SCARICA E LEGGI. L`intervista a Salvatore Burrafato

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SCARICA E LEGGI. L`intervista a Salvatore Burrafato
SALVATORE BURRAFATO, FIGLIO DEL VICEBRIGADIERE ANTONINO,
UCCISO DALLA MAFIA IL GIORNO DI ITALIA-ARGENTINA
AI MONDIALI DEL 1982, HA SCRITTO UN LIBRO SULLA MORTE DEL PADRE.
“ALLE TRE MI TROVAVO GIÀ DAVANTI AL TELEVISORE,
ANCHE SE LA GARA SAREBBE COMINCIATA SOLO DUE ORE DOPO.
PAPÀ DOVEVA ANDARE A LAVORARE IN CARCERE,
MI CHIESE DI ACCOMPAGNARLO PER UN PEZZETTO”
TARDELLI
SEGNAVA
E MIO PADRE
MORIVA
di Roberto Puglisi
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S - IL MAGAZINE CHE GUARDA DENTRO LA CRONACA
E
rano trascorsi dieci minuti della ripresa.
Antognoni vide un varco di luce nel
muro della difesa argentina e inventò
un passaggio. Tardelli si piazzò lì, dove
mai avrebbe sognato. Davanti a lui c’era
il mitico Fillol, che di nome faceva
Ubaldo Matildo, portiere campione del mondo, protetto da un’intensa maglietta verde prato. Tardelli
mirò all’angolino. Gol. L’Italia intera – l’Italia dell’Ottantadue, del vecchio Bearzot, di Bruno Conti e
di Sandro Pertini – alzò le braccia al cielo.
Negli stessi momenti, all’ospedale di Termini Imerese, Salvatore Burrafato diceva addio a suo padre.
Questa storia si racconta soprattutto all’imperfetto,
il tempo delle cose passate che in fondo non passano mai. Ha un doppiofondo. È una cronaca duplice
che porta sulle rive di uno strazio inumano e di una
umanissima felicità. Da una parte la voce usuale di
Nando Martellini, le emozioni di milioni di cuori
attaccati allo schermo. Dall’altra, la fine del vicebrigadiere Antonino Burrafato, guardia carceraria ai
Cavallacci di Termini, punito dalla mafia per un no
opposto a Leoluca Bagarella, secondo le sentenze finora acquisite. 29 giugno 1982, la data in calce al
controcanto del destino. Il giorno della Nazionale
che inaugurava la sua marcia trionfale verso la Coppa del mondo in Spagna. La notte luttuosa di una famiglia perbene.
Da quel pomeriggio estivo della sua adolescenza
Salvatore Burrafato ne ha fatta di strada. Aveva sedici anni. È diventato politico, presidente del consiglio
comunale di Termini Imerese, un uomo fortificato
dalle sue scelte. Non è riuscito a eliminare una specie di singhiozzo trattenuto che va e viene negli occhi, come un segno di interpunzione nei frangenti
più ruvidi e intimi. La storia è costellata di coraggio,
di riscatto, di valore, di viltà, di omissioni forse sin-
Qui sopra,
Antonino Burrafato.
A fianco, il gol
di Tardelli
contro l’Argentina
ai mondiali
del 1982.
Nella pagina
accanto,
Salvatore Burrafato
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IN QUEI GIORNI BAGARELLA ERA RINCHIUSO
AL CARCERE CAVALLACCI DI TERMINI E NON
FU AMMESSO IN EXTREMIS A UN COLLOQUIO.
E NEL PENITENZIARIO TUTTI SAPEVANO
CHE “QUELLO CHE FACEVA E SFACEVA”
ERA BURRAFATO. “C'È CHI HA AVUTO LE FICTION
DELLA RAI. PER MIO PADRE CI HANNO DOVUTO
PENSARE I RAGAZZI DELLA SCUOLA PALMERI
CHE HANNO GIRATO UN DOCUMENTARIO”
golari per essere frutto del caso. È una trama declinata all’imperfetto. Salvatore la prende dalla ghiacciaia di un tempo terribile. La scioglie lentamente.
