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14 ■ CRITICAsociale 8 / 2011 non trova terreno il socialismo di stato nel senso dei socialisti di Stato. Nella Svizzera, per esempio, la democrazia socialista può chiedere l’esercizio da parte dello stato del commercio dei cereali. In Germania la stessa domanda finora non è stata presentata se non da alcuni agrari, perché si sa benissimo che nell’impero tedesco non se ne avrebbe altro effetto se non di assicurare in ogni tempo buoni prezzi ai proprietari fondiari che producono grano, ponendo i consumatori completamente alla loro dipendenza. Gli operai progrediti dell’Inghilterra possono chiedere la nazionalizzazione della terra. Che cosa avverrebbe in Germania se la terra di venisse dominio di quello Stato poliziesco e militare? Informi il Mecklenburg dove noi troviamo in gran parte la realizzazione di questo socialismo di Stato. Il Kautzky continua applicando questi criteri distintivi allo Stato tedesco, o meglio prussiano, il quale - a differenza dall’Inghilterra - con l’accentramento burocratico e con la prevalenza politica della proprietà rurale, la quale si vanta di costituire non una classe - come il capitale e il lavoro - ma il fondamento stesso nazionale dello Stato, rende pericoloso in sommo grado il socialismo di stato. Il socialismo di stato vi è il prodotto naturale di un impero che contiene la più forte monarchia moderna e la più forte democrazia sociale. L’economia politica prussiana non è che il riflesso di un simile obiettivo stato di cose. Malgrado ciò egli non nega che vi siano campi, anche nell’odierna Germania, nei quali, pel monopolio e lo sfruttamento già eccessivi, per l’esiguo numero di operai, per l’indole speciale dell’industria, pel controllo che l’opinione pubblica vi esercita, ecc., ecc., lo stato non può spingere troppo oltre lo sfruttamento fiscale e l’esercizio di stato è consigliabile. E perciò che il programma socialista democratico vuole attribuita fin d’ora allo stato I’esercizio delle farmacie. Ma simili provvedimenti, che sono misure di socialismo di stato accettate dal socialismo democratico, non appartengono all’essenza di quest’ultimo. Questo ha per suo fine non di aumentare ma di scemare il potere del governo attuale, non d’inceppare ma di rendere sempre più libera e vigorosa l’azione del proletariato nella lotta di classe, ed è perciò avverso, nelle presenti condizioni, allo spirito .del socialismo di stato, del quale tanto più crescono i pericoli quanto più il partito socialista democratico si allarga di numero e può quindi offrire maggior presa all’equivoco con cui la borghesia cerca indebolirne le forze. s LA CRITICA (CARLO KAUTZKY) NOTA (1) Rodbertus dava alla parola comunismo il senso di socialismo scientifico o collettivismo, che gli è dato anche dal celebre Manifesto dei comunisti redatto da Engels e da Marx nel 1848. (Nota della Critica Sociale). ■ 1891 FASCICOLO 3 PAGINA 34 PER LA PACE E PER IL SOCIALISMO Claudio Treves E h, già, sicuramente - non c’è che dire - è un’opera umanitaria... E l’amico col quale mi sgolavo per capacitarlo della utilità pei socialisti di aiutare energicamente la propaganda della pace, mi lasciava dire, così, sorridendo un po’ ironicamente, come se gli avessi raccomandato un istituendo «Patronato per la tutela dei topi contro i gatti». ...Eh, già, sicuramente - non c’è che dire - è un’opera umanitaria... Se non le parole, uguale certo è il sentimento di molti socialisti rispetto a questa propaganda pacifica - la cosa migliore che la borghesia intelligente e liberale abbia saputo fare in questi ultimi anni. Ma i socialisti non hanno mai voluto saperne di entrare risolutamente a bandiera spiegata in questa propaganda. I socialisti hanno creato anche loro una sorta di etichetta di partito, per la quale si crederebbero di derogare a tutte le convenienze accettando di scendere a contatto - sia pure per uno scopo compiutamente consentaneo ai loro principi - con dei «borghesi». - Eppoi, già lo si sa, volere la pace senza voler togliere le cause di guerra è una fanfaluca. I signori « amici della pace» borghesi, liberisti ad oltranza, discepoli spirituali di F. Bastiat, a guardar bene non lavorano che per assopire. Solitudinem faciunt, pacem appellant. Sono puramente e semplicemente addormentatori, in buona