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14 ■ CRITICAsociale
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non trova terreno il socialismo di stato nel senso dei socialisti di Stato.
Nella Svizzera, per esempio, la democrazia
socialista può chiedere l’esercizio da parte dello stato del commercio dei cereali. In Germania la stessa domanda finora non è stata presentata se non da alcuni agrari, perché si sa benissimo che nell’impero tedesco non se ne
avrebbe altro effetto se non di assicurare in
ogni tempo buoni prezzi ai proprietari fondiari
che producono grano, ponendo i consumatori
completamente alla loro dipendenza.
Gli operai progrediti dell’Inghilterra possono chiedere la nazionalizzazione della terra.
Che cosa avverrebbe in Germania se la terra
di venisse dominio di quello Stato poliziesco
e militare? Informi il Mecklenburg dove noi
troviamo in gran parte la realizzazione di questo socialismo di Stato.
Il Kautzky continua applicando questi criteri
distintivi allo Stato tedesco, o meglio prussiano, il quale - a differenza dall’Inghilterra - con
l’accentramento burocratico e con la prevalenza politica della proprietà rurale, la quale si
vanta di costituire non una classe - come il capitale e il lavoro - ma il fondamento stesso nazionale dello Stato, rende pericoloso in sommo
grado il socialismo di stato. Il socialismo di
stato vi è il prodotto naturale di un impero che
contiene la più forte monarchia moderna e la
più forte democrazia sociale. L’economia politica prussiana non è che il riflesso di un simile obiettivo stato di cose.
Malgrado ciò egli non nega che vi siano
campi, anche nell’odierna Germania, nei quali,
pel monopolio e lo sfruttamento già eccessivi,
per l’esiguo numero di operai, per l’indole
speciale dell’industria, pel controllo che l’opinione pubblica vi esercita, ecc., ecc., lo stato
non può spingere troppo oltre lo sfruttamento
fiscale e l’esercizio di stato è consigliabile. E
perciò che il programma socialista democratico vuole attribuita fin d’ora allo stato I’esercizio delle farmacie.
Ma simili provvedimenti, che sono misure
di socialismo di stato accettate dal socialismo
democratico, non appartengono all’essenza di
quest’ultimo. Questo ha per suo fine non di aumentare ma di scemare il potere del governo
attuale, non d’inceppare ma di rendere sempre
più libera e vigorosa l’azione del proletariato
nella lotta di classe, ed è perciò avverso, nelle
presenti condizioni, allo spirito .del socialismo
di stato, del quale tanto più crescono i pericoli
quanto più il partito socialista democratico si
allarga di numero e può quindi offrire maggior
presa all’equivoco con cui la borghesia cerca
indebolirne le forze. s
LA CRITICA (CARLO KAUTZKY)
NOTA
(1) Rodbertus dava alla parola comunismo
il senso di socialismo scientifico o collettivismo, che gli è dato anche dal celebre Manifesto dei comunisti redatto da Engels e da
Marx nel 1848.
(Nota della Critica Sociale).
■ 1891 FASCICOLO 3 PAGINA 34
PER LA PACE E PER IL SOCIALISMO
Claudio Treves
E
h, già, sicuramente - non c’è
che dire - è un’opera umanitaria... E l’amico col quale mi
sgolavo per capacitarlo della utilità pei socialisti di aiutare energicamente la propaganda
della pace, mi lasciava dire, così, sorridendo
un po’ ironicamente, come se gli avessi raccomandato un istituendo «Patronato per la tutela
dei topi contro i gatti».
...Eh, già, sicuramente - non c’è che dire - è
un’opera umanitaria...
Se non le parole, uguale certo è il sentimento di molti socialisti rispetto a questa propaganda pacifica - la cosa migliore che la borghesia intelligente e liberale abbia saputo fare
in questi ultimi anni.
