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DICEMBRE 2016
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PERIODICO ONLINE
DI AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO
A cura degli
Specializzandi
della Scuola
di Ginecologia
e Ostetricia |
Fondazione
Policlinico
Universitario
A. Gemelli | Roma
intervista
Al Professor Alessandro Caruso
Essere un ginecologo ostetrico
significa pensare quasi
esclusivamente all’interesse della
donna che chiede la nostra cura
u4
eventi
Report del Corso teorico-pratico su cadavere
La morte al servizio della vita
u7
Natività
con angeli
Parmigianino
(1525 circa)
DICEMBRE 2016
SOMMARIO
intervista
Al Professor Alessandro Caruso
SOMMARIO
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Essere un ginecologo ostetrico significa pensare quasi esclusivamente
all’interesse della donna che chiede la nostra cura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
eventi
Report del Corso teorico-pratico Anatomia Chirurgica della pelvi femminile
La morte al servizio della vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
formazione
TESI dIplOMA dI
SpECIAlIzzAzIONE
Spina bifida: diagnosi prenatale, storia naturale e outcome a lungo termine
in 222 casi. L’esperienza di un singolo centro di terzo livello
Specializzanda Dottoressa Carmen De Luca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
Middle thorax angle in Congenital diaphragmatic hernia:
a new prognostic tool?
Specializzanda Dottoressa Milena Viggiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
Is the Conservative management of Benign-looking adnexal masses
a safe and feasible option? Interim analysis of IOTA 5
Specializzanda Dottoressa Carlotta Zorzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
aggiornamento scientifico
Ultime novità in Ginecologia Oncologica
Morcellation worsens survival outcomes in patients with undiagnosed
uterine leiomyosarcomas: a retrospective MITO group study . . . . . . . . . . . . . 19
COMMENTO Professor Errico Zupi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
Ultime novità in Uroginecologia
Surgeon Experience and Complications of Transvaginal Prolapse Mesh . . . . . . 26
COMMENTO Professor Gaspare Cucinella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
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SOMMARIO
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Ultime novità in Senologia
A Prospective, Single Arm, Multi-site, Clinical Evaluation
of a Nonradioactive Surgical Guidance Technology
for the Location of Nonpalpable Breast Lesions during Excision . . . . . . . . . . . 32
COMMENTO Professor Riccardo Masetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
Ultime novità in Ginecologia Disfunzionale
Romosozumab Treatment in Postmenopausal Women with Osteoporosis . . . . 39
COMMENTO Dottor Stefano Lello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
aggiornamento giuridico
Responsabilità medica da danno alla persona, genitori risarciti
per la perdita del figlio in relazione alla sua età al momento della morte . . . . . 44
eventi
Save the date . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
BacHeca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
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intervista
Intervista al Professor Alessandro Caruso, Polo Scienze Salute
della Donna e del Bambino, Fondazione Policlinico Gemelli,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Essere un ginecologo ostetrico
significa pensare quasi esclusivamente
all’interesse della donna
che chiede la nostra cura
Il Professor
Alessandro
Caruso
A cura della Dottoressa Marcella Pellegrino
Dopo tanti anni di carriera sono aumentate le motivazioni che l’hanno spinta a
diventare un ginecologo ostetrico?
Quando ho scelto ero molto giovane e la motivazione era molto forte, vedendo nella ginecologia e ostetricia una materia completa
sia per gli aspetti medici, chirurgici e anche
con risvolti psicologici e di relazione con la
paziente. le motivazioni sono rimaste le stesse
e non sono deluso.
Il lavoro ha influenzato il suo modo d’essere?
Credo che qualsiasi lavoro influenzi negli anni
la maniera di porsi di un uomo, quindi penso
di sì. Come sarei stato se avessi fatto l’avvocato? Chi lo sa!
Al giorno d'oggi, secondo Lei, quali vantaggi e svantaggi possono incontrare gli
aspiranti specialisti?
Questa è una domanda complessa, difficile e
per rispondere bene dovrei avere capacità divinatorie su quella che sarà la società del prossimo futuro e soprattutto come si svilupperà
la medicina. In realtà, sappiamo che la medicina e le specializzazioni attraversano da tanti
anni una fase di riassestamenti e di riallineamenti. Certamente, un’epoca di crisi econo- u
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intervista
e degli amministrativi all’ostetricia ad alto rischio, perché andava combattuta la mortalità
materna e perinatale. Nel nuovo millennio
questo problema si è ritenuto risolto e forse,
anche sotto la pressione delle industrie e delle
nuove specializzazioni della ginecologia oncologica e della ginecologia chirurgica endoscopica, è partita la grande campagna e il
grande sviluppo in questo settore, fino al fatto
che le scelte dei primari oggi sono condizionate
dal “knowhow” ginecologico piuttosto che
ostetrico, quindi il clinico ostetrico ha perso
terreno. laddove il primario è un ginecologo
chirurgo, l’ostetricia viene messa in secondo
piano, mentre sappiamo tutti che i ricoveri
per parto sono i più frequenti in Italia.
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Intervista al Professor Alessandro Caruso
Essere un ginecologo ostetrico
significa pensare quasi esclusivamente
all’interesse della donna
che chiede la nostra cura
mica, come quella che stiamo vivendo e che
probabilmente non si supererà, condiziona
anche l’attività del medico e lo sviluppo della
specialità. lo svantaggio è che la concorrenza
è maggiore, anche fra i medici, anche se sembra che la vocazione per la medicina si stia
riducendo perché la professione sta diventando un po’ più povera rispetto a quella che era
20 anni fa, quindi la concorrenza pian piano
diminuirà. la difficoltà di imparare la professione? Credo che questa sia come lo era
per noi, anzi credo che oggi le scuole di specializzazione siano migliori di un tempo. È il
mondo d’oggi un po’ più affollato e difficile
rispetto a quello di una volta e questo si riflette
anche sulle difficoltà di inserimento nella professione, sulla difficoltà del rapporto medicomedico e medico-paziente.
‘‘
La medicina e le specializzazioni
attraversano da tanti anni una fase
di riassestamenti e di riallineamenti.
Certamente, un’epoca di crisi
economica, come quella che stiamo
vivendo e che probabilmente non si
supererà, condiziona anche l’attività
del medico e lo sviluppo della
specialità. Lo svantaggio è che
la concorrenza è maggiore, anche
fra i medici, anche se sembra
che la vocazione per la medicina
si stia riducendo perché la
professione sta diventando un po’
più povera rispetto a quella che era
20 anni fa, quindi la concorrenza
pian piano diminuirà.
Quali pensa siano le attuali difficoltà nel
mondo dell’ostetricia e della ginecologia?
la superspecializzazione sviluppatasi da 10
anni a questa parte. dalla ginecologia chirurgica endoscopica alla ginecologia oncologica
alla medicina dell’età prenatale intesa come
diagnostica prenatale invasiva e non invasiva.
Tutto questo ha parcellizzato i saperi e anche
il saper fare, e sta facendo venir meno, negli
ultimi anni, la figura del ginecologo-ostetrico,
medico della donna a tutto tondo che sapeva
affrontare qualsiasi problema la donna gli ponesse. Ovviamente, gli aspetti positivi ci sono,
perché in alcune materie ci si è specializzati
di più e si sa fare di più, anche se, ignorando
le altre “fette” della specialità, spesso si è deficitari nel rispondere in modo esperto e globale
alle esigenze della donna. Un discorso a parte
va fatto a chi si dedica all’ostetricia. Negli Anni
‘80 e ‘90 c’era grande attenzione della politica
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intervista
di porre rimedio con le linee guida, standardizzazione dei criteri assistenziali; lì non
c’è l’eccellenza, anche lì c’è la medicina difensiva, la medicina minima che uno può
fare, ma la personalizzazione dell’assistenza
alla persona viene solamente dalla grande
cultura ostetrico-ginecologica.
Intervista al Professor Alessandro Caruso
Essere un ginecologo ostetrico
significa pensare quasi esclusivamente
all’interesse della donna
che chiede la nostra cura
Ha notato nel corso degli anni un miglioramento nel rapporto medico-paziente?
Riassuma in un breve pensiero quello che
è stato ed è per Lei l’essere un ginecologo
ostetrico.
direi proprio di no, soprattutto se il medico
continua a ritenersi il depositario di tutto il
sapere. Certo, i contenziosi medico-legali,
la presenza di una professione di avvocato
aggressiva che ha aumentato questi contenziosi, la pseudo-cultura che le donne e i parenti si fanno su internet, tutto questo ha
creato un rapporto più difficile. Mentre la
donna prima si presentava al medico ginecologo, che si chiedeva “Cosa potrò fare di
buono per questa donna?”, oggi spesso si
pensa “Quali guai posso evitare di fronte ai
problemi riferiti da questa paziente?”. Certamente questo non facilita il rapporto medico-paziente ma soprattutto non facilita, a
mio avviso, l’interesse della donna. Si cerca
penso che essere un ginecologo ostetrico sia
essere al servizio della donna, possibilmente
con un bagaglio culturale e di esperienza ampio. Formare questa tipologia di ginecologo è
molto difficile oggi. Io ho avuto la fortuna di
formarmi all’80-85% e credo che questo sia
un privilegio per me e per parte della mia generazione. Essere un ginecologo ostetrico è
essere al servizio senza pensare agli interessi,
senza avere paura del contenzioso, ma solo,
direi quasi esclusivamente, pensando all’interesse della donna che chiede la nostra cura,
facendo quindi riferimento ai nostri doveri
morali e professionali. l
‘‘
I contenziosi medico-legali, la presenza di una professione di avvocato
aggressiva che ha aumentato questi contenziosi, la pseudo-cultura che
le donne e i parenti si fanno su internet, tutto questo ha creato un rapporto
più difficile. Mentre la donna prima si presentava al medico ginecologo,
che si chiedeva “Cosa potrò fare di buono per questa donna?”, oggi spesso
si pensa “Quali guai posso evitare di fronte ai problemi riferiti da questa
paziente?”. Certamente questo non facilita il rapporto medico-paziente
ma soprattutto non facilita, a mio avviso, l’interesse della donna.