fede o per calcolo - poco importa. Se sul serio volessero la pace - quella vera - sarebbero con noi socialisti. Solo nel socialismo - cioè a dire nella giustizia - è la pace; epperò «il solo partito della pace è il partito socialista» (2). Ecc., ecc., ecc. ...Ma il disarmo? Ma l’arbitrato?... ...Eh, già, sicuramente - non c’è che dire sono opere umanitarie... Ma... – Che cosa? – Ecco, quanto al disarmo... la borghesia non ne vorrà mai sapere. I grandi armamenti – chi è l’ingenuo che ancora non lo sa? – non sono mica fatti per l’estero, bensì per l’interno. Lupo non mangia lupo. La borghesia nella sua difesa è altrettanto solidale e internazionale quanto il proletariato marxista nel suo attacco. Essa pensa: ancora qualche 1° maggio e poi, senza eserciti permanenti, con questi scavezzacolli di socialisti, la sarebbe finita. E quanto all’arbitrato - cosa bellissima, filantropicissima in sé - non c’è che questo da dire; che quando ci saremo noi a fare giustizia per tutti, cioè quando il socialismo avrà trionfato, non ci sarà più cagione di litigi fra gli Stati perché li avremo anch’essi socializzati - e quindi anche dell’arbitrato faremo a meno. Ergo... ...Ergo il partito socialista sta a guardare la propaganda della pace con quella passiva o indifferente condiscendenza con la quale si assiste ad una innocente accademia di ragazzi, che se non fanno del bene non fanno neanche del gran male. *** O ra, io mi domando, di questa guisa il partito socialista provvede assennatamente ai suoi interessi immediati e diretti di partito? Come vedete, per fare del positivismo utilitarista lascio appositamente da parte qualunque accenno a quella missione generale di umanità e di progresso che è pure così intrinseca alla sua ragione di essere; e per la quale io credo sia tenuto a lavorare indefessamente, disinteressatamente per il bene - da qualunque parte questo venga - quale che sia la forma che assuma. Orbene, io non esito a rispondere no. No, perché tutte le anzidette ragioni della indifferenza tra benevola e sprezzante con la quale i socialisti guardano alla propaganda pacifica, non reggono assolutamente in piedi. Cominciamo a considerare il disarmo. Per noi, nessun dubbio è possibile, qualunque cosa si dica in contrario, esso avverrà e presto per opera della borghesia e tanto più presto quanto più le si agiteranno a fianco i socialisti. Esso avverrà per la necessità connaturale al sistema capitalistico di estendere sempre più la sua azione sfruttatrice su più largo campo di lavoro. Questi enormi eserciti permanenti che costano alla borghesia in linea di danno emergente - per dirla coi giuristi - tanti miliardi strappati ai lavori pubblici, ai commerci, alle industrie, alle cartelle di rendita - e in linea di lucro cessante - continuiamo nel nostro gergo - tanti miliardi per mancato sfruttamento di milioni di lavoratori attivi, forti e intelligenti, che promettono, per il giorno che saranno mandati a casa, tanta gioconda messe di giornate allungate e di mercedi corrispondentemente... diminuite, per la concorrenza che verranno a fare ai lavoratori attualmente occupati - questi enormi eserciti permanenti - dico - credete proprio che la borghesia, secondo il suo sistema capitalistico, possa mantenerli ancora un pezzo senza finire alla bancarotta? ...Ah sì, questa sarebbe la vera utopia!... ...Ah! ma c’è lo spauracchio del 1° maggio, della rivoluzione - che so io? - del finimondo!... – Tutte storie! Per conto mio credo che si fa troppo onore alla borghesia giudicandola così intelligente e previdente. Il. vero è che la borghesia vive giorno per giorno, senza pensare al domani, nella beata illusione che il domani sarà come l’oggi, come l’ieri. Questa del resto è una necessità biologica di ogni organismo, Ogni uomo sa di dover morire, ma intanto egli vive, e vivendo opera come se non dovesse morire mai. Ma la borghesia non sa neanche di dover morire. Essa nella sua totalità - tranne le rarissime eccezioni degli straordinariamente intelligenti, i quali del resto non hanno gran voce in capitolo - è in pienissima buona fede quando dà a noi degli utopisti, dei visionari. Quando cominciava a soffiare il gran vento spazzatore dell’89, Luigi XVI domandava stupito: Ma questa è una rivolta? - No, Sire, gli fu risposto, è una rivoluzione. Così sarà per la