Anne-Robert-Jacques Turgot Riflessioni sulla
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Economia Anne-Robert-Jacques Turgot Riflessioni sulla formazione e la distribuzione delle ricchezze 1766 PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO Nei libri di storia Turgot compare soprattutto per la sua breve ma sfortunata esperienza come ministro delle finanze del re di Francia Luigi XVI, durante la quale provò senza successo di abolire i privilegi e le restrizioni che ostacolavano lo svolgimento delle attività economiche. Malgrado i gravosi impegni legati alle sue cariche pubbliche, riuscì a realizzare opere di grande valore riguardanti la storia, la letteratura, la psicologia e le scienze naturali. Riflessioni sulla formazione e la distribuzione delle ricchezze è il suo capolavoro nello studio dell’economia. Si tratta di un testo estremamente sintetico, tanto da sembrare quasi un indice per comporre un futuro trattato, ma denso di concetti originali. In queste riflessioni si trova per la prima volta il termine “capitale” per indicare la ricchezza accumulata e destinata all’investimento economico; è presente una delle prime analisi della figura dell’imprenditore; vi è una chiara spiegazione del tasso d’interesse e una brillante critica delle leggi anti-usura. Turgot influenzò in maniera rilevante Adam Smith, che pubblicò la sua celebre Ricchezza delle nazioni esattamente dieci anni dopo. 2 PUNTI CHIAVE All’inizio ogni uomo si appropria di tutta la terra che riesce a coltivare da solo La diversità delle terre e dei bisogni porta spontaneamente alla divisione del lavoro L’appropriazione delle terra genera con il tempo numerose disuguaglianze Si formano tre distinte classi sociali: coltivatori, salariati, proprietari terrieri La coltivazione della terra è la fonte di ogni altra ricchezza I prezzi dei beni dipendono esclusivamente dalle valutazioni soggettive delle parti Per le loro caratteristiche, l’oro e l’argento diventano spontaneamente la moneta universale L’imprenditore e il mercante svolgono due funzioni essenziali È sbagliato vietare o limitare l’interesse sui prestiti L’abbondanza di capitali riduce il tasso d’interesse e favorisce le attività economiche Lo spirito di parsimonia, non la spesa per il lusso, rende prospero un paese. RIASSUNTO Dall’appropriazione della terra alla divisione del lavoro Attraverso l’osservazione dei fatti economici del suo tempo, Turgot si propone di individuare quelle leggi generali che regolano i rapporti produttivi. Il metodo utilizzato dal pensatore francese è quello di risalire mentalmente alle origini della storia e da qui dimostrare che l’umanità è giunta allo stadio attuale in virtù di una sequenza naturale di atti economici riguardanti l’appropriazione delle cose di nessuno, il lavoro, lo scambio, il risparmio e l’investimento delle ricchezze non consumate. All’inizio, spiega Turgot, la terra non è stata distribuita a tutti in modo eguale. Le terre infatti sono state prima coltivate, e quindi appropriate. La coltivazione è stata il solo motivo della spartizione e della legge che assicura ad ognuno la sua proprietà. I primi TURGOT – Riflessione sulla formazione e la distribuzione delle ricchezze www.tramedoro.eu 3 uomini che si sono dati all’agricoltura hanno probabilmente coltivato tanto terreno quanto le loro forze gli permettevano, e quindi non più di quanto fosse loro necessario per nutrirsi. In quei primi tempi ogni uomo laborioso trovava tutta la terra che voleva e non poteva quindi essere tentato di lavorare la terra per altri. In questa situazione si trovano oggi le nuove colonie fuori dall’Europa. Questa situazione però non può durare a lungo. Le terre sono tutte diverse tra loro, e nessuna è in grado di sopperire da sola a tutti i bisogni umani, come l’alloggio o il vestiario. Il proprietario di terra adatta solo alla coltivazione del grano non potrebbe produrre cotone o canapa, e quindi non avrebbe la tela per vestirsi. Un altro che avesse una terra adatta al cotone non potrebbe produrre cereali per nutrirsi. Un altro ancora mancherebbe di legna per scaldarsi o costruirsi l’abitazione. Presto l’esperienza insegnerebbe a ciascuno qual è il genere di produzione più adatto alla sua terra. Ognuno