(US 12243) 4.1 Introduzione: l`analisi funzionale dello spazio
Transcript
(US 12243) 4.1 Introduzione: l`analisi funzionale dello spazio
4. LE INDAGINI FUNZIONALI DI UNA SUPERFICIE D’USO ALTO MEDIEVALE (US 12243) 4.1 Introduzione: l’analisi funzionale dello spazio attraverso lo studio dei residui assorbiti dalle superfici d’uso Molte delle attività umane lasciano delle “tracce”, alcune delle quali possono essere identificate nel record archeologico e permettere di interpretare il tipo di attività svolta. Nei depositi archeologici sarà possibile trovare resti di alcuni di questi elementi che hanno resistito al passare del tempo: frammenti di olle, focolari, resti botanici e zoologici, considerati come “indicatori” della presenza di una cucina. Tuttavia non tutte le tracce delle attività umane sono visibili “ad occhio nudo” ed alcune possono essere individuate solo applicando metodi analitici specifici. Tra le “tracce” invisibili vi sono i residui chimici che vengono assorbiti dai “pori” delle superfici d’uso che entrano a contatto con le sostanze impiegate nella realizzazione di queste attività1. Poiché attività umane diverse lasciano tracce differenti, dallo studio dei residui assorbiti dalle superfici pavimentali è possibile, almeno parzialmente, ricostruire le attività svolte. Tutto ciò permette di entrare in contatto con un ambito peculiare dell’archeologia: lo studio funzionale dello spazio. I residui presentano il vantaggio di depositarsi esattamente nel luogo dove le attività sono state svolte. Inoltre, poiché non sono in sé stessi il fine ultimo delle azioni umane, ma un prodotto secondario e non si possono “vedere”, non hanno valore per la società che li ha prodotti, e neppure per i gruppi umani che eventualmente rioccupano il sito2. Quindi non verranno portati via, qualsiasi sia il tipo di abbandono, né subiranno alterazioni da parte dei saccheggiatori. Lo stesso vale per le superfici pavimentali nelle quali sono penetrati, che difficilmente saranno spostate, indipendentemente dalla quantità di sforzo impiegato nella loro costruzione. I residui chimici resteranno quindi in situ, permettendo la localizzazione esatta delle attività svolte. Da qui il vantaggio di poter utilizzare i residui assorbiti nelle superfici pavimentali 1 2 BARBA 1986, p. 25 BARBA 1986, p. 22 48 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale come indicatori di attività umane. Inoltre, perfino in condizioni ambientali negative si è notato che le distribuzioni chimiche rimangono immutate ed è possibile determinare il tipo di attività che vi veniva realizzata3. Nello studio dei residui assorbiti dalle superfici pavimentali possono essere analizzati un gran numero di elementi e composti chimici4. In questa sede sono stati studiati i fosfati, i residui proteici, gli acidi grassi assorbiti dalle superfici pavimentali5: – I fosfati si trovano in luoghi in cui sono stati depositati rifiuti organici ricchi in fosforo (feci, alimenti, carne, ossa, sangue); si rintracciano per esempio nelle cucine, nelle stalle, nei bagni (latrine), nelle tombe, nelle discariche, nelle zone destinate alla macellazione degli animali. – I residui proteici sono presenti in prodotti vegetali o animali (in particolare nella carne, nel sangue, nelle uova) e possono rispecchiare attività di preparazione e consumo di alimenti, macellazione di animali e attività di tipo rituale. – La presenza di acidi grassi riflette la dispersione di sostanze grasse, come olio, grasso, cera o resina, che si possono trovare nelle zone di preparazione di alimenti, nei frantoi, nei bagni – lavarsi produce la liberazione di grassi –, o in zone rituali in cui viene bruciato incenso. Acidi grassi sono presenti anche nel sangue e quindi è possibile rintracciarli anche nelle zone di macellazione, associati ai residui proteici ed ai fosfati. Nell’applicazione delle analisi chimiche allo studio delle zone d’uso, è stato dimostrato sia a livello etnoarcheologico che archeologico che la distribuzione dei composti chimici sulle superfici d’uso non è uniforme, né casuale, ma è relativa alle attività umane che vi sono state realizzate6. I fattori che influenzano l’arricchimento chimico delle superfici sono: a. Il tipo di attività realizzate: alcune attività, come preparare e consumare alimenti provocano il deposito di abbondanti residui; altre invece, quali dormire o immagazzinare materiali solidi non lasciano tracce chimiche7. b. La durata, l’intensità e la ripetizione delle attività: i residui chimici testimoniano lo svolgimento di attività ripetute nel tempo oppure di grande intensità8. c. Lo svolgimento in uno stesso spazio architettonico di attività diverse, della stessa epoca o di epoche successive. Poiché i pavimenti assorbono i residui BARBA, LAZOS 2000 Gli elementi analizzati con ICP-AES sono ad esempio differenti da quelli analizzati con il metodo proposto in questo lavoro. 