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Alessandro Nesi
Uno studio sulla ‘Madonna del
libro’ del Pontormo
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ALESSANDRO NESI
Uno studio sulla ‘Madonna del
libro’ del Pontormo
Tra i dipinti di soggetto mariano creati per la devozione privata dal Pontormo (Jacopo Carrucci,
Pontorme di Empoli 1494 – Firenze 1557), la cosiddetta Madonna del libro è quello di cui sono note più
repliche e derivazioni, ed essa è probabilmente, com’è stato asserito qualche anno fa, uno dei quadri più
copiati del Cinquecento fiorentino, insieme ad alcuni prototipi di Andrea del Sarto 1. Attualmente se ne
conoscono una trentina tra versioni, copie semplificate e derivazioni, fra le quali la critica si è variamente
provata a individuare l’originale, ma sulla questione regna tuttora una sostanziale incertezza, così come
sull’identificazione dell’opera con una delle varie ‘Madonne’ pontormesche menzionate dal Vasari nella
seconda edizione delle Vite (1568). Infatti lo storiografo aretino cita sempre genericamente questi quadri,
limitandosi a precisarne il soggetto come una “Nostra Donna”, a ricordarne le circostanze della
committenza o a registrarne i passaggi di proprietà, e quindi, a differenza di quanto asserito da Ferdinando
Bologna e Raffaele Causa nel catalogo della mostra Fontainebleau e la Maniera italiana (1952), egli non parla
mai di “una Madonna seduta in terra, che guarda un libro, ed ha il Bambino disteso sulle ginocchia, e in
lontananza casamenti con figure indugiantesi dinanzi ad una porta”, ma questa è invece una formula
narrativa creata da Carlo Gamba per la piccola monografia da lui dedicata a Pontormo nel 1921 2.
Proprio la genericità delle descrizioni vasariane ha portato la critica a proporre nel tempo varie
identificazioni per la Madonna del libro. Nel 1964 Janet Cox-Rearick pensò ad esempio di riconoscerla nel
“quadro di Nostra Donna che fu dal duca [Cosimo de’ Medici] donato al signor Don…[così nel testo] che
lo portò in Ispagna”, menzionato dallo storiografo subito prima dei cartoni per gli arazzi con le Storie di
Giuseppe, che sono databili al 1545 circa, ma tale argomentazione fu poi smentita da Luciano Berti, il quale
notò giustamente come l’esistenza di tante copie coeve e successive del dipinto, alcune come vedremo
contrassegnate con date precise (1561 e 1571), e realizzate con certezza a Firenze, portasse a presupporre
che l’originale fosse rimasto a lungo nel capoluogo mediceo 3. Le altre ipotesi formulate dagli studiosi si
sono orientate verso il possibile riconoscimento del prototipo nel “bellissimo quadro di Nostra Donna”
che Pontormo donò insieme ad altre opere al muratore Rossino, il quale aveva ristrutturato l’abitazione
acquistata dall’artista in via della Colonna a Firenze, oppure nel “quadro di Nostra Donna stato da lui
molto ben condotto, per quello che si vide, e con bella maniera, molti anni innanzi”, che fu trovato in
quella stessa casa alla morte del pittore 4. L’esistenza di tante versioni e repliche, che di per sé giustifica la
bontà dell’invenzione compositiva pontormesca, è stata invece argomentata con una facile accessibilità del
prototipo ai pittori fiorentini del Cinquecento, possibile soprattutto nel caso esso fosse quello passato ad
Ottaviano de’ Medici, la cui casa fu notoriamente aperta agli artisti 5.
La parte della critica che ha identificato la Madonna del libro col dipinto regalato al Rossino, e passato poi a
detta del Vasari nelle collezioni di Ottaviano de’ Medici, ha dato vita ad un intenso dibattito sulla
cronologia dell’opera, proponendo datazioni che oscillano tra il 1520 – 1525 e il 1545 – 1550 6, mentre
invece le ipotesi di datazione per la “Madonna” trovata in casa dell’artista alla sua scomparsa, e che sempre
lo storiografo aretino dice poi ceduta dagli eredi a Piero Salviati, hanno fatto riferimento a due soli appigli
temporali: il 1530 e il 1545 7. Un preciso riferimento cronologico, alla metà degli anni trenta del secolo,
sembra in realtà sussistere soltanto per il quadro del Rossino, in quanto il Vasari dice che il carpentiere lo
ricevette dal Pontormo “per pagamento d’avergli mattonato alcune stanze e fatto altri muramenti”, e che la
casa di via della Colonna, alla quale i ricordi dello storiografo possono essere collegati, viene detta “murata
di nuovo”, cioè appena ristrutturata, in un documento catastale del 1534 8.
2
E’ stato però quando la composizione e le soluzioni figurative
adottate dal Carrucci nella Madonna del libro sono state considerate
indipendentemente dal legame coi due quadri ricordati dal Vasari, che
la lettura dello stile ha dato luogo a proposte cronologiche tra loro più
concordi e maggiormente convincenti. Nel 1944 Luisa Becherucci
notò in Pontormo, all’inizio degli anni trenta del Cinquecento, “i
primi frutti, e non in tutto felici, del nuovo accostamento
michelangiolesco”; frutti assai forti, pur se “si sente come anche la
forma michelangiolesca dovrà fatalmente subordinarsi alla ben diversa
volontà del Pontormo”. E questo, secondo la studiosa, era accaduto
persino in “certi dipinti che traducono complessi gruppi” come “la
Carità degli Uffizi e una composizione della Madonna col Bambino
Fig. 1 – Pontormo (?), Noli me
seduta a terra di cui si hanno solo repliche”, ovvero appunto la
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, Firenze, Casa Buonarroti.
tangere
Madonna del libro . Il concetto venne ribadito e precisato dodici anni
dopo da Carlo Gamba, per il quale l’opera apparteneva a “ricerche di
composizione concentrata in breve spazio, svolte […] dopo che Jacopo ebbe colorito il Noli me tangere di
Michelangelo” 10. E in effetti, la Vergine della Madonna del libro sembra esser stata concepita dal Pontormo
proprio sotto la suggestione del cartone michelangiolesco che egli tradusse in pittura verso il 1531 per
Alfonso d’Avalos, in un dipinto che alcuni hanno proposto di identificare con quello oggi conservato alla
Casa Buonarroti di Firenze (fig. 1) 11. Solo così può spiegarsi il motivo del panneggio che sul petto della
Madonna sottolinea accuratamente la forma dei seni, in maniera analoga (e con un simile timbro di rosso
acceso) a quanto accade per la Maddalena del Noli me tangere, e che in seguito il Carrucci sembra non aver
più ripreso. Allo stesso modo, gli edifici dalla forma scabra e geometrica che in molte versioni della
Madonna del libro si stagliano contro un cielo plumbeo, quasi notturno, che anche il Bronzino non mancherà
poi di inserire assai simili in alcune sue composizioni, richiamano alla mente nella loro disposizione in
scorcio dal basso, e nella loro situazione ambientale, proprio le fortificazioni collinari visibili nel quadro per
il d’Avalos, ove forse furono significative in accordo al tema dell’opera, concepita per uno dei generali
imperiali che avevano assediato Firenze tra l’ottobre 1529 e l’agosto dell’anno successivo, da Michelangelo,
il quale si era invece adoperato in quel versante per difendere e rendere “intoccabili” le mura cittadine.