quindi si limiterà a praticare questa per procurarsi le cose di cui manca tramite lo scambio con i suoi vicini, i quali, avendo fatto le stesse riflessioni, avranno coltivato il prodotto più adatto al loro campo ed abbandonato la coltivazione di tutti gli altri. Nasce quindi spontaneamente la fondamentale istituzione sociale della divisione del lavoro, e con essa la specializzazione. I prodotti della terra infatti non possono essere utilizzati così come la natura li dà. Occorre un intervento dell’uomo per trasformarli e renderli utilizzabili. Ad esempio, bisogna convertire il frumento in farina e in pane, conciare le pelli, filare le lane e i cotoni, estrarre la seta dai bozzoli, macerare e lavorare le canape e i lini per farne differenti tessuti da tagliare e cucire per farne vestiti e calzature. Nessun uomo da solo potrebbe realizzare bene tutte queste operazioni, perché richiedono una lunga esperienza che non si acquisisce se non lavorandovi in modo continuativo. Gli uomini quindi si specializzano nell’attività in cui eccellono, e tutti ne traggono vantaggio. TURGOT – Riflessione sulla formazione e la distribuzione delle ricchezze www.tramedoro.eu 4 Prima disuguaglianze e distinzioni di classe Questo processo naturale di appropriazione e di coltivazione delle terre genera, per cause diverse, numerose disuguaglianze: all’inizio un uomo più forte, più laborioso e più previdente prende più terra di un uomo dal carattere opposto, e chi ha una famiglia più numerosa, avendo bisogni maggiori e più braccia, estende di più i suoi possessi; i terreni non sono ugualmente fertili, e due uomini con la stessa quantità di terreno e lo stesso lavoro possono ottenere un raccolto molto differente; la suddivisione delle proprietà tra i figli dopo la morte del padre, o la riunificazione dopo l’estinzione di qualche ramo famigliare, modificano con il passare delle generazioni le estensioni delle proprietà; il contrasto fra l’intelligenza, l’attività e soprattutto la parsimonia di alcuni uomini e l’indolenza, la inattività e lo sperpero di altri costituisce infine la fonte di disuguaglianza più rilevante. Con l’andar del tempo, man mano che la terra si va popolando e ne vengono dissodate sempre maggior estensioni, tutte le terre migliori vengono occupate. Per gli ultimi arrivati rimangono solo i terreni sterili scartati dai primi. Alla fine ogni terra trova il suo padrone. Coloro che non possono avere alcuna proprietà non hanno altra risorsa che quella di scambiare il lavoro delle loro braccia contro l’eccedenza di prodotti del proprietariocoltivatore. Quest’ultimo può quindi pagare altri uomini perché coltivino la sua terra, e per la prima volta la proprietà della terra viene separata dal lavoro della coltura. I prodotti della terra vengono quindi ripartiti tra il coltivatore, che riceve il “prodotto netto” derivante dal suo lavoro; e il proprietario, che riceve il “reddito”, cioè la rendita che la terra elargisce come “puro dono”, oltre gli investimenti e il compenso per chi la lavora. La società si divide quindi in tre classi: gli agricoltori, o “classe produttrice”; gli artigiani e gli altri lavoratori pagati con i prodotti della terra (“classe stipendiata”) e i proprietari, o “classe disponibile”. Questi ultimi hanno cinque modi diversi per ottenere il reddito dalle loro terre: facendola lavorare dagli schiavi (un “abominevole costume” destinato a scomparire nei paesi civilizzati), ricevendo una quota del raccolto dai servi della gleba o TURGOT – Riflessione sulla formazione e la distribuzione delle ricchezze www.tramedoro.eu 5 dai vassalli, pagando dei salariati, dividendo il raccolto a metà con il colono (mezzadria) o infine affittando la terra, il sistema più avanzato. L’agricoltore è quindi il primo motore della circolazione dei beni economici, e la terra è la fonte di ogni altra ricchezza. Con questa affermazione, che rende omaggio alle idee della scuola fisiocratica, Turgot intende dire che la coltivazione della terra è il presupposto che permette tutte le altre attività economiche, perché nessun altro lavoro può essere retribuito se prima l’agricoltura non ha creato un surplus di ricchezza. La nascita del denaro Gli uomini, spinti dal bisogno reciproco, cedono