“Charlie Hebdo” e le trappole del pensiero riduttivo
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“Charlie Hebdo” e le trappole del pensiero riduttivo
ED. ITALIANA ISSN 2283-3013 FEBBRAIO 2015 ANNO 66 n. 777 TRIBUNA LIBERA FONDATA NEL 1950 DA J. CONSTANTIN DRAGAN “Charlie Hebdo” e le trappole del pensiero riduttivo Guido Ravasi Stemperata l’ondata di choc che ha colpito la Francia con l’uccisione della gran parte dei disegnatori e giornalisti di “Charlie Hebdo” e che si è propagata, come uno tsunami emotivo, non solo in Europa ma anche fuori di essa, si impongono alcune considerazioni. Molto si è già detto sul fatto che la strage che ha falciato a colpi di Kalashnikov la redazione del giornale satirico francese costituisce un vero e proprio attacco alla libertà di stampa e di espressione e che questi sono valori fondamentali e irrinunciabili delle democrazie occidentali e tra i principi fondanti della stessa Europa. Non esiste infatti libertà tout court senza la libertà di pensiero e di espressione: le vignette del settimanale satirico, diventato il più famoso al mondo dopo la strage, possono essere naturalmente non condivise, non piacere per niente e financo essere considerate non solo caustiche e irriverenti ma anche offensive, ma un attentato contro un giornale, fosse solo un avvertimento minaccioso o un incendio doloso – senza arrivare allo sterminio di una redazione come è invece purtroppo accaduto – oltre che un gravissimo crimine, è un gesto che deve essere fermamente condannato. La vicenda di “Charlie Hebdo” ha assunto, pur in proporzioni diverse rispetto all’attentato alle Torri Gemelle, la simbologia dell’ 11-septembre français, come ha titolato il giorno dopo “Le Monde”. E più in generale, come si è detto, dell’attacco ai princìpi della democrazia europea. È questo un assunto condivisibile, come è del resto comprensibile l’affermazione di Gilles Van Kote che, nell’editoriale dello stesso giornale apparso all’indomani dell’eccidio, dipinge i componenti di “Charlie Hebdo” come “soldati della libertà, della nostra libertà”. Dal canto nostro ci limitiamo a sottolineare tre aspetti della questione che concernono rispettivamente: l’unità dell’Europa, la lotta al terrorismo, lo scontro delle civiltà. 1. L’unità dell’Europa Molte volte abbiamo argomentato l’incapacità dell’Europa di far fronte ai suoi problemi a causa delle difficoltà di trovare una vera coesione e unità di intenti tra i suoi Paesi membri. L’eccidio di “Charlie Hebdo”, e la conseguente ondata di sdegno che si è sollevata, hanno permesso all’Europa di far ritrovare, almeno in grandissima parte e con la fisiologica esclusione di alcuni movimenti o frange estreme, un certo grado di coesione interna. La marcia di Parigi di domenica 11 gennaio, con la partecipazione di oltre due milioni di persone scese in piazza per manifestare contro il vile attacco – tra cui, va detto, anche un numero imprecisato di persone di fede islamica –, ha visto almeno cinquanta capi di Stato e di governo, europei e non solo, sfilare uniti a difesa dei valori delle nostre democrazie, che pur con tutte le imperfezioni e i miglioramenti che esigono, rimangono le basi della nostra convivenza civile. La coesione dei Paesi membri dell’Unione europea, che si è manifestata in modo straordinario in questo frangente, è in realtà il problema di fondo dell’Europa. È dovuto accadere un attacco di queste dimensioni e di tale effetto sulle coscienze di milioni e milioni di persone per vedere, almeno nella condanna del gesto, la ricerca di un afflato comune e di un’unione dei Paesi europei. 2 Le divisioni delle politiche dei Paesi membri, aggravate dalle tendenze centrifughe che provengono da parti sempre più numerose di ciò che spesso solo nominalmente costituisce l’“Unione” europea, nonché la struttura e il funzionamento sostanzialmente ancora intergovernativo della macchina comunitaria, rappresentano il principale ostacolo e la debolezza più grave dell’Europa, sia nei confronti dei suoi problemi interni – in primis il rilancio economico e la disoccupazione – sia verso le minacce esterne. Gli europei non hanno ancora pienamente compreso che se continuano a rimanere divisi, tanto più in un mondo globalizzato, non avranno la capacità di costruire e di determinare il proprio futuro, ma solo di subirlo in base alle circostanze determinate da altri agenti. Per rinsaldarci tra noi non possiamo aspettare un atto eclatante come quello di “Charlie Hebdo”, dobbiamo ricercare e costruire con impegno rinnovato una condivisione di intenti e di azioni politiche: questa è una condizione sempre più urgente e necessaria, sia per difendere e preservare l’Europa dalle minacce esterne, sia per far funzionare la macchina europea che da troppo tempo produce risultati non all’altezza delle sfide che ci troviamo, anche nostro malgrado, ad affrontare. Per questo dobbiamo avere anche l’audacia di sganciare dall’Unione europea quei Paesi membri che, in modo sistematico, si frappongono alla costruzione di una vera Europa politica e agiscono invece per la frammentazione intergovernativa e nazionalistica della sua governance. Nell’ultimo decennio è stata data molta importanza all’allargamento dell’Unione europea mentre è mancato un adeguato e corrispondente approfondimento e consolidamento della struttura comunitaria, quel salto di livello richiesto dai tempi che può avvenire soltanto con una architettura istituzionale europea di tipo federativo – un vero e proprio Governo europeo con una Federazione europea – e non più preminentemente intergovernativo. 2. La lotta al terrorismo Anche recentemente il “Bulletin européen” ha dedicato ampio spazio alla lotta al terrorismo. Appena nel numero scorso1 chi scrive ha pubblicato un intervento sul ruolo dei servizi di sicurezza nella difesa dagli attacchi terroristici dove argomentavo sul fatto che l’intelligence è la prima linea di protezione nei confronti del terrorismo. Abbiamo quindi inserito nello stesso numero un primo intervento su questo argomento di Vittorfranco Pisano, un esperto internazionale di intelligence a fini antiterroristici, quanto mai rientrato prepotentemente di attualità con la vicenda di “Charlie Hebdo”, che prosegue con una seconda parte pubblicata qui di seguito. In questa sede ci limitiamo a ribadire che un’efficace azione di intelligence nella prevenzione del terrorismo in Europa non può essere messa in campo senza un maggior coordinamento dei servizi dei vari Paesi. Qualcosa si è fatto e si sta facendo, ma ancora troppo timidamente. La condivisione delle informazioni e la cooperazione delle attività procedono molto lentamente e in modo ancora troppo parziale anche per la naturale gelosia, rivalità e ritrosia dei vari apparati di sicurezza nazionali che tendono a tenere per se stessi le informazioni più rilevanti. Questo tipo di frammentazione dei servizi di intelligence dei vari Paesi in Europa la ritroviamo del resto negli stessi Stati Uniti che sono notoriamente dotati di una molteplicità di agenzie nazionali la cui mancanza di coordinamento, ancora diverso tempo dopo l’attacco alle Torri Gemelle, è stata ben illustrata su queste colonne da Stefano Silvestri2. Non solo siamo ancora molto lontani dalla creazione di un vero servizio di intel- ligence europeo, la cui esistenza è del resto subordinata alla formazione di una vera Europa politica, quale evocata nel punto precedente, ma anche le attuali forme di compartecipazione delle informazioni tra i servizi sono assolutamente insufficienti. Inoltre, di fronte ad attacchi eclatanti come quelli di “Carlie Hebdo”, invece di puntare a potenziare la coordinazione internazionale, molti decisori politici cavalcano la strada del rafforzamento delle misure di controllo e contrasto in termini puramente nazionali, facendo così pericolosi passi indietro sulla strada della prevenzione delle minacce. La sfida al terrorismo internazionale non si può vincere innalzando la cinta del proprio orticello, ma soltanto mettendo in campo una reale condivisione delle politiche di prevenzione e di controllo e un’organizzazione sovranazionale delle risorse e delle informazioni di intelligence e degli apparati di sicurezza. 