la prevenzione delle infezioni fungine in neonatologia

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la prevenzione delle infezioni fungine in neonatologia
Gennaio-Marzo 2013 • Vol. 43 • N. 169 • pp. 36-42
Infettivologia neonatale
La prevenzione delle infezioni fungine
in neonatologia
Paolo Manzoni, Martina Luparia, Elena Tavella, Daniele Farina
SC Neonatologia e TIN, Ospedale Sant’Anna, Azienda Città della Salute e della Scienza, Torino
Sommario
Le infezioni fungine, principalmente da Candida spp, rappresentano un’importante causa di mortalità e morbilità in epoca neonatale, in particolar modo nei
pretermine e nei neonati affetti da complicanze chirurgiche. La diagnosi è spesso difficile, in quanto il neonato presenta una sintomatologia talora subdola
con esordio non sempre chiaramente individuabile. Il problema è acuito dal fatto che tali infezioni sono associate con frequenza a localizzazioni d’organo
secondarie alla candidemia e a sequele a lungo termine spesso gravi ed invalidanti dal punto di vista neurosensoriale e neurocomportamentale.
Nella presente revisione prenderemo in esame le aree più importanti in relazione alle infezioni fungine neonatali, in particolare il burden complessivo delle
infezioni da funghi in epoca neonatale (dati numerici, trend storico, impatto clinico, costi ospedalieri, outcome a breve e lungo termine), le problematiche
inerenti alla diagnosi e alla terapia, l’impatto delle criticità diagnostiche sulla morbidità complessiva e sulla mortalità (generale e attribuibile), quali sono
i fattori di rischio per infezione da funghi nel neonato pretermine (fattori aspecifici e specifici, fattori modificabili ed immodificabili), includendo il più
importante di tutti, cioè la colonizzazione, la possibilità di monitorare lo status di colonizzazione e l’individuazione delle strategie da adottare nei pazienti
colonizzati.
Nella seconda parte verranno discusse le problematiche inerenti alla nutrizione e alla maturazione intestinale, il ruolo della lattoferrina e dei probiotici
nei confronti della colonizzazione enterica, e quali sono le possibili strategie preventive, partendo da un intervento sui fattori di rischio modificabili, e poi
rivedendo la letteratura sul fluconazolo e sui farmaci antifungini (polieni e echinocandine) utilizzabili nel neonato.
Summary
Fungal infections, mainly Candida spp, are a growing and important cause of mortality and morbidity in the neonatal period, especially in preterm infants with surgical complications. The diagnosis is often difficult because the baby has symptoms sometimes subtle with an onset that not always is
clearly identifiable. The problem is exacerbated by the fact that the infection is associated with frequent end-organ localizations, secondary to bloodstream dissemination, and with long-term sequelae that often are severe and disabling from the neuro-sensory and neuro-behavioral point of view.
In this review we will examine the most important areas related to neonatal fungal infections, including the overall burden of fungal infections in the neonatal period (numeric data, historical trends, clinical impact, hospital costs, outcomes in the short and long term), the issues
related to diagnosis and treatment, the impact of the diagnostic difficulties on the overall morbidity and mortality, the risk factors for fungal infection in preterm infants (non-specific and specific factors, modifiable and unchangeable factors), and among them the most important one being
colonization, and how we can monitor the status of colonization to target the risk of progression to systemic infection in the colonized infants.
The second part will discuss the issues related to nutrition and intestinal maturation, the role of lactoferrin and probiotics in enhancing enteric colonization,
and the possible preventive strategies, starting from an intervention on modifiable risk factors. Finally we will review the existing literature on fluconazole
and antifungal drugs (polyenes and echinocandins) for use in the nurseries.
Introduzione
I progressi nelle cure neonatali hanno determinato un incremento
della sopravvivenza dei neonati pretermine e quindi della necessità di
cure vieppiù intensive nelle Unità di Terapia Intensiva Neonatale (TIN).
Sia la nascita pretermine, sia i difetti dell’immunità associati alla
prematurità concorrono a determinare un aumentato rischio specifico per lo sviluppo di colonizzazione da funghi e susseguente infezione fungina sistemica (Systemic fungal infection, SFI). L’incidenza di
tale quadro è aumentata negli anni ’90 e 2000, grazie allo sviluppo
di capacità assistenziali anche per neonati che prima non venivano
trattati o non avevano speranza di sopravvivere (Stoll et al., 2002),
e permane importante nell’ultima decade, pur in una epoca in cui la
profilassi antifungina routinaria si è sempre più diffusa.