borghesia. Per gli ignari la sua malattia mortale sarà come quelle fulminanti apoplessie che atterrano i pletorici, di cui si dice: Pare un sogno: ancora due ore fa stava così bene, mangiava con tanto appetito...; solo il medico sa da quali lente accumulate perturbazioni interne dell’organismo quel colpo improvviso sia stato preparato per mesi e per anni. *** I l fatto è che la borghesia è - naturalmente per le sue origini e per la sua costituzione, antimilitarista, onde anela al disarmo. Gli eserciti permanenti debbono la loro sovresistenza, per chi bene guardi, più ancora che ai piccoli quotidiani equivoci della politica internazionale, a quei sentimenti atavici che persistono nella borghesia e per i quali mantiene i titoli nobiliari e paga le spese di una co ... sa di cui potrebbe tanto bene far senza. Sarà pertanto que- stione di tempo - un più od un meno - ma infine al disarmo la borghesia verrà, verrà volontariamente, per il migliore dei motivi, perché così, non può più andare avanti. E allora, pensino i socialisti, di quale importanza sarà per la loro causa e di quale giovamento questo nugolo di giovani forti, attivi e intelligenti, avvezzi alla disciplina - che ritorneranno ai campi ed alle officine - e non vi troveranno lavoro e pane - e - fatalmente - scemeranno il lavoro e il pane ai loro vecchi, alle loro donne, ai loro fratelli! Pensino i socialisti quale forza viva e cosciente, quale rabbia di disperazione acuta e disciplinata verrà a schierarsi spontaneamente nelle file dei combattenti per la giustizia!... ...Sono cose che si intuiscono, ma non si descrivono... *** Q uanto all’«arbitrato» ed alla «federazione» che gli amici della pace predicano con tanto calore ... ma anche questo è, non dirò un’utilità ma una necessità pel partito socialista; - una necessità alla quale i socialisti, costretti ad indugiarsi nella parte critica del loro programma, per ora non possono pensare. Lasciate che ci pensino quegli altri ed aiutateli e abbiate loro della... riconoscenza. Senza andare adesso per le lunghe a fantasticare la costruzione politica del socialismo nel giorno del suo trionfo, possiamo così in digrosso immaginare che sarà come una prodigiosa eruzione di comuni che spunterà sull’annichilimento degli Stati attuali. Ma questi comuni, queste cellule del corpo sociale saranno esse già ammaestrate alla vita mondiale? - preparate cioè a ricevere da tutto l’organismo e a dare esse a tutto l’organismo stesso? - Non sarà - presumibilmente - poiché il mestiere dello strologare è fuor di moda - necessario un sistema centrale che regoli la produzione e la circolazione del sangue per tutti gli organi e provvegga a che ognuno di questi compia esattamente tutta la sua funzione e niente di più di questa, per guisa che non abbiano a verificarsi urti e guasti e rallentamenti nella gran macchina sociale? – Sì, non è vero? Orbene, quando gli amici della pace parlano di un areopago europeo, di un tribunale internazionale permanente e di simili altre cose «filantropicissime» che fanno sorridere la brava gente, anche socialista, non vi pare che gettino il seme, l’embrione di quel sistema centrale, di quel cervello mondiale che dovrà reggere le diffuse autonomie locali, impedendo ogni contestazione o risolvendole appena insorte per guisa che resti prevenuto ogni arresto della vita sociale? – Sogni, eh? – Forse. - Ma chi in un pugno di materia informe indovina l’essere umano futuro?... Pure!... La «Conferenza parlamentare internazionale della pace», composta dei deputati di tutte le nazioni ci vili, delinea assai bene in miniatura un futuro parlamento mondiale. Il guaio è - questo lo concedo ampiamente che parecchi dei membri che ne fanno parte attualmente vi aderirono così, direi, per sport filantropico — senza nessuna idea precisa della portata dell’istituzione - tanto per far buona figura di umanitari. ... in società. Ciò giova qualche volta; per esempio, con le donne. Ricercando, voi troverete che costoro sono ugualmente soci - e sempre con la stessa coscienza - di tutti i Comitati di Patronato delle fanciulle da dotare o dei liberati dal carcere da mantenere o delle carote da ingrassare, o degli animali da proteggere. Ma la disutilaggine degli uomini non prova nulla contro le istituzioni di cui fanno parte; CRITICAsociale ■ 15 8 / 2011 essa