3. Lo scontro delle civiltà e il trionfo del pensiero riduttivo L’attacco a “Charlie Hebdo” è la sfida dell’estremismo islamico jahidista portata nel cuore dell’Europa, una sfida eclatante, aperta, dichiarata. Non a caso coloro che hanno compiuto il massacro hanno rivendicato la loro appartenenza alla galassia jahidista ed esplicitato di aver “lavato” in questo modo le offese arrecate al “Profeta” dalle raffigurazioni e dai disegni del giornale. Ebbene si deve evitare l’errore di considerare l’attacco al settimanale satirico francese come un fenomeno da inquadrare in uno scontro di civiltà o come una guerra di religione. Considerarla tale significa fare non solo di tutta l’erba un fascio, ma avvallare il gioco dei terroristi. La scontro delle civiltà, su cui abbiamo dibattuto per un quindicennio, è una semplificazione errata e fuorviante anche se comprendiamo che è molto facile cedere 3 “Trattiamo bene la terra su cui viviamo: essa non ci è stata donata dai nostri padri, ma ci è stata prestata dai nostri figli” è un proverbio che esprime bene la filosofia della Veroniki Holding, la quale si inserisce, innovandolo, nel lascito imprenditoriale, culturale ed etico di Giuseppe Costantino Dragan. È un lascito per il soddisfacimento del fabbisogno di energia, nel rispetto dell’ambiente, per una economia al servizio dell’uomo e per la promozione della sua cultura e dignità. Questo perché per noi la “cultura dell’energia” e “l’energia della cultura” non sono soltanto uno slogan, ma un principio e un criterio, al contempo, imprenditoriale ed etico: in pratica una filosofia di vita. 4 alle semplificazioni di fronte a realtà più complesse e articolate. Il mondo islamico è estremamente variegato e, soprattutto, è particolarmente arduo e sfuggente per la comprensione di noi occidentali e l’impulso alle semplificazioni agisce in modo pressoché immediato di fronte ad eventi di tale risonanza emotiva. Allo scontro delle civiltà Samuel Huntington ha cercato di dare dignità di teoria “scientifica”3 ma, pur fornendo indubbiamente numerosi elementi di un certo interesse e spunti interpretativi preziosi, si tratta di una teoria fondamentalmente sbagliata. Nei tempi immediatamente successivi all’attacco dell’11 settembre 2001 al World Trade Centre la teoria di Huntington ha avuto la massima celebrità e le rivendicazioni islamiste di attacchi terroristici successivi hanno suscitato, e alimentano tuttora, la convinzione popolare che ci troviamo proprio di fronte ad uno scontro di civiltà come quello delineato da Huntington. L’ipotesi dello studioso americano che molti, nella sostanza, riecheggiano – per lo più senza aver mai sentito parlare di Huntington e quindi in modo inconsapevole ma non meno convinto – è che la fonte di conflitto fondamentale, dopo la fine della guerra fredda, non è ideologica o economica, ma è legata alla “cultura” in senso ampio, nell’accezione di “civiltà”. Secondo questa teoria i conflitti più importanti d’ora in poi avranno luogo tra blocchi di diverse civiltà, tra cui quella islamica e quella occidentale4. Gli autori della strage di Parigi non avranno certo potuto ragionevolmente pensare di mettere il bavaglio alla libertà di stampa e di espressione occidentale, ma potrebbero riuscire nel loro intento di radicalizzare il conflitto se si diffondesse sempre più l’idea che ciò che avvenuto nella sede di “Charlie Hebdo” sia da interpretare come una manifestazione di un più ampio e inevitabile scontro di civiltà. Dobbiamo naturalmente prevenire e difenderci dagli attacchi, ma dobbiamo soprattutto evitare il pericolo, non meno grave ma, anzi, esiziale, del pensiero riduttivo che sconfina o porta a forme di pregiudizio e razzismo. Un esempio di questo pensiero riduttivo, oggi sempre più dilagante ed estremamente rischioso per tutti, prende forma nel modo seguente: gli islamofobi sempre più diffusi, soprattutto in questi frangenti, riducono l’arabo alla sua supposta aderenza alla fede islamica, quindi riducono l’islamico all’islamista, l’islamista all’integralista e, infine, l’integralista al terrorista. Condividiamo il cordoglio per le vittime di “Charle Hebdo” e partecipiamo con emozione alle manifestazioni per la difesa delle nostre libertà che l’Europa ha così faticosamente e dolorosamente conquistato nella sua travagliata storia, ma evitiamo di abnegare alla capacità e all’impegno del discernimento e di cadere nelle trappole dello scontro delle civiltà e di altre interpretazioni e forme proprie del pensiero riduttivo, che con grande facilità si possono diffondere e prestarsi ad essere pilotate e strumentalizzate in modo politicamente pericoloso. Guido Ravasi, L’intelligence è la prima linea di difesa nei confronti del terrorismo, “Bulletin européen”, n. 776, gennaio 2015, pp. 14-16). 2. Si veda di Stefano Silvestri Il mancato coordi- namento dei servizi di sicurezza nell’Unione europea e negli Stati Uniti, “Bulletin européen”, n, 765, febbraio 2014. Dello stesso Autore si vedano i seguenti contributi: Difficoltà di jointness e 1 5 lacune nella riforma del sistema di intelligence degli Stati Uniti, “Bulletin européen”, n. 761, Ottobre 2013; La cooperazione internazionale dei servizi di intelligence americani, “Bulletin européen”, n. 760, settembre 2013; L’attività dei servizi di intelligence negli Stati Uniti d’America, “Bulletin européen”, nn. 738-739, novembre-dicembre 2011. 3. In particolare con il suo celebre The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order tradotto ormai in gran parte del mondo. L’edizione italiana è stata pubblicata da Garzanti 6 con il titolo di Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. 4 Sulla teoria dello scontro delle civiltà si rimanda alle discussioni contenute nel volume: Guido Ravasi e Clarissa Banfi (a cura di), Le sfide dell’Europa in un mondo che cambia, Milano, 2002. In particolare per una critica puntuale della teoria di Huntington si veda Roberto Toscano, Scontro o dialogo tra le civiltà, in Guido Ravasi e Francesco Perfetti (a cura di), Identità europea. Geopolitica e globalizzazione, Milano, 2003, pp.65-76. Gli strumenti ordinari e straordinari di contrasto al terrorismo contemporaneo (I): il ruolo dell’intelligence Vittorfranco Pisano Colonnello della Polizia militare dell’Esercito degli Stati Uniti d’America Gli strumenti ordinari e straordinari di contrasto al terrorismo L’opera di contrasto abbraccia tre componenti generali: la prevenzione, la repressione e il contenimento dei danni. Queste componenti generali poggiano su strumenti specifici che debbono essere concreti, di reciproco rinforzo e coordinati fra loro, nonché programmati e predisposti con debito anticipo. La lotta contro il terrorismo contemporaneo non può che essere di lunga durata e richiede l’apporto dell’intero arsenale antiterroristico. Solo eccezionalmente un singolo strumento di contrasto può rivelarsi determinante o prestarsi ad un proprio impiego esclusivo. Gli strumenti di contrasto si suddividono in ordinari e