Il rischio di SFI è tanto maggiore quanto minore è l’età gestazionale
e più basso il peso alla nascita (Johnson et al., 2004), perché nell’interazione tra ospite e microorganismo tipica della SFI, l’ospite (in
questo caso, il neonato gravemente prematuro ed immaturo) gioca
un ruolo de­cisivo (Kaufman et al., 2004).
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È utile ricordare che, contrariamente ad altri pazienti ad alto rischio, nei neonati pretermine la condizione di rischio per le infezioni fungine è destinata a risolversi con il susseguirsi dei giorni
di permanenza in TIN. Inoltre, il latte fresco della madre fornisce
difese innate che possono essere utili per superare la finestra
temporale di maggior rischio, soprattutto nei neonati pretermine.
Per contro, la necessità di mantenere un accesso vascolare (Catetere venoso centrale CVC) per lunghi periodi può favorire la colonizzazione del catetere stesso, e di conseguenza la genesi di trombi
settici e biofilm fungini, che possono essere serbatoio per la diffusione sistemica.
Il burden complessivo delle infezioni neonatali da funghi è ingente,
anche se vi è una grande variabilità di incidenza tra Centri diversi
(Fridkin et al., 2006). Ciò dipende dai limiti epidemiologico-metodologici dei vari studi, dal case mismatch nei differenti Centri, dall’utilizzo o meno di profilassi, e infine dalla proporzione di neonati con
patologie complicate, ad esempio chirurgiche, nei differenti Centri
(Stoll et al., 2002, Kaufman et al., 2004).
La prevenzione delle infezioni fungine in neonatologia
La morbidità e la mortalità (attribuibile o indiretta) sono elevate, e
gravi sono le frequenti sequele a carico dello sviluppo neurologico.
Una diffusione sistemica dell’infezione fungina può colpire ogni organo bersaglio, ed il rischio di coinvolgimento neurologico è elevato
data la permeabilità della barriera emato-encefalica del neonato. La
localizzazione al SNC è pertanto non rara e determina un incremento
esponenziale del rischio di sequele tardive a carico del SNC, della
vista e dello sviluppo cognitivo, come si evince da dati del NICHD
statunitense che calcolano nel 57% circa la percentuale di neonati pretermine ELBW affetti da Candidemia che sono destinati a
un outcome nurocognitivo o neurosensoriale non ottimale all’età di
18 mesi (Benjamin et al.,, 2006).
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Problematiche inerenti alla diagnosi e terapia
Di tutti questi fattori, la colonizzazione è sicuramente il più importante ed imprescindibile; praticamente non esiste infezione senza una
pregressa, anche limitata, colonizzazione fungina. La progressione
dalla colonizzazione all’infezione avviene in relazione a fattori specifici di rischio ulteriore, che includono condizioni correlate al paziente
(APACHE, CRIB, APGAR score; intervento chirurgico concomitante;
lesioni-ferite della pelle o delle mucose; interruzione della barriera
intestinale; presenza di devices meccanici o di manovre invasive), ed
altre correlate invece all’organismo fungino colonizzante (il sito anatomico di colonizzazione; la intensità della colonizzazione espressa
come numero di siti colonizzati concomitantemente; il timing della
colonizzazione stessa, e la subspecies fungina coinvolta) (León et
al., 2006; Charles et al., 2005; Kaufman et al., 2006; Manzoni et al.,
2007; Manzoni et al., 2006).
Un concetto fondamentale in tema di colonizzazione e rischio ad essa
legato è quello dei biofilm: la colonizzazione in sedi dove non si formi
un bio­film è gestibile, mentre la colonizzazione in sedi in cui c’è il rischio che si formi un biofilm diventa pericolosa e molto importante da
monitorare. Il biofilm si forma essenzialmente sull’endotelio (es. nelle
valvole cardiache o laddove ci siano anomalie anatomiche dell’albero
vascolare), ma soprattutto nei device, cioè negli strumenti prostetici
(es. catetere, drenaggi, ecc.) a contatto con il torrente circolatorio o
con il liquido peritoneale o pleurico (Cateau et al., 2008).
Stante l’affidabilità limitata dell’emocoltura, e la non ancora completa validazione in neonatologia di marker antigenici precoci, quali il
beta-glucano o il mannano sierico, il laboratorio ci può orientare nella diagnosi tramite qualche parametro suggestivo per SFI: l’iperglicemia (Manzoni et al., 2006) e la piastrinopenia (Guida et al., 2003)
sono nel neonato pretermine tipicamente correlabili con la infezione
da funghi, piuttosto che da altri patogeni.
