Consulta il testo - Il Diritto Amministrativo

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Nota a Cassazione Penale – sezione II, del 19 dicembre 2011, n. 46669
A cura di Federico trombetta
Il Decreto-Sviluppo modifica i criteri di individuazione del tasso-soglia in tema di
usura: non si applica il principio di retroattività di cui all’art. 2 co. 3 c.p.
1.La vicenda.
Con la pronuncia in esame, la Cassazione si è occupata di una vicenda relativa
all’applicazione di interessi usurari da parte delle banche.
Tale pronuncia presenta diversi profili di interesse. Tra questi, in primo luogo, l’analisi
effettuata dal Supremo Collegio in merito alle conseguenze della recentissima modifica
apportata alla L. 108 del 1996 in materia di usura – da parte del D.L. 70 del 2011,
convertito in legge in data 7 luglio 2011, n. 106 – , nella parte in cui questa delinea i
criteri di individuazione del tasso-soglia, superato il quale gli interessi sono sempre
usurari.
La Corte, poi, ha ribadito il proprio più recente orientamento, secondo cui, “ai fini della
valutazione dell'eventuale carattere usurario del tasso effettivo globale di interesse
(TEG) praticato da un istituto di credito, deve tenersi conto anche della commissione
di massimo scoperto (CMS) praticata sulle operazioni di finanziamento per le quali
l'utilizzo del credito avviene in modo variabile” 1.
Dopo avere vagliato in generale e, poi, affermato la possibilità di attribuire anche ai
presidenti dei consigli di amministrazione degli istituti di credito, sotto il profilo
soggettivo, la responsabilità penale per i tassi usurari praticati alla clientela, gli
Ermellini hanno compiuto un ampio excursus in merito alla normativa ed alla prassi
amministrativa in tema di scorporo della CMS dal TEG, ai fini della determinazione del
tasso usurario. Da una parte, infatti, la Corte ha affermato che “in termini generali …
l'ignoranza del tasso di usura da parte delle banche è priva di effetti e non può essere
invocata quale scusante, trattandosi di ignoranza sulla legge penale (art. 5 c.p.)”.
D’altra parte, all’esito di tale excursus, ha poi optato per la conclusione secondo cui –
con riferimento ad un periodo in cui i tassi non erano ritenuti comprensivi della
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Cass. Pen. , 22 luglio 2010, n. 28743 ; 26 marzo 2010, n. 12028. In senso contrario, 26
novembre 2008, n. 8551.
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commissione di massimo scoperto
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- gli organi di vertice delle banche debbano avere
in concreto la possibilità di invocare la natura inevitabile e, dunque, scusabile
dell’errore in cui erano in precedenza incorsi, operando lo scorporo della CMS.
Secondo la Corte, infatti, “nel caso di specie … in mancanza di un orientamento
giurisprudenziale di legittimità, sia civile che penale, all'epoca, che ritenesse illecita
tale prassi bancaria, sviluppatosi poi successivamente, nessuna censura di mancanza
di doverosa prudenza può essere posta a carico dei Presidenti delle banche e … non
può ritenersi violato il dovere di diligenza nella ricostruzione dei criteri applicabili ai
fini della individuazione del tasso soglia a carico degli organi di vertici degli istituti
bancari. Devono, quindi, ritenersi mancare, stante le vicende richiamate a fondamento
della buona fede dei ricorrenti, profili di colpa incompatibili con la pronuncia
liberatoria”.
2. Considerazioni in merito all’applicabilità del principio di retroattività della
norma penale più favorevole.
Di particolare interesse, come già anticipato, risulta l’analisi operata nella sentenza in
esame dalla Cassazione, in merito alla modifica che il D.L. n. 70 del 2011 ha apportato
ai criteri di individuazione del tasso-soglia.
Nella specie, l’art. 2, comma 4, della L. n. 108 del 1996 prevedeva che "il limite
previsto dall'art. 644 co. 3 c.p., oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è
stabilito dal tasso medio risultante dall'ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale, ai sensi del comma primo, relativamente alla categoria di operazione in cui il
credito è compreso, aumentato della metà”. Il D.L. n. 70 ha disposto che all’art. 2,
comma 4, le parole "aumentato della metà", siano sostituite dalle seguenti:
"aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti
2
Solamente con l’art. 2 bis, comma 1, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito nella L.
28 gennaio 2009, n. 2, infatti, è stato previsto che "le commissioni ... comunque denominate
... sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 c.c., dell'art. 644 c.p. e della
L. 7 marzo 1996, n. 108, artt. 2 e 3". La Banca d'Italia, peraltro, solo nell'agosto 2009, in
applicazione di tale nuova normativa, ha emanato le nuove istruzioni per la rilevazione dei
tassi globali medi ai sensi della legge sull'usura, ricomprendendo nel calcolo delle varie voci la
commissione di massimo scoperto, correggendo una prassi amministrativa difforme.