straordinari. Tuttavia, diversi strumenti ordinari s’intrecciano operativamente con quelli straordinari. Fra gli strumenti ordinari più significativi vanno annoverati l’intelligence, la sensibilizzazione e la collaborazione della popolazione, l’apporto responsabile dei mezzi di comunicazione di massa, la formazione professionale, le operazioni preventive e repressive di Polizia, la diplomazia, gli accordi internazionali, la collaborazione bilaterale e multilaterale, le sanzioni, gli incentivi economici, le operazioni psicologiche e l’aggiornamento istituzionale e giuridico. Sono invece strumenti straordinari l’impiego delle Forze armate e le operazioni speciali. Ciascuno va esaminato individualmente e sarà nostra cura svolgere questa disamina. In questo numero del “Bulletin européen” analizziamo il ruolo dell’intelligence, mentre in seguito su queste colonne vedremo gli altri strumenti. Il ruolo dell’intelligence L’opera di contrasto al terrorismo è inattuabile in assenza di una solida base informativa e analitica della minaccia nelle sue multiformi manifestazioni. Infatti, intelligence significa conoscenza e cognizione, quindi il possesso d’innumerevoli informazioni raccolte, elaborate, valutate, analizzate e rapportate ad altre di pertinenza. Queste notizie debbono essere tempestive, precise, attinenti e continuative. La sfida cui debbono far fronte gli addetti al settore informativo, che comprende sia i servizi d’intelligence in senso stretto, sia altri organi pubblici e privati, è particolarmente ragguardevole quando si tratta 7 del fenomeno terroristico in quanto caratterizzato, fra l’altro, da strutture e dinamiche clandestine. Partendo da un’adeguata comprensione e consapevolezza delle particolarità socio-culturali e politiche dell’area affetta o potenzialmente affetta dal terrorismo, si deve sviluppare concettualmente e monitorare operativamente una serie d’indicatori, ossia segnali di avvertimento e di pericolo, ai fini della prevenzione, repressione o gestione delle conseguenze del terrorismo. Ancorché propedeutici sotto il profilo concettuale, i singoli elementi del necessario processo cognitivo – in questo caso denominato intelligence premonitoria ovvero indications-and-warning intelligence – vanno spesso impiegati contemporaneamente, data la pluralità delle aggregazioni che ricorrono al terrorismo, la loro eterogeneità in termini di matrici e fini e la diversa temporalità nel loro sorgere e andamento. L’iter perseguibile comprende una serie di passi fondamentali, che enumero qui di seguito. a) Identificare ogni fattore storico, politico, economico, sociale, religioso o di altra natura passibile di sfruttamento terroristico. Il terrorismo non sorge dal nulla. Concorrono alla sua nascita, in un determinato momento storico, fattori ambientali negativi, o così percepiti,nell’ambito di una comunità, di un Paese o di un’area geopolitica più ampia. Questi fattori, disgiuntamente o congiuntamente, incidono sulla nascita e la vitalità del terrorismo. Al verificarsi del terrorismo possono contribuire anche fattori geopolitici esterni alla particolare area in cui esso si manifesta, come dimostrato dagli attentati terroristici per promuovere cause estranee o solo indirettamente collegabili al 8 luogo in cui avvengono. È il caso, ad esempio, del terrorismo transnazionale di fonte palestinese laica e di fonte jihadista. Per quanto riguarda i fattori ambientali interni rientranti nelle categorie su elencate è altrettanto opportuno monitorare l’atteggiamento della popolazione in generale e di specifici settori. b) Determinare la presenza di una o più sottoculture radical-rivoluzionarie potenzialmente portatrici di disegni sovversivi o terroristici. Mentre specifici fattori ambientali favoriscono pesantemente, sotto forma di sfruttamento, la nascita e la vitalità di aggregazioni terroristiche interne e transnazionali, il fattore dominante e assolutamente indispensabile per il sorgere e il perdurare del terrorismo è la presenza e il radicamento di una o, come in diverse aree geopolitiche spesso accade, più sottoculture radicali o rivoluzionarie. Queste sottoculture traggono la loro ispirazione da ideologie e fini – ben determinati o semplicemente vaghi e allo stesso tempo fanaticamente interpretati e perseguiti – risalenti a varie e differenziabili scuole di pensiero e aspirazioni di destra, di sinistra, di matrice etnica o tribale, di origine politico-religiosa, di natura politico-sociale o, in alcuni casi, composite. L’agitazione sovversiva, ovvero il primo stadio nello spettro della conflittualità non convenzionale, è il prodotto di un humus direttamente riconducibile a una o più sottoculture radical-rivoluzionarie. In assenza di tali sottoculture, fattori ambientali di varia natura possono comunque dar vita a forme di protesta aperta, sia ordinata sia violenta, ma da soli sono insufficienti per la nascita del terrorismo. Anche in questa fase è opportuno sondare l’atteggiamento, che può includere la tolleranza della popolazione in generale e di specifici settori nei confronti delle varie sottoculture radical-rivoluzionarie. c) Condurre il monitoraggio dell’agitazione sovversiva: tanto la propaganda e le pubblicazioni radical-rivoluzionarie quanto le manifestazioni e le altre attività antiistituzionali. L’agitazione sovversiva, figlia di sottoculture radical-rivoluzionarie, costituisce a sua volta la culla operativa del terrorismo. È pertanto imperativo che venga attentamente e minuziosamente monitorata. Gli agitatori sovversivi tipicamente svolgono opera di reclutamento, incitano la popolazione in generale o determinati settori della stessa a forme di disobbedienza civile, fomentano disordini e frequentemente ricorrono ad atti vandalici e violenza aperta. Molti di essi sono capaci e propensi a commettere non solo forme di violenza politica ordinaria, quindi alla luce del sole, ma anche occasionali atti di terrorismo quale strumento tattico. La presenza di agitatori sovversivi rappresentativi di varie sottoculture radicalrivoluzionarie incrementa il potenziale emergere di aggregazioni terroristiche con orientamenti disparati, moltiplicando così le fonti di provenienza del terrorismo. Inoltre, poiché diverse aggregazioni agitatrici-sovversive spesso coesistono con altre aggregazioni ideologicamente contigue che hanno già raggiunto lo stadio del terrorismo, esse ulteriormente rappresentano un ricco serbatoio di risorse sia sotto l’aspetto del reclutamento che del fiancheggiamento informativo, logistico e operativo delle aggregazioni terroristiche, rafforzandone in tal modo i ranghi. L’opera d’intelligence e di contenimento svolta in tempo utile nei confronti dei fattori ambientali passibili di sfruttamento, delle sottoculture radical-rivoluzionarie e dell’agitazione sovversiva può, in molti casi, prevenire il sorgere del terrorismostadio o quantomeno il dilagare sia del terrorismostadio sia del terrorismo-strumento. d) Analizzare gli scritti ideologici e le rivendicazioni di responsabilità di matrice terroristica per identificare i fini ultimi e gli obiettivi intermedi. Seppure spesso menzognera (con intenti tatticamente disinformativi) o ispirata da una percezione della realtà falsata in quanto ideologicamente di parte ed estremista, la pubblicistica delle aggregazioni terroristiche e dei loro sostenitori fornisce indicazioni decisamente utili circa l’orientamento, l’auto-immagine, i fini e i bersagli umani e materiali prioritari e secondari delle diverse aggregazioni terroristiche. L’attenta lettura e l’accurata disamina delle dichiarazioni di principio