“Charlie Hebdo” e le trappole del pensiero riduttivo

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“Charlie Hebdo” e le trappole del pensiero riduttivo
ED. ITALIANA ISSN 2283-3013
FEBBRAIO 2015 ANNO 66 n. 777
TRIBUNA LIBERA FONDATA NEL 1950 DA J. CONSTANTIN DRAGAN
“Charlie Hebdo”
e le trappole del pensiero riduttivo
Guido Ravasi
Stemperata l’ondata di choc che ha
colpito la Francia con l’uccisione della
gran parte dei disegnatori e giornalisti di
“Charlie Hebdo” e che si è propagata, come
uno tsunami emotivo, non solo in Europa
ma anche fuori di essa, si impongono alcune considerazioni.
Molto si è già detto sul fatto che la strage che ha falciato a colpi di Kalashnikov
la redazione del giornale satirico francese
costituisce un vero e proprio attacco alla
libertà di stampa e di espressione e che
questi sono valori fondamentali e irrinunciabili delle democrazie occidentali e tra i
principi fondanti della stessa Europa.
Non esiste infatti libertà tout court senza la libertà di pensiero e di espressione:
le vignette del settimanale satirico, diventato il più famoso al mondo dopo la strage,
possono essere naturalmente non condivise, non piacere per niente e financo essere
considerate non solo caustiche e irriverenti ma anche offensive, ma un attentato contro un giornale, fosse solo un avvertimento
minaccioso o un incendio doloso – senza
arrivare allo sterminio di una redazione
come è invece purtroppo accaduto – oltre
che un gravissimo crimine, è un gesto che
deve essere fermamente condannato.
La vicenda di “Charlie Hebdo” ha assunto, pur in proporzioni diverse rispetto
all’attentato alle Torri Gemelle, la simbologia dell’ 11-septembre français, come ha
titolato il giorno dopo “Le Monde”. E più
in generale, come si è detto, dell’attacco ai
princìpi della democrazia europea. È questo un assunto condivisibile, come è del resto comprensibile l’affermazione di Gilles
Van Kote che, nell’editoriale dello stesso
giornale apparso all’indomani dell’eccidio,
dipinge i componenti di “Charlie Hebdo”
come “soldati della libertà, della nostra libertà”.
Dal canto nostro ci limitiamo a sottolineare tre aspetti della questione che concernono rispettivamente: l’unità dell’Europa, la lotta al terrorismo, lo scontro delle
civiltà.
1. L’unità dell’Europa
Molte volte abbiamo argomentato l’incapacità dell’Europa di far fronte ai suoi
problemi a causa delle difficoltà di trovare
una vera coesione e unità di intenti tra i
suoi Paesi membri.
L’eccidio di “Charlie Hebdo”, e la conseguente ondata di sdegno che si è sollevata,
hanno permesso all’Europa di far ritrovare, almeno in grandissima parte e con la
fisiologica esclusione di alcuni movimenti
o frange estreme, un certo grado di coesione interna.
La marcia di Parigi di domenica 11 gennaio, con la partecipazione di oltre due
milioni di persone scese in piazza per manifestare contro il vile attacco – tra cui,
va detto, anche un numero imprecisato di
persone di fede islamica –, ha visto almeno
cinquanta capi di Stato e di governo, europei e non solo, sfilare uniti a difesa dei
valori delle nostre democrazie, che pur con
tutte le imperfezioni e i miglioramenti che
esigono, rimangono le basi della nostra
convivenza civile.
La coesione dei Paesi membri dell’Unione europea, che si è manifestata in modo
straordinario in questo frangente, è in
realtà il problema di fondo dell’Europa. È
dovuto accadere un attacco di queste dimensioni e di tale effetto sulle coscienze
di milioni e milioni di persone per vedere,
almeno nella condanna del gesto, la ricerca di un afflato comune e di un’unione dei
Paesi europei.
2
Le divisioni delle politiche dei Paesi
membri, aggravate dalle tendenze centrifughe che provengono da parti sempre
più numerose di ciò che spesso solo nominalmente costituisce l’“Unione” europea,
nonché la struttura e il funzionamento
sostanzialmente ancora intergovernativo
della macchina comunitaria, rappresentano il principale ostacolo e la debolezza
più grave dell’Europa, sia nei confronti dei
suoi problemi interni – in primis il rilancio
economico e la disoccupazione – sia verso
le minacce esterne.
Gli europei non hanno ancora pienamente compreso che se continuano a rimanere divisi, tanto più in un mondo globalizzato, non avranno la capacità di costruire e
di determinare il proprio futuro, ma solo di
subirlo in base alle circostanze determinate da altri agenti.
Per rinsaldarci tra noi non possiamo
aspettare un atto eclatante come quello di
“Charlie Hebdo”, dobbiamo ricercare e costruire con impegno rinnovato una condivisione di intenti e di azioni politiche: questa è una condizione sempre più urgente e
necessaria, sia per difendere e preservare
l’Europa dalle minacce esterne, sia per far
funzionare la macchina europea che da
troppo tempo produce risultati non all’altezza delle sfide che ci troviamo, anche nostro malgrado, ad affrontare.
Per questo dobbiamo avere anche l’audacia di sganciare dall’Unione europea
quei Paesi membri che, in modo sistematico, si frappongono alla costruzione di una
vera Europa politica e agiscono invece per
la frammentazione intergovernativa e nazionalistica della sua governance.
Nell’ultimo decennio è stata data molta
importanza all’allargamento dell’Unione
europea mentre è mancato un adeguato
e corrispondente approfondimento e consolidamento della struttura comunitaria,
quel salto di livello richiesto dai tempi che
può avvenire soltanto con una architettura istituzionale europea di tipo federativo
– un vero e proprio Governo europeo con
una Federazione europea – e non più preminentemente intergovernativo.
2. La lotta al terrorismo
Anche recentemente il “Bulletin européen” ha dedicato ampio spazio alla lotta
al terrorismo. Appena nel numero scorso1
chi scrive ha pubblicato un intervento sul
ruolo dei servizi di sicurezza nella difesa
dagli attacchi terroristici dove argomentavo sul fatto che l’intelligence è la prima
linea di protezione nei confronti del terrorismo. Abbiamo quindi inserito nello stesso numero un primo intervento su questo argomento di Vittorfranco Pisano, un
esperto internazionale di intelligence a fini
antiterroristici, quanto mai rientrato prepotentemente di attualità con la vicenda
di “Charlie Hebdo”, che prosegue con una
seconda parte pubblicata qui di seguito.
In questa sede ci limitiamo a ribadire
che un’efficace azione di intelligence nella
prevenzione del terrorismo in Europa non
può essere messa in campo senza un maggior coordinamento dei servizi dei vari Paesi. Qualcosa si è fatto e si sta facendo, ma
ancora troppo timidamente. La condivisione delle informazioni e la cooperazione
delle attività procedono molto lentamente
e in modo ancora troppo parziale anche per
la naturale gelosia, rivalità e ritrosia dei
vari apparati di sicurezza nazionali che
tendono a tenere per se stessi le informazioni più rilevanti.
Questo tipo di frammentazione dei servizi di intelligence dei vari Paesi in Europa
la ritroviamo del resto negli stessi Stati
Uniti che sono notoriamente dotati di una
molteplicità di agenzie nazionali la cui
mancanza di coordinamento, ancora diverso tempo dopo l’attacco alle Torri Gemelle,
è stata ben illustrata su queste colonne da
Stefano Silvestri2.
Non solo siamo ancora molto lontani
dalla creazione di un vero servizio di intel-
ligence europeo, la cui esistenza è del resto
subordinata alla formazione di una vera
Europa politica, quale evocata nel punto
precedente, ma anche le attuali forme di
compartecipazione delle informazioni tra
i servizi sono assolutamente insufficienti.
