fujifilm X-pro2 zeiss milvus macro

Transcript

fujifilm X-pro2 zeiss milvus macro
Foto di Renato Marcialis
MENSILE - POSTE ITALIANE Spa, SP. ABB. POST, D.L. 353/2003 - (CONV. IN L. 27.02.2004 N°46) ART.1 COMMA 1-DCB-ROMA
www.reflex.it
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intervista
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portfolio
test obiettivi
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milvus
macro
maggio 2016 - €5,00
moriyama
in color
collezionismo
zorki 5
05/2016
Sommario
Tecnica
24
La magia di sovrappore le fotografie
Si chiama Stack Photography e permette di aumentare
la zona di fuoco, ampliare la gamma dinamica e...
In prova
34
50
Zeiss Milvus 50 e 100mm Makro Planar
Due obiettivi per riprese a distanza ravvicinata
progettati per offrire una risoluzione top
Fujifilm X-Pro2
La nuova ammiraglia della serie X dispone ora di un
sensore da 24MP ed è stata migliorata in tutti i reparti
Anteprima
60
Huawei P6
Uno smartphone di fascia alta con doppia fotocamera
posteriore, nato dalla collaborazione con Leica
Intervista
40
Renato Marcialis
Per i suoi 60 anni il noto fotografo di food apre le
porte del suo studio ed espone “Caravaggio in Cucina”
Portfolio
70
74
Esposizioni
Il mio portfolio
Luca Corbani: Acque dolci
In viaggio per...
Le isole Faer Øer, di Marco Maccolini
56
TEST
Daido Moriyama in Color
Tutto è degno di essere fotografato per uno dei maestri
della fotografia giapponese in mostra a Modena
Post produzione
64
Un nuovo RGB, anzi RGBW
Cosa si può dire sullo spazio colore RGB che ancora
non sia stato detto? Eppure qualcuno l’ha fatto, in
modo nuovo e originale
4 FOTOGRAFIA REFLEX
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#434
ANNO XXXVI
07
oLTRE LA noTIZIA
14
MoSTRE
L’approfondimento mensile che spiega
le scelte tecnologiche e le motivazioni legate
al lancio di nuovi prodotti per la fotografia
La tradizionale passerella delle mostre
fotografiche in Italia. Una guida commentata
alla scoperta di nomi nuovi oltre ai più famosi
20 InGRESSo LIBERo
Le migliori fotografie dei lettori
76
IMMAGInI
ALLA SBARRA
Critiche e consigli per migliorare
78
56
APPUnTAMEnTI
Incontri ed eventi del mese e attività dei circoli.
E poi il calendario delle esposizioni e dei concorsi
in Italia e all’estero
FABRIZIO TEMPESTI
DAIDO MORIYAMA, UNTITLED 1970S, COURTESY OF THE ARTIST
40
Le Zorki, oneste copie Leica d’oltrecortina
RENATO MARCIALIS
80
IL CoLLEZIonISTA
86
ConCoRSI
FOTOGRAFIA REFLEX 5
TECNICA
Stack Photography
La magia del sovrapporre le foto
Si chiama Stack
Photography e permette
di aumentare la zona di
fuoco, avere una gamma
dinamica ampia oppure...
di Michele Buonanni
he la tecnologia digitale avrebbe aperto
grandi orizzonti al mondo della fotografia lo pensavano in molti già alla fine dello scorso millennio. Ma, in tempi recenti, questo
processo si è velocizzato, offrendo agli utenti
possibilità quasi illimitate nella manipolazione
delle immagini. A parte gli effetti più tradizionali di elaborazione delle foto, la tecnologia digitale permette oggi di superare limiti fino a ieri considerati invalicabili per confini fisici o elettronici del mezzo. Un esempio noto ad ormai la maggior parte dei fotoamatori che utilizzano il digitale, sta nella possibilità, tramite la funzione
HDR (High Dynamic Range ovvero Alta Gamma Dinamica) di ampliare, mediante particolari
tecniche, la capacità di un sensore di restituire
allo stesso modo le ombra più profonde e le zone delle alte luci. Grazie all’HDR è possibile infatti fare in modo che in una foto, ove vi sia
grande differenza tra le zone più scure e più
chiare, si arrivi alla perfetta leggibilità in entrambe queste porzioni. Il segreto di tale risultato è addirittura banale: scattare più immagini ad
esposizioni differenti e poi fonderle insieme tramite un software. Ma la tecnologia dello scatto
multiplo va ben oltre. Applicando lo stesso concetto alle zone di fuoco invece che di esposizione, si ottiene un risultato altrettanto, se non più,
interessante: sarà possibile avere a fuoco più
parti dell’immagine anche lavorando con ottiche
e valori di diaframma che non consentirebbero
tale risultato. La fusione tra più scatti identici
della stessa scena permette poi di ridurre il rumore d’immagine quando si lavora ad alte sensibilità, elaborando le immagini con i software che
consentano tale funzione.