La Madonna del libro può dunque esser stata immaginata dal Pontormo al tempo dell’assedio, o
immediatamente dopo, con un impeto michelangiolesco delle forme
compatibile con la profonda familiarità che egli ebbe in quel
momento con le invenzioni del Buonarroti, tanto da esser segnalato
proprio da lui al d’Avalos per l’esecuzione pittorica del Noli me
tangere, e in seguito, “veggendosi adunque quanta stima facesse
Michelagnolo del Puntormo, e con quanta diligenza esso Puntormo
conducesse a perfezione e ponesse ottimamente in pittura i disegni e
cartoni di Michelagnolo”, venire appositamente richiesto da
Bartolomeo Bettini per la trasposizione della Venere e Amore
(anch’essa da cartone buonarrotiano) oggi all’Accademia di Firenze 12
. Se questa proposta cronologica fosse effettivamente quella giusta,
allora risulterebbero meglio evidenti e significative le analogie che
legano la Madonna del libro alla suddetta Carità (o Madonna col Bambino
e San Giovannino) degli Uffizi, e con il San Girolamo di Hannover (fig.
2), entrambe opere lasciate incompiute da Pontormo, probabilmente
proprio al tempo dell’assedio, tra l’ottobre 1529 e l’agosto dell’anno
Fig. 2 – Pontormo, San Girolamo
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penitente, Hannover, Landesmuseum. successivo . Ma è soprattutto con il San Girolamo che la Madonna del
libro mostra grandi affinità, per l’attorcigliarsi elaborato dei panneggi
identicamente rossi, e per il legame indubbio tra le pose plastiche
3
dell’eremita e del Bambino Gesù; e queste similitudini diventano ancora più palesi qualora delle molte
versioni della tavola mariana si consideri quella oggi in collezione privata fiorentina (fig. 3) che più
autorevolmente e plausibilmente è stata segnalata come l’originale pontormesco, poiché questo dipinto
mostra zone di pittura appena abbozzate che richiamano visivamente con grande immediatezza il grado di
finitura in cui ci è giunto il quadro di Hannover. E, come vedremo più avanti, il modo in cui è trattato il
colore in tali sezioni delle due tavole è peculiare del Carrucci.
Con la Madonna del libro il Pontormo propone una suggestiva interpretazione del tema della Madonna
dell’Umiltà, messo a punto probabilmente da Simone Martini ad Avignone verso il 1340, o forse ancor
prima a Napoli, ed assai diffuso in Toscana, particolarmente a Pistoia, dove a questa particolare iconografia
mariana fu dedicato nel Cinquecento un grande santuario 14. La Vergine è raffigurata infatti assisa sulla
nuda terra, in una posa, e con una gestualità, che appaiono prive di ogni superiore regalità, e sottolineano
invece l’spetto semplice e quotidiano dell’insieme compositivo. La gioiosa dimensione materna è però
come in molte altre Madonne, di ogni epoca e scuola, segnata da funesti accenni alla passione e alla morte
di Cristo, qui concentrati soprattutto nella scenetta posta in secondo piano, ove spiccano le figure di San
Giuseppe e di un bimbo che quasi tutti gli studiosi identificano come San Giovannino. San Giuseppe
appare impegnato nella sua attività di falegname, presso un banchetto ligneo e con in mano uno dei suoi
strumenti del mestiere, e prende (o mette) qualcosa dalla cesta che San Giovannino gli porge. Gli oggetti
contenuti nella cesta cambiano nelle varie versioni del quadro, ma ciò sembra esser stato determinato dalla
volontà dei copisti o dei committenti, poiché in quello
che può essere ritenuto il prototipo pontormesco (fig.
3) all’interno del contenitore non si scorge alcunché.
In alcune redazioni nella cesta sono stati visti dei
chiodi, chiaramente collegati sul piano simbolico con
la passione di Cristo 15, in altre si osservano invece
delle ciliegie e dell’uva, che alludono al sangue versato
da Cristo durante la passione, e al sacrificio della
messa 16. In altre ancora si scorgono dei fiori, resi in
modo piuttosto generico, e quindi non collegabili ad
un preciso rapporto tra botanica e simbologia sacra,
ma che forse debbono essere interpretati in accordo
alla presenza di San Giovanni Battista, patrono di
Firenze (l’antica Florentia romana), e quindi come
simboli della città nella quale il quadro fu eseguito, e
fuori delle cui mura la composizione è idealmente
ambientata. Tra gli edifici sullo sfondo sono stati
infatti riconosciuti la guglia del distrutto campanile
Fig. 3 – Firenze, collezione privata.
della chiesa di San Pier Maggiore, e altri edifici ad esso
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circostanti . Infine, la donna posta oltre l’arco
d’accesso alle vie cittadine, e che regge un libro sul
quale in alcune versioni sono segnati dei precisi riferimenti cronologici (1561 e 1571), è stata riconosciuta
principalmente come Santa Elisabetta, e in un’occasione come Sant’Anna 18.
Passo adesso a discutere le varie versioni e derivazioni, iniziando con quella di collezione privata
fiorentina (fig. 3) che alcuni autorevoli pareri della critica e i riscontri delle indagini stilistiche e
riflettografiche sembrano indicare come l’originale del Pontormo, e procedendo poi con le altre repliche
che presentano l’intera composizione, elencate alfabeticamente secondo il luogo di attuale o passata
ubicazione; quindi le redazioni parziali o giunteci frammentarie, e infine le derivazioni con varianti nella
composizione.
4
I – Firenze, collezione privata. Tavola, cm. 125 x 105 (fig. 3). Secondo alcuni l’opera proverrebbe dalla
raccolta dei marchesi Feroni, o Ferroni, donata al Comune di Firenze nel 1862, e dal 1894 alla Seconda
guerra mondiale esposta nel museo cittadino del Cenacolo di Fuligno, entro la quale avrebbe avuto il
numero d’inventario 56 19, ma in realtà la versione della Madonna del libro che risponde a tali coordinate, e
fece parte di tale collezione, con quel numero d’inventario, è quella oggi depositata dalle Soprintendenze
fiorentine presso la Casa del Pontormo a Pontorme di Empoli (Firenze)(n. X, e fig. 14). Il quadro in esame
è forse identificabile piuttosto con quello già in collezione Bardi Serzelli a Firenze (n. XI), del quale sembra
non sussistere alcune immagine fotografica, e che tutti gli studiosi recentemente interessati al problema di
questo prototipo pontormesco citano di sfuggita 20. L’unica, tra coloro che hanno approfondito la
questione, ad aver visto direttamente la redazione Bardi Serzelli pare esser stata nel 1933 Mary Pittaluga,
che ne riportò le misure (cm. 120 x 102 circa), e notò che “il colore del manto si è ritirato, così nell’oscurità
dell’insieme spicca ancor più il rosso fiammante della veste di Maria, che s’intensifica nelle parti in ombra
senza perdere la luminosa qualità” 21. In effetti nel dipinto che ora si considera, e che corrisponde con poco
scarto alle misure fornite dalla studiosa, il dettaglio che a livello cromatico colpisce di più è proprio il tono
basso del verde del manto, del velo e delle maniche, quasi confuso con la campitura scura degli edifici sul
fondo, mentre il rosso della tunica squilla fosforescente ed ipnotico. A questo proposito vedremo
comunque come l’aspetto delle suddette zone di verde non sia dovuto ad un’alterazione cromatica, ma
bensì ad una incompiutezza della loro esecuzione pittorica.
