto ed auto provenienti da tutta Europa: fare il Gavia è considerato, forse più all’estero che in Italia, un vero blasone per chi viaggia a 4 ed ancor più a 2 ruote. Ma se tutto questo è ben noto al turismo e all’escursionismo di massa, esiste pure un’area, a due passi da Santa Caterina che (fortunatamente) non è stata ancora scoperta dai vacanzieri... Alba al lago Bianco al passo di Gavia. Sullo sfondo da sx monte Confinale, Ortles, monte Zebrù, Gran Zebrù e sulla dx pizzo Tresero, punta Pedranzini e punta San Matteo (12 agosto 2011, foto Giacomo Meneghello - www.clickalps.com). Eliana e Nemo Canetta 100 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti Tra Sobretta e Gavia 101 Escursionismo Alta Valtellina Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: Santa Caterina (ponte sul Frodolfo (m 1734). Itinerario automobilistico: da Bormio prendere la SP 300 per Santa Caterina (13 km). C'è un ampio parcheggio all'inizio della strada per i Forni, in prossimità degli impianti di fondo. Itinerario sintetico: Santa Caterina (ponte sul Frodolfo (m 1734) - Vedig (m 1777) - Sclanera (m 2042) - Plaghera di Fuori (m 2088) - rifugio Sunny Valley (m 2606) - passo dell'Alpe (m 2461) quota 2920 - rifugio Bonetta al passo di Gavia (m 2618). Difficoltà/dislivello 2.5 su 6 / 1500 metri in salita: Tempo previsto: 7 ore. Attrezzatura richiesta: scarponi. Dettagli: EE. Escursione su sentieri solo in parte segnalati. Mappe: Kompass n.72 - Parco Nazionale dello Stelvio, 1:50000. Variante di salita: la salita al monte Gavia è classificata come "alpinistica facile +". Vi sono passi su roccia fino al II grado (2:15 ore dal rifugio Bonetta). Si consiglia uno spezzone di corda e l'imbraco. Esiste un'area appena sopra Santa Caterina che permette all’escursionista che vuole battere vie meno frequentate e meno alla moda, di assaporare atmosfere d’altri tempi; conoscendo un ambiente, forse meno grandioso, ma non certo meno interessante di quello delle grandi mete e ove, durante gli anni di ferro e di fuoco dal 1915 al ’18, avevano palpitato la vita e le ansie dei nostri soldati. Ci riferiamo ai massicci del Sobretta e del Gavia che, pur visibilissimi, scontano un poco la minor quota rispetto ai colossi dell’Ortles-Cevedale; fatto del resto già segnalato nella guida “Regione dell’Ortler” di Bonacossa del 1914. S e pensiamo che allora l’alpinismo era certo più attento alle vette minori di quanto sia oggi, ben possiamo comprendere come queste montagne sappiano veramente offrire scenari di silenzio e di tranquillità, difficili da trovare altrove. Ma c’è dell’altro. Il nostro itinerario si collega idealmente alla traversata escursionistica dal Gavia al Tonale; una lunga galoppata, in gran parte su sentieri militari, per conoscere un altro settore di montagne e trincee poco note e trascurate, specie da chi abita in Valtellina: le costiere dal Corno dei Tre Signori alle rupi dell’Albiolo. Ne parleremo prossimamente, per completare la lunga traversata, di cui ora descriveremo la tratta che si svolge in Alta Valtellina, proponendo un percorso non inedito - ma certo ben poco frequentato. D al ponte coperto sul Frodolfo nei pressi di piazza Magliavaca Santa Caterina (m 1734), si va a SO, si traversa la SS 300 del Gavia (sx) e si prende via Vedich, percorsa la quale si raggiunge la frazione Vedig e la si traversa su una stradella che, poco dopo, penetra nel fitto del bosco. Sottopassati gli impianti di risalita, al di là delle piste ecco l’incassato rio di Sclanera, che varchiamo al ponte dei Sospiri, poco sopra una fragorosa cascata. La stradella, tranquilla e silenziosa, continua in direzione NO nel bosco di Cornogna; noi invece prendiamo decisamente a SO un sentiero che risale lungo l’orlo del torrente. In 250 metri eccoci all’improvviso al grumo 102 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti di baite di Sclanera (m 2042), una località che, pure vicina agli impianti, con la sua architettura lignea ci fa tornare indietro nel tempo. A monte ci sovrasta la Costa Sobretta, orlata dai residui di un paio di ghiacciai; sull’opposto versante i fitti boschi di Ables, dominati dal Confinale. Trascurati altri sentieri imbocchiamo, verso SSO, un buon tracciato che ci permette di guadare il rio di Sclanera e di guadagnare l’area sciistica di Santa Caterina. ale la pena di narrare come questa zona fosse già consigliata, anche senza impianti, da pubblicazioni del TCI negli anni ‘30 del XX secolo; in seguito vi fu costruita una slittovia, rudimentale impianto di risalita che costituiva pur sempre una grande facilitazione per gli sciatori. Ovviamente non esistevano piste per- V manenti: ognuno sceglieva, tra boschi e radure, il percorso preferito! T ransitando da Plaghera di Fuori (m 2088), ci portiamo alla stazione intermedia degli impianti (m 2120 ca.); a questo punto è giocoforza continuare lungo la pista sciistica, affiancata da un tracciato per 4x4 che, aggirato il dosso Sobretta, porterà alla stazione superiore e al rifugio Sunny Valley. La pista, a tratti ripida, offre belle visuali sull’antistante valle dei Forni e sulle vette che la rinserrano; quindi ci si affaccia all’imbocco della valle del Gavia, dominata dall’inconfondibile piramide del Pizzo Tresero. Verso quota 2570, siamo nei pressi di un caratteristico fungo di roccia calcarea (targa); poco oltre eccoci sotto il dosso Sobretta (m 2617). Nei pressi Tra Sobretta e Gavia 103 Escursionismo Alta Valtellina Il sentiero militare nella vallecola calcarea del torrente dell'Alpe (13 ottobre 2007, foto Canetta). Il rifugio Sunny Valley. In lontananza a sx la cima Sforzellina e la piramide del Corno dei Tre Signori, cime che dominano il passo di Gavia. Sulla dx invece la cima di Gavia che domina la valle dell'Alpe (1 settembre 2010, foto Giacomo Meneghello). della sommità si trovano i resti delle trincee che costituivano il lato settentrionale delle fortificazioni a difesa del passo dell’Alpe e della val di Rezzalo da eventuali offese da parte degli austriaci. Particolarmente interessante il panorama, che ben chiarisce perché la posizione fosse stata scelta dai militari: la vista spazia infatti su gran parte della Valfurva, sull’antistante valle dei Forni e a S sulla valle del Gavia e le vette che la rinserrano. Continuando lungo il tracciato della pista, con un ultimo strappo si giunge al rifugio Sunny Valley 104 Le Montagne Divertenti (m 2606, ore 3), ubicato nei pressi di un laghetto artificiale e dello snodo di due tratte degli impianti sciistici. L’ambiente è d’alta montagna: macereti, barre rocciose, magri pascoli; a ONO si alzano le grandi morene lungo il graduale pendio che risale verso la sommità del Sobretta. La facile vetta è la regina di questo piccolo gruppo montuoso compreso tra la Valtellina vera e propria e il versante orografico sinistro della Valfurva. Un massiccio ancora poco frequentato, inserito solo nel 1977 nel territorio del Parco Nazionale dello Stelvio. Sull’opposto versante della valle spicca ad E la piramide del pizzo Tresero (m 3594) che, durante la Grande Guerra, fu occupata dagli italiani nel 1917. Essa costituiva un importante punto di difesa e d’osservazione, rispetto alle linee asburgiche che dominavano la valle dei Forni. Infatti dalla cima si potevano controllare quasi tutte le celebri Tredici Cime: la catena di vette, tutte oltre i 3400 metri, che unisce il Tresero al Cevedale. Verso S sono invece le rupi ferrigne della Costa di Gavia, che culmina con la cima omonima Estate 2012 Galleria militare a quota 2507 nella valle dell'Alpe (13 ottobre 2007, foto Canetta). (m 2991). Più a SO la costiera della quota 2920, che signoreggia sul sottostante passo dell’Alpe e che risaliremo nella seconda parte dell’itinerario. Ancora più oltre, la torre rocciosa del monte di Gavia (m 3223), una delle vette più attraenti delle costiere che si estendono tra il passo di Gavia e quello del Mortirolo. I nizia ora un percorso su tracce e vecchi sentieri di guerra, senza Le Montagne Divertenti indicazioni, che richiede senso d’orientamento, buona visibilità e un minimo d’attenzione. Dal Sunny Valley traversiamo, in direzione SSO, piste ed impianti di risalita sino al minuscolo specchio d’acqua di quota 2570; sul crestone antistante, con un po’ di ricerca, possiamo scoprire tratti di trincee. Dal laghetto scavalchiamo un dosso verso O, affacciandoci all’incassata valletta del torrente dell’Alpe, sempre ricco d’acqua. Il luogo è particolare poiché il ruscello traversa una potente bancata di rocce calcaree marmorizzate, dando origine a caratteristiche forme d’erosione. Il sentierino divalla, verso SE sino a raggiungere il fondo di una minuscola forra il cui sbocco domina, a mezzodì, gli ampi ripiani prativi del sottostante passo dell’Alpe. È facile osservare, sulle rupi che rinserrano il torrente, gli imbocchi di due gallerie di guerra che portano a feritoie a controllo della zona; mentre la galleria sulla dx è raggiungibile ma sconsigliabile, quella sull’opposto versante può essere visitata senza particolari problemi. Tra Sobretta e Gavia 105 Escursionismo Alta Valtellina Quot a 292 0 / rif . Bern i / rif. 2730 Bonet ta gallerie gallerie gallerie trincee Passo dell'Alpe (2461) Archeologia militare e tracciato escursionistico visti dai pressi del passo dell'Alpe (13 ottobre 2007, foto Canetta). T raversiamo il corso d’acqua su un caratteristico ponte naturale e guadagniamo il successivo testone roccioso, quota 2623. Non resta che scendere il ripido versante SO del cucuzzolo, per raggiungere - senza via obbligata - l’ampia sella del passo dell’Alpe (m 2461, ore 1), valico che collega direttamente la Valtellina alla conca di Santa Caterina. Il passo dell'Alpe era considerato un punto strategico di primaria importanza; infatti se gli austriaci, discesi a Santa Caterina, avessero forzato il passo sarebbero giunti, attraverso la val di Rezzalo, addirittura nella conca di Sondalo, aggirando ogni difesa italiana alla stretta del ponte del Diavolo. Un problema di cui si erano accorti, già nel 1859, i patrioti valtellinesi attestati alla stretta che, non a caso, avevano inviato pattuglie nell’alta val di Rezzalo per scongiurare il possibile aggiramento. Ecco allora che, nel 1915, i nostri comandi provvidero a fortificare il valico, sia con le opere appena citate, sia con trinceramenti e siepi di filo spinato di cui è abbastanza agevole scoprire l’andamento nei prati, specie osservando con attenzione dall’alto. 106 Le Montagne Divertenti Chi ha fretta può continuare direttamente (S) in direzione della sovrastante quota 2504; chi al contrario è interessato ai reperti del primo conflitto mondiale, può dedicare un’oretta a meglio esplorare la zona, spostandosi in graduale salita a mezza costa, verso E. Un buon punto di riferimento è la grotta di guerra, indicata sull’IGM alla quota 2507; nell’area si rinvengono resti di trincee e delle relative mulattiere d’accesso. Le fortificazioni del 1915 furono continuamente rafforzate durante tutto il conflitto; pertanto nel 1918 costituivano un complicato insieme di difese campali, che stavano per estendersi pure alla quota 2920 e alla cima di Gavia. La Vittoria del 4 novembre troncò ulteriori lavori e in seguito il materiale metallico fu in gran parte raccolto. Così, zigzagando tra magri pascoli e macereti, si giunge alle opere di quota 2600 ca., ove s’incontra una buona mulattiera che, alta sui ripiani di fondovalle, valica un rigagnolo che scende dalla conca sottostante la Monumento ai Caduti del San Matteo presso il rifugio Berni. Sullo sfondo il monte Gavia (13 ottobre 2007, foto Canetta). sella 2862 e risale in breve alla quota 2504. Si segue ora per un breve tratto la mulattiera che, dal passo dell’Alpe, risale sul costone che culmina alla quota 2920. A m 2550 ca. siamo ad un bivio. La mulattiera principale continua a dx, ma in più punti è danneggiata; noi imbocchiamo invece, a sx (SE), un ramo secondario che raggiunge un dosso a circa m 2600. Qui è giocoforza traversare a dx (SO) un ripido pendio di sfasciumi, per riprendere la cresta e risalirla su facili ma erte rocce sino alla quota 2737 che domina il passo dell’Alpe e la selvaggia conca sottostante la cima Gavia, frequentata da ungulati; assai interessante è la vista verso il gruppo del Sobretta. Seguendo il facile crinale raggiungiamo un intaglio ove, da O, sale quanto resta della mulattiera che avevamo prima lasciato; nei pressi sono i resti delle fondamenta di una baracca, ultime vestigia di opere