Onore agli Alpini d`Italia…..lassù, nel "Paradiso di Cantore"!

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Onore agli Alpini d`Italia…..lassù, nel "Paradiso di Cantore"!
Onore agli Alpini d'Italia…..lassù, nel "Paradiso di Cantore"!
Scritto da Raffaele Vacca
l’attualita’.it
Lassù, sulle lontane Montagne del "Paradiso di Cantore…", si trovano gli Eroi
della Patria, direi motivatamente l'aristocrazia della migliore Italia, cioè gli
Alpini di ogni epoca, caduti immolando la propria vita a difesa della Patria
comune; sì, il "Paradiso di Cantore", dove si vuole che tutti gli Alpini “andati
avanti..” si ritrovino, e questo grazie a quella leggenda del "Paradiso" che fu
ideata dal grande compositore e paroliere E. A. Mario, autore della famosissima
"Canzone del Piave”.
Cantore, il mitico Generale Combattente che ha voluto sempre e per primo dare
l’esempio; non un Generale comune, un burocrate, a chilometri dal fronte, ma un
Comandante di Divisione di intemerata coscienza, audace e presente in prima linea,
dove l'osservare, decidere, pagare di persona erano il suo imperativo categorico. Per
gli Alpini era un Dio, certamente non minore, che tutto otteneva perché ai suoi
Soldati tutto dava, in primis l'esempio. Riuscì a creare, fra Capo e soldati, quella
perfetta sintesi di spiriti e di intenti che è premessa di coraggio e quindi di eroismo
che portano a sicura vittoria. Il destino lo fece cadere con “la bella morte”,
idealizzata dal Poeta Soldato della Nuova Italia, il sommo Gabriel "Ariel" d'Annunzio,
ma sognata anche da taluni combattenti di quell'epoca ancora romantica ed
estetizzante che, nei primi mesi della guerra, ne erano stati forgiati. Centrato da un
proiettile in fronte da un cecchino subito entrò, come meritava, nell'Olimpo degli Eroi
di stampo risorgimentale! Fu il primo Generale a morire di ardimento, anche se non
l’unico; la sua morte fece scalpore e fece scoprire che anche i Generali potevano
cadere in battaglia, come umili combattenti tra umili combattenti. Ma Cantore non è
morto, il suo spirito aleggia lassù, nella conca di Cortina, a Forcella Negra, guardando
Le Tofane, studiando l'attacco agli Austriaci, come sempre granitico, pensoso, tutto
chiuso nel suo mitico impermeabile nero di guerra, con in testa il berretto da
Generale e in mano un comune bastone, ai piedi della gelida montagna di roccia nuda
sulla quale già si trovavano guardinghe le aquile dagli artigli implacabili della Vittoria
delle armi d'Italia del 1918. No, Cantore non è morto, il suo nome era sulle labbra di
tutti gli Alpini della grande guerra che lo avevano soprannominato il "Vecio", ma è
ancora nel cuore di tutti i “bocia” del dopo guerra sino ad oggi; sì, ancora oggi
Cantore è vivo, e guarda sereno coi suoi occhi acuti e vividi la sorte che dev' essere
vittoriosa, che non deve deludere; ed è così che lo vediamo raffigurato nel
monumento a Cortina d’Ampezzo che incute timore, rispetto e ammirazione in chi
l'osserva. Questi purissimi Eroi della Patria, quelli del "Paradiso di Cantore", aleggiano
tra i presenti quando sfilano le migliaia di iscritti all'Associazione Nazionale Alpini
(ANA) nelle memorabili Adunate nazionali (come in quella per me indimenticabile,
l'81^ di Bassano del Grappa, a maggio 2008, alla quale assistetti onorato) anche
perchè nella sfilata c’è sempre una scritta che provoca emozione, quel sentimento
derivante da una memoria che non può spegnersi, soprattutto per il popolo delle Penne
Nere della Carnia. "SFILANO CON NOI - si legge in uno striscione - MARIA
PLOZNER MENTIL (uccisa da un cecchino austriaco il 15 febbraio 1916 e decorata di
Medaglia d'Oro al Valor Militare alla Memoria nel 1997) E LE PORTATRICI
CARNICHE", donne che nella Grande Guerra, formidabili e leggendarie ausiliarie degli
Alpini, divisero con essi sacrifici e rischi, portando nella prima linea con le loro gerle
viveri, bevande e munizioni. Così sfilano solenni, nelle Adunate, le grandi Penne Nere
carniche, il cui impegno si è manifestato e si continua a manifestare in tutti i compiti
di volontariato assunti sia a livello nazionale che internazionale, ad iniziare dalla
ricostruzione della propria terra, il Friuli, devastata dal terremoto del ’76; una
mobilitazione che non ha avuto bisogno di speciali stimoli in virtù proprio di una realtà
che vuole la Carnia Terra generosa e "scarpona" per eccellenza; una Terra dove la
memoria dei Suoi Caduti è assicurata certamente dalle Sezioni dell'ANA, ma
soprattutto nell'ambito delle Famiglie in cui è regola trovare un Alpino di vecchia
come di nuova generazione. Ed è così per la signora Anna Maria Antoniacomi, classe
1921, di Forni di Sopra, "donna carnica di tempra montanara", come la definisce un
mio caro Amico friulano, il Luogotenente dei Carabinieri Mario Benedetto Tabacchi,
che la conosce bene; certamente forgiata, aggiungo io, nello stesso nobile metallo di
Maria Plozner Mentil. E' figlia e sorella di due eroici Alpini, dei quali custodisce, quale
vestale della memoria, la loro struggente ma ammirata ricordanza. Il Padre, Generale
Ferdinando Antoniacomi, tipica figura di vero Italiano, in guerra e in pace, fu
