FLOTTIGLIA MAS-R.S.I. - Sito Ufficiale dell`Associazione

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FLOTTIGLIA MAS-R.S.I. - Sito Ufficiale dell`Associazione
ASSOCIAZIONE COMBATTENTI
FLOTTIGLIA MAS-R.S.I.
ANNO XVI – NOVEMBRE 2015
COMUNICAZIONE
Direttore Responsabile
Dott. Maurizio Gussoni
Iniziamo da questo numero la pubblicazione di argomenti di attualità e non solamente reducistici. Sulla falsariga dell’ineguagliabile “Nuovo Fronte”, quello che fu
uno dei migliori notiziari del nostro mondo, diretto dal
compianto Luciano Fabris.
Direzione e Redazione
via Soderini, 36
20146 Milano
Stampa
Tipografia Triestina s.n.c.
Edito da
Associazione Combattenti
Xa Flottiglia MAS-RSI
Come già iniziato nel numero precedente, possono essere pubblicati scritti o notizie e, inoltre, potrebbe essere
interessante una rubrica di posta dei soci. Lettere e racconti saranno pubblicati a seguito di preventivo vaglio della
redazione.
Sede legale
largo Don Chiot, 27/a
37172 Verona
Sede operativa
Via XXIV Maggio, 4
34100 Trieste
[email protected]
www.xflottigliamas.it
Pubblicazione registrata presso
il Tribunale Civile e Penale di Milano
al n. 752 in data 3 dicembre 1999
In copertina:
Manifesto della Xa Flottiglia MAS
SEI IN REGOLA CON IL PAGAMENTO?
Ricordati che per potere continuare a ricevere il notiziario
devi essere in regola per l’anno 2016
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LETTERA DEL PRESIDENTE
commilitoni, camerati, amici,
Cari
rivolgo a voi tutti il mio saluto, immutato e fedele, e un augurio. Il saluto, quel
saluto, che era inciso sui nostri labari, sulla manica della giubba – “Per l’Onore
d’Italia!” – con cui prendemmo congedo dalle nostre case e lo portammo con noi,
volontari, giovani e giovanissimi, forse ingenui, ma certo entusiasti e pronti a tutto
donare. E così fu: e per molti di noi fu lieve versare il proprio sangue nulla chiedendo a ricompensa, generosamente, con quella sana irriverente audace incoscienza
che rende la giovinezza esaltante primavera e promessa di vita. E quel saluto si
radicò nella mente e nel cuore e si mantiene vivo anche oggi, dismesse le armi e la
divisa, in noi ultima generazione che non conobbe mai la parola “rinnegamento”.
Solo l’anagrafe, impietosa, ha imposto ormai ai più di andare oltre, di precederci là
dove, un giorno, ricostituiremo i reparti al completo, in nuovi quadrati e fitte schiere.
E sempre l’Onore e la Patria a tener diritta la barra.
Nonostante tutto – la morte della Patria, il suo decadimento morale e civile, la resa
ad essere provincia di interessi altrui – noi siamo qui, testimoni di un altro e più
alto sentire, convinti che il tempo e le circostanze possono disfare istituzioni uomini
meccanismi, ma non lo Spirito di un popolo. Esso vibra soffia si eleva può sembrare
sopito intorpidito avvilito ma mai, nella sua essenza, muore. In questo centenario
a ricordo della entrata dell’Italia nella Grande Guerra, nelle trincee nelle pietraie
contro il filo spinato e il crepitare della mitragliatrice, i nostri nonni i nostri padri rinnovarono il
sacrificio dei fratelli Bandiera di Carlo Pisacane di
Guglielmo Oberdan. Un monito un insegnamento
un dovere. E suo tramite ancora altre trincee altro
filo spinato altra mitraglia dopo l’8 di settembre.
Infine, un augurio: essere sì testimoni ma pure artefici di dare a questo nostro Paese la dignità e la
nobiltà di chiamarsi Patria.
Carlo Alfredo Panzarasa
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Intervista a Giovanna Deiana a cura di Lia Bracci
A
bbiamo incontrato nella sua casa a Roma la cara amica Giovanna Deiana, una delle prime
ragazze che aderirono alla Repubblica Sociale Italiana, e le abbiamo rivolto alcune domande:
to nel ’43 e la mamma era sola. All’indomani
dell’8 settembre, mia madre, era molto combattuta, tra la sua fedeltà al re e la fiducia in
Mussolini, ma non poté opporsi quando mio
fratello, che era carrista nella Compagnia
Ariete, aderì alla R.S.I. Anche mio fratello minore, che aveva solo dodici anni, si unì ad un
reparto della R.S.I. e, dopo fra l’altro, fu trovato morto, ucciso per le percosse dei partigiani.
Quindi, vedi era un sentimento di famiglia,
come ti dicevo prima e nessuno avrebbe potuto fermarmi, quando nel ’44, venni a sapere
che anche le donne potevano fare di più!
Può sembrare straordinario, oggi, conciliare
la femminilità tradizionale con l’adesione
ad un esercito rivoluzionario; ripensando
alla tua scelta di allora cosa ne pensi?
Veramente, secondo me, aderendo alla R.S.I.
rispecchiavamo l’immagine della donna nel
fascismo. Era come la conseguenza di qualcosa che sentivamo dentro, il desiderio di
dare una espressione concreta all’immagine
letteraria della donna. La donna non era relegata al di fuori della realtà, anzi, si affiancava all’uomo nei suoi momenti più belli ed
importanti, integrando ogni sua opera. Noi,
almeno, la vedevamo così: senza debolezza
ma senza asprezza. Inoltre, per me aderire
alla R.S.I. era anche la conseguenza di tutta
l’educazione ricevuta in famiglia.
La mia famiglia è di origine sarda, eravamo
sette fratelli, mio padre lavorava nella polizia,
a Palazzo Venezia. Ha sempre cercato di farci
condividere il suo grande amore di Patria. E
spesso ci parlava di quando aveva partecipato alla prima guerra mondiale, degli ideali
che aveva vissuto in guerra e in cui credeva
ancora.
Mia madre, poi, da buona sarda, si sentiva
molto attaccata alla monarchia che aveva
unito l’Italia. Insomma siamo stati educati
in perfetta armonia tra quanto ci dicevano in
famiglia e quanto andavamo imparando ogni
giorno a scuola, il fascismo interpretava e sintetizzava gli ideali familiari.
Allora la tua famiglia era d’accordo quando
hai fatto questa scelta?
Non è stato così facile, veramente. Innanzitutto nel ’40 ero restata coinvolta in un incidente bellico, in conseguenza del quale avevo
dovuto seguire gli studi all’Istituto Cavazza
per Non Vedenti di Bologna, prima di poter
riprendere la mia vita. Poi mio padre era mor-
Due Ausiliarie del SAF Decima
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Che cosa hai fatto allora?
Per prima cosa scrissi al comandante Ricci,
dell’Opera Balilla, la cui risposta mi giunse
in maggio, proponendomi di collaborare
all’attività propagandistica. A dire il vero,
rimasi un po’ delusa di questa risposta, io
speravo di poter fare qualcosa di più concreto. Ne parlai con un amico, Carlo Borsani, e
grazie a lui ebbi la grande fortuna di poter incontrare Mussolini. È stato l’avvenimento più
importante della mia giovinezza. Mi sembra
ancora di sentire la sua voce, sobria e commossa ad un tempo, mentre si rivolgeva a me.
Mi avevano accompagnato nel suo studio, sul
Lago di Garda, Mussolini si informò di quanto
diceva la gente, di che cosa si pensava di lui,
poi mi chiese se poteva fare qualcosa per me.
Mi colpì molto perché mi rivolse le stesse parole che mi aveva detto come motivazione
della Medaglia d’Argento, avuta dopo
l’incidente di cui ti dicevo, per il mio comportamento, dimostrando di ricordarsi di me. Sai,
seppi che aveva domandato notizie di me,
chiamandomi “la fanciulla di Verona”, come
mi aveva chiamato nel ’40 quando avevo solo
quattordici anni.
Ausiliaria in caserma
a San Bartolomeo
Questa esperienza ha cambiato sostanzialmente la tua vita?
E ti fu affidato un compito particolare dopo?
Certo ha rafforzato la mia capacità di reagire
ai colpi negativi della vita, ma soprattutto è
stata un’esperienza ricca di sentimenti ed
emozioni, come se ne vivono poche ai giorni
nostri, e solo pochi hanno il privilegio di passarvi. Poi mi ha fatto comprendere quale veramente è il posto della donna nella società,
attraverso la considerazione e l’atteggiamento
che ogni uomo ci dimostrava in quelle difficili
circostanze. Sai, non riesco proprio ad accettare che per odio di parte venga nascosta alle
nostre giovani la storia di questa grande esperienza femminile di partecipazione. Potrebbe
essere fondamentale, per rispondere agli atteggiamenti degradanti delle femministe.
Secondo me educare vuol dire guidare, e i
ragazzi di oggi hanno bisogno di ritrovare
Sì, ebbi il permesso di seguire i corsi di addestramento militare e potei rendermi utile
prestando servizio come aerofonista.
Eri in servizio nel ‘45?
Certamente, anzi il 18 aprile avevo prestato
giuramento per il VI Corso, a Como, poi il 23
ero, sotto la comandate Vincenti, al comando
generale centro mutilati di Lecco.
Il 26 arrivarono i partigiani che occuparono il
comando e io fui isolata nella Clinica Sarfatti.
Poi nel dopoguerra sono entrata nel M.S.I. e
ho fatto anche alcuni comizi nel frusinate e
in Sicilia. Infine con l’aiuto di mio cognato,
abbiamo lottato per ottenere che venisse riconosciuta la pensione agli invalidi della RSI.
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Intervista a Giovanna Deiana a cura di Lia Bracci
l’ammirazione per la Patria, la bandiera,
l’esercito e per la nostra storia. Hanno bisogno
di ideali e valori diversi dal prevaricare gli altri. Le ragazze, poi, non dovrebbero avvilirsi
cercando di far concorrenza agli uomini. La
donna è la migliore espressione del creato, la
fonte di tutta la vita, dell’amore: dovrebbe essere un segno di libertà e di amicizia, come
una sorgente di familiare intimità. Ricordo
sempre la profonda ammirazione e il rispetto
che circondavano noi ragazze durante la Repubblica Sociale.
Servivamo un grande ideale in profonda collaborazione con i nostri soldati, non certo in
concorrenza con loro. Ognuno di noi faceva del
proprio meglio, nel modo diverso che hanno
persone diverse, che si integrano e non competono fra di loro. Durante tutta la mia vita mi
è restata questa esperienza di femminilità, che
ha rappresentato per me un ideale di comportamento e una guida nell’affrontare con fermezza e dolcezza le prove dell’esistenza.
Il 26 agosto 1974, in circostanze tutt’ora
rimaste misteriose, si spegneva a Cadice in Spagna colui che per tutti è ancora “Il Comandante”
Capitano di Fregata Principe
Junio Valerio Borghese
Medaglia d’Oro al Valore Militare
Pluridecorato eroe italiano, offeso,
insultato, svillaneggiato e perseguito
da questa repubblica tanto da esser
costretto all’espatrio.
Sugli attenti rendiamo gli Onori.
DECIMA COMANDANTE!
Ausiliaria del SAF Decima
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Testimonianze dei nostri marò
D
i seguito, pubblichiamo alcune lettere scritte al marò Carlo Alfredo Panzarasa dal padre
Rocco Panzarasa. La prima è stata inviata a Bordeaux presso la base dei sommergibili ita-
liani di Betasom, la seconda è stata inviata sempre a Bordeaux poco prima della partenza dei volontari inquadrati nel Battaglione Longobardo per l'Italia, la terza è stata inviata a guerra finita in
Lombardia, dove Carlo Alfredo Panzarasa era riparato.
21 aprile 1944
Carissimo Lino (diminutivo di Carlino cioè Carlo, n.d.r.)