5 BARBA, RODRÍGUEZ, CÓRDOVA 1991. 6 EIDT 1984; BARBA 1986, BARBA, ORTIZ 1993, BARBA, LAZOS 2000, PECCI 2000. 7 ORTIZ 1990, pp. 20-21 8 BARBA 1986, p. 36 3 4 49 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale di tutte le attività svolte su di essi, se il pavimento è stato utilizzato per funzioni differenti tutte le attività relative a queste funzioni saranno registrate e l’interpretazione delle zone d’uso sarà molto complicata. Inoltre, poiché non è possibile fare una distinzione temporale dell’assorbimento delle sostanze, non si potrà capire a quale epoca corrisponderà una determinata attività. Una considerazione implicita in quanto esposto fino ad ora è che la composizione della superficie pavimentale al momento della costruzione dovrà essere omogenea. Solo in questo caso infatti la presenza di concentrazioni chimiche potrà essere letta come il prodotto della realizzazione di attività antropiche. Le superfici pavimentali ideali per questa indagine sono quelle in malta, rese chimicamente “neutre” dal processo di fabbricazione della calce, nel senso che non sono ricche né di fosfati, né di acidi grassi, e neppure di residui proteici9. Ricerche sul campo a livello etnoarcheologico ed archeologico hanno però dimostrato che anche piani di calpestio quali i battuti di terra possono evidenziare le concentrazioni chimiche prodotte dalle attività umane10. Per collegare la presenza di questi indicatori con quella delle aree di attività oppure delle zone d’uso è necessario considerare la loro distribuzione spaziale, in modo da identificare le aree di concentrazione e quelle di assenza, che possono essere imputabili allo svolgimento di attività antropiche. Inoltre, l’identificazione di residui non è da sola sufficiente per l’interpretazione dell’uso dello spazio, ma dovrà essere integrata con lo studio di altri indicatori archeologici e dell’architettura dell’ambiente indagato. Infatti, solo inserendo i pattern di distribuzione dei residui identificati con le analisi chimiche in un’indagine che prevede l’osservazione delle caratteristiche dello spazio quali gli accessi, la ventilazione, l’illuminazione, insieme a quella dei materiali ceramici, metallici, zoologici e botanici rinvenuti, sarà possibile identificare le “aree di attività” o “zone d’uso” e suggerire le funzioni degli ambienti archeologici. L’esistenza di aree di attività, peraltro, può essere basata non solo sulla presenza, ma anche sulla assenza di artefatti, ecofatti e indicatori chimici. In questo caso siamo di fronte a quelle che Sánchez e Cañabate hanno chiamato le “attività assenti”11, tra le quali quelle collegate alla circolazione ed al riposo. L’assenza di residui chimici è ad esempio un indicatore archeologico, in quanto permette di escludere che una certa zona sia stata destinata alla realizzazione di una determinata attività (ad esempio cucinare) mentre ne suggerisce altre (dormire, riposarsi). ALESSANDRA PECCI BARBA, LAZOS 2000. BARBA, ORTIZ 1992; LASCANO 1995; PECCI 2000; PECCI 2005. 11 SÁNCHEZ, CAÑABATE 1998, p. 43. 