dunque quello che possiedono per avere ciò che non possiedono. Ma in base a quali criteri avvengono questi scambi? Turgot spiega che il valore è sempre soggettivo. I beni non hanno un prezzo oggettivo determinato dalle loro qualità intrinseche. Il valore è semplicemente quello che gli attribuiscono il compratore e il venditore. Il prezzo delle cose scambiate non ha altra misura che il bisogno o il desiderio dei contraenti, e non è fissato che dall’incontro delle loro volontà. Ogni merce può servire da misura comune con la quale confrontare il valore di tutte le altre, ma non tutte le merci offrono una scala di valori ugualmente comoda. Ad esempio, non tutti vini o le pecore sono di uguale qualità. Occorre quindi una merce che abbia un valore omogeneo in ogni sua parte. Inoltre deve essere facile da trasportare e da conservare senza che si rovini. I metalli si sono rivelati i beni più adatti, perché sono sempre suddivisibili in parti piccole, sono inalterabili e racchiudono un valore molto grande in un peso e in un volume minimo. Tutti coloro che possiedono dei beni superflui si affettano quindi a scambiarli con la merce più accettata, il denaro, perché sanno che in futuro potranno scambiarlo più facilmente con ii beni che gli servono. L’oro e l’argento diventano così la moneta universale senza alcuna arbitraria convenzione tra gli uomini e senza l’intervento di alcuna legge, ma per la natura delle cose. Tutte le monete, quindi, all’inizio devono essere TURGOT – Riflessione sulla formazione e la distribuzione delle ricchezze www.tramedoro.eu 6 delle merci con un proprio valore. Una moneta puramente convenzionale, spiega Turgot, è impossibile. L’imprenditore e il mercante L’uso del denaro facilita la divisione del lavoro e accelera prodigiosamente il progresso della società. La possibilità di accumulare ricchezze permette infatti di effettuare quelle “anticipazioni” indispensabili alle attività economiche. I capitali possono essere impiegati produttivamente in cinque modi diversi: acquistando un fondo; investendoli in un’impresa industriale, agricola o commerciale; prestandoli in cambio di un interesse. Sorgono in questo modo due importantissime figure professionali, l’imprenditore capitalista e il mercante. Poiché dalla produzione alla vendita del prodotto possono trascorrere, soprattutto per le attività più complesse, lunghi lassi di tempo, il capitalista anticipa le risorse per acquistare gli strumenti di lavoro e pagare i salari degli operai. Questi ultimi infatti non avrebbero di che vivere se dovessero aspettare la fine del ciclo produttivo. L’imprenditore deve valutare se la vendita del prodotto gli darà un profitto sufficiente a compensarlo per i suoi investimenti, le sue preoccupazioni, i suoi rischi, la sua abilità. Non c’è dubbio infatti che, a parità di profitto, egli avrebbe preferito vivere, senza fatica alcuna, con la rendita di una terra che avrebbe potuto acquistare con quello stesso capitale. Anche la funzione del mercante è essenziale. Gli imprenditori hanno bisogno che i loro fondi ritornino immediatamente e regolarmente per riversarli nelle loro imprese, perché l’attività produttiva non può interrompersi. Hanno quindi interesse a vendere i propri prodotti il prima possibile. D’altra parte i consumatori hanno interesse a trovare comodamente le cose di cui hanno bisogno. Il mercante interviene per soddisfare entrambi questi bisogni, acquistando i beni dai produttori per accumularlo in empori, dove il consumatore va a rifornirsi. Anche i guadagni dei commercianti sono dunque il meritato prezzo del loro lavoro, dei loro rischi e della loro industriosità. TURGOT – Riflessione sulla formazione e la distribuzione delle ricchezze www.tramedoro.eu 7 La libertà di fissare il tasso d’interesse Le persone operose e con la passione per il lavoro ma prive di risparmi possono chiedere ai detentori di capitali un prestito in cambio di una parte degli utili della loro attività. Il prestito ad interesse è dunque un commercio come tutti gli altri: il prestatore di denaro vende l’uso del suo denaro, mentre colui che prende a prestito l’acquista. Il primo chiederà un prezzo, l’interesse, bilanciando il rischio di perdere il suo capitale con il