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Il Sole 24 Ore
DOMENICA - 17 LUGLIO 2016
n. 195
L’affermazione di Matera
Cultura e sviluppo
Sulla Domenica del 19 ottobre 2014 ,Stefano Baia Curioni e
Gabriele Messineo commentano l’affermazione di Matera a
Capitale della Culturanel 2019:« Un’importante affermazione
per una città ricca di storia e di capacità artigianali, ma colpita
da un diffuso processo di crisi industriale»
www.archiviodomenica.ilsole24ore.com
verso il 2018 / spoleto si candida a capitale della cultura
torino
Dove la storia si fa innovazione
Dante
splendente
di Claudio Giunta
N
fusione di idee
Dall’alto a sinistra: installazione a Palazzo Collicola, Emanuele Giannelli, il percorso di scale mobili ideato da Kenzo Tange; gli schizzi di Christo per l’impacchettamento della Torre e della Fontana nel 1968, To Lie or Not To Lie; locandina dell’edizione del 1965 del Festival dei Due mondi disegnata da Ben Shahn ;
È una delle rarissime città italiane che conserva
tracce documentabili dalla preistoria ad oggi.
Ma è anche un luogo che ha sviluppato
una visione innovativa di arte e urbanistica
di Angelo Maria Petroni
S
poleto ha due dimensioni
culturali fondamentali.
La prima è quella della lon­
gue durée. Spoleto è infatti
una delle rarissime città italiane in cui la storia documentabile va dalla preistoria sino a oggi, senza soluzione di continuità. Ogni
periodo ha contribuito a costituire la
sua forma urbis presente. Ogni periodo
successivo ha modificato e integrato
quello precedente, senza mai cancellarlo. In particolare, Spoleto è una delle
città italiane che maggiormente ha resistito alla cesura urbanistica della tarda antichità.
La seconda dimensione è quella dell’innovazione. Città di uno dei primi
teatri da camera italiani nel Seicento,
Spoleto ha dispiegato con forza la sua
capacità di innovazione culturale a
partire dal secondo dopoguerra. A
Spoleto nel 1947 è nato il Teatro lirico
sperimentale, fucina di generazioni di
cantanti lirici. A Spoleto nel 1958 è nato il Festival dei Due Mondi, che primo
o tra i primissimi del mondo ha teorizzato e realizzato la fusione post-moderna tra repertorio classico e la sperimentazione più innovativa e destinata
ad avere un successo universale. Coniugando tutto questo con una visione
di globalizzazione della cultura vista
non come mera giustapposizione di
arti nazionali – che era il modello sino
ad allora noto – ma come migrazione e
fusione di idee e di modelli artistici e
ideologici. A Spoleto si è realizzata nel
1962 l’innovazione di esporre nelle vie
e nelle piazze l’avanguardia della scultura contemporanea, da Calder a Be-
verly Pepper, da Chadwick a Pomodoro. Non come ricerca di meri spazi
espositivi più o meno periferici, ma
come innervamento dello stesso tessuto urbano di un’antichissima città. E
fu a Spoleto che nel 1968 Christo realizzò il primo impacchettamento monumentale.
L’innovazione si è fatta storia. Non
come custodia delle ceneri, ma come
alimentazione del fuoco. Ha generato
scuole artistiche di arti visive, collezioni notevoli di arte contemporanea, come quella di Palazzo Collicola, metodologie innovative di utilizzazione di
spazi antichi. Ha generato una cultura
diffusa tra la popolazione di apertura
all’altro, una sensibilità nei confronti
delle diverse esperienze estetiche e
ideologiche che probabilmente non ha
pari in alcuna altra città italiana.
La forma urbis di Spoleto vede oggi
anch’essa un formidabile momento di
innovazione. La costruzione dei sistemi di mobilità pedonale automatizzata costituisce la maggiore innovazione mai effettuata in una città storica
delle dimensioni di Spoleto. Ventidue
marciapiedi mobili, quattordici scale
mobili, diciassette ascensori, permettono di spostarsi con facilità in una
delle città più verticali d’Italia.
Un’idea quasi utopica di Kenzo Tange
del 1987, che è diventata realtà.
Come sempre nella storia di Spoleto,
queste nuove strutture urbanistiche
non cancellano quelle preesistenti, ma
si integrano con esse per formare un
sistema armonico. Queste strutture
non sono esclusivamente una innovazione tecnologica, ma sono una inno-
vazione antropologica. Esse stanno
determinando, e sempre più determineranno, un cambiamento nelle modalità di vita sia della popolazione che
ancora risiede nel centro storico sia di
quella che è insediata nei sobborghi. Si
inverte la tendenza oramai quasi secolare a Spoleto di de-antropizzazione
del centro storico. L’innovazione della
mobilità fatta a Spoleto diventa un modello per molte città italiane che presentano lo stesso fenomeno negativo. I
centri storici non devono essere più
necessariamente o luoghi disabitati o
fenomeni turistici, ma possono diventare luoghi che corrispondono alle esigenze dei modi di vita moderni ad alta
mobilità.