Inoltre, di fronte ad attacchi eclatanti come
quelli di “Carlie Hebdo”, invece di puntare
a potenziare la coordinazione internazionale, molti decisori politici cavalcano la
strada del rafforzamento delle misure di
controllo e contrasto in termini puramente
nazionali, facendo così pericolosi passi indietro sulla strada della prevenzione delle
minacce.
La sfida al terrorismo internazionale
non si può vincere innalzando la cinta del
proprio orticello, ma soltanto mettendo in
campo una reale condivisione delle politiche di prevenzione e di controllo e un’organizzazione sovranazionale delle risorse
e delle informazioni di intelligence e degli
apparati di sicurezza.
3. Lo scontro delle civiltà
e il trionfo del pensiero riduttivo
L’attacco a “Charlie Hebdo” è la sfida
dell’estremismo islamico jahidista portata
nel cuore dell’Europa, una sfida eclatante,
aperta, dichiarata. Non a caso coloro che
hanno compiuto il massacro hanno rivendicato la loro appartenenza alla galassia
jahidista ed esplicitato di aver “lavato” in
questo modo le offese arrecate al “Profeta”
dalle raffigurazioni e dai disegni del giornale. Ebbene si deve evitare l’errore di considerare l’attacco al settimanale satirico
francese come un fenomeno da inquadrare
in uno scontro di civiltà o come una guerra di religione. Considerarla tale significa
fare non solo di tutta l’erba un fascio, ma
avvallare il gioco dei terroristi.
La scontro delle civiltà, su cui abbiamo
dibattuto per un quindicennio, è una semplificazione errata e fuorviante anche se
comprendiamo che è molto facile cedere
3
“Trattiamo bene la terra su cui viviamo: essa non ci è stata donata dai nostri padri, ma
ci è stata prestata dai nostri figli” è un proverbio che esprime bene la filosofia della Veroniki Holding, la quale si inserisce, innovandolo, nel lascito imprenditoriale, culturale ed
etico di Giuseppe Costantino Dragan. È un lascito per il soddisfacimento del fabbisogno
di energia, nel rispetto dell’ambiente, per una economia al servizio dell’uomo e per la
promozione della sua cultura e dignità. Questo perché per noi la “cultura dell’energia” e
“l’energia della cultura” non sono soltanto uno slogan, ma un principio e un criterio, al
contempo, imprenditoriale ed etico: in pratica una filosofia di vita.
4
alle semplificazioni di fronte a realtà più
complesse e articolate.
Il mondo islamico è estremamente variegato e, soprattutto, è particolarmente
arduo e sfuggente per la comprensione di
noi occidentali e l’impulso alle semplificazioni agisce in modo pressoché immediato
di fronte ad eventi di tale risonanza emotiva.
Allo scontro delle civiltà Samuel Huntington ha cercato di dare dignità di teoria “scientifica”3 ma, pur fornendo indubbiamente numerosi elementi di un certo
interesse e spunti interpretativi preziosi,
si tratta di una teoria fondamentalmente
sbagliata.
Nei tempi immediatamente successivi
all’attacco dell’11 settembre 2001 al World
Trade Centre la teoria di Huntington ha
avuto la massima celebrità e le rivendicazioni islamiste di attacchi terroristici
successivi hanno suscitato, e alimentano
tuttora, la convinzione popolare che ci troviamo proprio di fronte ad uno scontro di
civiltà come quello delineato da Huntington.
L’ipotesi dello studioso americano che
molti, nella sostanza, riecheggiano – per lo
più senza aver mai sentito parlare di Huntington e quindi in modo inconsapevole
ma non meno convinto – è che la fonte di
conflitto fondamentale, dopo la fine della
guerra fredda, non è ideologica o economica, ma è legata alla “cultura” in senso ampio, nell’accezione di “civiltà”.
Secondo questa teoria i conflitti più
importanti d’ora in poi avranno luogo tra
blocchi di diverse civiltà, tra cui quella
islamica e quella occidentale4.
Gli autori della strage di Parigi non
avranno certo potuto ragionevolmente
pensare di mettere il bavaglio alla libertà di stampa e di espressione occidentale,
ma potrebbero riuscire nel loro intento di
radicalizzare il conflitto se si diffondesse
sempre più l’idea che ciò che avvenuto nella sede di “Charlie Hebdo” sia da interpretare come una manifestazione di un più
ampio e inevitabile scontro di civiltà.
Dobbiamo naturalmente prevenire e
difenderci dagli attacchi, ma dobbiamo soprattutto evitare il pericolo, non meno grave ma, anzi, esiziale, del pensiero riduttivo
che sconfina o porta a forme di pregiudizio
e razzismo.
Un esempio di questo pensiero riduttivo, oggi sempre più dilagante ed estremamente rischioso per tutti, prende forma nel
modo seguente: gli islamofobi sempre più
diffusi, soprattutto in questi frangenti, riducono l’arabo alla sua supposta aderenza
alla fede islamica, quindi riducono l’islamico all’islamista, l’islamista all’integralista e, infine, l’integralista al terrorista.
Condividiamo il cordoglio per le vittime di “Charle Hebdo” e partecipiamo con
emozione alle manifestazioni per la difesa
delle nostre libertà che l’Europa ha così faticosamente e dolorosamente conquistato
nella sua travagliata storia, ma evitiamo
di abnegare alla capacità e all’impegno del
discernimento e di cadere nelle trappole
dello scontro delle civiltà e di altre interpretazioni e forme proprie del pensiero riduttivo, che con grande facilità si possono
diffondere e prestarsi ad essere pilotate e
strumentalizzate in modo politicamente
pericoloso.
Guido Ravasi, L’intelligence è la prima linea
di difesa nei confronti del terrorismo, “Bulletin
européen”, n. 776, gennaio 2015, pp. 14-16).
2.
Si veda di Stefano Silvestri Il mancato coordi-
namento dei servizi di sicurezza nell’Unione europea e negli Stati Uniti, “Bulletin européen”, n,
765, febbraio 2014. Dello stesso Autore si vedano i seguenti contributi: Difficoltà di jointness e
1
5
lacune nella riforma del sistema di intelligence
degli Stati Uniti, “Bulletin européen”, n. 761,
Ottobre 2013; La cooperazione internazionale
dei servizi di intelligence americani, “Bulletin
européen”, n. 760, settembre 2013; L’attività dei
servizi di intelligence negli Stati Uniti d’America, “Bulletin européen”, nn. 738-739, novembre-dicembre 2011.
3.
In particolare con il suo celebre The Clash of
Civilizations and the Remaking of World Order
tradotto ormai in gran parte del mondo. L’edizione italiana è stata pubblicata da Garzanti
6
con il titolo di Lo scontro delle civiltà e il nuovo
ordine mondiale.
4
Sulla teoria dello scontro delle civiltà si rimanda alle discussioni contenute nel volume: Guido Ravasi e Clarissa Banfi (a cura di), Le sfide
dell’Europa in un mondo che cambia, Milano,
2002. In particolare per una critica puntuale
della teoria di Huntington si veda Roberto Toscano, Scontro o dialogo tra le civiltà, in Guido
Ravasi e Francesco Perfetti (a cura di), Identità
europea. Geopolitica e globalizzazione, Milano,
2003, pp.65-76.
Gli strumenti ordinari
e straordinari di contrasto
al terrorismo contemporaneo (I):
il ruolo dell’intelligence
Vittorfranco Pisano
Colonnello della Polizia militare
dell’Esercito degli Stati Uniti d’America
Gli strumenti ordinari e straordinari
di contrasto al terrorismo
L’opera di contrasto abbraccia tre componenti generali: la prevenzione, la repressione e il contenimento dei danni.
Queste componenti generali poggiano
su strumenti specifici che debbono essere
concreti, di reciproco rinforzo e coordinati
fra loro, nonché programmati e predisposti
con debito anticipo.
La lotta contro il terrorismo contemporaneo non può che essere di lunga durata
e richiede l’apporto dell’intero arsenale
antiterroristico. Solo eccezionalmente un
singolo strumento di contrasto può rivelarsi determinante o prestarsi ad un proprio impiego esclusivo.