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eventi
Report del Corso teorico-pratico Anatomia Chirurgica della pelvi femminile
La morte al servizio della vita
A cura della Dottoressa Maria Cristina Moruzzi
na frase forte… che ancora rimbomba
nella mia mente e non solo… ma è proprio questo il senso del Corso teorico-pratico
su cadavere di Anatomia chirurgica della pelvi
femminile organizzato dalla scuola ClASS
diretta dal prof. Giovanni Scambia che ogni
anno si svolge a parigi al Centre du don des
Corps de l’Université René descartes e a
cui ho paretecipato lo scorso ottobre.
Sono una specializzanda del V anno e sono
rimasta molto entusiasta sia dell´organizzazione del corso che delle nozioni che sono
riuscita a mettere in pratica.
la prima delle tre giornate il prof. delmas ha
subito strabiliato tutti con
quella che si può definire
per antonomasia una lezione magistrale sull´anatomia
della pelvi femminile… la
conoscenza, unita alla passione per la materia, guida
la sua mano come un artista… credetemi lo è realmente… con alcuni gessetti colorati ha disegnato a poco a poco tutte
le strutture anatomiche della pelvi e man
mano che procedeva ti sentivi accompagnato
proprio come un vero discente alla compren- u
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messo a ciascun discente (specializzandi inclusi) di ripetere sul preparato anatomico le
procedure osservate, coniugando teoria e pratica in maniera ottimale. I tutor poi davvero
eccezionali, capaci di tradurre la didattica
nell´applicazione sul campo degli obiettivi che
ciascun discente intendeva raggiungere in un
clima sereno (senza ansia da prestazione!).
Tutto questo è stato reso possibile grazie al
vero protagonista: il cadavere di una donna
che ha deciso di donare il proprio corpo alla
scienza perché fermamente convinta di poter
“servire“ la vita anche dopo l´ultimo respiro.
la responsabile del laboratorio parigino ci
spiegava che ogni anno in Francia 2.500 persone effettuano questa
scelta e il centro universitario che le accoglie si
preoccupa di accompagnare e di incontrare le
famiglie che non sempre
sono concordi e preparate. la prima “lezione“
del corso, oserei dire, è
proprio il rispetto del cadavere o meglio di
quell´uomo o donna (nel
nostro caso solo donna
per ovvi motivi), di cui
non conosciamo neppure il nome, che ha compiuto quell´estremo atto
di generosità a favore della ricerca e della
formazione dei medici, anche di medici
come me in formazione specialistica: i grandi
uomini e le grandi donne di oggi forse sono
quelli che non fanno rumore!
È stata un´esperienza davvero singolare dove
agli obiettivi formativi raggiunti e all´alta professionalità dei docenti si è aggiunto uno speciale Take Home Message: “la morte al servizio della vita!“.
Una gran combinazione perché un gran valore aggiunto per la mia formazione professionale e umana che in futuro, sono sicura,
farà la differenza. l
Report del Corso teorico-pratico su cadavere
La morte al servizio della vita
sione dei concetti anatomo-chirurgici.
Alla parte teorica è seguita la parte pratica su cadavere. I partecipanti in
totale erano 17, suddivisi
in sei postazioni nella
grande sala settoria del laboratorio dove abbiamo
avuto a disposizione un
cadavere fresco, adeguatamente preparato, sul
quale ciascuno ha potuto
eseguire le differenti tipologie di dissezione
e di procedure chirurgiche sotto la costante
e attenta supervisione dei docenti.
l´approccio didattico teorico-pratico, nell’ambito poi di un contesto particolarmente
adeguato, è stato di altissimo livello grazie
ai docenti di comprovata esperienza in chirurgia ginecologica avanzata coordinati dal
prof. Alfredo Ercoli. le lezioni interattive
inoltre erano mirate all´analisi nel dettaglio
dell’anatomia macroscopica e chirurgica della pelvi e dell’addome nonché delle diverse
tecniche di dissezione.
le metodiche di insegnamento hanno per-
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Specializzanda Dottoressa
Carmen De Luca
Relatore Professoressa Lucia Masini
Correlatore Professor Marco De Santis
a Spina bifida (SB) è il difetto del tubo
neurale più comune (NTd) ed è conseguenza di un’anomala chiusura del tubo neurale embrionale tra il 17º e il 30º giorno dopo
il concepimento. Il termine “spina bifida”
comprende una serie di malformazioni caratterizzati da alterata formazione del midollo spinale e mancata chiusura dei sovrastanti archi vertebrali (schisi vertebrale). Attraverso il difetto vertebrale si può avere l’erniazione di una sacca meningea - di dura
madre e aracnoide - contenente liquor, condizione definita “meningocele” o l’erniazione
di meningi, liquor e tessuto nervoso, condizione nota come “mielomeningocele”. la SB
“occulta” è un difetto frequente, caratterizzato da mancata fusione degli archi vertebrali
posteriori di una singola vertebra, con tubo
neurale differenziato normalmente e che non
protrude dal canale vertebrale. In Italia, la
SB ha una prevalenza di 3,28 per 10.000
gravidanze. È stato stabilito che la supplementazione periconcezionale di acido folico
(FA) è efficace nel ridurre il rischio di dTN
di circa il 70%. l’American Congress of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) ha
suggerito che la supplementazione di 400
mcg/die di acido folico è raccomandata per
le donne a basso rischio, mentre si raccomanda la dose di 4 mg/die per le donne ad
alto rischio di difetti del tubo neurale.
L
Negli ultimi decenni, i progressi nel campo della diagnosi prenatale, hanno permesso la rilevazione di spina
bifida fetale durante lo
screening del secondo trimestre nell’86-96% dei casi.
le disabilità che possono conseguire a tale
anomalia comprendono deficit cognitivi,
mancato controllo degli sfinteri e paralisi. I
fattori più importanti che influenzano l’outcome postnatale sono rappresentati dalle
eventuali anomalie associate (come la malformazione di Arnold Chiari II o l’idrocefalo), il tipo e il livello di lesione e gli eventuali
interventi chirurgici. Il trattamento convenzionale della spina bifida aperta, è rappresentato dalla riparazione chirurgica entro due
giorni di vita e include il posizionamento di
uno shunt ventricolo-peritoneale o una ventricolostomia del terzo ventricolo in caso di
idrocefalo. la possibilità di riparazione prenatale della SB è ancora molto dibattuta.
l’ipotesi deriva dalla possibilità che all’eziologia del danno concorrano le pressioni generate dalla parete uterina, il trauma locale
e l’esposizione al liquido amniotico. Gli studi
sugli animali hanno sostenuto questa ipotesi,
suggerendo che un fattore neurotossico (come
l’esposizione a meconio) possa contribuire
alla patogenesi del danno neurologico, che
agisce a partire dal secondo trimestre di gravidanza. la riparazione in utero del mielomeningocele è stata eseguita per la prima
volta nel 1997 e potrebbe potenzialmente
migliorare l’esito post-natale.
lo scopo del presente studio è stato quello di
riportare l’esperienza del nostro centro ri-
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Spina bifida: diagnosi prenatale,
storia naturale e outcome a lungo termine
in 222 casi. L’esperienza
di un singolo centro di terzo livello
formazione
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guardo alla diagnosi prenatale, alla storia naturale e all’esito a lungo termine di una serie
di gravidanze con spina bifida fetale, seguite
dal febbraio 1980 al dicembre 2015. Abbiamo raccolto un database prospettico, includendo tutte le gravidanze ad alto rischio afferenti al day Hospital di Ostetricia dell’Istituto di Ostetricia e Ginecologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore tra il febbraio 1980 e il dicembre 2015. Gli esami ultrasonografici sono stati eseguiti da specialisti
con competenze specifiche e sono stati utilizzati apparecchi dotati di sonde transaddominali, transvaginali e, negli ultimi anni, sonde volumetriche (3d). Controlli ecografici seriati, finalizzati alla valutazione dettagliata
dell’anatomia fetale, sono stati proposti a tutte
le pazienti in cui era stata individuata un’anomalia fetale. In tutti i casi sono stati eseguiti
screening infettivologici materni, mentre
l’amniocentesi, la villocentesi o la cordocentesi per la diagnosi prenatale invasiva, sono
state proposte in casi selezionati. le gravidanze complicate da SB fetale sono state seguite da un team multidisciplinare fino al
parto, che è stato pianificato a termine (età
gestazionale > 37 settimane). Il team multidisciplinare includeva un ginecologo ostetrico, un neurochirurgo infantile, un neonatologo, un urologo pediatrico, un genetista, un
neurologo e uno psicologo.