profitto che riceverà senza bisogno di fare alcun lavoro. Purtroppo, a causa delle loro false idee sul denaro, i teologi scolastici hanno condannato come un crimine il prestito ad interesse, marchiandolo con l’odioso termine di usura. Il denaro, dicono questi moralisti, di per sé non produce nulla e quindi non è giusto chiedere un interesse. In verità, scrive Turgot, il prestito è un contratto stipulato liberamente perché vantaggioso per entrambe le parti. In base a quale principio si può considerare un crimine un accordo di cui tutte e due sono contente, e che certamente non nuoce a nessun altro? Dire che una parte abusa del bisogno dell’altra è un’assurdità, perché sarebbe come dire che il fornaio che chiede denaro in cambio di pane abusa della fame del cliente. Non è per niente vero che il denaro è sterile: impiegato in anticipazioni per le imprese agricole, manifatturiere e commerciali procura un profitto. Ma la ragione decisiva della liceità della richiesta dell’interesse, scrive Turgot, è che il denaro è di proprietà di chi lo presta. Poiché è suo, è libero di tenerselo e non ha nessun obbligo di darlo in prestito. Se decide di prestarlo può porre le condizioni che vuole: si tratta di un diritto inseparabile dalla proprietà. Il passo del Vangelo “prestate senza sperare di trarne alcun vantaggio”, al quale spesso si appellano i rigoristi, va inteso come un precetto di carità, non di giustizia. Il Vangelo esorta gli uomini ad aiutarsi reciprocamente, non solo prestando senza chiedere interessi ma addirittura donando. L’aiuto disinteressato però non lo si può imporre per legge. Lo Stato quindi non deve fissare il tasso d’interesse del denaro, più di quanto non deve stabilire il prezzo di tutte le altre merci che sono in commercio. Il prezzo del denaro è regolato dalla domanda e dell’offerta: quando molti chiedono denaro in prestito, l’interesse del denaro diventa alto; quando molti possessori di denaro vogliono darlo in prestito, diminuisce. TURGOT – Riflessione sulla formazione e la distribuzione delle ricchezze www.tramedoro.eu 8 Il tasso d’interesse però, spiega l’autore delle Riflessioni, non dipende dalla quantità di denaro in generale, ma solo dalla quantità di denaro da prestare. Il denaro che affluisce al mercato per il consumo non è capitale destinato agli investimenti, per cui non abbassa il tasso d’interesse. Potrebbe quindi verificarsi l’ipotesi, solo apparentemente paradossale, che l’aumento della massa monetaria in circolazione faccia aumentare e non diminuire il tasso d’interesse, nel caso in cui il denaro venga speso in consumi e non accumulato. Inoltre il valore complessivo dei capitali di un paese non è limitato al denaro. La parte maggiore è costituita dai beni fisici a garanzia di un prestito: immobili, merci, attrezzi, bestiame. L’interesse corrente del denaro, scrive Turgot, è il termometro da cui si può giudicare l’abbondanza o la scarsità dei capitali, ed è quindi anche la misura dell’estensione che una nazione può dare alle sue attività produttive. La parsimonia tende ad aumentare l’ammontare dei capitali di un paese, mentre l’abitudine al lusso produce l’effetto contrario. Poiché l’interesse del denaro è diminuito continuamente in Europa negli ultimi secoli, bisogna dedurre che la parsimonia ha prevalso sulla prodigalità. Poiché è l’abbondanza dei capitali che anima tutte le imprese, lo Stato non dovrebbe appropriarsi con le tasse dei profitti derivanti dai capitali investiti. Toccarli significherebbe restringere l’attività agricola, manifatturiera e commerciale di una nazione. Lavoro, parsimonia, risparmio, investimento nella produzione: sono queste per il pensatore francese le chiavi del progresso economico di un paese. CITAZIONI RILEVANTI La nascita della proprietà privata. «È attraverso il lavoro di quelli che per primi hanno lavorato i campi e che, per assicurarsene il raccolto, li hanno recinti, che tutte le terre hanno cessato d’essere comuni e che si è stabilita la proprietà fondiaria. Fintantoché le società non si consolidarono e la forza pubblica, o la legge divenuta superiore alla forza dei singoli, non poté garantire ad ognuno il tranquillo possesso della sua proprietà contro ogni invasione TURGOT – Riflessione