La storia di Tiberio

Transcript

La storia di Tiberio
La storia di Tiberio è la storia
di una scelta di vita coraggiosa.
Tiberio Bentivoglio aveva una famiglia modesta, composta da mamma,
papà e tre figli: Tiberio e altre due sorelle. I genitori decisero di far
continuare gli studi solo a Tiberio, perché i soldi erano pochi. Anche per
ringraziare i genitori, Tiberio, fece molti sacrifici per portare a termine
questo impegno. Terminati gli studi, decise di avviare un'attività
commerciale e, circa trent'anni fa, questa attività diventò un successo,
talmente grande che Tiberio dovette allargare l'attività e assumere altri
dipendenti, perché due
non bastavano più; diventarono sette. Nel 1991 quest'attività divenne
una piccola azienda. Ad un tratto, però, arrivò la criminalità. Per
chiedere il pizzo, si presentò un uomo sui novant'anni, affiliato alla
mafia. Giustamente, Tiberio e i dipendenti, decisero di non pagare il
pizzo che la mafia chiedeva, perché chi lo paga, diventa loro amico.
Quando Tiberio rifiutò di pagare, la reazione della mafia fu violenta:
iniziarono con i ricatti e a mettere bombe nel suo negozio. Infatti, la
stessa notte del giorno, in cui si rifiutò di pagare il pizzo, la mafia mise
una bomba nel negozio di Tiberio; a casa sua sentì tremare il letto.
Subito pensò ad una scossa di terremoto, ma poi diventò talmente forte
il tremore, che Tiberio corse giù in piazza per vedere cosa fosse
successo e si ritrovò davanti al suo negozio, che stava bruciando.
Per ogni caso o condomino c'era almeno una luce accesa, ma nessuno, a
parte la sua famiglia, la polizia e i vigili del fuoco, lo aiutò e lo consolò;
nessuno arrivò in soccorso di quell'uomo che aveva perso un negozio,
che in molti apprezzavano........Nessuno!
Quell'assenza ancora oggi gli fa male, più di aver visto il negozio
devastato.
La mattina seguente, andò dai carabinieri a denunciare l 'accaduto.
Per intercettare i mafiosi, si misero dei piccoli microfoni, grazie a
questo sistema furono arrestati due gemelli mafiosi. Il giorno seguente,
Tiberio, andò a deporre la sua testimonianza.
Vicino a lui, c'erano i mafiosi sospettati del fatto; questi ultimi ridevano,
sghignazzavano. I mafiosi non hanno mai paura, anche se sono rinchiusi
in una cella, perché all'esterno ce ne sono molti altri che lavorano per
loro.
Quando gli bruciarono il negozio, perse circa 3500 euro di merce, ma a
poco a poco ricostruì il negozio. Il 13 aprile del 2005, l'edificio in cui
lavorava, che avevano già distrutto una volta, venne nuovamente
colpito, questa volta non ne rimase più niente. Tre giorni dopo iniziò un
nuovo processo. Una delle sere del periodo del processo, la figlia di
Tiberio, tornò a casa circa alle una di notte; rientrava infatti da una festa.
Salì in casa agitatissima e si precipitò dal padre per dirgli che aveva
visto bruciare il capannone, da un mafioso, con i suoi collaboratori.
Tiberio il giorno successivo si ritrovò in ospedale per un malore avuto
quella notte. Ogni cosa era andata persa, persino la speranza di
ricostruire tutto e andare avanti. La moglie, che era più testarda di
Tiberio, lo convinse che chi non ha più voglia di fare, non va più da
nessuna parte e non vince chi vuole sconfiggere. Dopo una settimana
Tiberio tornò a lavorare; poco dopo gli arrivò una telefonata dai
carabinieri, i quali gli chiedevano, se voleva avere due uomini di scorta
che lo seguissero ovunque, da mattina a sera. La risposta di Tiberio non
fu immediata; prima si consultò con la moglie e dopo un giorno chiamò
i carabinieri, rifiutando l'aiuto.
Un anno dopo, la mafia lo devastò ancora una volta psicologicamente e
fisicamente. Infatti, un giorno, mentre scendeva dal furgone, si sentì
sparare alle spalle sei colpi di pistola; si rifugiò dentro al furgone per
avere un minimo di protezione. Lo salvò il marsupio, che poco prima,
aveva girato sulle spalle per avere le mani libere, per prendere degli
scatoloni.
Da allora vive con due carabinieri che lo sorvegliano 24 ore su 24. Tutta
la famiglia ne risente: i suoi figli chiedono spesso quando potranno
andare da soli a mangiare una pizza, chiedono quando finirà tutto
questo; Tiberio però è convinto che lo Stato alla fine vincerà contro la
mafia. Dice che noi ragazzi siamo una terra fertile, che può ancora
essere protetta.
Oggi Tiberio si sente "a casa" nell'associazione Libera.
Non si sente un eroe, pensa che gli eroi umanamente non esistano. Ci ha
anche raccontato che i bambini hanno un ruolo nella mafia: ad esempio
un giorno a Tiberio gli si presentò un ragazzo di 11 anni, che lo invitò
davanti al portone di casa sua alle due di notte per incontrarsi con il
capo della mafia. Tiberio poi ci ha detto di stare vicino a chi ha paura
della mafia, di non lasciarlo da parte e di incoraggiarlo, aiutarlo a
credere che chi ha paura non vince.
Giorgia Fabbri II H