Tutto ciò è stato codificato sotto il termine inglese Stack Photography che, tradotto significa
più o meno fotografie impilate ovvero sovrapposte in una pila. La Stack Photography, da esperimento per pochi eletti, sta diventando una tecnica diffusa nella fotografia digitale. Vediamo, in
questo articolo, come è possibile utilizzarla.
C
24 FOTOGRAFIA REFLEX
Ecco il classico
esempio di Stack
Photography
applicata alla messa
a fuoco. In questo
caso si definisce
Focus Stacking. Si
parte dalle immagini
in basso, ognuna con
il suo punto di fuoco,
contraddistinto dal
cerchio giallo.
Unendole insieme
tramite un software
specifico, in questo
caso Helicon Focus
del quale parliamo
anche in seguito, si
ottiene l’immagine
qui a lato in cui la
profondità di campo
è molto estesa
nonostante ogni
singola immagine di
partenza sia stata
scattata a diaframma
medio. In tal modo è
possibile superare i
limiti ottici di un
obiettivo ottenendo
una zona di fuoco
molto più ampia di
quella che sarebbe
possibile, con la
stessa ottica anche al
valore di diaframma
più chiuso.
IN PROVA
Zeiss Milvus
Milvus 50mm e 100mm Makro Planar
risoluzione top a distanza ravvicinata
Dopo aver testato
il mese scorso
quattro focali
standard della
nuova serie di
ottiche Zeiss, ora è
la volta dei due
obiettivi “macro”
che completano la
gamma Milvus
di Eugenio Martorelli
ccoci alla seconda parte della nostra prova pratica di ripresa dell'intera linea di
obiettivi Zeiss Milvus, ultima nata della
casa, che si affianca alle altre linee per reflex
Classic, Sony/Zeiss e Otus, la top Zeiss, attualmente, e non solo come prezzo. Dopo aver testato le focali 21mm f/2,8, 35mm f/2, 50mm
f/1,4 ed 85mm f/1,4 eccoci ora alle prese con i
due obiettivi più specialistici dei Milvus, ossia il
50mm f/2 e il 100mm f/2 Makro Planar, che in
realtà a dispetto del nome più che dei macro sono delle ottiche che permettono riprese a distanza molto ravvicinata, come spieghiamo in
un riquadro in queste stesse pagine.
Riassumendo quanto scritto il mese scorso,
tutti gli Zeiss Milvus sono a messa a fuoco manuale, sono privi di stabilizzatore ottico, sono
protetti contro polvere e umidità, godono di un
trattamento antiriflesso delle lenti Zeiss T* e sono prodotti con innesti Canon EF (sigla ZE) e
E
34 FOTOGRAFIA REFLEX
Nikon F (sigla ZF.2). Tutti gli obiettivi sono stati provati su reflex Canon EOS 5D Mark III con
sensore 22 megapixel (MP).
Detto questo, si comprende come gli Zeiss
Milvus siano degli obiettivi molto "conservatori", soprattutto per quanto riguarda la messa a
fuoco manuale. Ma in obiettivi che arrivano
molto vicini al soggetto, come i nostri due Makro Planar, questo è uno svantaggio meno evidente, visto che a corta distanza è più conveniente fare il fuoco spostando avanti o indietro
la macchina, con la ghiera di messa a fuoco fissa sul rapporto di riproduzione prescelto, piuttosto che ruotare la ghiera stessa. Rapporto che
nel caso del 50mm e del 100mm è 1:2, ossia un
soggetto grande 30mm risulterà di 15mm all'interno della cornice del fotogramma 24x36mm.
Con la sostanziale differenza che la focale
100mm permette al fotografo di stare più distante dal soggetto, senza per esempio fargli
ombra col paraluce, oltre ad offrire una prospettiva più compressa.