Gli strumenti di contrasto si suddividono in ordinari e straordinari.
Tuttavia, diversi strumenti ordinari
s’intrecciano operativamente con quelli
straordinari.
Fra gli strumenti ordinari più significativi vanno annoverati l’intelligence, la sensibilizzazione e la collaborazione della popolazione, l’apporto responsabile dei mezzi
di comunicazione di massa, la formazione
professionale, le operazioni preventive
e repressive di Polizia, la diplomazia, gli
accordi internazionali, la collaborazione
bilaterale e multilaterale, le sanzioni, gli
incentivi economici, le operazioni psicologiche e l’aggiornamento istituzionale e
giuridico.
Sono invece strumenti straordinari
l’impiego delle Forze armate e le operazioni speciali.
Ciascuno va esaminato individualmente e sarà nostra cura svolgere questa disamina. In questo numero del “Bulletin
européen” analizziamo il ruolo dell’intelligence, mentre in seguito su queste colonne
vedremo gli altri strumenti.
Il ruolo dell’intelligence
L’opera di contrasto al terrorismo è inattuabile in assenza di una solida base informativa e analitica della minaccia nelle sue
multiformi manifestazioni. Infatti, intelligence significa conoscenza e cognizione,
quindi il possesso d’innumerevoli informazioni raccolte, elaborate, valutate, analizzate e rapportate ad altre di pertinenza.
Queste notizie debbono essere tempestive,
precise, attinenti e continuative.
La sfida cui debbono far fronte gli addetti al settore informativo, che comprende
sia i servizi d’intelligence in senso stretto,
sia altri organi pubblici e privati, è particolarmente ragguardevole quando si tratta
7
del fenomeno terroristico in quanto caratterizzato, fra l’altro, da strutture e dinamiche clandestine.
Partendo da un’adeguata comprensione e consapevolezza delle particolarità
socio-culturali e politiche dell’area affetta
o potenzialmente affetta dal terrorismo,
si deve sviluppare concettualmente e monitorare operativamente una serie d’indicatori, ossia segnali di avvertimento e di
pericolo, ai fini della prevenzione, repressione o gestione delle conseguenze del terrorismo.
Ancorché propedeutici sotto il profilo
concettuale, i singoli elementi del necessario processo cognitivo – in questo caso
denominato intelligence premonitoria ovvero indications-and-warning intelligence
– vanno spesso impiegati contemporaneamente, data la pluralità delle aggregazioni che ricorrono al terrorismo, la loro
eterogeneità in termini di matrici e fini e
la diversa temporalità nel loro sorgere e
andamento.
L’iter perseguibile comprende una serie
di passi fondamentali, che enumero qui di
seguito.
a) Identificare ogni fattore storico, politico, economico, sociale, religioso o di altra
natura passibile di sfruttamento terroristico.
Il terrorismo non sorge dal nulla. Concorrono alla sua nascita, in un determinato momento storico, fattori ambientali negativi, o così percepiti,nell’ambito di una
comunità, di un Paese o di un’area geopolitica più ampia.
Questi fattori, disgiuntamente o congiuntamente, incidono sulla nascita e la
vitalità del terrorismo.
Al verificarsi del terrorismo possono
contribuire anche fattori geopolitici esterni alla particolare area in cui esso si manifesta, come dimostrato dagli attentati
terroristici per promuovere cause estranee o solo indirettamente collegabili al
8
luogo in cui avvengono. È il caso, ad esempio, del terrorismo transnazionale di fonte
palestinese laica e di fonte jihadista. Per
quanto riguarda i fattori ambientali interni rientranti nelle categorie su elencate è
altrettanto opportuno monitorare l’atteggiamento della popolazione in generale e
di specifici settori.
b) Determinare la presenza di una o più
sottoculture radical-rivoluzionarie potenzialmente portatrici di disegni sovversivi
o terroristici.
Mentre specifici fattori ambientali favoriscono pesantemente, sotto forma di
sfruttamento, la nascita e la vitalità di
aggregazioni terroristiche interne e transnazionali, il fattore dominante e assolutamente indispensabile per il sorgere e il
perdurare del terrorismo è la presenza e il
radicamento di una o, come in diverse aree
geopolitiche spesso accade, più sottoculture radicali o rivoluzionarie.
Queste sottoculture traggono la loro
ispirazione da ideologie e fini – ben determinati o semplicemente vaghi e allo stesso
tempo fanaticamente interpretati e perseguiti – risalenti a varie e differenziabili
scuole di pensiero e aspirazioni di destra,
di sinistra, di matrice etnica o tribale, di
origine politico-religiosa, di natura politico-sociale o, in alcuni casi, composite.
L’agitazione sovversiva, ovvero il primo
stadio nello spettro della conflittualità non
convenzionale, è il prodotto di un humus
direttamente riconducibile a una o più sottoculture radical-rivoluzionarie.
In assenza di tali sottoculture, fattori
ambientali di varia natura possono comunque dar vita a forme di protesta aperta, sia ordinata sia violenta, ma da soli
sono insufficienti per la nascita del terrorismo. Anche in questa fase è opportuno sondare l’atteggiamento, che può includere la
tolleranza della popolazione in generale e
di specifici settori nei confronti delle varie
sottoculture radical-rivoluzionarie.
c) Condurre il monitoraggio dell’agitazione sovversiva: tanto la propaganda e le
pubblicazioni radical-rivoluzionarie quanto le manifestazioni e le altre attività antiistituzionali.
L’agitazione sovversiva, figlia di sottoculture radical-rivoluzionarie, costituisce
a sua volta la culla operativa del terrorismo. È pertanto imperativo che venga attentamente e minuziosamente monitorata.
Gli agitatori sovversivi tipicamente
svolgono opera di reclutamento, incitano
la popolazione in generale o determinati settori della stessa a forme di disobbedienza civile, fomentano disordini e frequentemente ricorrono ad atti vandalici e
violenza aperta. Molti di essi sono capaci
e propensi a commettere non solo forme
di violenza politica ordinaria, quindi alla
luce del sole, ma anche occasionali atti di
terrorismo quale strumento tattico.
La presenza di agitatori sovversivi rappresentativi di varie sottoculture radicalrivoluzionarie incrementa il potenziale
emergere di aggregazioni terroristiche con
orientamenti disparati, moltiplicando così
le fonti di provenienza del terrorismo.
Inoltre, poiché diverse aggregazioni
agitatrici-sovversive spesso coesistono
con altre aggregazioni ideologicamente
contigue che hanno già raggiunto lo stadio
del terrorismo, esse ulteriormente rappresentano un ricco serbatoio di risorse sia
sotto l’aspetto del reclutamento che del
fiancheggiamento informativo, logistico e
operativo delle aggregazioni terroristiche,
rafforzandone in tal modo i ranghi.
L’opera d’intelligence e di contenimento
svolta in tempo utile nei confronti dei fattori ambientali passibili di sfruttamento,
delle sottoculture radical-rivoluzionarie
e dell’agitazione sovversiva può, in molti
casi, prevenire il sorgere del terrorismostadio o quantomeno il dilagare sia del
terrorismostadio sia del terrorismo-strumento.
d) Analizzare gli scritti ideologici e le rivendicazioni di responsabilità di matrice
terroristica per identificare i fini ultimi e
gli obiettivi intermedi.
Seppure spesso menzognera (con intenti tatticamente disinformativi) o ispirata
da una percezione della realtà falsata in
quanto ideologicamente di parte ed estremista, la pubblicistica delle aggregazioni
terroristiche e dei loro sostenitori fornisce
indicazioni decisamente utili circa l’orientamento, l’auto-immagine, i fini e i bersagli umani e materiali prioritari e secondari
delle diverse aggregazioni terroristiche.
