fonti diritto e teatro - dott.ssa Pepe - Dipartimento di diritto privato e
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fonti diritto e teatro - dott.ssa Pepe - Dipartimento di diritto privato e
Modulo integrativo del corso di diritto greco a.a. 2010-2011 Arist. Poet. 1452 a “tra i racconti alcuni sono semplici, altri complessi, perché sono tali le azioni di cui i racconti rappresentano le imitazioni. Io dico che l’azione è semplice quando ella è coerente e una, e quando il cambiamento di fortuna si produce senza peripezia e senza riconoscimento. Complessa, invece, quando il cambiamento di fortuna si realizza a seguito del riconoscimento (anagnorisis), della peripezia (peripeteia) o di entrambi questi fattori […] La peripezia è il rivolgimento dell’azione nel suo contrario: così, nell’Edipo, il messaggero [di Corinto] arriva convinto di rallegrare Edipo e di rassicurarlo nei riguardi di sua madre, ma, rivelando chi in realtà lui è, produce l’effetto contrario. […] Il riconoscimento è, come il nome stesso indica, il passaggio dall’ignoranza alla conoscenza. […] Il riconoscimento è ottimo quando esso è accompagnato dalla peripezia, come accade nell’Edipo.” Arist. Pol. 1253 a oJ a[nqrwpo~ fuvsei politiko;n zwó`on, kai; oJ a[poli~ dia; fuvsin kai; ouj dia; tuvchn h[toi faulov~ ejstin, h] kreivttwn h] a[nqrwpo~ … oJ de; mh; dunavmeno~ koinwnei`n h] mhde;n deovmeno~ di¯ aujtavrkeian oujqe;n mevro~ povlew~, w{ste h] qhrivon h] qeov~, “l’uomo per natura è un animale politico; e chi non ha città (apolis) a causa della sua natura e non a causa della sorte è un uomo abietto o è superiore agli uomini … colui che non può vivere nella comunità, o a causa della sua autosufficienza non ne sente il bisogno, o è una bestia o è un dio” Soph. OT 139 s. o{sti~ ga;r h\n ejkei`non oJ ktanw;n tavc¯ a]n // ka[m a]n toiauvthó ceiri; timwrei`n qevloi, “chiunque infatti fu a uccidere lui (scil. Laio) presto potrebbe colpire anche me, con la medesima mano” Soph. OT 872 ss. “l’eccesso genera il tiranno (u{bri~ futeuvei tuvrannon) […] Prego il dio di non desistere mai dalla lotta per la salvezza della città” Arist. Ath. Pol. 16.10 ejavn tine~ turannei`n ejpanistw`ntai h] sugkaqisthó` th;n turannivda, a[timon ei\nai kai; aujto;n kai; gevno~, “se qualcuno si accinga a diventare tiranno o collabori a istituire la tirannide, costui sia atimos insieme alla sua stirpe” And. 1.96 (decreto di Demofanto, 410/9 a.C.) jEavn ti~ dhmokrativan kataluvhó th;n jAqhvnhsin, h] ajrchvn tina a[rchó katalelumevnh~ th`~ dhmokrativa~, polevmio~ e[stw jAqhnaivwn kai; nhpoinei; teqnavtw, kai; ta; crhvmata aujtou` dhmovsia e[stw, tai; th`~ qeou` to; ejpidevkaton, “se qualcuno abbatte la democrazia di Atene o ricopre una carica dopo aver abbattuto la democrazia, sia nemico di Atene e muoia impunemente; il suo patrimonio sia confiscato, e la decima sia della dea” And. 1.97 (giuramento) oJ de; o{rko~ e[stw o{deœ ktenw` kai; lovgwó kai; e[rgwó kai; yhvfwó kai; th`ó ejmautou` ceiriv, a]n dunato;~ w\, o}~ a]n kataluvshó th;n dhmokrativan th;n jAqhvnhsi. Kai; ejavn ti~ a[rxhó tin¯ ajrch;n katalelumevnh~ th`~ dhmokrativa~ to; loipovn, kai; ejavn ti~ turannei`n ejpanasth`ó h] to;n tuvrannon sugkatasthvshó, “il giuramento sia questo: «Ucciderò a parole, nei fatti, con il mio voto e con la mia stessa mano, per quanto io ne sia capace, chi abbatta la democrazia di Atene; e se qualcuno, dopo aver abbattuto