Nella pratica clinica, comunque, la diagnosi è nella maggior parte
dei casi tipicamente deduttiva: bisogna sospettare un’infezio­ne
da Candida sulla base della presenza di segni clinici di infezione
o sepsi con grave scadimento clinico, e/o di alterazioni di esami
di laboratorio (PCR elevata e/o leucocitosi neutrofila e/o leucopenia e/o iperglicemia e/o piastrinopenia), in un paziente con
pregressa colonizzazione da funghi (cioè isolamento di funghi
in esami colturali da sedi di colonizzazione non profonde e/o da
fluidi corporei sterili e/o presenza di funghi in colture da materiali
meccanici non da sedi profonde, cioè da sedi che sono a rischio
(Benjamin et al., 2000).
Le SFI neonatali sono tipica­mente infezioni late-onset (tardive), con
solo rari casi classificabili come early-onset (precoci) a trasmissione verticale. La maggioranza delle SFI deriva da ac­quisizione nosocomiale, e da un primo contatto con il fungo che, avvenuto nei
primi giorni di permanenza nella TIN, evolve rapidamente verso una
colonizzazio­ne e quindi – in casi selezionati – verso la disseminazione sistemica e l’infezione (Benjamin et al., 2006).
Numerose sono le problematiche inerenti alla diagnosi delle SFI neonatali, e ogni ritardo diagnostico produce un aumentato rischio di
outcome negativi a lungo termine.
Il 90% delle SFI neonatali avviene nei prematuri: il neonato a termine
ne è praticamente esen­te a meno di situazioni peculiari. La gran parte delle SFI sono causate da Candida spp, raramente da altri funghi
(quali Aspergillus spp, Zygomices spp, etc). Tra le varie Candida spp,
le C. albicans sono le predominanti (58%) e le più aggressive, la C.
parapsilosis ha un ruolo importante (34%), mentre le altre hanno un
ruolo decisamente più limitato [Kaufman et al., 2006).
L’emocoltura è imprescindibile per la diagnosi, ma non può essere il
gold standard in neonatologia, perché spesso dà un esito negativo a
causa di difficoltà tecniche insormontabili legate al timing di esecuzione (il neonato non ha la febbre) ed alla difficoltà di ottenere quantitativi adeguati di sangue (per una ottimale sensibilità sarebbero
necessari addirittura 6 ml di sangue, cosa impossibile in un neonato
di 1.000 g (Manzoni et al., 2004).
I fattori di rischio per infezione da funghi nel
neonato pretermine
I fattori di rischio per SFI sono molteplici e sono in gran parte associati alla condizione di prematurità e di necessità di cure intensive
del neonato pretermine.
In letteratura, tutte le seguenti condizioni sono state associate ad un
rischio aumentato di colonizzazione e/o di disseminazione sistemica
dei funghi (Saiman et al., 2001; El-Masry et al., 2002; Farmaki et
al., 2007; Feja et al., 2005; Cotten et al., 2006; Wynn et al., 2012):
• Sesso maschile
• Età gestazionale < 32 settimane
• Aumentati tassi di sopravvivenza di neonati con peso molto basso alla nascita
• Aumentata degenza in terapia intensiva neonatale
• Colonizzazione da parte di Candida spp in siti periferici
• Colonizzazione da parte di Candida spp nel tratto gastroenterico
• Candiduria
• Dermatite fungina invasiva
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Funzione danneggiata della barriera cutanea
Neutropenia
Cateteri venosi centrali posizionati
Intubazione e ventilazione meccanica
Uso prolungato di antibiotici ad ampio spettro (es. cefalosporine
di III generazione)
Uso di steroidi sistemici
Uso di teofillina
Uso di H2-antagonisti
Nutrizione parenterale totale e lipidi e.v. per lunghi periodi; assenza di alimentazione enterale
Iperglicemia
La colonizzazione come principale fattore di rischio:
la monitorizzazione dello status di colonizzazione
Come si è detto, la colonizzazione è sicuramente il più importante
ed imprescindibile fattore di rischio per SFI, dato che è molto raro
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P. Manzoni, M. Luparia, E. Tavella, D. Farina
che si verifichi una SFI breakthrough, cioè un’infezione senza una
pregressa, financo limitata, colonizzazione fungina.
Alcuni studi hanno anche cercato di identificare quali siano le tipologie di colonizzazione con maggior “peso” specifico o predittività di
rischio evolutivo di progressione dalla colonizzazione all’infezione.