belliche prima della sommità. Facili gradoni conducono alla quota 2859; poco oltre, tenendosi a sx del filo, si risale una valletta di sfasciumi che, senza difficoltà di sorta, ci guida alla quota 2920 (ore 2), termine del crestone che abbiamo appena risalito. La vista si apre improvvisa sull’alEstate 2012 tipiano del passo di Gavia, dominato dalle vette circostanti, tra le quali spicca la piramide del Corno dei Tre Signori; da qui, disponendo delle mappe d’epoca è agevole riconoscere i luoghi ove gli italiani controllavano vette e selle di queste costiere. bbiamo due possibilità: scendere direttamente al rifugio Berni1, oppure continuare verso il rifugio Bonetta e il passo di Gavia. Volendo seguire questo secondo itinerario, divalliamo brevemente su detrito minuto, poi pieghiamo a dx (SSE) percorrendo, senza via obbligata, i placidi terrazzi di macereti, morene e magri pascoli ai piedi del versante orientale dell’incombente monte Gavia. Guadagniamo così il laghetto (m 2786) e la vicina quota 2793. Verso O, è possibile scorgere ciò che resta della vedretta del Gavia: minuscolo e poco noto ghiacciaio, all’epoca della Grande Guerra ben A 1 - Dalla quota 2920 è possibile discendere direttamente al sottostante rifugio Berni. Si procede senza via obbligata, toccando le quote 2852 e 2754. Macereti, poi magri pascoli non presentano alcun problema, mentre la vista resta grandiosa sul massiccio del Tre Signori e in direzione del ghiacciaio del Dosegù. Si raggiunge così il rifugio Berni (m 2541, ore 0:30). Al di là del torrente Gavia, vi è il rifugio Gavia, realizzato poco prima della Grande Guerra e base operativa fortificata durante tutto il conflitto. Le Montagne Divertenti più esteso come mostrano le immagini del tempo. Tenendosi alla base del ripido versante di rocce e morene, pianeggiamo alle quote 2755 e 2764. Ci troviamo così all'attacco della cresta SE del monte Gavia, ove il costone va a morire tra dossi montonati e vallette. Scendiamo a S, incontrando resti di apprestamenti militari, per raggiungere senza problemi il rifugio Bonetta al passo di Gavia (m 2618, ore 1). variante: monte Gavia (m 3221) D i grande interesse e di notevole soddisfazione, è realmente il completamento di questa traversata ed ottimo inizio per il tratto successivo sino al Tonale. Richiede però un minimo di esperienza alpinistica e assenza di vertigini. Dal retro del rifugio Bonetta si imbocca la stradella militare, assai ben conservata, che compie un semicerchio nel vallone petroso tra le creste SE e SSE del monte Gavia. A quota 2720 si trascura un bivio a dx (NO), piegando verso mezzodì sino ai bivi di quota 2723. A questo punto si abbandona il percorso che divalla al lago Nero, per risalire a lenti zig zag il crestone SSE, lungo un tracciato panoramico e ben riconoscibile. Superata la quota 2853, la via diviene più incerta, trasformandosi in un sentiero, a tratti danneggiato. Poche rocce e si è sull’anticima 3083 (ore 1:45); si scende con un po’ d’attenzione ad una sella per risalire, per blocchi e facili rocce (tracce), all’anticima 3138, uno spuntone che dal passo si può scambiare per la vera vetta. Di qui la sommità appare ardita e fasciata da ripide rocce; qui termina il tratto escursionistico. Scesi ad una sella detritica, si vince il primo dei tre canali rocciosi che solcano la parete SE. Il tratto più arduo è una paretina facile ma verticale (II), cui seguono rocce più elementari ma sempre erte ed esposte. Seguendo con attenzione gli ometti, si giunge ripidamente alla spaziosa vetta del monte Gavia (m 3221, ore 0:30). Vista a 360°, interessante ed insolita sui massicci dell’Adamello e dell’Ortles-Cevedale, nonché sulle costiere del Sobretta e della Pietra Rossa. Al ritorno fare attenzione, nel primo tratto, a seguire gli ometti e le tracce di passaggio. Tra Sobretta e Gavia 107 Escursionismo Alpi Orobie Corna Bianca La gente di pianura, abituata ai grandi spazi, spesso si chiede come noi valtellinesi riuscissimo a vivere tra le montagne in paesini dove apparentemente non c'è nulla, come Corna Bianca, minuscolo maggengo della val Venina. Fabio Pusterla 108 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Corna Bianca (25 aprile 2012, foto Fabio Pusterla). Le Montagne Divertenti Corna Bianca 109 Escursionismo Alpi Orobie L a montagna è un grande libro in divenire che narra di posti, persone, arti e mestieri. Racconta di come l'uomo è riuscito a vivere (o soppravvivere) in territori apparentemente non favorevoli. Ci si metterà tutta la vita per leggerlo e non si arriverà mai a una fine, perchè ognuno di noi, con la sua esperienza e le sue ricerche, contribuirà ad ampliarlo. I nostri antenati hanno saputo interpretare questa preziosa opera e nello stesso tempo hanno composto pagine importati scoprendo nuove località a cui hanno dato un nome e da cui hanno attinto risorse. Nonostante negli ultimi decenni siano state narrate anche imprese memorabili, certi capitoli di questa storia stanno sbiadendo e con essi gli ultimi segni della presenza dell'uomo in certi luoghi. A fatica abbiamo scovato un posto particolare della val Venina lontano dalle classiche mete, un maggengo impervio e brullo, ma con molte tracce che testimoniano un attivo passato di vita rurale che oggi appare tristemente dimenticato. L asciata l'automobile nel parcheggio libero poco prima della centrale idroelettrica di Vedello (m 1000 ca.) ci incamminiamo alla volta del borgo di Venina1 attraversando l'omonimo torrente tramite un ponticello pedonale e seguendo l'antica mulattiera. Dal villaggio ci portiamo sopra le case (O) per imboccare un bel sentiero che si allontana verso N. Ci alziamo dolcemente fino a lambire una formazione rocciosa sulla quale c'è una mappa incisa nella roccia che riporta buona parte del nostro itinerario: raggiungeremo il maggengo di Bratta, ci alzeremo alle baite delle Foppe e quindi ci dirigeremo alla Corna Bianca2. roseguiamo brevemente in salita poi seguiamo il sentiero inizialmente pianeggiante di dx3. A un certo punto, mentre prendiamo quota, giungiamo a un bivio. Dobbiamo proseguire a sx, proprio in corrispondenza di di un grosso masso triangolare piantato nel terreno. Il bosco è per lo più di nocciolo, ma troviamo anche numerosi sorbi degli uccellatori e qualche bell'esemplare di faggio. Quando la vegetazione si apre, verso NO ammiriamo la Gradiscia, una formazione rocciosa dirimpetto al maggengo denominato Ronco. Durante la salita troviamo inoltre numerose piazzole localmente chiamate àai o aiài4. Si tratta di antiche carbonaie dove veniva accatastata e bruciata la legna, preferibilmente di faggio o castagno, per ottenere il carbone vegetale. Questo combustibile, assai pregiato, alimentava il forno fusore di Vedello dal quale si ricavava un'ottima ghisa. I forni in alta val Venina e in alta val Caronno servivano solo ad effettuare una prima cottura dei minerali di ferro per cui venivano alimentati a legna. Muretti a secco e piccoli recinti in pietra ci annunciano l'arrivo alla Bratta (m 1280, ore 1). Troviamo una manciata di baite ormai diroccate. Prima di raggiungerle pren- P Il portone della baita principale di Corna Bianca (27 marzo 2012, foto Fabio Pusterla). Bellezza Partenza: parcheggio nei pressi della centrale idroelettrica di Vedello (m 1000). Fatica Pericolosità - 110 Itinerario automobilistico: alla fine della tangenziale di Sondrio (direzione Tirano), prima del passaggio a livello si svolta a dx e si segue la strada provinciale fino a Busteggia. Al semaforo si prende la stradina sulla dx che sale a Pam per poi ricongiungersi all'arteria principale per Piateda Alta. Dopo circa 7 km da Sondrio si è al bivio in località Mon. Si segue sulla dx la carrozzabile che si inoltra in val Vedello fino alla centrale di Vedello (m 1000, 6 km), poco prima della quale, sulla dx sotto la carreggiata vi è un ampio parcheggio. Le Montagne Divertenti Itinerario sintetico: Venina (m 1141) Bratta (m 1280) - Baite La Foppa (m 1396) Corna Bianca (m 1389) - ponte nuovo - Vedello (m 1051) - Venina (m 1141). Tempo previsto: 2 ore e mezza. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà/dislivello: 1 su 6 / 255 m. Dettagli: E. Sentieri non bollati e purtroppo spesso invasi dalla vegetazione. Mappe: Kompass n. 93 - Bernina , 1:50000. Estate 2012 1 - Solitamente si pensa che Vedello comprenda tutte le case alla confluneza tra val Venina e val Vedello, invece il torrente Venina determina la divisione in due contrade: a E Vedello e a O Venina. 2 - Localmente chiamate Bràata, Fòpi e Còrna Blàaca. 3 - Il ramo di sx è invece una via più diretta. 4 - In particolare sul sentiero troviamo l’aiàl dul Birulì a valle (E) de la Bràata. Le Montagne Divertenti La centrale di Vedello dal sentiero per la Corna Bianca (21 aprile 2012, foto Fabio Pusterla). diamo il sentiero che sale nel bosco. Dobbiamo alzarci per un dislivello di un centinaio di metri attraversando due volte una valletta. Una volta in quota proseguiamo verso S per una bretella pianeggiante. Troviamo anche una traccia che torna verso N, ma questa ci porterebbe al Ronco5. L'uomo ha spostato una quantità enorme di pietre per ricavare piccoli prati e pascoli, oggi boschi incurati. Non è raro scorgere, tra i massi più grossi, delle piccole caverne chiamate crotti. Un tempo i pastori salivano in primavera per riempirle con la neve 5 - In dialetto locale è chiamato Rùuch, ironicamente la "risaia degli Zani" per la scarsa presenza d'acqua. che veniva poi utilizzata d'estate per la conservazione del latte. L'acqua, infatti, in questi luoghi è molto scarsa e per lo più veniva utilizzata per abbeverare il bestiame. Dopo un tratto incerto tra la vegetazione, il sentiero si incanala tra due muretti a secco e in breve giunge alle baite della Foppa (m 1396, ore 0:30). Anche qui regna un clima di abbandono: solo la baita più a S è in buone condizioni (miracolata dalla vicina caduta di un grosso abete). Ignorato il sentiero in discesa, che termina ad un piccolo bàit per la conservazione del latte, proseguiamo in leggera salita e quindi scendiamo dolcemente fino a un baitello diroccato. Notiamo qualCorna Bianca 111 Escursionismo cosa di strano: è il classico casèl del lac, ma le pietre sono insolitamente ben lavorate come se fossero destinate o state prese da qualche costruzione nobile. Per la nostra meta dobbiamo dirigerci verso S. Man mano che camminiamo scorgiamo la sagoma di una bella baita; sembrerebbe addirittura ristrutturata da poco. È la costruzione principale della Corna Bianca6 (m 1389, ore 0:15). Da vicino ci appare evidente che è un vecchio fabbricato con chiari segni di cedimento. Le pietre evidenziano una lavorazione molto curata, così come nelle vicine baite in rovina. Ci troviamo su un terrazzo prativo a picco su Venina e Vedello che offre un superbo panorama sulla val Caronno, dove fa bella mostra di sè l'arrotondata cima Soliva, e sulle alpi Retiche centrali. Possiamo scegliere se rifocillarci seduti comodamente ai tavolini in legno sistemati tra le baite, oppure se riposarci all'ombra del grande ciliegio. Più in alto c'è un altro gruppo di baite che colonizzano un versante davvero inospitale7. itorniamo al piccolo baitello diroccato ma, invece di proseguire diritti, scendiamo. In breve ci portiamo a ridosso di una roccia sulla quale, con un po' di attenzione, dovremmo trovare un bollo rosso. Subito dopo dobbiamo deviare a dx8. Tratti pianeggianti con veloci discese a tornanti ci fanno perdere quota e aggirare la formazione rocciosa che sovrasta Venina. Fortunatamente il sentiero passa su una bella cengia che offre un piacevole panorama. Passiamo sopra le baite del Dosso9, che vediamo in basso nel bosco, per poi attraversare un antico corpo franoso e infine sbucare sulla carrozzabile per Ambria nei pressi del ponte nuovo sul torrente R 6 - Il maggengo era caricato da due famiglie: i Martinolini ed i Taloni. Pare che l'ultimo ad averci portato il bestiame fosse il Tranquillo Taloni. Negli anni '60 l'Angelo Taloni e Luigi Credaro impiantarono una voliera per l'allevamento delle coturnici per effettuare una riproduzione nelle valli orobiche (testimonianza raccolta da Marino Amonini dalla figlia Pinuccia Taloni che risiede a Poggiridenti). 7 - Sulle mappe sono denominate baite Bolveggio (Bulvésc) ma in realtà solo le Masùu. 8 - Se proseguissimo per il sentiero principale scenderemmo per la via direttissima che ci porterebbe nei pressi della cartina incisa nella roccia. 