In ogni caso, quale che fosse la sua provenienza, l’opera in esame si trovava nel 1951 a Firenze nella
raccolta di Vittorio Frascione, quando fu oggetto di un’expertise di Roberto Longhi, che la ritenne
l’originale del Pontormo, e con questo importante placet fu esposta l’anno successivo alla mostra
Fontainebleau e la Maniera italiana di Napoli, dove l’opinione longhiana fu ripresa e amplificata dai curatori del
catalogo 22. Nel 1956, comparsa alla Mostra del Pontormo e del primo Manierismo fiorentino in Palazzo Strozzi a
Firenze, accanto alla versione della Alte Pinakothek di Monaco di Baviera (n. XVI, e fig. 19), fu brevemente
discussa da Luciano Berti, che mentre considerò la replica monacense “dovuta a una mano e a una
sensibilità diverse da Jacopo (forse di uno straniero)”, per quella di Frascione disse che “dal Longhi e da
altri studiosi è stata ritenuta l’originale del Pontormo” 23. Recensendo la mostra per il “Burlington
Magazine”, Donato Sanminiatelli al proposito aggiunse: “After 1530 dating of Pontormo’s works becomes
more problematical. While agreeing with the compiler of the catalogue for the dating around 1530 – 1535
of the Madonna against a background of houses, of which no less than thirteenth versions are known, I see
no difficulty in accepting out of the four exhibited Pontormo’s autorship for that belonging to the
Frascione collection, recognized by Professor Longhi and previously exhibited at Naples in 1952” 24.
Passata nel 1959 alla Galleria Acquavella di New York, la tavola fu presentata nel 1970 a Binghamton,
nell’ambito della mostra The Age of Vasari, ancora come originale del Pontormo, con riferimento
all’opinione del Longhi 25, che fu poi duramente attaccata e negata nel 1983 da Janet Cox-Rearick e Sidney
J. Freedberg, in un saggio nel quale i due proposero quale frammento del prototipo pontormesco un
dipinto con la sola testa della Vergine oggi al Fogg Art Museum di Cambridge (Mass.)(n. XXIV, e fig. 26), e
in precedenza passato molte volte sul mercato dell’arte 26. La posizione violentemente critica di questi
studiosi, peraltro non motivata da questioni di stile, ma giustificata piuttosto da una loro profonda
vicinanza a coloro che all’epoca possedevano il quadro 27 – e improntata a una strana (e sinceramente
incomprensibile…) saccente superiorità che talvolta alcuni stranieri hanno mostrato verso qualcuno dei
pilastri della critica artistica nostrana –, è stata comunque rivista dalla Cox-Rearick qualche anno dopo 28.
Frattanto la nostra Madonna del libro lasciava la Galleria Acquavella, e passando nuovamente sul mercato 29
faceva rientro in Italia, presso gli attuali possessori.
Recentemente l’opera è stata sottoposta ad una serie di indagini riflettografiche, le quali hanno rivelato
sotto la stesura pittorica, che come vedremo è tipicamente pontormesca, un disegno eseguito anch’esso
secondo i parametri costanti del Carrucci, e che può essere confrontato con quelli sottostanti ad altri suoi
dipinti, ad esempio la Carità/Madonna col Bambino e San Giovannino degli Uffizi. La tecnica esecutiva del
Pontormo è stata oggetto di alcuni specifici studi, dai quali è emerso che egli eseguiva sul supporto
5
preparato un disegno a carboncino dai contorni molto netti e dalle ombreggiature rese con un tratteggio a
linee parallele, nitide e definite. Questo apparato di segni veniva poi ripreso e fissato a pennello, come si
vede sia nel quadro degli Uffizi (fig. 4) che appunto in quello in esame (fig. 5) 30. Venendo poi alla stesura
Fig. 4 – Pontormo, Carità/Madonna, Firenze
Uffizi, particolare della riflettografia.
Fig. 5 – particolare della riflettografia del dipinto n. 1 (fig. 3).
pittorica, essa appare esuberante e sicura nel consueto mood dell’artista, con ampie zone (specialmente
negli scuri) dominate da un caratteristico “brushwork” concitato, fatto di colpi liberi di pennello che
campiscono spesso sommariamente il disegno, in attesa di successivi strati di colore che in molti quadri egli
non ha poi mai effettivamente steso. E la nostra Madonna del libro si presenta per l’appunto in molte parti
incompiuta, ad esempio nel cielo, negli edifici dietro la Vergine, e nelle parti scure dei suoi abiti, in
particolare in alcune zone del mantello, e nel velo, che non presenta intorno alla testa le parti d’ombra netta
e profonda, necessarie a renderlo tridimensionale, visibili invece in molte delle copie.
In questo senso debbono essere riconsiderate le assonanze compositive e tecniche del dipinto in esame
con le già citate opere lasciate dal Carrucci non finite al tempo dell’assedio di Firenze del 1530, ovvero il
San Girolamo di Hannover e la Carità/Madonna degli Uffizi, e basandoci sulle considerazioni cronologiche e
stilistiche esposte in apertura, potremo seguire Longhi e gli altri celebri critici nel considerare questa
versione della Madonna del libro un lavoro autografo del Pontormo.
II – Berlino (già?), collezione Gottschevski, tavola, cm. 124 x 104
(fig. 6). Versione interessante, ma piuttosto dura e schematica ,
soprattutto nella resa degli incarnati. La presenza della data 1571,
segnata sul libro retto dalla donna in alto a destra 31, esclude di per sé
ogni rapporto diretto dell’opera col Pontormo. La Pittaluga, l’unica a
descrivere diffusamente l’opera, l’attribuì a Girolamo Macchietti 32, ma
forse può risultare più convincente un accostamento a Domenico Buti,
che in diverse sue opere mostra spiccati elementi pontormeschi,
compatibili col dipinto in questione 33.
Fig. 6 – Berlino (già?), collezione
III – Boston, Museum of Fine Arts, tavola, cm. 126 x 103 (fig. 7).
Gottschevski.
Donato al museo dal collezionista Edward Perry Warren, il quadro è
datato 1561 nel libro retto dalla donna in alto a destra 34, ed è stato
attribuito sia a Battista Naldini che a Bronzino, ed anche a Bernardino Lanino 35. Nel 1961 è stato esposto
a Baltimora, alla mostra Bacchiacca and his friends come copia dal Pontormo 36, ed in effetti si tratta di una
versione di buona qualità, ma davvero “scolastica” e piuttosto fredda.
IV – Cornbury Park (già), collezione Watney, tavola, cm. 119,4 x 100,3 (fig. 8). A differenza del
possibile prototipo (cfr. n. 1 e fig. 3), presenta delle scritte fittizie sul libro retto dalla Vergine; dettaglio,
questo, comune anche ad altre copie. Passata sul mercato presso Christie’s London il 23 giugno 1967 (n.
20), questa redazione appartenne anche alle collezioni Galli di Firenze e Cariplo di Milano 37. Roberto
Longhi, in un appunto del 1967 sul verso di una foto dell’opera consultabile presso la fondazione fiorentina
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a lui intitolata (inv. n. 0310023), ne rilevò l’alta qualità di
esecuzione, superiore a suo dire ad altre versioni, ma il resto della
critica l’ha sempre classificata come copia, e tale appare
nell’eccessiva schematicità della sua conduzione pittorica 38.
V – Cracovia, Castello reale Wawel, tavola, cm. 74,5 x 60 (fig.
9). Unanimemente considerata copia, con l’unica eccezione di
Bernard Berenson, che la menzionò come originale (anche se con
un punto interrogativo) 39, si presenta semplificata nella parte alta,
dove sono omesse, o coperti da ridipinture, le cuspidi di torri e
campanili.
VI – Douai, Musée de la Chartreuse, tavola, cm. 116 x 98 (fig.
