Il metodo di Galileo e la caduta libera dei corpi - Crocetti
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Il metodo di Galileo e la caduta libera dei corpi - Crocetti
Il metodo sperimentale Di Galileo E la caduta libera dei corpi La Fisica ha l’obiettivo di comprendere la realtà, descrivendo i fenomeni naturali. Nel corso della prima lezione, il professore ha introdotto la figura di Galileo Galilei e ci ha spiegato il metodo sperimentale da lui adottato nello studio del moto di caduta libera dei corpi. Il metodo sperimentale si divide in quattro fasi principali: l’ osservazione del fenomeno, la realizzazione di esperimenti in laboratorio, l’ elaborazione dei dati numerici e la formulazione della legge fisica che descrive il fenomeno stesso in termini di logica matematica. L’Osservazione del fenomeno Nel corso della lezione, Il professore ha preso una penna e un astuccio pieno di penne, matite e gomme e ci ha chiesto, nel caso li avesse fatti cadere liberamente, quale dei due oggetti sarebbe arrivato prima sulla cattedra. Eravamo quasi tutti convinti che l’ astuccio avrebbe acquistato una velocità maggiore, in quanto aveva più massa rispetto a quella della penna, ma ci sbagliavamo; i due oggetti arrivarono sulla cattedra pressoché simultaneamente. Il professore ci spiegò quindi che a volte il puro ragionamento può condurci ad un errore, lo stesso che aveva commesso il filosofo Aristotele. Quest’ultimo riteneva che fosse possibile determinare tutte le leggi dell’universo col puro pensiero: non era necessaria la loro verifica per mezzo dell’osservazione. Affermò che la velocità di caduta libera è direttamente proporzionale al peso dei corpi, senza accertarlo sperimentalmente. Ma, se vogliamo adottare un metodo scientifico di studio, l’osservazione è fondamentale. Si racconta che Galileo verificò che la teoria di Aristotele fosse sbagliata lasciando cadere dalla torre pendente di Pisa oggetti per lo più sferici, di peso e materiale diverso. Come ribadito da Frank Wilczek [2009], ai tempi di Galileo i professori di teologia tenevano discorsi dotti sulla natura e la 1 struttura dell’universo, tutti basati su argomenti metafisici. Anche Galileo era interessato a tali questioni, però si rendeva conto che, per ottenere delle risposte, l’unica soluzione è data dal dialogo con la natura, che prima di tutto consiste in un’osservazione attenta del fenomeno fisico che si vuole studiare. Ma perché, ribattemmo, una piuma leggerissima cade più lentamente degli altri oggetti? La ragione è che la piuma subisce una maggiore resistenza dell’aria. Sulla Luna, dove non c’è atmosfera, questo non avviene. Come ricordato da Mario Livio [2009], David Scott (il settimo uomo a mettere piede sulla Luna) lasciò cadere nel medesimo istante un martello da una mano e una piuma dall’altra. I due oggetti caddero molto più lentamente di quanto non avrebbero fatto sulla Terra ma raggiunsero il suolo contemporaneamente, proprio come Galileo aveva predetto. Come descritto in Andrea Frova e Mariapiera Marenzana[2007], Galileo non fu l’unico ad accorgersi che la teoria di Aristotele fosse errata. Filopono, commentatore di Aristotele stesso, già nel VI secolo d.C. scriveva che se si lasciava cadere due pesi dalla stessa altezza, uno essendo molte volte più pesante dell’altro, si verifica che il rapporto dei tempi di caduta non dipende dal rapporto dei pesi, e che la loro differenza rimane molto piccola. Realizzazione di Esperimenti In laboratorio Una volta verificato che la massa di un oggetto in caduta libera non influisce sulla sua velocità in condizioni di attrito dell’aria trascurabile, Galileo volle anche comprendere come aumentassero la distanza percorsa e la velocità in funzione del tempo. Il problema è che, se si lasciano cadere oggetti verticalmente da una torre, gli oggetti precipitano troppo velocemente per cronometrarli con precisione; Galileo non possedeva i cronometri che abbiamo oggi. Escogitò quindi lo stratagemma di far rotolare delle sfere piccole come biglie e di massa diversa lungo un piano inclinato. Tale dispositivo riesce a visualizzare “a rallentatore” il moto accelerato di caduta libera, studiandolo in una situazione in cui l’accelerazione è inferiore a quella di gravità. Per misurare i tempi di percorrenza Galileo utilizzò un cronometro ad acqua che è ben 2 presentato nei suoi “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze” (1638). Esso