la tirannide, ricopra una carica magistratuale, e se qualcuno si metta a fare il tiranno o collabori all’instaurazione della tirannide ….»” Fest. 424 L. 1 Homo sacer is est quem populus iudicavit ob maleficium: neque fas est eum immolari, sed qui occidit parricidi non damnatur, “l’uomo sacro è colui che il popolo ha giudicato per un reato: e non è lecito immolarlo, ma colui che lo uccide non viene condannato per parricidio” Plat. Leg. 838 a-b Ateniese - “sappiamo che anche ora la maggior parte degli uomini, pur vivendo illegalmente, si astengono rettamente e rigorosamente dai rapporti con chi + belo non contro la loro volontà, ma per così dire massimamente in maniera volontaria” / Spartano - “Quando intendi dire?” / Ateniese - “quando uno abbia un fratello o una sorella belli. E riguardo a un figlio o a una figlia la stessa legge non scritta sta attenta nel modo più adeguato possibile che né manifestamente né di nascosto dormendo con loro o amandoli in qualche altro modo non abbiano un contatto con loro; ma neppure il desiderio di questo rapporto penetra assolutamente nella mente dei più” / Spartano - “Dici il vero” / Ateniese - “Dunque un piccolo discorso spegne tutti i piaceri di questo genere? / Spartano - “Quale discorso dici?” / Ateniese - “L’affermare che questi non sono atti assolutamente santi, ma invisi agli dei, e l’apice delle turpitudini” Xen. Mem. 4.4.20-21 Socrate - “Non è forse legge divina che i genitori non si uniscano i figli né i figli ai genitori?” / Ippia - “Non mi sembra che sia una legge degli dei, Socrate; molti, infatti, la calpestano” / Socrate - “Ne calpestano molte altre! Ma certo coloro che calpestano una legge divina non possono in alcun modo sfuggire alla pena, mentre, al contrario, chi calpesta una legge umana riesce talvolta a sottrarsi alla pena, o nascondendosi, o con la violenza” Eur. Andr. 173 ss. Ermione - “Sciagurata, se tanto folle da andare a letto col figlio dell’uomo che ha ucciso tuo marito, da generare figli a un assassino. Ma già, i barbari sono fatti così: il padre si accoppia con la figlia, il figlio con la madre, il fratello con la sorella, i parenti più stretti si ammazzano tra di loro, e non c’è legge che lo vieti. Non pensare di introdurre tra noi usanze del genere” Schol. Aristoph. Nub. 1372 para; jAqhnaivoi~ e[xesti gamei`n ta;~ ejk patevrwn ajdelfav~, “presso gli Ateniesi è permesso sposare le sorelle di uguale padre” Phil. Spec. 3.22 oJ me;n ou\n jAqhnai`o~ Sovlwn oJmopatrivou~ ejfei;~ a[gesqai ta;~ oJmomhtrivou~ ejkwvlusen, oJ de; Lakedaimonivwn nomoqevth~ e[mpalin to;n ejpi; tai`~ oJmogastrivoi~ gavmon ejpitrevya~ to;n pro;~ ta;~ oJmopatrivou~ ajpei`pen, “Solone Ateniese, impedì di sposare le sorelle della stessa madre, mentre concesse di sposare quelle dello stesso padre, mentre il legislatore spartano, ammettendo il matrimonio tra fratelli uterini, impediva quello con fratelli di uguale padre” Nep. Cim. 1.2 habebat in matrimonio sororem suam germanam nomine Elpinicen non magis amore quam patrio more ductus; nam Atheniensibus licet eodem patre natas uxores ducere, “Cimone aveva in matrimonio sua sorella germana di nome Elpinice, che aveva sposato non tanto per amore, quanto piuttosto per costume patrio: infatti gli Ateniesi possono prendere in moglie le figlie del medesimo padre” Soph. OT 1214; 1256 Coro - to;n a[gamon gavmon, “le nozze non nozze” Messo - gunai`kav t¯ ouj gunai`ka, “moglie non moglie” Soph.OC 365 ss. Ismene - “Prima essi [Eteocle e Polinice], a gara, volevano lasciare il trono a Creonte, e non contaminare la città, considerando l’antica rovina della stirpe, che aveva fatto così infelice la tua casa. Ma ora un dio e la loro mente perversa hanno insinuato una funesta rivalità in quei tre volte sciagurati, per impadronirsi del regno e del potere sovrano. E il giovane, il minore per nascita, ha tolto il trono a Polinice, che è nato prima, e lo ha scacciato dalla patria.” 