e i programmi politici contenuti nella pubblicistica di matrice terroristico-eversiva contribuiscono, inoltre, a fornire, ancorché indirettamente, elementi idonei per valutare la struttura e il potenziale operativo delle varie aggregazioni. e) Registrare e catalogare sistematicamente tutti gli atti pre-terroristici e terroristici per delimitare il relativo modus operandi. Il modus operandi, il cui livello di raffinatezza varia d’aggregazione in aggregazione, include il reclutamento, l’addestramento e l’impiego dei militanti; la scelta degli obiettivi (secondo criteri selettivi o indiscriminati) e la raccolta d’informazioni sui bersagli; le modalità di azione (scelta delle armi, uso di esplosivi rudimentali o di precisione ai danni di persone e/o di beni, agguati, incursioni, sequestri e presa di ostaggi ecc.); gli schemi operativi (fattori temporali, attentati coordinati, obiettivi multipli, attentati principali e azioni collaterali); la sicurezza interna e le comunicazioni; la logistica e il finanziamento; le rivendicazioni; le regole di comportamento in caso di prigionia. Il modus operandi è indicativo delle potenzialità presenti e future di ciascuna aggregazione. Il fatto che due o più aggre9 Alberto Fabio Ambrosio Piccola Mistica del Dialogo, Roma, Castelvecchi, 2014 Scritto da un frate domenicano che passa buona parte dell’anno in Turchia, Piccola Mistica del Dialogo non è uno dei tanti libri sul dialogo interreligioso, ma un vivo riflesso delle relazioni vissute giornalmente nella grandezza e nella multiforme varietà dell’umanità. L’esperienza che l’Autore trasmette in queste pagine costituisce una testimonianza preziosa, proprio perché è filtrata dall’umanità di chi scrive, e fa grande questa “piccola mistica del dialogo”. 10 gazioni scaturiscano dalla stessa sottocultura radical-rivoluzionaria non significa che condividano in tutto e per tutto le modalità operative. Il modus operandi è, peraltro, soggetto a mutamenti nel corso del tempo. Da tenere presente che il momento di maggiore vulnerabilità dei componenti delle aggregazioni terroristiche si presenta durante la pianificazione e preparazione operativa, incluse le attività di sorveglianza e di pedinamento dei bersagli considerati o prescelti. f) Ricostruire la struttura dei gruppi terroristici per valutarne le capacità operative. La struttura di un’aggregazione terroristica fornisce indicazioni circa il suo potenziale a breve e a lungo termine. La struttura e le dimensioni di ciascuna aggregazione condizionano non soltanto la sicurezza, la disciplina, l’addestramento, le leve di comando, il controllo, le comunicazioni, la pianificazione, le operazioni e la logistica, ma anche il ciclo vitale dell’aggregazione stessa. I militanti delle aggregazioni terroristiche sono impiegati a tempo pieno, a tempo parziale o in entrambi i modi. Le aggregazioni terroristiche – per motivi di sicurezza monocellulari o pluricellulari e compartimentate – sono strutturate, secondo propri criteri selettivi, in forma rigida o flessibile con una leadership centralizzata o decentralizzata. Alcune di esse possono fungere da ombrello o rete per altre aggregazioni di minore entità che condividono gli stessi fini. In molti casi, le aggregazioni terroristiche non sono che gruppuscoli transitori oppure costituitisi esclusivamente per una specifica occorrenza. Il fatto che diverse aggregazioni scaturiscano dalla stessa sottocultura radicalrivoluzionaria non significa necessariamente, come nel caso del modus operandi, che debbano dotarsi della stessa struttura. Esistono opzioni strutturali. In relazione alle strutture e al modus operandi delle aggregazioni terroristiche è parimenti opportuno analizzare quali di esse rappresentano la maggiore minaccia nelle aree geopolitiche d’interesse; quali sono le capacità informative e tecnologiche delle varie aggregazioni; quali tipologie aggressive sono attualmente e potenzialmente le più pericolose; quali mutamenti nelle strategie, strutture organizzative, scelta dei bersagli e dinamiche operative sono più rilevanti; come si prospettano le potenzialità nel breve, nel medio e nel lungo termine con riferimento alla composizione numerica, all’intensità operativa e al raggio geografico di azione. Nel monitoraggio e nell’analisi delle strutture e del modus operandi è comunque sempre importante curare la memoria storica, dato che il terrorismo attrae l’imitazione e manifesta forte continuità nella sostanza, pur variando nel dettaglio. g) Identificare associazioni, movimenti e reti di appoggio palese e occulto. Queste aggregazioni di fiancheggiatori esterni facilitano la propaganda, il reclutamento e la logistica di organizzazioni e formazioni terroristiche. Numerose fonti di sostegno si annidano in ambienti istituzionali, o comunque facilmente categorizzabili, diffusi sul territorio. Sono infatti presenti all’interno di scuole medie superiori, università, fabbriche, servizi pubblici, sindacati, strati della disoccupazione, circoli politici extraparlamentari, campi profughi, comunità d’immigrati e congregazioni religiose radicali. Altre fonti di appoggio sono, invece, impiantate in aree specifiche, come avviene in particolar modo dove sono presenti aspirazioni e atti terroristici di natura etno-separatista. In alcuni casi, le aggregazioni terroristiche sono sostenute da partiti politici, in genere extraparlamentari (eccezione fatta per alcuni casi ben noti). 11 Sono sempre stato un uomo d’azione e di pensiero. Vi sono molti uomini che immaginano e pensano. Molti di meno pero sono quelli che credono nella loro immaginazione e creazione. Ancora meno sono quelli che hanno il coraggio di agire in base a ciò che pensano e immaginano. J’ai toujours été un homme d’action et de pensée. Beaucoup de gens ont de l’imagination et pensent. Moins cependant sont ceux qui croient dans leur imagination et dans leur capacités créatrices. Encore moins sont ceux qui ont le courage d’agir selon ce qu’ils pensent et imaginent. I have always been both a man of action and thought. There are many people who imagine and think. But those who believe in their imagination and creative capability are few and far between. Those who are brave enough to act on what they think and imagine are even fewer. Am fost totdeauna un om de acţiune şi de gandire. Sunt mulţi oameni care au imaginaţie şi care gandesc. Sunt insă mai puţini aceia care cred in imaginaţia şi creaţia lor. Şi mai puţini sunt aceia care au curajul să acţioneze potrivit cu ceea ce gandesc şi işi imaginează. . Tratto dal volume: Iosif Constantin Dragan, Călătorie În timp, Viaggio nel tempo, Journey through time, Milano, 2008. 