In tutti i casi la linea Milvus è caratterizzata
da ottiche concepite per offrire la risoluzione
necessaria ad accomodare reflex di fascia alta
con sensori "robusti", che possono arrivare anche a 50 megapixel e che si sa essere molto sensibili sull'argomento, visto che amplificano
ogni minimo difetto dell'obiettivo montato. Anche la costruzione, come abbiamo già scritto, è
impeccabile, sia dal punto di vista della finitura
(nero opaco, con ghiera in materiale gommato
non godronato) sia della meccanica (assenza di
qualsiasi gioco e fluidità ben calibrata della
messa a fuoco). Il rivestimento liscio e poco rilevato della ghiera, però, fa sì che la mano la
debba cercare, cosa che secondo noi va a scapito dell’immediatezza di utilizzo, ma probabilmente è solo questione di abitudine.
Info e documentazione tecnica: www.zeiss.it
CARAVAGGIO IN CUCINA
Per festeggiare i suoi 60 anni il più grande fotografo
italiano di food, Renato Marcialis, apre le porte del suo
studio per una mostra dedicata al progetto ispirato dalla
tecnica di illuminazione di Caravaggio
di Luca Forti
n Italia quando si parla di food photography il primo nome della lista è senza
ombra di dubbio quello di Renato Marcialis. I suoi clienti sono sparsi per il mondo e le
sue immagini riempiono cataloghi, ricettari e
molto altro, lui è la fotografia di food. Tra
una lavoro commisionato ed un altro, però,
Marcialis non ha mai messo da parte le sperimentazioni personali e in particolare il suo
progetto “Caravaggio in Cucina”, nato diversi anni fa quasi per caso mentre cercava un
modo diverso per dare luce e vita a delle semplici castagne, rappresenta l’essenza di questa
ricerca. Da quel giorno è stato un susseguirsi
di idee da sviluppare seguendo il tipo di luce
particolare che era riuscito a costruire con la
tecnica del light painting; il risultati erano così pittorici da riportare la mente di Marcialis
ai quadri di Caravaggio, il passo per battezzare il progetto è stato molto breve.
Oggi, a circa otto anni di distanza da quella foto numero zero e con le sessanta candeline da spegnere, Renato Marcialis ha deciso di
aprire le porte del suo studio, del suo mondo,
per mettere in mostra sessanta quadri tratti da
questo lavoro. E parliamo di quadri sapendo
anche quanto tempo e quale cura impieghi
per montare su tela le fotografie di “Caravaggio in cucina”, che grazie a delle particolari
tecniche possono davvero essere scambiati
per dipinti ad olio. Così, dopo aver girato in
lungo e in largo l’intero mondo, la prossima
mostra si terrà dal 20 al 22 maggio, proprio
dove tutto è nato, presso lo Studio Renato
Marcialis a Milano, dove verrà creato un percorso in cui ci saranno anche tutti gli oggetti
legati alla gastronomia italiana che fanno parte non solo delle immagini di Marcialis, ma
creano la sua collezione. Per l’occasione abbiamo avuto la possibilità di entrare ancora
I
Nella pagina a fianco “Vendemmia” e qui a destra “In alto
i ciuffi”. In tutte le foto di Marcialis, troviamo oggetti della
tradizione gastronomica italiana.
»
FOTOGRAFIA REFLEX 41
IN PROVA
Fujifilm X-Pro2
Confermata
e migliorata
La nuova ammiraglia Fujifilm
serie X dispone ora di nuovo
sensore ed è stata migliorata in
modo significativo in tutti i reparti
di Michele Buonanni
COSA C’È DI NUOVO
La X-Pro2 rappresenta un
notevole passo in avanti rispetto
alla precedente X-Pro1. Migliorati,
in particolare, sensore, processore
d’immagine, autofocus, il mirino e
tante funzioni, principali ed
accessorie. Da questo punto di
vista può essere considerato un
apparecchio molto evoluto e tra i
migliori sul mercato, in
conconcorrenza con le top di
categoria.
sensore ottimizzato
L’X-Trans formato Aps-C della
Fujifilm, adottato da tutta la serie X
ad ottica intercambiabile, vede la
sua evoluzione in un sensore che
ha ora 24,3 megapixel, dispone di
punti incorporati per l’autofocus a
rilevamento di fase ed ha
prestazione decisamente notevoli
in termini di risoluzione e tenuta al
rumore d’immagine.