2 Cic. Pro Rosc. 25 Is [scil. Solon] cum interrogaretur cur nullum supplicium constituisset in eum qui parentem necasset, respondit se id neminem facturum putasse. Sapienter fecisse dicitur, cum de eo nihil sanxerit quod antea commissum non erat, ne non tam prohibere quam admonere videretur. Quanto nostri maiores sapientius! Qui cum intellegerent nihil esse tam sanctum quod non aliquando violaret audacia, supplicium in parricidas singulare excogitaverunt ut, quos natura ipsa retinere in officio non potuisset, ei magnitudine poenae a maleficio summoverentur. Insui voluerunt in culleum vivos atque ita in flumen deici, “Solone, interrogato sul motivo per il quale non aveva stabilito alcuna pena contro chi uccidesse un genitore, rispose che, come pensava, nessuno avrebbe commesso un simile reato. Si dice che si sia comportato da saggio, non stabilendo alcuna sanzione per un reato che non era mai stato commesso prima, affinché non sembrasse non tanto proibire, quanto piuttosto ammonire. Quanto più saggi furono invece i nostri antenati! Questi, infatti, compresero che non vi è nulla di tanto sacro da non poter essere talora violato dall’audacia; e per questo pensarono a un supplizio singolare contro i parricidi, in modo tale che le persone che la natura non aveva potuto trattenere nei loro ranghi fossero distolti dal commettere il reato dalla grandezza della pena. Vollero, infatti, che fossero cuciti vivi in un sacco e che fossero poi gettati in un fiume” Soph. OT 1229-31 ta; d¯ aujtivk¯ eij~ to; fw`~ fanei` kaka; eJkovnta koujk a[konta: tw`n de; phmonw`n mavlista lupou`s¯ ai} fanw`s¯ aujqaivretoi “presto altri mali verranno alla luce, mali volontari e non involontari; tra le sciagure soprattutto addolorano quelle che si rivelano liberamente scelte” Hom. Il. 19.87 ss. Agamennone - “Io non son colpevole, ma Zeus e la Moira e l’Erinni che nella nebbia cammina; essi nell’assemblea gettarono contro di me stolto errore (ate) quel giorno che tolsi il suo dono ad Achille. Ma che potevo fare? I numi tutto compiscono. Ate è la figlia maggiore di Zeus, che tutti fa errare, funesta” Hom. Il. 9.377 Achille - “Il saggio Zeus gli ha portato via il senno” Hom. Il. 23.83 Patroclo - “Achille, non seppellire le mie ossa e le tue separate, ma insieme, come in casa vostra crescemmo, da quando, piccino, Menezio da Oponto a voi mi condusse, per un triste omicidio, il giorno in cui uccisi il figlio d’Anfidamante, ah stolto! senza volerlo, irato pei dadi (oujk ejqevlwn, ajmf¯ ajstrafavloisi colwqeiv~) Soph. OC 521-4 e[negkon kakovtat¯, w\ xevnoi, h[negk¯ ajevkwn mevn, qeo;~ i[stw, touvtwn d¯ aujqaivreton oujdevn. “ho subito il male, ospiti miei, ho subito senza volere, ne sia testimone il dio, nulla di tutto questo fu scelto da me” Soph. OC 545-8 {XO} e[kane~ {OI} e[kanon. e[cei dev moi… {XO} tiv tou`to; {OI} pro;~ divka~ ti {CO} tiv gavr; {OI} ejgw; fravsw kai; ga;r a[nou~ ejfovneusa