Ma i socialisti non hanno mai voluto saperne di entrare risolutamente a bandiera spiegata
in questa propaganda. I socialisti hanno creato
anche loro una sorta di etichetta di partito, per
la quale si crederebbero di derogare a tutte le
convenienze accettando di scendere a contatto
- sia pure per uno scopo compiutamente consentaneo ai loro principi - con dei «borghesi».
- Eppoi, già lo si sa, volere la pace senza voler
togliere le cause di guerra è una fanfaluca. I
signori « amici della pace» borghesi, liberisti
ad oltranza, discepoli spirituali di F. Bastiat, a
guardar bene non lavorano che per assopire.
Solitudinem faciunt, pacem appellant. Sono
puramente e semplicemente addormentatori,
in buona fede o per calcolo - poco importa. Se
sul serio volessero la pace - quella vera - sarebbero con noi socialisti.
Solo nel socialismo - cioè a dire nella giustizia - è la pace; epperò «il solo partito della
pace è il partito socialista» (2). Ecc., ecc., ecc.
...Ma il disarmo? Ma l’arbitrato?...
...Eh, già, sicuramente - non c’è che dire sono opere umanitarie...
Ma... – Che cosa? – Ecco, quanto al disarmo...
la borghesia non ne vorrà mai sapere. I grandi
armamenti – chi è l’ingenuo che ancora non lo
sa? – non sono mica fatti per l’estero, bensì per
l’interno. Lupo non mangia lupo. La borghesia
nella sua difesa è altrettanto solidale e internazionale quanto il proletariato marxista nel suo
attacco. Essa pensa: ancora qualche 1° maggio
e poi, senza eserciti permanenti, con questi scavezzacolli di socialisti, la sarebbe finita.
E quanto all’arbitrato - cosa bellissima, filantropicissima in sé - non c’è che questo da dire;
che quando ci saremo noi a fare giustizia per
tutti, cioè quando il socialismo avrà trionfato,
non ci sarà più cagione di litigi fra gli Stati perché li avremo anch’essi socializzati - e quindi anche dell’arbitrato faremo a meno. Ergo...
...Ergo il partito socialista sta a guardare la
propaganda della pace con quella passiva o indifferente condiscendenza con la quale si assiste ad una innocente accademia di ragazzi,
che se non fanno del bene non fanno neanche
del gran male.
***
O
ra, io mi domando, di questa guisa il partito
socialista provvede assennatamente ai suoi interessi immediati e diretti di partito?
Come vedete, per fare del positivismo utilitarista lascio appositamente da parte qualunque accenno a quella missione generale di
umanità e di progresso che è pure così intrinseca alla sua ragione di essere; e per la quale
io credo sia tenuto a lavorare indefessamente,
disinteressatamente per il bene - da qualunque
parte questo venga - quale che sia la forma che
assuma.
Orbene, io non esito a rispondere no. No,
perché tutte le anzidette ragioni della indifferenza tra benevola e sprezzante con la quale i
socialisti guardano alla propaganda pacifica,
non reggono assolutamente in piedi. Cominciamo a considerare il disarmo. Per noi, nessun dubbio è possibile, qualunque cosa si dica
in contrario, esso avverrà e presto per opera
della borghesia e tanto più presto quanto più
le si agiteranno a fianco i socialisti. Esso avverrà per la necessità connaturale al sistema
capitalistico di estendere sempre più la sua
azione sfruttatrice su più largo campo di lavoro. Questi enormi eserciti permanenti che costano alla borghesia in linea di danno emergente - per dirla coi giuristi - tanti miliardi
strappati ai lavori pubblici, ai commerci, alle
industrie, alle cartelle di rendita - e in linea di
lucro cessante - continuiamo nel nostro gergo
- tanti miliardi per mancato sfruttamento di
milioni di lavoratori attivi, forti e intelligenti,
che promettono, per il giorno che saranno
mandati a casa, tanta gioconda messe di giornate allungate e di mercedi corrispondentemente... diminuite, per la concorrenza che
verranno a fare ai lavoratori attualmente occupati - questi enormi eserciti permanenti - dico
- credete proprio che la borghesia, secondo il
suo sistema capitalistico, possa mantenerli ancora un pezzo senza finire alla bancarotta?