Faccio seguito alla lettera che ti ha scritto mamma ieri l’altro. Quantunque io non abbia letto il contenuto. Spero avrai ricevuto la cassa, e ti prego di farmelo sapere. Hai telefonato sabato, ma poi noi aspettavamo anche qualche tuo scritto. Perché non scrivi? Non avevi promesso di scriverci almeno una volta alla
settimana?... sai che le tue buone notizie le aspettiamo con ansia e ci giungono come balsamo. Quando stai
un po’ troppo senza scrivere, mamma diventa inquieta e ha sempre paura che ti sia arrivato qualche cosa o
che sei ammalato. Quindi, non essere pigro, e scrivi più sovente.
Questa notte c’è stato un forte bombardamento sulla regione parigina. Diversi quartieri di Montmartre e
specialmente vicino a Barbès furono molto colpiti, anche il mercato delle pulci ha avuto la sua parte. Vi sono
molte vittime e molti danni materiali. Un paracadute è caduto su una cupola de Printemps, e dal nostro ufficio si poteva vedere bene. Il bombardamento è incominciato a mezzanotte ed è durato fino alle 2 del mattino.
Vanna (sorella di Carlo, n.d.r.) e Carltheo (marito di Vanna, n.d.r.) sono rientrati dalla Germania giovedì
alle ore 14 ½ con 4 ore di ritardo. Stiamo tutti bene. Io continuo la cura che mi ha ordinato il dottore, e pare
che stia un po’ meglio. L’appetito però non aumenta, ed è sempre un problema per me il mangiare. Betty
(sorella di Carlo che viveva ad Avignone, n.d.r.) ha sempre intenzione di venire a Parigi, ma gli avvenimenti
continuano ad aggravarsi col ripetersi dei bombardamenti e colle difficoltà dei trasporti sarà meglio rinunciare a tale viaggio. Domenica verranno i Callieret a colazione da noi e discuteremo quello che sarà meglio
fare, poi informeremo Betty e Raymond della nostra decisione.
Ora smetto. Ancora una volta ti ripeto di scrivere più sovente. Qui t’invio dei francobolli che potranno
servirti e quando non ne avrai più fammelo sapere che te ne manderò degli altri.
Tanti bacioni
papà
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3 maggio 1944
Carissimo Lino
domani è il tuo compleanno! Diciotto anni!
Età che si abbandona l’adolescenza per entrare, o piuttosto per salire un gradino nel cammino della vita! Età
dove si comincia a fare dei progetti d’avvenire; età dei sogni e delle speranze! E non possiamo festeggiare insieme
questo giorno che dovrebbe essere di letizia e di gaudio!
Dal canto nostro, qui noi due soli (mamma ed io) non possiamo altro che pensare a te, ed essere vicini a te
colla mente e collo spirito. Berremo lo champagne alla tua salute e a quella dei tuoi compagni tutti. E te, spero
potrai altrettanto, pensando a noi tutti, che ti vogliamo tanto bene e ti raccomandiamo sempre a Dio nelle nostre
preghiere.
Sii sempre buono e giusto con tutti, coi grandi e coi piccoli, soprattutto coi piccoli!
Scrivi sovente per non lasciarci a lungo senza tue notizie. Ora stiamo tutti bene. Io sono aumentato di 4 kg.
in due mesi, e mi accorgo che vado di meglio in meglio. Domenica i Callièret erano da noi, e dopo tante riflessioni,
abbiamo deciso di scrivere a Betty dicendole che non vediamo inconvenienti che venga a Parigi col piccolo Alain
come avevamo già combinato da tanto tempo.
Il pericolo può esistere tanto a Parigi come in Avignon, poiché chi può sapere cosa potrà arrivare nei giorni
prossimi? Domani quelle genti sadiche e maledette potranno benissimo bombardare anche Avignon! O qualunque
altra località!
Dunque, alla grazia di Dio! Tanto non si muore fin che la nostra ora non sia giunta! È probabile dunque che
alla tua venuta a Parigi (in licenza) troverai qui Betty con il figlioccio, e forse anche l’altro bambino che deve nascere verso metà giugno.
Smetto. Ho gente che mi attende per definire la documentazione del nostro giornale “Sentiments”.
Ciau, tanti tanti bacioni
papà
Avignon 19 dicembre 1945
Carissimo Carlo
in seguito alla mia del 10 corrente. In questo frattempo abbiamo ricevuto la tua del 30 novembre e finalmente la
lettera della nostra cara Vanna. Carltheo è morto il 21 aprile mitragliato in strada, e la notizia è giunta a Vanna
nel mese d’agosto.
A quell’epoca lei si trovava ancora in zona russa (in Germania) e dopo tante difficoltà, l’8 ottobre ha potuto
passare in zona americana, e dopo 5 giorni cioè il 13 ottobre ha messo al mondo una bambina, una bella bambina
“Barbara Cristina”. Ci dice di non preoccuparsi di lei che la sua salute è eccellente e che ha già le carte in regola
per venire a raggiungerci colla sua bambina.
Oggi stesso le scriviamo dandole nostre e tue notizie, e avvertendola della nostra irrevocabile decisione di ritornare in Italia definitivamente. E di fare tutto il possibile per poter venire anche lei in Italia dove formeremo una
sola famiglia. Pregheremo il Signore perché ci dia sempre la salute e il lavoro, poiché dovremo, te ed io, lavorare
seriamente e guadagnare molto, e fare da padre a questa piccola innocente, mezza orfana! Dice che più tardi ci
manderà un’altra lettera più lunga e più dettagliata. Può darsi che quando giungerà qui questa sua seconda lettera, noi saremo già in Italia, e Betty ce la spedirà immediatamente. Per ora è tutto per quanto concerne Vanna.
Veniamo a noi. Credo averti detto che sarà difficile poter arrivare per Natale. Calcolando che tutte le pratiche
in corso debbano prendere il loro tempo normale, si può presumere che potremo partire verso i primi di gennaio.
In tutti i modi cercherò il mezzo di farti avvertire per telefono il giorno e l’ora del nostro arrivo a Milano.
La questione dell’alloggio è la più preoccupante e tu dovresti già occuparti per trovare qualche casa ammobiliata così da poter dormire, da poter far da mangiare ecc. ecc. insomma da poter vivere, sia a Garlasco, o a
Mortara, o a Novara o a Vigevano (paesi dove risiedevano alcuni familiari). Tutto questo è temporaneamente
finchè avremo trovato un appartamento a Milano e che il nostro mobilio sarà arrivato e poter sistemare la nostra
casa. Per ora non vedo altro a comunicarti.
Continua a scrivere qui alla Betty. Può darsi che la tua risposta a questa lettera arrivi qui e che noi siamo già
partiti. Ma non si sa mai!!
Ciau, arrivederci presto.
Bacioni
papà
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Verbale dell’Assemblea Ordinaria Elettiva
Verbale dell’Assemblea Ordinaria Elettiva di Peschiera del Garda del 2 maggio 2015
Si procede allo svolgimento dell'assemblea secondo l’Ordine del Giorno:
1) saluto del Presidente Carlo Alfredo Panzarasa e ringraziamento ai propri collaboratori;
2)elezione del Presidente di Assemblea per
acclamazione del socio Francesco Dalè che
invita ad osservare un minuto di silenzio
per i Caduti e gli scomparsi della Decima;
3) situazione economica finanziaria e operativa illustrata dal segretario Roberto Pulli, il
quale presenta all’assemblea il conto economico della gestione 01.01.2014 – 31.12.2014
e la relazione di segreteria, entrambi allegati
al presente atto. Il conto economico e la relativa relazione sono approvati all’unanimità.
Vista la disaffezione dei soci al versamento
delle quote sociali, la Consigliera Goedecke
Albero propone la cancellazione di quelli
morosi. Seguono gli interventi di Simoni,
Marzi e Dionisio. Pulli dichiara che valuterà
ulteriormente la situazione per trovare un
modo non troppo dispendioso per contattare gli iscritti che non partecipano più alla
vita associativa, anche nella considerazione
del rapido calcolo dell’eventuale spesa necessaria effettuato da Simoni.
Per completezza d’informazione, il segretario illustra, inoltre, la situazione attuale al
30.04.2015. Inoltre, poiché richiamate nella
relazione, da lettura delle ultime due lettere intercorse tra il Presidente Panzarasa
e l’Amm. Pagnottella in merito ai tentativi
proposti da quest’ultimo per una riunificazione dei rami della Xa.
4) l’Assemblea approva e ratifica lo spostamento della sede da Trieste Via Carlo Ghega
n. 2, a Trieste Via XXIV Maggio n. 4;
5) prende la parola il Consigliere Alberto Indri
che porta a conoscenza dei soci la situazione
del Campo della Memoria in Nettuno e fa
un rapido rendiconto degli iscritti nel Lazio;
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6) si passa alle votazioni per l’elezione del Presidente e degli organi sociali. Viene nominata la Commissione elettorale composta dai
soci Giorgio Andreino Mancini con funzioni
di Presidente e dai soci Aldo Pecile e Stefano Cannavassi con funzioni di scrutatori. La
Commissione procede allo spoglio e redige
il verbale per l’elezione degli Organi sociali
che fa parte integrante del presente atto ed è
conservato negli atti della segreteria.
Il Consiglio direttivo risulta così composto:
Presidente riconfermato
Carlo Alfredo Panzarasa
Consiglieri Veterani
Fiamma Morini
Umberto Schiavon
Amelio Boreani
Consiglieri non Veterani
Roberto Pulli (dimissionario)
Ingeborg Goedecke Albero
Marina Marzi
Alberto Indri
Michele Simoni
Ermes Dionisio
(primo dei non eletti, subentra a Roberto Pulli).
Probiviri
Paolo Minucci Teoni
Mario Troviso
Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto il Presidente sceglie quale Vice Presidente la Consigliera
veterana Fiamma Morini e ai sensi dell’Art. 12
nomina Segretario dell’Associazione il socio
Roberto Pulli.
Non essendoci altri argomenti da trattare, l’Assemblea si chiude con l’Inno della Decima.
IN LIBRERIA
dall’incedere delle prime righe delle novelle
di Marialùcia Conistabile, giornalista vibonese della calabrese “Gazzetta del Sud”, trovarsi
a fare i conti con esperienze al cardiopalmo,
continuamente alle prese con inseguimenti a
perdifiato tra cupe foreste abitate da perfide
presenze e inquietanti fughe a precipizio su
baratri spaventosi, l’angoscia che attanaglia il
cuore e l’adrenalina che scorre a mille. È proprio un universo popolato da incubi, quello
della Conistabile. Un mondo dove lo smarrimento, l’abisso, la disperazione, lo sconforto,
la morte, l’oblio, non sono più qualcosa di
possibile, ma certezze che incombono con ineluttabile fatalità su poveri esseri umani condannati già in partenza a scontare chissà quali indicibili colpe. Ordalie volute da divinità
spietate e sanguinarie al termine delle quali
non c’è, non ci può essere, redenzione alcuna.
Emblematica è la testa di un uomo, che in un
crescendo di drammatiche circostanze, sebbene recisa di netto dal tronco, si mette a narrare
in prima persona la sua tragica, sofferta anabasi. O l’atroce agnizione dell’inconsapevole entità elfica, eterea ed ectoplasmatica, alle
prese col cadavere di uno sconosciuto disteso
su una spiaggia spazzata dal vento invernale.