kai; w[lesa novmw/ de; kaqarov~, a[i>dri~ ej~ tovd¯ h\lqon. (Co.) “hai ammazzato” (Ed.) “ho ammazzato, ma ho dalla mia…” (Co.) “che cosa?” (Ed.) “qualche ragione” (Co.) “quale?” (Ed.) “te lo dirò: senza sapere ho colpito e ucciso: innocente per legge, senza sapere giunsi a quel passo” IG I3.104, ll. 11-18 (legge di Draconte sull’omicidio) 3 kai; eja;m me; ¯k pronoiva~ ktevnei tiv~ tina, feuvg[e]n. Dikavzein de; to;~ basileva~ ai[tion fovno E…………………E boleuvsanta. To;~ de; ejfevta~ diagno`nai. Aijdevsasqai d¯ eja;m me;n pate;r eji e] ajdelfo;~ e] hue~, havpanta~, e] to;n koluvonta krate`n: eja;m de; me; hou`toi o\si, mevcr¯ ajnefsiovteto~ kai; ajnefsio`, eja;n havpante~ aijdevsasqai ejqevlosi, to;n koluvonta krate`n: eja;n de; touvton mede; he`~ e\i, ktevnei de; a[kon, gno`si de; hoi pentevkonta kai; he`~ hoi ejfevtai a[konta kte`nai, ejsevsqon de; hoi fravtore~ eja;n ejqevlosi devka…, “se uno uccide mè ek pronoias, vada in esilio. I basileis saranno competenti nelle cause di omicidio… e di bouleusis; gli efeti dovranno giudicare. Il perdono sarà concesso, se vi sono il padre, il fratello o i figli, da tutti, e colui che si oppone prevarrà. Se non vi sono costoro [il perdono sarà concesso] dai parenti fino ai figli dei cugini e i cugini, se vorranno concederlo, e colui che si oppone prevarrà. Se non è nessuno di costoro, e l’omicida ha ucciso involontariamente (akon), e i 51 efeti giudichino che ha ucciso involontariamente (akon), 10 membri della fratria lo riammettano in patria, se vogliono” Dem. In Mid. 43 oiJ fonikoi; tou;~ me;n ejk pronoiva~ ajpoktinnuvnta~ qanavtwó kai; ajeifugivaó kai; dhmeuvsei tw`n uJparcovntwn zhmiou`si, tou;~ d¯ ajkousivw~ aijdevsew~ kai; filanqrwpiva~ pollh`~ hjxivwsan, “le leggi sull’omicidio puniscono con la morte, l’esilio perpetuo e la confisca dei bene chi uccide volontariamente (ek pronoias), mentre ritengono degni di perdono (aidesis) e di molta comprensione coloro che uccidono involontariamente (akousios)” Dem. In Aristocr. 50 a[n ti~ ajpokteivnhó ejk pronoiva~, wJ~, ei[ g¯ a[[kwn, ouj taujtovn, “se uno uccide volontariamente (ek pronoias), perché, se uccide involontariamente (akon), le conseguenze non sono le stesse” Arist. Ath. Pol. 57.3.2 a]n me;n ejk pronoiva~ ajpokteivnhó h] trwvshó ejn jAreivwó pavgwó, kai; farmavkwn, eja;n ajpokteivnhó douv~, kai; purkaia`~… tw`n d¯ ajkousivwn kai; bouleuvsew~, ka]n oijkevthn ajpokteivnhó ti~ h] mevtoikon h] xenon, oiJ ejpi; Palladivwó, “chi uccide o ferisce volontariamente (ek pronoias) [sia giudicato] nell’Areopago, come pure chi è accusato di aver somministrato dei veleni per uccidere, e chi è accusato di aver appiccato un incendio; il Palladio, invece, [giudica] gli imputati per omicidio involontario (akousios) e bouleusis, e il caso dell’uccisione di uno schiavo, un meteco o uno straniero” Arist. EM 1188b fasiv potev tina gunai`ka fivltron tini; dou`nai piei`n, ei\ta to;n a[nqrwpon ajpoqanei`n uJpo; tou` filtrou`, th;n d¯ a[nqrwpon ejn jAreivw/ pavgw/ ajpofugei`n: ou| parou`san di¯ oujqe;n a[llo ajpevlusan h] diovti oujk ejk pronoiva~. fiEdwke me;n ga;r filiva/, “dicono che un giorno una donna avesse dato da bere un filtro (d’amore) al compagno, e che questi fosse morto poco dopo a causa del filtro; la donna sfuggì al verdetto di condanna dell’Areopago: la assolsero per nessun’altra ragione se non per questa: il fatto non era stato commesso con volontarietà. Aveva somministrato infatti il filtro per amore” Dem. In Aristocr. 