12 Giuseppe Costantino Dragan 13 Talune aggregazioni, particolarmente quelle con fini politico-religiosi, godono di reti impegnate nella raccolta illecita di finanziamenti parzialmente o interamente destinati alla causa terroristica. Il monitoraggio del flusso monetario in ambienti jihadisti è particolarmente arduo. Nel monitoraggio del supporto, palese ed occulto, è altresì opportuno analizzare l’andamento nel corso del tempo dei rapporti con gli elementi esterni alle aggregazioni terroristiche e gli eventuali rapporti a fini di reciproci interessi materiali – di natura non specificamente politica – tra aggregazioni terroristiche e criminalità organizzata. Identificare e neutralizzare le fonti di supporto è una funzione chiave nel contrasto al terrorismo di ogni matrice. h) Verificare la presenza di legami internazionali con gruppi affini e/o Stati sostenitori. I collegamenti tra aggregazioni terroristiche, quasi sempre della stessa matrice, sono generalmente di natura precaria e spaziano da una semplice contiguità ideologica a un’ampia collaborazione logistica, mentre con minore frequenza sfociano in operazioni congiunte. Costituiscono, comunque, un’evidente minaccia, non solo perché ampliano la relativa base di supporto e sfera di azione, ma parimenti perché permettono ad aggregazioni più longeve e dinamiche di assorbire i resti di altre in via di sbando. A sua volta, la sponsorizzazione, altrettanto precaria, da parte di alcuni Stati nei confronti di una minoranza di aggregazioni terroristiche non può ritenersi la regola ed è di norma elargita ad aggregazioni dotate di struttura binaria, da un lato palese e, dall’altro lato, occulta. Tale appoggio statale è motivato da specifici interessi dello Stato sostenitore e dalla possibilità di negare plausibilmente quantomeno ogni coinvolgimento diretto. Questo spiega almeno in parte perché le 14 aggregazioni terroristiche o insurrezionali tendono a cercare fonti di supporto diversificate e alternative riconducibili sia a Stati, sia a sostenitori privati. In questo contesto internazionale è non di meno opportuno analizzare l’andamento temporale dei vari tipi di collaborazione tra aggregazioni terroristiche, da un lato, e tra aggregazioni terroristiche e Stati sostenitori, dall’altro lato. i) Sondare la sfruttabilità delle debolezze strutturali e degli insuccessi operativi delle varie aggregazioni sovversive e terroristiche. Le aggregazioni terroristiche confidano soprattutto sull’esercizio dell’iniziativa e relativa sorpresa, ambedue strettamente legate alla clandestinità strutturale e operativa. Tuttavia, le aggregazioni terroristiche sono condizionate da limiti che possono tradursi in vulnerabilità, fra cui basta ricordare lo stress insito nella clandestinità e sovente accompagnato dalla violazione delle procedure di sicurezza; le frequenti divisioni o lacerazioni interne; la minore coesione e disciplina nelle formazioni terroristiche rispetto alle organizzazioni terroristiche; la delusione derivante da insuccessi operativi; la mancata predisposizione della successione al comando o il mancato rinnovo dei quadri; gli umori di fiancheggiatori e simpatizzanti; il reclutamento indiscriminato o smisurato; lo scoraggiamento causato dal mancato raggiungimento di stadi di conflittualità non convenzionale più avanzati, le deviazioni dalla causa, l’inesorabilità delle leggi biologiche e la lontana o mancata fruizione dei fini agognati. È parallelamente opportuno monitorare il livello di tenacia e il morale riscontrabili nelle fila terroristiche e dei loro fiancheggiatori anche alla luce di una ripresa operativa a seguito d’insuccessi, sconfitte o arretramenti. j) Determinare quale tipo di assistenza e collaborazione, in termini qualitativi e quantitativi e in quali circostanze, i governi degli Stati alleati, associati o amici, possono offrire nell’opera di contrasto. L’impostazione della politica e delle contromisure da parte dei singoli Stati nei confronti del terrorismo varia non solo a causa di non univoche percezioni della minaccia e delle misure atte a contrastarla, ma anche in relazione ai diversi ordinamenti giuridici e agli interessi nazionali prioritari. Impostazioni e atteggiamenti statali convergenti o discordanti nella comunità internazionale incidono negativamente o positivamente sulle opzioni operative a disposizione delle aggregazioni terroristiche e dei loro sostenitori e simpatizzanti. Contemporaneamente, in assenza di convergenza tra Stati a livello globale o quantomeno regionale, gli enti impegnati nella lotta al terrorismo risultano molto indeboliti. Come accennato, vedremo nel prossimo numero gli altri strumenti di contrasto al terrorismo. 15 Le relazioni sentimentali nell’epoca del telefonino Luciano Di Gregorio 1. Nel mio precedente contributo pubblicato su queste colonne ho parlato di “mutazione antropo-logica della sintassi dell’amore” (“Bulletin européen”, n. 776. Gennaio 2015). Vediamone ora le cause. Se devo considerare la situazione dal punto di vista del ricercatore, e computare i fenomeni che hanno accompagnato questa mutazione antropologica, psicologica e sociologica assieme, se penso a quali trasformazioni sociali possano aver favorito tale mutazione, e modificato la cognizione delle relazioni amorose, ma non solo anche quelle sociali in generale, qualcosa di preciso mi viene in mente. Se penso a oggetti, processi, modelli sociali, che possano aver favorito delle trasformazioni importanti del modo di vivere e praticare i rapporti d’amore, emerge dall’indifferenziato sociale anzitutto un evento di portata transpersonale, quindi globale, che certamente ha accompagnato, influenzato, la nascita di questa nuova sintassi della relazione amorosa. Questo evento di portata globale è l’introduzione del cellulare nelle nostre vite. Tale fattore è un oggetto sociale di tipo tecnico e psicologico assieme: il telefonino domina la scena sociale da più di quindici o vent’anni, e interviene direttamente nella relazione amorosa, semplificandola e complicandola al tempo stesso, rendendola una relazione mediata e a distanza, molto assidua, soffocante e necessaria, sempre 16 passibile di fraintendimenti. Un rapporto quotidiano, persino monotono e ripetitivo, che è coltivato a tempo pieno: notte e giorno, giorno e notte. Il cellulare è diventato l’oggetto mediatore che struttura la relazione amorosa, la connota e la qualifica nella sua entità, la dispone in categorie precise (amore vero, quasi vero, semplice, banale, di solo sesso, e così via…), è lo strumento tecnologico che ci aiuta nel corteggiamento prima e nella manutenzione ordinaria dell’amore dopo, la cui funzione è oggi praticamente ineludibile. Ovunque sei, dovunque vai, telefoni e sei telefonato dal tuo partner d’amore in continuazione (“ciao Ammoore, come stai, ti sei svegliato bene, mi hai pensato appena sveglio? Adesso devo andare c’è il capo, Ciaoo….ciaociaociao.”) Il cellulare è diventato il tramite per eccellenza per gestire la manutenzione ordinaria della vita sentimentale degli italiani di tutte le età e orientamento sessuale. Ma esso è anche l’oggetto tecnologico che, nel suo modo di essere usato, nella sua funzione mediatrice, sostitutiva del rapporto reale, è simultaneamente un tramite che favorisce la conoscenza e, al contrario, un produttore d’illusione, d’immagini distorte, sfasate, di credenze non veritiere, di un immaginario possesso dell’altro. In tal senso, il telefonino, per la funzione che svolge sempre al confine tra l’immaginario e il reale, in qualche modo connota i nuovi sentimenti amorosi, li rappresenta e li colloca all’interno di uno schema simbolico standardizzato. Ci fa capire, ad esempio, come l’amore oggi, più che in passato, abbia bisogno, per sopravvivere alla complessità, di essere nutrito d’illusione più che di conferme continue della sua reale consistenza materiale e tangibile. 