L’attenta lettura e l’accurata disamina
delle dichiarazioni di principio e i programmi politici contenuti nella pubblicistica di matrice terroristico-eversiva contribuiscono, inoltre, a fornire, ancorché
indirettamente, elementi idonei per valutare la struttura e il potenziale operativo
delle varie aggregazioni.
e) Registrare e catalogare sistematicamente tutti gli atti pre-terroristici e terroristici per delimitare il relativo modus
operandi.
Il modus operandi, il cui livello di raffinatezza varia d’aggregazione in aggregazione, include il reclutamento, l’addestramento e l’impiego dei militanti; la scelta
degli obiettivi (secondo criteri selettivi o
indiscriminati) e la raccolta d’informazioni sui bersagli; le modalità di azione (scelta delle armi, uso di esplosivi rudimentali
o di precisione ai danni di persone e/o di
beni, agguati, incursioni, sequestri e presa
di ostaggi ecc.); gli schemi operativi (fattori temporali, attentati coordinati, obiettivi
multipli, attentati principali e azioni collaterali); la sicurezza interna e le comunicazioni; la logistica e il finanziamento; le
rivendicazioni; le regole di comportamento
in caso di prigionia.
Il modus operandi è indicativo delle
potenzialità presenti e future di ciascuna
aggregazione. Il fatto che due o più aggre9
Alberto Fabio Ambrosio
Piccola Mistica del Dialogo, Roma, Castelvecchi, 2014
Scritto da un frate domenicano che passa buona parte dell’anno in Turchia, Piccola
Mistica del Dialogo non è uno dei tanti libri sul dialogo interreligioso, ma un vivo riflesso delle relazioni vissute giornalmente nella grandezza e nella multiforme varietà
dell’umanità.
L’esperienza che l’Autore trasmette in queste pagine costituisce una testimonianza
preziosa, proprio perché è filtrata dall’umanità di chi scrive, e fa grande questa “piccola
mistica del dialogo”.
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gazioni scaturiscano dalla stessa sottocultura radical-rivoluzionaria non significa
che condividano in tutto e per tutto le modalità operative.
Il modus operandi è, peraltro, soggetto a
mutamenti nel corso del tempo.
Da tenere presente che il momento di
maggiore vulnerabilità dei componenti
delle aggregazioni terroristiche si presenta durante la pianificazione e preparazione operativa, incluse le attività di sorveglianza e di pedinamento dei bersagli
considerati o prescelti.
f) Ricostruire la struttura dei gruppi
terroristici per valutarne le capacità operative.
La struttura di un’aggregazione terroristica fornisce indicazioni circa il suo
potenziale a breve e a lungo termine. La
struttura e le dimensioni di ciascuna aggregazione condizionano non soltanto la
sicurezza, la disciplina, l’addestramento,
le leve di comando, il controllo, le comunicazioni, la pianificazione, le operazioni e la
logistica, ma anche il ciclo vitale dell’aggregazione stessa. I militanti delle aggregazioni terroristiche sono impiegati a tempo pieno, a tempo parziale o in entrambi i
modi. Le aggregazioni terroristiche – per
motivi di sicurezza monocellulari o pluricellulari e compartimentate – sono strutturate, secondo propri criteri selettivi, in
forma rigida o flessibile con una leadership centralizzata o decentralizzata. Alcune di esse possono fungere da ombrello o
rete per altre aggregazioni di minore entità che condividono gli stessi fini. In molti
casi, le aggregazioni terroristiche non sono
che gruppuscoli transitori oppure costituitisi esclusivamente per una specifica occorrenza.
Il fatto che diverse aggregazioni scaturiscano dalla stessa sottocultura radicalrivoluzionaria non significa necessariamente, come nel caso del modus operandi,
che debbano dotarsi della stessa struttura.
Esistono opzioni strutturali. In relazione
alle strutture e al modus operandi delle
aggregazioni terroristiche è parimenti
opportuno analizzare quali di esse rappresentano la maggiore minaccia nelle
aree geopolitiche d’interesse; quali sono le
capacità informative e tecnologiche delle
varie aggregazioni; quali tipologie aggressive sono attualmente e potenzialmente
le più pericolose; quali mutamenti nelle
strategie, strutture organizzative, scelta
dei bersagli e dinamiche operative sono
più rilevanti; come si prospettano le potenzialità nel breve, nel medio e nel lungo
termine con riferimento alla composizione
numerica, all’intensità operativa e al raggio geografico di azione.
Nel monitoraggio e nell’analisi delle
strutture e del modus operandi è comunque sempre importante curare la memoria
storica, dato che il terrorismo attrae l’imitazione e manifesta forte continuità nella
sostanza, pur variando nel dettaglio.
g) Identificare associazioni, movimenti
e reti di appoggio palese e occulto.
Queste aggregazioni di fiancheggiatori
esterni facilitano la propaganda, il reclutamento e la logistica di organizzazioni e
formazioni terroristiche. Numerose fonti
di sostegno si annidano in ambienti istituzionali, o comunque facilmente categorizzabili, diffusi sul territorio. Sono infatti
presenti all’interno di scuole medie superiori, università, fabbriche, servizi pubblici, sindacati, strati della disoccupazione,
circoli politici extraparlamentari, campi
profughi, comunità d’immigrati e congregazioni religiose radicali.
Altre fonti di appoggio sono, invece,
impiantate in aree specifiche, come avviene in particolar modo dove sono presenti
aspirazioni e atti terroristici di natura etno-separatista. In alcuni casi, le aggregazioni terroristiche sono sostenute da partiti politici, in genere extraparlamentari
(eccezione fatta per alcuni casi ben noti).
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Sono sempre stato un uomo d’azione e di pensiero. Vi sono molti uomini che
immaginano e pensano. Molti di meno pero sono quelli che credono nella loro
immaginazione e creazione. Ancora meno sono quelli che hanno il coraggio di agire
in base a ciò che pensano e immaginano.
J’ai toujours été un homme d’action et de pensée. Beaucoup de gens ont de l’imagination
et pensent. Moins cependant sont ceux qui croient dans leur imagination et dans leur
capacités créatrices. Encore moins sont ceux qui ont le courage d’agir selon ce qu’ils
pensent et imaginent.
I
have always been both a man of action and thought. There are many people
who imagine and think. But those who believe in their imagination and creative
capability are few and far between. Those who are brave enough to act on what they
think and imagine are even fewer.
Am fost totdeauna un om de acţiune şi de gandire. Sunt mulţi oameni care au
imaginaţie şi care gandesc. Sunt insă mai puţini aceia care cred in imaginaţia şi creaţia
lor. Şi mai puţini sunt aceia care au curajul să acţioneze potrivit cu ceea ce gandesc şi işi
imaginează.
.
Tratto dal volume: Iosif Constantin Dragan,
Călătorie În timp, Viaggio nel tempo, Journey through time, Milano, 2008.
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Giuseppe Costantino Dragan
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Talune aggregazioni, particolarmente
quelle con fini politico-religiosi, godono di
reti impegnate nella raccolta illecita di finanziamenti parzialmente o interamente
destinati alla causa terroristica.
Il monitoraggio del flusso monetario in
ambienti jihadisti è particolarmente arduo. Nel monitoraggio del supporto, palese
ed occulto, è altresì opportuno analizzare
l’andamento nel corso del tempo dei rapporti con gli elementi esterni alle aggregazioni terroristiche e gli eventuali rapporti
a fini di reciproci interessi materiali – di
natura non specificamente politica – tra
aggregazioni terroristiche e criminalità
organizzata. Identificare e neutralizzare
le fonti di supporto è una funzione chiave
nel contrasto al terrorismo di ogni matrice.
h) Verificare la presenza di legami internazionali con gruppi affini e/o Stati sostenitori.