la nostra popolazione è stata divisa in due
gruppi: il Gruppo 1 ha incluso i pazienti osservati dal febbraio 1980 al dicembre 1999;
il gruppo 2 ha incluso i pazienti seguiti dal
gennaio 2000 al dicembre 2015. Un taglio
cesareo elettivo è stato pianificato prima del
travaglio e prima della rottura delle membrane in tutti i casi di difetti spinali aperti,
mentre il parto vaginale è stato effettuato in
caso di piccole lesioni coperte da cute, in caso
di morte fetale o in feti con sindromi polimalformative, le cui condizioni non erano
compatibili con la vita. Tutti i neonati con
difetti aperti sono stati sottoposti a riparazione precoce del difetto entro le prime 24 ore
di vita mentre in presenza di segni di ipertensione endocranica sono stati eseguiti uno
shunt ventricolo-peritoneale e/o una ventricolostomia del terzo ventricolo. Il follow-up
post-natale è stato effettuato dal nostro team
multidisciplinare presso il Centro per la Spina
Bifida del nostro policlinico Universitario. le
abilità motorie sono state valutate solo nei
bambini di età superiore a 2 anni. la funzione motoria è stata definita normale in soggetti che erano in grado di camminare autonomamente, senza alcun aiuto. la disabilità
motoria è stata definita lieve in caso di ausilio
di supporti ortopedici sotto le ginocchia;
bambini che erano in grado di camminare
con supporti ortopedici sopra le ginocchia
sono stati definiti affetti da un danno moderato. Una grave compromissione era caratterizzata dall’uso della sedia a rotelle. Abbiamo anche valutato i danni sfinterici, definendo normali gli individui continenti alle feci e
con una funzione urinaria normale. I soggetti
che occasionalmente necessitavano di cateterismo intermittente (CIC), lassativi o manipolazioni digitali sono stati definiti affetti
da danno lieve, mentre un danno moderato
è stato definito come la necessità di CIC e
lassativi o manipolazioni digitali. I pazienti
con incontinenza urinaria e/o fecale o grave
ostruzione sono stati classificati come aventi
un danno grave. Tali valutazioni sono state
effettuate solo in pazienti di almeno 5 anni
di età. le funzioni cognitive sono state valutate attraverso la Wechsler Adult Intelligence
Scale IV (WAIS-IV) per i soggetti dai 16
anni. per gli individui sotto i 16 anni sono
state utilizzate la Wechsler Intelligence Scale
for Children (WISC, 6-16 anni) e la Wechsler
preschool and primary Scale of Intelligence
(WppSI, 2½-7 anni, 7 mesi). l’analisi dei
dati è stata eseguita utilizzando il Software
SpSS. la significatività statistica è stata fissata
per valori di p < 0,05. Tra il febbraio 1980 e
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Specializzanda Dottoressa
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il dicembre 2015, sono stati studiati più di
6.500 casi di anomalie fetali, compresi 222
casi di spina bifida (SB). In 194 casi (87,4%)
si trattava di un difetto aperto, mentre 28 difetti (12,6%) erano chiusi. A livello globale,
la diagnosi prenatale è stata eseguita in 210
feti (95,5%): in 2 casi (0,9%) nel primo trimestre, in 115 casi (51,8%) nel secondo trimestre e 93 casi (41,9%) nel terzo trimestre.
In 12 casi (4,5%), la SB non è stata diagnosticata nel periodo prenatale: in otto di questi
casi l’esame ecografco aveva rivelato la presenza di ventricolomegalia, mentre in 4 casi
non sono state riscontrate anomalie cerebrali.
Nel secondo gruppo la diagnosi è stata effettuata nel secondo trimestre in 80 casi (72,1%)
con un’età gestazionale media al momento
della diagnosi di 24.34 settimane (±5,71 Sd),
significativamente inferiore rispetto al gruppo
1. Il numero di casi non diagnosticati è stata
significativamente maggiore nel gruppo 1 (11
nel gruppo 1, 1 nel gruppo 2). Il difetto più
frequente osservato è stato il mielomeningocele (142 casi), seguito dal mielocele (44 casi).
Riguardo ai riscontri ecografici, la ventricolomegalia era presente in 163 casi (73,5%).
Il “banana sign” è stato trovato nel 22,1%
dei casi (n = 49), mentre il “lemon sign” era
presente nel 28,8% dei casi (n = 64). Entrambi i segni sono stati più frequentemente rilevati nel gruppo 2, mentre il piede torto congenito e la scoliosi si sono verificati più frequentemente nel gruppo 1 (49,5% vs 32,4%;
14,4% vs 3,6%, rispettivamente). Riguardo
all’esito della gravidanza, l’interruzione volontaria della gravidanza (IVG) è stata eseguita in 41 casi (18,5%), il 10,8% (n = 12) nel
gruppo 1 e il 26,1% (n = 29) nel gruppo 2
(p = 0,003). di conseguenza, il numero di nati
vivi (174 in totale) era significativamente maggiore nel gruppo 1: 94 (85,5%) rispetto a 80
(72,7%). dei 174 nati vivi, le condizioni cliniche (prematurità e/o sindromi polimalfor-
mative) di 16 bambini, che in seguito sono
morti, non hanno permesso la neurochirurgia. In 157 casi (99,4% dei sopravvissuti), la
riparazione (plastica) del difetto vertebrale è
stata eseguita nelle prime ore di vita. In un
caso la chirurgia non è stata necessaria (un
piccolo difetto chiuso). In 115 casi (72,8%) si
sono resi necessari un posizionamento shunt
ventricolo-peritoneale o una ventricolostomia
del terzo ventricolo, a causa della presenza
di idrocefalo. Questa percentuale era significativamente più bassa nel secondo gruppo
(83,5% vs 60,3%). la mortalità post-operatoria è stata del 9,6% (15 casi): in particolare,
la morte nei soggetti sottoposti a intervento
chirurgico si è verificata in 12 casi (14,1%)
nel gruppo 1 e in 3 casi (4,2%) nel gruppo 2
(p = 0,03). Un cariotipo anormale era presente in 10 casi (4,5%), e l’anomalia più frequentemente osservata è stata la Trisomia 18
(7 casi, 3,2%).
Altre malformazioni erano presenti in 45 casi
(20,7%). In particolare, le più frequenti anomalie congenite osservate sono state le cardiopatie congenite (n=9, 4%) e agenesia/ipoplasia del corpo calloso (n=8, 3,6%). Gli esiti
a lungo termine sono noti in 136 bambini
con un’età media di follow-up di 93.5 mesi
(±55,2). le funzioni motorie erano normali
in 49 casi (37,4%) e gravi deficit sono stati
trovati nel 32,8% dei casi (n = 43). Tuttavia,
il 29,8% dei bambini ha presentato un deficit
lieve o moderato. per quanto riguarda le funzioni sfinteriche, erano normali solo nel
27,9% dei casi (n = 38), mentre un danno
grave era presente nel 46,3% dei casi (n = 63).
Questo tasso era significativamente più basso
nel gruppo 2 (64,4% vs 25,4%). Un QI ≥70
è stato segnalato nella maggior parte dei casi
(80,5%, n = 107) e grave deficit con QI <40
non è stato riscontrato in nessun caso, con
un quoziente intellettivo medio di 80.61
(±18.19). l’outcome motorio è stato più severo nei difetti aperti e di livello alto, nei
bambini di sesso femminile, nei casi in cui è
stato necessario posizionare uno shunt ven-
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tricolo-peritoneale e in presenza di ventricolomegalia, “lemon sign” e diametro biparietale < 10°. Inoltre, non solo la presenza di
ventricolomegalia si è rivelata predittiva di
un esito sfavorevole, ma anche la sua gravità
è andamento ingravescente. le funzioni sfinteriche sono state unicamente correlate al
tipo di difetto, alla presenza di “lemon sign”
e al posizionamento dello shunt.
per quanto riguarda l’aspetto cognitivo, un
QI più alto è stato riscontrato in assenza di
“lemon sign” e craniolacunia e in presenza
di lesioni sacrali. Nella nostra coorte, il QI
medio dei pazienti che presentavano ventricolomegalia fetale era 79,4, mentre in assenza
di ventricolomegalia il QI medio era di 85,7,
anche se questa differenza non è risultata statisticamente significativa. Inoltre, né la gravità
né la tendenza al peggioramento hanno influenzato l’esito neurocognitivo.
possibili limitazioni del nostro studio sono
rappresentati dalla eterogeneità delle lesioni
esaminate e dal fatto che, essendo un centro
di riferimento di terzo livello, alla nostra osservazione siano giunti casi selezionati. Inoltre, è stata una serie di casi raccolti in oltre
30 anni di esperienza, con un periodo molto
eterogeneo di follow-up. Tuttavia, l’alta percentuale di IVG riportata in letteratura in
seguito a diagnosi prenatale di SB ha reso
estremamente limitati i dati disponibili circa
gli esiti a lungo termine: grazie alla bassa
percentuale di IVG nella nostra casistica, il
nostro studio ha mostrato l’esito a lungo termine di un ampio campione di pazienti con
SB nati negli ultimi decenni.
possiamo quindi desumere dal nostro studio
che i progressi nel campo della diagnosi prenatale hanno portato a una detection rate
nei centri di riferimento prossima al 100%
nei casi di SB fetale. Alcune rilevazioni ecografiche possono essere prognostiche riguardo agli esiti a lungo termine e rappresentano
ulteriori strumenti per la consulenza prenatale. Inoltre, i progressi nell’assistenza pediatrica e nella neurochirurgica infantile hanno
migliorato l’aspettativa di vita di questi bambini, che raggiungono l’età adulta in una proporzione crescente. Meno di un terzo dei pazienti trattati nel nostro centro dal 2000 in
poi non è in grado di camminare, con o senza
supporti ortopedici e solo il 25% circa di loro
ha una grave compromissione della funzione
urinaria o intestinale. Inoltre, la maggior parte dei pazienti ha una normale funzione cognitiva. la chirurgia fetale rappresenta una
strategia importante per migliorare ulteriormente i risultati a lungo termine, anche se
aumenta il rischio di complicanze ostetriche
tra cui la nascita pretermine.
Ulteriori studi sono dunque necessari per
ottimizzare gli approcci mini-invasivi. Inoltre, la prevenzione primaria risulta essere
una priorità al fine di ridurre l’incidenza di
SB. la prevalenza della supplementazione
di acido folico prima del concepimento non
è ancora sufficiente e dovrebbe essere incrementata, specialmente in pazienti ad alto
rischio, grazie anche alla consulenza preconcezionale, che svolge un ruolo importante nella prevenzione degli esiti avversi
della gravidanza. l
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TESI dIplOMA dI
Specializzanda Dottoressa
Carmen De Luca
formazione
SpECIAlIzzAzIONE
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DICEMBRE 2016
Specializzanda Dottoressa
Milena Viggiano
Relatore Professor Leonardo Caforio
Correlatori Professor Pietro Bagolan
e Professor Giovanni Scambia
ernia diaframmatica congenita, con
un’incidenza di circa 1 su 3.000-5.000
nati vivi, presenta un tasso di mortalità neonatale nei centri di riferimento pari a circa il
60% dei casi identificati attraverso diagnosi
prenatale. Nel 70% dei casi si tratta di forme
isolate, mentre le anomalie di tipo cromosomico possono essere riscontrate in circa il
15% dei feti affetti da questa rara condizione
malformativa (trisomia13, trisomia18, tetrasomia 12p). Nel 15-30% dei casi possono associarsi altre anomalie malformative, in termini di sindromi plurimalformative (come la
Sindrome di Fryns) o di singole anomalie di
altri organi e apparati, come difetti cardiaci,
vertebrali o renali.
Il difetto è generalmente sinistro, più rari
sono i casi di ernia diaframmatica destra o
bilaterale. Sebbene siano state descritte trasmissioni familiari o malformazioni legate
a insulti teratogeni, la maggioranza dei casi
è sporadica. da un punto di vista eziopatogenetico, le due principali ipotesi sull’origine
del difetto sono una a supporto di un difetto
di fusione nella formazione embriogenetica
del diaframma, l’altra basata su un difetto
primitivo di tipo polmonare. Conseguenze
dirette della presenza dell’ernia diaframmatica congenita nel feto sono l’insorgenza
d’ipoplasia polmonare e di ipertensione arteriosa, il cui grado e severità sono da mettere in relazione a sede e dimensioni del difetto stesso.
L’
la previsione prenatale della prognosi neonatale rimane uno dei principali obiettivi della medicina fetale,
fondamentale per pianificare l’immediata assistenza
postnatale e per la selezione
dei feti candidati a interventi di chirurgia minimamente invasiva in utero, quale l’occlusione intra-tracheale mediante fetoscopia
(F.E.T.O.).
Nonostante il progresso della medicina perinatale, ancor oggi, il 40-50% dei neonati affetti da ernia diaframmatica va incontro a
decesso. Questa mortalità è legata a una condizione di severa ipoplasia e ipertensione arteriosa polmonare. la precoce compressione
dei polmoni, sia omolaterale che controlaterale al difetto diaframmatico, in parte legata
alla risalita degli organi addominali in torace,
compromette infatti il corretto sviluppo dell’albero vascolare e bronchiale alterandone
il processo di crescita e maturazione.
lo spettro di manifestazioni cliniche dell’ipoplasia polmonare risulta tuttavia variabile,
dall’insufficienza respiratoria acuta, causa di
morte neonatale precoce, a gradi più moderati d’insufficienza respiratoria, che possono
manifestarsi come emorragia polmonare, displasia broncopolmonare o, più semplicemente, come distress respiratorio transitorio.
Nonostante numerosi autori s’interessino da
più di vent’anni di questa tematica, non esiste
ancora un fattore prognostico ideale che consenta di valutare i veri rischi di ipoplasia ed
ipertensione polmonare neonatale. la maggior parte degli studi sulla valutazione prognostica dei feti affetti da ernia diaframmatica
si è dedicata alle tecniche di valutazione del
volume polmonare.
13
TESI dIplOMA dI
Middle thorax angle
in Congenital diaphragmatic hernia:
a new prognostic tool?
formazione
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DICEMBRE 2016
Allo stato attuale è possibile determinare, attraverso l’uso dell’ecografia e della risonanza
magnetica fetale, il volume polmonare ma si
hanno scarse conoscenze sui rischi d’ipertensione arteriosa polmonare.
poiché la mortalità neonatale è direttamente
legata a una condizione di severa ipoplasia
polmonare, sono stati proposti numerosi fattori prognostici di misurazione dell’area polmonare, quali l’lHR (lung to Head ratio)
che mette in relazione il diametro polmonare
e la circonferenza toracica, e successivamente
l’Observed/Expected lHR, che è indipendente dall’epoca gestazionale, a differenza del
precedente, e che al momento è l’indice con
il più alto potere predittivo in termini di sopravvivenza, nonostante alcune recenti esperienze abbiano evidenziato casi di morte neonatale in feti con elevato rapporto volume
polmonare osservato/atteso. Sono stati utilizzati per valutazioni prognostiche anche altri
indici prenatali direttamente connessi con il
volume polmonare, come la posizione di stomaco e fegato. Recenti studi hanno dimostrato come il volume polmonare totale, stimato
mediante la risonanza magnetica o attraverso
ecografia 3d, sia significativamente correlato
con l’outcome di feti affetti da ernie diaframmatiche isolate. Tuttavia questi indici risultano
ad oggi difficilmente riproducibili nella pratica
clinica poichè la metodica è legata alla posizione fetale, all’ecogenicità dei tessuti e soprattutto all’esperienza dell’operatore nel saper delimitare bene i bordi polmonari: esiste
infatti una “learning curve”, pubblicata da
Cruz Martinez nel 2010, per l’applicazione
corretta del metodo.
l’obiettivo del nostro studio è stato quello di
ricercare un nuovo parametro in termini di
predizione della sopravvivenza, che correlasse
con gli indici già largamente in uso nella pratica clinica, ma che fosse più facilmente riproducibile.
Sono stati quindi valutati tutti i casi di ernia
diaframmatica afferiti presso l’ambulatorio
di Medicina Fetale dell’Ospedale pediatrico
Bambino Gesù (69 casi). Sono stati esclusi
dallo studio i casi di ernia diaframmatica
destra, i casi associati ad altre anomalie, cromosomiche o strutturali, o i casi che sono
andati incontro a interruzione volontaria di
gravidanza.
partendo dal presupposto che il grado di
ipoplasia polmonare sia in parte legato alla
quantità di organi erniati in torace che quindi provocano uno shift mediastinico, abbiamo provato a misurare il grado di shift mediastinico valutando un angolo tra la posizione del cuore e l’emitorace, e mettendolo
in relazione all’lHR e all’O/E lHR e alla
sopravvivenza. l’angolo è stato misurato da
due operatori distinti, sempre gli stessi per
tutta la durata dello studio.
dai risultati del nostro studio emerge, come
atteso, che il metodo è facile da riprodurre
e direttamente utilizzabile nella pratica clinica, non necessitando di un periodo di training. Inoltre risulta che il nuovo indice correla in modo significativo con i parametri
già utilizzati per la valutazione prognostica
di questi casi. In linea con quanto descritto
in letteratura, anche nel nostro studio lHR
e O/E lHR correlano in modo significativo
con la sopravvivenza, evidenza che, nel nostro centro di diagnosi prenatale, la misurazione viene effettuata correttamente. Infine,
anche il nuovo parametro da noi studiato
sembra correlare in modo significativo con
la sopravvivenza.
la misurazione dello shift mediastinico nella
valutazione della prognosi dei feti portatori
di ernia diaframmatica non fa attualmente
parte dei protocolli di valutazione prognostica
in epoca prenatale.
Tuttavia l’importanza della relazione dello
shift e quindi della quantità di organi erniati
e il grado di ipoplasia polmonare rende indispensabile la realizzazione di ulteriori indagini su questo tema.
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TESI dIplOMA dI
Specializzanda Dottoressa
Milena Viggiano
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TESI dIplOMA dI
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Specializzanda Dottoressa
Milena Viggiano
l’uso del nuovo parametro predittivo, che risulta facilmente riproducibile dal nostro studio, potrebbe rivelarsi utile nella pratica clinica e arricchire la diagnosi prenatale, in questi casi, in termini di “score prognostico”.
In futuro, dall’analisi combinata dell’lHR
O/E e del nostro indice, si potrebbe costruire uno score completo al fine di ottimizzare la valutazione diagnostica prenatale, rendere maggiormente dettagliate le
indicazioni al posizionamento del plUG
intra-tracheale e valutare gli effetti del trattamento in utero. l
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TESI dIplOMA dI
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Is the Conservative management
of Benign-looking adnexal masses a safe
and feasible option? Interim analysis of IOTA 5
importante che influenza la
prognosi in maniera positiva; dall’altra identificare
le patologie benigne permette di evitare interventi
chirurgici con le morbidità
e i costi associati.
Specializzanda Dottoressa
Carlotta Zorzi
Relatore Professoressa Antonia Carla Testa
Correlatore Professor Giovanni Scambia
INTRODUZIONE
la storia naturale delle formazioni ovariche
benigne fino ad oggi è rimasta sconosciuta.
È possibile che queste masse possano subire
una trasformazione maligna, una rottura o
una torsione. Inoltre tali formazioni possono
andare incontro a variazioni di volume o
morfologia. A oggi non esistono lavori scientifici che abbiano rigorosamente studiato il
comportamento a lungo termine di tali masse e pertanto non vi sono linee guida per la
gestione ottimale della maggior parte delle
formazioni annessiali. Non è quindi sorprendente che la pratica clinica sia molto
variabile e che una percentuale di medici
preferiscano trattare chirurgicamente qualsiasi massa ovarica diagnosticata.
Grazie al lavoro svolto dal gruppo IOTA
(International Ovarian Tumor Analysis) dal
1999 a oggi è stato codificato un linguaggio
comune per la descrizione delle formazioni
ovariche e sono state identificate caratteristiche specifiche delle formazioni benigne e
maligne.
Sulla base di queste caratteristiche sono stati
poi costruiti dei modelli matematici per stimare il rischio di malignità della formazione
in esame che sono stati testati da ecografisti
con diversi livelli di esperienza.
Un’adeguata distinzione in patologie benigne o maligne permette da una parte di inviare le pazienti oncologiche nei centri oncologici di riferimento e questo è un fattore
OBIETTIVI
l’obiettivo principale di questo studio è quello di sviluppare l’algoritmo ottimale per la
gestione di tutte le masse annessiali.
Questo può essere suddiviso in diversi
obiettivi specifici: 1) analizzare la prevalenza di complicanze come la rottura, la
torsione, o la diagnosi di tumore maligno
in pazienti con masse annessiali giudicate
benigne e non sottoposte a trattamento chirurgico; 2) testare i modelli diagnostici pubblicati dal gruppo IOTA per la discriminazione tra masse benigne e maligne, applicati
al primo controllo, o durante il follow-up,
considerando benigne le masse che presentano tale istologia all’intervento chirurgico
e anche quelle che non presentano segni
morfologici di malignità ai controlli successivi annuali durante il follow-up; 3) indagare i fattori che possono essere correlati
alla necessità di un intervento chirurgico
durante il periodo di follow-up; 4) studiare
la storia naturale di masse benigne trattate
in maniera conservativa cercando di stabilire le curve descrittive dei cambiamenti
longitudinali dei parametri analizzati (diametro, dimensione della componente solida, il numero di papille, color score). Tali
curve consentiranno di valutare se e quali
parametri morfologici saranno in grado di
predire complicanze o diagnosticare la presenza di tessuto maligno.
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DICEMBRE 2016
MATERIALI E METODI
lo IOTA 5 è uno studio prospettico osservazionale multicentrico internazionale di coorte
che coinvolge 43 centri ecografici di riferimento nei 4 continenti. Il nostro centro
“Class Ultrasound” è uno dei principali centri
partecipanti con più di 1.000 pazienti inserite
nello studio. A oggi lo IOTA 5 è lo studio
maggiormente popolato tra gli studi IOTA
perché coinvolge già più di 13.000 pazienti.
l’arruolamento delle pazienti è cominciato
a febbraio 2012, sono state incluse tutte le
donne di età superiore ai 18 anni con una
formazione annessiale di natura non fisiologica. per ogni paziente sono state registrate
la storia personale e familiare. la formazione
è stata valutata con la metodologia IOTA,
per ogni formazione sono state descritte le
12 variabili presenti nella “lR 1” (Timmerman JCO 2005), le variabili descritte nelle
“simple rules” (Timmerman UOG 2008),
nel “Risk of Malignancy Index” e, ove presente, la sintomatologia associata.
l’operatore dopo aver descritto la formazione ha espresso il suo “subjective assessment” e ne ha proposto il management. Se
la formazione presentava aspetti ecografici
di malignità alla donna è stato consigliato un
management chirurgico. Se la formazione
presentava aspetti ecografici di benignità, veniva proposto un management conservativo
che consisteva in follow-up regolari (un’ecografia dopo 3 mesi dal primo controllo, una
seconda dopo 6 mesi dal precedente controllo
e poi a scadenza annuale per almeno 5 anni).
Ogni volta sono state registrate le misure e le
caratteristiche ecografiche della cisti e a ogni
controllo è stata rivalutata la necessità o meno
d’intervento chirurgico.
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TESI dIplOMA dI
Specializzanda Dottoressa
Carlotta Zorzi
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RISULTATI
lo studio IOTA 5 è attualmente ancora in
corso. l’analisi “ad interim” con i dati aggiornati a settembre 2016 dimostra che, applicando le regole IOTA alla prima valutazione ecografica, meno della metà delle masse annessiali sono state indirizzate verso chirurgia. la maggior parte delle masse annessiali ha presentato aspetti ecografici di benignità e questo gruppo è stato gestito in modo
conservativo con un regolare follow-up.
A oggi durante il follow-up meno del 12%
delle masse annessiali sono andate incontro
a chirurgia e l’indicazione principale per la
chirurgia è stata la volontà della paziente
prima che per modificazioni dell’aspetto
ecografico o per complicanze. Una buona
parte (circa il 15%) delle masse ad aspetto
benigno durante i controlli sono andate incontro a risoluzione spontanea. la stragrande maggioranza delle masse analizzate è rimasta invariata nelle principali caratteristiche ecografiche e non ha presentato complicanze cliniche dunque sta ancora proseguendo il follow-up.
A oggi sulla base delle complicanze riscontrate il rischio di torsione delle formazioni
ad aspetto benigno a cui è stato consigliato
il management conservativo è stato stimato
essere attorno al 0,3%, quello di rottura
della cisti inferiore allo 0,2% (evento che si
è verificato soltanto in formazioni uniloculari, multiloculari e uniloculari-solide) mentre il rischio di formazioni maligne è stato
dello 0,5%.
Questi dati sono ancora parziali, dunque
tutti i casi in cui è stata riscontrata una formazione maligna verranno analizzati in maniera approfondita per comprendere se era
stato fatto un errore diagnostico alla prima
valutazione o se si tratta di una trasformazione maligna di una formazione benigna
o di patologia ex novo.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Se le ecografie sono eseguite da mani esperte,
abili nell’uso dei modelli IOTA rappresentano uno strumento valido per la valutazione
delle cisti e per il monitoraggio delle formazioni che appaiono benigne. Un management
conservativo permette di ridurre il numero
d’interventi chirurgici, e di conseguenza le
complicanze a breve e a lungo termine della
chirurgia.
I dati analizzati fino ad oggi sottolineano che
le complicanze del gruppo a management
conservativo sono sostanzialmente basse e
non giustificherebbero di aggredire chirurgicamente tutte le masse ovariche.
Alla luce dei risultati presentati in questa analisi parziale possiamo dire che la condotta di
attesa sembra dunque essere una scelta sicura
per il basso rischio di complicanze, inoltre
sembra essere un opzione fruibile perché utilizzando gli strumenti IOTA si ha un basso
rischio di falsi negativi, infine sembra essere
una valida opzione per ridurre la spesa pubblica. Maggior numero di masse ovariche saranno incluse nello studio e il follow-up continuerà nei prossimi anni e questo consentirà
di definire con maggior precisione quali sono
le cisti che possono essere seguite ecograficamente, di conoscerne e quantificare i rischi e
la loro presunta evolutività. l
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Carlotta Zorzi
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aggiornamento
scientifico
Ultime novità in Ginecologia Oncologica
Morcellation worsens survival
outcomes in patients with undiagnosed
uterine leiomyosarcomas:
a retrospective MITO group study
Francesco Raspagliesi, M.D. a, Giuseppa Maltese, M.D. a,
Giorgio Bogani, M.D., Ph.D. a, et al.
Gynecologic Oncology November 2016
A cura del Dottor Mattia Tarascio
INTRODUZIONE
Il leiomiosarcoma (lMS) dell’utero è una rara
neoplasia ginecologica che costituisce circa
l’1,5% delle neoplasie uterine, con un’incidenza annuale di 0.64/100,000 donne. Il leiomiosarcoma e il sarcoma dello stroma endometriale (ESS) rappresentano rispettivamente
il 70% e il 30% di tutti i sarcomi uterini. la
sopravvivenza a 5 anni in pazienti con lMS è
strettamente legata allo stadio FIGO: stadio I
(84,3%), stadio II (43,6%), stadio III (38.8%),
stadio IV (19.8%). la prevalenza di sarcomi
uterini in presunti fibromi è di circa (0.450.014%). A oggi anche se alcune caratteristiche
tra cui, l’età avanzata, la presenza di sintomi,
alcune caratteristiche morfologiche delle lesioni uterine all’imaging, possono essere suggestive per la presenza di sarcoma uterino,
una diagnosi differenziale affidabile tra fibromi
benigni dell’utero e sarcoma uterino risulta
essere ancora difficile in fase pre-operatoria.
A tal proposito nel novembre 2014 la U.S
Food and drug Administration (FdA) ha
emesso un comunicato di sicurezza per scoraggiare l’uso della “power morcellation” in pazienti con “presunte” patologie benigne dell’utero a causa dell’aumentato rischio di disseminazione intraperitoneale di cellule tumo-
rali, qualora tali patologie dovessero nascondere dei sarcomi.
Questo studio retrospettivo ha cercato di determinare l’impatto sulla sopravvivenza e sulla
recidiva di malattia in donne che hanno eseguito un intervento chirurgico per miomi uterini benigni e che si sono rivelati essere dei
sarcomi al momento della diagnosi finale .
MATERIALI E METODI
I dati sono stati ottenuti in 8 istituti del gruppo
MITO (Multicentre Italian Trialists in Ovarian Cancer and Gynecologic Malignancies).
Sono stati raccolti i dati di pazienti che hanno
subito un intervento chirurgico per miomi
uterini e che ha rivelato essere sarcomi al momento della diagnosi finale dal 1º gennaio
2004 al 31 dicembre 2014.
I criteri d’inclusione sono stati: 1) pazienti
sottoposti a chirurgia per apparente malattia
uterina benigna; 2) diagnosi istologica finale
di sarcoma uterino stadio I; 3) pazienti di età
superiore ai 18 anni.