9 10 50 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 4.2 Le analisi della US 12243 (Tav. 7) Nella US 12243, superficie d’uso relativa al VII-VIII secolo sono stati prelevati 48 campioni su una griglia di 1×1 m. Secondo l’interpretazione proposta precedentemente (vedi infra Vanni) l’area analizzata corrisponde ad una porzione di struttura delimitata da buche per palo e da una superficie esterna che la circonda. I campioni sono stati sottoposti ad analisi volte a determinare la presenza di fosfati, acidi grassi, residui proteici, utilizzando spot tests sviluppati da Barba, Rodríguez, Córdova12 con la finalità di capire la distribuzione spaziale delle attività attraverso l’identificazione di zone d’uso o aree di attività13. Uno dei limiti maggiori delle tecniche analitiche impiegate è l’impossibilità di determinare in modo specifico il tipo di sostanza utilizzata nell’attività. Tuttavia, i risultati relativamente generali che si ottengono sono compensati in gran parte dal maggior vantaggio di queste tecniche: la relativa velocità con cui possono essere realizzate (rispetto alle analisi ottenute per esempio con GC-MS), permette di effettuare analisi su un numero di campioni nell’ordine del centinaio per progetto. Le analisi forniscono una scala qualitativa sulla maggiore o minore presenza delle sostanze nel campione e non la loro quantità assoluta. Le scale sono state sviluppate dagli stessi autori e variano a seconda dei composti analizzati: la scala utilizzata per i fosfati va da 1 a 6, per i residui proteici da 7 a12, per gli acidi grassi da 0 a 314. I risultati delle analisi chimiche di ogni indicatore sono stati inseriti nel data- base del GIS: ad ogni punto in cui è stato prelevato un campione (identificato dalle coordinate x ed y), corrispondono i valori delle analisi. Per ogni indicatore è stata prodotta una pianta di distribuzione utilizzando il metodo di interpolazione IDW15. Nelle piante i colori più scuri indicano le zone di maggiore concentrazione ed i colori più chiari, tendenti al bianco, indicano l’assenza degli indicatori. Per identificare la presenza di aree di attività le piante di distribuzione degli indicatori devono essere considerate congiuntamente e, come detto precedentemente, devono essere inserite in una analisi globale del contesto archeologico che permetta di collegare la presenza di aree di concentrazione dei residui allo spazio studiato ed ai materiali rinvenuti nello strato. Nel caso della US 12243, i risultati delle analisi permettono di suggerire che la superficie ha subito una frequentazione intensa che ne ha prodotto BARBA, RODRÍGUEZ, CÓRDOVA 1991. Activity area secondo la definizione di FLANNERY 1976 ripresa e sviluppata da MANZANILLA 1986. 14 BARBA, RODRÍGUEZ, CÓRDOVA 1991. 15 Inverse distance weighted. 12 13 51 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Tav. 7 – le analisi effettuate sull’US 12243. Dall’alto verso il basso: concentrazioni relative di proteine, acidi grassi e fosfati e in basso ipotesi sull’uso dell’area in relazione alla distribuzione delle buche per palo. Tratteggiata l’area interna alla capanna. Le aree grigio scure contrassegnate lettere A, B, C,delDGiglio indicano le vietata maggiori concentrazioni. (scalautilizzo 1:200). © 2005dalle Edizioni all’Insegna s.a.s., la riproduzione e qualsiasi a scopo commerciale l’arricchimento in fosfati, acidi grassi e residui proteici, indicatori di attività antropica. In particolare, una prima zona d’uso o area di attività si trova all’interno della porzione di capanna indagata. Si tratta di un’area estesa con concentrazioni più intense (Tav. 7, concentrazioni A e B). Il tipo di concentrazioni potrebbe suggerire l’uso dello spazio per attività di preparazione e consumo di alimenti. Nonostante nel saggio di scavo non sia stato rinvenuto un focolare, la presenza di acidi grassi, residui proteici e fosfati all’interno di strutture è infatti ricorrente in ambienti aventi questa funzione, sia a livello archeologico che etnoarcheologico16. La presenza di carboni nello strato, di resti di animali bruciati e con evidenti tracce di macellazione (vedi infra Betetto), oltre alla grande quantità di ceramica da cucina (vedi infra Valdambrini), rafforza questa ipotesi. Sempre all’interno della struttura, vicino alla parete est vi è una concentrazione in corrispondenza di buche d’arredo (Tav. 7, concentrazione B), anch’esse riferibili ad una probabile zona di preparazione o consumo di alimenti. Lo stesso pattern è stato identificato in altri saggi effettuati durante lo scavo urbano di Grosseto (Via Saffi Area 2300, ex Convento delle Clarisse Area 9500), dove in corrispondenza di buche d’arredo riferibili a tavolini sono stati identificati arricchimenti chimici che possono corrispondere ad attività di consumo di alimenti17. L’ipotesi della preparazione degli stessi deriva da