50 FOTOGRAFIA REFLEX
selettore modalita’ mirino
Una levetta sul frontale serve sia a passare da un tipo di visione all’altra (mirino ottico
oppure elettronico) sia a scegliere due tipi di ingrandimento in quella ottica ed
altrettanti gruppi di cornici. Ha anche un pulsante programmabile a scelta dell’utente.
el 2012 la giapponese Fujifilm ha lanciato il suo primo apparecchio ad ottiche intercambiabili della serie X: si
chiamava X-Pro1 ed era destinato a diventare
un vero e proprio riferimento tra le fotocamere
di qualità, alternative al mondo reflex. Di fatto,
la X-Pro1 era ed è, ancor oggi, una mirrorless di
alto livello, un apparecchio fotografico che sostituisce degnamente qualunque reflex di fascia
medio alta sia in termini qualitativi sia operativi. Il successo della Fujifilm X-Pro1, nonostante il prezzo elevato e la ridotta gamma di obiettivi a disposizione, fu immediato. Le poche ottiche disponibili furono scelte accuratamente tra
le focali fisse: le prime tre furono il 35mm f/1,4
(equivalente ad un 50mm nel formato 35mm), il
18mm f/2 (equivalente ad un 27mm) ed il Macro 60mm f/2,4 (equivalente ad un 90mm). Tale scelta fu apprezzata dai puristi, amanti della
fotografia tradizionale ma fu anche obbligata
per sfruttare al meglio la possibilità del mirino
ibrido ad oculare ottico/elettronico che, nella
modalità di funzionamento ottica, prevede appunto cornici per le lunghezze focali citate. Altra caratteristica che fece salire alla ribalta la XPro1 fu la qualità delle immagini prodotte dal
suo sensore formato Aps-C con 16 megapixel;
denominato X-Trans CMos, esso forniva (e fornisce ancor oggi) prestazioni di grande livello,
degne di formati e risoluzioni ben superiori. Un
autofocus non particolarmente brillante ed alcune lentezze operative passarono in secondo piano, controbilanciate da una resa d’immagine
che è stata, in questi quattro anni, sempre all’altezza delle richieste di una utenza che non si accontenta. Si tratta di utenti che non cercano prestazioni video o autofocus da fotografia sportiva quanto appassionati di reportage, spesso a luce ambiente, paesaggio, ritratto, tutti generi nei
quali la X-Pro1 ha sempre dato il meglio di sé.
Quattro anni, però possono essere anche pa-
N
recchi in chiave tecnologica. Ce ne accorgiamo
ancor di più da quando abbiamo tra le mani la
Fujifilm X-Pro2, erede della capostipite e nuova ammiraglia della serie X della casa giapponese. Nel frattempo Fujifilm non è stata certo
con le mani in mano: ha migliorato, evoluto,
modificato, cambiato firmware (anche alla XPro1) per correre al passo coi tempi. Un primo
esempio di questo è stato il passaggio dalla XE1 (seconda fotocamera in assoluto della serie
X ad ottiche intercambiabili) alla X-E2 ma soprattutto l’arrivo della serie T che con la X-T1
ha definitivamente sancito il passo in avanti tecnologico ma, nel contempo, ha anche messo a
nudo l’età della X-Pro1.
Con la X-Pro2, la Fujifilm ribadisce il concetto di qualità estrema al top della categoria già
espresso dalla X-Pro1 e va ben oltre quanto a
contenuto tecnologico senza stravolgere il buon
progetto iniziale. Si tratta di una fotocamera anche più versatile della precedente in quanto il
suo nuovo sistema autofocus le permette prestazioni di notevole livello anche nella fotografia
d’azione, genere che era praticamente precluso
al precedente modello. Altro vantaggio, in particolare per chi si avvicina per la prima volta al
sistema X di Fujifilm è che la X-Pro2 arriva sul
mercato nel momento in cui vi sono già diciotto obiettivi, sia a focale fissa, sia zoom, sia ultra
luminosi sia più economici per soddisfare qualunque esigenza di ripresa. E partire con un
buon parco ottiche non è da poco, soprattutto
considerando la qualità degli obiettivi Fujifilm.