9 - Dòs. 112 Le Montagne Divertenti Alpi Orobie Il forno fusorio di Vedello Franca Prandi Il forno di riduzione in alta val Venina è ancor oggi visitabile. Quello fusorio a Vedello è andato distrutto (26 ottobre 2010, foto Marino Amonini). A La mappa incisa nella roccia sopra Venina (25 aprile 2012, foto Fabio Pusterla). Venina. Qui troviamo l'unico cartello escursionistico, che comunque non ci avrebbe aiutato molto per raggiungere la Corna Bianca. Volendo possiamo fare un giro verso la vicina Ambria, altrimenti ci incamminiamo per la via del ritorno che ci permette di sciogliere i muscoli. Al di là del ponte, un paio di chilometri su strada in discesa e, poco oltre il sottopasso della condotta forzata affiancata dai binari del carrello che serve gli impianti di Scais, Zappello, Venina e Publino, ci immettiamo nella strada principale che da Vedello porta ad Agneda. Vale la pena, prima del ponte che attraversa il torrente Caronno, entrare tra le case di Vedello. All'ingresso si notano le rovine della costruzione che ospitava il forno fusore riaperto nel 1800 per fondere il ferro destinato ad uso bellico. A Vedello c'era pure la scuola, che chiuse i battenti nel 1959. Tra le ultime insegnanti si ricordano Marcella Ronconi, Ancilla De Maestri e Orsola Gaburri. assiamo dietro il grosso stabile della centrale per dirigerci verso Venina (m 1141, ore 1) e quindi P riprendere la stradina che ci porta al parcheggio. Forse l'uomo di pianura non vedrà l'ora di uscire da queste forre, ma dopo un simile viaggio avrà capito che la montagna è un luogo davvero ricco, ma dove tutto deve essere faticosamente guadagnato. ll’ingresso attuale di Vedello, a monte della stradina, sono ancora visibili i ruderi del forno di fusione del ferro. Esso era già attivo nel ‘300, quando in un atto del 1382 si legge che i figli del fu Franzino Ambria ne acquistarono una parte e mezza delle otto da Simone Quadrio. Passato di mano, nel ‘500 appartenne ai Beccaria di Masegra; in un atto di vendita del 1591 si trova la descrizione del manufatto. Il forno, del tipo cosiddetto bergamasco, era a pianta rettangolare; nella parte inferiore erano collocati i mantici azionati dall’acqua della roggia captata dal Caronno. Il minerale veniva colato nel canecchio dove il fuoco era mantenuto acceso dai mantici. Dalla bocca di carico, situata al piano superiore, si versavano a strati successivi il carbone, il minerale torrefatto, possibilmente proveniente da diverse miniere, e il grassone, cioè la pietra calcarea che facilitava la fusione. Il ferro liquefatto veniva lasciato defluire ogni due o tre ore. Il forno fu ricostruito nel 1803 dai fratelli Guicciardi di Ponte che con i loro soci producevano palle di cannone per il governo napoleonico. Lavorava cinque-sei mesi all’anno e, quando era ben riscaldato, arrivava a produrre giornalmente fino a 120 pesi di ghisa (1 peso di ghisa equivale a 8 kg) che veniva esportata a Lecco e Bènuli e zapù Lugano. Nel 1833 il forno era dismesso da tempo, perché i boschi, da cui si ricavava il carbone, erano stati distrutti. Il minerale dalla val Venina, perciò, dopo una prima riduzione sul posto, veniva condotto nella valle del Livrio, dopo un tragitto di circa 4 ore. Dovendo scollinare per il passo dello Scoltador, il dislivello veniva superato per mezzo di 4 o 5 argani distribuiti lungo il fianco della montagna, dalla cima della quale veniva inviato al forno per mezzo di un canale in legno. Chiuso anche il forno fusorio della valle del Livrio, il minerale venne trasportato all’altoforno di Premadio, in Valdidentro, che operò fino al 1875. Franca Prandi Venina (16 maggio 2010, foto Marino Amonini). P Tracce di vita pastorale: el cavalét de la grasa (25 aprile 2012, foto Fabio Pusterla). Estate 2012 ochi, fra quanti non sono del posto, si ricordano che Boffetto e Piateda fino al 1867 hanno costituito due entità comunali ben distinte, pur possedendo in comunione pascoli e alpeggi. Quella che sembra una realtà omogenea, come l’intera asta della val Venina, in effetti amministrativamente era molto frammentata. Agneda e Vedello appartenevano a Boffetto; Ambria, Venina e tutta la parte inferiore della valle a Piateda. Le alpi indivise venivano godute o Le Montagne Divertenti affittate ad anni alterni. Prima della costruzione delle opere di captazione delle acque e della centrale di Vedello, da parte della Falck, i due piccoli nuclei di Venina e Vedello erano ben distinti: il primo a O della Venina e il secondo a S del Caronno. Entrambi vantano origini molto antiche: nel 1250 è testimoniata “Riccabella de Vedello della Val d’Ambria”, mentre nel 1385 è ricordato "Betino fu Zanne de la Venina". A partire dagli anni Cinquanta non sono più abitati permanentemente; infatti i residenti si sono spostati tutti nel fondovalle, ma vi ritornano frequentemente, in tutte le stagioni, e soprattutto d’estate. Con grande orgoglio portano i loro soprannomi: quelli di Venina sono definiti li bènuli, cioè le donnole, mentre quelli di Vedello i zapù, ovvero i picconi. Difficile è risalire all’origine di tali appellativi, che si perde oramai nella notte dei tempi! Vedello e Venina 113 Rubriche valtellinesi nel mondo Patagonia y Tierra del Fuego Testi e foto Luciano Bruseghini Le Torri del Paine si stagliano all’orizzonte, viste dalla Laguna Amarga (9 novembre 2011). Tra i primi occidentali che visitarono la Patagonia e la Terra del Fuoco vi fu Charles Darwin. Egli non poteva sapere che molte culture che avrebbe incontrato sarebbero sparite di lì a poco, non perché convertite alla "civiltà", ma perché cancellate dalla devastazione ambientale, dalle malattie portate dagli occidentali e dall'imposizione di uno stile di vita loro estraneo. Genti che oggi avrebbero molto da insegnarci su come vivere in simbiosi con l'ambiente naturale. Tra questi vi erano anche gli Yaghan, popolazione che si sviluppò nell’estremo lembo meridionale del continente americano tra l’Argentina e il Cile. 114 Le Montagne Divertenti Il mio viaggio in compagnia di Valeria alla scoperta di questo territorio è suddiviso in varie tappe, dove momenti prettamente turistici si alternano a giorni di trekking per toccare da vicino le bellezze di queste terre. Partiamo da Ushuaia, cittadina in stile norvegese, con le case multicolori e il limite della neve appena sopra l’abitato. Il suo nome è di origine Yaghan, significa "baia che penetra a ovest", ed è la città più australe del mondo: 54° e 46' di latitudine sud, oltre che la capitale della Terra del Fuoco, dell'Antartide argentino e delle isole dell'Atlantico del sud. È situata ai piedi dei monti Martiales, sopra la costa settentrionale dell'omonima baia, bagnata dall’acqua del canale di Beagle che unisce gli oceani Atlantico e Pacifico. Il punto dove oggi sorge la città era il centro della regione occupata dagli Yaghan e si possono ancora distinguere tracce della loro passata presenza: i pozzi circolari, avvistabili dall'aereo e, sparsi un po' ovunque, i monticoli formati dalle conchiglie vuote dei molluschi che gli indigeni mangiavano in grandi quantità. Il Parco Nazionale della Terra del Fuoco è una delle attrattive principali di questa zona. Per raggiungerlo, ci rechiamo verso ovest, passando dalla stazione del trenino de la fin del mundo. Costruito dai prigionieri che qui scontavano le loro pene, sfruttato un tempo per il trasporto del legname, è oggi impiegato a scopo turistico. Nel secolo scorso infatti Ushuaia era una colonia penale molto utilizzata; non servivano particolari misure di sicurezza, perché questa era una terra sperduta e disabiEstate 2012 tata per centinaia di chilometri. Proseguendo oltre la stazione raggiungiamo l’inizio del trekking Senda Costera. Prima di intraprenderlo passiamo dall’ufficio postale più meridionale del mondo (ubicato addirittura su un molo all’interno della Bahia Ensenada) per apporre timbri commemorativi sul passaporto e spedire cartoline. Attacchiamo la camminata di otto chilometri fino alla Bahia Lapataia, costeggiando l’oceano all’interno di un bosco di lenga - tipica pianta della Terra del Fuoco, simile alla betulla, l’unica che riesce a sopravvivere al clima estremo di questa zona. Godiamo di scorci paesaggistici veramente suggestivi con insenature protette e piante variopinte in fiore. Notiamo escrescenze arancioni, a forma di piccola palla, che crescono sui tronchi e sui rami degli alberi: sono Le Montagne Divertenti funghi di cui un tempo si cibavano gli indigeni Yaghan. Per completare la visita della zona bisogna assolutamente fare un giro in battello nelle gelide e metalliche acque australi. All’uscita del canale di Beagle, appena si entra nell’oceano, le violente correnti sballottano l’imbarcazione come un fuscello, ma fortunatamente quando si arriva al largo tutto si calma. Passiamo accanto all’Isla de los Lobos dove vediamo numerosi leoni marini sdraiati al sole: le femmine assomigliano alle foche, mentre gli enormi maschi sfoggiano una criniera degna dei loro omonimi africani. Sullo stesso isolotto vi è anche una popolosa colonia di cormorani imperiali, grandiosi uccelli bianchi e neri che coi loro stridii fanno un fragore assordante, e di cormorani rossi, più piccoli dei precedenti, che devono il loro nome alla vistosa macchia infuocata attorno all’occhio. Proseguendo verso sud raggiungiamo lo scoglio su cui è posto il simbolo di Ushuaia: un vistoso faro rosso e bianco che indica la via del porto ai naviganti in queste acque agitate nel sud del mondo. Al rientro compiamo una breve escursione all’isola Bridge. Visioniamo i siti occupati dagli indigeni prima dell’arrivo degli europei. Notiamo degli avvallamenti circolari di cui non riusciamo a definire l'origine. La guida ci spiega che qui sorgevano le capanne; il fatto che il terreno sia rialzato è dovuto all'abitudine di gettare all’esterno delle capanne i dermoscheletri dei molluschi che mangiavano, fino a circondare completamente la struttura. I Yaghan vivevano senza indumenti, cospargendosi la pelle con il grasso dei Patagonia y Tierra del Fuego 115 Rubriche Valtellinesi nel mondo Le guglie bicrome dei Cuernos del Paine (9 novembre 2011). Uno stormo di cormorani imperiali riposa al sole su uno scoglio dell'Isla de los Lobos (6 novembre 2011). Leoni marini e cormorani sono i padroni incontrastati dell'Isla de los Lobos (6 novembre 2011). leoni marini, preda assai ambita. Gli europei li costrinsero a vestirsi; c'è anche chi sostiene che i tessuti creassero un microclima inadeguato al loro metabolismo e ciò fu una delle cause della loro estinzione. Lasciata Ushuaia si imbocca l’unica strada che porta verso nord passando per il passo Garibaldi (m 430), nelle cui vicinanze sorgono gli impianti sciistici di Cerro Castor, dove anche gli atleti italiani vengono ad allenarsi quando da noi è estate. Oltrepassata la cittadina di Rio Grande, ci dirigiamo verso il Cile, attraversando la dogana a S. Sebastian. La legge cilena è molto severa e vieta l’importazione di prodotti di origine vegetale e animale da altri paesi, ma da buoni italiani non possiamo fare a meno del Grana e quindi rischiamo. Fortunatamente non ce lo trovano, sicché potremo goderne durante i nostri trekking. Il bus prosegue attraverso la campagna cilena, su strada sterrata, tra verdi colline ammantate di immensi greggi di pecore e fattorie isolate, sotto un cielo tanto blu da sembrare finto. Finalmente, dopo tre ore, arriviamo a Punta Delgada e ci imbarchiamo sul ferry boat per valicare lo stretto 116 Le Montagne Divertenti di Magellano, scorciatoia per passare dall'Atlantico al Pacifico, individuata nel 1520 dal navigatore portoghese che gli ha dato il nome. Salutiamo la Terra del Fuoco e ci accingiamo ad entrare in Patagonia. Lungo il breve trasbordo di 15 minuti, siamo scortati da simpatici delfini di Commerson, bianchi e neri, che nuotano di fianco al traghetto e sembra vogliano darci il benvenuto. Nel tardo pomeriggio raggiungiamo Puerto Natales, piccolo e affascinante villaggio di pescatori che sorge sulle rive di un incantato fiordo oceanico. Negli ultimi anni ha visto svilupparsi il comparto turistico grazie alla vicinanza del Parco Nazionale delle Torri del Paine. Il giorno seguente, sempre in bus, ci rechiamo nel Parco Nazionale delle Torri del Paine per alcuni giorni di trekking, in cui ammireremo da diverse angolazioni gli eleganti pilastri di granito che si innalzano sulle steppe della Patagonia. Dopo una breve sosta a laguna Amarga per immortalare le tre guglie simbolo del parco, raggiungiamo il porto di Pudeto. Da