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percentuali” e che, comunque, “La differenza tra il limite e il tasso medio non può
essere superiore a otto punti percentuali”.
L’assunto fondamentale della Suprema Corte, dal quale prende le mosse tutto il
ragionamento svolto, risiede nella considerazione che tale modifica introduce “un
regime maggiormente favorevole agli istituti bancari in relazione al reato di usura”.
Non viene ritenuta necessaria, per inciso, alcuna particolare argomentazione in merito
ai criteri sulla base dei quali possa dirsi “maggiormente favorevole” una novella
legislativa che incida sul precetto penale.
Viene rammentato, poi, che l'art. 644 c.p. “configura una norma penale in bianco il cui
precetto è destinato ad essere completato da un elemento esterno, che completa la
fattispecie incriminatrice”, tramite il rinvio “ad una fonte diversa da quella penale, con
carattere di temporaneità”. E la novella, per l’appunto, riguarda proprio questo
“elemento esterno che completa la fattispecie incriminatrice”.
Nel caso di specie, quindi, si sarebbe verificato un fenomeno di “successione nel
tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale”, a seguito del quale
sarebbe stato introdotto un regime maggiormente favorevole agli istituti di credito.
Fatto proprio tale assunto, la Corte si è posta il problema di “verificare, alla luce
dell'art. 2, comma 4, c.p. … se debba trovare applicazione la normativa precedente o
successiva al fine della punibilità della condotta realizzata sotto la vigenza della
normativa preesistente”. Il che equivale a chiedersi se sia o meno operante il principio
di retroattività della norma penale più favorevole.
Per rispondere a tale quesito, la Suprema Corte ha dovuto prima affrontare un aspetto
preliminare, stabilendo se la successione di norme extra-penali, integratrici del
precetto penale, possa o meno integrare un fenomeno di successione di leggi penali
nel tempo ai sensi dell’art. 2 c.p.
Secondo la Corte, “l'istituto della successione delle leggi penali (art. 2 cod. pen.)
riguarda la successione nel tempo delle norme incriminatrici", tra le quali non
rientrerebbero "le vicende successorie di norme extrapenali che non integrano la
fattispecie incriminatrice nè quelle di atti o fatti amministrativi che, pur influendo sulla
punibilità o meno di determinate condotte, non implicano una modifica della
disposizione sanzionatoria penale, che resta, pertanto immutata e quindi in vigore (…)
La successione di norme extrapenali determina esclusivamente una variazione del
contenuto
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del
precetto
con
decorrenza
dalla
emanazione
del
successivo
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provvedimento e, in tale ipotesi, non viene meno il disvalore penale del fatto
anteriormente commesso" 3.
In ipotesi analoghe a quella presa in considerazione, pertanto, non si verificherebbe
un fenomeno di successione di leggi penali in senso proprio e, pertanto, non potrebbe
essere applicato il principio di retroattività della norma più favorevole.
“Il principio espresso dall'art. 2 co. 4 c.p.”, infatti, “troverebbe applicazione solo nella
… ipotesi in cui la nuova disciplina, anzichè limitarsi a regolamentare diversamente i
presupposti
per
l'applicazione
della
norma
penale,
modificando
i
criteri
di
individuazione del tasso soglia, avesse esclusa l'illiceità oggettiva della condotta.
Invece la nuova disciplina non ha inteso sminuire il disvalore sociale della condotta
posta in essere nelle vigenza delle normativa precedente, e quindi l'illiceità penale
della stessa, essendosi limitata a modificare, ma solo per il futuro, i presupposti per
l'applicazione della norma incriminatrice penale”.
È interessante sottolineare il criterio utilizzato dalla Cassazione per discernere le
fattispecie di successione di leggi penali nel tempo, alle quali è possibile applicare i
principi dettati dall’art. 2 c.p. : la modifica apportata all’ordinamento (eventualmente,
anche da una norma extra-penale integratrice) deve essere tale da incidere sull'
“illiceità oggettiva della condotta” e sul “disvalore penale del fatto anteriormente
commesso”. Non rilevano, invece, le vicende successorie che - pur influendo sulla
punibilità di determinate condotte - non incidono fino a tal punto.
Nel caso in esame, “i criteri di individuazione del tasso soglia precedente alla modifica
normativa sono riconducibili a una condotta penalmente sanzionata perchè ritenuta
comunque ricollegabile alla tutela del bene protetto dalla disciplina del reato di usura”.
Conseguentemente – ed evidenziando, peraltro, che sulla questione non esiste un
orientamento uniforme nella giurisprudenza di legittimità – la Cassazione ha ritenuto
di affermare la non applicabilità del principio di retroattività della norma più
favorevole, nella fattispecie di successione nel tempo di norme extrapenali integratrici
del precetto penale, qualora – come nel caso di specie - queste ultime “non incidano
sulla struttura essenziale del reato ma comportino esclusivamente una variazione del
contenuto del precetto delineando la portata del comando”.
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Cass. Pen. del 16 ottobre 2007, n. 43829.