Ad esempio, pa­zienti adulti in terapia intensiva medica e chirurgica
possono venire identificati come “a rischio di SFI”, tramite il cosiddetto “punteggio di colonizzazione” (Candida score), calcolato sulla
base dei siti colonizzati e dell’intensità della colonizzazione stessa.
Score superiori ad un determinato cut-off suggeriscono al clinico il
passaggio ad una terapia antifungina sistemica pre-emptive (Pittet
et al., 1994; Charles et al., 2006).
Nella neonatologia, pur non essendo ancora giunti ad un simile livello di standardizzazione diagnostica in tema di colonizzazione e
relativo grading, si sono però fatti alcuni progressi in tema d’identificazione delle varie tipologie di colonizzazione e del rischio legato
a esse, e si è giunti a quan­tificare il rischio di progressione legata
alla colonizzazione di un certo tipo di device o di sito: l’isolamento di
una Candida da un CVC, dalle urine, o da più di tre siti periferici nello
stesso tempo, rendono il paziente a rischio elevatissimo di sviluppare una SFI a breve termine (Manzoni et al., 2006; Wynn et al., 2013;
Mahieu et al., 2010).
Le strategie preventive e di profilassi farmacologica
Da quanto esposto finora, risulta chiaro che la miglior strategia in
tema di SFI neonatali è la prevenzione. La morbidità da SFI è grave e
potenzialmente tutti gli organi e apparati possono essere interessati,
determinando esiti a distanza severi con disabilità residua e diminuite performance neuro-sensoriali (Stoll et al., 2004; Noyola et al.,
2001; Zaoutis et al., 2007; Manzoni et al., 2006).
Purtuttavia, l’elenco dei fattori di rischio per SFI in prematuri è talmente lungo che è quasi impossibile evitarli tutti. Si può però agire là
dove si può e promuovere – ad esempio – l’alimentazione enterale
con latte materno, l’eumicrobismo intestinale, l’uso ragionevole e
cauto degli antibiotici ad ampio spettro e degli H2-antagonisti, etc.
(Kaufman et al., 2010).
Nella figura 1 vengono rappresentate graficamente le varie opzioni
strategiche applicabili per gestire una SFI: profilassi, terapia empirica,
terapia pre-emptive e terapia mirata. Ognuna di queste strategie si
basa su un variabile rapporto costo/beneficio e sul number needed
to treat (NNT). In caso di profilassi c’è la possibilità di interrompere
la progressione verso la malattia prima che la stessa si verifichi, ma
bisogna trattare moltissimi pazienti per avere meno eventi. In caso di
terapia empirica, pre-emptive o mirata, si restringe gradualmente il
numero dei pazienti trattati, cioè solo quelli che rivestono particolari caratteristiche di rischio, ma con la possibilità che l’infetto possa
sfuggire. È quindi una scelta strategica, e si basa – in caso di mancata
profilassi – sull’indicazione ad eseguire il trattamento con il più potente antifungino disponibile, al fine di ridurre al minimo il rischio che
eventuali focolai settici sfuggano al trattamento e possano determinare una diffusione d’organo. In questa prospettiva, i farmaci preferibili
devono avere una significativa attività contro i biofilm, così come una
ottimale attività contro la C. glabrata, C. tropicalis e C. krusei, ossia le
specie che possono sopravvivere alla profilassi con fluconazolo.
Nel neonato, al momento non esistono studi prospettici controllati
sull’efficacia dell’approccio pre-emptive o empirico, e quindi – anche in considerazione dell’elevata incidenza di sequele neurocomportamentali in neonati sopravvissuti a una SFI – la migliore soluzione per diminuire il burden della malattia è di evitarla con una
profilassi specifica.
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Lattoferrina
La lattoferrina è la proteina più importante del latte materno, e ha
un’omologia del 77% con la lattoferrina bovina, condividendo similarità di azioni ed internalizzazione per via intestinale, in quanto
sopravvive in larga parte al passaggio attraverso lo stomaco dopo
somministrazione orale (Lonnerdal et al., 2003).