...Ah sì, questa sarebbe la vera utopia!...
...Ah! ma c’è lo spauracchio del 1° maggio,
della rivoluzione - che so io? - del finimondo!...
– Tutte storie! Per conto mio credo che si fa
troppo onore alla borghesia giudicandola così
intelligente e previdente. Il. vero è che la borghesia vive giorno per giorno, senza pensare
al domani, nella beata illusione che il domani
sarà come l’oggi, come l’ieri. Questa del resto
è una necessità biologica di ogni organismo,
Ogni uomo sa di dover morire, ma intanto egli
vive, e vivendo opera come se non dovesse
morire mai.
Ma la borghesia non sa neanche di dover
morire. Essa nella sua totalità - tranne le rarissime eccezioni degli straordinariamente intelligenti, i quali del resto non hanno gran voce
in capitolo - è in pienissima buona fede quando dà a noi degli utopisti, dei visionari. Quando cominciava a soffiare il gran vento spazzatore dell’89, Luigi XVI domandava stupito: Ma questa è una rivolta? - No, Sire, gli fu risposto, è una rivoluzione. Così sarà per la borghesia. Per gli ignari la sua malattia mortale
sarà come quelle fulminanti apoplessie che atterrano i pletorici, di cui si dice: Pare un sogno: ancora due ore fa stava così bene, mangiava con tanto appetito...; solo il medico sa
da quali lente accumulate perturbazioni interne
dell’organismo quel colpo improvviso sia stato
preparato per mesi e per anni.
***
I
l fatto è che la borghesia è - naturalmente per le sue origini e per la sua costituzione, antimilitarista, onde anela al disarmo. Gli eserciti
permanenti debbono la loro sovresistenza, per
chi bene guardi, più ancora che ai piccoli quotidiani equivoci della politica internazionale,
a quei sentimenti atavici che persistono nella
borghesia e per i quali mantiene i titoli nobiliari e paga le spese di una co ... sa di cui potrebbe tanto bene far senza. Sarà pertanto que-
stione di tempo - un più od un meno - ma infine al disarmo la borghesia verrà, verrà volontariamente, per il migliore dei motivi, perché così, non può più andare avanti.
E allora, pensino i socialisti, di quale importanza sarà per la loro causa e di quale giovamento questo nugolo di giovani forti, attivi e
intelligenti, avvezzi alla disciplina - che ritorneranno ai campi ed alle officine - e non vi troveranno lavoro e pane - e - fatalmente - scemeranno il lavoro e il pane ai loro vecchi, alle
loro donne, ai loro fratelli! Pensino i socialisti
quale forza viva e cosciente, quale rabbia di
disperazione acuta e disciplinata verrà a schierarsi spontaneamente nelle file dei combattenti
per la giustizia!...
...Sono cose che si intuiscono, ma non si descrivono...
***
Q
uanto all’«arbitrato» ed alla «federazione»
che gli amici della pace predicano con tanto
calore ... ma anche questo è, non dirò un’utilità
ma una necessità pel partito socialista; - una
necessità alla quale i socialisti, costretti ad indugiarsi nella parte critica del loro programma, per ora non possono pensare. Lasciate che
ci pensino quegli altri ed aiutateli e abbiate loro della... riconoscenza.
Senza andare adesso per le lunghe a fantasticare la costruzione politica del socialismo
nel giorno del suo trionfo, possiamo così in digrosso immaginare che sarà come una prodigiosa eruzione di comuni che spunterà sull’annichilimento degli Stati attuali. Ma questi comuni, queste cellule del corpo sociale saranno
esse già ammaestrate alla vita mondiale? - preparate cioè a ricevere da tutto l’organismo e a
dare esse a tutto l’organismo stesso? - Non sarà - presumibilmente - poiché il mestiere dello
strologare è fuor di moda - necessario un sistema centrale che regoli la produzione e la
circolazione del sangue per tutti gli organi e
provvegga a che ognuno di questi compia esattamente tutta la sua funzione e niente di più di
questa, per guisa che non abbiano a verificarsi
urti e guasti e rallentamenti nella gran macchina sociale?