53 ejavn ti~ ajpokteivnhó ejn a[qloi~ a[kwn, h] ejn oJdw`ó kaqelw;n h] ejn polevmwó ajgnohvsa~ h] ejpi; davmarti h] ejpi; mhtri; h] ejp¯ ajdelfhó` h] ejpi; qugatriv, h] ejpi; pallakhó` h}n a]n ejp¯ ejleuqevroi~ paisi;n e[chó, touvtwn e[neka mh; feuvgein kteivnanta, “qualora una persona uccida nei giochi senza volerlo, o uccidendo in strada, o in guerra per errore, o [l’amante sorpreso] insieme alla moglie, alla madre, alla sorella o alla figlia, o alla concubina che egli tenga per avere figli l iberi, per questi motivi l’uccisore non venga perseguito” Dem. In Aristocr. 60 kai; eja;n fevronta h] a[gonta bivaó ajdivkw~ eujqu;~ ajmunovmeno~ kteivnhó, nhpoinei; teqnavnai, “se uccida, difendendosi (amyomenos) con reazione immediata (eythys), [il ladro] che porta via o trascina con la forza (bia) ingiustamente (adikos), l’uccisione sarà impune” Dem. In Aristocr. 50 a[n ti~ tuvpthó tinav a[rcwn ceirw`n ajdivkwn, ei[ g¯ hjmuvnato, oujk ajdikei`, “qualora una persona ne colpisca un’altra in risposta a un’aggressione, se si difende, non commette ingiustizia” 4 Dem. In Aristocr. 74 a[n ti~ oJmologhó` me;n ktei`nai, ejnnovmw~ de; fhó` dedrakevnai, “[l’imputato è giudicato nel Delfinio] qualora ammetta di aver ucciso, ma dica di averlo fatto legittimamente” Arist. Ath. Pol. 57.3 eja;n d¯ ajpoktei`nai mevn ti~ oJmologh`/, fh`/ de; kata; tou;~ novmou~… touvt¯ ejpi; Delfinivw/ dikavzousin, “qualora uno ammetta di aver ucciso, ma dica di aver agito legittimamente … questi è giudicato nel Delfinio” Plut. Per. 36.3 pentavqlou gavr tino~ ajkontivw/ patavxanto~ jEpivtimon to;n Farsavlion ajkousivw~ kai; kteivnanto~, hJmevran o{lhn ajnalw`sai meta; Prwtagovrou diaporou`nta, povteron to; ajkovntion h] to;n balovnta ma`llon h] tou;~ ajgwnoqevta~ kata; to;n ojrqovtaton lovgon aijtivou~ crh; tou` pavqou~ hJgei`sqai, “un atleta di pentatlo aveva colpito con un giavellotto Epitimo di Farsalo, involontariamente (akousios), e lo aveva ucciso; [scil. Pericle] aveva trascorso una giornata intera con Protagora a discutere chi, tra il giavellotto, o chi lo aveva scagliato, o i giudici della gara, dovesse essere ritenuto responsabile del disastro, in base al criterio più corretto” Gorg. Hel. 6 ›H ga;r Tuvch~ boulhvmasi kai; qew'n keleuvsmasi kai; jAnavgkh~ yhfivsmasi e[praxen a} e{praxen h] biva/ aJrpasqei`sa, h] lovgoi~ peisqei`sa, h] e[rwti aJlou`sa, “infatti fece quel che fece o per volere di Sorte (tyche), ovvero per comando degli dei (theon) o per decreto di Necessità (Ananke); oppure perché rapita con la forza (bia), o ancora perché persuasa dalla parola (logos) o perché presa da amore (eros)” Gorg. Hel. 6 ss. “Se la causa fu la prima […] è impossibile impedire con la previdenza (promethia) umana il desiderio divino, perché per natura il più debole è dominato e condotto dal più forte. […] Se è stata rapita con la violenza, è chiaro che chi la ha rapita ha commesso ingiustizia perché la ha oltraggiata, mentre lei, che è stata rapita, ha patito la sventura, in quanto è stata oltraggiata. È stato lui a compiere (edrase) il male, lei a subirlo (epathe): è giusto dunque compatire lei, odiare lui. […] Se invece il logos la ha persuasa e ha ingannato (apatesas) la sua anima, neppure in questo caso è difficile difenderla e scagionarla. La parola è un grande sovrano, compiere le imprese più divine […] La persuasione ha lo