Numerose le novità della nuova fotocamera
rispetto alla precedente X-Pro1. Si parte da un
nuovo corpo macchina realizzato in lega di magnesio invece che alluminio il quale contiene il
nuovo sensore denominato X-Trans CMos III;
si tratta di un sensore ibrido (contiene anche i
sensori per la messa a fuoco a rilevamento di fase) formato Aps-C che ha 24 megapixel contro
POST PRODUZIONE
Gestione avanzata
Un nuovo RGB, anzi, RGBW
Cosa si può dire su
RGB che ancora non
sia stato detto? Credo
molto poco, ma qualcuno
ha ridetto ciò che
già sappiamo in modo
nuovo e originale
1
di Marco Olivotto
“I
fotoni non hanno il costume da bagno”. Il titolo di questa sezione è una
vecchia battuta che uso spesso con i
miei studenti. Tutti più o meno sanno come
funziona il metodo colore RGB: la sovrapposizione di tre fasci di luce rossa, verde e blu
viene da noi percepita come luce bianca. L’idea è così nota che forse non vale la pena di
rappresentarla ancora una volta, ma nel caso
possa essere utile visualizzarla la figura 1 ci
viene in aiuto.
Sul fatto che tre fasci luminosi siffatti si
sommino in un unico fascio il cui colore apparirà bianco, non ci piove. Alcuni tendono però
a invertire il modello, pensando che la luce
che percepiamo come bianca sia composta fisicamente da tre componenti: rossa, verde e
blu. Questa affermazione è falsa: può essere
utile per capire certi fenomeni, ma non descrive la realtà fisica della luce. Possiamo pensare
alla luce come a uno sciame di particelle chiamate fotoni. Ciascuna di esse oscilla con una
certa frequenza legata alla lunghezza d’onda e
le frequenze sono più o meno ugualmente probabili. I fotoni, per via di un principio fisico
fondamentale, sono indistinguibili tra loro:
scambiandone due, continueremmo a misurare
esattamente lo stesso fenomeno. Da questo deriva il titolo della sezione: i fotoni non hanno
il costume da bagno rosso, verde o blu, perché
in quel caso potremmo distinguerli. La luce
bianca è composta da uno spettro continuo di
lunghezze d’onda, non da tre componenti colorate di rosso, verde e blu.
Le tre componenti in questione sono dunque
virtuali. Detto questo, il modello che suddivide la luce bianca in esse funziona benissimo
per spiegare certi fenomeni legati al colore, e
qualcuno ci ha ragionato sopra.
Un docente con delle strane idee. Ho conosciuto Luca Negri nel mio gruppo di correzione colore su Facebook, del quale egli è an-
64 FOTOGRAFIA REFLEX
2
Figura 1 – Il modello
di sintesi additiva sul
quale si fonda il
metodo colore RGB.
Figura 2 – Quante
aree cromatiche si
vedono?
che amministratore. Luca si occupa di fotografia da molti anni e attualmente insegna Tecnica Fotografica in due Istituti Superiori statali:
I.S.I.S.S. Marco Minghetti e I.I.S. Silva-Ricci
di Legnago, in provincia di Verona. Nasce come fotografo con le tecniche tradizionali e dopo il passaggio al digitale si forma studiando
Dan Margulis e (così mi dice) i miei scritti. Mi
tolgo da questo imbarazzo raccontando che mi
accorsi ben presto dei suoi puntuali interventi
sul gruppo: precisi, mai esagerati, sempre a
fuoco. Al punto che gli chiesi, dopo un po’ di
tempo, se gli avrebbe fatto piacere scrivere
qualcosa sul mio blog, marcoolivotto.com
Circa un anno fa, Luca mi propose un’idea
che sulla carta è così stramba da far sorridere.
In realtà nella sua semplicità è così geniale da
far riflettere. La esporrò nella sua sostanza, in
maniera diretta: “visto che CMYK utilizza un
canale del nero per ragioni di comodo, e visto
che RGB altro non è che un metodo colore
complementare a CMYK, perché non costruiamo un canale del bianco in RGB per vedere se
può essere utile? Ovvero, perché non trasformiamo RGB in RGBW?”
La domanda è più sensata di quanto non sembri. Riducendo la teoria all’osso, il ruolo del canale del nero (K) in CMYK è quello di sostituire opportune combinazioni di CMY che producano un colore neutro. La matematica necessaria per spiegare questa questione è abbastanza
ostica, ma la figura 2 ne è un esempio lampante: dovreste vedere un rettangolo di colore ciano
scuro uniforme. In realtà il rettangolo è diviso a
metà in due quadrati: quello di sinistra è stato
riempito con una miscela di inchiostri definita
da 80C 50M 40Y 5K; quello di destra con 73C
40M 30Y 24K. I canali sono estremamente di-