– Sì, non è vero?
Orbene, quando gli amici della pace parlano
di un areopago europeo, di un tribunale internazionale permanente e di simili altre cose «filantropicissime» che fanno sorridere la brava
gente, anche socialista, non vi pare che gettino
il seme, l’embrione di quel sistema centrale,
di quel cervello mondiale che dovrà reggere le
diffuse autonomie locali, impedendo ogni contestazione o risolvendole appena insorte per
guisa che resti prevenuto ogni arresto della vita sociale?
– Sogni, eh? – Forse. - Ma chi in un pugno
di materia informe indovina l’essere umano
futuro?... Pure!... La «Conferenza parlamentare internazionale della pace», composta dei deputati di tutte le nazioni ci vili, delinea assai
bene in miniatura un futuro parlamento mondiale.
Il guaio è - questo lo concedo ampiamente che parecchi dei membri che ne fanno parte attualmente vi aderirono così, direi, per sport filantropico — senza nessuna idea precisa della
portata dell’istituzione - tanto per far buona figura di umanitari. ... in società. Ciò giova
qualche volta; per esempio, con le donne. Ricercando, voi troverete che costoro sono
ugualmente soci - e sempre con la stessa coscienza - di tutti i Comitati di Patronato delle
fanciulle da dotare o dei liberati dal carcere da
mantenere o delle carote da ingrassare, o degli
animali da proteggere.
Ma la disutilaggine degli uomini non prova
nulla contro le istituzioni di cui fanno parte;
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essa non dimostra altro se non che gli intelligenti e i forti debbono sloggiare quegli uomini
e prenderne il posto.
***
ciare a predicare tanta parte del loro programma solamente perché questa è comune con
quello di molti che non sono socialisti, mi pare, più che altro, una sterile fissazione di puritani soverchiamente schizzinosi. s
Ma perché ho preso già troppo spazio rinuncio ad ogni perorazione diretta ad esortare i socialisti a schierarsi francamente cogli amici
della pace per combattere le battaglie in pro
del disarmo e dell’arbitrato. Che se nelle società di costoro troveranno dei disutilacci, fautori accademici di sport umanitario, sanno ciò
che potranno fare per liberarsene: ma rinun-
NOTE
(1) Ci riserviamo di ritornare sull’argomento e sugli argomenti di questo articolo. (Nota
della Direzione).
(2) FILIPPO TURATI, Critica Sociale,
1892, n. 20, pag. 306.
■ 1893 FASCICOLO 14 PAGINA 220
PER LA SCUOLA POPOLARE
Mercurio
S
e Giusti fosse restato in vita,
avrebbe visto, sì, lo stivale ricucito, ma che stivale! A’ tempi
delle Arti, un saggio simile sarebbe bastato per
la bocciatura.
Fra le istituzioni più lagrimevoli impiantate
dalla borghesia italiana è quella della scuola
elementare. Altro che stivale, Beppe Giusti
mio! oh che ciabatta!.
Tutti gl’ideologi borghesi lamentano che la
scuola elementare non istruisce nè educa, e
non vedono il perché del male che notano, e
l’inanità del loro lamento. Quali le cause necessarie del fenomeno? Sono forse tali, che la
volontà di un uomo possa per suo decreto toglierle via?