qui in battello navighiamo sul lago Pehoe per un’oretta fino al rifugio omonimo, dove inizia il nostro trekking di tre giorni. Gli zaini sono un po’ pesanti perché dobbiamo portarci tutto il necessario per sopravvivere in completa autonomia: tenda, sacchi a pelo, vestiti, fornelletto e cibo di vario genere. Costeggiamo il lago Scottsberg immersi in una foresta di lenga e cespugli con fiori rosso fuoco e dopo due ore sbuchiamo al Campamento Italiano dove pernotteremo in tenda. Abbandonati gli zaini, risaliamo la valle dei Francesi in direzione del Campamento Britannico per una breve escursione che ci porta ad ammirare il lago Nordenskjold e i picchi bicolori dei Cuernos del Paine. Al mattino ripartiamo per il Campamento Torres. Guardando gli orari indicati sulla mappa dovremmo farcela in circa dieci ore. Immaginiamo già la fatica per compiere questo lungo tragitto carichi come muli, ma la cosa è sopportabile visto lo stupendo paesaggio che ci circonda. Il sentiero inizia nel bosco, poi pian piano si abbassa fino a costeggiare il lago Nordenskjold dal colore verde smeraldo. Sembra di essere su una spiaggia caraibica, se non fosse per l’acqua gelida e poco invitante Estate 2012 Le Montagne Divertenti Patagonia y Tierra del Fuego 117 Rubriche La riserva della laguna Nimez, nei pressi del lago Argentino, è un'oasi naturale per numerose specie d'uccelli (11 novembre 2011). Tipica sfida fra gaucios argentini (11 novembre 2011). Il ghiacciaio del Perito Moreno, uno dei più famosi e affascinanti ghiacciai al mondo (12 novembre 2011). Le maestose Torri del Paine, fiore all’occhiello della Patagonia cilena (9 novembre 2011). al bagno! Il sentiero risale e ci conduce al rifugio Los Cuernos, posizionato proprio ai piedi delle imponenti guglie bianche e nere. Il tracciato si addentra poi nella valle del Rio Ascenzio, dove assistiamo alle acrobazie di uno stormo di condor. Giungiamo quindi al rifugio Cileno. Non ci fermeremo qui per la notte - la nostra vacanza low cost non ce lo permette - per cui proseguiamo fino al Campamento Torres (m 550) dove piazziamo la tenda. Sono le 14.30: abbiamo impiegato solamente sette ore e mezza invece delle dieci preventivate. Si vede che il passo malenco è migliore di quello cileno! Certo la stanchezza si fa sentire, ma basta il tempo di rizzare la tenda che recuperiamo un minimo di energia, cosicché decidiamo di puntare al Mirador Torres (m 900) per gustare da vicino un incredibile spettacolo della natura. 118 Le Montagne Divertenti Saliamo faticosamente per quaranta minuti tra grossi massi e terreno instabile, ma appena scollinati restiamo a bocca aperta: davanti a noi appaiono in tutto il loro splendore le tre Torri del Paine, lambite da una grande laguna verde smeraldo. Siamo talmente stanchi e appagati che ci appisoliamo al sole sopra un grosso masso. La sveglia ce la dà l’abbassamento di temperatura quando il sole tramonta dietro le guglie. Ripartiamo l'indomani alla volta di Puerto Natales. Un ultimo spettacolo ce lo riserva il lago Sarmento dal colore blu cobalto con lo sfondo delle Torri del Paine e Los Cuernos. Questo parco nazionale cileno è veramente una meraviglia della natura per le forme, i colori e i contrasti e ora capiamo perché richiama così tanti visitatori da tutto il mondo. Salutato il Cile rientriamo in Argentina per dirigerci verso la cittadina di El Calafate, nei pressi della quale si trova il famoso ghiacciaio Perito Moreno. Nel tardo pomeriggio visitiamo la riserva di laguna Nimez dove nidificano numerose specie di uccelli. Tra tutti spiccano i fenicotteri rosa, fermi in mezzo a un laghetto con la testa sott’acqua alla ricerca di cibo. Tira un forte vento ma finché c’è il sole il clima è ottimo. Dopo il tramonto però la temperatura scende in picchiata. In serata assistiamo al Die de la tradicion, una festa popolare che si tiene allo stadio. Vi sono dei gaucios (i cowboys argentini) che si sfidano a cavallo: il povero quadrupede viene imbavagliato e legato ad un palo. Uno sfidante vi sale in groppa e quando l'animale Estate 2012 viene liberato, il concorrente deve cercare di restare in sella il più possibile per vincere la competizione. È una cosa veramente spettacolare, ma mai quanto un choripan, il tipico panino con salsiccia e verdure. Oggi è il giorno del Perito Moreno, uno dei più grandi ghiacciai del mondo. Percorriamo un’ottantina di chilometri in bus e costeggiamo il lago Argentino, fino a giungere al dosso dove sorge il Mirador Los Sospiros. Capiamo subito perché questa postazione è così definita: vedendo l’immensità e la spettacolarità del ghiacciaio patagonico che si getta nel lago Argentino, non possiamo che rimanere a bocca aperta ed emettere un sospiro di meraviglia. Delle passerelle pedonali ci permettono di accostarci ulteriormente: nel punto più vicino Le Montagne Divertenti siamo a una trentina di metri. Com'è noto, l’enorme massa di ghiaccio, cozzando contro la penisola di Magellano, divide in due il “Brazo Ricco” del lago e così facendo limita l’apporto idrico al troncone più meridionale che attualmente si trova circa cinque metri più in basso rispetto al braccio settentrionale. Quando il dislivello aumenta di molto, l’enorme pressione dell’acqua spacca la barriera con immenso fragore e il livello dei due bacini s'appiana. Il Perito Moreno avanza di circa due metri al giorno e questa sua spinta provoca spettacolari crolli di iceberg grandi come automobili, con tonfi assordanti che catturano l'attenzione di migliaia di turisti. Lungo trenta chilometri e largo cinque, ha un’altezza variabile tra i quaranta e i settanta metri. Alle cinque siamo di ritorno in città; giusto il tempo di fare un po’ di shopping e recuperare i bagagli, perché alle sei e mezza parte il bus per il villaggio di El Chalten, dove avvieremo un altro minitrekking. Il meteo va peggiorando: è molto nuvoloso e tira un vento pazzesco, e anche il bus nel suo tragitto rettilineo sbanda pericolosamente. Il vento continua a soffiare per tutta la notte. All'alba le cime montuose sono avvolte da nuvoloni grigi, carichi di pioggia e neve. Rinviamo di un giorno l'inizio del trekking, in attesa che le condizioni atmosferiche migliorino. L'indomani ci svegliamo che pioviggina e tira vento; le cime sono ancora nascoste, ma stabiliamo di partire lo stesso perché le previsioni danno miglioramenti dal pomeriggio. Puntiamo al Campamento Poincenot, ai piedi della catena montuosa del Fitz Roy, con le cime frastagliate che si innalzano nella zona settentrionale del parco Los Glaciares. La pioggia ci sferza il volto, ma non molliamo. La situazione migliora quando il sentiero si addentra nel bosco, dentro il quale avvistiamo due picchi intenti a bucherellare un tronco in cerca di larve; la femmina è completamente nera, mentre il maschio ha le piume della testa rosse. Nei pressi v'è anche un falchetto, appollaiato su un ramo, che attende che i picchi facciano cadere qualcosa a terra con cui cibarsi a sbafo. Dopo tre ore di scarpinata raggiungiamo l’accampamento e piazziamo la tenda. Nel primo pomeriggio il cielo si apre, così decidiamo di salire ai m 1100 della laguna Los Tres. Siamo proprio ai piedi dell’immensa parete sud del Fitz Roy che finalmente si mostra in tutta la sua imponenza, Patagonia y Tierra del Fuego 119 Rubriche L'alba sul Fitz Roy (15 novembre 2011). imbiancato da una spruzzata di neve fresca. Le nuvole che si addensano sulla sua cima lo fanno sembrare un vulcano. Non c'è da stupirsi quindi che i primi abitanti della zona avessero chiamato questo picco El Chalten (“montagna che fuma”). La prima visione di questi meravigliosi pinnacoli merita un festeggiamento, sicché decidiamo di cenare con degli ottimi pizzocheri liofilizzati. L'indomani ci svegliamo alle cinque e mezza per tornare alla Laguna Los Tres e godere dello spettacolo del Fitz Roy tinto della luce calda dell'alba. Lungo la salita il vento soffia con sempre maggior impeto, tanto da piegarci e buttarci quasi a terra. Ma la vista del Fitz Roy, infine, ripaga ancora una volta la fatica. Sostiamo un’ora e mezza al riparo tra grossi massi ad ammirare questa meraviglia delle Ande. Smontata la tenda ci rimettiamo in moto verso il Cerro Torre, bizzarra guglia di roccia che si innalza in mezzo ai ghiacci. Costeggiamo la grande laguna Madre e la più piccola laguna Figlia, sui cui bordi ci foraggiamo. Una curiosità di queste lagune è la potabilità dell’acqua, data la sterilità dell'ambiente circostante. 120 Le Montagne Divertenti Il Cerro Torre (16 novembre 2011). Entrati nella valle che conduce al Cerro, rimaniamo basiti per l'incredibile via vai di gente, dovuto naturalmente al forte richiamo turistico esercitato da questa spettacolare montagna. Piazzata la tenda al Campamento De Agostini, decidiamo di raggiungere il Mirador Maestri, da cui scattare un po’ di foto più da vicino. Fa molto caldo: è la prima volta che siamo in maglietta e la cosa non ci dispiace. n ci dispiace affatto. Saliamo alla laguna anche la mattina seguente all'alba - non si può certo dire che le nostre vacanze siano riposanti. Inizialmente la cima del Cerro Torre è coperta, ma con il passare dei minuti le nuvole si dissolvono svelando un quadro sbalorditivo: la montagna con cappello di neve e ghiaccio si specchia perfettamente nella laguna. Fatte le trecento foto di rito, rientriamo verso l’accampamento. Lungo la via, assistiamo all’attraversamento di un grosso torrente da parte di alcuni turisti accompagnati da guide locali. Indossata un'imbracatura agganciata a una carrucola, si lasciano scorrere su una fune tesa fra due enormi massi situati sulle rive opposte. È l'ora di ritornare nella civiltà. Carichi di belle esperienze, raggiungiamo il villaggio di El Chalten, dove passiamo la notte. Al mattino ci accoglie una giornata da sogno, che ci invoglia a restare in questo bellissimo posto, ma il nostro viaggio è ancora lungo e ci attende un trasferimento in bus da paura. Ad attenderci è la mitica “Route 40” che taglia verticalmente l’Argentina, dalla Patagonia a sud fino al confine con la Bolivia a nord. Siccome ci sono molti cantieri per ampliarla e sistemarla, siamo costretti spesso a procedere lungo una strada sterrata parallela. Alle sette e mezza, dopo un viaggio interminabile di oltre dieci ore e 500 chilometri, siamo a Perito Moreno, cittadina isolata nella pampa argentina, unico punto di appoggio per visitare la Cueva de las Manos Questo sito è famoso per le pitture rupestri rappresentanti le mani (e infatti a ciò deve il suo nome) di un popolo indigeno, probabilmente progenitori dei Tehuelche, vissuto fra i 13000 e i 9500 anni fa. La datazione è stata effettuata non sulle pitture, che essendo Estate 2012 di origine minerale non si prestano a questi tipi di analisi, bensì sui resti degli strumenti (ossa cave) usati per applicare il colore alla roccia. Per accedere all'area occorre scendere nel canyon de Las Pinturas, superare il torrente che scorre sul suo fondo, quindi risalire il versante opposto. Lungo una parete al riparo dal sole e dalle intemperie possiamo finalmente ammirare queste antiche rappresentazioni. Le immagini delle mani sono spesso in negativo e appartengono prevalentemente ad adolescenti, forse in relazione a un qualche rito di iniziazione. Vi sono pure scene di caccia, esseri umani, lama, nandù, felini e altri animali, nonché figure geometriche e rappresentazioni del sole. Il soffitto è cosparso di puntini rossi, ottenuti probabilmente immergendo nell'inchiostro le bolas (palle attaccate a una corda e utilizzate per la caccia) lanciate poi verso l'alto. I colori usati variano dal rosso (ottenuto dall'ematite) al bianco, al nero e al giallo. Nel 1999 la Cueva de las Manos è stata inserita nell'elenco dei Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO. Riprendiamo il viaggio in direzione est, verso l’Atlantico. Lungo questo tratto sorgono numerosi pozzi di petrolio e così capiamo perché qui la Le Montagne Divertenti Un ponte poco convenzionale (16 novembre 2011). Le mani della Cueva de las Manos (18 novembre 2011). Patagonia y Tierra del Fuego 121 Rubriche Valtellinesi nel mondo Le balene concedono la loro performance migliore quando si immergono compiendo un tuffo a spruzzo alzando la coda al cielo (22 novembre 2011). benzina costi meno della metà che da noi! A partire da Comodoro Rivadavia il paesaggio si fa spettacolare: alla nostra destra s'apre l'oceano. Alle sette e mezza siamo a Trelew e, come si compete a dei veri malenchi, non prendiamo