“I veri nemici dello sviluppo” Luigi Zingales, L`Espresso 1 April 2010

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“I veri nemici dello sviluppo” Luigi Zingales, L`Espresso 1 April 2010
“I veri nemici dello sviluppo”
Luigi Zingales, L’Espresso
1 April 2010
I PAESI AVANZATI E LE IMPRESE PIU’ GRANDI TEMONO LA COMPETIZIONE DELLE ECONOMIE EMERGENTI
L'imperialismo, secondo Lenin, è la fase suprema del capitalismo. In alcuni paesi - scriveva nel 1916 - il
capitalismo è diventato più che maturo e al capitale non rimane più un campo di investimento redditizio. Per
questo le nazioni capitaliste sono spinte a conquistare i paesi meno sviluppati per poterli sfruttare,
arricchendosi alle loro spalle.
In qualche forma questa visione negativa degli effetti del capitalismo sui paesi in via di sviluppo rimase
dominante nei primi decenni dell'era postcoloniale, ovvero subito dopo la seconda guerra mondiale. Oggi il
mondo è molto diverso. Mentre in America ed Europa si discute sui fallimenti del capitalismo, in Asia se ne
celebrano i trionfi. A spingere per una maggior liberalizzazione del commercio mondiale non sono più gli Stati
Uniti, ma paesi emergenti come il Brasile, la Cina e l'India. Cosa ha cambiato così totalmente le visioni
politiche?
L'esperienza della globalizzazione dell'ultimo trentennio. Nonostante la crisi del 2008, il trentennio che va dal
1980 al 2010 si caratterizza come probabilmente il più prospero nella storia dell'umanità. In questi trent'anni il
prodotto pro capite di un miliardo e 300 milioni di cinesi (un quinto dell'intera umanità) è quasi decuplicato.
Nello stesso periodo il prodotto pro capite di un miliardo e cento milioni di indiani (un sesto dell'umanità) è
quasi triplicato. Altre nazioni (come la Corea del Sud, Singapore e Taiwan) hanno sperimentato crescite
fenomenali, ma a livello mondiale il loro peso è relativamente piccolo.
A questi enormi successi dei paesi in via di sviluppo si è contrapposta una crescita molto più limitata dei paesi
avanzati. Nell'ultimo trentennio il reddito pro capite dei tedeschi, francesi, italiani e giapponesi è aumentato
del 50-60 per cento. Gli americani e gli inglesi hanno fatto un po' meglio con un aumento rispettivamente del 75
e del 93 per cento. Ma si tratta di poca cosa, non solo in confronto ai paesi emergenti, ma anche rispetto ai
tassi di crescita del trentennio precedente. Grazie al miracolo postbellico, nel periodo che va dal 1950 al 1980,
il Giappone aveva visto il reddito pro capite aumentare di sei volte, l'Italia di quasi tre e la Francia di due. Nello
stesso periodo, il prodotto pro capite in Cina era aumentato di 1,4 volte e quello dell'India di solo 0,7 volte.
Come si spiega questo capovolgimento?
In parte questi differenziali di crescita riflettono i diversi punti di partenza. Quando si parte da molto in basso è
più facile crescere che partendo da livelli più elevati. Ma questo non spiega perché l'India e la Cina sono
cresciute così poco tra il 1950 e il 1980. La verità è che nel primo trentennio dopo la guerra entrambi questi
paesi abbracciarono idee socialiste e limitarono fortemente quell'importazione di capitali esteri tanto temuta da
Lenin. Il risultato fu una crescita asfittica. L'accettazione dell'economia di mercato e l'apertura ai capitali esteri
cambiò le sorti della Cina e dell'India.
Lungi da impoverire questi paesi, i capitali esteri non solo creano posti di lavoro, ma trasferiscono know how
alla popolazione locale. Una volta acquisito il know how iniziale, le imprese indiane e cinesi possono
accumularne di più attraverso l'esperienza. In altre parole, gli investimenti esteri mettono in moto un
meccanismo virtuoso di learning by doing. Se da un lato i paesi avanzati beneficiano dall'importazione di
prodotti a basso costo, dall'altro vedono progressivamente erodere i loro margini di competitività da imprese
locali che diventano sempre più competitive. Contrariamente alla visione di Lenin, la competizione tra le
imprese di paesi avanzati non porta allo sfruttamento dei paesi in via di sviluppo, ma ad un loro arricchimento.
Il vero ostacolo allo sviluppo dei paesi ancora arretrati nasce dal crescente protezionismo dei paesi sviluppati
come il nostro.
All'interno di ogni paese, nemici giurati del mercato sono le imprese più grosse, che temono la concorrenza e
cercano di proteggere le loro rendite di posizione sfruttando il loro potere politico. Allo stesso modo, in ambito
internazionale i veri nemici dello sviluppo sono i paesi avanzati, che temono la competizione dei paesi
emergenti e cercano di utilizzare il loro potere politico per limitarne la capacità di crescita. Se vogliamo un
miglioramento degli standard di vita dell'intero pianeta dobbiamo salvare il capitalismo. dai paesi capitalisti.