Il valore di tutto questo per la cultura
italiana è notevole.
È infatti giudizio comune che la no-
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ˇ
stra cultura soffra di una scarsità relativa di innovazione rispetto a quella di
Paesi come la Gran Bretagna, la Francia o la Germania. Una delle ragioni che
il percorso
Valorizzazione del patrimonio, motore
dello sviluppo, tra innovazione e tradizione. Queste le linee guida su cui il Comune di
Spoleto ha lavorato per la candidatura 2018
a Capitale Italiana della Cultura. Il dossier,
presentato al Mibac lo scorso 30 giugno, è
stato costruito attraverso un percorso
partecipativo che ha tracciato, insieme alla
cittadinanza, una mappa composita. Le
coordinate indentificate sono cultura,
ambiente, turismo e innovazione.
vengono più diffusamente portate a
spiegazione di questa realtà è che l’innovazione culturale nella modernità è
possibile solo nelle grandi città. Poiché
in Italia le grandi città – o le grandi agglomerazioni urbane – sono in numero
inferiore a quelle degli altri Paesi, la relativa scarsità di innovazione avrebbe
una ragione strutturale. Spoleto è la
confutazione di questa tesi deterministica. La sua storia e il suo presente dimostrano che la dimensione della media/piccola città può essere il luogo
dell’innovazione. Una innovazione,
per di più, non incrementale ma radicale. Una innovazione che muta i paradigmi, apre al mondo, innerva la popolazione, genera sviluppo.
L’innovazione culturale non è quindi necessariamente questione di dimensioni fisiche o economiche. È questione di idee, di comprensione delle
proprie radici coniugata con l’apertura a quanto di più interessante viene
fatto nel mondo. È questione di audacia nel proporre alla popolazione forti
innovazioni, nella fiducia che essa saprà comprenderle e condividerle. In
sintesi, è una questione di democrazia
reale.
Quello che è avvenuto e sta avvenendo a Spoleto è davvero un’esperienza
significativa che merita di essere condivisa con le molte città italiana di piccole e medie dimensioni le cui potenzialità di innovazione culturale non
sono state ancora adeguatamente sviluppate.
– Ordinario di Logica e Filosofia della Scienza
Università La Sapienza Roma
© RIPRODUZIONE RISERVATA
on so quanti torinesi abbiano visitato, in vita loro, la Biblioteca Reale, temo non
tanti. È un peccato, non solo
perché la Biblioteca Reale è uno splendido posto in cui studiare, ricco di fondi
librari e manoscritti e di una straordinaria raccolta di disegni, ma perché è
uno splendido posto tout court, uno dei
più begli edifici neoclassici della città,
guarnito di sontuose boiseries e deliziosi cimeli savoiardi. Fino alla fine di luglio c’è una ragione di più per visitarla.
Lavorando con i bibliotecari della Reale, e con una squadra di giovani studiose, Donato Pirovano, dell’Università di
Torino, ha allestito la mostra Più splen­
don le carte, che raccoglie e illustra una
sessantina tra manoscritti e libri che
documentano l’opera e la fortuna di
Dante Alighieri dal Trecento ai giorni
nostri. Qualcosa viene dai fondi delle
biblioteche torinesi (spezza il cuore
l’esemplare trecentesco della Comme­
dia ora conservato all’Universitaria, e
ridotto a moncherino dall’incendio del
1904), molti sono prestiti scelti con intelligenza dalle altre biblioteche italiane: e si vedono con emozione, in particolare, il più antico testimone datato
(1334) dell’intera Commedia, l’Ashbur­
nham 828 della Laurenziana di Firenze,
uno dei tre manoscritti della Commedia
esemplati da Giovanni Boccaccio (Riccardiano 1035), nonché l’unico testimone integrale e miniato delle Chiose Pala­
tine, anch’esso di poco posteriore alla
morte di Dante.
Sono cose da lasciare agli eruditi? No,
perché riguardano il più importante
poeta italiano, perché permettono con
poca fatica di capire come si scriveva,
come si leggeva, com’erano fatti i libri
nel Medioevo, e soprattutto perché le
collaboratrici di Pirovano hanno saputo mettere accanto ai manoscritti e ai libri antichi un apparato didascalico insieme elegante, esatto e cordiale, cioè
tale da non spaventare il visitatore inesperto, un apparato che dai testi danteschi prende anche spunto per micro-lezioni di filologia, paleografia e storia
della stampa. Difficile spendere meglio
un’ora di luglio, se si è in città.
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Più splendon le carte, Biblioteca
Reale di Torino, Piazza Castello, fino
al 30 luglio
miniato | Il manoscritto delle Chiose Palatine (Biblioteca Nazionale di Firenze, ms. Palatino 313), tra le più antiche annotazioni alla Commedia (secondo quarto del Trecento)