2. L’amore moderno (post-moderno) si nutre d’immaginario e sfida l’incertezza del mondo illudendo, chi ama e chi è amato, di essere di fronte alla certezza della disponibilità continua dell’altro, di avere un rapporto quasi esclusivo con una persona, la quale, almeno al telefono, sembra esistere solo per te e vivere solo in funzione tua, attingere all’essenza vitale dell’amore condiviso. L’amore chiede un’incondizionata disponibilità dell’altro, un rapporto a tempo pieno, almeno tanto quanto noi ci rendiamo disponibili per lui, ci auto-poniamo sostanzialmente a diposizione dell’altro mediante un qualunque modello di telefonino per tutto o gran parte di una giornata. Ma deve anche poter farci sognare, giocare il gioco infinito e per certi versi assurdo dell’amore romantico, “amor che null’amato amor perdona”. Ci deve rassicurare sull’esistenza di una passione forte e travolgente, un legame intenso, proprio in virtù del fatto che la vita stessa, e di conseguenza anche le relazioni d’amore, si sono fatte più precarie e flessibili. Tutto quello che ci circonda è incerto e provvisorio, com’è incerta la realtà sociale, globale, di questo mondo in discesa, che oramai ha perso i suoi punti fermi e la sua stabilità. L’instabilità del mondo globale alimenta una domanda di stabilità, di sicurezza che noi costruiamo non solo con la famiglia o la coppia stabile, ma anche attra- verso l’assiduità del rapporto amoroso, la presenza costante e giornaliera del nostro utente telematico privilegiato. 3. L’uso del telefonino è ciò che denota meglio di tante altre esperienze i modi attraverso i quali si articola una relazione amorosa. Oggi, nel tempo della precarietà, siamo in qualche modo obbligati, costretti dalla provvisorietà di ogni cosa a coltivare ogni giorno, a nutrire più volte il giorno, nel vero senso della parola, la relazione amorosa, perché temiamo che anch’essa possa soccombere all’incertezza del divenire. Malgrado ciò, nonostante l’assiduità dei contatti e l’attaccamento morboso al nostro partner, non siamo mai certi di nulla e tanto meno garantiti sulla durata e sulla fedeltà del nostro amore. Siamo allo stesso tempo vittime e carnefici di un modo di amare che sollecita una verifica continua della nostra possibilità di accedere al rapporto, come si accede al servizio telefonico (l’utente chiamato al momento… è sempre raggiungibile), ma allo stesso tempo ci dischiude la possibilità opposta di entrare e uscire da un rapporto affettivo, che è ciò che desideriamo e temiamo di subire allo stesso tempo. La verità è che ci difendiamo da questa precarietà dei sentimenti costruendo legami molto stretti che facciano da baluardo contro la paura di perdere l’altro, anche se dietro quella paura, il tabù dell’infedeltà e del tradimento, in realtà, come ci ricorda Freud, si nasconde sempre il nostro desiderio di libertà, la nostra voglia di tradire, perché la cultura della precarietà, della provvisorietà e dell’intercambiabilità dei rapporti, è ormai entrata a far parte del nostro orizzonte cognitivo. Per giunta, c’è anche una sorta di contro-indicazione: quest’assiduità del legame, nutrito a dosi massicce di sms e telefonate più volte il giorno, tende alla fine a 17 saturare in fretta il rapporto amoroso. Ci si stanca prima dell’amore perché è stato consumato troppo assiduamente e troppo in fretta. C’è poi chi consuma intenzionalmente l’amore come si consumano i capi di abbigliamento e, sulla spinta della bulimia consumista, torna a cercare un nuovo amore come si va a comprare un capo di abbigliamento nuovo, perché quello vecchio, dopo una sola stagione non gli piace già più, lo ha già stancato. Capita, così, che come mandiamo messaggi d’amore brevi e frequenti, finiamo per vivere storie d’amore brevi e frequenti, relazioni a volte intercambiabili, facilmente sostituite con altre relazioni che avranno, a loro volta, una durata limitata nel tempo, come del resto sono intercambiabili i numeri nella rubrica del telefonino e i contatti che abbiamo in mobilità. Chiudiamo una storia d’amore con la stessa semplicità e facilità con la quale chiudiamo una telefonata. Ed è sempre più frequente che i congedi tra innamorati avvengano proprio per telefono: quando non ci sentiamo più coinvolti nel rapporto d’amore, se pensiamo di non essere più innamorati, se l’amore costa fatica, o comunque non ci sentiamo più all’altezza di continuare la storia a due, mandiamo un semplice sms di commiato (“Scusami… ma non funziona!”) E l’altro, quasi non fosse neanche sorpreso, ci risponderà con un altrettanto laconico (“Beh ma ogni tanto chiamami anche tu. Sai, ancora adesso, non riesco a credere che non ti avrei rivisto più”). 4. I cambiamenti delle relazioni d’amore assomigliano ai mutamenti climatici: in entrambi i casi si è molto ridimensionata l’idea di futuro, ed è presente molta instabilità che genera insicurezza e ci spinge a organizzarci difensivamente contro l’ansia e l’incertezza. Ogni anno che passa, si 18 accentua sempre di più l’idea che le condizioni ambientali favorevoli stiano per scadere, che il processo di deterioramento dell’ambiente e la riduzione delle risorse primarie rischi di diventare irreversibile. Così, anche l’amore lo viviamo prevalentemente nel presente: godiamo tutto il possibile in tempi sincopati, non aspettiamo il domani, perché del doman per davvero non v’è più certezza. Ci impegniamo in pochi legami stabili che ci proteggano dall’instabilità del mondo, ma spesso essi sono fragili, perché i turbamenti dell’amore ci inquietano, i litigi di coppia, quelli che si celebravano negli sceneggiati televisivi, oggi ci sembrano catastrofi immanenti, ostacoli insormontabili, sembrano essere anche’essi dei prodotti secondari del clima impazzito. Alla fine ci basta e avanza già quello che sta fuori dalla finestra di casa, non ne volgiamo sapere di problemi dentro il letto, in cucina, dentro le quattro mura domestiche, perché c’è già troppa angoscia là fuori. E così gettiamo facilmente la spugna, ci separiamo per non complicarci la vita, per non assumerci la responsabilità della riparazione del legame sentimentale. Non possiamo, non sappiamo più impegnarci a lungo termine in una relazione sentimentale che non sempre funziona, e lo facciamo a maggior ragione se questa ci crea dei problemi di divisione dei compiti, distribuzione equilibrata delle incombenze domestiche, ci obbliga a confrontarci con i se, ma, e così via. 5. Le statistiche dicono che dei matrimoni celebrati tra giovani coppie tra i venti e i trent’anni, uno su quattro è destinato a fallire. Sembra che siamo capaci di abitare un legame sentimentale solo se esso è quieto e tranquillo, ma in ogni caso non per sempre finché morte non ci separi, al massimo fino a un futuro prossimo. Eppure, si diceva un tempo “l’amore non è bello se non è litigarello”, e sappiamo che succede spesso che gli amori abbiano degli sbalzi repentini, che si possa passare dalla passione, dal calore e la vicinanza, alle improvvise ritirate affettive, delle prese di distanza che raggelano il rapporto. Tutto questo è sempre stato accettato dalle generazioni precedenti, era considerato quasi nella norma. Ora non più, perché oggi si è notevolmente abbassata la soglia di tolleranza al dolore sentimentale e la capacità empatica di ascolto dell’altro. Inoltre, è maggiormente in evidenza il nostro bisogno di essere rassicurati, almeno dall’amore personale privato, che tutto funziona, che esso è regolare ed emotivamente stabile, perché deve fare da baluardo contro l’insicurezza e la fragilità dell’equilibrio dell’ecosistema. Sì, perché, se ci pensiamo bene, lo stesso sta avvenendo nel clima. Nel corso degli ultimi inverni si è passati da ondate di gelo improvviso a un caldo fuori luogo e fuori misura. Anche le estati da un po’ di tempo a questa parte sono costellate da periodi caratterizzati da ondate di calore, con temperature sopra la norma, cui seguono periodi d’instabilità, di piogge e freddo improvviso, che ci fanno temere che la bella stagione estiva stia volgendo già al termine già a metà agosto. In amore facciamo lo stesso. Quando ci innamoriamo giuriamo amore eterno perché in quel momento sentiamo che è così, perché in fondo è l’unica certezza che crediamo di avere. Giuriamo di non abbandonare mai l’altro e di restargli a fianco con fedeltà. A queste dichiarazioni d’impegno nella coppia, fanno seguito manifestazioni di passione e di desiderio intensi, che però non durano all’infinito. A poco a poco s’instaura un regime di oscillazione tra ondate di grande passione cui seguono altrettanti momenti di distacco, di freddezza, a volte di vera e propria indolenza, che però, a differenza del passato, sono ora mal sopportati, perché nell’amore moderno si cerca prima di tutto la propria realizzazione, si guarda a se stessi più che all’altro, si antepone la soddisfazione dell’Io all’oggetto d’amore. 