sulla formazione e la distribuzione delle ricchezze www.tramedoro.eu 9 da parte di altri, non si poteva conservare la proprietà d’un campo se non come la si era acquisita cioè continuando a coltivarlo. Non sarebbe stato affatto sicuro fare lavorare il proprio campo da un altro che, essendosi accollata tutta la fatica, non avrebbe facilmente compreso che tutto il raccolto non gli apparteneva» (p. 108-109). L’imprenditore capitalista. «A mano a mano che questo capitale gli ritorna per la vendita dei manufatti, lo impiega in nuovi acquisti per alimentare e sostenere, tramite questa circolazione continua, il suo opificio. Egli vive sui profitti, e mette in serbo ciò che può risparmiare per accrescere il suo capitale ed immetterlo nella sua impresa aumentando l’ammontare delle sue anticipazioni, per aumentare ulteriormente i suoi profitti» (p. 141). Il ruolo del mercante «Un uomo che dovesse procurarsi gli oggetti del suo consumo acquistandoli direttamente da colui che li raccoglie e li fabbrica, dovrebbe fare a meno di molte cose o dovrebbe impiegare la sua vita a viaggiare. Questo duplice interesse che hanno produttore e consumatore, il primo di trovar da vender, il secondo di trovare da acquistare, senza tuttavia perdere tempo prezioso ad attendere il compratore o a cercare il venditore, ha dovuto suggerire a dei terzi di porsi come intermediari fra l’uno e l’altro. È questa la sostanza del mestiere dei mercanti» (p. 146). La liceità dell’interesse sul denaro. «Si può dare dunque in affitto il proprio denaro altrettanto legittimamente di quanto non lo si possa vendere. Il possessore di denaro può fare l’una e l’altra cosa, non solo perché il denaro è l’equivalente d’un reddito e un mezzo per procurarsi un reddito, non solamente perché chi presta perde, per il periodo del prestito, il reddito che avrebbe potuto procurarsi, non solamente perché rischia il suo capitale, non solamente perché chi prende a prestito il denaro può impiegarlo in acquisti vantaggiosi o in imprese dalle quali potrà trarre grossi profitti: il proprietario di denaro può legittimamente ritrarne l’interesse per un principio più generale e più decisivo . Quand’anche non si desse nessuna di queste condizioni, egli non avrebbe minor diritto d’esigere l’interesse per il prestito per la sola ragione che il denaro è suo» (p. 153-154). TURGOT – Riflessione sulla formazione e la distribuzione delle ricchezze www.tramedoro.eu 10 L’AUTORE Anne Robert Jacques Turgot (1727-1781) nasce a Parigi il 10 maggio 1727. Nel 1749 entra alla Sorbona per studiare teologia, ma nel 1751 decide di abbandonare la carriera ecclesiastica. Dal 1753 al 1756 viaggia per tutta la Francia come assistente di Vincent de Gournay. Dal 1761 al 1774 diventa Intendente di Limoges, e mette in pratica le sue idee. In questo periodo scrive degli importanti opere d’economia come Elogio di Gournay (1759), Memorie sui prestiti di denaro (1760), Lettere sulla libertà del commercio dei grani (1760) e il capolavoro Riflessioni sulla formazione e la distribuzione delle ricchezze (1766). Nel 1774, alla morte del re Luigi XV, Turgot viene nominato Controllore Generale dal giovane re Luigi XVI, e ha così la possibilità di applicare su scala nazionale le sue idee. Turgot liberalizza completamente il commercio del grano, ma i mercanti privilegiati e il popolo spaventato per un possibile aumento del prezzo scatenano delle rivolte (la guerra delle farine), che vengono sedate con fermezza da Turgot. Nel 1776 emana i Sei Editti, un grandioso tentativo di liberare la Francia da tutte le pastoie feudali e statali, comprese le corvée e le corporazioni. Tutti i ceti altolocati si vedono però minacciati nei loro interessi e si rivoltano contro Turgot, il quale è costretto a dimettersi nel maggio 1776. Si ritira a vita privata, e muore a Parigi il 20 marzo 1781. NOTA BIBLIOGRAFICA Anne-Robert-Jacques Turgot, “Riflessioni sulla formazione e la distribuzione delle ricchezze”, in: Le ricchezze, il progresso e la storia universale, Einaudi, Torino, 1978, a cura di Roberto Finzi, p. 101-175. Titolo originale: Réflexions sur la formation et la distribution des richesses TURGOT – Riflessione sulla formazione e la distribuzione delle ricchezze www.tramedoro.eu