È presente in concentrazioni più elevate nel colostro rispetto al latte
maturo, ma nella mamma di un nato pretermine tali livelli rimangono
elevati più a lungo, finché il bambino non giunge a termine (36-37
settimane), suggerendo quindi l’importanza delle funzioni biologiche
svolte dalla lattoferrina sia nei primi giorni, sia nelle prime settimane di vita. Tali funzioni sono prevalentemente di tipo antiinfettivo ed
immunomodulatorio: azioni antibiotic-like dirette contro Gram-ne­
gativi, Gram-positivi e Candida; azioni di tipo immunomodulatorio;
modulazione funzionale sulla proliferazione delle cellule intestinali
nascenti; azione bifidogenica promuovendo l’eumicrobismo enterico; azioni anti-infiammatorie e di inibizione della formazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS).
Uno studio su neonati VLBW provenienti da 11 diverse TIN italiane
ha dimostrato recentemente che la somministrazione di 100 mg/
die di lattoferrina bovina, da sola o in associazione a Lactobacillus
GG rispetto a un placebo diminuisce l’incidenza di sepsi late-onset
– da qualsiasi patogeno causale – indipendentemente dall’aggiunta
o meno del probiotico. Questo succe­de anche a livello delle sepsi
da Candida, che da 5,4% nel gruppo placebo passavano a 0,7%,
quindi con una potenza di riduzione praticamente pari a quella del
fluconazolo (Manzoni et al., 2009). Questi dati suggeriscono che la
lattoferrina sia uno strumento di profilassi potenzialmente importante, e maggiormente quando si aggiungeranno dati ulteriori dai vari
trial randomizzati controllati (RCT) attualmente in corso in varie parti
del mondo (Turchia, Australia, UK, USA, Italia).
Probiotici
I probiotici prevengono la colonizzazione da funghi nel tratto genitourinario femminile o nel cavo orale in pazienti che usino delle protesi
dentarie. Alcuni gruppi, specialmente in Italia, partendo da questi
presupposti, hanno provato a verificare se simili proprietà potessero
essere presenti anche nel setting neonatale.
Un primo studio RCT (Manzoni et al., 2006) dimostrò che, dopo un
mese di somministrazione di Lactobacillus GG, i neonati VLBW che
manifestavano colonizzazione da Candida spp nel tratto gastroenterico erano la metà rispetto a quelli che invece non assumevano
fin dalla nascita il probiotico. Conferme ulteriori sono recentemente
giunte anche per un altro ceppo, il Lactobacillus reuteri, da parte di
un altro gruppo italiano (Romeo et al., 2011). La gestione del rischio
Figura 1.
Le varie opzioni strategiche di gestione della SFI: profilassi, terapia empirica, terapia pre-emptive e terapia mirata.
La prevenzione delle infezioni fungine in neonatologia
SFI in Terapia Intensiva Neonatale non può quindi prescindere dal
prendere in considerazione la somministrazione, per il primo mese
di vita almeno, di uno dei due ceppi probiotici di cui sopra.
Fluconazolo
Il fluconazolo possiede una fortissima evidenza di efficacia preventiva
nel setting neonatale, basata su moltissimi studi retrospettivi, storici di
coorte, e soprattutto su ben 4 studi randomizzati prospettici.
Il primo di questi (Kaufman et al., 2001) dimostrò nel 2001 una diminuzione dal 20% allo 0% delle SFI nei neonati ELBW randomizzati
a fluconazolo vs. placebo. Successivamente, nel 2007, il Gruppo
di Infettivologia Neonatale della SIN condusse il primo studio RCT
multicentrico (Manzoni et al., 2007), nel quale si dimostrò che sia il
dosaggio a 6 mg/kg, sia il dosaggio a 3 mg/kg a giorni alterni erano egualmente efficaci nel ri­durre la colonizzazione da Candida (dal
29% all’8%), ma soprattutto le infezioni sistemiche da Candida (dal
13% al 3%) in neonati VLBW.
In entrambi gli studi non si produssero né si rilevarono cambiamenti
ecologici, sia in termini di selezione di ceppi resistenti, sia in termini
di proliferazione di sottospecie di Candida che sono intrinsecamente
resistenti.
Analizzando meta-analiticamente i risultati presenti in letteratura
(Kaufman et al., 2010), il fluconazolo riduce dell’80-85% le SFI in
neonati VLBW e ELBW, e riduce anche significativamente la mortalità
complessiva dal 16% all’11% (p = 0,01), azzerando quella attribuibile a funghi. Si è quindi nella condizione per poter dire che questa
profilassi è ormai obbligatoria come strategia di gestione del rischio
fungino: l’u­nica considerazione da fare è a quali pazienti e in quali
setting somministrarla.