un taxi, ma camminiamo per la città carichi come muli fino all’hotel. Alle otto del mattino il signor Edoardo della “Patagonia rent a car” ci consegna l’auto prenotata la sera precedente: una Gol 1.6 grigia (non ho dimenticato una “f ”, si chiama proprio così il modello prodotto nei paesi dell’America latina!). Fatta la spesa per due giorni, imbocchiamo la Route 3 in direzione sud verso Punta Tombo per visitare la famosa pinguinera. Lungo la strada incrociamo diversi armadilli che camminano imperterriti a bordo strada. Entrati nella riserva visitiamo il bellissimo museo relativo alla storia dei pinguini, dopo il quale siamo pronti ad andare in spiaggia per l'incredibile spettacolo di migliaia di pinguini di Magellano (i guardiani dicono mezzo milione), alti circa cinquanta centimetri, che vengono qui a deporre le uova e allevare i piccoli finché non sono in grado di prendere il mare. 122 Le Montagne Divertenti All’interno di piccole buche, protette dagli arbusti, vediamo le madri che riscaldano e cibano i piccoli pulcini appena nati. A rallegrare l’ambiente vi sono anche tantissimi piccoli roditori che si muovono velocissimi. In serata raggiungiamo Puerto Piramides, nella penisola Valdes, e piazziamo la tenda in spiaggia. Il giorno seguente facciamo il giro della penisola in macchina. Prima tappa Punta Delgada. La strada è tutta sterrata, ma il fondo è ben tenuto quindi viaggiamo comodamente a 70-80 km/h. Lungo il tragitto avvistiamo parecchie sperdute fattorie e animali particolari come nandù (molto simili agli struzzi) e mara (piccoli porcellini che invece di camminare saltellano), poi cavalli e le innumerevoli e immancabili pecore! Alle undici siamo al faro di punta Delgada. Purtroppo tutta la zona è proprietà privata e quindi non ci fanno entrare. Riusciamo solamente a rubare alcuni scatti dall’esterno. Proseguiamo per Caleta Valdes con la strada che ora corre parallela alla scogliera a picco sull’Atlantico. Sostiamo brevemente a osservare i numerosi elefanti marini appisolati sulla spiaggia e poi via per Punta Norte, il posto Un branco di cavalli nella penisola Valdes (21 novembre 2011). più settentrionale della penisola. Appena rientrati a Puerto Pirammides, prenotiamo l’uscita in barca per avvistare le balene. Prendiamo il largo alle sei, imbacuccati nei giacconi ed armati di giubbotto salvagente. Siamo su un piccolo battello con circa quindici persone a bordo, pilotato da un vero lupo di mare. Nelle due ore che navighiamo avvistiamo una cinquantina di esemplari, alcuni più lontani, altri che vengono addirittura a cozzare contro l’imbarcazione. Ci sono parecchie madri con i loro piccoli. Piccoli per modo di dire, visto che già alla nascita sono lunghi circa sei metri. Questa specie, la balena franca australe, da adulta arriva a diciotto metri di lunghezza e ha un peso medio di 55 tonnellate. Non ancora stanchi ci rechiamo a Gaiman, un piccolo villaggio di origine Gallese distante diciassette chilometri da Trelew. La sua particolarità sono le case da tè, dove ogni pomeriggio è tradizione bere del tipico tè gallese. Non sapendo quale locale scegliere, seguiamo le indicazioni di un cartello molto appariscente con un drago rosso, simbolo del Galles. Così finiamo in una struttura immersa nel bosco dove Estate 2012 nel 1995 anche la principessa Lady Diana sorseggiò il liquido ambrato. Il posto si chiama Ty Te Caerdydd (casa da tè gallese) e l’interno è veramente curioso: foto e stoviglie di ogni tipo esposte in bacheche come in un museo. All’entrata ci accoglie una cameriera che ci informa della tariffa fissa di 80 pesos -circa 15 euro-, ma il motivo di questo costo un po' elevato è presto chiarito: insieme ad un litro di tè caldo ci vengono offerti nove spicchi di torta, tre biscotti, quattro fette di pane con il burro, due ciotole di marmellata e cinque sandwich. Ne avanziamo anche per la cena e la colazione del giorno successivo! Il nuovo giorno ci riserva però una spiacevole sorpresa: il nostro volo per Buenos Aires è stato annullato a causa di uno sciopero. Ci rechiamo perciò alla stazione dei bus ad acquistare i biglietti per il pullman di mezzogiorno diretto alla Capital Federal. L’autobus è molto accogliete e ci permette di dormire abbastanza confortevolmente durante la notte. Il primo impatto con la capitale non è dei migliori: il traffico è opprimente e ci fa tardare di due ore sulla tabella di marcia. Lasciati i bagagli in ostello, facciamo un giro a piedi nella Le Montagne Divertenti zona del centro e del porto. È un'area moderna, di recente ristrutturazione, con alberghi e ristoranti. Nella piazza antistante la Casa Rosada (sede del presidente della repubblica) assistiamo alla sfilata delle Madri de Plaza de Mayo. Sono mamme, sorelle e parenti dei desaparecidos della dittatura degli anni ottanta: ogni giovedì pomeriggio sfilano in corteo per sollecitare il governo a fornire informazioni sui propri cari. Gettiamo poi lo sguardo sul quartiere di Palermo, con le sue belle case e i parchi, e di Boca, più malfamato e decrepito con il caratteristico stadio giallo in cui gioca il Boca Juniors. Ci fermiamo presso l’immenso obelisco che sorge al centro della strada più larga del mondo: sette corsie per ogni senso di marcia! Infine visitiamo il cimitero della Recoleta per rendere omaggio alla tomba di Evita Peron, uno dei monumenti più visitati di Buenos Aires. Ma è ora andare in aeroporto dove ci attende il volo che ci riporterà in Italia. Che dire. Il viaggio in Patagonia e nella Terra del Fuoco è un'avventura fantastica. La bellezza selvaggia della natura, le cime frastagliate, i fiumi impetuosi, le lagune blu, gli immensi ghiacciai sono testimonianze di uno spettacolo primordiale, quando l'uomo non aveva ancora sciupato il pianeta. Una coppia di pinguini di Magellano si scambia effusioni (20 novembre 2011). Patagonia y Tierra del Fuego 123 Agriturismando Rubriche Lascia un segno. Sezioni comunali della Provincia di Sondrio AVIS di Bormio 0342 902670 • AVIS di Caspoggio 0342 451954 • AVIS di Chiavenna 0343 67297 AVIS di Lanzada 0342 452633 • AVIS di Livigno 334 2886020 • AVIS di Morbegno 0342 610243 AVIS di Poggiridenti 0342 380292 • AVIS di Sondalo 0342 801098 • AVIS di Sondrio 800593000 124 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Una guida per l'utente che vuole avere un approccio corretto all'agriturismo e alla ristorazione in genere, dove "piatto tipico" e " km 0" dovrebbero essere dei sinonimi Le Montagne Divertenti Agriturismando 125 Rubriche L a bellezza di un territorio è strettamente legata al modo in cui l'uomo ne trae sostentamento. Paesaggi armoniosi che trasmettono serenità sono quelli dove si utilizzano principalmente risorse rinnovabili e questo sfruttamento viene fatto con criterio e rispetto. Nelle nostre valli il turismo intelligente ricerca le tradizioni e la genuinità del paesaggio, apprezzando così agricoltura e pastorizia di montagna: coltivazioni e allevamenti di specie adatte al territorio alpino, rispettosi di tempistiche lente e con uso limitato della chimica (toséc). Di fatto il prezzo dei prodotti che ne derivano non è competitivo con quello di merci analoghe ottenute da colture intensive; ma se capiamo la profonda differenza qualitativa, allora riusciremo anche a giustificare il sovrapprezzo, comunque già ridotto in conseguenza del taglio della filiera di intermediari e dei costi di trasporto. Uno dei maggiori produttori biologici svizzeri in una conferenza ha illustrato il paradosso della società moderna, la quale tende a risparmiare fino all'osso sul cibo, comperando dalla grande distribuzione prodotti in offerta di bassa qualità e di dubbia origine, per poi acquistare grosse automobili e altri beni che le assillanti campagne pubblicitarie hanno reso psicologicamente necessari o addirittura indispensabili. Studi scientifici, invece, confermano che il benessere di una persona è legato alla qualità del cibo che mangia, più che alla cilindrata della vettura che guida o ai pollici del televisore che ha in salotto. È risaputo: allevamento e agricoltura intensiva implicano l'utilizzo di sostanze e procedure indiscriminate per aumentare la produttività e quindi abbassare i costi, il tutto a sfavore della salute di chi quei prodotti li consuma. I soldi spesi in cibo di qualità non sono mai sprecati e mangiare bene si riflette positivamente sul nostro umore, oltre che sulla nostra salute. Una lodevole iniziativa per favorire il settore primario e la filiera corta è stata l'introduzione degli agriturismi, che dovrebbero permettere agli utenti di consumare pietanze ottenute con ingredienti prodotti in prevalenza nella fattoria stessa. Purtroppo capita che dietro al nome di "agriturismo" si nascondano dei ristoranti specializzati in cibi fatti con ingredienti reperiti chissà dove al termine di una gara al sotto costo. Quindi agriturismo non è affatto sinonimo di genuinità, perché su questa denominazione i soliti furbi e senza scrupoli hanno speculato per ottenere contributi e altre agevolazioni. Si sono eletti a piatti tipici valtellinesi sciàt e pizzoccheri, ma facendo un'indagine si constata che spesso in ciò che viene servito c'è ben poco di Valtellina, sia nel formaggio degli sciàt, che nelle farine e nelle patate per i pizzoccheri, che addirittura nel vino. Ciò è una beffa per chi mangia e un grave danno per il territorio, dal momento che agricoltori e allevatori non trovano un mercato adeguato per i loro prodotti. È così nata l'idea di questa rubrica, che non vuole essere tanto un premio per chi fa le cose bene, quanto una guida per avere un approccio corretto all'acquisto e al consumo di alimenti, dove "prodotto tipico" e "km 0" dovrebbero essere sinonimi. In Valtellina esistono ambienti dove si mangia e si compra cibo genuino, ma non ci sono ancora criteri oggettivi per individuarli. 126 Le Montagne Divertenti Ad esempio nel formaggio l'erba mangiata dalla mucca, la temperatura, la stagione di caeseficazione incidono fortemente su sapore e consistenza. L'eterogeneità del sapore può anzi essere indice di genuinità e deve essere intesa come un pregio, una particolarità e non certo un difetto; - chiedete sempre vino della casa o della zona; in genere è quello che meglio si abbina ai piatti tipici; - chiedete l'acqua del rubinetto che in Valtellina è sempre ottima, economica e non fa inutilmente movimentare mezzi e gettare involucri; Semele N ei prossimi numeri vi presenteremo qualche esempio virtuoso, senza pretesa di esaustività: due amici dall'identità segreta stanno facendo un campionamento sporadico di attività commerciali per poi parlarvi di alcune tra quelle che hanno superato il test del "km 0". Ovviamente gli esaminati non sono al corrente di nulla, né vengono prese in considerazione segnalazioni esterne (tangenti, intimidazioni o raccomandazioni). Agriturismo: istruzioni per l'uso Ecco alcuni suggerimenti per vivere con consapevolezza la vostra avventura in agriturismo: - informatevi sempre sulle materie prime utilizzate per il piatto che vi viene servito. Un valido oste è a conoscenza sia della provenienza degli ingredienti, sia di come questi siano stati prodotti (trattamenti, annata, ...); - non pretendete mai l'uniformità del sapore di una stessa portata da una volta con l'altra: le produzioni contadine non sono certo standardizzate, ma il loro gusto varia perché dipendente da molti fattori mutevoli. Agriturismando - preferite agriturismi di piccole dimensioni e che non vantano pietanze esotiche nel menù; - non fermatevi ai soliti piatti turistici standard (sciàt, pizzoccheri, chiscioi ...), ma chiedete anche qualcosa di casalingo; - preferite sempre la qualità del cibo alla quantità, o tornerete a casa col mal di testa; - verdura e frutta fresca devono essere sempre di stagione; - se possibile chiedete di visitare allevamento, orti e cantina per apprezzare dove è stato prodotto e conservato ciò che avete mangiato. Estate 2012 S emele, personaggio della mitologia greca poco conosciuto, è la madre del dio Bacco, nato da una sua relazione clandestina con il possente Zeus. In Valtellina, in particolare a Regoledo di Berbenno in via Parini 74, Semele è anche il nome di un grazioso agriturismo. Prendendo la strada che da Regoledo di Berbenno porta a Monastero si passa per i caratteristici vicoletti in mezzo ai quali, in seguito al recupero di un vecchio fienile trasformato in sala con grande camino, soppalco e tetto in legno a vista, è nato l'agriturismo. Vi consigliamo di