10). Giunta al museo nel 1877, per legato, dalla collezione
Foucques de Wagnonville 40, è una versione di qualità assai elevata,
Fig. 7 – Boston, Museum of Fine Arts.
molto pontormesca nel volto della Vergine, che in altre redazioni,
come vedremo, tradisce invece i tipici caratteri fisionomici
dell’artista. Qui il viso di Maria ricorda quelli delle assistenti della Visitazione di Carmignano, ed ha quindi
l’aspetto un po’ di maschera immota. Assai suggestivo è il complesso gioco di pieghe della veste rossa.
VII – Fetcham (già?), collezione Anderson (Bell House).
Questa copia è citata da vari studiosi 41, ma senza indicazioni
relative al supporto e alle misure, e senza fornirne una
riproduzione fotografica; cosicché non si può al momento
stabilire se possa trattarsi di una delle versioni passate
successivamente sul mercato.
VIII – Firenze, Soprintendenze (inv. Imperiale Rosso, n.
425), tavola, cm. 120 x 102 (fig. 11). Proviene dalla Villa medicea
del Poggio Imperiale, e, pur essendo considerata una copia, fu
discussa dalla Pittaluga come una delle migliori dell’intera
sequenza fino ad allora conosciuta 42. La studiosa cercò, senza
riuscirci, di reperire testimonianze documentarie che ne
attestassero il passaggio dalle collezioni di Ottaviano de’ Medici –
possessore della Nostra Donna donata da Pontormo al muratore
Rossino – a quella di Cosimo I de’ Medici, dalla quale l’opera
Fig. 8, Cornbury Park (già), collezione
sarebbe potuta ben giungere alla villa, che fu costruita proprio per
Watney.
una delle figlie di quest’ultimo. Alcune testimonianze d’archivio
sul dipinto furono trovate invece da John Shearman, che
riconobbe il quadro nella descrizione di una “tavola del Pontormo (….) Madonna, uno Christo in grembo
et altre figurine”, di misure corrispondenti alla versione in esame, citata in un inventario dei beni di Don
Antonio de’ Medici conservati a Villa la Magia nel 1588, e passati poi alla morte di questi, nel 1621, nel
Casino Mediceo di San Marco a Firenze. Entrata poi nella Guardaroba medicea, tornò presso il Casino di
San Marco tra i beni del cardinal Carlo de’ Medici, e vi fu registrata in un inventario stilato nel 1667, dopo
la sua morte 43. Come suggeriva Shearman, è quasi certamente questa versione che fu ritratta nel corso del
Seicento in una copia parziale a disegno (limitata alle figure principali) oggi conservata presso il Gabinetto
disegni e stampe degli Uffizi (inv. n. 6629 F; fig. 12), la quale porta sul retro un’indicazione scritta che
riferisce il modello pittorico al Pontormo, e ne dà l’ubicazione appunto presso il cardinal Carlo, al Casino di
San Marco 44. La pertinenza del foglio al dipinto già al Poggio Imperiale si deduce, oltreché dalle vicende
7
storiche ora esposte, dalla coincidenza che intercorre tra le due opere
nella fattura delle pieghe e nella disposizione di alcune parti del
panneggio, soprattutto sotto il seno sinistro della Vergine, e
dall’analogia nel regalare al Bambino un sorriso alquanto sforzato e
mieloso. Anche questa redazione, nonostante il suo prestigioso
pedigree mediceo, deve essere considerata una semplice copia, tra
l’altro neppure di grande qualità.
Fig. 9 – Cracovia, Castello Reale
Wawel.
IX – Firenze, Soprintendenze (inv. Castello, 452), tavola, cm.
119 x 102 (oppure, secondo altre citazioni, cm. 146 x 125)(fig. 13).
Descritta dalla Pittaluga in termini negativi, come “copia di
mestierante senza ambizioni” 45, è invece una versione di notevole
qualità, e molto vicina al possibile originale (n. 1, e fig. 3). Proviene
dai depositi di Palazzo Pitti, e dalla Villa medicea di Castello, e ne
viene ricordato anche un deposito presso la sede dell’Accademia
fiorentina del Disegno 46.
X – Firenze, Soprintendenze (inv. San Marco e Cenacoli 117; e
inv. P 1261), oggi in deposito presso la Casa del Pontormo a Pontorme di Empoli (Firenze), tavola,
cm. 123 x 102 (fig. 14). E’ definita dalla Pittaluga “esemplare ancora più povero del precedente: un pesante
chiaroscuro abbronza le carni, con risultato impersonalmente manieristico” 47, ed in effetti la caratteristica
principale di questa versione è proprio il greve color caramello delle carni, unito ad una povertà di
modellato riscontrabile soprattutto nel volto della Vergine. Ciononostante, secondo alcuni si tratta di
un’opera di qualità rilevante 48. E’ questa, e non il possibile originale discusso qui al n. 1, la redazione della
Madonna del libro proveniente dalla collezione Feroni, ed esposta un tempo presso il Cenacolo di Fuligno a
Firenze 49.
XI – Firenze (già), collezione Bardi Serzelli, tavola, cm.
120 x 102. Citata da vari studiosi 50, non è però mai stata
riprodotta, e forse può essere riconosciuta nel dipinto qui
discusso al n. 1.
XII – Firenze (già), collezione Ravà, tavola, misure
sconosciute (fig. 15). Proveniente dalla collezione Le François
di Lille 51, transitò poi anche dalle raccolte dei galleristi
Wildenstein (1951) e Salocchi 52, e nel 1962 fu presentata alla
mostra dell’antiquariato di Palazzo Grassi a Venezia. Da alcuni
questa copia, molto rigida nel modellato, è stata confusa con
quella di collezione Guicciardini Corsi Salviati a Sesto
Fiorentino (n. XXI, e fig. 24) 53. Presenta come altre versioni
delle scritte fittizie sul libro della Vergine.
XIII – Hampton Court, collezioni reali inglesi, tavola, cm.
122 x 102,5 (fig. 16). Ritenuta l’originale pontormesco da
Fig. 10 – Douai, Musée de la Chartreuse.
Shearman 54, è un esemplare di straordinaria finezza, molto
vicino al Bronzino, al quale è stato un tempo attribuito 55, e
presenta una variante cromatica nel velo della Vergine, che tende al giallo. La grande qualità dell’opera è
stata sottolineata dal restauro cui essa è stata sottoposta all’inizio degli anni ottanta del secolo scorso 56.
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XIV – Londra (già), collezione West Taylor,
tavola, cm. 116 x 95,6 (fig. 17). Posta in vendita due
volte presso Sotheby’s London (il 16/7/1980, n. 34, e
l’8/7/1981, n. 178) 57, questa copia è probabilmente lo
stesso esemplare della Madonna del libro che si trovava
un tempo in collezione privata a York, e che viene
segnalato (ma mai riprodotto) con misure analoghe
(cm. 116,8 x 97,2: cfr. qui al n. XXIII). E’ una
redazione interessante, ma di qualità assai bassa, e
troppo schematica nei trapassi chiaroscurali,
soprattutto sul volto della Vergine.
XV – Milano (già), collezione Lurati, tavola, cm.
111,9 x 102 (fig. 18). Fu attribuita direttamente a
Pontormo al momento in cui la raccolta Lurati passò
sul mercato, nell’aprile 1928 58, ed effettivamente si
tratta di una copia di notevole tenuta qualitativa,
almeno a giudicare dalla vecchia foto che ne sussiste, Fig. 11 – Firenze, Soprintendenze (inv. Imperiale
Rosso, n. 425.
anche se poi la finezza esecutiva si abbassa (forse per
rifacimenti, o cattive condizioni di conservazione) nel
volto del Bambino e nella manica sinistra della Vergine, dalle pieghe piuttosto piatte.