Dal punto di vista ecologico è molto importante notare che, laddove
il fluconazolo si è usato per più di 10-12 anni, come succede nel
centro di Kaufman, nessun tipo di resistenza è emersa. Evidentemente dosaggi relativamente bassi (3 mg/kg ogni due giorni o addirittura ogni tre giorni) e per di più una per­sonalizzazione della somministrazione di fluconazolo solo ai bambini più a rischio possono
evitare l’in­sorgenza di problemi di resistenza, che invece negli adulti
o anche in altre popolazioni è stata rilevata.
La profilassi con fluconazolo va iniziata precocemente, appena il
neonato entra in reparto, anche per le difficoltà farmacocinetiche
di raggiungere una copertura sierica ottimale nei primi giorni, ed
è consigliata mediamente per una durata di 30 giorni nei VLBW
(45 giorni negli ELBW) (Burwell et al., 2006).
Le strategie terapeutiche
Purtroppo al momento attuale non esiste uno studio RCT su neonati
pretermine che in maniera prospettica dimostri la superiorità di un
antifungino nei confronti di un altro. Gli unici dati parziali sull’efficacia di alcuni di questi prodotti derivano dall’analisi di sottopopolazioni di soggetti in età pediatrica di diverse fasce di età arruolati in trial
pediatrici. Mancano dati sull’outcome a distanza, cioè sulla capacità
del farmaco antifungino somministrato al momento della diagnosi
di prevenire o limitare le sequele neuro-evolutive e neurocomportamentali che gravano in maniera pesante su oltre il 50% dei neonati
pretermine sopravvissuti ad una SFI neonatale (Stoll et al., 2002;
Noyola et al., 2001). Il vero indicatore dell’efficacia di un antifungino
per uso neonatale sarà in un prossimo futuro proprio questo: i trial
che si stanno ora iniziando in pazienti neonatali, sia per il fluconazolo sia per la micafungina, prevedono proprio la valutazione di
questo endpoint, onde valutare appieno l’efficacia complessiva delle
specifica molecola.
Storicamente, le prime opzioni nel trattamento della SFI neonatale sono state il fluconazolo e l’amfotericina B. Tuttavia, questi due
farmaci presentano delle limitazioni sia di efficacia che di tossicità
attribuibile.
Il fluconazolo è scarsamente attivo contro alcuni ceppi di Candida
spp, che spesso colonizzano i neonati pretermine (ad esempio, C.
glabrata e C. krusei) e che potrebbero essere quelli predominanti in
setting ove si utilizzi il fluconazolo in profilassi. Utilizzare pertanto in
terapia un farmaco che ha delle limitazioni nell’attività verso alcune
specie fungine appare pertanto un rischio (Manzoni et al., 2009), e
se lo si fa, questo deve avvenire solo in reparti in cui non lo si usa
come profilassi, usando un dosaggio ottimalizzato di 12 mg/die in
dose unica/die, con una dose di carico di 25 mg/kg il primo giorno
(Wade et al., 2008).
Anche per l’amfotericina B (sia deossicolato, sia liposomiale) non
ci sono studi clinici randomizzati prospettici ad hoc sui neo­nati, e
ciò è grave dato che la amfotericina B liposomiale è stata, almeno
nell’ultimo decennio, il farmaco antifungino più usato nei neonati
(Scarcella et al., 1998). I dosaggi raccomandati sono di 3-5 mg/kg/
die per la liposomiale.
Le echinocandine sono una nuova classe di farmaci antifungini con
caratteristiche che potrebbero meglio soddisfare le esigenze dei
pazienti neonatali. Inibiscono in maniera non competitiva la sintesi
dell’1,3-beta-D-glucano, enzima di membrana essenziale del cell
wall fungino, rompendo pertanto i legami di membrana e facilitando
quindi la necrosi cellulare (Watt et al., 2011). Questa via enzimatica
non è presente nelle pareti cellulari dei mammiferi, né nelle cellule
umane, né in quelle embrionali,e non è usata da nessun altro farmaco di utilizzo neonatale. Tutto ciò suggeriisce una probabile assenza
di tossicità cellulare di questa categoria di farmaci, nonché l’assenza di interferenze farmacologiche in vivo, e la bassa probabilità che
insorga una resistenza acquisita.
Tutte le echinocandine sono molto ben tollerate a livello renale,
mentre possono determinare un aumento transitorio dei valori sierici degli enzimi epatici durante il trattamento, pur se reversibili con
completa risoluzione dopo la cessazione del trattamento.
Le tre echinocandine attualmente disponibili sono caspofungina,
micafungina, e anidulafungina. Tutte hanno uno spettro ottimale di
attività contro le diverse subspecies di Candida spp.