non dimostra altro se non che gli intelligenti e i forti debbono sloggiare quegli uomini e prenderne il posto. *** ciare a predicare tanta parte del loro programma solamente perché questa è comune con quello di molti che non sono socialisti, mi pare, più che altro, una sterile fissazione di puritani soverchiamente schizzinosi. s Ma perché ho preso già troppo spazio rinuncio ad ogni perorazione diretta ad esortare i socialisti a schierarsi francamente cogli amici della pace per combattere le battaglie in pro del disarmo e dell’arbitrato. Che se nelle società di costoro troveranno dei disutilacci, fautori accademici di sport umanitario, sanno ciò che potranno fare per liberarsene: ma rinun- NOTE (1) Ci riserviamo di ritornare sull’argomento e sugli argomenti di questo articolo. (Nota della Direzione). (2) FILIPPO TURATI, Critica Sociale, 1892, n. 20, pag. 306. ■ 1893 FASCICOLO 14 PAGINA 220 PER LA SCUOLA POPOLARE Mercurio S e Giusti fosse restato in vita, avrebbe visto, sì, lo stivale ricucito, ma che stivale! A’ tempi delle Arti, un saggio simile sarebbe bastato per la bocciatura. Fra le istituzioni più lagrimevoli impiantate dalla borghesia italiana è quella della scuola elementare. Altro che stivale, Beppe Giusti mio! oh che ciabatta!. Tutti gl’ideologi borghesi lamentano che la scuola elementare non istruisce nè educa, e non vedono il perché del male che notano, e l’inanità del loro lamento. Quali le cause necessarie del fenomeno? Sono forse tali, che la volontà di un uomo possa per suo decreto toglierle via? Nell’ultima discussione sul bilancio del Ministero dell’istruzione pubblica, il Bovio, pontefice massimo dell’ideologismo radicale, s’ebbe dal Martini una franca risposta: - «Crede (il Martini) impossibile che la scuola risolva il problema educativo posto dall’on. Rovio; perché la scuola non può essere diversa dall’ambiente nel quale vive». (1) E un altro ministro, il Villari, ebbe già a dire in Parlamento a un altro ideologo, il quale domandava che si facesse osservare a puntino la legge che dichiara obbligatoria l’istruzione elementare: Ma che volete che importi della scuola alla povera gente, che non ha da sfamarsi? Un po’ meno di scienza e un po’ più di pane; ecco quel che ben possono rispondervi. Come si sa, la scuola popolare, o elementare, nacque in Germania con la Riforma, nel secolo XVI. La diffusero l’interesse della Borghesia, che aveva bisogno di operai intelligenti, e l’incalzante ideologismo filosofico. Anche nell’ultima discussione del bilancio dell’istruzione pubblica il Bovio credette di dover ripetere il noto paradosso del Filangeri sulla popolazione delle scuole e quella delle prigioni. (2) La borghesia italiana, fattasi libera con la unificazione politica del paese, dié opera a piantare scuole per il popolo. Non da per tutto a una misura, s’intende. La borghesia cittadina, o industriale, sentì il bisogno di non aver sotto mano un gregge analfabeta: alla borghesia rurale, o agricola, bastava ancora l’uomobue. Questa è la causa essenziale del diverso amore, che dimostrano per la scuola popolare il Comune cittadino e il Comune rurale (3); ed anche della differenza, che, riguardo al soggetto, appare tra città e città, tra regione e regione. Il diverso amore si manifesta nel trattamento dei maestri, nella preparazione dei locali, nella voluta, o no, osservanza della legge che rende obbligatoria l’istruzione, ecc. Nel mese di giugno passato il signor ottone Brentari raccontava sul Corriere dello Sera certe sudicerie commesse in un Comune campagnolo in danno del maestro elementare. E come tutti gli ideologi lamentava il male, senza volerne, saperne, scoprire la radice. La borghesia dunque non fu mossa a piantare scuole popolari da filantropia (cosa che non esiste nella economia sociale) ne tanto meno dagli aforismi dei filosofi, a’ quali saprebbe contrapporre gli argomenti scettici di Spencer, anco senza averlo letto. (4) La borghesia sapeva e sa benissimo, che la diffusa istruzione popolare non è per sé stessa il motivo della formantesi coscienza ribelle del proletariato, il motivo essendo economico, ma ch’è un mezzo di facilitazione, un veicolo potente all’espandersi dell’idea e del sentimento della emancipazione di classe. Quindi ne’ Comuni rurali essa, anche per un tornaconto finanziario immediato, non vuol