6. L’influenza del cambiamento del clima sulla vita amorosa potrà dare sviluppo a due tendenze principali: una di attaccamento morboso in difesa della precarietà e della paura del futuro, e l’altra di governo dell’insicurezza, introducendo forzatamente e attivamente dosi quotidiane d’incertezza nel rapporto. Nel primo caso noi useremo i rapporti d’amore come una difesa contro l’incertezza e la precarietà del mondo. Ci stringiamo nell’amore e facciamo muro costruendo legami intensi, strettissimi, immagineremo rapporti eterni e ci rifugeremo nella tradizione del matrimonio o nella coppia fissa e nella convivenza. Vivremo prevalentemente relazioni sicure che fungano da diga davanti al dilagare dell’incertezza quotidiana e alla paura del futuro. Qualunque cosa succeda noi restiamo uniti, anche soli sull’ultima zolla di terra alla deriva negli oceani ingrossati dallo scioglimento dei ghiacci perenni, potremo contare uno sull’altro. Ci basteremo. Nel secondo caso per padroneggiare l’insicurezza e la precarietà produciamo continuamente incertezza e fragilità nella relazione: nel tentativo di dominare attivamente quello che in realtà subiamo passivamente finiamo per creare rapporti flessibili, relazioni a tempo, situazioni sempre precarie. Alla fine ciascuno opera nei confronti dell’altro un sistematico lascio e prendo, prendo e lascio, infinite volte. Questo rituale del prendere e lasciare infinite volte, di determinare direttamente l’intensità del rapporto, la dose giusta di vicinanza 19 emotiva e il tipo di coinvolgimento personale, ci fa immaginare di dominare una piccola fetta di mondo, almeno quella fetta di mondo più prossima a noi. Vivo più relazioni possibili con la stessa persona e pratico piccoli tradimenti affettivi, forme di ritiro emotivo non dichiarato, cui seguono altrettanti avvicinamenti, perché a questo punto mi conviene considerare la turbolenza e l’infedeltà, la precarietà del rapporto, come dei valori aggiunti da me alla relazione, non aspetti della vita sentimentale che non governo per niente. Alcuni hanno più amori contemporaneamente, e già è stato coniato il neologismo anglofono polylovers, per indicare coloro che si concedono tanti amori simultaneamente e riescono a moltiplicare la propria capacità di amare per due, per tre, persino per quattro, contando i figli. Che il poliamore riesca a soddisfare tutte le parti in causa è tutto da dimostrare, ma certamente esso riesce a trasmettere un senso forte di vitalità e di soddisfazione della vita nel presente che rassicura le persone che lo vivono. Se non posso governare il pianeta in prima persona, se non posso determinare i cambiamenti globali, se non sono io a governare il Paese e a scegliere la politica energetica, se non posso fare quasi nulla per salvare il mondo dalla catastrofe, né tanto meno me stesso, almeno potrò intervenire per padroneggiare le mie relazioni sentimentali, rendendole mutevoli in funzione di un mio arbitrio, facendole dipendere dalla mia volontà. Io determinerò l’oscillazione del rapporto, l’intensità della relazione, il calore dei corpi e delle anime, in poche parole la condizione climatica del mio amore. 7. Ecco dunque indicate le possibili relazioni tra la telefonia mobile e l’amore moderno, tra i cambiamenti climatici e l’amore romantico, tra bisogno di prossimità e di 20 contatto telefonico continuo e minacce globali, tra variazioni di temperatura esterna e alterazioni della temperatura emotiva nei rapporti, tra incertezza globale e necessità di stato di conflitto nei legami sentimentali, tra consumo di sesso sempre più usa e getta, in età precoce, e strategie per sopravvivere nell’incertezza globale. Sia chiaro, si potrebbero scegliere benissimo altri parametri, ma a me sono sembrati questi i fattori più rappresentativi, i simboli più emblematici, le vere metafore dell’amore più che moderno post-moderno. È certamente vero che non possiamo dimostrare l’esistenza di una correlazione diretta tra i fattori macrosociali e le trasformazioni interpersonali e individuali, in particolare della corrispondenza tra questi fattori e i cambiamenti che sono avvenuti nella relazione amorosa in quest’ultimo decennio. Ma è pur vero che gli eventi macrosociali sono attorno a noi, hanno influenzato e stanno enormemente influenzando la nostra vita in generale. È lecito, pertanto, ipotizzare che essi siano potuti intervenire, quali suggeritori esterni, nel processo culturale di trasformazione della concezione dell’amore e della relazione amorosa, nel condizionare l’impegno, la durata, lo stile e la modalità di amare, di vivere la sessualità, delle generazioni che partecipano di questi cambiamenti epocali e li patiscono. 8. Personalmente, mi sono accorto di queste trasformazioni che sono presenti nella vita amorosa degli individui lavorando con i pazienti che seguo in psicoterapia. Durante le sedute, capita di frequente che le persone mi parlino delle loro vite sentimentali, degli amori che vivono, delle esperienze amorose e di quelle puramente sessuali. A volte mi raccontano anche in maniera dettagliata cosa si dicono per telefono, o quali sms hanno ricevuto e quali hanno inviato come risposta a quelli ricevuti. Situazioni non necessariamente problematiche, se mai descrittive di un contesto relazionale in cui si trovano a vivere. Relazioni spesso solo aperte a degli interrogativi, a un bisogno di riflettere in maniera approfondita sui propri sentimenti, suoi bisogni e sulle paure che emergono nel rapporto d’amore. Altre volte sono discorsi che contengono delle lamentele sullo scarso impegno sentimentale del partner, che pensa solo al sesso e non si assume la responsabilità di un rapporto d’amore. Oppure sono autocritiche sulla propria difficoltà ad amare intensamente e in maniera continua l’altro da sé, senza doversi ritirare dal rapporto a fasi alterne. Altre volte, ancora, è una denuncia della propria tendenza a mettere in discussione il rapporto quando si è in presenza della più piccola perturbazione. Se non si va più d’accordo, anche per un giorno soltanto, se si litiga per il quotidiano, si pensa subito che l’amore sia finito. C’è chi ha paura dell’abbandono e chiude una storia ancora prima che sia veramente finita, prima che l’altro diventi stanchezza o addirittura quando è ancora qualitativamente importante, per poi restare in eterna attesa che l’altro ritorni, vivendo un sentimento di mancanza incolmabile. L’amore subisce delle trasformazioni importanti e in molti casi si ha l’impressione di essere governati da forze estrinseche, di essere condizionati nei propri sentimenti da ciò che ci sta intorno, dal mondo esterno più che da quello interiore, dove abitano le emozioni e i sentimenti, dove costruiamo le immagini dei nostri oggetti d’amore. Per questo motivo i miei pazienti spesso mi portano domande sul senso di ciò che accade nelle loro relazioni sentimentali e sul perché si ritrovino a viverle in un certo modo, quasi obbligato, pur volendo