“Lo sapevamo benissimo che quel giorno c’era la
partita. Papà era un tifoso proprio come me. Alle tre
mi trovavo già davanti al televisore, anche se la gara
sarebbe cominciata solo due ore dopo. Papà doveva
andare a lavorare in carcere, mi chiese di accompagnarlo per un pezzetto, per rilegare un mio libro. Il
vocabolario Zingarelli che conservo sempre, ornato
da una piccola macchia di sangue”. La morte violenta per mano dei killer piombò sul tragitto verso
l’ufficio.
Il calvario di Antonino e dei suoi esplose in una tranquilla giornata di servizio e di Mundial. Il resto appartiene alla lotta di chi ha cercato con ostinazione di
non perdere la memoria, al netto della retorica e nonostante l’indifferenza. Il vicebrigadiere Burrafato –
insiste il figlio – è un eroe sepolto. Un martire di serie B che ha ottenuto la medaglia d’oro al valor civi-
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le due anni fa. “C’è chi ha avuto le fiction della Rai.
Per mio padre ci hanno dovuto pensare i ragazzi della scuola Palmeri che ringrazio di cuore, con l’Ecap
e l’università di Palermo. Hanno girato un documentario”.
Salvatore ha messo la sua pietra angolare. Con Nicola Sfragano e Vincenzo Bonadonna ha pubblicato
“Un delitto dimenticato, storia di Antonino Burrafato vittima di mafia” (edizioni La Zisa). A Bonadonna, cronista di razza, molto attento ai segni del
territorio, è toccata la ricostruzione storico-giudiziaria dell’evento. Si legge, nel resoconto di un agente
di custodia: “Nel mese di giugno del 1982 al carcere
Cavallacci di Termini si trovava associato il detenuto Leoluca Bagarella che doveva essere ammesso a
colloquio con i familiari. Poco prima che ciò avvenisse dalla questura di Palermo era stato notificato
un ordine di cattura. Non fu possibile consentire il
colloquio. Ciò lo fece adirare moltissimo (…) Bagarella era giunto nel carcere di Termini da Pianosa
l’uno giugno 1982 per rendere visita alla salma del
padre che era morto giorni prima. La traduzione di
Bagarella a Corleone subì ritardo anche a causa del
nuovo mandato di cattura”. “Nell’ambito dei reclusi
– suggerisce un’altra testimonianza – tanti erano a
conoscenza che ‘quello che faceva e sfaceva’ era il vicebrigadiere Antonino Burrafato. Per cui non è da
escludere che qualcuno di essi abbia voluto la sua
morte perché costituiva ostacolo ai loro piani”.
Ci sono voluti vent’anni, un’archiviazione e la ripresa delle indagini ad opera dei pm Maurizio De Lucia
e Sandra Recchione per dare corpo alla verità. È stato necessario che il mafioso Salvatore Cucuzza, nel
A FARE LUCE SUL DELITTO È STATO
IL MAFIOSO SALVATORE CUCUZZA:
CON L’AVALLO DELLA COSCA LOCALE FU USATO
IL GRUPPO DI FUOCO “STORICO”. NELL'ATTENTATO
SAREBBERO IMPLICATI ANTONINO MARCHESE,
GIUSEPPE LUCCHESE, PIETRO SENAPA E PINO
GRECO “SCARPUZZEDDA”. PER GLI ULTIMI TRE
LA CONDANNA NON È ARRIVATA: GRECO È MORTO,
GLI ALTRI SONO STATI ASSOLTI
In alto, da sinistra: Leoluca Bagarella, Pietro Senapa, Pino Greco
e Giuseppe Lucchese. Qui sopra, Salvatore Cucuzza
1996, rammentasse, tra le tante vite che aveva “astutato”, quella del sottufficiale degli agenti di custodia,
un “Uomo dello Stato”, secondo la definizione dei
giudici.
