Il Cristo medico

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Il Cristo medico
Il Cristo medico
FRANCESCO FIORISTA
M a egli disse loro: “Certamente voi mi applicherete questo proverbio:
medico, cura te stesso; tutto quanto abbiamo udito che è avvenuto a
Cafarnao, fallo anche qui nella tua patria”.
Vangelo di Luca, 4, 23
Così Luca, l’evangelista medico, racconta della
tiepida accoglienza (che di lì a poche ore sarebbe
divenuta francamente ostile, col tentativo di gettarlo giù da una rupe) riservata dagli abitanti di
Nazaret a Gesù al suo ritorno nel suo paese. Essi
infatti non solo erano scettici nel veder predicare
nella sinagoga il figlio del falegname Giuseppe,
ma soprattutto erano invidiosi che avesse compiuto guarigioni miracolose soltanto a Cafarnao,
come se anche a Nazaret non ci fossero muti,
sordi, storpi, lebbrosi, ciechi o epilettici da sanare.
Solamente in questo passo, tra tutti e quattro i
Vangeli canonici, Gesù viene chiamato “medico”;
in un altro passo, immediatamente prima del
discorso della montagna Luca afferma (6,19) che
“... tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui
usciva una virtù che guariva tutti”.
Le folle enormi che si radunavano intorno al Cristo lo cercavano soprattutto per la sua fama di
guaritore, e proprio quegli assembramenti di moltitudini popolari erano soprattutto temute dai
Sacerdoti del Sinedrio; anche questa sarà una
causa della sua condanna a morte. Il francese
Ernest Renan (1823-1892) nella sua Vita di Gesù
pubblicata in Francia nel 1863, opera che suscitò
accese discussioni, scalpore e scandalo in quanto
la figura di Cristo risaltava unicamente nella sua
natura umana, così scriveva: “... A quel tempo i
miracoli erano creduti il suggello indispensabile del
divino... Secondo tutti il Messia ne avrebbe fatti
molti. A Gesù restava dunque la scelta tra due partiti: o rinunciare alla propria missione o diventare
taumaturgo... Quasi tutti i miracoli di Gesù sembrano miracoli di guarigione; la malattia si guardava
come un castigo di un peccato, o come opera di un
demone e non mai effetto di cause fisiche, e il
miglior medico era l’uomo santo, che avesse poteri
soprannaturali. Si riteneva una cosa morale il guarire. Gesù, che sentiva la propria forza morale,
doveva stimarsi mirabilmente adatto a guarire.
Convinto che il contatto della sua veste, l’imposizione delle sue mani giovasse ai malati, sarebbe stata
cosa crudele il negare ai sofferenti un sollievo, che
egli poteva concedere. Si credeva che il guarire i
malati fosse uno dei segni del regno di Dio ...”
Nella storia della pittura, italiana e non, migliaia e
migliaia sono le raffigurazioni delle miracolose
guarigioni compiute da Gesù, soprattutto tra il
XIV e il XVII secolo, dalle quali sempre traspare
il carattere divino e soprannaturale del suo intervento. Ma egli, per quanto ci risulta, non fu mai
rappresentato esplicitamente come “medico”, in
una veste cioè del tutto pragmatica e tecnica.
Il Cristo medico, dipinto attribuito a Werner van den Valckert
(Gavno Castle, collezione Reedtz - Thott)
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Del tutto eccezionale è dunque il dipinto del fiammingo Werner van den Valckert (Gavno Castle,
collezione Reedtz - Thott), che si intitola per l’appunto “Il Cristo medico”. Il quadro, databile nella
prima metà del XVII secolo, risente della cultura
nuova dei tempi, allorché anche la Medicina
cominciava a muovere i primi passi sperimentali,
grazie soprattutto agli studi anatomici da cadavere
nonché alla rivoluzionaria scoperta della circolazione sanguigna ad opera dell’inglese William Harvey (Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus, trattato pubblicato per la
prima volta a Francoforte nel 1629).
Sullo sfondo sono rappresentati medici che prestano
cure ad alcuni infermi, assistiti in questa loro opera
da altre persone (i futuri “infermieri”). In primo
piano è raffigurato Gesù, che attentamente “osserva”, secondo il nuovo spirito dei tempi, del liquido
organico (urine?) in una ampolla. Nella mano sinistra ha un vasetto di medicamenti, verosimilmente
unguento, ed alla cintura è appesa una spatola. Non
vi è nulla di divino nella sua figura, dalla quale traspare unicamente, scevra da ogni emotività, l’osservazione obiettiva diretta, base del ragionamento diagnostico e della metodologia clinica.
Nel rappresentarlo munito degli strumenti della
professione ed arte medica, l’autore segue in tutto
e per tutto la medesima tradizione pittorica con cui
per secoli erano stati rappresentati i Santi Medici
Cosma e Damiano, persino nella veste di panno
(rosso) coperta da un ampio mantello. In basso a
destra è deposto a terra un libro aperto, certamente
di materia medica. Come quasi due secoli prima
Antonello da Messina nel “San Gerolamo nello
studio”, rappresentando il santo in uno studiolo
pieno di libri, aveva simboleggiato l’ideale dell’uomo dell’Umanesimo, rivolto alla classicità greca e
latina, così qui il pittore fiammingo simboleggia
nel Cristo medico l’uomo di scienza che, rigettate
le superstizioni e le false credenze medioevali,
intraprende la via dell’osservazione e delle prime
sperimentazioni.
Cristo medico dunque, guaritore dei corpi. Ma l’evangelista Luca, se come medico conosceva la
guarigione del corpo da una malattia, come seguace di Cristo conosceva la salvezza dell’anima dal
peccato: e questa seconda è molto più della prima.
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E proprio questo ci rammenta nel racconto dei
dieci lebbrosi (17, 11 - 19), non a caso riportata
solo nel suo Vangelo. Dei dieci lebbrosi sanati,
solamente uno, e per giunta un samaritano, ritorna
indietro a ringraziare Gesù della guarigione ricevuta, e Gesù “salva” solamente quest’ultimo per la
sua grande fede.