Tra le pagine della Conistabile è la Calabria
tellurica che, nascosta tra le pieghe della paranoia emozionale, detta all’ordito narrativo
le folli regole dello spartito. Uno spartito il cui
ritmo è scandito dal delirio e dalla disgregazione dell’io. Una dimensione che richiama
alla mente i “Papi urlanti” di Francis Bacon. A
fare da controcanto a questi maligni arabeschi
gotici affacciati sull’inferno del paranormale,
ecco l’esordio di Roberta Di Casimirro, giornalista Rai, che con la sua scrittura sincopata
e rapsodica e dai tratti gradevolmente ironici
ci catapulta nella frenetica New York post 11
Settembre. Un reportage nel Nuovo Mondo
dai toni solari, a volte persino esilaranti, ma
con ben delineato sullo sfondo, a mo’ di memento, il lento, sofferto consumarsi dell’agonia paterna. Altrettanto gradevole il blitz di
AA.VV. Nei meandri, Edizioni Ritter, Milano 2015, euro 18
Che cos’hanno in comune le storie di
quattro discese negli inferi dell’allucinazione
psicotica, quattro gustosi reportage di viaggio
alla ricerca di se stessi e due toccanti racconti
di guerra? Lo spazio di un libro. Un agile libro scritto a “sei mani” da tre autori che dal
punto di vista fisico e caratteriale più lontani tra loro non potrebbero essere. Tre universi dello spirito uniti da una grande passione:
l’amore per le lettere, per la narrazione scritta,
il romanzo, l’affabulazione cronachistica e il
giornalismo. L’opera s’intitola “Nei meandri”
ed è edita per i tipi della Ritter al prezzo di
18 euro. I tre sono Marialùcia Conistabile, Roberta Di Casimirro e Mario Merlino. Già nel
titolo - “meandri”, appunto - è facile individuarvi una dimensione aliena, circonvoluta
e ostile, strisciante ectonia, fatta di realtà distorte e sconvolgenti. È inevitabile quindi, già
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Roberta nella Ville Lumiére per assistere a un
concerto jazz, con tanto di ricordo struggente
per il sacrificio di Alain Escoffier, tour celiniano al Passage Choiseul e omaggio alla tomba
di Robert Brasillach, quasi nascosta nel piccolo, appartato cimitero di Charonne. Il cuore
spezzato ma non troppo da uno “sfidanzamento” al limite della commedia dell’assurdo, prevenuta, quasi riluttante e preda di irragionevoli - o fin troppo ragionevoli - dubbi
e inconfessabili paure, Roberta scopre infine
che il diavolo non è poi così brutto come lo
si dipinge. Nel leggere i brevi cammei della
Di Casimirro, insomma, ci si rende conto che
anche all’ombra dei grattacieli di Manhattan e
tra i boulevard che si specchiano nella Senna,
tra “equivoci gastronomici” e incomprensioni linguistiche, la vita può sempre riservare
piacevoli e insperate sorprese. Come l’incontro assai istruttivo con un tassista arabo, ad
esempio. Imprevisti che non mancano di dare
la stura a insolite, impensabili considerazioni al limite dell’esistenzialismo. Un viaggiopellegrinaggio nella struggente Fiume ormai
irrimediabilmente slavizzata per deporre una
copia del romanzo di Gabriele Marconi - “Le
stelle danzanti” - nella chiesa di San Vito e un
rapido sopralluogo all’Aquila, da poco devastata dal sisma del 2006 concludono la sezione
del libro dedicata alla Di Casimirro.
da italiani nella Tunisia contro gli inglesi. Anche in questo romanzo il peso avverso del fato
sembra incombere sui protagonisti ineluttabile e opprimente come una lastra di piombo.
Partiti sognando eroici orizzonti e fiduciosi
nella vittoria finale dell’Asse, i tre giovani sono
costretti a fare i conti con la cocente sconfitta
italiana in terra d’Africa per poi ritrovarsi sul
territorio dell’amata Patria a fronteggiare una
crudele guerra civile. Coraggiosi come pochi,
ciò che tiene in vita i tre è la rabbia. Rabbia
mista a risentimento contro l’amara sorte che
li costringe a difendersi non solo dalle preponderanti forze angloamericane e slave, ma
pure dai vili agguati tesi dai partigiani italici
con la stella rossa sul berretto. È vero che “le
donne non ci vogliono più bene”, ma a non
voler bene, anzi a odiare di un odio bestiale
quel pugno di valorosi patrioti sembra essere
l’umanità intera, compresi i vecchi amici marocchini coi quali pure hanno trascorso l’infanzia. Il tumulto interiore dei fratelli Raniolo
pertanto è talmente ribollente che in un empito di accettazione superomistica dell’infame
destino che è toccato loro di vivere li porta a
diventare i “doppelganger” di quelle bestie
col turbante use a violentare le loro vittime
prima di sgozzarle. Così Angelo e Paolo Raniolo, di rimando, hanno deciso di rendere
pan per focaccia a quei maiali, impalandoli
per contrappasso con l’affilatissima baionetta.
E pensare che il vecchio imam della moschea
di Kutubia aveva avvertito Emanuele: …< Fai
attenzione, kefir, che la tua giovinezza non
venga turbata, sia fonte di sangue…>. Poi,
come se non bastasse, quell’oscuro vaticinio:
<Nel mondo dei kefir, di voi che avete chiuso
con la cera gli orecchi e gli occhi con due monete di basso conio, non ci sono i buoni, i giusti, i salvati, a tutti sarà il fuoco la ricompensa. Intanto dilaniate il vostro cuore, la vostra
mente, la vostra carne, con questa guerra così
come avete fatto durante la precedente. Mio
figlio è morto nelle trincee di Francia (…) per
rendere il vostro potere più debole, per fare
Mario Merlino esordisce con due storie
assai diverse nello svolgimento ma entrambe unite da uno stesso filo narrativo storico e
poetico. Due novelle ispirate ad autentici lacerti di vita vissuta. La prima, “Tre fratelli”,
rievoca l’epopea bellica di tre ragazzi d’origine siciliana - i fratelli Raniolo: Angelo, Paolo
ed Emanuele - marocchini di residenza, francesi di passaporto ma italiani, italianissimi,
nel cuore. Scoppiato il conflitto, e rischiando
il plotone d’esecuzione per diserzione, i tre
abbandonano di soppiatto la casa paterna a
Marrakech per attraversare fortunosamente
l’Algeria “filo-alleata” e andare a combattere
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dei vostri paesi una distesa di sangue, per
dividere i vostri popoli… Ancora in questa
guerra, poi la spada dell’Islam si abbatterà su
voi, le vostre donne, i vostri figli. Senza pietà…>. In questa novella di Merlino il tragico
destino di sconfitta e di morte per i tre giovani protagonisti del racconto e della Patria
tutta viene vaticinato dagli occhi lucidi e un
po’ stralunati di un imam visionario il quale,
abbandonandosi al volere di dio come solo
gli arabi sanno fare - <La parola di Dio è l’architettura del mondo, è il mondo stesso…> intravvede nel folle, reciproco annientamento
delle potenze europee nella mattanza bellica
una sconfitta collettiva nel presente e un presagio di sottomissione per il futuro. L’altro
racconto di Merlino, “L’unico… in camicia
nera”, è la storia del sottufficiale Nerio Neri,
anch’egli un valoroso combattente devoto al
fascismo e al suo Duce, cui un vecchio saggio
chiamato “il Professore” lancia un inquietante ammonimento: <…manca poco, ma a voi
verrà chiesto dalla storia di pagare un conto
ben salato…>. Anche stavolta il destino cinico e baro mantiene la promessa-minaccia e
s’incarica di presentare al giovane idealista
Nerio il predetto salatissimo conto. Che nel
suo caso assume le sembianze di un proiettile di mortaio che lo dilania spedendolo dritto sulla sedia a rotelle, il braccio amputato e
la gamba storpiata. Piange, Nerio, piange e
maledice quel bolide che non gli ha troncato di netto l’esistenza, condannandolo a una
vita dimezzata in un mondo che, dopo il 25
aprile 1945, non comprenderà neppure più il
significato di parole come “eroismo” o “sacrificio” o “Patria”. Ma tenendo fede al titolo del
racconto - “L’Unico”, appunto - che rievoca
reminiscenze stirneriane, sarà lo stesso destino che, facendosi beffe di ogni determinismo
e di ogni logica razionale, spariglierà ancora
una volta le carte in tavola.
Luca Ribustini, “Il mistero della corazzata
russa”, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza
2015, euro 15
Cosa causò l'affondamento della più
grande corazzata sovietica, il Novorossiysk,
nel porto di Sebastopoli, la notte tra il 28 e il
29 ottobre 1955? La più grave tragedia della
flotta da guerra russa che costò la vita ad oltre
600 marinai, è raccontata dal giornalista Luca
Ribustini nel libro inchiesta “Il mistero della
corazzata russa. Fuoco, fango e sangue” edito
da Luigi Pellegrini Editore, in vendita online
e nelle principali librerie in Italia.
Le cause dell’affondamento non sono
mai state completamente chiarite e molte
delle circostanze sono ancora di non facile
interpretazione. Secondo i russi fu una mina
magnetica tedesca sfuggita all'opera di bonifica, ma voci non ufficiali parlarono da subito di un atto di sabotaggio. La possente nave
da battaglia batteva bandiera italiana, con il
nome di Giulio Cesare, fino al 1949 quando
Angelo Spaziano
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fu ceduta ai russi come risarcimento di guerra
secondo quanto previsto dal Trattato di Pace.
A luglio del 2013 una clamorosa rivelazione riapre il caso: un ex incursore del gruppo
Gamma della Xª Flottiglia MAS, nel corso di
un’intervista rilasciata all’autore del libro, rivendica senza esitazione la paternità del sabotaggio. Il grande risalto dato dalla stampa
russa e ucraina alle dichiarazioni dell’ex incursore della Xª MAS e l’intenzione dei reduci
della corazzata di chiedere un’inchiesta internazionale, convincono il giornalista ad avviare un’indagine per avvicinarsi il più possibile
alla verità dei fatti.
Ribustini ricostruisce quella drammatica notte, le circostanze e il contesto storico e politico
nel quale maturarono scelte, alleanze, coperture nazionali e internazionali. Il ritrovamento di documenti clamorosi in archivi militari,
civili e dei servizi segreti, oltre a testimonianze esclusive rilasciate da personaggi coinvolti
a vario titolo nella vicenda, costituiscono la
mole di fonti che comporranno la sconcertante tesi finale del libro. La storiografia sovietica si è occupata a lungo della tragedia del
Novorossiysk che ancora oggi suscita dolore,
emozioni e risentimenti. In Italia il silenzio: di
questa storia, per anni, nessuno ha mai voluto
parlare.
"La storia, incredibile e inquietante, è raccontata con lo stile dell'inviato e del detective nel
bel libro di Luca Ribustini "Il mistero della corazzata russa. Fuoco, fango e sangue" (Pellegrini editore). Ribustini è molto prudente, ha qualche dubbio, ma ci sono elementi anche forti che portano a
individuare nei neofascisti e nella Decima i probabili esecutori... Ma c'è anche lo Stato, i comandi
militari e i servizi segreti"
(Giuseppe Parlato, Libero)
Riceviamo da un nostro socio la foto del marinaio
Franco Seccarelli, arruolatosi nella Xa Flottiglia
MAS dopo l’8 settembre 1943.
Se qualcuno lo riconosce ed è in grado di comunicarne notizie, è pregato di prendere contatto con la
Segreteria.
- 14 -
Restaurata la Cripta di Gorizia
S
nemmeno per i caduti).
Con questi uomini e questa gioventù le nostre
associazioni non possono temere nulla. Lasciamo ai centri sociali la distruzione delle città. I
nostri son plasmati per il lavoro, il sacrificio e
per creare qualcosa di positivo. Decima!
i ringrazia l’Associazione Nazionale Arditi d’Italia Sezione di Trieste, Istria, Fiume e
Dalmazia nelle persone di:
- paracadutista Massimiliano Ursini;
- marinaio Antonio Skerlj;
- carrista Fabio Gianni,
per il restauro della Cripta di Gorizia ove riposano, tra gli altri, anche alcuni marò della Decima. I lavori sono stati lunghi e laboriosi. Dipinto l’interno, la porta d’accesso, le ringhiere e il
corrimano, pulite le targhe esterne rendendole
belle bianche come nuove. Le scale d’accesso
sono state grattate con notevole “olio di gomito” tanto da aver assunto l’aspetto originario.