XVI – Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, tavola, cm. 120 x 101 (fig. 19). Ritenuta da Giovanni
Morelli l’originale del Carrucci, anche in virtù di una “firma” (IACOPO/DA/PUN/NO) in caratteri
cubitali, posta sul libro della Vergine 59, e considerata poi
un’opera tarda firmata 60, è stata in seguito giustamente
retrocessa allo status di copia, in virtù della sorda e
troppo brunita esecuzione pittorica degli incarnati 61.
Esposta alla mostra del Pontormo di Palazzo Strozzi a
Firenze nel 1956, a confronto con il possibile originale
(n. 1), fu definita dal curatore, Luciano Berti, dovuta “a
una mano e a una sensibilità diverse da Jacopo (forse di
uno straniero)” 62, e in seguito commentata solo in virtù
delle sue passate glorie critiche 63.
XVII – New York (già), casa d’aste Sotheby’s,
tavola, cm. 74,9 x 62,9 (fig. 20). Passata sul mercato,
senza indicazioni di provenienza, presso Sotheby’s New
York il 22 maggio 1997 (n. 41), risulta sconosciuta alla
critica. A giudicare dalla fotografia è replica di buona
qualità, ma con la superficie pittorica compromessa da
vaste cadute di colore.
Fig. 12 – Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli
Uffizi (n. 6629F).
XVIII – Parigi (già), casa d’aste Tajan, tavola, cm.
87,9 x 71,1 (fig. 21). Anch’essa sconosciuta alla critica, è comparsa in vendita il 23 marzo 2000 (n. 27 a), ma
a differenza della precedente appare di livello qualitativo assai scarso, pur segnalandosi per alcune
interessanti varianti, come quella relativa al paesaggio, nel quale compaiono ciuffi di verzura in alto a
sinistra, e sopra la porta d’accesso al borgo. In alto a destra si vede poi la sagoma di una chiesa, con relativo
9
campanile, assente nelle altre copie. Infine la Vergine ha i
capelli trattenuti da un nastro rosso, ed anche questo è un
dettaglio inedito.
Fig. 13 – Firenze, Soprintendenze (inv.
Castello, n. 452).
XIX – Richmond (già), collezione Cook, tavola, cm.
128,3 x 101,6 (fig. 22). E’ una delle copie di qualità più
dimessa, o peggio conservate tra quelle conosciute, com’è
emerso dal restauro cui è stata sottoposta in occasione della
sua ultima apparizione sul mercato (Sotheby’s London,
2/11/2000, n. 60). Già la Pittaluga nel 1933 notava in essa la
presenza di varianti: “l’abito è rosso chiaro, quasi rosa, il
manto tende all’azzurro; anche le costruzioni sullo sfondo
non corrispondono perfettamente” 64 ; ma tra le differenze è
soprattutto quella relativa allo sfondo a dare all’insieme un
aspetto eccessivamente semplificato. Vista l’abbastanza
buona riuscita delle figure sulla destra, non è escluso che
l’aspetto attualmente impoverito dell’insieme non sia dovuto
a rifacimenti o alle passate cattive condizioni di
conservazione, che alcune vecchie fotografie del quadro
indubbiamente attestano. Dalla collezione Cook il quadro
passò sul mercato alla vendita Emmott, presso Christie’s
London, il 2 aprile 1948, dopodichè se ne persero le tracce
fino alla recente ricomparsa poc’anzi descritta 65.
XX – San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage, tavola (trasferita su tela), misure fornite cm. 133,5 x 132
(in realtà all’evidenza non corrette)(fig. 23). Catalogata come originale del Pontormo quando si trovava
nelle collezioni del conte Mordvinov, è stata poi giustamente relegata al ruolo di copia, e non tra le migliori,
vista la qualità dell’esecuzione, che non appare certo degna
dell’artista 66. Anche la versione dell’Ermitage presenta
varianti nel paesaggio, con l’introduzione di cespugli in alto a
sinistra e sopra la porta d’accesso alla città fortificata. Sul
libro della Vergine sono presenti scritte non intelligibili. Gli
elementi stilistici dell’esecuzione pittorica, ed in particolare il
volto della Vergine, distante dalla tipica cifra fisionomica del
Pontormo, possono far orientare questa copia verso
Alessandro Fei del Barbiere, uno dei pittori operanti nello
Studiolo di Francesco de’ Medici in Palazzo Vecchio a
Frenze, che invece regalò tratti somatici assai simili a molte
sue figure femminili.
Fig. 14 – Firenze, Soprintendenze (in deposito
nella Casa del Pontormo a Pontorme di
Empoli).
XXI – Sesto Fiorentino (Firenze)(già?), collezione
Guicciardini Corsi Salviati, tavola, cm. 120 x 102 (fig. 24).
Già nota alla Pittaluga, per la quale si trattava di un lavoro di
Giovan Battista Naldini 67, la tavola è invece considerata dal
Berti nel 1993 l’originale del Pontormo, ovvero il quadro con
la “Nostra Donna” trovato in casa dell’artista alla sua morte
nel 1557, e passato poi presso Piero Salviati, ai discendenti
10
del quale sarebbe infine giunto 68. In realtà, nonostante
l’alta qualità pittorica dell’assieme, da tutti sottolineato,
l’opera sembra un po’ troppo dolce e raffinata
nell’esecuzione (soprattutto nel volto della Vergine,
eccessivamente patetico, e quasi stucchevole) per
essere un autografo del Carrucci.
XXII – Varsavia, Galleria Porczyński , tavola, cm.
101,5 x 88 (fig. 25). Comparsa in vendita presso la
casa d’aste Bonham’s l’8 luglio 1982 (n. 132) come
opera di Scuola italiana del XVI secolo, è stata
acquistata per l’attuale collocazione, e catalogata come
copia dal Pontormo 69. Interessante versione di fine
Cinquecento, non distante dai modi di Giovanni
Maria Butteri, presenta le varianti cromatiche del velo
e del manto della Vergine, non verdi o blu come in
altre redazioni, ma di un crema chiaro e tendenti al
giallo.
Fig. 15 – Firenze (già), collezione Ravà.
XXIII – York, collezione privata, tavola, cm. 116,8
x 97,2. Citata da alcuni studiosi 70, non è però mai stata
riprodotta, ma può forse essere lo stesso oggetto della versione già West Taylor a Londra, passata sul
mercato nel 1981 (qui al n. XIV, e fig. 17), stante le analogie di supporto e di misure.
Versioni parziali e frammentarie, e derivazioni :
XXIV – Cambridge (Mass.), Fogg Art Museum,
tavola, cm. 45,7 x 30,5 (fig. 26). Una vera habitué del
mercato dell’arte e delle raccolte private, dalla Spagna
all’Inghilterra, da Manchester a Milwaukee, dalla
collezione Schapiro a quella Harris, e quindi presso
Harris e Isabella Bader, che nel 1989 la donarono al
Fogg in onore di S.J. Freedberg 71. Difesa
strenuamente come frammento del prototipo
pontormesco proprio da Freedberg e dalla CoxRearick nel loro saggio a quattro mani del 1983 72, il
quadro in realtà non sembra proprio essere un ritaglio,
ma bensì una derivazione parziale. Inoltre, a giudicare
dalle fotografie, pur di ottima qualità non sembra
neppure autografo, con quella stesura talmente
morbida da sembrare in alcune zone quasi a pastello,
estranea al fare pittorico del Carrucci. Non a caso, in
tempi più recenti la Cox-Rearick ha rivisto la proposta
attributiva, declassando il quadretto nel limbo delle
copie 73.
Fig. 16 – Hampton Court, collezioni reali inglesi.