consisteva in un grande secchio pieno d’acqua al cui fondo era stato saldato un piccolo canale dal quale fuoriusciva dell’acqua. L’acqua, raccolta in un bicchiere, veniva successivamente pesata con una bilancia di precisione. Arrivò alla conclusione che le distanze percorse sono direttamente proporzionali al quadrato dei tempi trascorsi a percorrerle. Come descritto in Robert P. Crease [2007] (informazione appresa su Internet), i taccuini e il carteggio di Galileo indicano che l’esperimento è stato eseguito con successo nel 1604, anche se riferì la sua legge nel “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano (1632) e sviluppò ulteriormente la sua esposizione nel libro successivo “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze”, l’ultima opera di Galileo Galilei che fu data alle stampe nel luglio del 1638. Sempre come descritto da Robert P. Crease [2007], un tempo gli storici della scienza credevano che Galileo avesse prima scoperto la sua legge con qualche forma di ragionamento astratta e poi avesse costruito il piano inclinato. La ragione dello scetticismo era associata agli orologi ad acqua, in quanto non si pensava che Galileo avesse potuto stabilire la sua legge fisica col loro aiuto. Nel 1961 Thomas Settle, un dottorando in “Storia della Scienza” alla Cornell University provò che, con un vaso di fiori pieno d’acqua dove aveva infilato al fondo un tubicino di vetro e con una bilancia di precisione pari a quella che poteva avere una bilancia di Galileo, si poteva misurare quasi il decimo di secondo come Galileo aveva affermato. Negli anni ’70 lo studioso di Galileo Stillman Drake contestò l’ipotesi degli orologi ad acqua e, studiando minuziosamente una pagina dei taccuini di Galileo, concluse che aveva registrato i tempi sfruttando la sua pratica musicale. Galileo, infatti, figlio di musicista e grande suonatore di liuto, era in grado di mantenere perfettamente il tempo e di misurarlo con buona precisione. Il nostro esperimento Per ripetere l’esperienza di Galileo, abbiamo fatto rotolare una piccola sfera metallica di diametro 22mm lungo una lastra di acciaio di 2 metri piegata a V. Nelle nostre prove, abbiamo posizionato la lastra a diverse pendenze adagiandola su pacchi di fogli di formato A4 e, con i cronometri del laboratorio di Fisica dell’ ITIS “V. Cerulli”, abbiamo 3 registrato i tempi di percorrenza della biglia nel suo movimento di discesa. Elaborazione dei dati numerici Abbiamo iniziato le nostre misurazioni dapprima con un’inclinazione della lastra di 1,51°, ottenuta sollevando 190cm della lastra ad un’altezza di 5cm (h1 = 5cm). Abbiamo quindi misurato i tempi trascorsi affinché la biglia percorresse le distanze rispettivamente di 20cm, 80cm e 180cm. Se indichiamo con t il tempo per percorrere 20cm di distanza, il nostro obiettivo è determinare che, per percorrere la distanza di 80cm = 4 * 20cm, occorre un tempo pari a 2t e che, per percorrere la distanza di 180cm = 9 * 20cm, occorre un tempo pari a 3t. Riportiamo una tabella dove, per ogni riga, è indicata la distanza percorsa, il tempo medio di percorrenza dopo aver effettuato 50 misurazioni, il quadrato del tempo medio ed infine il rapporto tra la distanza percorsa e il quadrato del tempo medio di percorrenza (ossia il valore della costante di proporzionalità quadratica). d(cm) 20 80 180 Tabella relativa all’altezza h1 = 5cm tm(s) tm2(s2) K1= d/ tm2 (cm/s2) 1,5 2,25 8,89 3,0 9 8,89 4,6 21,16 8,51 Se si osserva l’ultima colonna, i valori differiscono di poco, indichiamo con k1 = 8,76 cm/s2 la media dei tre valori numerici. Abbiamo poi effettuato altre misurazioni con un’inclinazione della lastra di 2,11°, ottenuta sollevando 190cm di lastra ad un’altezza di 7cm (h2 = 7cm). Riportiamo la tabella relativa a tali prove: d(cm) 20 80 Tabella relativa all’altezza h2 = 7cm tm(s) tm2(s2) K2= d/ tm2 (cm/s2) 1,3 1,69 11,83 2,5 6,25 12,80 4 180 3,8 14,44 12,46 Se si osserva l’ultima colonna, i valori non differiscono di molto, indichiamo con k2 = 12,36 cm/s2 la media dei tre valori numerici. E’ possibile verificare la seguente proporzione: k1 : k2 = h1 : h2 (8,76/12,36 è circa 0,71 così come 5/7), ossia il rapporto tra le costanti di proporzionalità quadratiche è pressoché uguale al rapporto tra le rispettive altezze, risultato che abbiamo verificato poi per diversi valori della pendenza della