“Mio padre pagò con la condanna a morte per il suo
senso di giustizia – dice Salvatore –. Per avere richiamato Bagarella al rispetto del regolamento, quando
il boss si sarebbe aspettato un trattamento di favore,
in voga negli istituti carcerari nei confronti dei capicosca di maggiore rango. Mio padre sapeva benissimo con chi aveva a che fare. Era angosciato e ne parlò con mamma”. Il delitto venne avallato dalla cosca
locale. Secondo la confessione di Cucuzza,
l’attentato avrebbe impegnato lo storico gruppo di
fuoco di Cosa nostra. Sarebbero stati implicati, con
mansioni diverse, Giuseppe Lucchese, Antonino
Marchese, Pietro Senapa e Pino Greco inteso “Scarpuzzedda”. Bagarella e Marchese hanno avuto la
condanna all’ergastolo in secondo grado, inchiodati
dalle dichiarazioni di Cucuzza, e di altri collaboratoIL MAGAZINE CHE GUARDA DENTRO LA CRONACA - S
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DELL'OMICIDIO, POI RIVENDICATO
CON UNA TELEFONATA AL GIORNALE DI SICILIA,
HA PARLATO ANCHE FRANCESCO MARINO MANNOIA:
“IL VICEBRIGADIERE NON ERA BEN VISTO
DAI CARCERATI, ERA TROPPO DILIGENTE E PIGNOLO.
ALL’UCCIARDONE APPRESI UN PARTICOLARE
RILEVANTE DI UNA LITE AVVENUTA TRA BAGARELLA
E BURRAFATO. APPRESI CHE BAGARELLA
'LO STAVA SBATTENDO AL MURO'”
“IL COMMANDO SI COMPORTÒ CON ESTREMA PROFESSIONALITÀ.
ASPETTARONO MIO PADRE IN UN PUNTO DI PASSAGGIO
CONSUETO DEL SUO PERCORSO DALLA NOSTRA ABITAZIONE
AL CARCERE, IN PIAZZA SANT'ANTONINO. MAMMA
NON HA VOLUTO CHE LO VEDESSI IN OSPEDALE. AVEVA IL VOLTO
SFIGURATO DAI COLPI DI PISTOLA. I MIEI CONCITTADINI
SEPPERO QUELLO CHE ERA ACCADUTO ALLA FINE DELLA PARTITA”
ri di giustizia. Lucchese e Senapa sono stati assolti. Le
Il gup Florestano Cristodaro.
rivelazioni di un
In alto, il carcere di Termini Imerese.
pentito non sono
A destra, il pm Sandra Recchione
bastate. Pino Greco
è morto. Salvatore Cucuzza è stato condannato a
dieci anni. C’è un ricorso dei boss pendente in Cassazione.
Salvatore Burrafato rivede in bianco e nero quel
giorno imbandierato di tricolori davanti alla tv. “Papà amava scherzare. Mi disse: Maradona ci segna
due gol. La Nazionale uscita a fatica dai pareggi con
Perù, Polonia e Camerun non riscuoteva troppa fiducia”. L’ultimo scatto della memoria è un sorriso
che sfuma dietro la porta di casa.
“Il commando si comportò con estrema professionalità. Aspettarono mio padre in un punto di passaggio consueto del suo percorso dalla nostra abitazione al carcere, in piazza Sant’Antonino. Mamma non
ha voluto che lo vedessi in ospedale. Aveva il volto
sfigurato dai colpi di pistola. I miei concittadini seppero quello che era accaduto intorno alle sette di sera, alla fine della partita, quando scesero in piazza per
festeggiare la vittoria”.
Una premurosa telefonata di presunti brigatisti rivendicò l’omicidio al centralino del Giornale di Sicilia: “Abbiamo giustiziato Burrafato, il boia dell’Asinara”. Un penitenziario – piccolo particolare – mai
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nemmeno visitato dal sottufficiale. Gennaro Scala,
capitano dei carabinieri, intuì subito la pista mafiosa.
La mise nero su bianco, abbandonando la traccia terroristica: “L’omicidio sembra potersi fare ascendere
a responsabilità di altra natura connesse all’andamento quotidiano della casa circondariale di Termini Imerese e dunque alle complesse e molteplici attività svolte dal vicebrigadiere Burrafato che, in alcuni momenti, per il concorso di molteplici circostanze, ben poteva apparire come il deus ex machina dell’istituto”. La sua illuminazione non trovò la sponda
giudiziaria che avrebbe meritato. Della vicenda ha
parlato pure il pentito Francesco Marino Mannoia:
“Il vicebrigadiere non era ben visto dalla comunità
dei carcerati, era troppo diligente e pignolo. Durante la mia detenzione all’Ucciardone appresi un particolare rilevante di una lite avvenuta tra il detenuto
Bagarella Leoluca e Burrafato. Non so i motivi della
lite, ma appresi che il Bagarella ‘lo stava sbattendo al
muro’”. Alcuni detenuti del Cavallacci inviarono
una corona di fiori al funerale.
