- Cada Die Teatro

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VIVA LA RADIO! NETWORK - DEBUTTO DI OPERAPÈ: LE API,
IL MONDO E IL SENSO DELLA VITA (G. Marini – Ca)
Scritto da Giulia Marini
Il 24 Ottobre al Teatro La Vetreria di Pirri (Cagliari) ha debuttato Operapè, spettacolo di e con
Mauro Mou e Silvestro Ziccardi per la regia di Alessandro Lay, scene e costumi di Marcella Ki,
musiche di Matteo Carta, suono curato da Giampietro Guttuso, luci di Giovanni Schirru, cura del
movimento di Alessandro Carboni e Florent Bergal. Lo spettacolo nasce da un’idea dell’attore e
regista Mauro Mou e rappresenta la conclusione di uno studio sul mondo delle api e le sue
connessioni con la tutela dell’ambiente e della qualità della vita iniziato nel bosco di Baulassa a
Ulassai in occasione del Festival Dei Tacchi 2008, dove lo staff artistico si è ritirato per una
settimana. «Il progetto di elaborare uno spettacolo sulle api» spiega Mou, «nasce dall’interesse per
il loro mondo: mia moglie è apicultrice e grazie a lei ho imparato a conoscere questa realtà. Le api
hanno come scopo la costruzione di un mondo perfetto per chi viene dopo di loro. La loro
caratteristica è anteporre il bene della comunità al loro. Questo fa sì che affrontino la morte con
estrema serenità. La loro vita ha un ciclo brevissimo ma denso di significato e questo per noi è
spunto di riflessione sul senso dell’ esistenza». La ricerca di Mou, Ziccardi e Lay, parte dalla
terribile moria di api che da anni sconvolge il mondo degli apicultori e che sembra annunciare,
come predetto da Albert Einstein, la catastrofe, l’imminente fine della vita, del cosmo e dell’uomo.
«Ci siamo interrogati sul significato che la parola catastrofe ha assunto fin dal teatro greco»
racconta Ziccardi: «essa rappresenta la risoluzione della tragedia, lo scioglimento dei nodi e dei
conflitti. In genere viene considerata negativamente, ma essa può essere l’inizio di un cambiamento,
un riaffacciarsi alla vita. E’ innegabile che la natura stia subendo numerosi danni a causa dell’uomo.
Constatarlo e ritenere inutile fare qualcosa per cambiare non produrrà nulla, ma esserne consapevoli
e darsi da fare per modificare il corso degli eventi è il punto di partenza per amare il mondo e sé
stessi». Due le suggestioni letterarie che hanno contribuito alla stesura del testo, La vita delle api di
Maurice Maeterlinck e Quando Teresa si arrabbiò con Dio di Alejandro Jodorowski. Importante la
collaborazione con Maria Lai, famosa artista ogliastrina che ha sviluppato un linguaggio originale
nella produzione di tele cucite che generano scritture illeggibili capaci di evocare stati d'animo e
pensieri. L’artista ha realizzato le arnie sulla scena che riportano segni di misteriose mappe che
sembrano riprodurre le danze delle api esploratrici, ma che possono essere interpretate come
rappresentazione di nuovi universi e costellazioni.
Lo spettacolo:
Una lieve penombra illumina sulla scena i resti di quelle che un tempo erano le arnie che ospitavano
milioni di api. In sottofondo un sibilo lontano, echeggia il ricordo di ronzii ormai sepolti. L’
apicultore (Silvestro Ziccardi), in tuta da lavoro e maschera protettiva, si aggira mesto tra queste
rovine in cerca di qualche superstite che possa ancora dargli una ragione per non sentirsi un fallito.
Un apicultore-poeta che a voce bassissima quasi impercettibile, recita i versi da lui scritti per
esaltare le sue adorate api. Come in uno scenario beckettiano, non resta più nulla: lo sventurato
protagonista si limita a constatare la fine e ad attendere la morte. E la morte arriva ma non è vestita
di nulla come la intedeva Gozzano. La Morte (Mauro Mou) è un uomo vestito da sposa che si
trasforma in gothic lolita con occhialoni bianchi e parrucca fucsia. Al posto della falce ha, chiusa in
una custodia bianca a forma di bara, un chitarra elettrica con la quale intona canzoni di rock duro.
Lei è tutto fuorché l’immagine del nulla e la sua entrata in scena spezza la drammaticità dei
monologhi del povero apicultore che ora, vestito di tutto punto in abito scuro, da il via ai preparativi
per il suicidio sistemando la fune per impiccarsi. Con sorpresa la Morte parla con grande trasporto
della “sottile membrana trasparente che separa l’amore dalla morte”, dell’ape regina e dei fuchi,
della città perfetta dell’alveare, citando i versi che l’apicultore-poeta ha annotato in un libricino
nero intitolato La vita delle api al quale riconosce un grande valore artistico. Cominciano così a
dipanarsi i dialoghi tra i due personaggi che ondeggiano tra la pura tragicità e l’ironia più sfrenata,
condita dalla grottesca firma col sangue del contratto di morte. I due protagonisti si attraggono e si
respingono trasformandosi in una coppia di promessi sposi un po’ svitati che si cercano, si guardano
e in bilico danzano avvolti nella fune che, da strumento di morte, diventa il mezzo per tornare a
sognare. L’apicultore non vuole più morire e, venendo meno al patto, saluta la Morte con un
arrivederci che ha il sapore di un addio tra due innamorati che dividono le loro strade. Si rivedranno
un domani tanto lei, la Morte, è sempre pronta a tornare. Ora è tempo di ricominciare a vivere. La
grossa fune pronta per formare il cappio, si trasforma in altalena . L’apicultore abbozza un sorriso,
ci sale su e comincia a volare sempre più in alto testimoniando che, a volte, la morte serve per
ritornare a vivere.
Giulia Marini - Cagliari