lastra, tra cui h3 = 10cm. (inclinazione di 3,02°) Riportiamo la tabella relativa a tali prove: d(cm) 20 80 180 Tabella relativa all’altezza h3 = 10cm tm(s) tm2(s2) K2= d/ tm2 (cm/s2) 1,1 1,21 16,53 2,1 4,41 18,14 3,3 10,89 16,53 Se si osserva l’ultima colonna, i valori non differiscono di molto, indichiamo con k3 = 17,07 cm/s2 la media dei tre valori numerici. E’ possibile verificare infatti con buona approssimazione anche la seguente proporzione: k1 : k3 = h1 : h3 (8,76/17,07 = 0,51 e 5/10 = 0,5) Nel moto di caduta verticale, è come se sollevassimo i nostri 190cm di lastra ad un’altezza di 190cm e, indicando con k la costante di proporzionalità quadratica relativa e con l la lunghezza di 190cm, possiamo considerare la seguente proporzione: k1 : k = h1 : l Risolvendo la proporzione, otteniamo k = (k1*l)/h1 , ossia il valore di 332,88 cm/s2, che corrisponde approssimativamente ai 5/14 dell’accelerazione di gravità g (981cm/s2). I nostri testi di Fisica, “Studiamo la Fisica essenziale” di Giuseppe Ruffo, edizione Zanichelli e “Fisica Concetti in azione” Volume 1 di Frank – Wysession – Yancopoulos a cura di Martina Serra, edizione linx, indicano invece che la costante k è la metà dell’accelerazione di gravità. 5 Il nostro professore ci ha spiegato che tale effetto è dovuto al rotolamento della biglia che fa sì che l’accelerazione del centro di massa della biglia lungo il piano inclinato diminuisca rispetto a quando il suo moto avviene unicamente per scivolamento. Quando la biglia metallica rotola lungo il piano inclinato, occorre tener presente che la perdita della sua energia potenziale si trasforma sia in energia cinetica di traslazione del suo centro di massa, ma anche in energia cinetica di rotazione attorno ad un asse passante per esso. Come descritto in Andrea Frova e Mariapiera Marenzana[2007], Galileo non si pose il problema di tale riduzione nel valore dell’accelerazione e questo non ebbe conseguenze sulle sue determinazioni, per il fatto che esse non furono mai assolute ma sempre espresse come rapporti e proporzionalità tra grandezze. Formulazione della legge fisica In termini di logica matematica Col suo esperimento, Galileo ha verificato che nel moto di caduta libera le distanze percorse sono direttamente proporzionali al quadrato dei tempi trascorsi a percorrerle, scoprendo che il fenomeno fisico non era descritto da numeri casuali, ma che c’era un ordine matematico ben definito. Come descritto da Roberto Vacca [2008], Galileo nel “Dialogo dei due massimi sistemi” aveva scritto che “… l’accelerazione del moto retto dei gravi si fa secondo i numeri impari ab unitate, cioè che segnati quali e quanti si voglino tempi uguali, se nel primo tempo partendosi il mobile dalla quiete, averà passato un tale spazio, come una canna, nel secondo tempo passerà tre canne, nel terzo cinque, nel quarto sette e così conseguentemente secondo i succedenti numeri caffi [dispari …] è l’istesso che il dire che gli spazi passati dal mobile dipartendosi dalla quiete hanno tra di loro proporzione duplicata di quella che hanno i tempi ne’ quali tali spazi sono misurati, o vogliam dire che gli spazi passati son tra loro come i quadrati dè tempi.” Il discorso sul moto che si “fa secondo i numeri impari” è equivalente a quello che Galileo riferisce nelle ultime parole della 6 citazione. Se si sommano tutti i numeri dispari consecutivi, ad ogni passo si ottengono i quadrati dei numeri interi: 1+3=4=2×2 1+3+5=9=3×3 1 + 3 + 5 + 7 = 16 = 4 × 4 1 + 3 + 5 + 7 + 9 = 25 = 5 × 5 e così via … Al contrario degli aristotelici che si accontentavano di una descrizione qualitativa della natura, Galileo con la sua legge aveva mostrato che la natura poteva essere descritta matematicamente. Come ribadito da Mario Livio [2009], Galileo era assolutamente convinto dell’importanza della Matematica e della Geometria. La sua opera “Il Saggiatore” del 1623 contiene la sua affermazione più limpida e avveniristica sul rapporto tra la matematica e il cosmo; in un passo Galileo afferma che l’universo “non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, nè quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica.” Come osservò una volta il filosofo della scienza Alexandre Koyrè (1892-1964), è questa la rivoluzione del pensiero scientifico: la scoperta che la matematica è la grammatica della scienza. Si ritiene universalmente che tale rivoluzione è da attribuire principalmente a Galileo Galilei, padre fondatore della fisica moderna. Approfondimenti Galileo era ben consapevole che il moto di caduta libera fosse uniformemente accelerato. Nei suoi “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze” fa presente che tale moto è caratterizzato da un valore costante dell’accelerazione, in 7 quanto la velocità è crescente in modo proporzionale al tempo trascorso dall’inizio del moto. Se avesse conosciuto la grande opera di Cartesio, “La Geometria”, appendice di 106 pagine al “Discorso sul Metodo” del 1637, tracciando il grafico lineare della velocità su un sistema di riferimento cartesiano, avrebbe potuto determinare le leggi che regolano il moto uniformemente accelerato: v=a*t s = ½ * a * t2 scoprendo che la costante di proporzionalità tra velocità e tempi (l’accelerazione a) è doppia rispetto alla costante di proporzionalità tra gli spazi percorsi e il quadrato dei tempi trascorsi a percorrerli. Anche nei nostri testi di Fisica, “Studiamo la Fisica essenziale” di Giuseppe Ruffo, edizione Zanichelli e “Fisica Concetti in azione” Volume 1 di Frank – Wysession – Yancopoulos a cura di Martina Serra, edizione linx, si fa infatti presente che in un diagramma velocità-tempo, l’area compresa tra la curva che rappresenta la velocità, l’asse orizzontale del tempo e il segmento verticale in corrispondenza del tempo finale rappresenta lo spazio percorso. Tale metodo di procedere doveva essere familiare a Galileo; conosceva benissimo le opere del grande Archimede, che aveva determinato le aree di figure piane e i volumi di porzioni di spazio delimitati da ogni genere di superfici curve. Il calcolo dell’esatto valore dell’accelerazione di gravità, ossia la scoperta che la velocità di un corpo in caduta libera aumenta di 981 cm/s ogni secondo, fu una delle pietre miliari per il futuro della Fisica. Come è riportato in Gamow[1961], (informazione appresa dal libro “Il mio Infinito” di Margherita Hack) Newton, grazie a semplici considerazioni geometriche, determinò l’analogo valore dell’accelerazione di gravità alla distanza della Luna, 0,27 cm/s ogni secondo e, poiché il rapporto 981/0,27 è approssimativamente uguale al quadrato del rapporto tra la distanza Terra-Luna e il raggio della Terra, dedusse che la forza di gravità terrestre decresce con l’inverso del quadrato della distanza dal centro della Terra. Generalizzando questo risultato a tutti i corpi del Sistema Solare e dell’Universo, Newton formulò poi la legge di gravitazione universale, secondo cui due corpi sferici si attraggono l’un l’altro con una forza proporzionale al prodotto delle loro masse e 8 inversamente proporzionale al quadrato della distanza dei loro centri. La sua famosa frase “Se ho visto più lontano è perché stavo sulle spalle di giganti” vuole farci capire che nelle Scienze, raggiungere alti livelli è possibile sì grazie agli sforzi personali, ma non bisogna mai dimenticare il contributo degli scienziati precedenti. Tra quei giganti, sulle cui spalle Newton aveva visto così lontano, c’era anche il nostro Galileo Galilei. Bibliografia Andrea Frova, Mariapiera Marenzana, “Parola di Galileo”. Proprietà letteraria riservata. © 1998 RCS Libri S.p.A., Milano. Prima edizione Superbur Saggi novembre 1998. Prima edizione BUR Scienza luglio 2007. Frank Wilczek, “La leggerezza dell’essere. La massa, l’etere e l’unificazione delle forze”. Titolo originale dell’opera: “The lightness of Being, Mass, Ether, and the Unification of Forces”. Traduzione di Simonetta Frediani. © 2008 Frank Wilczek All right reserved. © 2009 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino. Edizione Mondolibri S.p.A., Milano su licenza Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino. George Gamow, “Biography of physics”, Harper 1961 Mario Livio, “Dio è un matematico. La scoperta delle formule nascoste dell’universo”. Titolo originale dell’opera: “Is God a mathematician?”. Traduzione di Carlo Capararo e Andrea Zucchetti. © 2009 by Mario Livio. © 2009 RCS Libri S.p.A., Milano. Edizione Mondolibri S.p.A., Milano su licenza RCS Libri S.p.A., Milano. Robert P. Crease, “Il prisma e il pendolo” Longanesi 2007 9 Roberto Vacca, “Anche tu Fisico. La Fisica spiegata in modo comprensibile a chi non la sa”. © 2008, Garzanti Libri S.p.A., Milano. Edizione Mondolibri S.p.A., Milano su licenza Garzanti Libri S.p.A., Milano. 10