Criteri di esclusione sono stati: rifiuto del consenso, diagnosi di altri tumori maligni solidi
entro 5 anni.
l’obiettivo primario dello studio era di valutare la sopravvivenza libera da malattia e la u
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Ultime novità in Ginecologia Oncologica
aggiornamento
scientifico
Leiomiosarcoma: power morcellation
in laparoscopia vs. no morcellazione
in laparotomia
Morcellation worsens survival
outcomes in patients with undiagnosed
uterine leiomyosarcomas:
a retrospective MITO group study
sopravvivenza generale in donne sottoposte
a miomectomia o isterectomia utilizzando la
morcellazione, rispetto a donne con le stesse
caratteristiche cliniche ma senza utilizzare la
morcellazione.
RISULTATI
Nel complesso, sono stati eseguiti 4.000 interventi chirurgici per fibromi benigni in 10
anni negli 8 centri partecipanti allo studio.
Tra questi, 125 pazienti (3,1%) era affetta da
un sarcoma uterino inaspettato con stadio I
FIGO 52 (41.6%) pazienti avevano effettuato
la morcellazione e 73 (58,4%) non l’avevano
effettuata. l’età media era di 55 anni e la
maggior parte delle donne (72,8%) era affetta
da lMS. Nella maggior parte delle pazienti
sottoposte a morcellazione (n=31; 59,6%) l’intervento è stato eseguito per via laparoscopica,
in 21 pazienti (40,3%), l’intervento è stato
eseguito è stato eseguito per via laparotomica
a causa del grosso volume uterino o per problemi insorti intra-operatoriamente. la prevalenza di pazienti che hanno ricevuto un
trattamento adiuvante (chemioterapia) era simile tra i due gruppi (57,7% vs. 67,1% rispettivamente con morcellazione e senza).
Leiomiosaroma: morcellazione
vs. non-morcellazione
Nel gruppo lMS, non è emersa alcuna differenza in termini di sopravvivenza libera da
malattia nei primi 2 anni confrontando i pazienti sottoposti a morcellazione (sia power morcellation/ che morcellazione semplice) vs. no
morcellazione. Tuttavia nelle pazienti sottoposte a morcellazione è emerso un rischio di
morte 3 volte superiore rispetto al gruppo
non-morcellazione.
Nessuna differenza in termini di sopravvivenza
libera da malattia in 2 anni è stata osservata
confrontando le pazienti sottoposte a power morcellation con pazienti sottoposti a laparotomia
senza morcellazione. Tuttavia, i pazienti sottoposti a power morcellation hanno un tempo più
breve di sopravvivenza libera da recidiva (5 vs.
12 mesi rispettivamente). pertanto è stato analizzato il sito di recidiva della malattia: maggiore
percentuale di recidive peritoneali è stato segnalato nei pazienti sottoposti a power morcellation
rispetto alla non morcellazione (66,6% vs.
39,2%, rispettivamente). I pazienti sottoposti a
power morcellation hanno un rischio di morte più
alto rispetto alle pazienti che non avevano eseguito morcellazione. Analogamente la sopravvivenza generale è stata più breve per le pazienti
sottoposte a power morcellation rispetto alle pazienti che non erano andate incontro a morcellazione (23 vs. 36 mesi rispettivamente).
Leiomiosarcoma: morcellazione
vs. non-morcellazione durante laparotomia
Considerando solo il gruppo che ha eseguito
una laparotomia, sono state confrontate le pazienti che non erano andate incontro a morcellazione con quelle che non l’avevano eseguita: nessuna differenza nella sopravvivenza libera
da malattia è stata registrata tra i due gruppi.
Morcellazione di altri sarcomi uterini
non diagnosticati
per quanto riguarda gli altri sottotipi istologici,
tutti i confronti soffrono del numero limitato
di pazienti inclusi; tuttavia, una non significativa tendenza verso una riduzione della sopravvivenza libera da malattia è stata segnalata
per le pazienti con smooth muscle tumours of
uncertain malignant potential (STUMp), mentre non sono state osservate differenze nei risultati di sopravvivenza su sarcomi dello stroma
endometriale di basso grado (lG-ESS) e sarcomi uterini indifferenziati (UUS).
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outcomes in patients with undiagnosed
uterine leiomyosarcomas:
a retrospective MITO group study
DISCUSSIONE
Questo studio multi-istituzionale, retrospettivo conferma il dannoso impatto oncologico
della morcellazione in pazienti con diagnosi
inaspettata di leiomiosarcoma uterino, con
un aumentato del rischio di recidiva, di recidiva intra-addominale e con un rischio di
morte 3 volte più alto rispetto alle pazienti
che non hanno eseguito la morcellazione.
Inoltre dai dati di questo studio emerge che
il rischio di diffusione intraperitoneale di cellule tumorali non sembra essere controbilanciato con l’uso di trattamenti adiuvanti,
(chemioterapia o radioterapia).
Recentemente, la FdA ha sostenuto l’impatto prognostico negativo della morcellazione
nelle patologie ginecologiche benigne, conducendo a un grande cambiamento nella
pratica clinica (quasi 8 medici su 10 riferiscono cambiamenti nella gestione dei pazienti sottoposti a isterectomia per fibromi
benigni). Alcuni autori hanno criticato il comunicato della FdA, per la scarsa qualità di
prove da studi retrospettivi, sottolineando la
necessità di dati più affidabili.
I dati di questo studio suggeriscono una prognosi simile per quanto riguarda la morcellazione non-power e la non morcellazione
con estrazione del pezzo integro. Nonostante
i recenti progressi delle tecniche di imaging
in campo diagnostico, purtroppo, la diagnosi
differenziale tra sarcoma uterino e miomi rimane ancora oggi estremamente difficile.
Riconoscere già in fase preoperatoria un leiomiosarcoma è ancora difficile a causa dell’assenza di caratteristiche patognomoniche.
Tuttavia alcune suggestive caratteristiche radiologiche per riconoscere almeno come “sospetto” un fibroma sono: la presenza di leio-
aggiornamento
scientifico
mioma solitario, in rapida crescita, diametro
cm ≥8, necrosi centrale, assenza di calcificazioni e aumento della vascolarizzazione
periferica e centrale. l’incidenza di sarcoma
uterino è dell’1% mentre raggiunge il 2025% tra i pazienti sottoposti a chirurgia per
“sospetto” lMS. Inoltre un altro aspetto che
potenzialmente contribuisce al peggioramento della prognosi dei pazienti sottoposti a
morcellazione è che i campioni morcellati
sono poco suscettibili all’esame patologico e
questo potrebbe portare alla diagnosi ritardata o, addirittura, mancante, causando
quindi un ritardo nel trattamento.
Bisogna sottolineare che, anche in caso di
lesioni benigne, la morcellazione non è completamente priva di rischi. Vi è infatti un numero crescente di segnalazioni di casi di fibromi parassiti dopo l’uso di morcellazione
laparoscopica che ha contribuito allo sviluppo di una teoria su base iatrogena, suggerendo una disseminazione intraperitoneale
di frammenti di tessuto dopo morcellazione
che può portare allo sviluppo di fibromi parassitari la cavità peritoneale.
Tuttavia, a oggi due questioni devono essere
affrontate: 1) negli ultimi due decenni, la
chirurgia mini-invasiva attraverso la laparoscopia è emersa come il gold standard per il
trattamento di diverse malattie ginecologiche; 2) i sarcomi uterini rappresentano una
condizione di bassa prevalenza senza patognomoniche caratteristiche diagnostiche.
per cercare di coniugare queste due opposte
situazioni, l’obiettivo principale resta quello
di aumentare la precisione diagnostica e di
attuare una ricerca sulle strategie alternative
per evitare la morcellazione intra-addominale. le uniche alternative adeguate sono la
morcellazione all’interno dell’endo-bag, il
recupero di campioni tramite una mini-incisione laparotomica o l’estrazione transvaginale di masse attraverso colpotomia posteriore. Nel campo diagnostico, una proposta
interessante è lo sviluppo di un sistema di
punteggio utilizzando diversi fattori e carat- u
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Morcellation worsens survival
outcomes in patients with undiagnosed
uterine leiomyosarcomas:
a retrospective MITO group study
teristiche predittorie per la diagnosi pre-operatoria di sarcoma uterino: il pre-Operative
Sarcoma Score (pRESS), che comprende
l’età, i livelli nel siero di ldH e risultati della
risonanza magnetica, ha riportato buoni risultati in termini di accuratezza diagnostica
(valore predittivo positivo, valore predittivo
negativo, sensibilità e specificità, rispettivamente del 84%, 63%, 93% 80%, 85%).
In attesa di un miglioramento delle tecniche
chirurgiche e diagnostiche, il giudizio clinico
nella valutazione dei pazienti per la chirurgia
laparoscopica è decisivo. In particolare, i pazienti con fibromi uterini “sospetti” devono
essere scoraggiati a subire morcellazione intra-addominale. Inoltre in assenza di strumenti diagnostici sufficientemente precisi
che consentono una diagnosi affidabile, tutti
i pazienti devono essere potenzialmente considerati a rischio di sviluppare un sarcoma
uterino e dovrebbero ricevere un consenso
informato completo, basato sulle migliori
prove disponibili, al fine di prendere la scelta
migliore per il trattamento. l
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aggiornamento
scientifico
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Morcellation worsens survival
outcomes in patients with undiagnosed
uterine leiomyosarcomas:
a retrospective MITO group study
COMMENTO
Professor Errico Zupi
Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione |
Università Tor Vergata | Roma
uesto interessante studio multicentrico
riguarda l’impatto della morcellazione
di leiomiosarcomi misconosciuti, durante interventi chirurgici per patologie presunte benigne, sulla sopravvivenza della paziente.