È stato installato un parapioggia sulla porta
d’accesso, risistemate le griglie d’aerazione e
ripiantato lo spazio verde tra le scale. Un notevole impegno anche nella considerazione che è
stato eseguito negli spazi rubati alle famiglie e
al tempo libero.
Si ringraziano, altresì, i giovani:
- Elena Candolini;
- Tommaso Sossi;
- Mattia Normanni,
per l’opera di rifacimento delle scritte dorate
sul piano del cenotafio della Decima nel Cimitero di Gorizia. Per il ritocco delle scritte del
monumento ai caduti della G.R.N. e delle targhe esterne alla Cripta. Per la pulizia del verde
presso la tomba dei soldati tedeschi, e la nuova pitturazione dell’interno della Cripta, non
perché fosse stata mal eseguita, ma essendo il
sacello interamente interrato risente tantissimo dell’umidità e nonostante l’ottimo lavoro
effettuato dai volontari dell’A.N.A.I., le pitture erano già “fiorite” minacciando di staccarsi.
Purtroppo, vista la posizione, quello della pittura sarà un problema che si ripeterà ciclicamente. I giovani hanno dipinto, inoltre, il grosso portafiori situato all’interno e donato una
nuova Bandiera repubblicana in sostituzione
di quella trafugata (purtroppo non c’è rispetto
Il Segretario
Associazione Reduci e Famigliari
1°Btg. Bersaglieri Volontari “Benito Mussolini”
Domenica 11 ottobre 2015, in occasione dell’annuale raduno di Gorizia a ricordo di tutti i camerati
caduti a difesa del confine orientale, l’associazione ha deposto una
corona al Cenotafio della Xa Flottiglia MAS.
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Gorizia, 18 gennaio 2015. L’inaugurazione della cripta restaurata ad opera della F.N.A.I. di Trieste
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Notizie dall’Associazione Campo della Memoria
Campo della Memoria, che è frutto di un quotidiano impegno al quale sono chiamati tutti
coloro si richiamano ai valori ed agli ideali
della RSI. A tal riguardo si ricorda a tutti che
ogni sabato mattina il Campo della Memoria
di Nettuno è aperto alla visita ed al lavoro per
la manutenzione, un dovere dal quale nessuno è esentato, perché la memoria si onora con
l’azione.
Cerimonia di commemorazione per i Caduti
di Rovetta. Roma – Cimitero del Verano – 27
settembre 2015
È ormai un appuntamento fisso quello
che chiama all’appello ogni anno i camerati
romani al cimitero del Verano per la commemorazione dei Caduti di Rovetta. La giornata
è cominciata con il corteo dei combattenti e dei
reduci, anticipato dai labari e dalle bandiere,
e seguito ordinatamente dalle numerose persone intervenute. Arrivati innanzi alla tomba
dove sono custodite le spoglie dei nostri eroi,
le bandiere ed i labari sono state disposte in fila
ed i rappresentanti delle associazioni organizzatrici (Ass. Reduci della Tagliamento ed Ass.
Campo della Memoria) hanno effettuato un
breve saluto. Sono quindi intervenuti i reduci
ed i combattenti presenti con la loro sempreverde energia, seguiti dal discorso puntuale e
coinvolgente di Stelvio Dal Piaz. L’appello con
la chiamata del Presente! ai Caduti di Rovetta
è stato seguito dalla funzione religiosa, con la
benedizione della tomba e della bandiera
della Repubblica Sociale Italiana. La messa è
terminata con la Preghiera del Legionario. La
percezione di tutti è stata quella di un sentito
dovere nei confronti di chi ha combattuto e si è
sacrificato per l’Idea e per la Patria; dovere di
seguitare l’ininterrotto collegamento con la RSI
in un’unità di azione ed una continuità ideale
che deve coinvolgere soprattutto i giovani, che
non a caso erano molto numerosi in questa occasione. Dopo gli ultimi saluti, gli intervenuti
hanno raggiunto il ristorante per un conviviale pranzo e per la consegna del Premio Alto
Morale Edizione 2015. La commemorazione ai
Caduti di Rovetta è una delle più importanti
del fitto calendario di appuntamenti dell’Ass.
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Alberto Indri
Notizie dall’Associazione Campo della Memoria
Solidarietà per i lavori al Campo della Memoria
Abbiamo rifatto quasi tutto per il ripristino del Campo,
ci serve ancora un piccolo aiuto per il sistema di allarme.
Ringraziamo a priori quanti ci aiuteranno, vi rimandiamo il nostro C/C
presso la Veneto Banca (Agenzia Parioli), qui di seguito vi forniamo l’IBAN
I BA N : I T 6 8 H0 5 0 3 5 0 3 2 0 2 1 4 4 5 7 0 5 6 0 6 4 6
intestato all'Associazione Campo della Memoria.
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Fotocronaca del raduno annuale di Peschiera del Garda
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Fotocronaca del raduno annuale di Peschiera del Garda
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TIRANNI
Gli Stati Uniti, convinti guardiani del mondo,
servendosi dell’ONU, l’istituzione più inutile di
questa terra, con la scusa delle armi di distruzione di massa, rivelatasi del tutto inconsistente e
puerile, per vendicarsi dell’attacco alle due torri
a New York, accusa mai provata, hanno fatto in
modo di distruggere l’Iraq il cui dittatore, pur
nel suo delirio di onnipotenza, era riuscito a
mantenere in equilibrio musulmani e cristiani,
sunniti e sciiti, salabiti, wahabiti, alawiti ecc.
Questo poiché bisognava dimostrare all’opinione pubblica americana, la quale conta moltissimo giacché riserva di voti, di non essere
stati messi in ginocchio, di aver individuato il
mandante e reagito prontamente.
Indipendentemente se il bersaglio fosse colpevole o no. Noi, invece, che votiamo sempre
per credo pecoreccio, non contiamo nulla e i
nostri “sultani della politica” con la poltrona incollata al sedere, sanno bene che in un modo o
nell’altro rimarranno sempre a galla e possono
permettersi di sputarci in faccia, sicuri dell’appoggio e della possibilità d’imbonimento sia
del carrozzone RAI, emanazione dei partiti, sia
dei giornali mantenuti in vita dal finanziamento
pubblico. Effetto questo del mai scomparso tentativo di socialismo reale, confermato dall’intangibilità dei sindacati, dalle categorie privilegiate, dai lavoratori disonesti protetti ecc. In
tal senso, però, non bisogna dimenticare che gli
americani hanno un enorme vantaggio rispetto
a noi, non conoscono il comunismo o, peggio, la
Rifondazione Comunista e genia varia. Joseph
McCarthy, capo della commissione per le attività antiamericane, sarà stato anche un fanatico
ma ha svolto un ottimo lavoro per il suo Paese,
debellando il comunismo strisciante che andava insinuandosi nella società americana.
Ritornando a noi, dopo l’11 settembre bisognava placare l’opinione pubblica americana
che chiedeva immediata vendetta, non solamente per i morti subiti ma per l’orrore impensabile di essere anch’essi vulnerabili. Infatti, con
l’attacco alle due torri, gli americani, hanno provato in minima parte cosa significhi il napalm
sperimentato sopra i villaggi vietnamiti e i bombardamenti a tappeto subiti dall’Italia, Germania e Giappone.
E allora, quale miglior nemico se non il “mostro” Saddam Hussein, già sconfitto una volta,
che da amico e alleato si era trasformato in nemico a seguito del mutare degli interessi politici
ed economici. Non dimentichiamo che l’Iraq,
sostenuto dagli USA, ha combattuto per dodici
anni una guerra per interposta persona contro
l’Iran appoggiato dall’URSS. Resto convinto
che Saddam invase il Kuwait a compenso della
guerra di cui sopra, soltanto che a distanza di
Lo zio Sam...
- 21 -
TIRANNI
tanti anni la convenienza era mutata e gli accordi potevano essere stracciati.
Naturalmente non era pensabile lasciar in
vita il personaggio. Avrebbe potuto parlare e sarebbe diventato il simbolo del fallimento delle
loro macchinazioni. Una volta catturato subito
condannato, attraverso un processo rapido e
tragico. Sullo stampo di quelli farsa celebrati a
Norimberga, durante i quali la difesa avrebbe
potuto benissimo astenersi dal rappresentare
gli imputati condannati fin dall’inizio e tratti in
giudizio per propaganda.
Immediatamente impiccato senza problemi
di ricorsi, mostrando l’esecuzione in televisione
proprio come i filmati girati nel carcere di Spanda e con le sue effigi già abbattute nelle piazze
nell’esultanza prezzolata di alcuni facinorosi.
Una specie di 25 luglio mediorientale.
Conseguenza:
- Paese distrutto e irrecuperabile, vittima di
faide religiose, caduto completamente in
mano al Califfato islamico;
- potenziamento dell’I.S. (Stato Islamico) con il
quale, alla fine, dovremo venire a patti;
- migliaia di profughi verso altri paesi con
obiettivo l’Europa;
- di conseguenza, pretese civili, religiose e di
costumi in casa nostra, a fronte dei quali caleremo le mutande come sempre dal ’45 in poi.
Finito un nemico, se ne doveva trovare necessariamente un altro e chi meglio di Bashar
al-Assad, Presidente della Siria, orbitante nella
sfera d’influenza russa. Punibile lasciando campo libero ai guerriglieri di Al Qaeda armati con
armi pesanti anticarro e antiaeree americane,
fornite a suo tempo per contrastare i sovietici.
Comandati da quell’Osama bin Laden descritto
dal Washington Post “una voce aristocratica di
un terrorista intellettuale”, impegnato nel tentativo di fondare il Califfato; Stato islamico nel
cuore e nei pensieri di ogni musulmano.
Fortunatamente Assad ha resistito alle pres-
Manifesto tedesco degli anni ‘40
sioni internazionali tendenti alle sue dimissioni
e ha contrastato in solitaria l’avanzata ISIS. Ora
non lo si sente più definire tiranno sanguinario,
anzi non lo si sente definire affatto nell’imbarazzo generale causato dalla stupidità americana.
Alla fine Bin Laden vien fatto fuori nella sua
casa-fortino ad Abbottad, località nei pressi di
Islamabad in Pakistan con un’operazione dubbia e discordante nelle versioni, ma che contribuisce alla rielezione americana di Barack
Obama ed entusiasma l’Occidente. Salvo poi accorgersi che la frittata era fatta e Bin Laden o no
il Califfato ormai aveva assunto corpo e potere
anche attraverso l’unione dei gruppi terroristici
quali Talebani, Al Qaeda, Boko Haram in Nigeria e Camerun e Al Shabaab in Somalia, uniti
nella Guerra Santa per imporre la shari’a (legge
coranica) nell’occidente, approfittando dell’in- 22 -
- le nostre aziende costrette a fuggire abbandonando tutto, rinunciando, probabilmente per
sempre, ai crediti non riscossi;
- via libera all’arricchimento dei mercanti
d’uomini con una riserva pressoché infinita
di disperati destinata a invadere, non solo
noi, ma l’Europa intera.
Tutto questo per i combustibili, petrolio in resta, nel vano tentativo di esportare democrazia
e modo di vivere occidentale in paesi che non
lo desiderano, non lo comprendono, non sanno
che farsene.
Abbattuto l’autocrate, subentra il disordine,
la legge del più forte, il ladrocinio, la prevaricazione e la violenza in forma di vita. L’esempio
della Somalia, ove tuttora vige l’anarchia più
assoluta e il fallimento dell’allora tanta sbandierata operazione ”Restore Home” (ripristino
del focolare) non ha insegnato niente. Se l’intento, però, era quello di favorire il commercio di
armi, allora tutto questo ha ottenuto un successo enorme.