confronti etnografici relativi all’uso di tavolini posti vicino alla parete delle capanne aventi questo scopo (Fig. 2). Lungo la parete, nella zona nord-est della porzione di struttura indagata (in bianco) l’assenza di residui indica invece lo svolgimento di attività che non lasciano tracce identificabili con le analisi. Una possibile destinazione di quest’area potrebbe essere quella della conservazione di materiali solidi in giacenza. Nella parte est del saggio di scavo e ad ovest della struttura, in area esterne (vedi infra Vanni, al capitolo 2) sono state identificate ulteriori concentrazioni di residui (Tav. 7, concentrazioni C e D). Queste indicano che vi era anche uno sfruttamento dello spazio esterno per lo svolgimento di attività “sporche”, quali potrebbero essere la macellazione di animali, la cottura del cibo o quella di scarto di materiali organici. Mentre la presenza di fosfati 16 A livello archeologico patterns di concentrazioni di fosfati residui proteici ed acidi grassi sono stati rinvenuti nelle cucine di San Vincenzo al Volturno, in una porzione di capanna rinvenuta nello scavo urbano di Grosseto, nell’ex convento delle Clarisse (A9500) e nel sito di Donoratico (A7000) (PECCI 2005). Concentrazioni analoghe sono state identificate anche in siti della Mesoamerica antica ed in capanne attualmente in uso in Messico (BARBA 1986, BARBA, LAZOS 2000, ORTIZ, BARBA 1993, PECCI et al. 2005, BARBA, ORTIZ 1992, PECCI, ORTIZ, LÓPEZ VARELA 2003). 17 PECCI 2005, PECCI et al. c.s. 53 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 2 – Esempio di una struttura mobile affiancata alla parete di una capanna messicana. potrebbe suggerire che si trattava una zona frequentata da animali, gli acidi grassi ed i residui proteici identificati ne escludono l’uso ristretto a questa funzione. L’analisi chimica della superficie d’uso ha quindi permesso di identificare differenti zone d’uso sia all’interno che all’esterno della struttura. In particolare, l’integrazione dei risultati delle analisi con lo studio della ceramica e dei materiali archeozoologici ha permesso di ipotizzare la funzione domestica della struttura principale, all’interno della quale venivano svolte attività di preparazione, consumo e forse conservazione degli alimenti. Inoltre, le concentrazioni presenti all’esterno delle strutture indicano che questo spazio era intensamente utilizzato e che nello studio della distribuzione spaziale delle attività non si può dimenticare che gli spazi aperti avevano probabilmente una importanza pari a quella degli spazi interni. In essi, dovevano essere liberi di aggirarsi animali domestici, poteva avvenire la macellazione ed in alcune stagioni dell’anno eventualmente anche la cottura del cibo. ALESSANDRA PECCI, VALENTINA BELLUCCI, CHIARA VALDAMBRINI 54 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 5. IL MATERIALE OSTEOLOGICO DELLA FREQUENTAZIONE ALTOMEDIEVALE1. Il campione faunistico recuperato è costituito da un numero veramente esiguo di frammenti ossei animali, in totale 14. In fase di studio è stata effettuata la determinazione tassonomica ed anatomica di metà di essi, mentre non è stato possibile determinare gli altri 7, dato l’alto grado di frammentarietà. Tra i resti determinabili sono presenti 6 frammenti appartenenti a capriovino, tra cui un frammento di metapode che presenta tracce di combustione lungo la diafisi, una porzione di emimandibola destra con tre molari e due premolari, (di età stimabile all’incirca 12 mesi), un frammento di diafisi di radio e due altri denti inferiori, un molare ed un premolare, ed inoltre un frammento di diafisi sinistra di radio con ulna saldata, che presenta un taglio di macellazione trasversale abbastanza profondo. L’unica altra specie presente nel campione è il cavallo, rappresentato da un unico dente intatto, un terzo premolare sinistro superiore. Data l’esiguità del materiale osteologico è abbastanza improbabile affrettarsi in considerazioni riguardo al tipo di dieta, al consumo carneo e alle stime delle età di morte dei taxa rappresentati nel campione. ELEONORA BETETTO 1 Il materiale è stato analizzando facendo riferimento a BARONE 1980, CHAIX, MENIEL 1996, SCHMID 1972, SILVER 1969. 55 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale