Emendamento integrativo della tesi n. 6 (aggiunta al

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Emendamento integrativo della tesi n. 6 (aggiunta al
Emendamento integrativo della tesi n. 6
(aggiunta al testo elaborato dalla Commissione della parte che segue)
Un partito territoriale, plurale, con basi di massa
Un’ambizione, un progetto hanno in politica sempre bisogno di una
forza che li organizzi e li indirizzi. Non si dà politica e neppure uno
sbocco ai conflitti senza l’organizzazione. Più precisamente: senza
l’organizzazione di un soggetto che nasca per perdurare, per segnare
non la cronaca dei prossimi mesi ma la storia dei prossimi decenni.
Se ci interessa la dimensione della storia, dobbiamo guardare negli
occhi quella che abbiamo alle spalle ed essere rigorosi nell’autocritica
e nell’analisi degli errori, in primo luogo di quelli cronici, che hanno
segnato le culture politiche prevalenti della sinistra italiana degli
ultimi trent’anni. In nome di un malinteso concetto di
modernizzazione delle forme della politica, la sinistra italiana ha
infatti, nel corso degli anni, perso gran parte della propria capacità
organizzativa. Si è progressivamente guardato al partito come a un
contenitore di istanze e pulsioni eterogenei e contraddittori. Persa la
capacità di esprimere un disegno, di mobilitare di conseguenza
impegno e passioni di una comunità socialmente e politicamente
connotata, i partiti sono diventati sempre più comitati elettorali. Alla
strategia si è sostituito il tatticismo esasperato, frutto della scelta di
limitarsi a registrare, constatare, prendere atto degli umori diffusi e
delle convenienze particolari.
Persa qualsivoglia forma di ancoraggio e di radicamento popolare,
smarrita ogni funzione di rappresentanza politica nelle
contraddizioni sociali ed economiche del nostro tempo, i partiti
hanno cambiato pelle, anche morfologicamente.
Si è affermata l’idea del partito leggero, in cerca essenzialmente di un
voto di opinione. Le ramificazioni territoriali, mutualistiche e
associative sono state via via smantellate.
Parallelamente, la militanza è stata svuotata di senso. I congressi
sono stati sostituiti da plebisciti, i gruppi dirigenti dai leader e dai
loro staff. Come i corpi intermedi nella società sono stati dimenticati,
così le strutture territoriali dei partiti della sinistra sono diventate
periferiche, masse di manovra cui chiedere una delega in bianco a
ogni congresso o a ogni elezione. Le analisi di Enrico Berlinguer sul
sistema politico e partitico italiano sono ancora oggi attualissime.
Occorrerebbe rileggerle per capire la sfiducia e la disaffezione nei
confronti della politica e dei partiti, che appaiono corresponsabili
dell’involgarimento del dibattito pubblico.
Battersi oggi per la ricostruzione di uno strumento radicato di
partecipazione popolare è l’unico modo serio di reagire al
deperimento della qualità della nostra democrazia. Abbiamo bisogno
però di uno strumento che abbia consapevolezza del forte bisogno di
innovazione e di autoriforma. Non sarebbe sufficiente riesumare
modelli del passato.
Indichiamo allora alcuni assi, da calibrare e adeguare a tempi in cui
cambiano necessariamente i linguaggi, le modalità di intervento, gli
stessi strumenti politici.
1. Pensiamo innanzitutto al partito come intellettuale collettivo,
come centro di elaborazione politica e intellettuale. Per ricostruire
in primo luogo un punto di vista autonomo sul mondo e nel
mondo. Ma, anche, per rispondere alla necessità politica
impellente di scrivere il programma di governo che presenteremo
al Paese. Centrale, da questo punto di vita, deve tornare a essere il
lavoro di inchiesta e di ascolto del territorio, delle sue istanze e dei
suoi problemi. Solo così il partito può diventare megafono di
difficoltà che altrimenti rimarrebbero inascoltate.
2. Abbiamo bisogno di un partito radicato, dinamico, che vive in
presenza, in ogni città e paese. Dotato di organismi dirigenti
rappresentativi, non pletorici, in grado di renderlo nel territorio
uno strumento di democrazia radicale, non certo l’emanazione
burocratica della volontà del comitato centrale. Un partito in
grado di rappresentare il principale strumento per battaglie
politiche e sociali, capace di incastonare istanze, battaglie e
progetti nell’idea di Paese che ha in testa, e che vive nella pluralità
di uomini e donne che lo compongono. Capace, inoltre, di
muoversi sul doppio livello della società e delle istituzioni.
3. A quest’altezza si colloca l’esigenza di fare del partito, nelle sue
strutture territoriali, anche uno strumento concreto di solidarietà e
auto-organizzazione. Il mutualismo, lungi dall’essere pratica
sostitutiva del lacunoso sistema pubblico di welfare, deve essere
una delle chiavi attraverso cui recuperare consenso e, prima
ancora, credibilità, perché la liquefazione dei rapporti sociali e la
sfiducia nella politica non si contrasta soltanto con analisi ferrate,
ma con una presenza attiva nei luoghi in cui esse si manifestano
con maggiore pervasività.
E anche, infine, con il coraggio che sin qui è mancato nel produrre
un forte rinnovamento nei gruppi dirigenti. Le idee hanno bisogno
dell’organizzazione e anche di biografie e profili che riescano a
incarnarle. Non è certo il tema della rottamazione (concetto
intollerabile e politicamente truffaldino) e neppure quello del
ricambio generazionale. La politica, per esempio, non può essere
appannaggio esclusivo del maschile. Si tratta di prendere lucidamente
atto degli errori, delle sconfitte e dei fallimenti di questi anni
promuovendo un rinnovamento vero, a tutti i livelli, valorizzando
risorse, energie, forze più in sintonia con il mondo, con i suoi
cambiamenti, le sue contraddizioni.
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