fare dell’altro, volendo amare in maniera differente. Mi chiedono consigli su come potersi orientare, per trovare nuove possibili strade da percorrere per amare qualcuno in maniera soddisfacente, per essere amati da qualcuno con un certo impegno, pur vivendo nell’epoca della precarietà del tutto, a maggior ragione dei sentimenti. Dunque, sembra proprio che siano cambiate le regole dello stare assieme, la modalità di considerare la coppia amorosa, ma anche il modo di manifestare il desiderio e l’interesse per l’altro, la maniera di vivere la sessualità. Questi cambiamenti non sono certamente universali, la coppia stabile monogamica continua a esistere, ma certamente riguardano un numero rilevante di soggetti. Si tratta di persone differenti una dall’altra e tuttavia raggruppabili in categorie sociali, omogenee per condizioni e modelli di vita e per fasce di età. Si tratta di soggetti per lo più di una certa generazione che guardano all’amore, alla sessualità, al desiderio, ciascuno dalla sua particolare prospettiva e condizione, ma con ansie, paure e difficoltà in comune. Anche in questi macrogruppi omogenei per età anagrafica e appartenenza generazionale, pertanto, esistono certe differenze sul modo concepire e vivere il rapporto d’amore che rendono singolare quel che si cerca di definire universale. 9. Nonostante il panorama sociologico degli amanti del nuovo secolo appaia piuttosto variegato e frammentato, si può lo stesso sostenere che essi abbiano in comune, quasi sempre, la paura dei sentimenti e la ricerca di un amore vero, di un affetto forte, rassicurante, mentre simultaneamente stabiliscono relazioni sentimentali sempre provvisorie e instabili. Questo è il vero paradosso degli amanti del XXI secolo. 21 E da qui bisogna partire con la nostra indagine psicologica per capire il senso di questa contraddizione, cioè i principi ispiratori e le qualità dell’amore contemporaneo. Ho utilizzato come riferimento la generazione compresa tra i trenta e i quarant'anni, che sembra essere composta oltre che da coppie più o meno stabili, da un numero consistente di single, da semi single che ogni tanto stanno in coppia, senza troppo impegno, da separati che non si risposano e da altri che ritardano il più possibile le responsabilità coniugali. Un’altra parte di questa generazione è fatta di reduci di convivenze fallite o di storie d’amore finite: persone che, dopo una prima esperienza di matrimonio o dopo una convivenza in una coppia stabile, oggi preferiscono avere dei rapporti non impegnativi. Dopo aver giurato una prima volta, e spesso anche una seconda, amore eterno, e avere verificato che non esiste, hanno deciso di non rischiare più. Con gli anni hanno imparato a proteggersi. Ci sono sempre tra loro alcuni kamikaze dell’amore che si avventurano in sempre nuovi amori poco ponderati. Per il resto, la maggior parte di loro ha messo il cuore in un posto sicuro e lo mostra a qualcuno solo quando è proprio convinto che l’altra persona non sia pronto a farlo a pezzi alla prima occasione. Altri non rischiano nemmeno più: desiderano l’amore, ne parlano in continuazione, ma non sono proprio più capaci di viverlo. Restano prigionieri del passato e idealizzano l’ultimo amore vero che hanno vissuto, rispetto al quale nessun altro regge il confronto. Ma se saliamo di età, si scopre che la voglia di leggerezza, in realtà, non riguarda solo i più giovani tra i trenta e quaranta, anche oltre i quaranta prevale spesso la voglia di disimpegno sentimentale. Alcuni sociologi considerano questi soggetti i nuovi quarantenni adolescenti, coloro cioè 22 che vogliono prolungare l’adolescenza fino all’arrivo dei capelli bianchi. 10. Anche tra i cinquantenni, del resto, l’amore passione ha preso il posto dell’amore tutto casa e famiglia, sicurezza e protezione. L’idea di invecchiare insieme spesso fa più paura che attrazione, poiché la realizzazione di sé, nella relazione sentimentale, anche tra le coppie navigate, a volte, è più importante dell’impegno affettivo per il partner con il quale si è condivisa buona parte della vita. La maggior parte di noi, del resto, crede nell’amore romantico, un amore totale che ti riempie la vita, un amore al quale sappiamo dare solo qualità positive e che rappresenta, ancora oggi, checché se ne dica, l’obiettivo più alto nella vita sentimentale di una persona. Questo ideale d’amore non ha mai smesso di esistere, e grazie ai film, alle fiction televisive, alla letteratura e alla musica, ci resta impresso nella mente, funge da fondamento della cognizione delle nostre vite sentimentali. Puoi essere felice solo se t’innamori, solo se trovi il Vero amore. Se sia vero o no, non tocca a me rivelarlo, ma qui quello che vorrei sottolineare è che in generale noi riponiamo molte aspettative nell’amore, che devono fare i conti con una serie infinita di ostacoli, interni ed esterni, che inficiano la possibilità di soddisfarle pienamente. Allo stesso tempo, nelle nuove generazioni, i trentenni di oggi, sono in tanti a essere cresciuti credendo nei valori propagati dalla cultura dell’individualismo moderno. Essi hanno imparato ad apprezzarsi per il proprio comportamento, ad amare e a proteggere loro stessi prima degli altri, partner compreso, a essere indipendenti. Diventa, quindi, persino ovvio, che esista un forte sfasamento tra la ricerca e la conservazione dell’amore romantico e l’individualismo auto-centrato e auto-referenziale. In più esistono tutti gli ostacoli esterni che minano il progetto di costruire un amore a due che regga nel tempo e non invecchi in fretta. E sono quei fattori sociali d’instabilità e precarietà che io ho già indicato all’inizio: essi si possono definire come degli etero-organizzatori sociali che s’incontrano con gli auto-organizzatori individuali del progetto di coppia e del rapporto d’amore. Nell’incontro tra individuo e ambiente, si producono così infinite variabili di vita sentimentale, tante possibili storie d’amo- re, che, pur se differenti una dall’altra, in comune possiedono il senso d’instabilità, il bisogno d’indipendenza del singolo, che mal si concilia con il legame di coppia, la difficoltà a credere nel futuro e la bassa tolleranza alla frustrazione e al dolore sentimentale. Più in generale, credo si possa sostenere che, in questo inizio di nuovo secolo, tendiamo a vivere in maniera obbligata delle relazioni incerte, come pure impostiamo matrimoni a tempo, oppure pratichiamo convivenze sempre reversibili. E il tutto è condito con emozioni a intensità variabile. Il Bulletin européen è una tribuna libera fondata nel 1950 da J. Constantin Dragan per lo sviluppo del dibattito sull’Europa. Le opinioni, liberamente espresse dagli autori, non necessariamente corrispondono a quelle del giornale. Bulletin européen Tribuna libera per l’Europa fondata nel marzo del 1950 da Giuseppe Costantino Dragan ISSN 2283-3013 già 0407-8438 (cartaceo) Direttore Responsabile: Guido Ravasi Direzione e Redazione: Via Larga 9/11 - 20122 Milano Tel. 02 58371405 - e-mail: [email protected] Registrazione Tribunale Milano n. 390 del 3-6-1998 Chiuso in redazione: 24 gennaio 2015 . ... si la Communauté économique européenne est la base de l’unification de l’Europe, la Communauté culturelle en permettra sa réalisation durable. SOMMARIO Guido Ravasi: “Charlie Hebdo” e le trappole del pensiero riduttivo................. 1 Vittorfranco Pisano: Gli strumenti ordinari e straordinari di contrasto al terrorismo contemporaneo (I): il ruolo dell’intelligence............... 7 Luciano Di Gregorio: Le relazioni sentimentali nell’epoca del telefonino ... 16