visitarlo la sera, momento in cui l'illuminazione della struttura fatta di legno, sasso e vetro con un arredamento alla moda vegia, crea un effetto molto speciale. Semele è strettamente legato all'attività principale di Gregorio, il proprietario, il quale è viticoltore e con i suoi cinque ettari di vigneto garantisce il vino all'agriturismo, mentre le materie prime genuine provengono dall'allevamento e dalla macellazione dei maiali, che tiene nel piano di Berbenno, nonché dai vicini orti. Gregorio vi propone: il prosciutto, la coppa, la lonza, i cacciatori, le salsicce, le costine, i salami, la mortadella, i cotechini, le vedure dell'orto, il filetto di maiale con le mele, ma la sua specialità esclusiva è la zuppa asciutta. Una ricetta che la nonna gli cucinava quando era bambino e che ora lui prepara con successo ai suoi ospiti. Quello che ci ha colpito sin dalla prima volta è che Gregorio propone i piatti che la sua famiglia mangia nella quotidianità e di cui egli stesso produce gli ingredienti, piuttosto che i "classici" della cucina valtellinese. Il proprietario apre Semele solo su prenotazione (tel. 339 1270190), dovendo dedicare le proprie energie principalmente a campagna e animali. La conduzione, infatti, è familiare e talvolta è lo stesso Gregorio a cucinare e servire le portate. Gli ingredienti di produzione non diretta, se possibile, vengono acquistati nelle aziende vicine. SPECIALITÀ INGREDIENTE 1 INGREDIENTE 2 km TOTALI zuppa asciutta verza dell'orto (0 km) formaggio acquistato da Azienda Agricola Codazzi Daniele a Villapinta (2 km) 2 filetto di maiale con le mele maiale (0 km) mele dell' Azienda Agricola Badorini di Polaggia (2 km) 2 Le Montagne Divertenti Agriturismando 127 Rubriche Il mondo in miniatura Uno stagno è come uno scrigno che racchiude un’incredibile varietà di forme di vita. In estate specialmente è un vero brulicare di insetti, larve, pesci, girini e altri anfibi. Quando si osserva la superficie dell’acqua stagnante l’attenzione viene subito catturata da quei bizzarri “ragnetti” dalle zampe lunghissime che corrono veloci sull’acqua. Sono molto dinamici e perciò difficili da osservare e da fotografare. Come faranno a spostarsi in questo modo senza affondare? A PELO D'ACQUA Il Gerride (Gerris sp.) scivola sulla superficie dell’acqua sfruttandone la tensione superficiale (25 marzo 2012, foto Paolo Rossi). Matteo Di Nicola, collega naturalista e appassionato di erpetologia e fauna minore, ci aiuterà a svelare i segreti di questi particolarissimi organismi, che vengono chiamati impropriamente ragni… · Si tratta di insetti rincoti (o emitteri), sottordine eterotteri, quindi parenti stretti delle cimici, e costituiscono la famiglia a se stante dei gerridae. I ragni invece appartengono a tutt’altra classe, gli aracnidi, e si riconoscono principalmente per il fatto di possedere otto zampe contro le sei degli insetti. Alessandra Morgillo A proposito di zampe: osservando bene le due anteriori sembrano molto diverse dalle altre. Come mai? I gerridi in generale sono zoofagi, cioè si nutrono di altri organismi. Questi possono essere già morti, per esempio insetti caduti in acqua, oppure prede vive, come larve di altri artropodi che risalgono in superficie per respirare, che vengono cacciate attivamente. Il Gerride (Gerris sp.) è un insetto acquatico (25 marzo 2012, foto Paolo 128pattinatore Le Montagne Divertenti Rossi). Estate 2012 Le zampe anteriori sono molto più corte e raptatorie: hanno la funzione di catturare e immobilizzare le prede dopo che sono state individuate grazie alle vibrazioni che esse propagano sulla superficie dell'acqua. consente a questi insetti di spostarsi rapidamente sull’acqua con il tipico movimento a scatti, guadagnando anche più di un metro con un singolo scatto. Per forare l'esoscheletro delle loro vittime i gerridi si servono di uno speciale apparato boccale pungente-succhiatore a forma di rostro che a riposo è tenuto ripiegato sulla parte ventrale. Le altre due paia di zampe invece servono a dare la spinta propulsiva che Sono insetti nuotatori o “camminano” sull’acqua? · Vengono definiti pond skaters, insetti pattinatori. Non nuotano né galleggiano ma sono semplicemente appoggiati sulla superficie dell’acqua, sfruttandone la tensione superficiale. Le Montagne Divertenti Cosa significa? · La superficie libera dell’acqua è come trattenuta da un’invisibile pellicola, risultato dell’effetto combinato di due forze antagoniste, di adesione e di coesione, che agiscono a livello molecolare nell’elemento liquido. Grazie anche alla leggera peluria idrofuga, cioè imbevuta di sostanze oleose idrorepellenti, che riveste le estremità delle lunghe zampe e al peso relativamente leggero, l’insetto scivola su questa pellicola senza bagnarsi nè affondare. A pelo d'acqua 129 Rubriche Amici NATUR...ALI Alessandra Morgillo Molto diffusi sono anche gli insetti acquatici predatori appartenenti al genere Notonecta che presentano un particolarissimo sistema di locomozione: sfruttano anch’essi la tensione superficiale, ma si muovono a pancia in su appena sotto il pelo dell’acqua. È eccezionale come le specie viventi sappiano adattarsi all’ambiente in cui vivono. · È vero! Ma anche in questo caso l’uomo potrebbe compromettere gravemente il delicato equilibrio naturale. I detersivi tensioattivi, per esempio, rompono o diminuiscono la tensione superficiale, perciò l’inquinamento modifica drasticamente l’ambiente di vita di questi e di tanti altri animali legati all’acqua, mettendone a rischio la stessa sopravvivenza. Notonetta con preda (Coccinella 7-punctata). Le coccinelle sono assolutamente inappetibili per la gran parte dei predatori. Ciò è confermato anche dal loro colore aposematico, ma non per gli emitteri come le notonette che, grazie al robusto rostro, attaccano ogni sorta di insetto, così come girini e persino anfibi adulti, e può infliggere all'uomo punture dolorose (28 maggio 2011, foto Matteo Di Nicola). 130 Le Montagne Divertenti Il corpo si è adattato al nuoto, grazie ad una modificazione che ha reso le robuste e lunghe zampe posteriori simili a pagaie. Ma se le notonette vivono sotto la superficie dell’acqua, come fanno a respirare? · Grazie ad un sistema molto curioso, utilizzato anche da altri artropodi. Sull’addome possiedono dei peli rigidi che trattengono delle bolle d'aria, così, quando si immergono, il loro corpo è circondato da aria. Una volta esaurito l’ossigeno Che specie possiamo incontrare le notonette fanno emergere l’apice nelle nostre acque stagnanti? · Tra dell’addome e immagazzinano nuove i gerridi le specie più comuni sono bolle rinnovando la provvista d’aria. Aquarius najas, Aquarius paludum, Una curiosità: seppur passano le Gerris thoracicus, Gerris costae, Ger- giornate nuotando, a volte di notte ris lacustris e Gerris maculatus; molto escono spontaneamente dall’acqua e simili ai gerridi sono anche le idrome- si alzano in volo per migrare da una tre, che “passeggiano” più lentamente zona umida all'altra, assomigliando sul pelo dell’acqua e per questo predili- vagamente a delle cicadelle. gono acque molto ferme. Estate 2012 Le Montagne Divertenti Volo di notte dell’orecchione alpino (Plecotus macrobullaris). Le specie del genere Plecotus (5 in Italia) sono caratterizzate da padiglioni auricolari estremamente sviluppati, aventi una lunghezza quasi pari a quella corporea (circa 5 cm) Pipistrelli 131 (29 settembre 2011, foto Marco Colombo). Rubriche Fauna Rinolofo Minore (Rhinolophus hipposideros) dopo il pasto (22 aprile 2011, foto Marco Colombo). Solo a sentirli nominare a molti corre un brivido lungo la schiena e nell’immaginazione prendono forma orribili topastri volanti che nel buio insidioso della notte planano rovinosamente sulla testa delle persone con il disdicevole intento di attaccarsi ai capelli e non staccarsi più. Protagonisti di questa e di molte altre false leggende, i pipistrelli non hanno mai goduto di buona fama e la cattiva nomea di creature pericolose è diffusa e continua a perseguitarli. Il loro aspetto un po’ bizzarro, le abitudini notturne e i numerosissimi inquietanti racconti letterari e cinematografici che, con la sola eccezione di Batman, li dipingono come terrifici anti-eroi, hanno potenziato la paura e la diffidenza nei loro confronti. Non capita di rado, infatti, di assistere a vere e proprie scene di panico quando, a causa delle finestre lasciate spalancate le sere d’estate, qualche sventurato pipistrello finisce per sbaglio dentro casa. Superato il grande spavento iniziale ci si allerta per scacciare l’intruso: di solito si impugna la scopa e, non prima di aver indossato, a mo’ di elmetto o bandana, un copricapo di fortuna, si interpretano improbabili danze attorno al lampadario, inseguendo lo sfarfallio del malcapitato, la cui ombra intanto si proietta, ingigantita e minacciosa, sulle pareti della stanza. Non è facile riabilitare l’immagine dei pipistrelli, né sovvertire o smentire radicalmente tutte le credenze popolari che persuadono a temerli ed allontanarli, ma è bene sapere che sono animali selvatici innocui e le 132 Le Montagne Divertenti Pipistrello albolimbato (Pipistrellus kuhlii). Uscita dal riparo diurno (13 luglio 2007, foto Marco Colombo). 35 specie presenti in Italia sono tutte protette dalla legge (L. 157/1992, L. 104/2005, D.P.R. 357/1997 e 120/2003), pertanto non solo è illegale far loro del male, ma anche catturarli o detenerli, nonché disturbarli o distruggere i loro rifugi. Fortunatamente oggi i pipistrelli stanno riacquistando una più dignitosa considerazione e popolarità. Si sente spesso parlare di questi animali che vengono studiati con rinnovato interesse: servizi al telegiornale e articoli sui quotidiani attribuiscono ad essi l’appellativo di antidoto naturale contro l’invasione delle zanzare e sono persino in commercio i rifugi artificiali (bat-box), ovvero cassettine di legno che si appendono alle pareti esterne degli edifici o al tronco degli alberi per poterli ospitare nei pressi delle abitazioni. In diverse città hanno preso il via campagne di sensibilizzazione a favore della salvaguardia dei pipistrelli, in linea coi programmi dell’Anno Internazionale del Pipistrello (Year of the Bat 2011-2012), in cui molti paesi del mondo stanno organizzando ini- ziative per promuovere la conoscenza di questi preziosi animali. Mettiamo per un momento da parte i pregiudizi e proviamo ad osservare con incondizionata curiosità questi stravaganti capolavori della Natura. Sarebbe riduttivo definirli solo come l’egregio risultato di una sofisticata evoluzione. Essi, infatti, sono forse la più straordinaria prova dell’efficiente e strabiliante fantasia con cui la Natura plasma la vita, nella continua ricerca della soluzione migliore, ai limiti dell’impossibile. Un mondo a testa in giù · Non esiste alcun mammifero in grado di compiere volo attivo. Nessuno, eccetto i pipistrelli. L’uomo è riuscito a conquistare il cielo grazie al suo ingegno, imitando, con la tecnologia, le caratteristiche degli uccelli, i veri padroni dell’aria, gli unici vertebrati a possedere le ali. Ma il corpo dei mammiferi è ricoperto da peli e pelliccia, mentre le penne rimangono prerogativa esclusiva degli uccelli; com’è dunque posEstate 2012 sibile librarsi in volo in mancanza di una struttura morfologica adeguata? Qui entra in gioco la paziente evoluzione che, alimentata dalla necessità di questi insettivori di catturare prede volanti, ha avviato una lenta trasformazione, durata milioni di anni, che ha modificato gli arti superiori e li ha resi strumenti di volo. Una membrana di pelle sottile e resistente, detta patagio, unisce le dita della “mano”, che sono diventate estremamente lunghe e sottili, con il lato del corpo e gli arti posteriori. Il termine scientifico “Chirotteri” con cui vengono chiamati i pipistrelli deriva dal greco cheir, cioè mano, e ptéron, ala, e riassume perciò con efficacia tale peculiarità. Nel nostro paese vivono solo pipistrelli appartenenti alla categoria dei microchirotteri, che presentano dimensioni ridotte (5-7 cm di lunghezza, 20-25 cm di apertura alare e dai 5 ai 15 grammi di peso) e sono per la maggior parte grandi mangiatori di insetti. Esistono anche i megachirotteri, che possono anche superare il metro di apertura alare, ma Le Montagne Divertenti IL FOTOGRAFO Le splendide immagini a corredo di questo articolo sono scattate dal fotografo naturalista Marco Colombo (www.calosoma.it). Nato nel 1988 e laureato in Scienze Naturali