Nell’ultima discussione sul bilancio del Ministero dell’istruzione pubblica, il Bovio, pontefice massimo dell’ideologismo radicale,
s’ebbe dal Martini una franca risposta: - «Crede (il Martini) impossibile che la scuola risolva il problema educativo posto dall’on. Rovio;
perché la scuola non può essere diversa dall’ambiente nel quale vive». (1) E un altro ministro, il Villari, ebbe già a dire in Parlamento
a un altro ideologo, il quale domandava che si
facesse osservare a puntino la legge che dichiara obbligatoria l’istruzione elementare: Ma che volete che importi della scuola alla povera gente, che non ha da sfamarsi? Un po’
meno di scienza e un po’ più di pane; ecco quel
che ben possono rispondervi.
Come si sa, la scuola popolare, o elementare,
nacque in Germania con la Riforma, nel secolo
XVI. La diffusero l’interesse della Borghesia,
che aveva bisogno di operai intelligenti, e l’incalzante ideologismo filosofico. Anche nell’ultima discussione del bilancio dell’istruzione
pubblica il Bovio credette di dover ripetere il
noto paradosso del Filangeri sulla popolazione
delle scuole e quella delle prigioni. (2)
La borghesia italiana, fattasi libera con la
unificazione politica del paese, dié opera a
piantare scuole per il popolo. Non da per tutto
a una misura, s’intende. La borghesia cittadina, o industriale, sentì il bisogno di non aver
sotto mano un gregge analfabeta: alla borghesia rurale, o agricola, bastava ancora l’uomobue. Questa è la causa essenziale del diverso
amore, che dimostrano per la scuola popolare
il Comune cittadino e il Comune rurale (3); ed
anche della differenza, che, riguardo al soggetto, appare tra città e città, tra regione e regione. Il diverso amore si manifesta nel trattamento dei maestri, nella preparazione dei locali, nella voluta, o no, osservanza della legge
che rende obbligatoria l’istruzione, ecc. Nel
mese di giugno passato il signor ottone Brentari raccontava sul Corriere dello Sera certe
sudicerie commesse in un Comune campagnolo in danno del maestro elementare. E
come tutti gli ideologi lamentava il male, senza volerne, saperne, scoprire la radice.
La borghesia dunque non fu mossa a piantare scuole popolari da filantropia (cosa che
non esiste nella economia sociale) ne tanto
meno dagli aforismi dei filosofi, a’ quali saprebbe contrapporre gli argomenti scettici di
Spencer, anco senza averlo letto. (4) La borghesia sapeva e sa benissimo, che la diffusa
istruzione popolare non è per sé stessa il motivo della formantesi coscienza ribelle del proletariato, il motivo essendo economico, ma
ch’è un mezzo di facilitazione, un veicolo potente all’espandersi dell’idea e del sentimento
della emancipazione di classe. Quindi ne’ Comuni rurali essa, anche per un tornaconto finanziario immediato, non vuol saperne di
spendere per la scuola popolare (5); della
scuola che c’è (in forza di una legge generale;
che fu voluta dalla borghesia cittadina, e che
contrasta all’interesse della borghesia agricola,
che se ne difende con una provvida negligenza
locale) poco si cura, che sia frequentata o no,
d’accordo con il prete, che cerca di dominarvi,
non potendo distruggerla. La borghesia cittadina comprende il pericolo, ma spinta da’ suoi
contrari interessi, ama la scuola popolare; soltanto che tenta, come già ha cominciato apertamente a fare in Milano, di paralizzarne il
danno con l’aiuto del catechismo cattolico.
***
La nostra scuola elementare non istruisce, lamentano gl’ideologi. Bontà di dio! e come volete che sia diversamente? Il corso elementare
obbligatorio dura un triennio (6), secondo la
legge; a nove anni i contadinelli lasciano per
sempre d’occuparsi de’ segni grafici, e non è
da meravigliare se tanti poi, presentandosi alla
leva militare, si trovano esser tornati analfabeti. Che tempo, o modo, o possibile volontà
d’istruirsi rimane, abbandonata la scuola obbligatoria, al colono o al minatore? Così il
frutto dell’istruzione elementare appresa nella
scuola è per essi nullo o quasi. E forse è gran
che migliore la realtà per l’operaio della città?
