Scarica l`articolo di Modulo
Transcript
Scarica l`articolo di Modulo
modulo 371 • 653 ARCHITETTO: una professione che mescola artigianalità e punte di creatività high tech alla prova con la difficile sfida di conciliare il management del fare con il FARE MANAGEMENT. Conditio sine qua non per la sopravvivenza BEATRICE MANZONI, LEONARDO CAPORARELLO A partire dagli anni ’50 studiosi di management, di organizzazione e di sociologia si sono occupati di “architectural management” secondo due prospettive: la prima orientata a dare suggerimenti pratici agli architetti, ad esempio, su come aprire una partiva iva, gestire un progetto, costruire un preventivo; la seconda a promuovere l’idea di architettura come business complesso da gestire. The Architect in Practice (Willis e George, 1952), Architectural Practice and Procedure (Bennet, 1981), e il recente The Architect’s Handbook of Professional Practice (Demkin, 2008) sono esempi di pubblicazioni della prima prospettiva, ovvero indicazioni pratiche e concrete su cosa fare dalla stesura della proposta a un cliente alla redazione del progetto esecutivo in accordo con le normative di riferimento. This Business of Architecture (Willis, 1941), Management applied to architectural practice (Brunton et al 1964), Managing Architectural & Engineering Practice (Coxe 1980), The Business of Architectural practice (Sharp, 1986), Architectural Management in practice: a competitive approach (Emmit, 1999) e i recentissimi How to Start and Operate Your Own Design Firm: A Guide for Interior Designers and Architects (Rubeling, 2007), Architectural Management: International Research and Practice (Emmitt, Prins e den Otter, 2009) e The Architect's Guide to Small Firm Management: Making Chaos Work for Your Small Firm (Klein, 2010) sono, invece, testi che afferiscono alla seconda prospettiva ovvero gestire l’architettura come business vero e proprio. In generale, alla luce dell’ampia letteratura di riferimento, l’architectural management si può concettualizzare come una riflessione relativamente al ruolo dell’architetto e agli strumenti che gli sono necessari per ricoprire al meglio questo ruolo e per svolgere la professione. Fa quindi riferimento, da una parte, all’insieme delle competenze e tecniche che l’architetto deve possedere per gestire, amministrare e organizzare lo studio (practice management) e, dall’altra, alle competenze e agli strumenti per realizzare la propria attività ovvero per portare a termine con successo i progetti nei quali l’architetto è coinvolto (project management). Da un lato si può parlare del “fare management” all’interno dello studio e dall’altro del “management del fare” progetti. MODULO PAROLE CHIAVE PROFESSIONE · ARCHITECTURAL MANAGEMENT · STUDIO D’ARCHITETTURA · GESTIONE – BUSINESS · PRACTICE MANAGEMENT · PROJECT MANAGEMENT 654 • modulo 371 135.000 gli architetti in Italia, all’incirca uno ogni 450 abitanti. Una DISTRIBUZIONE POLVERIZZATA, 1,4 addetti per ogni realtà professionale. Una miriade di microimprese, POCHI GRANDI STUDI. E un luogo comune da sfatare: la managerialità è in conflitto con la creatività P er entrambe le dimensioni (practice e project management), non è corretto un “puro” trasferimento delle logiche, delle metodologie e degli strumenti tipici dell’economia e del management al settore dell’architettura. Gli studi di architettura sono, infatti, realtà professionali di servizi creativi con delle caratteristiche peculiari che rendono necessario tener conto delle specificità del settore nella definizione di pratiche manageriali ad-hoc. Questo è poi vero soprattutto in Italia dove il numero di architetti è il secondo più elevato al mondo (con oltre 135.000 architetti siamo secondi solo al Giappone) ma la dimensione media delle realtà imprenditoriali (1,4 addetti) denota un settore polverizzato fatto di microimprese, dove i grandi studi di architettura sono pressoché assenti e dove il carattere artigiano della professione rimane il modello prevalente e dominante. L’artigianalità della professione e le micro dimensioni non possono però rappresentare la scusa per non essere architetti manager o non gestire gli studi professionali come un’azienda. Il presupposto che gestire con competenze manageriali uno studio uccida la creatività o sia prerogativa dei grandi è errato. Gli architetti, grazie a problem solving creativo e design thinking attitude, hanno il potenziale per essere anche dei bravi manager. Preso atto di questo, due sono, allora, i