Il gup Florestano Cristodaro, nella sentenza per il rito abbreviato con cui fu giudicato Cucuzza, ha tracciato la figura della vittima: “Un autentico uomo dello Stato, consapevole del suo ruolo e dei suoi doveri,
intransigente nell’applicazione delle norme che regolano la vita carceraria. Ed è oggi un privilegio per chi
lo conobbe personalmente e stimò profondamente
potere dare atto in una sentenza che questo dato
Il magistrato Maurizio De Lucia. A destra, il pentito Francesco
Marino Mannoia. Sotto, la medaglia d’oro al valore civile, conferita
alla memoria di Antonino Burrafato dal presidente della Repubblica
emerge dagli atti processuali incontrovertibilmente”.
Sono passati gli anni, fino alle confessioni di Cucuzza e al velo squarciato. A un certo punto, Salvatore
Burrafato ha deciso di firmare un armistizio col suo
lutto privato, per provare a trasformarlo in riscossa.
Si è impegnato in prima persona in politica. Ha
pubblicato il libro. È stato eletto consigliere comunale a Termini Imerese ed è presidente del Consiglio. Si è dimesso dal Partito Democratico, “per costruire una coalizione nuova”. Gli amici gli preannunciano la fascia tricolore di sindaco, tra un anno.
Lui dice di non amare i compromessi occulti: “Tento di affermare la linea della legalità, la mia missione è molto semplice. Non ho ambizioni particolari
se non quella di servire la comunità. La mia famiglia
è originaria di Nicosia. Avremmo potuto lasciare
Termini, dove spesso abbiamo raccolto soltanto insofferenza, per tentare di ricostruire altrove. Mia
madre ha scelto di rimanere e per questo la ringrazierò sempre”.
In piazza Sant’Antonino c’è una lapide che segnala il
sacrificio di un “Uomo dello Stato”. Vincenzo Bonadonna scrive ancora: “Antonino Burrafato, in un
momento particolarmente caldo per la vita del carcere di Termini Imerese, venne lasciato solo. Il
comportamento di alcuni suoi colleghi non lo aiutò
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SECONDO VINCENZO BONADONNA, CHE NEL LIBRO SCRITTO
CON BURRAFATO HA RICOSTRUITO LA STORIA DELL'ATTENTATO,
“ANTONINO BURRAFATO, IN UN MOMENTO PARTICOLARMENTE CALDO
PER LA VITA DEL CARCERE DI TERMINI IMERESE, VENNE LASCIATO
SOLO. IL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SUOI COLLEGHI NON LO
AIUTÒ DI CERTO. ANZI, SEGNÒ DRAMMATICAMENTE IL SUO DESTINO”
Una lettera inviata dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
a Salvatore Burrafato. In alto, il presidente del consiglio comunale di
Termini e, nel riquadro, il padre.
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di certo. Anzi, segnò drammaticamente il suo destino”. In appendice al libro la lista dei morti di un anno sanguinario. Il 30 aprile, Pio La Torre e Rosario
Di Salvo, il 16 giugno il boss catanese Alfio Ferlito e
i carabinieri di scorta nella strage della circonvallazione, il 3 settembre il prefetto di Palermo, Carlo
Alberto Dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti
Carraro.
Salvatore non ha voluto vedere nemmeno un fotogramma di Italia - Argentina. Non ricorda quasi
niente del Mundial di Spagna, patrimonio genetico
di ogni tifoso. Non sa nulla dell’urlo di Marco Tardelli. Ha preferito conservare le cose che contano.
Un vocabolario Zingarelli macchiato di sangue.
L’ultimo sorriso sulla porta. La tenerezza dell’amore
discreto che legava suo padre a Mimma, la compagna di una vita.
Era un uomo che conosceva la delicatezza, l’intransigente vicebrigadiere Burrafato. Quando rientrava
tardi dal lavoro, lasciava una manciata di caramelle
alla sua donna addormentata, per il risveglio. Come
un pegno. Come uno sguardo o una parola di scusa
per essere stato via troppo a lungo.