I collegamenti tra aggregazioni terroristiche, quasi sempre della stessa matrice,
sono generalmente di natura precaria e
spaziano da una semplice contiguità ideologica a un’ampia collaborazione logistica,
mentre con minore frequenza sfociano in
operazioni congiunte. Costituiscono, comunque, un’evidente minaccia, non solo
perché ampliano la relativa base di supporto e sfera di azione, ma parimenti perché permettono ad aggregazioni più longeve e dinamiche di assorbire i resti di altre
in via di sbando.
A sua volta, la sponsorizzazione, altrettanto precaria, da parte di alcuni Stati nei
confronti di una minoranza di aggregazioni terroristiche non può ritenersi la regola
ed è di norma elargita ad aggregazioni dotate di struttura binaria, da un lato palese
e, dall’altro lato, occulta.
Tale appoggio statale è motivato da
specifici interessi dello Stato sostenitore e
dalla possibilità di negare plausibilmente
quantomeno ogni coinvolgimento diretto.
Questo spiega almeno in parte perché le
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aggregazioni terroristiche o insurrezionali tendono a cercare fonti di supporto diversificate e alternative riconducibili sia a
Stati, sia a sostenitori privati.
In questo contesto internazionale è non
di meno opportuno analizzare l’andamento temporale dei vari tipi di collaborazione
tra aggregazioni terroristiche, da un lato,
e tra aggregazioni terroristiche e Stati sostenitori, dall’altro lato.
i) Sondare la sfruttabilità delle debolezze strutturali e degli insuccessi operativi
delle varie aggregazioni sovversive e terroristiche.
Le aggregazioni terroristiche confidano
soprattutto sull’esercizio dell’iniziativa e
relativa sorpresa, ambedue strettamente
legate alla clandestinità strutturale e operativa.
Tuttavia, le aggregazioni terroristiche
sono condizionate da limiti che possono
tradursi in vulnerabilità, fra cui basta ricordare lo stress insito nella clandestinità
e sovente accompagnato dalla violazione
delle procedure di sicurezza; le frequenti
divisioni o lacerazioni interne; la minore coesione e disciplina nelle formazioni
terroristiche rispetto alle organizzazioni
terroristiche; la delusione derivante da
insuccessi operativi; la mancata predisposizione della successione al comando o il
mancato rinnovo dei quadri; gli umori di
fiancheggiatori e simpatizzanti; il reclutamento indiscriminato o smisurato; lo
scoraggiamento causato dal mancato raggiungimento di stadi di conflittualità non
convenzionale più avanzati, le deviazioni
dalla causa, l’inesorabilità delle leggi biologiche e la lontana o mancata fruizione
dei fini agognati.
È parallelamente opportuno monitorare il livello di tenacia e il morale riscontrabili nelle fila terroristiche e dei loro fiancheggiatori anche alla luce di una ripresa
operativa a seguito d’insuccessi, sconfitte
o arretramenti.
j) Determinare quale tipo di assistenza
e collaborazione, in termini qualitativi e
quantitativi e in quali circostanze, i governi degli Stati alleati, associati o amici, possono offrire nell’opera di contrasto.
L’impostazione della politica e delle
contromisure da parte dei singoli Stati nei
confronti del terrorismo varia non solo a
causa di non univoche percezioni della minaccia e delle misure atte a contrastarla,
ma anche in relazione ai diversi ordinamenti giuridici e agli interessi nazionali
prioritari.
Impostazioni e atteggiamenti statali
convergenti o discordanti nella comunità
internazionale incidono negativamente
o positivamente sulle opzioni operative a
disposizione delle aggregazioni terroristiche e dei loro sostenitori e simpatizzanti.
Contemporaneamente, in assenza di convergenza tra Stati a livello globale o quantomeno regionale, gli enti impegnati nella
lotta al terrorismo risultano molto indeboliti. Come accennato, vedremo nel prossimo numero gli altri strumenti di contrasto
al terrorismo.
15
Le relazioni sentimentali
nell’epoca del telefonino
Luciano Di Gregorio
1.
Nel mio precedente contributo pubblicato su queste colonne ho parlato di “mutazione antropo-logica della sintassi
dell’amore” (“Bulletin européen”, n. 776.
Gennaio 2015). Vediamone ora le cause.
Se devo considerare la situazione dal
punto di vista del ricercatore, e computare
i fenomeni che hanno accompagnato questa mutazione antropologica, psicologica e
sociologica assieme, se penso a quali trasformazioni sociali possano aver favorito
tale mutazione, e modificato la cognizione
delle relazioni amorose, ma non solo anche
quelle sociali in generale, qualcosa di preciso mi viene in mente.
Se penso a oggetti, processi, modelli sociali, che possano aver favorito delle trasformazioni importanti del modo di vivere e praticare i rapporti d’amore, emerge
dall’indifferenziato sociale anzitutto un
evento di portata transpersonale, quindi
globale, che certamente ha accompagnato,
influenzato, la nascita di questa nuova sintassi della relazione amorosa.
Questo evento di portata globale è l’introduzione del cellulare nelle nostre vite.
Tale fattore è un oggetto sociale di tipo
tecnico e psicologico assieme: il telefonino
domina la scena sociale da più di quindici o
vent’anni, e interviene direttamente nella
relazione amorosa, semplificandola e complicandola al tempo stesso, rendendola
una relazione mediata e a distanza, molto
assidua, soffocante e necessaria, sempre
16
passibile di fraintendimenti. Un rapporto
quotidiano, persino monotono e ripetitivo,
che è coltivato a tempo pieno: notte e giorno, giorno e notte.
Il cellulare è diventato l’oggetto mediatore che struttura la relazione amorosa, la
connota e la qualifica nella sua entità, la
dispone in categorie precise (amore vero,
quasi vero, semplice, banale, di solo sesso,
e così via…), è lo strumento tecnologico che
ci aiuta nel corteggiamento prima e nella
manutenzione ordinaria dell’amore dopo,
la cui funzione è oggi praticamente ineludibile.
Ovunque sei, dovunque vai, telefoni e
sei telefonato dal tuo partner d’amore in
continuazione (“ciao Ammoore, come stai,
ti sei svegliato bene, mi hai pensato appena sveglio? Adesso devo andare c’è il capo,
Ciaoo….ciaociaociao.”)
Il cellulare è diventato il tramite per eccellenza per gestire la manutenzione ordinaria della vita sentimentale degli italiani
di tutte le età e orientamento sessuale.
Ma esso è anche l’oggetto tecnologico
che, nel suo modo di essere usato, nella sua
funzione mediatrice, sostitutiva del rapporto reale, è simultaneamente un tramite
che favorisce la conoscenza e, al contrario,
un produttore d’illusione, d’immagini distorte, sfasate, di credenze non veritiere,
di un immaginario possesso dell’altro.
In tal senso, il telefonino, per la funzione
che svolge sempre al confine tra l’immaginario e il reale, in qualche modo connota i
nuovi sentimenti amorosi, li rappresenta e
li colloca all’interno di uno schema simbolico standardizzato.
Ci fa capire, ad esempio, come l’amore
oggi, più che in passato, abbia bisogno, per
sopravvivere alla complessità, di essere
nutrito d’illusione più che di conferme continue della sua reale consistenza materiale e tangibile.
2.
L’amore moderno (post-moderno) si nutre d’immaginario e sfida l’incertezza del
mondo illudendo, chi ama e chi è amato,
di essere di fronte alla certezza della disponibilità continua dell’altro, di avere un
rapporto quasi esclusivo con una persona,
la quale, almeno al telefono, sembra esistere solo per te e vivere solo in funzione
tua, attingere all’essenza vitale dell’amore
condiviso.
L’amore chiede un’incondizionata disponibilità dell’altro, un rapporto a tempo
pieno, almeno tanto quanto noi ci rendiamo disponibili per lui, ci auto-poniamo sostanzialmente a diposizione dell’altro mediante un qualunque modello di telefonino
per tutto o gran parte di una giornata.
Ma deve anche poter farci sognare,
giocare il gioco infinito e per certi versi
assurdo dell’amore romantico, “amor che
null’amato amor perdona”.