stesso potere della costrizione, anche se non ha lo stesso discredito. Pertanto è il persuasore ad aver la colpa di aver esercitato costrizione, mentre chi è stata persuasa, costretta dalla parola, ottiene a torto una cattiva fama. […] Se fu l’amore a far questo, non avrà certo difficoltà a essere assolta dall’accusa. […] Se amore è un dio, come potrebbe essere capace di respingere la divina potenza degli dei un essere a loro inferiore? Se invece è una malattia, un errore dell’anima, non deve essere biasimato come colpa, ma considerato una disgrazia (atychema)” Eur. fr. 339 N. Oujk aujqaivretoi brotoi`~ e[rwte~ oujd¯ eJkousiva novso~, “gli uomini non scelgono i loro amori: è una malattia non volontaria” Aristoph. Nub. 1079-82 moico;~ ga;r h]n tuvch/~ aJlouv~, tavd¯ ajnterei`~ pro;~ aujtovn, wJ~ oujde;n hjdivkhka~: ei\t eij~ to;n Div¯ ejpanenegkei`n, kajkei`no~ wJ~ h{ttwn e[rwtov~ ejsti kai; gunaikw`n: kaivtoi su; qnhto;~ w]n qeou` pw`~ mei`zon a]n duvnaio, “se ti capitasse di essere colto in flagrante adulterio, ecco che cosa risponderai a lui [scil. al marito]: che non hai commesso colpa alcuna; c’è il precedente di Zeus, anche lui fu vinto dall’eros e dale donne. E tu, che sei mortale, come potresti essere più forte di un dio?” Eur. Tr. 914-1032 5 Elena - Non farà differenza se i miei argomenti ti parranno giusti o sbagliati: forse tu non risponderai perché mi consideri nemica. Ma io penso di sapere quali sarebbero le tue accuse se tu mi parlassi: a esse dunque risponderò con ordine. La vera fonte di tutti mali è stata proprio Ecuba, perché lei ha generato Paride. Il secondo a rovinare Troia e me insieme fu il vecchio Priamo, perché non uccise il Paride neonato quando Ecuba in sogno lo vide come un tristo idolo di fuoco. Ascolta quel che venne dopo: Paride dovette giudicare le tre dee; a lui Pallade Atena offrì il dono di guidare i Frigi alla conquista della Grecia; Era, in cambio della propria vittoria, gli promise il dominio sull’Asia e sulle terre d’Europa; e Afrodite, molto ammirando la mia bellezza, pose me come suo premio, se avesse superato nella gara le altre dee. Considera ora le conseguenze: Afrodite ottiene la palma, e le mie nozze sono un bene per la Grecia: non sono i barbari a dominarvi, non siete stati travolti dalla guerra o sottomessi a una tirannide. Ma ciò che per la Grecia fu fortuna, per me fu rovina. Venduta per la mia bellezza. E ricevo biasimo da chi invece dovrebbe pormi sul capo una corona. Tu dirai che non ho ancora parlato dell’accusa principale: la fuga dalla tua reggia di nascosto. Ma il maledetto figlio di costei non giunse solo: a fargli compagnia c’era una dea, e non poco potente. Tu, sciagurato, lo lasciavi nel tuo palazzo, e ti imbarcavi da Sparta alla volta di Creta. E ora domando non a te, ma a me stessa: a che pensavo mentre seguivo l’ospite straniero lontano da casa, tradendo la mia patria e la mia famiglia? Punisci la dea, dimostra di essere più forte di Zeus, che ha potere su tutti gli dei ma di Afrodite è schiavo: io merito perdono. So che cosa stai per dirmi: quando Paride, morto, scese nelle viscere della terra, quando fui libera dalle nozze volute dagli dei, potevo lasciare il palazzo e venire alle navi achee. Ho tentato: mi sono testimoni i guardiani delle torri e le vedette delle mura, che più volte mi sorpresero mentre di nascosto mi calavo dagli spalti con le funi. Ti sembra ancora giusto farmi