A questo punto il pensiero non può che andare a colui che gli intellettuali da salotto, pronti a blandire con il tepore della saliva le sinistre
nazionali, definiscono il nostro dittatore, assassinato in un oscuro cascinale per tappargli la
bocca e che non si può ricordare senza essere
aggrediti e insultati.
Concludo con le parole del giornalista ed
editore Leo Longanesi su Mussolini: “Che strana libertà è mai quella che vieta di rimpiangere
un tiranno defunto? Che strano tiranno fu mai
quello se riesce ancora a farsi rimpiangere?”.
R.P.
genuità dei servizi segreti, USA in testa. Come
ciò non bastasse, britannici e francesi pensarono
bene di appropriarsi dei pozzi petroliferi libici,
tentando di scalzare la nostra ENI che opera in
loco dai tempi di Enrico Mattei in accordo con il
governo di Mu’ammar Gheddafi. Per raggiungere lo scopo bisognava approfittare dell’opera di destabilizzazione in atto da parte dell’IS
nell’assetto politico dell’intero Nord Africa con
il progetto del Grande Califfato del Magreb.
Ora, nessun dubbio che Gheddafi sia stato un
sanguinario despota provocatore e ridicolo,
però, come Hussein, era in grado di controllare la miriade di tribù libiche che ora marciano a
piede libero e sono del tutto imprevedibili. Per
far questo inglesi e francesi, nemmeno loro del
tutto indipendenti, avevano bisogno dell’assenso dell’indeciso Obama, alla fine convinto dal
suo Segretario di Stato, quell’Hillary Clinton
più antipatica dell’arbitro Moreno e talmente incapace da essere costretta alle dimissioni.
Facciamo gli scongiuri, poiché sarà la prossima
candidata alla Casa Bianca.
Naturalmente i nostri politici al governo,
Berlusconi Presidente del Consiglio, con una
lungimiranza da nebbia fitta, appena raggiunti dagli ordini di Washington si sono affrettati a
mettere a disposizione le basi aeronautiche per
i bombardieri anglo-francesi, accomunandoci
nel successivo disastro nel quale noi occidentali
abbiamo fatto cadere quel Paese. Nostro unico
esempio di rifiuto di sudditanza, per amor di
verità bisogna citarlo, fu l’episodio nell’aeroporto di Sigonella nel 1985, durante il quale l’allora
Presidente del Consiglio Bettino Craxi, anche
se per un fine del tutto sbagliato, mostrò i denti
agli Stati Uniti imponendo la sovranità nazionale. Per il resto, un continuo leccar di piattini.
Risultato:
- la Libia, un Paese sconvolto dove comanda
chi commette più atrocità;
- messe in forse per noi le forniture di combustibili;
- 23 -
Da Sant’Angelo in Formis
C’è una umile lapide in pietra grezza e corrosa
dal tempo: ‘Nel gigantesco conflitto del ‘sangue contro l’oro’/ qui, tra gennaio e maggio del
1944, nella visione/ di una più grande Italia in
un’Europa unita,/ caddero fucilati dagli invasori anglo americani,/ i giovani soldati della
R.S.I.’. Segue l’elenco dei condannati a morte:
‘Aschieri Franco anni 18 – Bertoli Mauro anni
18 – Calligaro Alfredo anni 25 – Cancellieri
Luigi anni 19 – Cantelli Marino anni 21 – Donnini Domenico anni 25 – Menicocci Enrico anni
20 – Palesse Italo anni 22 – Poletti Paolo anni
24 – Scarpellini Virgilio anni 19 – Sebastianelli
Giulio anni 28 – Tapoli Timperi Mario anni 19
– Tedesco Vincenzo anni 19’. Su una seconda,
più piccola, sono riportati i versi di Robert Brasillach: ‘Amore e coraggio/ non sono soggetti/
a processo’.
La RAI TV trasmise spezzoni tratti da Combat
Camera Units, cronache filmate durante la Seconda Guerra Mondiale. Si apre il portone del
carcere di S. Maria Capua Vetere. Scortato da
due soldati in armi ne esce un giovane con la
camicia (nera), le maniche arrotolate fino ai gomiti, con passo svelto e fiero, il volto aquilino
lo sguardo deciso. Sale sul retro del camion che
l’attende, quasi fosse in ritardo per raggiungere gli amici ad una festa, a far baldoria. Credo
si tratti del romano Mario Tapoli, non ancora
vent’anni. Lo attende il palo dei condannati a
morte… Altra razza per un'altra stagione, eroica.
Da Sant’Angelo in Formis, frazione del comune di Capua, si prende una stradina sterrata.
Alla sua destra il piccolo abbandonato cimitero
a ricordo di alcuni garibaldini caduti durante
l’assedio alla città nell’ottobre del 1860. Trascuratezza o nostalgia borbonica. Protendo per la
prima ipotesi. Le cave, poco più avanti, sono
state in gran parte interrate e se ne scorge solo la
volta fra rovi e piante d’ulivo.
Sabotatori, infiltrati oltre le linee alleate, catturati e fucilati secondo le leggi di guerra. Alcuni
dei condannati furono portati a Nisida ove fu
eseguita la sentenza. La maggior parte di loro
appartenenti alla Xa MAS. Dai filmati, restituiti
alla memoria dopo anni giacenti negli archivi
USA, trasmessi in televisione, si vedono volti
Sant’Angelo in Formis, lapide in ricordo dei fucilati
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squadrati e sereni, oserei dire irriverenti, capaci d’affrontare la morte ad occhi aperti. E, a tal
proposito, ricordo una delle testimonianze raccolte alcuni anni fa, di un aviere della Repubblica Sociale che, rientrando al paese, s’incontrò
con la sua professoressa d’inglese. Lei comunista gli volle, però, raccontare un episodio di
quei giovani, pur se da lei avversi. Era stata
convocata al tribunale alleato e, con un anziano
colonnello americano, delegato a giudice, condotta nella cella ove erano rinchiusi tre di quei
giovani in attesa d’essere processati. L’ufficiale
le chiese di tradurre quanto intendeva proporre loro: dato che oramai la guerra era perduta,
dunque sarebbe stato il loro un sacrificio inutile, gli dessero lo spunto per salvare loro la vita,
trascorrendo così il resto del periodo bellico in
qualche campo di prigionia, ad esempio che
erano stati costretti ad agire sotto minaccia dei
loro superiori. Riferita la proposta, i tre chiesero di potersi consultare e, subito dopo, vollero
che lei traducesse quanto deciso: nessuno ci ha
obbligato, siamo volontari, dunque ciascuno
compia il proprio dovere, il colonnello a condannarli, essi legati al palo dei fucilati. Una
richiesta, questa sì, di non essere bendati per
poter vedere l’azzurro del cielo d’Italia per cui
avevano combattuto e per essa dato la vita...
Robert Brasillach
alleati, con gesto di ‘umana’ pietà, li interrarono senza nome e senza croce. Nel 1953 fu data
loro sepoltura per l’impegno tenace e paziente
della crocerossina della R.S.I. Maria Monticelli. Nel mio studio, reliquia ispiratrice di fede
e al servizio del comune Ideale possiedo un
semplice quadro senza cornice in cui, avvolto
da carta trasparente, un cartoncino riporta un
frammento di stoffa con la scritta autografa di
Maria Monticelli: ‘Pezzi di camicia nera presi al
momento dell’esumazione in presenza del magistrato dott. Tartaglione. Il 20 aprile 1953’. Mi
raccontavano come alcuni di quei giovani si annodassero alla vita la camicia nera in modo da
poterla indossare, qualora venissero catturati, e
poter morire con il simbolo per cui erano pronti
a donare se stessi, martiri ed eroi nel solco della tradizione di coloro che s’erano immolati, fin
Le salme dei ‘giustiziati’ (sempre vale il detto
di Brenno ‘Vae victis!) furono sistemate nel cimitero di S. Maria Capua Vetere e, a cura dei
reduci della R.S.I., la maggior parte di loro riconsegnate ai familiari e traslate nei cimiteri di
provenienza. Franco Aschieri e Cancellieri Luigi ebbero sepoltura nel medesimo cimitero così
come Menicocci Palesse Tepoli in un unico loculo a cura della locale sezione del M.S.I. dove
tuttora riposano i resti nel loculo n. 28 bis della
Cappella di San Nicola (Volontari della R.S.I./
fucilati dagli anglo americani/ caddero gridando Viva l’Italia’, anno 1979).
Diversa sorte ebbero i fucilati di Nisida. Gli
- 25 -
Da Sant’Angelo in Formis
dal tempo dello squadrismo spavaldo e fiero
del 1919… (Qualcuno avrà letto “Una ballata
del mare salato”, ideata e disegnata da Hugo
Pratt, il creatore di Corto Maltese, giovanissimo
volontario a Venezia della Xa MAS di cui mai
rinnegò l’esperienza e che, il mondo dei vinti che seppero preservare l’onore e la fierezza,
traspose in tante sue storie. Qui, tra la Nuova
Guinea e il mare delle isole Salomone si svolge la vicenda agli inizi della Grande Guerra.
Fra i personaggi il tenente di vascello Christian
Sluetter della marina imperiale tedesca. Catturato dagli inglesi, viene condannato come spia e
sabotatore mediante fucilazione, avendo indossato una divisa militare neozelandese. Sul luogo
della esecuzione egli scorge dei marinai tedeschi fatti prigionieri. Ad uno di costoro chiede
di poter indossare la sua giubba. “…la indossò
con cura e si sentì subito meglio: ora tutto acquistava un senso diverso”. È un altro modo di
collocarsi davanti al plotone d’esecuzione, alle
“otto canne di Enfield” avide del suo sangue).
termino la lettera perché il tempo dei condannati a morte è contato fino al secondo. Sono
contento della morte che mi è destinata perché
è una delle più belle essendo legata a un sacro
ideale. Io cado ucciso in questa immensa battaglia per la salvezza dello spirito e della civiltà,
ma so che altri continueranno per la vittoria che
la Giustizia non può assegnare che a noi. Viva il
Fascismo! Viva l’Europa!”…
Poco o nulla d’aggiungere se non che, noi orfani
volontari e felici dall’ideologia, illuminismo o
marxismo che sia, ci nutriamo d’esempi, abbisognamo di testimonianze con cui confrontare,
giorno dopo giorno, quanto in coerenza e in fedeltà siamo capaci di mantenere retta la barra
degli ideali dai marosi ostili dell’ignavia del cedimento della lusinga vana.
Un ulteriore esempio di quell’eroismo e, al contempo, dell’infamia dei vincitori. Fra i sabotatori catturati vi era il tenente di vascello Paolo
Poletti, di Firenze, di anni 24, interrogato e sottoposto a tortura in una villetta nei pressi di
Torre Annunziata, seviziato tanto da perdere la
ragione. Condotto nel carcere di S. Maria Capua
Vetere, venne denudato ammanettato e rinchiuso da solo in cella. La mattina del 19 maggio
la porta della cella fu lasciata “stranamente”
aperta e, uscito nel corridoio in preda al delirio
venne freddato da un sergente americano. Suicidato tramite deliberato omicidio… Aggiungo
che, fra i fucilati di Nisida vi fu il diciassettenne
veronese Viviani Ennio, che, per la giovane età,
avrebbe dovuto essere risparmiato e che andò
a morire cantando l’inno dei giovani fascisti.
Morti ormai dimenticati? Caduti nell’oblio del
tempo e della menzogna? Chi si ricorderà di
voi? I vostri coetanei soggiacciono all’anagrafe
impietosa; la mia generazione, nata a ridosso di
quelli avvenimenti, si sta essa stessa inoltrando
verso il gioco delle ombre al calar della sera. I
più giovani… No, c’è chi trasmette e sa raccogliere il buon seme. Noi non li abbiamo abban-
Nei filmati USA si vede la fucilazione di tre sabotatori – Italo Palesse, a torso nudo e pantaloncini con la sigaretta in bocca; Vincenzo Tedesco,
piccolo, gli occhi furbi e sorridenti di Napoli,
con i pantaloni da ufficiale; Franco Aschieri, alto
i capelli mossi e un maglione a collo alto che,
nel metterlo in una rozza cassa di legno dopo
la scarica dei fucili, viene spinto dentro con una
pedata. E va ricordato come il plotone degli
assassini in uniforme era composto da italiani
chè gli alleati preferivano lasciare ai servitorelli,
sciocchi e vili, il compito sporco...