Ci deve rassicurare sull’esistenza di
una passione forte e travolgente, un legame intenso, proprio in virtù del fatto che
la vita stessa, e di conseguenza anche le
relazioni d’amore, si sono fatte più precarie e flessibili.
Tutto quello che ci circonda è incerto e
provvisorio, com’è incerta la realtà sociale, globale, di questo mondo in discesa, che
oramai ha perso i suoi punti fermi e la sua
stabilità.
L’instabilità del mondo globale alimenta una domanda di stabilità, di sicurezza
che noi costruiamo non solo con la famiglia o la coppia stabile, ma anche attra-
verso l’assiduità del rapporto amoroso, la
presenza costante e giornaliera del nostro
utente telematico privilegiato.
3.
L’uso del telefonino è ciò che denota
meglio di tante altre esperienze i modi attraverso i quali si articola una relazione
amorosa.
Oggi, nel tempo della precarietà, siamo
in qualche modo obbligati, costretti dalla
provvisorietà di ogni cosa a coltivare ogni
giorno, a nutrire più volte il giorno, nel
vero senso della parola, la relazione amorosa, perché temiamo che anch’essa possa
soccombere all’incertezza del divenire.
Malgrado ciò, nonostante l’assiduità dei
contatti e l’attaccamento morboso al nostro partner, non siamo mai certi di nulla
e tanto meno garantiti sulla durata e sulla
fedeltà del nostro amore.
Siamo allo stesso tempo vittime e carnefici di un modo di amare che sollecita una
verifica continua della nostra possibilità
di accedere al rapporto, come si accede al
servizio telefonico (l’utente chiamato al
momento… è sempre raggiungibile), ma
allo stesso tempo ci dischiude la possibilità opposta di entrare e uscire da un rapporto affettivo, che è ciò che desideriamo e
temiamo di subire allo stesso tempo.
La verità è che ci difendiamo da questa
precarietà dei sentimenti costruendo legami molto stretti che facciano da baluardo
contro la paura di perdere l’altro, anche se
dietro quella paura, il tabù dell’infedeltà e
del tradimento, in realtà, come ci ricorda
Freud, si nasconde sempre il nostro desiderio di libertà, la nostra voglia di tradire,
perché la cultura della precarietà, della
provvisorietà e dell’intercambiabilità dei
rapporti, è ormai entrata a far parte del
nostro orizzonte cognitivo.
Per giunta, c’è anche una sorta di contro-indicazione: quest’assiduità del legame, nutrito a dosi massicce di sms e telefonate più volte il giorno, tende alla fine a
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saturare in fretta il rapporto amoroso.
Ci si stanca prima dell’amore perché è
stato consumato troppo assiduamente e
troppo in fretta.
C’è poi chi consuma intenzionalmente
l’amore come si consumano i capi di abbigliamento e, sulla spinta della bulimia
consumista, torna a cercare un nuovo amore come si va a comprare un capo di abbigliamento nuovo, perché quello vecchio,
dopo una sola stagione non gli piace già
più, lo ha già stancato.
Capita, così, che come mandiamo messaggi d’amore brevi e frequenti, finiamo
per vivere storie d’amore brevi e frequenti,
relazioni a volte intercambiabili, facilmente sostituite con altre relazioni che avranno, a loro volta, una durata limitata nel
tempo, come del resto sono intercambiabili i numeri nella rubrica del telefonino e i
contatti che abbiamo in mobilità.
Chiudiamo una storia d’amore con la
stessa semplicità e facilità con la quale
chiudiamo una telefonata. Ed è sempre
più frequente che i congedi tra innamorati avvengano proprio per telefono: quando
non ci sentiamo più coinvolti nel rapporto d’amore, se pensiamo di non essere più
innamorati, se l’amore costa fatica, o comunque non ci sentiamo più all’altezza di
continuare la storia a due, mandiamo un
semplice sms di commiato (“Scusami… ma
non funziona!”)
E l’altro, quasi non fosse neanche sorpreso, ci risponderà con un altrettanto
laconico (“Beh ma ogni tanto chiamami
anche tu. Sai, ancora adesso, non riesco a
credere che non ti avrei rivisto più”).
4.
I cambiamenti delle relazioni d’amore
assomigliano ai mutamenti climatici: in
entrambi i casi si è molto ridimensionata
l’idea di futuro, ed è presente molta instabilità che genera insicurezza e ci spinge a
organizzarci difensivamente contro l’ansia e l’incertezza. Ogni anno che passa, si
18
accentua sempre di più l’idea che le condizioni ambientali favorevoli stiano per
scadere, che il processo di deterioramento
dell’ambiente e la riduzione delle risorse
primarie rischi di diventare irreversibile.
Così, anche l’amore lo viviamo prevalentemente nel presente: godiamo tutto il possibile in tempi sincopati, non aspettiamo
il domani, perché del doman per davvero
non v’è più certezza.
Ci impegniamo in pochi legami stabili
che ci proteggano dall’instabilità del mondo, ma spesso essi sono fragili, perché i turbamenti dell’amore ci inquietano, i litigi di
coppia, quelli che si celebravano negli sceneggiati televisivi, oggi ci sembrano catastrofi immanenti, ostacoli insormontabili,
sembrano essere anche’essi dei prodotti
secondari del clima impazzito. Alla fine ci
basta e avanza già quello che sta fuori dalla finestra di casa, non ne volgiamo sapere
di problemi dentro il letto, in cucina, dentro le quattro mura domestiche, perché c’è
già troppa angoscia là fuori.
E così gettiamo facilmente la spugna,
ci separiamo per non complicarci la vita,
per non assumerci la responsabilità della
riparazione del legame sentimentale. Non
possiamo, non sappiamo più impegnarci a
lungo termine in una relazione sentimentale che non sempre funziona, e lo facciamo a maggior ragione se questa ci crea dei
problemi di divisione dei compiti, distribuzione equilibrata delle incombenze domestiche, ci obbliga a confrontarci con i se,
ma, e così via.
5.
Le statistiche dicono che dei matrimoni celebrati tra giovani coppie tra i venti
e i trent’anni, uno su quattro è destinato
a fallire. Sembra che siamo capaci di abitare un legame sentimentale solo se esso
è quieto e tranquillo, ma in ogni caso non
per sempre finché morte non ci separi, al
massimo fino a un futuro prossimo. Eppure, si diceva un tempo “l’amore non è
bello se non è litigarello”, e sappiamo che
succede spesso che gli amori abbiano degli
sbalzi repentini, che si possa passare dalla passione, dal calore e la vicinanza, alle
improvvise ritirate affettive, delle prese di
distanza che raggelano il rapporto.
Tutto questo è sempre stato accettato
dalle generazioni precedenti, era considerato quasi nella norma. Ora non più, perché oggi si è notevolmente abbassata la
soglia di tolleranza al dolore sentimentale
e la capacità empatica di ascolto dell’altro.
Inoltre, è maggiormente in evidenza il
nostro bisogno di essere rassicurati, almeno dall’amore personale privato, che
tutto funziona, che esso è regolare ed emotivamente stabile, perché deve fare da baluardo contro l’insicurezza e la fragilità
dell’equilibrio dell’ecosistema.
Sì, perché, se ci pensiamo bene, lo stesso sta avvenendo nel clima. Nel corso degli
ultimi inverni si è passati da ondate di gelo
improvviso a un caldo fuori luogo e fuori
misura.
Anche le estati da un po’ di tempo a questa parte sono costellate da periodi caratterizzati da ondate di calore, con temperature sopra la norma, cui seguono periodi
d’instabilità, di piogge e freddo improvviso, che ci fanno temere che la bella stagione estiva stia volgendo già al termine già
a metà agosto.
In amore facciamo lo stesso. Quando ci
innamoriamo giuriamo amore eterno perché in quel momento sentiamo che è così,
perché in fondo è l’unica certezza che crediamo di avere. Giuriamo di non abbandonare mai l’altro e di restargli a fianco con
fedeltà.