Nel 2014 la FdA (Food and drug Administration) aveva emesso una comunicazione
di sicurezza contro la “power morcellation” scoraggiando la procedura per i suoi potenziali
effetti dannosi in pazienti con sarcoma uterino misconosciuto 1. Comunque nel 2015
una revisione della letteratura sulla morcellazione dei fibromi eseguita dalla European
Society of Gynaecological Endoscopy 2, ha evidenziato che la reale prevalenza dei sarcomi uterini tra i presunti fibromi non è nota e che
la letteratura parla di una ampia variazione
della prevalenza (0,45% - 0,014%) esposta
in metanalisi basate soprattutto su studi retrospettivi.
In realtà, i principali problemi degli studi
che riguardano i leiomiosarcomi dell’utero
consistono nel basso numero di casi, in studi
prospettici standardizzati e nella eterogeneità
dei dati raccolti (follow-up, tipo di approccio
chirurgico e terapie adiuvanti). Una complicazione di questa procedura consiste nel
concetto che secondariamente alla morcellazione dei fibromi, si possono impiantare
Q
delle particelle sul peritoneo che possono a
loro volta generare fibromi parassiti che potranno necessitare di successivi interventi
chirurgici. Se un presunto fibroma appare
essere un sarcoma, ogni metodo di morcellazione disgrega l’integrità della neoplasia,
con la conseguente possibilità di incidere sulla stadiazione della malattia e condizionare
la sopravvivenza della paziente.
Alcuni studi si sono occupati dell’impatto
che la morcellazione di leiomiosarcomi misconosciuti, confrontata alla rimozione del
tumore e dell’utero integro, possa avere sugli
outcomes delle pazienti. Tali studi hanno
suggerito che la rimozione del campione
operatorio integro può mostrare un miglioramento della sopravvivenza e un minor tasso di recidive 3, 4. Comunque i dati sono fortemente condizionati da bias e sono di scarsa
qualità. di fatto, non vi è alcuna evidenza
convincente che la “power morcellation” o la
morcellazione di altro tipo risulti sostanzialmente in un upstaging del tumore 5.
In ogni caso, la recente attenzione sul rischio di lesione maligna misconosciuta durante la morcellazione di sospetti miomi
potrebbe avere conseguenze contrastanti.
la consapevolezza che ci si possa trovare
di fronte ad un sarcoma potrà comportare
un miglioramento nella diagnosi di lesioni
miometriali incluso il leiomiosarcoma e negli aspetti tecnici di una rimozione più sicura e senza spandimenti. Contrariamente
al fatto che non vi è alcuna caratteristica
patognomonica capace di predire un leiomiosarcoma con qualsiasi tecnica di imaging 6, 7 l’uso di termini e classificazioni standardizzate alle indagini preoperatorie 8 potrebbe migliorare la valutazione preoperatoria e influire positivamente sulla somministrazione del consenso informato.
Questo significa che la paziente deve essere
informata nel modo più completo possibile
e sulla base delle migliori evidenze a disposizione affinché possa fare la scelta migliore
di un trattamento individualizzato nei ri-
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Bibliografia
Morcellation worsens survival
outcomes in patients with undiagnosed
uterine leiomyosarcomas:
a retrospective MITO group study
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2
Brölmann H, Tanos V, Grimbizis G, Ind T, Philips K, van
den Bosch T, Sawalhe S, van den Haak L, Jansen FW, Pijnenborg J, Taran FA, Brucker S, Wattiez A, Campo R,
O’Donovan P, de Wilde RL; European Society of Gynaecological Endoscopy (ESGE) steering committee on fibroid
morcellation Options on fibroid morcellation: a literature review. Gynecol Surg. 2015;12:3–15
3
Anupama R, Ahmad SZ, Kuriakose S, Vijaykumar DK,
Pavithran K, Seethalekshmy NV. Disseminated peritoneal
leiomyosarcomas after laparoscopic “myomectomy” and morcellation. J Minim Invasive Gynecol. 2011;18:386–389.
4
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5
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uterine leiomyosarcoma after surgery for presumed uterine fibroids: a systematic review. J Min Invasive Gynecol
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6
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7
Fukunishi H, Funaki K, Ikuma K, Kaji Y, Sugimura K,
Kitazawa R, et al. Unsuspected uterine leiomyosarcoma:
magnetic resonance imaging findings before and after focused
ultrasound surgery. Int J Gynecol Cancer. 2007;17:724–
728.
8
Van den Bosch T, Dueholm M, Leone FP, Valentin L, Rasmussen CK, Votino A, Van Schoubroeck D, Landolfo C, Installé AJ, Guerriero S, Exacoustos C, Gordts S, Benacerraf
B, D’Hooghe T, De Moor B, Brölmann H, Goldstein S,
Epstein E, Bourne T, Timmerman D. Terms, definitions
and measurements to describe sonographic features of myometrium and uterine masses: a consensus opinion from the
Morphological Uterus Sonographic Assessment (MUSA)
group. Ultrasound Obstet Gynecol. 2015;46:284-98
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versus uncontained power morcellation for laparoscopic myomectomy: randomized controlled trial. Fertil Steril. 2016
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10
Raspagliesi F, Maltese G, Bogani G, Fucà G, Lepori S,
De Iaco P, Perrone M, Scambia G, Cormio G, Bogliolo S,
Bergamini A, Bifulco G, Casali PG, Lorusso D.Morcellation worsens survival outcomes in patients with undiagnosed uterine leiomyosarcomas: A retrospective MITO group
study. Gynecol Oncol. 2016 Nov 4. pii: S00908258(16)31519-0.
guardi della sua situazione personale evitando che la paura di un sarcoma inaspettato
possa portare a un intervento chirurgico più
invasivo non necessario.
lo sviluppo di tecniche di morcellazione più
sicure nella cavità addominale attraverso innovazioni tecniche, compresa la morcellazione in endo-bag è attualmente sotto indagine. potenzialmente la morcellazione in endobag dei fibromi potrebbe evitare molte delle
complicanze riportate sulla morcellazione,
come ad esempio: traumi direttamente collegati, la formazione di fibromi parassiti e
up-staging dei sarcomi. Comunque i potenziali
benefici ed i rischi della morcellazione in
endo-bag devono essere ulteriormente valutati
in studi clinici prima che tale procedura venga raccomandata nella pratica clinica 9. Nello
studio di Raspagliesi et al., è stato dimostrato
un rischio di morte tre volte più alto in pazienti sottoposte a morcellazione di leiomiosarcoma misconosciuto rispetto a pazienti
non sottoposte a morcellazione 10. Questo
importante risultato potrebbe rappresentare
una opportunità per continuare la raccolta
di dati in lavori prospettici (con campioni di
maggiore ampiezza) e standardizzati per
confermare o no i risultati retrospettivi dimostrati. la raccolta di dati prospettici può
chiarire il tema del rischio di sarcomi misconosciuti tra presunti fibromi. Inoltre dovrebbero essere perfezionate le tecniche per
l’estrazione di tessuto dalla cavità addominale durante interventi eseguiti con approccio laparoscopico. l
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Surgeon Experience and Complications
of Transvaginal Prolapse Mesh
Erin C. Kelly, MD, Jennifer Winick-Ng, MSc, and Blayne Welk, MD, MSc
Obstet Gynecol. 2016 Jul;128(1):65-72
A cura della Dottoressa Elisabetta La Tartara
OBIETTIVI
Si calcola che circa una su otto donne americane, entro gli 80 anni, sarà sottoposta a
un intervento chirurgico per la correzione
del prolasso degli organi pelvici (pOp). In seguito a questi tipi di interventi vi è un alto
tasso di recidiva pari al 39%, e un tasso di ripetuta correzione chirurgica che arriva al
29% dei casi.
Una Cochrane del 2016 ha riportato tassi
più bassi di reintervento per pOp dopo impianto transvaginale di mesh; ciononostante
il 7-18% delle pazienti richiede un nuovo intervento chirurgico per recidiva di pOp, incontinenza da stress, o complicanze dovute
alla mesh. Sottoporsi nuovamente a chirurgia
a causa di complicanze dovute alla mesh per
le pazienti può essere fonte di significativa
morbilità e stress emotivo.
Nel 2016, le mesh posizionate per via vaginale sono state classificate come dispositivi
ad alto rischio da parte della FdA, tanto che
alcune aziende hanno deciso di interrompere
la loro produzione.
Questo studio è stato pertanto progettato in
risposta alle preoccupazioni sollevate dagli
organismi di regolamentazione, con l’obiettivo di:
1) misurare l’incidenza di rimozione di mesh
o di revisione chirurgica della stessa dopo
il suo impianto per via vaginale per il trattamento del pOp;
2) valutare la potenziale associazione tra il
numero di impianti di mesh per via vaginale eseguiti dal singolo chirurgo e i tassi
di rimozione o di revisione della stessa;
3) determinare i fattori di rischio specifici
che possono contribuire alla rimozione
della mesh vaginale o alla sua revisione
chirurgica.
MATERIALI E METODI
Gli autori di questo studio hanno eseguito
un’analisi retrospettiva di coorte basata sulla
popolazione di tutte le donne adulte che hanno subito un intervento di impianto di mesh
per via vaginale per la correzione del pOp,
utilizzando dati amministrativi tra aprile 2002
e dicembre 2013, nella provincia di Ontario
in Canada. l’outcome primario da indagare
in questo studio è stata la revisione chirurgica
della rete. le pazienti sono state osservate
dalla data dell’intervento chirurgico fino alla
morte, all’ incidenza dell’outcome di interesse
(la rimozione chirurgica o la revisione della
mesh vaginale o di un corpo estraneo, la ri- u
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procedura, il tipo di ospedale in cui è stata
eseguita la procedura, e la necessità di una
trasfusione di sangue dopo l’intervento.