XXV – Firenze, Soprintendenze (inv. 9255, e inv. P 1253), tavola, cm. 85 x 67 (fig. 27). Giunta nel 1940
agli Uffizi con un legato della famiglia Vaj Geppy, fu esposta dal 1955 al 1977 al Museo fiorentino di
Palazzo Davanzati, e attualmente si trova nei depositi delle locali Soprintendenze 74. E’ una copia parziale,
11
limitata alle sole figure principali, isolate su fondo nero, e
recentemente è stata attribuita a Maso da San Friano 75, al quale
può certamente spettare. Questo artista infatti, dopo aver citato
direttamente l’invenzione pontormesca della Madonna del libro, si
rese responsabile anche di una sua interessante derivazione,
affidata ad alcuni quadri conservati all’Ermitage di San
Pietroburgo e all’Ashmolean Museum di Oxford 76, a loro volta
divenuti prototipi celebri e più volte replicati, anche da altri
artisti.
XXVI – New York (già), collezione Kahn, misure non
conosciute. Segnalata nel 1961 in questa collezione americana,
ma mai pubblicata, sarebbe una replica parziale, con il gruppo
delle due figure principali ambientato su uno “sfondo roccioso
ispirato alle stampe di Dürer” 77.
Fig. 17 – Londra (già), collezione West
Taylor.
XXVII – Roma (già), collezione dell’Orca, tavola, cm. 134 x
97 (fig. 28). Versione decisamente assai scadente, soprattutto
nella figura della Vergine, è anch’essa limitata al solo gruppo
principale, posto su fondo scuro. Nel 1972 si trovava presso la collezione suddetta, ed è poi passata in asta
presso Christie’s Roma il 19 maggio 1978 (n. 210) 78.
XXVIII – Yale, University Art Museum, tavola, cm. 80,7 x 64,1 (fig. 29). Se volessimo ironicamente dare
a ciascuna delle versioni note della Madonna del libro un nome
convenzionale, potremmo definire questa di Yale la “Gran
battage pubblicitario”, per il modo in cui è stata ed è
capillarmente, insistentemente proposta, soprattutto in rete,
come ciò che resta dell’originale pontormesco. Questo
frammento ovale, con parte delle figure della Vergine e del
bambino, e in alto una porzione delle architetture di sfondo, è
comparso in asta presso Sotheby’s New York il 23 gennaio
2003 (n. 37), ed è poi passato nell’ubicazione attuale. Il
catalogo di vendita lo dice proveniente forse da una raccolta
francese, dove nel XVII secolo sarebbe stato ridotto in questa
forma, ma, meno fantasiosamente, per l’evidente assorbimento
del delle parti scure dell’abito della Vergine viene in mente di
nuovo anche la descrizione fatta da Mary Pittaluga della
versione già in collezione Bardi Serzelli a Firenze (cfr. qui al n.
XI). Se il dipinto della raccolta fiorentina non è identificabile
con quello qui al n. I, non è da escludere che quello oggi a Yale
possa costituirne un lacerto. In ogni caso si tratta di una
Fig. 18 – Milano (già), collezione Lurati.
versione di grande qualità, anche se in condizioni di
conservazione non ottimali, e che autorevoli pareri critici
avallano come autografa 79, basandosi tra l’altro su indagini riflettografiche che però rivelano un disegno
forse troppo accurato e netto, privo dei consueti tratteggi e dei pur piccoli pentimenti costanti nell’iter
esecutivo del Carrucci. Anche l’esecuzione pittorica sembra troppo “manierata”, lavorata e rifinita, per
essere sua, poiché priva di quella sua tipica immediatezza di stesura. Anche qui, come nella versione
Guicciardini Corsi Salviati (n. XXI) riscontriamo elementi di un patetismo espressivo talmente accentuato
da diventare quasi stucchevole, stavolta affidati al volto del Bambino.
12
XXIX – Ubicazione ignota, misure sconosciute (fig. 30).
Una foto di questa copia parziale, divertente nella fisionomia
maccheronica delle figure, è presente nella Fototeca Zeri a
Bologna (n. inv. 85980). La Madonna e il Bambino vi
compaiono su uno sfondo che pare dorato, oppure
marezzato in finto marmo. Per quel che ne sappiamo
potrebbe addirittura trattarsi di una pittura su pietra.
Fig. 19 – Monaco, Alte Pinakothek.
XXX – Giovan Battista Naldini, trittico con Madonna
col Bambino e Santi, Maiano (Firenze), chiesa di San
Martino (fig. 31). John Shearman 80 segnala come
derivazione dalla Madonna del libro del Pontormo anche la
parte centrale di questo trittico del suo allievo Battista
Naldini. E’ un’importante attestazione della fortuna che ebbe
il prototipo, che come abbiamo fu molto copiato fino alla
fine del Cinquecento, e fu oggetto di versioni personalizzate
scaturite dalla fantasia di altri artisti, com’è appunto nel caso
dell’opera in esame, o dei dipinti di Maso da San Friano citati
al n. XXV.
Note:
1. P. Costamagna, Pontormo, Milano 1994, p. 225.
2. Cfr. F. Bologna – R. Causa, Fontainebleau e la Maniera italiana, catalogo della mostra (Napoli 1952),
Firenze 1952, p. 9, e C. Gamba, Il Pontormo, Firenze
1921, p. 14. Una prima traccia di questo equivoco si
trova già comunque in M. Pittaluga, Per un quadro
smarrito del Pontormo, in “L’arte”, XXXVI, 1933, pp. 356
– 357.
3. Cfr. G. Vasari, Le vite, in Opere, a cura di G. Milanesi,
Firenze 1878 – 1885, VI, p. 284; J. Cox-Rearick, The
Drawings of Pontormo, Cambridge (Mass.) 1964, p. 317, e
L. Berti, L’opera completa del Pontormo, Milano 1973, p.
109. La Cox-Rearick ha comunque ripreso velatamente
l’ipotesi anche più avanti, in J. Cox-Rearick – S.J.
Freedberg, A Pontormo (partly) recovered, in “The
Burlington Magazine”, CXXV, 1983, p. 522.
4. Vasari – Milanesi, VI, pp. 280 e 288. A favore della
prima ipotesi si sono schierati ad esempio Gamba
(1921, p. 13), Pittaluga (1933, pp. 357 – 358), CoxRearick e Freedberg (1983, p. 522) e Costamagna
(1994, p. 225), mentre la seconda è stata propugnata
soprattutto da Berti (ad esempio in Mostra del Pontormo e
del primo Manierismo fiorentino, Firenze 1956, p. 42, e
Berti
1973, p. 109). Bologna e Causa (1952, p. 9)
Fig. 20 – New York (già), Sotheby’s, 22/5/1997, n. 41.
confusero invece i due quadri in una sola opera.
5. Cfr. Costamagna 1994, p. 226. Sulle frequentazioni
13
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
artistiche di Ottaviano de’ Medici,
comprese quelle col Pontormo, si veda
A.M. Bracciante, Ottaviano de’ Medici e gli
artisti, Firenze 1984.
Al 1520 – 1525 pensò Roberto Longhi
in un’expertise riportato integralmente in
Cox-Rearick – Freedberg 1983, pp. 521
– 522, nota 7; il 1530 fu proposto in L.
Becherucci, Manieristi toscani, Bergamo
1944, p. 20 e in Berti 1956, p. 42; il 1534
– 1536 in J. Shearman, The Early Italian
Paintings in the Collection of Her Majesty the
Queen, Cambridge 1983, p. 202; il 1540 in
Pittaluga 1933, p. 358; il 1540 – 1545 in
F.M. Clapp, Jacopo Carucci da Pontormo.