volontario nel 1912 nel 3° Reggimento Alpini e l'anno successivo divenne Sottotenente
di complemento nell'8° Reggimento. Ferito e mutilato durante il combattimento nel
giugno 1915 nella zona del Montenero, fu proposto per grande atto di valore per la
Medaglia d'Oro al VM, ma gli fu concessa solo quella d'Argento. Va ricordato che con
la conquista del Montenero, in quella che viene definita la "Prima battaglia
dell'Isonzo", nel giugno del 1915, le nostre truppe da montagna diedero al Paese il
primo importante successo di guerra, compiendo una mirabile impresa che destò
profonda ammirazione anche nel nemico, tanto che una nota cronista di guerra
austriaca, Alice Schalek, a tal proposito scrisse che quando al fronte si parlava della
vittoria dei nostri Alpini sul Montenero, si soleva aggiungere “Giù il cappello davanti
agli Alpini; questo è stato un colpo da maestro". Fernando Antoniacomi si distinse
anche nella difesa di Gemona e del ponte di Braulin sul Tagliamento, ponendosi a
difesa della popolazione civile. Promosso Colonnello nel 1940, nel '44-'45 partecipò
alla Resistenza svolgendo attività di collegamento con le Brigate partigiane Osoppo e
Garibaldi. In tale ruolo si distinse in due episodi che ben lumeggiano la forza d'animo
ed il coraggio leonino dell'Ufficiale, quale la presentazione ad Udine, al Comando
tedesco, per costituirsi in sostituzione di un omonimo internato in sua vece; l'altro
episodio lo vede salvare il paese di Forni di Sopra dalla distruzione da parte dei
Tedeschi presentandosi con il Parroco e offrendo la propria vita. Con lo stesso
spirito, dopo lunghe trattative, ottenne la resa di due Reggimenti di Cosacchi.
Arrestato e tradotto a Tolmezzo, fortunatamente ebbe salva la vita. Nel 1947, nel
grado di Generale lasciò il servizio attivo -venendo dopo qualche anno promosso al
rango di Corpo d'Armata- iniziando nel dopo guerra ad operare al servizio della sua
gente quale validissimo Presidente della Società Carnica di Autotrasporti, e poi, nel
1952, quale Commissario Straordinario contro l'epidemia di afta eliminandola del
tutto. Per tante e tali benemerenze egli è ancora ricordato per la rinascita della
Carnia, sempre con genuino spirito d'Alpino e autentico figlio di quella Terra.
Ricordiamo anche il fratello della signora Anna Maria, Elio, nato a Gemona del Friuli
nel 1919, che dopo la frequenza dell'Accademia Militare di Torino, Alpino anch'egli
come il Padre, fu Tenente della 34^ Batteria di Artiglieria da Montagna, decorato di
Medaglia d'Argento al V.M. sul Fronte Orientale con la seguente motivazione:
“Sottocomandante di batteria alpina, durante violentissimo attacco, vedendo
l’integrità dei propri pezzi ormai compromessa dall’immediata vicinanza del nemico,
scattava all’assalto alla testa di un nucleo di volontari. All’arma bianca e con furente
lancio di bombe a mano, inchiodava l’attaccante. Con pronta e risoluta decisione,
ritirava i pezzi su altre posizioni, portandoli in salvo” – Iwanowka – Russia, 22
dicembre 1942. Fatto prigioniero, morì nel campo di Miciurinsk. Alpinista
appassionato, formatosi nella Scuola di roccia di Aosta, dedicò le sue grandi energie
scalando le vette cadorine e carniche a cui, per genetica predisposizione, era
particolarmente legato. Fu in Albania, in Grecia e quindi in Russia, dove lasciò la Sua
meravigliosa giovinezza, ma non certamente la memoria della Sua breve ma
eccezionale vita e del Suo adamantino esempio. Quindi, un Padre e un Figlio, due vite,
anzi potremmo idealmente dire una sola vita vissuta in intima comunione e continuità
affettiva e di idealità, ahimè troppo presto spezzata, tutta spesa sul fronte del
Dovere e dell'amor di Patria.
Percorrendo i viali e i gradoni del Cimitero degli Invitti, sul Colle di Sant'Elia a
Redipuglia, si incontrano due tombe vicine, che osservandole fanno trasalire portando
al ricordo di Ferdinando e Elio Antoniacomi. Ci sono le spoglie mortali del Maggiore
Giovanni Riva di Villasanta, eroicamente caduto nel 1916 nel Trentino e di suo figlio
Alberto, Sottotenente dei Bersaglieri appena diciottenne, Medaglia d'Oro al VM, che
cadde al bivio di Paradiso pochi minuti prima della cessazioni delle ostilità, mentre alla
testa dei suoi valorosi Bersaglieri con intemerato coraggio inseguiva il nemico in
ritirata. La sua gloriosa morte fu esaltata e rievocata anche da Gabriele d'Annunzio il
5 Maggio 1919 all'Augusteo di Roma. Davanti a quelle due tombe avvolte nel silenzio il
visitatore sosta e legge una scritta che celebra quell'eroico ragazzo di nome Alberto,
Sottotenente diciottenne dei Bersaglieri, e nel leggerla non può non trattenere la
commozione. "Guardami il petto, Babbo e dimmi: sei contento? Alberto più che mai tuo
Padre ora mi sento! Ma la povera Mamma rimasta così sola? Un'altra Madre, Italia, di
noi la riconsola!"Così certamente lassù, sulle lontane Montagne del "Paradiso di
Cantore", Elio Antoiacomi, Tenente Alpino poco più che ventenne, con queste parole, il
3 giugno del 1973, avrà accolto il Suo amato Papà Ferdinando…; sì, proprio lassù, su
quelle lontane montagne, note come il "Paradiso di Cantore….".