La caspofungina (CSP) ha una licenza per uso pediatrico basata su
dati provenienti da 171 pazienti in età pediatrica, ma i dati di farmacocinetica disponibili nel neonato sono scarsi e forniscono indicazioni interlocutorie. Sembra comunque che un dosaggio in base
al peso (1 mg/kg/die) non sia ottimale (Odio et al., 2004) e che sia
preferibile un regime basato sulla superficie corporea con dosaggi
di 25-50 mg/m2/die, talora preceduti da una loading dose di 70 mg/
m2 (Saez-Llorens et al., 2009; Castagnola et al., 2007).
In letteratura, l’uso di caspofungina in età neonatale ha risolto casi
difficili di candidemia persistente (Wertz et al., 2004), infezioni legate a CVC oppure determinate da Candida spp resistenti agli azolici
(Mondello et al., 2009). Con tutte le limitazioni inerenti al disegno di
questi studi (si tratta infatti di case reports o case series), CSP potrebbe essere efficace anche in casi di localizzazioni d’organo quali
il fegato o i polmoni (Natale et al., 2009; Filippi et al., 2009).
L’uso di caspofungina è stato spesso associato ad importanti,
anche se reversibili, aumenti dei livelli sierici degli enzimi epatici, così come ad ipercalcemia. Non sono attualmente disponibili dati sulla safety di CSP proveniente da una sistematica
sorveglianza prospettica di neonati sottoposti a trattamento.
La micafungina (MICA) ha una licenza d’uso pediatrica basata
sui dati degli studi clinici da 296 pazienti in età pediatrica, ed è
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P. Manzoni, M. Luparia, E. Tavella, D. Farina
indicata per l’uso nei bambini, inclusi neonati. L’autorizzazione
per uso neonatale concessa dall’EMA ne fa l’unico antifungino
il cui uso autorizzato in neonati (nati pretermine e non) è attualmente non off-label, a differenza di tutti gli altri disponibili.
Anche se è stata ampiamente studiata in pazienti di età pediatrica e neonatale, non esistono finora chiare indicazioni per il
dosaggio, specialmente nei neonati (Zhao et al., 2012). Gli studi
disponibili descrivono una vasta gamma di schedule di dosaggio
giornaliero (0.75, 1.4, 3, 5, 10 e 15 mg/kg al dì) che sono difficilmente comparabili (Hope et al., 2008). Gli studi più recenti,
tuttavia, dimostrano che dosaggi di MICA pari a 7 e 10 mg/kg/die
sono ben tollerati, e garantiscono livelli di esposizione al farmaco
che sono simili a quelli che, in modelli animali, sono adeguati
per la protezione del SNC (Benjamin et al., 2013). Un ambizioso
studio prospettico RCT multicentrico internazionale di farmacocinetica ed efficacia della micafungina in neonati è attualmente
in corso di svolgimento.
È fondamentale sottolineare che MICA è molto attiva contro i biofilm
(Cateau et al., 2011), che sono serbatoi importanti di infezioni batteriche e fungine in pazienti, come ad esempio i neonati pretermine,
che richiedono il posizionamento di cateteri e altri impianti per lunghi periodi.
La anidulafungina, infine, non è attualmente registrata e licenziata
per uso pediatrico, per quanto studi di farmacocinetica in popolazio-
ni pediatriche ed anche neonatali siano già stati condotti e lascino
presagire che negli anni futuri vi saranno opportunità di impiego
anche per questa echinocandina in ambito pediatrico e neonatale.
Conclusioni
Le SFI sono un problema importante nelle TIN e costituiscono una
vera sfida diagnostico-terapeutica per il neonatologo. L’outcome del
neonato affetto da SFI può essere severamente condizionato da una
mancata diagnosi, da una mancata profilassi, da un ritardo nell’inizio della terapia, o dall’utilizzo di un farmaco sbagliato o poco attivo.
Occorre scegliere tra una profilassi estesa a tutti i soggetti a rischio,
ed una terapia empirica iniziata sulla base di sospetto clinico e microbiologico, ma che è tanto più efficace quanto più è precoce (Morrell et al., 2005). Il CVC va rimosso tassativamente al momento della
diagnosi (Karlowicz et al., 2001), e va sorvegliata l’ecologia fungina
di reparto metodicamente nel caso si attui una profilassi con fluconazolo (Blot et al., 2006).