saperne di spendere per la scuola popolare (5); della scuola che c’è (in forza di una legge generale; che fu voluta dalla borghesia cittadina, e che contrasta all’interesse della borghesia agricola, che se ne difende con una provvida negligenza locale) poco si cura, che sia frequentata o no, d’accordo con il prete, che cerca di dominarvi, non potendo distruggerla. La borghesia cittadina comprende il pericolo, ma spinta da’ suoi contrari interessi, ama la scuola popolare; soltanto che tenta, come già ha cominciato apertamente a fare in Milano, di paralizzarne il danno con l’aiuto del catechismo cattolico. *** La nostra scuola elementare non istruisce, lamentano gl’ideologi. Bontà di dio! e come volete che sia diversamente? Il corso elementare obbligatorio dura un triennio (6), secondo la legge; a nove anni i contadinelli lasciano per sempre d’occuparsi de’ segni grafici, e non è da meravigliare se tanti poi, presentandosi alla leva militare, si trovano esser tornati analfabeti. Che tempo, o modo, o possibile volontà d’istruirsi rimane, abbandonata la scuola obbligatoria, al colono o al minatore? Così il frutto dell’istruzione elementare appresa nella scuola è per essi nullo o quasi. E forse è gran che migliore la realtà per l’operaio della città? Come dunque rimediare? Forse che la borghesia può contentarsi di sfruttare un po’ meno, prima e dopo il dodicesimo anno d’età, il diseredato? Non è forse tra le ragioni della do- manda delle otto ore di lavoro, che fa il proletariato, quella di ottenere il tempo di coltivare anche un po’ l’intelletto, o ideologi del radicalismo borghese? La nostra scuola elementare non è educatrice, gridano in coro le oche veglianti della borghesia. In primis, che cosa intendono i borghesi per educazione? Ecco: il Negri direbbe, che la scuola deve rendere il popolo timoroso di dio e dei padroni, laborioso, obbediente, sottomesso, previdente, pronto a vivere e a morir di fame, a beneficio sempre dei sullodati padroni (7). Il Bovio direbbe: - Chiediamo alla scuola il protoplasma dell’anima civile; e .... prendiamo per testo Plutarco! - Che volete che faccia la scuola elementare borghese? Lo disse il Martini in Parlamento: la borghesia non può educare né dentro la scuola, né fuori. Alla funzione educatrice concorrono necessariamente tre fattori: la scuola, la famiglia, l’ambiente sociale; la scuola, per sé, non può avere che una efficacia iniziale. Ora (messa da parte la famiglia, che per il proletario quasi non esiste, quando non è teatro di inenarrabili miserie e di vergogne conseguenti): nella scuola elementare borghese s’insegna al figlio del popolano la morale giudaico-cristiana, e fuori poi la borghesia gli offrirà lo spettacolo quotidiano d’infischiarsi altamente del testamento vecchio e del nuovo. O gli si insegna la morale civile, imperniata sul sacrosanto interesse assoluto dei beati possidentes; gli si predica l’integrità, l’onestà, la generosità, ecc., ecc.; e fuori vedrà i ricchi, i padroni, i legislatori, formanti il tipo superiore sociale, peccare con impudenza contro ogni precetto etico e giuridico. Ode declamare che grazie a dio e alla volontà della nazione siamo tutti liberi, felici, uguali, e poi ogni giorno nella famiglia, nel mondo, la realtà più brutale gli chiarisce, che libertà, eguaglianza, ecc., sono una corbelleria borghese. Ancora scolaretto, il figlio del proletario vede il proprio padre carcerato, condannato come malfattore, solo perché si permetteva di appartenere a un Circolo di principi extra-canonici, e la famiglia sprofondata nel dolore e nella miseria, e soffre la fame; e sente raccontare che i commendatori rubano, e altri commendatori giudici baciano a’ primi la mano, e che il governo fa peggio ancora, e se qualche ladro altolocato vien messo, per lustra, in gabbia, i figliuoli godono fuori il frutto del furto paterno, Tale la scuola, tale I’ambiente sociale. Lo stridente dissidio tra la predica e l’esempio borghese comincia per il figlio del proletario sui banchi della scuola, e via via, lungo il calvario della vita, matura, insieme col resto, nella sua coscienza il sentimento della dignità ribelle, che per la borghesia è crimine. E tristo lui, se un’intima energia non gli sorregge l’animo! Lasciando gli argomenti d’ordine esterno, certo è che la scuola popolare non