His life and works, New Haven – London
– Oxford 1916, p. 217, in K.W. Forster,
Pontormo. Monographie mit kritischen katalog,
München 1966, p. 153, e in Berti 1973,
Fig. 21 – Parigi (già), Tajan, 23/3/2000, n. 27 A.
p. 109; il 1545 – 1550 in Cox-Rearick
1964, p. 317.
Il primo possibile riferimento cronologico è proposto in Berti 1956, p. 42, il secondo in Berti 1973,
p. 109.
Cfr. Vasari – Milanesi, VI, p. 280; Clapp 1916, p. 280, e Cox-Rearick – Freedberg 1983, p. 522.
Becherucci 1944, p. 20.
C. Gamba, Contributo alla conoscenza del
Pontormo, Firenze 1956, p. 13.
Cfr. Berti 1973, p. 105, con altra
bibliografia.
Per queste vicende cfr. Vasari –
Milanesi, VI, pp. 278 – 280.
Sul quadro degli Uffizi e la sua
cronologia cfr. in particolare A.
Cecchi, Una Madonna del Pontormo
riscoperta nel Novecento, in A. Natali,
Rosso e Pontormo. Fierezza e solitudine,
Soresina 1995, pp. 91 – 109; per quello
di Hannover, invece, Costamagna
1994, pp. 201 – 203.
Sul tema della Madonna dell’Umiltà si
veda ad esempio E. Simi Varanelli,
Spiritualità mendicante e iconografia
mariana. Il contributo dell’ordine agostiniano
alla genesi e alle metamorfosi iconologiche
Fig. 22 – Richmond (già), collezione Cook.
della Madonna dell’Umiltà, in Arte e
spiritualità nell’ordine agostiniano (atti della
2° sessione del convegno “Arte e
14
spiritualità negli Ordini Mendicanti”), Roma 1992, pp.
77 – 91. La Madonna del libro è indicata come afferente a
questa opzione cronologica già in Shearman 1983, p.
204, e Cox-Rearick – Freedberg 1983, p. 526.
15. Cox-Rearick – Freedberg 1983, p. 526.
16. Per la presenza dell’uva cfr. Shearman 1983, p. 204.
17. Cox-Rearick – Freedberg 1983, p. 527, nota 34, su
suggerimento di C. Elam.
18. Cfr. al proposito Cox-Rearick – Freedberg 1983, p.
526, con bibliografia precedente.
19. Cfr. Berti 1956, p. 43, e Forster 1966, p. 153 (poiché
questo studioso cita tutte le versioni da lui conosciute a
tale pagina, d’ora in poi se ne ometterà la ripetizione).
In M. Milkovich, Paintings, in The Age of Vasari,
catalogo della mostra (Indiana – Binghamton 1970),
Indiana 1970, pp. 31 -32, la si dice invece proveniente
da una raccolta “Ferrari, Florence”. Costamagna (1994,
Fig. 23 – San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage.
p. 229, n. 73.22) opta invece per “Ferrari o Ferroni”,
riportando comunque il numero d’inventario 56.
20. Cfr. Shearman 1983, p. 202, n. XI; Cox-Rearick – Freedberg 1983, p. 521; Costamagna 1994, p.
228, n. 73.13 (d’ora in poi, citando questi contributi, e discutendo le varie versioni menzionate dagli
studiosi, si ometterà il numero di pagina dei loro scritti
e si indicherà solo l’anno di pubblicazione e il numero
eventualmente da loro assegnato alle varie redazioni).
21. Pittaluga 1933, p. 361, n. 4 (d’ora in poi anche in
relazione a questo testo si ometterà il numero di pagina
e si indicherà solo l’anno di pubblicazione e il numero
assegnato alle varie redazioni).
22. Cfr. Bologna – Causa 1952, p. 9. Per l’expertise si veda
qui la nota 6. Esso recita: “Firenze, 28 settembre 1951.
Gentile signore, questa sua tavola (….) di “Madonna
col Bambino” e nello sfondo, sulla destra, sui gradini di
una porta, San Giuseppe con San Giovannino e altre
figure, ci rivela puntualmente l’originale di una
composizione nota per numerose derivazioni, e talvolta
ritenuta anche del Bronzino. L’originale ora riapparso
non lascia alcun dubbio sull’artista che lo eseguì;
trattasi certamente del Pontormo, in una delle sua
creazioni più personali e affascinanti. La
immaginazione del borgo toscano che sormonta il
gruppo, creando ad esso quasi un coronamento gotico
Fig. 24 – Sesto Fiorentino (Firenze)(già?),
collezione Guicciardini Corsi Salviati.
tricuspidato; l’episodio famigliare nello sfondo a destra;
lo sviluppo gigantesco delle braccia della Vergine, di un
‘michelangiolismo’ tutto personale nella sua bizzarria, ci fanno credere che quest’opera appartenga
all’epoca delle invenzioni più eccentriche del Pontormo; gli affreschi della Certosa di Val d’Ema. Il
dipinto è dunque databile con grande verosimiglianza nel quinquennio 1520 – 1525. Mi creda,
Roberto Longhi”.
23. Berti 1956, p. 43.
15
24. D. Sanminiatelli, The Pontormo Exhibition in
Florence, in “The Burlington Magazine”,
XCVIII, 1956, p. 242. Dalle parole dello
studioso sembrerebbe di capire che oltre
alle versioni di Monaco e di Frascione
fossero esposte altre due redazioni della
Madonna del libro, non citate però nel
catalogo della mostra.
25. Milkovich 1970, pp. 31 – 32.
26. Cox-Rearick – Freedberg 1983, p. 522,
nota 7.
27. Non a caso il dipinto fu poi donato nel
1989 dai proprietari al Fogg Art Museum
proprio in onore di Freedberg: cfr.
Costamagna 1994, n. 73.3.
28. Cfr. ibidem.
29. Sotheby’s New York, 10/1/1991, n. 13.
30. La tecnica esecutiva del Pontormo, per
quanto riguarda sia il disegno che il colore,
Fig. 25 – Varsavia, Galleria Porczyński.
è stata analizzata in: Cecchi, in Natali 1995,
pp. 104 – 105; R. Lari, Nota sul restauro della
Madonna del Pontormo, in Natali 1995, pp. 111 – 117; E. Buzzegoli, in Andrea del Sarto e Pontormo.
Restauri alla Galleria Palatina, catalogo della mostra (Firenze 2000 – 2001) a cura di S. Padovani,
Livorno 2000, p. 6; C. Plazzotta, Pontormo, in Art in the making. Underdrawing in Renaissance Paintings,
catalogo della mostra (Londra 2002 – 2003) a cura di D. Bomford, Londra 2002, pp. 149 – 155;
M.S. Tucker, I. Passeri, K.
Sutherland, B.A. Price, Technique and
Pontormo’s Portrait of Alessandro de’
Medici, in C. Brandon Strehlke,
Pontormo, Bronzino and the Medici,
catalogo della mostra (Philadelphia
2004 – 2005), Philadelphia 2004, pp.
34 – 54. Comparando i due dettagli
qui riprodotti si colgono comunque
anche altre affinità oltre a quelle
tecniche. Ad esempio l’identica
morfologia delle mani dei bimbi, e la
presenza di piccoli pentimenti,
comuni nel Pontormo, che spesso
abbozzava
le
composizioni
direttamente sul supporto preparato
per la pittura. Nel nostro quadro un
pentimento è evidente nella forma e
nell’ombreggiatura del naso del
Bambino.
Fig. 26 – Cambridge (Mass.), Fogg Art Museum.