A queste dichiarazioni d’impegno nella
coppia, fanno seguito manifestazioni di
passione e di desiderio intensi, che però
non durano all’infinito. A poco a poco s’instaura un regime di oscillazione tra ondate di grande passione cui seguono altrettanti momenti di distacco, di freddezza, a
volte di vera e propria indolenza, che però,
a differenza del passato, sono ora mal sopportati, perché nell’amore moderno si cerca prima di tutto la propria realizzazione,
si guarda a se stessi più che all’altro, si antepone la soddisfazione dell’Io all’oggetto
d’amore.
6.
L’influenza del cambiamento del clima
sulla vita amorosa potrà dare sviluppo a
due tendenze principali: una di attaccamento morboso in difesa della precarietà
e della paura del futuro, e l’altra di governo dell’insicurezza, introducendo forzatamente e attivamente dosi quotidiane d’incertezza nel rapporto.
Nel primo caso noi useremo i rapporti
d’amore come una difesa contro l’incertezza e la precarietà del mondo. Ci stringiamo
nell’amore e facciamo muro costruendo legami intensi, strettissimi, immagineremo
rapporti eterni e ci rifugeremo nella tradizione del matrimonio o nella coppia fissa e
nella convivenza.
Vivremo prevalentemente relazioni sicure che fungano da diga davanti al dilagare dell’incertezza quotidiana e alla paura del futuro.
Qualunque cosa succeda noi restiamo
uniti, anche soli sull’ultima zolla di terra
alla deriva negli oceani ingrossati dallo
scioglimento dei ghiacci perenni, potremo
contare uno sull’altro. Ci basteremo.
Nel secondo caso per padroneggiare
l’insicurezza e la precarietà produciamo
continuamente incertezza e fragilità nella relazione: nel tentativo di dominare
attivamente quello che in realtà subiamo
passivamente finiamo per creare rapporti flessibili, relazioni a tempo, situazioni
sempre precarie.
Alla fine ciascuno opera nei confronti
dell’altro un sistematico lascio e prendo,
prendo e lascio, infinite volte. Questo rituale del prendere e lasciare infinite volte,
di determinare direttamente l’intensità
del rapporto, la dose giusta di vicinanza
19
emotiva e il tipo di coinvolgimento personale, ci fa immaginare di dominare una
piccola fetta di mondo, almeno quella fetta
di mondo più prossima a noi.
Vivo più relazioni possibili con la stessa
persona e pratico piccoli tradimenti affettivi, forme di ritiro emotivo non dichiarato, cui seguono altrettanti avvicinamenti,
perché a questo punto mi conviene considerare la turbolenza e l’infedeltà, la precarietà del rapporto, come dei valori aggiunti
da me alla relazione, non aspetti della vita
sentimentale che non governo per niente.
Alcuni hanno più amori contemporaneamente, e già è stato coniato il neologismo
anglofono polylovers, per indicare coloro
che si concedono tanti amori simultaneamente e riescono a moltiplicare la propria
capacità di amare per due, per tre, persino
per quattro, contando i figli.
Che il poliamore riesca a soddisfare tutte le parti in causa è tutto da dimostrare,
ma certamente esso riesce a trasmettere
un senso forte di vitalità e di soddisfazione della vita nel presente che rassicura le
persone che lo vivono.
Se non posso governare il pianeta in
prima persona, se non posso determinare i cambiamenti globali, se non sono io a
governare il Paese e a scegliere la politica
energetica, se non posso fare quasi nulla
per salvare il mondo dalla catastrofe, né
tanto meno me stesso, almeno potrò intervenire per padroneggiare le mie relazioni
sentimentali, rendendole mutevoli in funzione di un mio arbitrio, facendole dipendere dalla mia volontà. Io determinerò
l’oscillazione del rapporto, l’intensità della
relazione, il calore dei corpi e delle anime,
in poche parole la condizione climatica del
mio amore.
7.
Ecco dunque indicate le possibili relazioni tra la telefonia mobile e l’amore moderno, tra i cambiamenti climatici e l’amore romantico, tra bisogno di prossimità e di
20
contatto telefonico continuo e minacce globali, tra variazioni di temperatura esterna
e alterazioni della temperatura emotiva
nei rapporti, tra incertezza globale e necessità di stato di conflitto nei legami sentimentali, tra consumo di sesso sempre più
usa e getta, in età precoce, e strategie per
sopravvivere nell’incertezza globale.
Sia chiaro, si potrebbero scegliere benissimo altri parametri, ma a me sono sembrati questi i fattori più rappresentativi, i
simboli più emblematici, le vere metafore
dell’amore più che moderno post-moderno.
È certamente vero che non possiamo
dimostrare l’esistenza di una correlazione
diretta tra i fattori macrosociali e le trasformazioni interpersonali e individuali,
in particolare della corrispondenza tra
questi fattori e i cambiamenti che sono avvenuti nella relazione amorosa in quest’ultimo decennio.
Ma è pur vero che gli eventi macrosociali sono attorno a noi, hanno influenzato e stanno enormemente influenzando la
nostra vita in generale. È lecito, pertanto,
ipotizzare che essi siano potuti intervenire, quali suggeritori esterni, nel processo
culturale di trasformazione della concezione dell’amore e della relazione amorosa, nel condizionare l’impegno, la durata,
lo stile e la modalità di amare, di vivere
la sessualità, delle generazioni che partecipano di questi cambiamenti epocali e li
patiscono.
8.
Personalmente, mi sono accorto di queste trasformazioni che sono presenti nella
vita amorosa degli individui lavorando con
i pazienti che seguo in psicoterapia.
Durante le sedute, capita di frequente
che le persone mi parlino delle loro vite
sentimentali, degli amori che vivono, delle
esperienze amorose e di quelle puramente
sessuali.
A volte mi raccontano anche in maniera dettagliata cosa si dicono per telefono,
o quali sms hanno ricevuto e quali hanno
inviato come risposta a quelli ricevuti. Situazioni non necessariamente problematiche, se mai descrittive di un contesto relazionale in cui si trovano a vivere. Relazioni
spesso solo aperte a degli interrogativi, a
un bisogno di riflettere in maniera approfondita sui propri sentimenti, suoi bisogni
e sulle paure che emergono nel rapporto
d’amore.
Altre volte sono discorsi che contengono delle lamentele sullo scarso impegno
sentimentale del partner, che pensa solo al
sesso e non si assume la responsabilità di
un rapporto d’amore.
Oppure sono autocritiche sulla propria
difficoltà ad amare intensamente e in maniera continua l’altro da sé, senza doversi
ritirare dal rapporto a fasi alterne.
Altre volte, ancora, è una denuncia della
propria tendenza a mettere in discussione
il rapporto quando si è in presenza della
più piccola perturbazione. Se non si va più
d’accordo, anche per un giorno soltanto, se
si litiga per il quotidiano, si pensa subito
che l’amore sia finito.
C’è chi ha paura dell’abbandono e chiude una storia ancora prima che sia veramente finita, prima che l’altro diventi
stanchezza o addirittura quando è ancora
qualitativamente importante, per poi restare in eterna attesa che l’altro ritorni,
vivendo un sentimento di mancanza incolmabile.
L’amore subisce delle trasformazioni
importanti e in molti casi si ha l’impressione di essere governati da forze estrinseche,
di essere condizionati nei propri sentimenti da ciò che ci sta intorno, dal mondo esterno più che da quello interiore, dove abitano
le emozioni e i sentimenti, dove costruiamo le immagini dei nostri oggetti d’amore.
Per questo motivo i miei pazienti spesso
mi portano domande sul senso di ciò che
accade nelle loro relazioni sentimentali e
sul perché si ritrovino a viverle in un certo modo, quasi obbligato, pur volendo fare
dell’altro, volendo amare in maniera differente. Mi chiedono consigli su come potersi
orientare, per trovare nuove possibili strade da percorrere per amare qualcuno in
maniera soddisfacente, per essere amati
da qualcuno con un certo impegno, pur vivendo nell’epoca della precarietà del tutto,
a maggior ragione dei sentimenti.