livelli da tenere presente. Cosa si intende per competenze manageriali? Quali sono le competenze manageriali importanti per l’architetto e il suo studio professionale? La disciplina del management distingue tra competenze a livello individuale e competenze a livello organizzativo. Si tratta di due filoni diversi di studi e ricerca: il primo psicologico, culturale, individuale; il secondo razionale, strategico, sistemico; il primo è fortemente focalizzato sulla dimensione individuale, il secondo, pur fondandosi sul primo, interpreta le competenze da una prospettiva strategica orientata a individuare le modalità competitive di successo. A livello individuale, le competenze – dell’architetto – fanno riferimento a delle caratteristiche che portano a risultati efficaci o superiori nella propria attività lavorativa. Esistono competenze di soglia e competenze distintive: le prime sono essenziali per svolgere un’attività ma non correlate a performance eccellenti o superiori. Le seconde sono invece possedute da chi raggiunge risultati eccellenti e sono pertanto distintive. Esistono poi tipi di competenze (tecniche, relazionali e gestionali) e livelli di competenze (motivazioni e tratti, immagine di sé e ruolo sociale, skill/abilità) (tra gli altri, Boyatzis, 1982). Le aree di competenze manageriali a livello individuale tradizionalmente individuate in letteratura sono: comunicazione, pianificazione e organizzazione, team work, azione strategica, multiculturalità e sviluppo di sé (tra gli altri, Slocum et al, 2008). Con ARCHITETTO, QUANTO SEI ANCHE MANAGER? Alcune domande di un questionario di autovalutazione sulle competenze manageriali a livello individuale. Esprimi il tuo grado di accordo con le seguenti affermazioni relative a te stesso (1= totale disaccordo, 5= totale accordo). 1. Cerco il dialogo con chi ha pareri diversi dai miei e li ascolto 2. Di fronte a un gruppo di persone so fare presentazioni convincenti e di impatto 3. In situazioni di conflitto, aiuto le controparti nel trovare una soluzione che sia vincente per tutti 4. Controllo e monitoro informazioni che sono rilevanti per progetti e attività in corso 5. Pianifico attività e tempi in modo da raggiungere efficientemente obiettivi specifici 6. Sono in grado di leggere budget, flussi di cassa e report economico-finanziari 7. So definire obiettivi chiari che coinvolgono e motivano le persone che fanno parte del mio stesso team 8. Sono in grado di comprendere l'evoluzione del settore all'interno del quale opero 9. Sono ambizioso e motivato al raggiungimento degli obiettivi 10. Pianifico e ricerco opportunità di crescita personale nel lungo termine Dove ti posizioni? • Più di 45 = Ottimo lavoro. Sei già un bravo manager, continuare così • 35-44 = Bene, c'è spazio di miglioramento • 25-34 = Ci sono importanti aree di miglioramento che richiedono interventi a breve • 10-24 = Non sei ancora un manager. Sono necessari interventi importanti e immediati Per un’autovalutazione più completa e puntuale relativamente alle competenze manageriali dell’architetto, è possibile compilare il questionario online sul sito www.sdabocconi.it/architetturaemanagement o contattare gli autori via email. modulo 371 • 655 riferimento a queste aree, a pag. 654 presentiamo un breve questionario di autovalutazione. L’obiettivo è di attivare meccanismi di riflessione e valutazione di alcune caratteristiche e dimensioni manageriali rilevanti. Si tratta di aree in linea con quanto dichiara per esempio anche Norman Foster, a capo di 15 uffici nel mondo, più di 1000 dipendenti e progetti in oltre 40 paesi diversi, intervistato per Harvard Business Review – rivista internazionale di management tra le più famose a livello internazionale – ad aprile di quest’anno. Cosa fa di un architetto un buon architetto secondo Foster? Orientamento al risultato e all’eccellenza, propensione alla sperimentazione, curiosità, umorismo; ma anche capacità di restituire feedback costanti, positivi e negativi, al proprio team, capacità di ascolto e dialogo con il cliente, di negoziazione e di problem solving. A livello organizzativo, le competenze – dello studio di architettura – sono relative ai processi strategici chiave per la generazione del valore. Quali sono le abilità, le conoscenze e il know-how che forniscono particolare vantaggio competitivo? Le competenze organizzative sono il sapere collettivo dell’organizzazione. Secondo Prahalad e Hamel (1990) sono competenze che danno accesso potenziale a diversi