I nuovi antifungini a disposizione quali le echinocandine potrebbero
modificare gli scenari attuali e andranno valutati nel tempo in base
alla loro capacità non tanto di sterilizzare le emocolture e risolvere l’episodio acuto, quanto di prevenire i deficit neurosensoriali a
distanza che costituiscono, al giorno d’oggi, il problema più grave
nella gestione di tali pazienti.
Box di orientamento
Diagnosi dell’infezione neonatale da Candida spp
L’emocoltura rimane il gold standard ma è purtroppo poco sensibile per quanto altamente specifica. La sensibilità è legata ai volumi di sangue prelevato, al timing, ed alla fungemia, piuttosto che alla localizzazione d’organo. La positività per Candida spp di una urinocoltura eseguita sterilmente è
stata recentemente equiparata come predittività a quella di un’emocoltura. Molti casi di meningite da Candida possono presentare liquor positivo con
concomitante emocoltura negativa. In nessun caso una emocoltura positiva per Candida può essere considerata sinonimo di contaminazione. Il ruolo
dei markers sierici antigenici (quali il beta-glucano o il mannano) va ulteriormente chiarito, e va soprattutto individuato un cut-off quantitativo che sia
predittivo di infezione.
Terapia dell’infezione neonatale da Candida spp
Il trattamento convenzionale dell’infezione neonatale da Candida spp prevede la somministrazione di polieni (amfotericina B o derivati liposomiali con
dosaggio di 3-5 mg/kg/die), di echinocandine (micafungina a 4-7 mg/kg/die, o caspofungina a 50 mg/m2/die), o di fluconazolo (a 12 mg/kg/die nei
soggetti non in profilassi con lo stesso farmaco). I cicli terapeutici devono essere di almeno 14 giorni in caso di candidemia, di 4 settimane in caso di
localizzazione meningea, e di 4-8 settimane in caso di localizzazione d’organo.
Profilassi dell’infezione neonatale da Candida spp
La strategia classica si basa sul fluconazolo, un azolico ben tollerato e con buona attività candidicidica, ma scarsamente attivo sul alcune subspecies
quali la C. krusei e la C. glabrata. I cicli di profilassi prevedono la somministrazione di 3-6 mg/kg a giorni alterni, o 2 volte la settimana, a partire dalle
prime ore di vita e per almeno 30 giorni (nei neonati <1500 g alla nascita) o per 45 giorni (nei neonati <1000 g alla nascita). Oltre al fluconazolo, è
utile associare strategie nutrizionali (latte materno fresco, limitazione ove possibile della nutrizione parenterale totale, utilizzo di probiotici, quali il Lactobacillus rhamnosus GG o il Lactobacillus Reuterii) e applicare una elevata stewardship medica (cioè una ottimale gestione responsabile delle risorse
limitando l’uso di steroidi, di antibiotici a ampio spettro, di H2-antagonisti, ecc).
Gestione degli Antibiotici
In passato era già noto che l’uso inappropriato degli antibiotici può facilitare l’insorgenza di infezioni fungine oltre che di resistenze batteriche. Recenti
studi dimostrano un’associazione tra l’utilizzo prolungato di cefalosporine di III generazione e di carbapenemici e l’insorgenza di infezione fungina in
neonati pretermine in TIN. L’utilizzo di tali antibiotici in TIN va pertanto limitato allo stretto indispensabile e va sempre monitorato, in caso di loro utilizzo,
il rischio di insorgenza di infezioni fungine sistemiche.
Gestione dei Cateteri venosi centrali (CVC)
In caso di emocoltura positiva per Candida, è fortemente indicato rimuovere con urgenza il CVC e riposizionarlo non immediatamente (se possibile)
ed in una sede diversa. Un ritardo nel rimuovere il CVC in tali situazioni è associato ad un significativo e drammatico aumento della mortalità. Il ruolo
della lock-therapy (soluzioni-tappo impregnate di antifungino da immettere nel raccordo per sterilizzarlo) è ancora da chiarire in neonatologia. L’utilizzo
sempre più frequente di farmaci di nuova generazione, quali le echinocandine, potrebbe aprire spiragli verso una gestione diversa del CVC in corso di
infezione sistemica da funghi, data la spiccata attività sui biofilm di questi farmaci.
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La prevenzione delle infezioni fungine in neonatologia
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Corrispondenza
Paolo Manzoni, SC Neonatologia e TIN, Azienda ospedaliera Città della Salute e della Scienza, Ospedale Sant’Anna, Corso Spezia 60, 10126 Torino.
Tel. +39 011 3131580. Fax. +39 011 3134888. E-mail: [email protected].
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