Dunque, sembra proprio che siano cambiate le regole dello stare assieme, la modalità di considerare la coppia amorosa,
ma anche il modo di manifestare il desiderio e l’interesse per l’altro, la maniera di
vivere la sessualità.
Questi cambiamenti non sono certamente universali, la coppia stabile monogamica continua a esistere, ma certamente riguardano un numero rilevante di
soggetti.
Si tratta di persone differenti una
dall’altra e tuttavia raggruppabili in categorie sociali, omogenee per condizioni e
modelli di vita e per fasce di età.
Si tratta di soggetti per lo più di una
certa generazione che guardano all’amore,
alla sessualità, al desiderio, ciascuno dalla
sua particolare prospettiva e condizione,
ma con ansie, paure e difficoltà in comune.
Anche in questi macrogruppi omogenei
per età anagrafica e appartenenza generazionale, pertanto, esistono certe differenze sul modo concepire e vivere il rapporto
d’amore che rendono singolare quel che si
cerca di definire universale.
9.
Nonostante il panorama sociologico degli amanti del nuovo secolo appaia piuttosto variegato e frammentato, si può lo stesso sostenere che essi abbiano in comune,
quasi sempre, la paura dei sentimenti e la
ricerca di un amore vero, di un affetto forte, rassicurante, mentre simultaneamente
stabiliscono relazioni sentimentali sempre provvisorie e instabili.
Questo è il vero paradosso degli amanti
del XXI secolo.
21
E da qui bisogna partire con la nostra
indagine psicologica per capire il senso di
questa contraddizione, cioè i principi ispiratori e le qualità dell’amore contemporaneo.
Ho utilizzato come riferimento la generazione compresa tra i trenta e i quarant'anni, che sembra essere composta
oltre che da coppie più o meno stabili, da
un numero consistente di single, da semi
single che ogni tanto stanno in coppia, senza troppo impegno, da separati che non si
risposano e da altri che ritardano il più
possibile le responsabilità coniugali.
Un’altra parte di questa generazione
è fatta di reduci di convivenze fallite o di
storie d’amore finite: persone che, dopo
una prima esperienza di matrimonio o
dopo una convivenza in una coppia stabile, oggi preferiscono avere dei rapporti non
impegnativi. Dopo aver giurato una prima
volta, e spesso anche una seconda, amore
eterno, e avere verificato che non esiste,
hanno deciso di non rischiare più. Con gli
anni hanno imparato a proteggersi.
Ci sono sempre tra loro alcuni kamikaze
dell’amore che si avventurano in sempre
nuovi amori poco ponderati.
Per il resto, la maggior parte di loro ha
messo il cuore in un posto sicuro e lo mostra a qualcuno solo quando è proprio convinto che l’altra persona non sia pronto a
farlo a pezzi alla prima occasione.
Altri non rischiano nemmeno più: desiderano l’amore, ne parlano in continuazione, ma non sono proprio più capaci di
viverlo. Restano prigionieri del passato e
idealizzano l’ultimo amore vero che hanno
vissuto, rispetto al quale nessun altro regge il confronto.
Ma se saliamo di età, si scopre che la voglia di leggerezza, in realtà, non riguarda
solo i più giovani tra i trenta e quaranta,
anche oltre i quaranta prevale spesso la
voglia di disimpegno sentimentale. Alcuni sociologi considerano questi soggetti i
nuovi quarantenni adolescenti, coloro cioè
22
che vogliono prolungare l’adolescenza fino
all’arrivo dei capelli bianchi.
10.
Anche tra i cinquantenni, del resto,
l’amore passione ha preso il posto dell’amore tutto casa e famiglia, sicurezza e protezione.
L’idea di invecchiare insieme spesso fa
più paura che attrazione, poiché la realizzazione di sé, nella relazione sentimentale, anche tra le coppie navigate, a volte, è
più importante dell’impegno affettivo per
il partner con il quale si è condivisa buona
parte della vita.
La maggior parte di noi, del resto, crede
nell’amore romantico, un amore totale che
ti riempie la vita, un amore al quale sappiamo dare solo qualità positive e che rappresenta, ancora oggi, checché se ne dica,
l’obiettivo più alto nella vita sentimentale
di una persona.
Questo ideale d’amore non ha mai smesso di esistere, e grazie ai film, alle fiction
televisive, alla letteratura e alla musica, ci
resta impresso nella mente, funge da fondamento della cognizione delle nostre vite
sentimentali.
Puoi essere felice solo se t’innamori,
solo se trovi il Vero amore. Se sia vero o no,
non tocca a me rivelarlo, ma qui quello che
vorrei sottolineare è che in generale noi riponiamo molte aspettative nell’amore, che
devono fare i conti con una serie infinita di
ostacoli, interni ed esterni, che inficiano la
possibilità di soddisfarle pienamente.
Allo stesso tempo, nelle nuove generazioni, i trentenni di oggi, sono in tanti a
essere cresciuti credendo nei valori propagati dalla cultura dell’individualismo moderno. Essi hanno imparato ad apprezzarsi per il proprio comportamento, ad amare
e a proteggere loro stessi prima degli altri,
partner compreso, a essere indipendenti.
Diventa, quindi, persino ovvio, che esista un forte sfasamento tra la ricerca e
la conservazione dell’amore romantico e
l’individualismo auto-centrato e auto-referenziale. In più esistono tutti gli ostacoli
esterni che minano il progetto di costruire
un amore a due che regga nel tempo e non
invecchi in fretta. E sono quei fattori sociali d’instabilità e precarietà che io ho già
indicato all’inizio: essi si possono definire
come degli etero-organizzatori sociali che
s’incontrano con gli auto-organizzatori individuali del progetto di coppia e del rapporto d’amore.
Nell’incontro tra individuo e ambiente,
si producono così infinite variabili di vita
sentimentale, tante possibili storie d’amo-
re, che, pur se differenti una dall’altra, in
comune possiedono il senso d’instabilità,
il bisogno d’indipendenza del singolo, che
mal si concilia con il legame di coppia, la
difficoltà a credere nel futuro e la bassa
tolleranza alla frustrazione e al dolore
sentimentale.
Più in generale, credo si possa sostenere
che, in questo inizio di nuovo secolo, tendiamo a vivere in maniera obbligata delle
relazioni incerte, come pure impostiamo
matrimoni a tempo, oppure pratichiamo
convivenze sempre reversibili. E il tutto è
condito con emozioni a intensità variabile.
Il Bulletin européen è una tribuna libera fondata nel 1950
da J. Constantin Dragan per lo sviluppo del dibattito sull’Europa.
Le opinioni, liberamente espresse dagli autori,
non necessariamente corrispondono a quelle del giornale.
Bulletin européen
Tribuna libera per l’Europa fondata nel marzo del 1950
da Giuseppe Costantino Dragan
ISSN 2283-3013
già 0407-8438 (cartaceo)
Direttore Responsabile: Guido Ravasi
Direzione e Redazione: Via Larga 9/11 - 20122 Milano
Tel. 02 58371405 - e-mail: [email protected]
Registrazione Tribunale Milano n. 390 del 3-6-1998
Chiuso in redazione: 24 gennaio 2015
.
... si la Communauté économique européenne est la base de l’unification de l’Europe,
la Communauté culturelle en permettra sa réalisation durable.
SOMMARIO
Guido Ravasi: “Charlie Hebdo” e le trappole del pensiero riduttivo................. 1
Vittorfranco Pisano: Gli strumenti ordinari e straordinari
di contrasto al terrorismo contemporaneo (I): il ruolo dell’intelligence............... 7
Luciano Di Gregorio: Le relazioni sentimentali nell’epoca del telefonino ... 16