mercati, che contribuiscono in modo significativo al valore percepito dal cliente e che, quando sostenibili, sono difficili da imitare da parte dei concorrenti. Rispondendo alle domande del questionario in questa pagina è possibile capire quanto è managerializzato e organizzato il proprio studio di architettura, o quello dove si lavora. In conclusione, l’architectural management è un tema non nuovo visto che se ne parla da molti anni ma a distanza di più di 50 anni il dibattito è ancora acceso e ampio. Questo lascia intendere che c’è quantomeno bisogno di chiarezza e di presa di “coscienza” di come e quanto l’una disciplina possa realmente contribuire al successo dell’altra (e viceversa) e di come si possa essere creativi dotandosi al tempo stesso di pratiche di gestione efficaci e di successo. Per i riferimenti bibliografici contattare gli autori Leonardo Caporarello ([email protected]). Docente di Organizzazione e Personale e Direttore del Learning Lab della SDA Bocconi. Coordina il corso di Progettazione Organizzativa e svolge attività didattica nei programmi MBA e in iniziative di formazione Executive presso aziende italiane e straniere. I temi della sua attività di ricerca e didattica afferiscono alle aree dello sviluppo manageriale, del comportamento organizzativo e della gestione del cambiamento. Beatrice Manzoni ([email protected]). Docente di Organizzazione e Personale presso la SDA Bocconi. È iscritta a un dottorato in Project e Construction Management presso la Bartlett School, UCL a Londra, dopo una laurea in Economia in Bocconi e in Architettura al Politecnico di Milano. Svolge attività di didattica e ricerca, oltre che per aziende italiane e straniere, anche per istituzioni culturali su temi che riguardano in particolare il project management e l’organizzazione dei processi creativi. Insieme sono coordinatori dell’iniziativa “Architettura e Management. Come il management può contribuire all’eccellenza dell’architettura italiana” presso la SDA Bocconi: un progetto di formazione manageriale dedicato agli architetti. www.sdabocconi.it/architetturaemanagement L’articolo inaugura un ciclo di contributi sul tema del management applicato all’architettura, dell’architetto come manager e degli studi professionali come realtà aziendali. I prossimi appuntamenti su Modulo: ottobre e novembre 2011. QUANTO È MANAGERIALIZZATO IL TUO STUDIO PROFESSIONALE? Alcune domande di un questionario di autovalutazione sulle competenze manageriali a livello organizzativo. Esprimi il tuo grado di accordo con le seguenti affermazioni relative al tuo studio di architettura o a quello presso cui lavori (1= totale disaccordo, 5= totale accordo). 1. La nostra struttura supporta invece che ostacolare o rallentare le decisioni più rilevanti per il successo organizzativo 2. Le persone all’interno dello studio hanno chiaro quali siano i ruoli e le responsabilità di ciascuno 3. I nostri processi sono disegnati per supportare decisioni e azioni che siano efficaci e tempestive 4. Le persone che ricoprono ruoli decisionali rilevanti hanno le informazioni delle quali necessitano nel momento e nelle modalità in cui ne hanno bisogno 5. I nostri sistemi di misurazione e incentivazione focalizzano le persone a prendere e realizzare decisioni efficaci 6. Le persone conoscono bene le loro priorità al punto da essere in grado di prendere e realizzare le decisioni che si trovano ad affrontare 7. Il nostro stile decisionale è efficace: sappiamo bilanciare pressione sui tempi e sui costi e sulla qualità 8. Le decisioni che possono avere un forte impatto organizzativo vengono fatte prendere dalle nostre persone migliori 9. I leader dello studio mettono in pratica spesso comportamenti decisionali efficaci 10. La nostra cultura organizzativa rinforza decisioni e azioni rapide ed efficaci Dove ti posizioni?. • Più di 45 = Ottimo lavoro. Continuare così • 35-44 = Bene, c'è spazio di miglioramento • 25-34 = Ci sono importanti aree di miglioramento che richiedono interventi a breve • 10-24 = La tua organizzazione richiede interventi importanti e immediati 656 • modulo 371 Saper gestire l’imprevisto, saper gestire le relazioni con le persone, ridefinire le priorità in continuo: e lo studio funziona, anche se si tratta di managerialità talvolta “improvvisata” MODULO lo chiede a ANDRÉ STRAJA GORING & STRAJA STUDIO B. Manzoni per Modulo: Chi sono Goring e Straja? André Straja: Da un punto di vista manageriale, come tanti altri studi di architettura, siamo autodidatti