Come dunque rimediare? Forse che la borghesia può contentarsi di sfruttare un po’ meno,
prima e dopo il dodicesimo anno d’età, il diseredato? Non è forse tra le ragioni della do-
manda delle otto ore di lavoro, che fa il proletariato, quella di ottenere il tempo di coltivare
anche un po’ l’intelletto, o ideologi del radicalismo borghese?
La nostra scuola elementare non è educatrice, gridano in coro le oche veglianti della borghesia. In primis, che cosa intendono i borghesi
per educazione? Ecco: il Negri direbbe, che la
scuola deve rendere il popolo timoroso di dio
e dei padroni, laborioso, obbediente, sottomesso, previdente, pronto a vivere e a morir di fame, a beneficio sempre dei sullodati padroni
(7). Il Bovio direbbe: - Chiediamo alla scuola
il protoplasma dell’anima civile; e .... prendiamo per testo Plutarco! - Che volete che faccia
la scuola elementare borghese? Lo disse il
Martini in Parlamento: la borghesia non può
educare né dentro la scuola, né fuori. Alla funzione educatrice concorrono necessariamente
tre fattori: la scuola, la famiglia, l’ambiente sociale; la scuola, per sé, non può avere che una
efficacia iniziale. Ora (messa da parte la famiglia, che per il proletario quasi non esiste,
quando non è teatro di inenarrabili miserie e di
vergogne conseguenti): nella scuola elementare
borghese s’insegna al figlio del popolano la
morale giudaico-cristiana, e fuori poi la borghesia gli offrirà lo spettacolo quotidiano d’infischiarsi altamente del testamento vecchio e
del nuovo. O gli si insegna la morale civile, imperniata sul sacrosanto interesse assoluto dei
beati possidentes; gli si predica l’integrità,
l’onestà, la generosità, ecc., ecc.; e fuori vedrà
i ricchi, i padroni, i legislatori, formanti il tipo
superiore sociale, peccare con impudenza contro ogni precetto etico e giuridico. Ode declamare che grazie a dio e alla volontà della nazione siamo tutti liberi, felici, uguali, e poi ogni
giorno nella famiglia, nel mondo, la realtà più
brutale gli chiarisce, che libertà, eguaglianza,
ecc., sono una corbelleria borghese. Ancora
scolaretto, il figlio del proletario vede il proprio
padre carcerato, condannato come malfattore,
solo perché si permetteva di appartenere a un
Circolo di principi extra-canonici, e la famiglia
sprofondata nel dolore e nella miseria, e soffre
la fame; e sente raccontare che i commendatori
rubano, e altri commendatori giudici baciano
a’ primi la mano, e che il governo fa peggio ancora, e se qualche ladro altolocato vien messo,
per lustra, in gabbia, i figliuoli godono fuori il
frutto del furto paterno, Tale la scuola, tale
I’ambiente sociale. Lo stridente dissidio tra la
predica e l’esempio borghese comincia per il
figlio del proletario sui banchi della scuola, e
via via, lungo il calvario della vita, matura, insieme col resto, nella sua coscienza il sentimento della dignità ribelle, che per la borghesia
è crimine. E tristo lui, se un’intima energia non
gli sorregge l’animo!
Lasciando gli argomenti d’ordine esterno,
certo è che la scuola popolare non può avere
una funzione educatrice se non in una società
di eguali (eguaglianza non nel senso borghese). Fondamento della funzione educativa è
l’amore, e tra sfruttati e sfruttatori l’amore non
è possibile. Aristotele, uno de’ santi padri cari
al Bovio, non imaginò mai che ci potesse essere un’etica servile. Mi diceva un borghese
sincero: «Per il popolo la morale è una parola:
il codice e i carabinieri, ecco la morale che ci
vuole!». Solo tra eguali può essere amore, perché solo tra eguali può germogliare il sentimento vero della solidarietà e della fratellanza
umana, e quindi il sentimento morale.