Proprio quest’ultimo, poco prima di morire,
scrive alla madre una lettera struggente e rasserenante. Egli non è un intellettuale un poeta uno
studioso, è un giovane di anni 18, ardente d’entusiasmo, d’amore, di passione e, al contempo,
consapevole delle ragioni del proprio sacrificio.
Ne trascrivo il passo conclusivo (meriterebbe
essere letta nella sua interezza): “Cara mamma,
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donati al silenzio, all’ottenebramento della memoria, al disprezzo della storia. Non possiamo
non dobbiamo non vogliamo. Egoisticamente.
Per sentire loro tramite le emozioni, le uniche
che contano, quelle che sanno spazzare via le
chiacchiere stupide le sirene i concetti del comodo e dell’utile. Ecco perché, nel luogo sacro ove
si conservano i resti di altri giovani combattenti
per l’Onore, al Campo della Memoria, nei pressi
del mare e lungo il prato erboso, li chiameremo
uno ad uno affinché il nostro ‘Presente!’ li accolga, ancora una volta, fra le nostre file e siano essi
guida al nostro cammino…
Mario Michele Merlino
Abbiamo rinvenuto nella rivista francese “Uniformes”, nella pagina “Identifikator” numero speciale 300, maggio-giugno 2015, tra le altre, questa foto.
Traduzione: La mia domanda riguarda un distintivo (in stoffa n.d.t.) contrassegnato “RTE FULMINE VOL. DI FRANCIA” con misure 8 cm. x 4 cm. Della carta è stata incollata sul retro.
Il distintivo è tratto dai ricordi di un veterano della 3a Div. U.S. Cosa significa “RTE FULMINE”? Il colore del distintivo indica forse un’unità speciale?
Il Presidente Carlo Alfredo Panzarasa, pur facendo parte del Btg. Fulmine, non riesce a individuare tale distintivo né per la scritta “RTE” né per il colore azzurro. Generalmente, in gergo militare, la sigla RTE indica la specialità dei radiotelegrafisti. Noi sappiamo, però, che nella Decima tale impegno era di competenza del Btg. Freccia, tant’è
che a Tarnova della Selva assieme ai Bersaglieri del Fulmine e sul Senio assieme ai marò
del Lupo, persero la vita anche Trasmettitori del Freccia. Forse RTE è abbreviativo per
Regiment in lingua francese? Se qualcuno è in grado di far luce è pregato di comunicarlo alla Segreteria. La o le risposte saranno oggetto di pubblicazione successiva.
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È successo davvero...
….ovvero strane storie in una strana Italia
e, giacché non si può sciogliere il Comune per
le ragioni di cui sopra, il Ministro degli Interni
Alfano, di pari inettitudine, ha pensato di dargli una stampella con ampi poteri nella figura
del Prefetto Gabrielli. Qualcuno ha detto che
dopo duemila anni siamo tornati ai Consoli
della Roma repubblicana. Io credo, invece, che
vista l’incapacità al Marino sia stato assegnato
un Sindaco di sostegno!
Solidarietà 1
Due senzatetto, senza lavoro e senza famiglia, conseguenza della dissennata politica degli ultimi anni, vivono sotto un precario riparo
in uno spazio verde della Città di Udine (Comune sinistrorso). A far loro compagnia e condividere il disagio due gattini. Le bestiole sono
state sequestrate, su disposizione dell’amministrazione comunale, poiché costretti a vivere in
condizioni disagiate e non consone alla dignità
dovuta agli animali! Giusto. E le persone? Chi
se ne frega. Possono vivere come e dove nemmeno le bestie! Morale: vi hanno tolto tutto,
ora anche gli affetti.
Mafia Capitale 2
Di rientro dagli USA dopo una lunga vacanza non certamente meritata, l’ex Sindaco
Ignazio Marino chiamato a rispondere in merito a “Mafia Capitale” ha detto lapidario che
così come è stato sconfitto il fascismo così verrà
sconfitta anche la mafia, di fatto equiparandoli. Quale uscita peggiore! Forse sarebbe bene
ricordare all’ex Sindaco che è stato proprio il
fascismo a sconfiggere la mafia grazie all’opera
del Prefetto Cesare Mori e che la stessa mafia è
rientrata in Italia solo al seguito degli americani, impegnati in prima linea nella lotta contro
il fascismo.
Solidarietà 2
In un angolo di grigia strada a Trieste, inginocchiato e abbruttito dal primo freddo, un
elemosinante fuori dal coro intimava sul suo
cartone: “Sono italiano, cristiano e mi accontento di poco. Per questo nessuno mi aiuta...”.
Quale squallida verità!
Mafia Capitale 1
Il Comune di Roma non può essere sciolto
“per mafia” altrimenti l’immagine, non solo
della Capitale ma dell’Italia intera, subirebbe
uno sputo in faccia difficilmente assorbibile.
L’ex Sindaco Ignazio Marino, chirurgo di poco
pregio negli Stati Uniti e di nessuno qui in Italia, per sopravvivere ha scelto la via politica
quale modo migliore e meno faticoso per mantenersi e perché no, se d’occasione, anche arricchirsi. Ora, tenuto conto che il personaggio ha
fallito in tutti gli altri tentativi (Segretario PD e
deputato), l’alternativa avrebbe potuto essere
il sindacato, ma con meno certezze e occasioni.
Rimane, pertanto, attaccato alla poltrona non
intendendo rinunciare alla sua ultima spiaggia
In vino veritas
Dopo il Tocai, anche il Terrano non potrà
più essere prodotto con il suo nome in Friuli
Venezia Giulia, perché la Slovenia ne rivendica l’originalità (il vino è nato invece a cavallo
dell’attuale confine quando ancora non esisteva una coscienza nazionale slovena). Che dire
allora della mozzarella, del Parmigiano e del
Chianti che tutto il mondo impunemente ci copia? Il Governo tace come sempre, pur di non
urtare la “sensibilità” del vicino staterello, non
difendendo così, dopo l’introduzione delle
arance spagnole e dell’olio bulgaro, la nostra
principale ricchezza: l’agroalimentare.
- 28 -
La Conferenza di Wannsee e la Soluzione Finale
sia portarono ad un importante cambiamento
della destinazione nella politica estera nazista:
alla “soluzione finale” mediante trasferimento
degli ebrei europei nel Madagascar subentrò la
“soluzione finale territoriale” mediante deportazione degli ebrei europei nei territori orientali occupati dai tedeschi.
Riportiamo un articolo di Carlo Mattogno,
tratto da “Candido” del 21 ottobre 1989, in
merito alla conferenza di Wannsee tenutasi
alla presenza di Hitler, nel corso della quale,
contrariamente a quanto sostenuto dagli storici, non fu progettato il piano di sterminio
ebraico, ma soltanto la deportazione degli
ebrei europei nei territori dell’Est conquistati
in quei mesi dall’esercito tedesco.
Questo cambiamento fu proposto già il 22
agosto 1941 dell’SS Sturmbannführer Carltheo
Zaitschel (cognato di Carlo Panzarasa, n.d.r.),
consigliere presso l’ambasciata tedesca a Parigi, in una nota redatta per l’ambasciatore
Ebetz: “La crescente conquista e occupazione
degli altri territori orientali – scrive lo Zaitschel
– attualmente potrebbe portare in brevissimo
tempo il problema ebraico ad una soluzione
definitiva e soddisfacente in tutta l’Europa.
Come risulta da un appello di tutta la stampa
ebraica della Palestina agli Ebrei americani, nei
territori da noi occupati nelle ultime settimane, specialmente in Bessarabia, risiedono oltre
sei milioni di Ebrei, cioè un terzo dell’ebraismo mondiale. Nel nuovo ordine del territorio
orientale bisognerebbe comunque raccogliere
in qualche modo questi sei milioni di Ebrei delimitando previamente un territorio orientale
per loro. Per questo non ci dovrebbero essere
problemi più grandi, se vi fossero deportati
anche gli Ebrei attualmente rinchiusi nei ghetti a Varsavia, Litzmannstadt, Lublino ecc. Per
quanto concerne i territori occupati come l’Olanda, il Belgio, il Lussemburgo, la Norvegia,
la Jugoslavia, la Grecia, gli Ebrei potrebbero essere portati nel nuovo territorio in trasporti di
massa semplicemente con ordini militari; agli
altri Stati potrebbe risultare evidente seguire
l’esempio e mandare i loro Ebrei in questo territorio. Allora potremmo avere in brevissimo
tempo un’Europa senza Ebrei. L’idea di trasportare tutti gli Ebrei nel Madagascar, - prosegue Zeitschel – che aleggia da anni e che alcuni mesi fa è stata di nuovo prospettata anche
dall’ammiraglio Darlan, in se stessa non è catti-
La maggior parte degli storici hanno supposto che il “piano di evacuazione” si riferisca
a un “programma di sterminio”, ma alcuni,
come il Direttore dell’Institut fur Zeitgeschichte
di Monaco, Martin Broszat, considerano la lettera di Göring (nella quale si parla di soluzione
finale senza ulteriori chiarimenti: nota del trascittore) un semplice incarico “per la preparazione di un vasto programma di deportazione
ebraica”, lasciando aperto il problema della
destinazione.
Con questa lettera Göring ordinava semplicemente l’emigrazione o evacuazione totale
degli ebrei che si trovavano sotto il dominio
tedesco per il Madagascar come scopo finale
della politica ebraica tedesca.
Heydrich stesso scrivendo il 6 novembre
1941 che già da anni era incaricato di preparare
la “soluzione finale” in Europa, faceva chiaramente risalire questo incarico al decreto del 24
gennaio 1939 e identificava la “soluzione finale” con la “soluzione in forma di emigrazione
o evacuazione” della lettera di Göring.
In questo contesto si inserisce anche l’ordine
di proibire l’emigrazione ebraica dai territori
occupati “in considerazione della soluzione finale della questione ebraica europea prossima e
già in preparazione” che fu trasmesso da Heichmann al Ministero degli Esteri il 28 agosto 1941.
Nei mesi successivi le difficoltà della guerra
e le prospettive aperte dalla campagna di Rus- 29 -
La Conferenza di Wannsee e la Soluzione Finale
va, ma subito dopo la guerra potrebbe incorrere in difficoltà di trasporto insuperabili, poiché
il tonnellaggio mondiale, duramente decimato
dalla guerra, servirà certamente ad altre cose
più importanti del portare a spasso nei mari
del mondo grandi masse di Ebrei. Prescindendo completamente dal fatto che un trasporto
di circa 10 milioni di persone durerebbe anni
persino se ci fossero a disposizione numerose
navi. Io propongo, perciò, di sottoporre questa
questione alla prossima occasione al Ministro
degli Esteri dei Reich e di pregarlo di discutere,
secondo tale direttiva, col futuro ministro dei
territori orientali già nominato, il Rishsleiter
Rosemberg e col Reichsführer SS, e di esaminare la faccenda nel senso da me proposto. Il
problema del trasporto degli Ebrei nei territori
orientali potrebbe essere risolto persino durante la guerra e non incontrare, dopo la guerra,
difficoltà insuperabili, tanto più che tutti gli
Ebrei del Governatorato generale potrebbero
senz’altro percorrere con le loro vetture sulle
strade la distanza che li separa dal nuovo territorio delineato”.
L’SS Reichsführer Heinrich Himmler
no dopo fu ordinata l’evacuazione all’Est di
50 mila Ebrei del Vecchio Reich, dell’Austria e
della Boemia-Moravia.