31. Cfr. Shearman 1983, n. III.
32. Pittaluga 1933, n. 8. Altra
bibliografia: F. Goldschmidt, Pontormo, Rosso und Bronzino, Leipzig 1911, p. 47; Clapp 1916, p. 194;
Forster 1966; Cox-Rearick – Freedberg 1983; Costamagna 1994, n. 73.1.
16
33. Su questo artista si veda A. Nesi, Domenico Buti, un pittore
poco noto dello Studiolo di Francesco I de’ Medici, in “Medicea”,
3, 2009, pp. 38 – 45.
34. Pittaluga 1933, n. 12; A.R. Murphy, European Paintings in
the Museum of Fine Arts, Boston, Boston 1985, p. 231;
Costamagna 1994, n. 73.2.
35. Per il primo riferimento cfr. Clapp 1916, p. 195; per gli
altri Pittaluga 1933, loc. cit.
36. Cfr. la scheda di H.S. Merritt nel relativo catalogo,
Baltimore 1961, p. 60.
37. Cfr. Shearman 1983, n. IX; Costamagna 1994, n. 73.17,
e, per il passaggio presso Cariplo, un appunto di
Federico Zeri dietro l’immagine del quadro conservata
nella sua fototeca (oggi presso l’Università degli Studi di
Bologna).
38. Cfr. Clapp 1916, p. 223; Pittaluga 1933, n. 10; Forster
1966; Cox-Rearick – Freedberg 1983.
Fig. 27 – Firenze, Soprintendenze (inv. 9255 e
39. Cfr. B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance. Florentine
P 1253).
School, London 1963, p. 181, e M. Skubiszewska,
Malarstwo włoskie w zbiorach Wawelskich, Krakow 1973, p.
66. Altra bibliografia: Shearman 1983, n. XVIII; Cox-Rearick – Freedberg 1983; Costamagna 1994,
n. 73.4.
40. Per le informazioni sul dipinto, e per la sua immagine a colori, ringrazio Anne Labourdette,
curatrice del museo. Ringrazio anche Françoise Baligand, per altre informazioni supplementari.
Bibliografia: Shearman 1983, n. XIX; CoxRearick – Freedberg 1983; Costamagna 1994, n.
73.5.
41. Forster 1966; Shearman 1983, n. XX; CoxRearick – Freedberg 1983; Costamagna 1994, n.
73.6.
42. Pittaluga 1933, pp. 356 – 357.
43. Shearman 1983, n. II. Altra bibliografia: Forster
1966; Costamagna 1994, n. 73.8.
44. Shearman 1983, n. I. Sul disegno cfr. anche
Costamagna 1994, n. 73.11.
45. Pittaluga 1933, n. 2.
46. Costamagna 1994, n. 73.9. Altra bibliografia:
Shearman 1983, n. X.
47. Pittaluga 1933, n. 3.
48. Costamagna 1994, n. 73.7; A. Natali, La casa del
Pontormo. Primo viatico, Firenze 2006, p. 37.
49. Cfr. Clapp 1916, p. 201; Forster 1966; M.
Chiarini, in Gli Uffizi. Catalogo generale, Firenze
Fig. 28 – Roma (già), collezione Dell’Orca.
1980, p. 432; Shearman 1983, n. VI; Cox-Rearick
– Freedberg 1983.
50. Pittaluga 1933, n. 4; Forster 1966; Shearman 1983, n. XI; Cox-Rearick – Freedberg 1983;
Costamagna 1994, n. 73.13.
51. Costamagna 1994, n. 73.14.
17
52. In Shearman 1983 le versioni Ravà (XV) e Wildenstein
(XVII) sono considerate due dipinti diversi. Del
passaggio presso Salocchi a Firenze si ha notizia da una
nota sulla foto del quadro conservata nella Fototeca Zeri.
53. Cox-Rearick – Freedberg 1983.
54. 1983, pp. 201 – 202.
55. Clapp 1916, p. 211; Pittaluga 1933, n. 11. I due negano il
diretto riferimento al Bronzino, proponendo
un’esecuzione nella bottega del suo allievo Alessandro
Allori.
56. Costamagna 1994, n. 73.15. Altra bibliografia: Forster
1966; Cox-Rearick – Freedberg 1983.
57. Costamagna 1994, n. 73.18.
58. G. Niccodemi, La raccolta Augusto Lurati (Milano, Galleria
Pesaro, aprile 1928), Milano – Roma 1928, tavola XVI, n.
106. Altra bibliografia: Pittaluga 1933, n. 6; Forster 1966;
Shearman 1983, n. XII; Cox-Rearick – Freedberg 1983;
Fig. 29 – Yale, University Art Museum.
Costamagna 1994, n. 73.19.
59. I. Lermolieff (G. Morelli), Kunstkritische Studien über
Italienische Malerei , II, Die Galerien zu München und Dresden, Leipzig 1891, p. 132.
60. Goldschmidt 1911, p. 47.
61. Clapp 1916, p. 217; Pittaluga 1933, n. 7.
62. Berti 1956, p. 42.
63. Forster 1966; Shearman 1983, n. V; Cox-Rearick –
Freedberg 1983; Costamagna 1994, n. 73.20.
64. Pittaluga 1933, n. 9, e cfr. Anche Clapp 1916, p.
212.
65. Cfr. Shearman 1983, n. XIV, Cox-Rearick –
Freedberg 1983; Costamagna 1994, n. 73.16. In
questi ultimi due contributi si legge che la versione
Cook sarebbe una copia parziale del prototipo
pontormesco, ma in realtà la composizione vi è
riproposta integralmente, pur con le varianti
riportate a testo.
66. Cfr. Shearman 1983, n. XVI; Costamagna 1994, n.
73.25; T.K. Kustodieva, The Hermitage. Catalogue of
Western European Painting. Italian Schools thirteenth to
sixteenth centuries, Firenze 1994, p. 355.
67. Pittaluga 1933, n. 5.
68. L. Berti, Pontormo e il suo tempo, Firenze 1993, p. 269.
Fig. 30 – Ubicazione ignota.
Altra bibliografia: Forster 1966; Shearman 1983, n.
XIII; Cox-Rearick – Freedberg 1983 (per i quali
sarebbe lo stesso quadro di quello in collezione Ravà), e Costamagna 1994, n. 73.12.
69. M. Morka, Malarstwo włoskie w kolekcji J. i Z. K. Porczyński. Pproblemy atrybucji, in “Biuletyn Historii
Sztuki”, LIV, 1992, p. 2.
70. Shearman 1983, n. IV; Costamagna 1994, n. 73.25.
71. Costamagna 1994, n. 73.3.
72. Cox-Rearick – Freedberg 1983, pp. 521 – 527.
73. Comunicazione orale riportata in Costamagna, loc. cit.
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74. L. Bertani Bigalli, in Gli Uffizi. Catalogo
generale, Firenze 1980, p. 430.
75. Costamagna 1994, pp. 228, n. 73.10, e 287, n.
A38.
76. Cfr. V. Pace, Maso da San Friano, in
“Bollettino d’arte”, 1976, 1 – 2, p. 84.
77. Costamagna 1994, n. 73.21.
78. Costamagna 1994, n. 73.23.
79. J. Cox-Rearick e P. Costamagna, in Sotheby’s
New York, Important Old Master Paintings,
23/1/2003, pp. 68 – 73.
80. 1983, p. 202.
Firenze, 24 dicembre 2010
Alessandro Nesi
Fig. 31 – Giovan Battista Naldini, Madonna e Santi, Maiano
(Firenze), chiesa di San Martino.
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