morire, marito mio? Paride mi costrinse a sposarlo (biva/ gamei'), e le mie qualità, anziché un premio, mi procurarono un’amara schiavitù. Stolto è il tuo desiderio, se vuoi porti al di sopra degli dei. Coro - Regina, stronca le parole di questa donna: sa convincere. Lei parla bene ma pratica il male. Ecuba - Mi farò dapprima alleata delle dee, e dimostrerò che le sue parole sono false. Io non credo che Era e la vergine Atena siano uscite di senno al punto da voler vendere Argo ai barbari, o da fare Atene schiava dei Frigi. Scesero sull’Ida per gioco, parteciparono al concorso per civetteria. Perché mai la dea Era aveva tanta smania di bellezza? Forse per prendersi uno sposo migliore di Zeus? E Atena era a caccia di nozze con un dio, lei che ottenne dal padre di fuggire il talamo e di rimanere vergine? Non fare stolte le dee per camuffare la tua colpa: chi ha senno non può crederti. Afrodite – sei tu a dirlo, ed è davvero ridicolo – scortava mio figlio nel palazzo di Menelao. Non era forse capace di portare a Troia te con tutta la tua città standosene tranquilla in cielo? La verità è che Paride era bellissimo, e a vederlo la tua mente (nou'") si è creduta Afrodite. Afrodite! Nome che gli uomini danno a tutte le loro follie! Hai visto mio figlio nelle sue vesti barbare, splendente d’oro: il tuo cuore è impazzito. Vivevi di poco, ad Argo. Speravi di fuggire da Sparta, e di sommergere con i tuoi sperperi la città dei Frigi, ricca d’oro; il palazzo di Menelao non bastava a saziare la tua vanità smodata. Sostieni anche che mio figlio ti portò via a forza (biva/). Qualche Spartano se ne accorse? Gridasti forse aiuto? Eppure i tuoi fratelli Castore e Polluce erano ancora sulla terra, non in cielo come stelle! Ma arrivasti a Troia, e sulle tue tracce arrivarono anche gli Argivi; si scatenò una lotta furiosa. Se ti portavano notizia del successo di Menelao, coprivi di lodi il tuo primo marito, per umiliare mio figlio con il fantasma di un tanto grande rivale d’amore. Ma se la fortuna arrideva ai Troiani, allora Menelao era un nulla. Del valore non ti importava: ti preoccupavi dell’andamento della sorte. Ancora, tu affermi di esserti calata di nascosto dalle torri con le fune: ti costringevamo forse a restare? Se davvero rimanevi qui tuo malgrado (mevnous’ ajkousivw"), perché non ti abbiamo mai sorpresa con il cappio al collo, perché non ti abbiamo mai vista affilare una spada? Questo farebbe una donna onesta che rimpiange il suo primo marito. Ero io, tante volte, a consigliarti: “Va’. Mio figlio troverà un’altra sposa. Ti aiuterò io stessa a raggiungere di nascosto le navi achee; fa’ cessare questa guerra tra noi e i Greci”. Ma queste parole, per te, erano amare. Insuperbivi nei palazzi di Paride, volevi che i barbari si prostrassero ai tuoi piedi: questo per te era importante! E per di più ora ti presenti qui imbellettata, e respiri la stessa aria del tuo sposo. Sei un essere spregevole! Dovevi giungere umile, vestita di stracci, tremante di paura e con il capo rasato, dovevi cancellare la tua sfrontatezza con un timido pudore, dopo tutte le tue colpe passate. Sappi ora qual è la mia conclusione, Menelao: dona alla Grecia una corona che ti renda onore, uccidi questa donna; e a tutte le altre donne imponi questa legge: muoia colei che tradisce lo sposo. Eur. 1018 N oJ nou`~ ga;r hJmw`n ejstin ejn eJkavstw/ qeov~, “il nous è il dio presente in ognuno di noi” 6