Dopo aver accennato alla situazione dell’ebraismo francese, Zeitschel concluse: ”proporrei
inoltre di portare a conoscenza di quest’idea, alla
prossima occasione, anche il Reichsmarschall
(Göring, ndr), che in questo momento è molto
sensibile appunto al problema ebraico, perché
egli, da parte sua, per la sua attuale posizione e
per le sue esperienze della campagna dell’est,
potrebbe essere un sostegno straordinariamente forte nella realizzazione dell’idea suddetta”.
Il nuovo orientamento della politica ebraica nazista fu comunicato ufficialmente alle alte
gerarchie del Partito alla conferenza di Wannsee, la quale fu convocata a questo scopo precipuo. La conferenza in questione, già programmata per il 9 dicembre 1941, si svolse a Berlino,
a Grossen Wannsee 56/58, il 20 gennaio 1942.
Il relatore fu Reinhard Heydrich.
La proposta di Zeitschel fu accolta qualche
mese dopo da Hitler stesso, il quale decise di
abbandonare provvisoriamente il progetto
Madagascar e di deportare tutti gli Ebrei nei
territori occupati all’Est. La decisione del Führer risale presumibilmente al mese di ottobre,
poiché il giorno 23 Himmler proibì con effetto immediato l’emigrazione ebraica e il gior-
Il capo sella Polizia di Sicurezza e del SD
(Servizio di Sicurezza) delle SS, l’Obergruppenführer Heydrich, comunicò all’inizio della conferenza la sua nomina a incaricato per
la preparazione della “soluzione finale della
questione ebraica europea” da parte del Reischmarschall Göring e sottolineò che era sta- 30 -
to invitato a convocare questa conferenza per
chiarire questioni di principio.
Già nell’agosto 1940 Hitler aveva manifestato l’intenzione di evacuare tutti gli Ebrei
d’Europa dopo la guerra. Secondo una nota
della cancelleria del Reich del marzo-aprile
1942, egli intendeva occuparsi della questione
ebraica dopo la guerra e il 24 luglio dichiarò
che, dopo la fine della guerra “avrebbe distrutto città dopo città se gli Ebrei non fossero usciti
e non fossero emigrati nel Madagascar o in un
altro Stato nazionale ebraico”.
Il desiderio del Reichsmarschallche gli fosse trasmesso un progetto relativo alle questioni
organizzative, pratiche e materiali relative alla
“soluzione finale della questione ebraica europea”, “esige – affermò Heydrich – una trattativa preliminare comune di tutte le autorità
centrali direttamente interessate a tali questioni per coordinare le direttive d’azione”.
L’intenzione nazista di risolvere la questione ebraica dopo la fine della guerra risulta
anche dalla cosiddetta “Braune Mappe”, che
risale all’estate del 1941. Il paragrafo “Direttive per la soluzione della questione ebraica” di
tale documento, che “prescrive misure severe,
ma non lo sterminio”, si apre infatti con le seguenti parole: “Tutte le misure concernenti la
questione ebraica nei territori occupati dell’Est
dovranno essere prese con l’idea che dopo la
guerra la questione ebraica troverà in Europa
una soluzione generale”.
Per ordine di Hitler, affermò Heydrich, la
soluzione finale mediante emigrazione volontaria o coatta di tutti gli Ebrei europei nel Madagascar, era sostituita dall’evacuazione nei
territori orientali occupati, ma soltanto come
“possibilità di ripiego” in attesa di riprendere
la questione dopo la fine della guerra.
La conferenza di Wannsee fu dunque convocata unicamente per comunicare alle autorità interessate l’abbandono della politica di
emigrazione o evacuazione nel Madagascar e
l’inizio in grande scala di quella deportazione
all’Est, e per discutere i problemi connessi.
Il progetto Madagascar fu abbandonato ufficialmente il 10 febbraio 1942. Una lettera informativa di Rademacher al delegato Bielfeld
del ministero degli Esteri in data 10 febbraio
1942 ne spiega la ragione: ”Nell’agosto del 1940
Le consegnai per i Suoi atti il piano della soluzione finale della questione ebraica elaborato
dal mio Ufficio, secondo il quale, nel trattato
di pace, si doveva esigere dalla Francia l’isola del Madagascar, ma l’esecuzione pratica del
compito doveva essere affidata all’Ufficio Centrale di sicurezza del Reich. Conformemente a
questo piano, il Gruppenführer Heydrich è stato incaricato dal Fuhrer di attuare la soluzione
L’SS Obergruppenführer Reinhard Heydrich
- 31 -
La Conferenza di Wannsee e la Soluzione Finale
della questione ebraica in Europa. La guerra
contro l’Unione Sovietica ha frattanto dato la
possibilità di mettere a disposizione altri territori per la soluzione finale. Di conseguenza il
Führer ha deciso che gli ebrei non devono essere espulsi nel Madagascar, ma all’Est. Perciò
il Madagascar non deve essere previsto per la
soluzione finale”.
dopo la guerra venga assegnata loro un’isola,
per esempio il Madagascar. Certo non vi sarà
pace per l’Europa finché tutti gli Ebrei, sino
all’ultimo, non ne siano stati eliminati”.
Questo documento chiarisce che la lettera di
Göring del 31 luglio 1941 non si riferisce minimamente ad un “piano di sterminio” ebraico,
perché Heydrich, in tale occasione, aveva ricevuto da Hitler, tramite Göring, il compito di attuare la soluzione finale della questione ebraica in Europa “conformemente a questo piano”,
cioè conformemente al piano Madagascar, il
che costituisce un’ulteriore conferma del fatto
che la “Endlosung” della lettera di Göring non
designa altro che l’emigrazione o l’evacuazione degli ebrei nel Madagascar. Alla conferenza
di Wannsee, dunque, non è stato progettato alcun “piano di sterminio” ebraico, ma soltanto
la deportazione degli Ebrei nei territori orientali, come conferma Göring, che il 7 marzo ne
riassume sinteticamente i termini essenziali:
“La questione ebraica dev’essere risolta su scala europea. In Europa ci sono ancora 11.000 (?)
(forse un refuso nell’articolo, probabilmente la
lettera in questione parlava di 11 milioni, ndr)
di Ebrei. Tanto per cominciare, dovranno essere tutti confinati in Oriente; è possibile che
L’SS Sturmbannführer Carltheo Zeitschel
Curriculum di Carltheo Zeitschel
- Nato ad Ausburg il 13 marzo 1893, studia medicina e consegue il dottorato. Volontario nella prima guerra mondiale come Assistente Medico di Campo, congedato il 5 febbraio 1919.
- Lavora come medico clinico e ospedaliero fino al 1925, quando diviene medico personale del kaiser Guglielmo
II nell'esilio olandese. Aderisce tra i primi al Partito Nazista.
- Dal 1925 al 1935 ricopre anche l'incarico di Medico navale per il controllo delle colonie tedesche africane. Nel 1937
è nominato Consigliere di legazione alle dipendenze del Ministero degli esteri, quindi Console a Lagos (Nigeria).
- Nel 1939 è assegnato all'Ambasciata di Varsavia. Allo scoppio della seconda guerra mondiale presta servizio in
Tunisia come Medico da Campo con il grado di SS-Sturmbannführer. Nel 1942 viene assegnato all'ambasciata di
Parigi. Conosce e sposa Giovanna (Vanna) Panzarasa, da cui avrà una figlia.
- Deceduto il 21 aprile 1945 a seguito di ferita da mitragliamento aereo.
- 32 -
Il mio Comandante Capitano Guastatore Alpino Manlio Maria Morelli
Nato e vissuto in terra di confine, recepiti
intimamente gli insegnamenti di allora e fortemente convinto nell’ideale di Patria, fui portato nel 1944 ad allontanarmi da casa e ad arruolarmi poco più che diciassettenne nelle Forze
Armate della Repubblica Sociale Italiana.
Quest’atto non era altro che la logica conseguenza del mio modo di pensare e di vivere, l’unica remora che mi aveva frenato al gran
passo era il rispetto per i miei genitori ed il dispiacere che avrei loro arrecato.
Sui monti, a difesa dei sacri confini della Patria
Ho finito la mia breve parentesi di “guerra” nel tragico aprile del 1945, quale guastatore
alpino del Battaglione “Valanga” della Decima
Flottiglia MAS. Sono stato fortunato, salvo
qualche piccolo incidente di percorso, sono riuscito a tornare a casa. Quanti invece pagarono
con la vita, con il campo di concentramento e
con la galera la scelta di aver indossato l’ultimo
grigioverde!
Ho onorato la mia divisa e tenuto fede al
giuramento sino all’ultimo. Non ho mai nascosto di aver militato con entusiasmo nella R.S.I.,
né fatto mistero della mia Fede, ed oggi – dopo
la famiglia – il mio maggior impegno è operare
affinché viva sempre il senso del dovere verso
la Patria.
Il mio Comandante di Battaglione era un
valoroso Ufficiale, combattente di tutti i fronti,
ferito e pluridecorato al Valor Militare: Capitano guastatore del Genio alpino Manlio Maria
Morelli. Per tutti i Reduci, i “veci” di Grecia
e di Russia, i “giovani” del Valanga è rimasto
sempre: il “Comandante”.
Mi ha onorato della sua schietta e fraterna
amicizia che rimarrà imperitura nel ricordo, ed
ora che ci ha lasciato, il suo “ciao caro” con il
quale mi congedava dopo una telefonata od
un incontro, mi mancherà enormemente.
Parlare del Comandante mi è molto difficile, anche perché nel suo dignitoso riserbo non
parlava mai del suo passato né tanto meno delle tragiche vicende dell’aprile ’45 che lo aveva-
Un giovane alpino volontario nel Valanga
- 33 -
Il mio Comandante Capitano Guastatore Alpino Manlio Maria Morelli
no visto condannato, degradato, incarcerato e
privato delle Medaglie al Valor Militare con il
completo disconoscimento di tutti gli anni di
carriera militare e con conseguente perdita di
tutti i benefici economici.
RAGGRUPPAMENTO NAZIONALE
COMBATTENTI E REDUCI RSI
- CONTINUITÀ IDEALE -
Non si confidava con alcuno e solo se richie-
Come Combattenti repubblicani ricordiamo
l'8 Settembre 1943. Quella data di resa senza
condizioni che l'Italia ufficiale, anche quest'anno, ha voluto indicare come inizio della Resistenza. Un inizio altamente edificante se si
considera la sua essenza: il tradimento più
squallido verso l'alleato dopo oltre tre anni di
guerra, degno di una troupe di saltimbanchi di
periferia, con il re e la banda Badoglio in fuga;
centinaia di migliaia di soldati italiani abbandonati a se stessi, senza ordini, con tutte le tragiche conseguenze, con un Esercito che si scioglie come neve al sole, trasformandosi in una
massa anonima di sbandati; e infine la Marina,
orgoglio e sacrificio di un'intera Nazione che
si consegna al nemico, estremo oltraggio all'onore militare e a migliaia di Caduti. Un 8 Settembre che ha datato il nostro Paese in vigliaccheria e mancanza di parola, ancora oggi sotto
traccia ogni qualvolta l'Italia venga chiamata
a impegni di carattere internazionale. A dirla
tutta, una data, un evento che provoca il vomito. Ma mentre lasciamo alla Resistenza l'onore
di tale dichiarato inizio, vogliamo ricordare con
supremo orgoglio il 9 Settembre, quel giorno
dopo del 1943 che ha visto nascere la rivolta
per l'Onore d'Italia. Una rivolta, non ancora
nata la Repubblica Sociale Italiana, ma che ne
ha costituito la premessa con il ritorno dei primi Reparti alle armi. La gioventù d'Italia, la
migliore gioventù, che in 18 mesi di passione
e di sacrificio ha riscattato l'Onore dell'intera
Nazione. E boia chi molla!
Il Valanga nella caserma di Salcano (GO)
sto, fieramente orgoglioso di aver comandato
la 9a Compagnia del XXX Guastatori Alpini ed
il battaglione “Valanga”, era prodigo di parole
per i suoi soldati, ricordandoli per la loro abnegazione e dedizione.