La morale non è che la spiritualizzazione di
un interesse. La morale che la borghesia impartisce al popolo è la maschera di un interesse
di classe, e così riesce in effetto una specie di
estratto concentrato nel vuoto. La morale nella
società socialista sarà la spiritualizzazione dell’interesse di tutti, e sarà non parola, ma spirito
di vita.
La scuola popolare può acquistare sua degna
importanza soltanto con il prevalere delle tendenze socialiste, come non può altrimenti aspirare ad ottenere dignità e benessere pari all’ufficio il maestro, che ora dalla borghesia è considerato e trattato ben poco meglio di un addestratore di schiavi. Il prevalere dell’idea socialista soltanto può dare alla scuola popolare
il suo desiderato sviluppo come istituto di preparazione etica ed intellettuale. (8)
***
U
n indizio di quanto affermo l’abbiamo nel
fenomeno, che ci offrono in proposito i Comuni retti da’ socialisti in Francia. Il Comune ancora mancipio dello stato borghese non è libero di sviluppare l’azione propria, come gli
convenga. Non gli è permesso che di manifestare delle tendenze. Or bene, ecco il Comune
dove l’idea socialista prevale e i reggitori sono
socialisti (per es. quello di Saint-Ouen) dar tosto alla scuola elementare un vero carattere
d’istituto sociale. Là non é più la classe borghese che largisce l’abicì al proletariato, che
gliene renderà il frutto; ma la collettività che
cerca da sé e per sé la coltura dell’intelletto e
dell’animo, conscia che l’istruzione è integratrice della personalità umana. Il figlio del proletario trova là nella sua scuola anche un cibo
sano, che il Comune dà a tutti gli alunni, e libri, e vesti, se gli occorrono; e questo fatto materiale, se da un lato spinge meglio i parenti a
curare che i ragazzi frequentino la scuola,
dall’altro è profondamente moralizzatore per
il suo significato, perché non trattasi di carità
(come può usare la borghesia), ma di un diritto
sociale. Così l’istruzione elementare è assicurata a tutti, e la scuola, governata dallo spirito
socialista, ha efficacia educativa. La morale
che l’informa, e vi s’insegna praticamente, non
è per il povero, come nella scuola borghese,
un estratto del codice penale, quando non è un
nome vano senza soggetto; è verità sentita,
principio elementare di un’etica, che risponde
ai bisogni, alle tendenze della vita reale.
In Italia, ch’io mi sappia, non c’è ancora
nessun Comune, dove la democrazia socialista
(intendiamoci, di veri socialisti) abbia tolto di
mano alla borghesia la direzione della cosa
pubblica, così da poter indirizzare sulla nuova
via le istituzioni comunali. Ma tra non molto
parecchi anche dei nostri Comuni saranno
conquistati dai socialisti, ché le cose precipitano. Allora avremo l’esempio di scuole popolari che daranno un risultato non negativo, come ora, in fatto d’istruzione e di educazione.
Ma ahimè! l’ideologismo borghese arriccia il
naso al pensiero dell’organizzazione di quelle
scuole e dello spirito novo di morale nova che
le informerà. s
NOTE
(1) Resoconto parlamentare nella Tribuna,
24 giugno 1893.
(2) Resoconto parlamentare pubblicato dal
Messaggero di Roma, 27 giugno 1893.
(3) Dualismo che si rivela in un medesimo
borghese, il quale sia consigliere comunale in
città e in campagna ad un tempo.
(4) Spencer: Introduzione alla scienza sociale, cap. XIV.
(5) Lo Stato fa prestiti ai Comuni per la costruzione di buoni locali ad uso delle scuole
elementari. Non è raro il caso, che i Comuni
rurali fabbrichino, con questo aiuto, dei buoni
locali, destinandoli a tutt’altro uso (perfino ad
uso di caserma) che non sia della scuola, la
quale resta allogata sotto un portico o in una
ex stalla.
(6) Per i ragazzi, s’intende, che possono fre-