e originali, con nessuna formazione nel campo della gestione. Io sono uscito da una delle dieci più rinomate università degli Stati Uniti e non c’è mai stato un corso in cui ci venisse insegnato come gestire uno studio. Per usare un paragone calcistico: siamo nati in serie C, siamo arrivati in B grazie ad alcune opportunità, e nello stesso modo siamo poi approdati in A. Ma in A siamo il Chievo, non il Milan. Come fa il Chievo a diventare il Milan con gli handicap del Chievo? Non abbiamo le stesse capacità economico gestionali di Gregotti, per fare un nome milanese. Né riusciamo a farci pagare quanto Renzo Piano riesce a farsi pagare per un progetto, ma time is money ed è evidente che se hai il doppio del tempo fai le cose meglio. Se non hai Ibraimovich in squadra, puoi competere con un maggior senso di collettività e una maggiore intelligenza, non furbizia. B. Manzoni per Modulo: Quali sono le competenze manageriali che ritiene di possedere come architetto? André Straja: Ci sono un sacco di realtà diverse e le parola qualità manageriali o competenze manageriali hanno diverse sfumature. Se fossi un manager da Foster and Partners il mio ruolo sarebbe una cosa. Esserlo qui è completamente diverso. Quello che capita qui è “terrificante”. Imposto la strategia dello studio e le ambizioni e i progetti per il futuro, definisco le strutture e i processi necessari per il funzionamento dello studio. Fino a poco tempo fa ero unico responsabile del marketing: la stragrande maggioranza dei progetti arriva da quello che ho costruito e fatto io (ovviamente con l’aiuto di tanti ma in prima fila sono stato sempre io). Sono anche la persona che segue la parte progettuale dello studio e che trasmette lo stile e la filosofia del gruppo. Spengo i fuochi: quello che non si risolve di là, arriva sul mio tavolo. Gestisco equilibri, professionali e personali, tra le persone. Non ultimo devo saper gestire gli imprevisti: ogni lunedì facciamo una riunione di coordinamento e pianificazione della settimana, ma spesso a metà settimana il mio telefono squilla, cambiano le priorità, arriva un progetto nuovo e la pianificazione si deve rifare di nuovo. B. Manzoni per Modulo: Come riesce a coniugare la dimensione progettuale con quella manageriale? André Straja: Bisogna essere in grado di fare tutto contemporaneamente in tempi estremamente brevi. L’architetto è un giocoliere. Inizi la carriera con due palle, poi qualcuno te ne tira una terza, una quarta una decima, una ventesima e tu continui a giocare. Credo di avere la capacità di fare tante cose in modo competente. Non sono un genio in nulla. E questo credo sia proprio di un manager. B. Manzoni per Modulo: Quali sono le competenze distintive dello studio? Cosa credete sia importante nell’ottica di una gestione manageriale dello studio? André Straja: Questo studio sa raccontare una vasta gamma di tipologie architettoniche, dal retail agli alberghi, da case per studenti, al residenziale. Facciamo di tutto ed è evidente che facendo di tutto c’è stata un prima volta per ogni tipo di progetto. Poi c'è l'aspetto della velocità fondamentale e anch'esso di forte rilievo “manageriale”. Per esempio il gruppo Carlyle/Nordkranen ci ha invitato nel 2005, insieme ad altri quattro architetti, a progettare quattro immobili e un’area di 200.000 m 2 in tre settimane. A ciascun architetto alla fine sarebbe stato assegnato l’incarico di progettazione di un edificio. Eravamo in 12 nello studio, contro un gruppo inglese di 60, uno danese di 60 e un altro danese di 200. Siamo arrivati a un livello di definizione molto alto rispetto a gruppi ben più organizzati di noi, e sempre con delle idee forti e pertinenti. In questo modo abbiamo prodotto un’ottima impressione che ci ha permesso di sedere allo stesso tavolo da uguali. Un altro esempio: negli ultimi 6 o 7 anni abbiamo vinto circa 20 concorsi privati. E questo è anche dovuto alla nostra capacità di essere molto veloci. Goring & Straja Studio è una società fondata nel 1996 con sedi a Milano, Roma e San Francisco. Si occupa di progettazione integrata e di interior design per clienti nazionali e internazionali. In Italia è diretta da André Straja e Giacomo Sicuro e ha firmato progetti per grandi nomi come: Galotti Spa, CB Richard Ellis Investor, Carlyle Group, Generali Properties, Sara immobili, Sole24 Ore, Microsoft, Abbott, Fendi, Nespresso, G&W invest (Hilton) e numerosi altri. Tra partner, dipendenti e collaboratori lo studio è, oggi, di circa 30 persone.