può avere una funzione educatrice se non in una società di eguali (eguaglianza non nel senso borghese). Fondamento della funzione educativa è l’amore, e tra sfruttati e sfruttatori l’amore non è possibile. Aristotele, uno de’ santi padri cari al Bovio, non imaginò mai che ci potesse essere un’etica servile. Mi diceva un borghese sincero: «Per il popolo la morale è una parola: il codice e i carabinieri, ecco la morale che ci vuole!». Solo tra eguali può essere amore, perché solo tra eguali può germogliare il sentimento vero della solidarietà e della fratellanza umana, e quindi il sentimento morale. La morale non è che la spiritualizzazione di un interesse. La morale che la borghesia impartisce al popolo è la maschera di un interesse di classe, e così riesce in effetto una specie di estratto concentrato nel vuoto. La morale nella società socialista sarà la spiritualizzazione dell’interesse di tutti, e sarà non parola, ma spirito di vita. La scuola popolare può acquistare sua degna importanza soltanto con il prevalere delle tendenze socialiste, come non può altrimenti aspirare ad ottenere dignità e benessere pari all’ufficio il maestro, che ora dalla borghesia è considerato e trattato ben poco meglio di un addestratore di schiavi. Il prevalere dell’idea socialista soltanto può dare alla scuola popolare il suo desiderato sviluppo come istituto di preparazione etica ed intellettuale. (8) *** U n indizio di quanto affermo l’abbiamo nel fenomeno, che ci offrono in proposito i Comuni retti da’ socialisti in Francia. Il Comune ancora mancipio dello stato borghese non è libero di sviluppare l’azione propria, come gli convenga. Non gli è permesso che di manifestare delle tendenze. Or bene, ecco il Comune dove l’idea socialista prevale e i reggitori sono socialisti (per es. quello di Saint-Ouen) dar tosto alla scuola elementare un vero carattere d’istituto sociale. Là non é più la classe borghese che largisce l’abicì al proletariato, che gliene renderà il frutto; ma la collettività che cerca da sé e per sé la coltura dell’intelletto e dell’animo, conscia che l’istruzione è integratrice della personalità umana. Il figlio del proletario trova là nella sua scuola anche un cibo sano, che il Comune dà a tutti gli alunni, e libri, e vesti, se gli occorrono; e questo fatto materiale, se da un lato spinge meglio i parenti a curare che i ragazzi frequentino la scuola, dall’altro è profondamente moralizzatore per il suo significato, perché non trattasi di carità (come può usare la borghesia), ma di un diritto sociale. Così l’istruzione elementare è assicurata a tutti, e la scuola, governata dallo spirito socialista, ha efficacia educativa. La morale che l’informa, e vi s’insegna praticamente, non è per il povero, come nella scuola borghese, un estratto del codice penale, quando non è un nome vano senza soggetto; è verità sentita, principio elementare di un’etica, che risponde ai bisogni, alle tendenze della vita reale. In Italia, ch’io mi sappia, non c’è ancora nessun Comune, dove la democrazia socialista (intendiamoci, di veri socialisti) abbia tolto di mano alla borghesia la direzione della cosa pubblica, così da poter indirizzare sulla nuova via le istituzioni comunali. Ma tra non molto parecchi anche dei nostri Comuni saranno conquistati dai socialisti, ché le cose precipitano. Allora avremo l’esempio di scuole popolari che daranno un risultato non negativo, come ora, in fatto d’istruzione e di educazione. Ma ahimè! l’ideologismo borghese arriccia il naso al pensiero dell’organizzazione di quelle scuole e dello spirito novo di morale nova che le informerà. s NOTE (1) Resoconto parlamentare nella Tribuna, 24 giugno 1893. (2) Resoconto parlamentare pubblicato dal Messaggero di Roma, 27 giugno 1893. (3) Dualismo che si rivela in un medesimo borghese, il quale sia consigliere comunale in città e in campagna ad un tempo. (4) Spencer: Introduzione alla scienza sociale, cap. XIV. (5) Lo Stato fa prestiti ai Comuni per la costruzione di buoni locali ad uso delle scuole elementari. Non è raro il caso, che i Comuni rurali fabbrichino, con questo aiuto, dei buoni locali, destinandoli a tutt’altro uso (perfino ad uso di caserma) che non sia della scuola, la quale resta allogata sotto un portico o in una ex stalla. (6) Per i ragazzi, s’intende, che possono fre-