Le mie parole sono troppo aride per onorare degnamente il Comandante e, soprattutto,
non riescono ad esprimere pienamente quanto
c’è nel mio cuore, pertanto rivedendolo con gli
occhi di giovane volontario, lo ricorderò attraverso i fatti che lo videro protagonista.
Giorgio Roberti
Btg. Guastatori Alpini “Valanga”
Gianni Rebaudengo
Presidente Nazionale
R.N.C.R. - Continuità Ideale
- 34 -
La leggenda dei Guastatori Alpini
L’isba calda fu lasciata
nel villaggio preso il Don
cominciò la ritirata
e rombavano i cannon.
Cannonate in mezzo al gelo
neve rossa come vin
penne nere dritte al cielo
alla morte van gli Alpin.
Dopo giorni disperati
una notte a Sheliakin
siamo stati circondati
dai carristi di Stalin.
Prigionieri tutti quanti
ma l’Alpino disse NO,
su Valanga, avanti, avanti!
e all’assalto si scagliò.
Nei deserti freddi e bianchi
camminammo notte e dì
quando a sera stanchi stanchi
un villaggio si scoprì.
Ma dall’isbe e dal mulino
cominciavano a sparar:
non si dorme, vecchio alpino,
devi ancora camminar.
Camminar per lunghe ore
col fucil gelato in man
con l’Italia in fondo al cuore
sorridente di lontan.
Dolce Italia, son tornato,
quanto ti sognai laggiù!
ma i fratelli che ho lasciato
non li rivedrò mai più.
Quando a Rossosch siam rivati
General non c’era più
tutti gli altri eran scappati:
Guastator pensaci tu!
Alle sette del mattino
il Maggior ci radunò
“sul Kalitna c’è il Cervino”
e a soccorrerlo si andò.
Eravam ormai vicini
ma il Cervino ripiegò
con i Guastatori Alpini
il nemico si gettò.
Ed è morto il mio Maggiore
ch’era in testa al Battaglion
sono morti con onore
i più bei del mio ploton.
Con un braccio fracassato
torna indietro il Capitan
“il Maggior l’hanno ammazzato
devo andarlo a ritrovar”.
Lo piangeva ogni soldato
ch’era morto si narrò
ma dei Russi un carro armato
quella sera non tornò.
S’era in pochi ormai restati
quando ad Opitz s’arrivò
coi cannoni e i carri armati
tanti Russi si trovò.
Testo scritto dal Sotto Tenente Medico Giulio
Turci a Vittorio Veneto il 30 ottobre 1944
- 35 -
Una testimonianza dal Kosovo
Pietre lanciate al di là di un cancello. Oltre la
recinzione i figli del parroco di Orahovac, cittadina meridionale del Kosovo-Metohija, stanno giocando. E’ il primo mercoledì di ottobre
e dentro l’edificio, dedicato alla Madonna, si
svolge la consueta liturgia, bruscamente interrotta dal rumore sordo delle pietre e dalle urla
di spavento dei bambini.
glietto rivendica il sogno della grande Albania.
Il terrore divampa così. Da un momento
all’altro, senza bussare ma infrangendo e violando anche gli ambienti più sicuri. Anche
nel rettangolo verde di una partita di pallone.
Come è accaduto in occasione di Albania-Serbia, giocata ad Elsaban, a 35 km dalla capitale
albanese di Tirana, lo scorso 8 ottobre. Il match,
che avrebbe dovuto coinvolgere settanta studenti serbi in un programma bilaterale di promozione dell’amicizia tra i due Paesi, si è subito tramutato in guerriglia. E alla fine, a vincere,
è stato sempre lui: l’odio interetnico. “È solo l’ennesimo gesto di intolleranza”,
minimizzano i serbi che risiedono lì, fortunatamente senza conseguenze gravi, “che quattro
ragazzi di etnia albanese hanno rivolto alla nostra comunità”.
Uno, dieci, cento, tanti. Ancora troppi sono
gli atteggiamenti di intolleranza che scandiscono la vita degli enclavizzati serbi in KosovoMetohija. A Prizren, alle pendici dei Monti Sharr,
c’è Milica, una bambina di otto anni, l’ultima
bambina serba rimasta in città. Alla vigilia dei
bombardamenti NATO del 1999, la comunità
serba di Prizren contava più di 12mila persone.
Oggi, spiega Evica, la madre di Milica, “sono
tutti morti, o fuggiti, siamo rimasti in trenta”
e, racconta, “ancora marchiano le nostre abitazioni con dei segni per fare di noi dei bersagli”.
Evica una notte si sveglia di soprassalto, qualcuno ha scaraventato una grossa pietra nel suo
soggiorno, a terra tra vetri affilati sparsi un bi-
Una croce distrutta dall’odio religioso
Ma come fanno i serbi del Kosmet - come
era detta l’ex provincia serba nel linguaggio
burocratico di allora - a non arrendersi alla
paura? La paura per sé e per le proprie famiglie. Come fanno a non capitolare neanche
quando un sacrosanto diritto, quello di dare un
futuro ai propri figli, viene loro negato?
Secondo lo studioso Joze Pirjevec, massimo
esperto dei conflitti balcanici, per i serbi “il Kosovo, incuneato tra Albania, Serbia e Montenegro, pur sprovvisto di barriere naturali di valore storico o simbolico, con le sue memorie ed i
suoi santuari rappresenta nella sua interezza un
simbolo della loro individualità religiosa, culturale e politica, una specie di Gerusalemme”. Soldato austriaco del KFOR
- 36 -
no nel resto dei Balcani. Non ci sono piscine o
campi da tennis, la gente non ha lavoro, vivono alla giornata cercando di rendersi autosufficienti tramite la coltivazione della terra, l’allevamento del bestiame e aprendo piccoli negozi
alimentari per fornire i beni di prima necessità
a tutti gli abitanti”. A restituire l’immagine del Paese più giovane e più disperato d’Europa non sono solo
le ingiustizie subite dal popolo serbo che, con
decenni di ritardo, ha ottenuto dal parlamento
di Pristina l’istituzione di un tribunale speciale
che indagherà sui casi di tortura, omicidio, detenzione illegale e traffico di organi di cui sono
stati accusati alcuni militari dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (Uck). La miseria, seppur in modo differente, è condivisa e, da questo punto di vista, il Kosovo è un fallimento
anche per i vincitori che, a differenza dei loro
avversari di un tempo, non esitano a fare fagotto. Nell’ultimo anno, infatti, sarebbero decine
di migliaia i kosovari albanesi che avrebbero
chiesto asilo in Germania.
Velja Stjocovich, parroco di Orahovac
Quattordici monasteri e chiese ortodosse
storiche, le rovine di altri ventitre monasteri e
centoquaranta chiese, la Piana dei Merli di Kosovo Polije - a nord della nuova capitale di Pristina - dove nel 1389 si combattè una battaglia
assunta a mito fondante dell’identità serba:
tutto questo è il Kosovo-Metohija. La sacralità
di questa terra conserva ancora oggi una valenza simbolica più alta di qualsiasi prezzo da
pagare.
“Dove c’è un solo serbo, quella è Serbia” ripetono quelli che, proprio perché ci credono,
resistono nei piccoli villaggi che in geografia
politica rappresentano le “enclaves”, ritagli di
terra situati entro i confini kosovari ma che politicamente ancora dipendono da Belgrado. Elena Barlozzari
Qui sono costretti a vivere i serbi, qui Matteo Caponetti e il Fronte Europeo per il Kosovo
operano con i loro progetti di solidarietà ormai
da anni. “Cerchiamo di trasmettere speranza
soprattutto ai ragazzi che nascono e crescono
qui”, racconta Caponetti, recentemente rientrato dalla sua quarta missione nel Kosmet. “Le
case” - spiega il volontario - “sono modeste e
non attrezzate per vivere una vita normale, le
scuole sono spesso fatiscenti e sprovviste di
materiale scolastico. Non ci sono campi sportivi per permettere ai più giovani di imparare a
tirare ad un canestro come i loro coetanei fan-
Alunni della scuola serba di Orahovac
- 37 -
SONO ANDATI AVANTI...
ULTIMISSIME IN BREVE
Altieri Giovanni Gruppo Artiglieria Colleoni
MOVM Bianchi Emilio Mezzi d’assalto
Ilariucci Ivo Mezzi d’assalto
Nicolai Renato Battaglione Lupo
Rossetto Mario Com.te Smg. “Finzi”
Savoini Gianni Battaglione Sagittario
Toniolo Giancarlo Battaglione Lupo
Grechi Franco Mascotte Barbarigo
Maluta Emilio Battaglione Lupo
Venerdì 13 novembre il Presidente
Carlo Alfredo Panzarasa riceverà il
“Premio Duelli-Gallitto” 2015 presso
la Sala del Campidoglio in Roma.
L’U.N.C.R.S.I. di Trieste ha dato alle
stampe un volume in ricordo del 70°
della Battaglia di Tarnova della Selva.
Chi ne fosse interessato contatti la Segreteria.
ELENCO SOCI SOSTENITORI
Bertani Andrea
Brigadini Lino
Bruni Bruno
Cagliani Giampaolo
Castagna Renato
Fornari Pierbenito
Ghingo Fabio
Giari Sergio
Giombini Giorgio
Grechi Franco
Hubbard Clayton
Mariucci Marcellino
Teoni Minucci Paolo
Paglia Marco
Pasqualino di Marineo Guido
Pecile Aldo
Senchenko Oxana
Simoni Michele
Stokland Marit
Suban Marco
L’Istituto di Ricerche Storiche e Militari dell’Età Contemporanea di Trieste ha spostato la propria sede presso
la Casa del Combattente in via XXIV
Maggio n. 4 sempre a Trieste.
ELENCO SOCI BENEMERITI
Fedegari Giuseppe
Frigerio Stefano
Mancini Giorgio Andreino
Nicolis Romano
Wolk Ilse
- 38 -
- 39 -
ASSOCIAZIONE COMBATTENTI Xª FLOTTIGLIA MAS – R.S.I.
Raduno combattenti Xa Flottiglia MAS
71° della Battaglia di Tarnova della Selva
GORIZIA 16 e 17 GENNAIO 2016
SABATO 16 gennaio
ore 10.00
Omaggio floreale al Lapidario dei dipendenti comunali deportati in Jugoslavia;
incontro con il Sindaco di Gorizia presso la Sede municipale
ore 16.00
S. Messa presso la Chiesa dei Cappuccini in Piazza San Francesco
DOMENICA 17 gennaio (corriera a disposizione per tutto il percorso)
ore 10.00
Deposizione corone al Monumento ai Caduti ed al Lapidario dei deportati civili in Jugoslavia,
presso il Parco della Rimembranza
ore 11.00
Onoranze presso il Cimitero civile:
- Alzabandiera presso il Cenotafio della Xa Flottiglia MAS;
- Monumento ai volontari Giuliano-Dalmati;
- Cripta ove riposano i resti dei nostri caduti;
- Cippo in ricordo dei giovani della G.N.R., trucidati in località Poggio Poggino;
- Stele dedicata ai martiri cittadini ed ai soldati tedeschi rinvenuti nelle foibe;
- tomba avv. Pascoli - on. Pazzaglia;
- Ossario dei Bersaglieri del Battaglione Mussolini
ore 13.00
Pranzo conviviale presso l’Hotel Internazionale
Al fine di quantificare le presenze è necessaria la prenotazione anticipata.
Roberto Pulli tel.: 0481489951 - email: [email protected]
Il “Quartier Generale” è stabilito presso l’Hotel Internazionale, Gorizia Via Trieste 173,
tel. 0481/524180 – 525105 – 523049. Email: [email protected]
50 euro camera singola, 70 euro camera doppia, compresa prima colazione (prezzi da confermare).
Alla prenotazione dichiaratevi del Gruppo Decima.