presso l’Università degli Studi di Milano, inizia a fotografare nel 19992000. Tra i suoi soggetti preferiti si annoverano rettili e anfibi, invertebrati e organismi subacquei, oltre a uccelli, mammiferi e orchidee spontanee, ritratti con ottiche varie, da grandangolari a macro e teleobiettivi Nikon. Sue foto e articoli sono stati pubblicati su diverse riviste scientifiche e divulgative; è inoltre coautore di due libri e due mostre fotografiche. Alcuni suoi scatti hanno ricevuto menzioni speciali o vinto in concorsi internazionali, incluso il Veolia Environnement Wildlife Photographer of the Year 2011. In alto la natrice (Natrix natrix), immagine con cui Marco ha vinto il primo premio nella categoria “ritratto animali” del concorso Wildlife Photographer of the Year 2011, indetto dal Natural History Museum di Londra in collaborazione con il BBC Wildlife Magazine. Pipistrelli 133 Rubriche Fauna vivono nelle zone tropicali del vecchio mondo e si nutrono quasi tutti esclusivamente di frutta. L’adattamento al volo giustifica anche un’altra strana abitudine di questi animali: quella di stare appesi a testa in giù. Ciò è frutto di un compromesso, che risponde alla necessità di alleggerirsi per consentire a quelle “mani trasformate” di sostenerli in aria. Zampe posteriori forti e robuste, adatte a vincere la forza di gravità e sorreggere l’animale una volta a terra, sarebbero state un inutile fardello durante il volo, così si sono parzialmente atrofizzate e specializzate a garantire, grazie ai robusti artigli, un saldo e sicuro appiglio ai più svariati supporti. Nottola di Leisler (Nyctalus leisleri), tipica specie di bosco, si nasconde nelle fessure e buchi dei tronchi (8 settembre 2011, foto Marco Colombo). La più straordinaria tra le peculiarità di questi singolari animali è senz’altro la capacità fuori dal comune di muoversi anche in totale assenza di luce. Un mistero che ha da sempre affascinato studiosi e scienziati e, solo nell’Ottocento, dopo l’invenzione di apparecchi elettronici in grado di rivelare suoni che si trovano fuori della gamma di frequenze percepibili dall’udito umano, venne dimostrato che i pipistrelli si orientano grazie all’ecolocalizzazione. Si tratta di un raffinato sistema basato sull’emissione di ultrasuoni e sulla ricezione dell’eco di ritorno. Grazie a questa dote geniale riescono a schivare con sicurezza anche i più piccoli ostacoli e a catturare in volo prede minuscole, senza aver bisogno della vista, peraltro molto scarsa, quanto piuttosto di un udito speciale. Le grandi orecchie sono in grado di captare e decodificare il segnale acustico che poi il cervello traduce in una sorta di mappa mentale che riproduce nei dettagli l’ambiente circostante. Un po’ come fa il sonar di una nave quando scandaglia il fondale marino. Davvero eccezionale, no? Perché i pipistrelli sono utili? · In qualità di predatori naturali di insetti, i chirotteri tengono effettivamente sotto controllo il loro proliferare, compreso quello delle fastidiosissime zanzare. È stato provato che in zone dove si sono insediate colonie di pipi- 134 Le Montagne Divertenti strelli la quantità di insetti è considerevolmente diminuita. Poter contare sul contributo di questi preziosi alleati significherebbe poter garantire l’integrità e la qualità dell’ambiente. L’uso massiccio di pesticidi chimici, infatti, oltre a inquinare l’ambiente, a lungo termine risulta inefficace perché gli insetti superstiti diventano via via più resistenti ai trattamenti. Inoltre gli insetticidi di sintesi che vengono nebulizzati non sono selettivi e uccidono tutti gli insetti, non solo quelli nocivi, avvelenando anche i loro predatori e l’intera catena alimentare. Assai comuni nell'ambiente urbanizzato, ma particolarmente sensibili alle modificazioni ambientali, i pipistrelli negli ultimi decenni sono in diminuzione. Inoltre, con la modernizzazione dei vecchi edifici, le specie fessuricole, cioè che amano insediarsi in anfratti e spazi angusti, riscontrano sempre maggiori difficoltà a trovare luoghi idonei dove trascorrere il riposo diurno e il letargo invernale. Offrire loro rifugio mettendo in posa una bat-box, ha un significato che va al di là del concreto supporto ad animali che da sempre vivono a stretto contatto con noi, ma che ora vedono Estate 2012 la loro stessa esistenza gravemente minacciata dalle attività antropiche. In questo gesto risiede anche il nobile intento di suscitare una sempre maggiore sensibilità di fronte alle attuali tematiche ambientali, nonché di far conoscere e, quindi, imparare ad apprezzare e rispettare anche quelle creature che per tradizioni ingiustificate non riscontrano molta simpatia, ma che, invece, possono considerarsi "indicatori biologici" della qualità ambientale, in quanto con la loro presenza certificano la salute e l’integrità del territorio, ricoprendo un ruolo fondamentale nell’ecosistema. Le Montagne Divertenti PER APPROFONDIRE "Amici natur...ali" è un libretto didattico-divulgativo rivolto principalmente ai bambini e alle loro famiglie con l'obbiettivo di far conoscere i principali antagonisti naturali dei fastidiosi insetti nocivi, tra cui la famigerata zanzara tigre: le rondini e i pipistrelli. Le sue pagine offrono tante curiosità, giochi e informazioni utili, tra cui le istruzioni per istallare una bat-box e consigli per una convivenza serena con queste specie selvatiche comuni nelle nostre città. L’opuscolo è scaricabile dal sito del Comune di Brescia (nella sezione dedicata alla zanzara tigre, area gestione del territorio - settore ambiente), oppure al link: www.csnb.it/soci/morgillo.htm Pipistrelli 135 Rubriche o d e alla Poesia in dialetto di Albosaggia - zona Torchione di Paolo Piani Poesie dialettali carriola In principio c’era “il gerlo”: In principio c’era la gerla Quàata fadìga la pora géet!!! Quàati strozzàdi sensa sintiméet!!! Carghi de roba sura la schena, gopp come àsén, quàata la pena! Quanta fatica la povera gente! Fatiche sovrumane senza senso! Carichi pesanti sulle spalle, gobbi come asini, quanta pena! Ol cool fò lónch come chél de ‘n strüz, ol fiàat cà al vée cà sü dal canarüz, pesanc’ i pass, al cröva i giönöc’: na vita da ‘ngürach gnàa ca ‘n ciöc’! Il collo tirato come quello di uno struzzo, il fiato che non esce dalla gola, pesanti i passi, le ginocchia che cedono, una vita da non augurare neanche a un pidocchio! Ol Signór a idìi i so pori fiöi cunciac’ péc’ che a Pasqua i ‘gnöi, en ciel al gh’a fac’ ol disegn con li stèli: na carèta granda e una piscìna: propi beli! Il nostro Signore a vedere i suoi figli, conciati peggio che a Pasqua gli agnelli, in cielo ha disegnato uno schizzo con le stelle: il grande ed il piccolo carro: simili alla carriola! Poi hanno inventato la carriola: Poi hanno inventato la carriola. Sant chèl óm, cà dal ciel al t’ha copiàda: con la röda davanti a cercàa strada, e du mànech derét fàcei da olsàa par portà i püsè gran pées sensa s-ciopà. Santo quell’uomo che in cielo ti ha copiata: con la ruota davanti a cercare strada, e dietro due manici per alzarla facilmente, e portare pesi ancora maggiori senza scoppiare. Ecco la cariola: de ogni atrèzzi ol püsè dégn, sia ca la gh’àbes la röda de goma, sia de légn, gran ristoro de li fadìghi umàni: sarìs da fat di na mèsa tüti li sitimàni! Ecco la carriola: di ogni attrezzo il più degno, sia che abbia la ruota di gomma che di legno, gran ristoro alle umane fatiche: meriterebbe una messa di ringraziamento a settimana. En poo a la olta, ai t’a ‘mbeletàda, coi miglior matériai a-i t’a stampada : de legn, de fèr, de plastega, de lamèra, sèmpre püsè bèla, sèmpre püsè lengéra! Un po’ alla volta l’hanno resa sempre più bella, con i migliori materiali l’hanno stampata: di legno, di ferro, di plastica, di lamiera, sempre più gradevole, sempre più leggera! E infine: l’evoluzione della specie: E infine, l’evoluzione della specie: Tanto l’era bèla la tua forma e tanti li virtù, ca la gh’a sügerìt notra idea a ‘n gran striù: metèmech en motòr che va a miscèla, fasemèch la gabìna col post da mèt la mèla, Tanto era bella la tua forma e tante le virtù, che hai suggerito un’idea innovativa ad una testa fina: mettiamogli un motore che va a miscela, facciamogli la cabina, con porta attrezzi per la roncola, tachemèch ol casù con li trèi spóndi, e par giònta anca la targa con sü Sóndri: ed ecco creàt iscè dal nient en bel miraggio: tùlìi gió ol capèl davànti a l’Ape Piaggio! 136 Le Montagne Divertenti aggiungiamogli il cassone con le tre sponde, e per giunta anche una targa di Sondrio: ed ecco creato quasi dal nulla un gran miraggio: togliete il cappello davanti all’Ape Piaggio! Estate 2012 Le Montagne Divertenti Poesie dialettali 137 Rubriche 138 Le Montagne Divertenti CLICK d'estate Estate 2012 Dati EXIF Recensione Autore / Giacomo Meneghello Data di scatto / 11 agosto 2011 Ora di scatto / 19.30 Fotocamera / Canon EOS 7D Obiettivo / EF24-70mm f/2.8L USM Lunghezza focale equiv. / 36mm Tempo di esposizione / 1/80 sec Apertura del diaframma / f.9 ISO / 200 In montagna è sufficiente trovare una piccola pozza d’acqua per creare un’immagine incantevole. Giacomo in questo caso ha atteso nei pressi del passo di Gavia che il lago andasse in ombra per esaltare la specchiata. L'imponente ghiacciaio alla base della cima piramidale del corno dei Tre Signori aumenta l’importanza dello scatto, mentre il cielo è ornato da alcuni sbuffi di nuvole. Una brezza leggera accarezza il lago, rompendo il riflesso perfetto a favore di un effetto più mosso e sfumato. Le Montagne Divertenti L'arte della fotografia 139 Rubriche Dati EXIF Recensione Autore / Enrico Minotti Data di scatto / 8 luglio 2008 Ora di scatto / 16.30 Fotocamera / Nikon D300 Obiettivo / Nikkor AF DX Fisheye 10.5mm f/2.8G ED Lunghezza focale equiv. / 16mm Tempo di esposizione / 1/125 sec Apertura del diaframma / f.22 ISO / 200 Quello catturato da Enrico è uno dei momenti più magici che l'alta montagna ci possa regalare: la pace di un lago in perfetta quiete. Purtroppo è un momento anche molto raro, poiché in genere la calma piatta tipica del primo mattino lascia celermente il posto alle brezze pomeridiane, che increspano i laghi alpini distruggendo il riflesso perfetto. Lo scatto ha inoltre un tono molto cromatico, dovuto all’erba verdissima e alla neve ancora presente sulle cime che disegna il riflesso nel lago. I cumuli nel cielo, allungati dalla distorsione dell'obiettivo fortemente grandagolare, incorniciano la composizione sia nel mondo reale, che nella realtà riflessa. Lo specchio d'acqua immortalato è stato certamente riconosciuto da molti lettori: è il meraviglioso lago di Angeloga, situato in valle Spluga in amena posizione sotto la mole del pizzo Stella (nel centro dell'immagine) e vicino al rifugio Chiavenna. Lo si raggiunge da Fraciscio, paese di villeggiatura del fotografo che qui trascorre le sue vacanze sin da quando era bambino. 140 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti Dati EXIF Recensione Autore / Beno Data di scatto / 27 giugno 2010 Ora di scatto / 11.55 Fotocamera / Pentax K10D Lunghezza focale equiv. / 27mm Tempo di esposizione / 1/1000 sec Apertura del diaframma / f.8 ISO / 100 Una buona fotografia è anche quella che documenta qualcosa di eccezionale. In queste circostanze, la presenza di buone condizioni di luce è certamente cosa gradita al fotografo, ma non costituisce un fattore di fondamentale importanza. La foto di Beno, scattata nel fantastico contesto dei laghetti di Sassersa, ai piedi del pizzo Rachele in Valmalenco, è certamente bene inquadrata, ma soffre la piattezza della luce di mezzogiorno. Tuttavia ciò non inficia lo scatto che deve la sua forza alla rara occasione di immortalare un temerario che fa il bagno nell'acqua di disgelo. L'arte della fotografia 141 Speciali Foto dei lettori - il miglior fotografo Da Scermendone. Bizzarre nuvole sopra la cima Averta o Vicima (29 agosto 2011, foto Alfredo Costanzo). Ruttico gomme MANDA LE TUE FOTOGRAFIE Dal 1967 ti aiuta a guidare sicuro Due sezioni dedicate ai nostri lettori: • una che premia il fotografo più bravo tra quelli che pubblicheranno i loro scatti inerenti i monti di Valtellina e Valchiavenna sul forum accessibile dall'indirizzo: www.clickalps.com/forum-montagna . Due delle sue foto verranno pubblicate con recensione e scheda di presentazione del fotografo. • una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate a [email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo. Gli scatti migliori che ci sono pervenuti negli ultimi 3 mesi sono di: IL FOTOGRAFO LA FOTOGRAFIA (recensione di Roberto Ganassa) Mi chiamo Alfredo Costanzo. Sono originario di Menaggio, ma ora abito a Grandola ed Uniti, un grazioso paesino nelle sue vicinanze, in provincia di Como La passione per tutto ciò che concerne la montagna mi accompagna da sempre. Ho cominciato a scattare foto con una macchina compatta, che mi ha permesso di cogliere i momenti più significativi delle mie escursioni, facendomi appassionare sempre più alla fotografia. Da circa due anni ho acquistato una reflex più professionale e da allora la porto sempre con me. Mi piace “raccontare con le immagini” l’ambiente della montagna, con le sue caratteristiche naturali e antropiche, cercando scorci che spesso riflettono peculiarità che stanno scomparendo. A volte non è indispensabile esibire una grande tecnica per portare a casa un bello scatto, basta essere al posto giusto al momento giusto. In questo caso il nostro lettore Alfredo ha scelto una giornata con aria limpidissima per andare a fare un’escursione sulle Alpi Retiche, precisamente sopra l’alpe Scermendone. Le montagne in oggetto si trovano tra la valle di Sasso Bisolo e la val di Mello, nel comprensorio della val Màsino. Uno dei soggetti principali di questo scatto sono le nuvole che, stirate dal vento, disegnano il cielo: senza di loro la foto avrebbe perso sicuramente molto del suo fascino. Altra cosa fondamentale per realizzare uno scatto buono come questo è l’orario. Si nota benissimo che qui siamo nel tardo pomeriggio, quando le luci sono radenti, le ombre si allungano e donano così tridimensionalità alla foto aumentando l'incisione di creste e canali. PNEUMATICI PER AUTOVETTURA, MOTO, AUTOCARRI E AGRICOLTURA TAGLIANDI, MECCANICA, AMMORTIZZATORI E FRENI MOLLE E KIT SPORTIVI, DISTANZIALI E CERCHI IN LEGA RIPARAZIONE GOMME E CERCHI BILANCIATURA E CONVERGENZA ASSISTENZA SUL POSTO OFFICINA MOBILE CONVENZIONI CON LE MAGGIORI FLOTTE D’AUTONOLEGGIO Montagna in Valtellina (SO) fine tangenziale direzione Bormio tel 0342/215328 fax 0342/518609 e-mail [email protected] www.rutticogomme.191.it 142 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori 143 le foto dei lettori Rubriche CINA Nicola Buzzetti, 24 anni, è di Sondrio. Da settembre 2011 vive e lavora in Cina a Changzhou, dove insegna italiano in una scuola superiore cinese. In Italia era solito leggere Le Montagne Divertenti, e qualche mese fa i suoi genitori, insieme a cibo italiano e qualche regalo, gli hanno inviato un numero della rivista, che ha subito portato in classe (1 aprile 2012). TOSCANA Paolo e Ines a Figline Valdarno per il Raduno Registro Storico Renault 4 (5 giugno 2011). FIRENZE MAIELLA Le classi 3B e 4B dell'Istituto tecnico Geometri di Sondrio in viaggio di istruzione a Firenze (28 marzo 2012). Gruppo del Cai Valmalenco (Enrico, Daniela, Dorico e Luciano) sul monte Focalone, nel gruppo della Maiella (11 aprile 2012). DOTTORE! DOTTORE! Le Montagne Divertenti è l'ospite speciale della festa di laurea di Davide Bettini (16 marzo 2012). VALSASSINA Francesca al rifugio Sassi Castelli ai Piani di Artavaggio (25 febbraio 2012). GRAN ZEBRÙ Gigi Testini in vetta al Gran Zebrù (31 marzo 2012). 144 Le Montagne Divertenti CUBA Franco e Loredana durante la loro esplorazione del parco nazionale di Vinales (patrimonio Unesco) (febbraio 2012). KENYA Maurizio nel villaggio di Pisikisho con una famiglia della tribù dei Burana, nel Kenya del Nord (24 gennaio 2012). Estate 2012 Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori 145 le foto dei lettori Rubriche CARAIBI Le Montagne Divertenti sono andate in crociera in compagnia di Anna e Otto, Anita e Walter, Vilma e Sandro (27 gennaio 2012). ISRAELE Yotam e Eynav nel deserto di Israele (4 febbraio 2012). ETNA Paolo, Milvia, Eliana, Domenico, Fulvio e Giovanni poco sotto la cima dell'Etna (17 marzo 2012). AFGHANISTAN Carlo in compagnia dei suoi collaboratori afghani (5 gennaio 2012). MALDIVE Enrica e Paolo alle Maldive (17 febbraio 2012). ANDE Francesco, Michele, Roberto e Chiara, colleghi della Banca Popolare di Sondrio e compagni di viaggio nel tour della Patagonia (10 febbraio 2012). I GIOVANI CANTORI GIUSEPPE FUMASONI I Giovani Cantori Giuseppe Fumasoni di Berbenno di Valtellina a Roma; dopo aver cantato in piazza del Vaticano hanno avuto udienza dal Santo Padre (15 marzo 2012, foto Flavio Forzi - Photo Service Castione). 146 Le Montagne Divertenti Estate 2012 CUBA Cristian e Mauro a Trinidad de Cuba (2 dicembre 2011). Le Montagne Divertenti VALTELLINA Una ciaspolata in notturna a Prato Valentino con Le Montagne Divertenti (9 marzo 2012). Le foto dei lettori 147 le foto dei lettori Rubriche SVEZIA Ingrid in giro con gli sci nel Muddus National Park, nelle vicinanze del Circolo Polare Artico (4 marzo 2012). RUSSIA - PETROZAVODSK PIZZO DI PRATA Fabio, Mirko, Stefano, Mara e la "guida" Daniele sul pizzo di Prata (26 giugno 2011). GRANDE ATLANTE Oreste, Dino, Gabry, Lorenzo, Beltra, Franca, Cesarino, Ale e Maria sulla cima del Toubkal (m 4165) (6 marzo 2012). Lago Onega. Katerina Shlapeko, organizzatrice di "Hyperborea winter festival" (festival delle sculture di neve), indossa la maglietta de Le Montagne Divertenti donatale dalla squadra italiana. BANGLADESH LONDRA Corrado Tavelli alla maratona di Londra 2012. RUSSIA Eliana e Nemo Canetta nel gelo della loro amata Russia (11 gennaio 2012). NEPAL Mario Gianola al campo I dell'Ama Dablam, il Cervino dell'Himalaya (7 novembre 2011). Padre Luigi Paggi, Renata e Tita in compagnia di alcuni tribali Munda su una barca all'ingresso della foresta del Sunderban, quella della Tigre del Bengala (17 aprile 2012). VALTELLINA Sergio sulla strada per l'alpe Rogneda. VALMALENCO I bambini della scuola dell'infanzia "Don Gatti" di Caspoggio in visita alla miniera della Brusada Ponticelli (27 aprile 2012). 148 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori 149 le foto dei lettori Rubriche soluzioni del n.20 Vincitori e Ma ch'el? vinti L'oggetto in questione è la pestarola utilizzata per la lavorazione delle castagne. "Detto anche spacagus (rompigusci) o spacacastegne, era utilizzato per separare i gusci o le bucce delle castagne dalla polpa, per procedere a successive lavorazioni, quali la trasformazione in farina con un pestello in un apposito mortaio. A seconda della stagionatura del frutto, più tardi vennero introdotti mulinelli che affinavano il processo di separazione dei residui dalla castagna che andava in macina" (spiegazione di Ivan Andreoli). In particolare, l'attrezzo fotografato è stato reperito da Mauro De Bernardi a Albosaggia. I vincitori sono: 1- Alessandro Piani di Albosaggia 2- Ivan Andreoli di Poggiridenti 3- Simone Nonini di Sorico 4- Enrico Gottifredi di Dubino 5- Giovanni Rovedatti di Morbegno VIETNAM Eleonora e Mimmo alla fine di un mese di viaggio nel Vietnam; la foto è stata scattata presso il delta del Mekong, nella parte meridionale del paese (25 marzo 2012). Che scimma ì-è? OROBIE Giuliana e Francesco Marveggio in vetta al pizzo Redorta (28 marzo 2012). CINA Le cime ritratte nella fotografia di Enrico Minotti sono (risposta sufficiente per essere considerata valida): - le cime dei pizzi dei Piani (m 3148 e m 3158); - il pizzo Ferrè (m 3103). SERMIG I vincitori sono: Veronica e Sergio: anche le ferrate (peraltro facili) della montagna sacra Huashan sono divertenti! (6 marzo 2012). Alcuni ragazzi degli oratori dell'Alta Valle di ritorno dal campo invernale al Sermig, l'Arsenale della Pace di Torino (1 gennaio 2012). 1- Enrico Gottifredi di Dubino 2- Sergio Proh di Mossini 3- Maria Azzimondi di Sondrio 4- Simone Nonini di Sorico 5- Lino Tenni di Tirano Hanno inoltre indovinato (sono inseriti i nickname dove il concorrente non ha firmato col proprio nome): Giovanni Rovedatti, Giulia Bertolini, Pippirippi, Davide Della Morte, Bruna Sarotti, Gianfra, Fabrizio Franzini e Bazzialbe. VAL MÀSINO Paolo, Rolando, Emiliano, Alessandro mostrano Le Montagne Divertenti al bar La Bregolana (“La Baracca”) in val Màsino (31 dicembre 2011). 150 Le Montagne Divertenti Estate 2012 Le Montagne Divertenti Giochi 151 Giochi Che scimma i-è? Questa volta non sarà facile! Qual'è la vetta più alta ritratta in questa fotografia? Ai 2 più veloci dalle ore 21:00 del 28 giugno 2012 una foto stampata su tela (altezza 70 cm - già con telaio e supporti). La foto può essere scelta tra quelle presenti sul sito www.clickalps.com e riguardanti le montagne di Valtellina e Valchiavenna o tra quelle presenti sull'ultimo numero della rivista. Il 3° classificato avrà cappellino e maglietta de “Le Montagne Divertenti”, il 4° e il 5° un libro tra quelli disponibili sul sito www.lemontagnedivertenti.com. Scrivi la tua risposta sul forum “Che scimma i-è?” accessibile da www.lemontagnedivertenti.com/concorsi Ma ch'èl? Sei pratico di vecchi utensili? Dimmi allora come si chiama e a cosa serve quello qui fotografato. I 2 più veloci dalle ore 21:00 del 26 giugno 2012 vinceranno un buono acquisto di 50 euro da spendersi presso uno degli inserzionisti presenti all'interno di questo numero della rivista, il 3° classificato riceverà cappellino + maglietta de "Le Montagne Divertenti", il 4° e il 5° un libro a scelta tra quelli disponibili sul sito www.lemontagnedivertenti.com. Scrivi la tua risposta sul forum “Ma ch'èl? ” accessibile da www.lemontagnedivertenti.com/ concorsi ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE Le Montagne Divertenti Giochi 153 Rubriche lE RICETTE DELLA NONNA Le ortiche gusto pungente Testi e foto Fabrizio Picceni e Laura Terraneo V Chi non ha mai avuto a che fare con le ortiche? Spesso odiate, non tutti sanno che oltre a pungere, hanno proprietà nutritive che ne fanno un pregiato alimento. L'ortica è alta fino a 2 metri, predilige luoghi umidi e ricchi di azoto, meglio se ombrosi. Le foglie sono grandi, ovate e opposte, lanceolate, seghettate e acuminate. I fiori femminili sono verdi e raccolti in spighe lunghe e pendenti, mentre i fiori maschili sono riuniti in spighe erette. Fiorisce da maggio a ottobre. Ricca di sali minerali (tra i quali ferro, potassio, magnesio e fosforo) e vitamine (A, C, K), le sue proprietà medicinali son note fin dall'antichità: è efficace contro l’anemia, i reumatismi e le infiammazioni; ma noi ci occuperemo degli utilizzi culinari. Generalmente vengono utilizzate solo le foglie, meglio ancora le cime. Se prese in primavera restano più tenere, ma le si possono raccogliere pure in estate, avendo cura di scegliere le foglie più giovani e sane. Per quanto riguarda la raccolta, dire di munirsi di un paio di guanti forse è superfluo! Così come è inutile dire dove la si può trovare, in quanto è talmente diffusa che spesso viene considerata una pianta infestante. L’ortica perde le proprie capacità urticanti con la cottura. Può essere utilizzata per minestre, risotti, frittate. I più temerari potranno pure provarla in insalata, con l’accortezza di lasciarla immersa in acqua bollente per almeno 5 minuti prima di consumarla. Ma noi, che temerari non siamo, vi proponiamo tre semplici ricette. MINESTRA DI ORTICHE Dosi per 4 persone. Preparare un soffritto con olio (o burro), mezza cipolla affettata, una patata a cubetti e 80 g di foglie di ortica precedentemente tritate. Aggiungere il brodo (vegetale o di carne). Portare a bollore. Aggiungere 4 cucchiai di riso e cuocere per 15/20 minuti. Accompagnare con parmigiano grattuggiato. RISOTTO ALL’ORTICA Dosi per 4 persone. Rosolare nel burro mezza cipolla affettata e 200 g di foglie di ortica precedentemente tritate. 154 Le Montagne Divertenti Aggiungere 400 g di riso e tostarlo. Bagnare con vino bianco e far evaporare. Portare a cottura il riso unendo il brodo (vegetale o di carne). Mantecare il riso con una noce di burro e parmigiano grattugiato. Lasciar riposare per qualche minuto e servire. FRITTATA CON ORTICHE Dosi per 4 persone. Rosolare nel burro 6 cucchiai di foglie di ortica tritate. Sbattere 6 uova con sale, pepe e parmigiano e aggiungere alle ortiche. Cuocere a fuoco basso. Volendo si può aggiungere al soffritto di ortiche una patata lessata e tagliata a cubetti, prosciutto cotto o speck. Estate 2012 "La discesa senza corda e con calzettoni strappati non fu un divertimento, ma a quel tempo trattavamo la roccia con molta confidenza”. 11 luglio 1892 - Christian Klucker dopo la ricognizione solitaria, senza corda e senza scarpe, sullo spigolo N del Badile Le Montagne Divertenti Ricette 157