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Surgeon Experience and Complications
of Transvaginal Prolapse Mesh
RISULTATI
petizione della correzione del prolasso per
una complicanza, la resezione della parete
vaginale, o la riparazione di una fistola vaginale) o fino alla fine del periodo dello studio
(31 marzo 2014). Il volume di attività annuale
di chirurgia per pOp dei singoli chirurghi è
stato specificato a priori come principale parametro di interesse.
Gli autori hanno ipotizzato una relazione inversa tra il volume di attività annuale del chirurgo relativa alla chirurgia per prolasso con
mesh per via transvaginale e le complicanze
scaturite da tale tipo di chirurgia. Il volume
di attività del chirurgo è stato definito come
il numero di interventi chirurgici vaginali per
pOp basati sull’utilizzo di mesh eseguiti ogni
anno. Sono stati usati i quartili per selezionare
i chirurghi “ad alto volume di attività” annuale di chirurgia per pOp basata sull’utilizzo
di mesh (superiore al 75º percentile di procedure chirurgiche con mesh vaginale in un determinato anno) e “a molto elevato volume
di attività” (superiore al 90º percentile, che
richiede una mediana di 13 - range interquartile 11-14 - procedure per anno).
le caratteristiche delle pazienti incluse come
variabili erano: l’età del paziente, l’obesità
[indice di massa corporea (calcolato come
peso kg/altezza m2) di 40 o superiore], il diabete, comorbidità mediche generali, l’anno
fiscale, la regione geografica della paziente, e
lo status socio-economico. le variabili chirurgiche includevano: previa o concomitante
isterectomia, precedente o concomitante procedura per incontinenza urinaria da sforzo
(interventi chirurgici eseguiti con mesh messi
a confronto con interventi chirurgici senza
mesh), precedente procedura per pOp (intervento chirurgico con la mesh messo a confronto con la correzione mediante tessuti nativi), specialità del chirurgo che eseguiva la
Un totale di 5.488 donne è stato sottoposto
all’intervento di impianto della mesh da parte
di 1 dei 368 chirurghi totali [85% (313/368)
dei quali erano ginecologi]. Il tempo del follow-up è stato di 5,4 anni (range interquartile
3.0-8.0). l’uso di mesh transvaginali è aumentato dal 2002 al 2008 per poi scendere
costantemente fino al 2012. la percentuale
di donne che hanno subito la rimozione della
mesh, la revisione della stessa, o la riparazione
di una fistola vaginale associatale è stata del
4,0% (218/5.448) ad una media di 1,17 anni
(range interquartile 0.58-2.90 anni) dalla procedura. lo stesso chirurgo che aveva effettuato
la prima procedura ha anche eseguito l’intervento chirurgico per una complicanza legata
alla mesh nel 50% dei casi. l’incidenza cumulativa dei pazienti che hanno subito una
delle complicanze legate alla mesh è stata
dell’1,9% a 1 anno di follow up, aumentando
al 5,15% a 10 anni di follow up. I chirurghi
ad alto volume di procedure chirurgiche annuali hanno eseguito il 70% (3.835/5.448)
delle stesse e i chirurghi a basso volume di interventi chirurgici annuali ne hanno eseguito
il restante 30% (1.613/5.448).
Nel gruppo ad alto volume di attività, per il
3,9% (150/3.835) delle donne sottoposte a
intervento chirurgico, è stato necessario un
altro intervento chirurgico per una complicanza legata alla mesh, a confronto con il
4,2% delle pazienti (68/1.613), nel gruppo a
basso volume di attività, che hanno necessitato
di un’ulteriore chirurgia. l’analisi dei dati non
ha mostrato alcuna differenza statisticamente
significativa tra procedure effettuate da chirurghi con alto volume di attività e chirurghi
a basso volume di attività. In seguito gli autori
hanno ripetuto l’analisi utilizzando il 90º percentile come rappresentanza dei chirurghi
che hanno effettuato procedure con impianto u
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of Transvaginal Prolapse Mesh
di mesh per pOp con un volume di attività
definito molto alto.
Il cut-off per volume molto alto di attività è
stato una mediana di 13 procedure (range 1114 interquartili) all’anno. Facendo questa nuova analisi è emerso che 2.447 su 5.448 (45%)
pazienti sono state operate da chirurghi a
“molto alto volume” di attività e 3.001 di
5.448 (55%) da chirurghi “a basso volume”.
Con questa nuova revisione dei dati c’è stata
una diminuzione statisticamente significativa
del rischio di complicanze chirurgiche legate
alla mesh per le pazienti operate da chirurghi
a “molto alto volume” di attività. (Tabella; hazard ratio 0,59, 95% CI 0,40-0,86, p, .01).
Ciò rappresenta una riduzione del rischio assoluto dell’1,85% (95% CI 0,81-2,87%).
pertanto per evitare un intervento chirurgico
aggiornamento
scientifico
per una complicanza legata alla mesh, 54
donne sarebbero dovute essere state operate
da un chirurgo con “un volume molto alto”
di attività invece che da un chirurgo con “un
volume basso”. Sono emersi dall’analisi altri
fattori associati al rischio di rimozione o revisione della mesh posizionata per via transvaginale indipendetemente dal volume di interventi chirurgici eseguiti annualmente dai chirurghi quali l’età, la concomitante isterectomia, la trasfusione di sangue e un numero
maggiore di comorbidità.
Il rischio di reintervento per complicanze è
stato inferiore solo per le pazienti dei chirurghi
a volume di attività molto alto [3,0%
(145/3.001) rispetto al 4,8% (73/2.447), hazards ratio 0,59, 95% intervallo di confidenza
0,40-0,86]. Inoltre nell’analisi multivariata si
è visto che la minore età, più un’isterectomia
concomitante, una trasfusione di sangue, e
delle maggiori comorbidità mediche sono state
tutte associate con un maggior rischio di reintervento per una complicanza legata alla mesh. u
Tabella Outcome (Revisione o rimozione di mesh vaginale o riparazione di fistola)
dopo il posizionamento della mesh transvaginale per il trattamento del POP
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of Transvaginal Prolapse Mesh
Un’ulteriore analisi dei dati che utilizza le
stesse variabili, ma che definisce l’esperienza
del chirurgo come una curva di apprendimento (primi 10 casi rispetto ai casi successivi)
non ha dimostrato che vi era un aumento statisticamente significativo del rischio di reintervento per pazienti sottoposte a chirurgia
da un chirurgo all’inizio della sua esperienza
(hazard ratio 1,13, 95% CI 0,68-1,86, p5.65,).
Nonostante ciò si è visto che la curva di apprendimento mostra una piccola ma continua
diminuzione della probabilità di reintervento
per complicanze legate alla mesh vaginale
con l’aumentare delle procedure chirurgiche
effettuate da uno stesso chirurgo.
DISCUSSIONE
Tra le donne che hanno subito l’impianto
transvaginale di mesh esclusivamente per
pOp, abbiamo trovato un tasso di incidenza
cumulativa di complicanze associate alla mesh
che richiedono un nuovo intervento, pari al
5,15% a 10 anni. le nuove raccomandazioni
suggeriscono che i chirurghi dovrebbero fare
esperienza e acquisire una formazione specialistica se desiderano eseguire tale tipo di
chirurgia. Gli autori hanno indagato sulla veridicità di tali raccomandazioni, valutando la
relazione tra il numero di pazienti operati per
prolasso con mesh impiantata per via vaginale
da un singolo chirurgo e le complicanze mesh
correlate. Nella loro prima analisi (utilizzando
il 75º percentile) il numero di procedure chirurgiche annuali tali da definire un chirurgo
ad “alto volume” si è dimostrato basso. Al
contrario utilizzando il 90º percentile (chirurghi a volume molto alto di attività che in genere eseguivano 14 o più procedure chirurgiche all’anno) si è evidenziato una riduzione
del 41% del rischio di complicanze mesh-relate e che richiedevano un intervento chirur-
gico nelle pazienti operate da chirurghi con
tale tipo di esperienza. pertanto, probabilmente, la seconda analisi rispecchia in maniera più appropriata la definizione di chirurgo “ad alto volume di attività”. l’aumento
delle comorbidità delle pazienti è stato associato a un’aumentata probabilità di un nuovo
intervento per complicanze della mesh. Tale
studio presenta dei limiti. le fonti dei dati di
tale studio non hanno potuto identificare le
complicanze specifiche che inducono alla rimozione o revisione della mesh. Inoltre in
questo studio non è stato possibile considerare
alcune caratteristiche delle pazienti, del tipo
di mesh e di procedura chirurgica: ad esempio
non è stato possibile valutare la parità, il fumo,
il tipo di mesh, il distretto specifico su cui si è
intervenuti nella procedura, la formazione
specialistica specifica dei chirurghi, le eventuali
infezioni delle ferite vaginali post-operatorie
o la somministrazione di estrogeni perioperatoria . pertanto, tale studio probabilmente sottostima il vero tasso di complicanze della
mesh, perché i pazienti asintomatici e quelli
gestiti non chirurgicamente non sono inclusi.
Ciò nonostante le implicazioni cliniche dello
studio sono significative, in quanto le sue conclusioni affermano che 1 donna su 20 richiede
un secondo intervento chirurgico per via transvaginale a causa di complicanze dovute alla
mesh nei primi 10 anni di follow-up. le pazienti dei chirurghi a molto alto volume di attività hanno una riduzione del 41% di questo
rischio. Tali risultati sottolineano la raccomandazione che le procedure chirurgiche con
mesh transvaginali debbano essere eseguite
da chirurghi con formazione chirurgica avanzata e con una sufficiente esperienza. Altri
fattori clinicamente importanti associati a un
secondo intervento chirurgico per una complicanza della mesh (giovane età, isterectomia
concomitante, trasfusione di sangue, e una
maggiore comorbidità dei pazienti) dovrebbero essere utilizzati per identificare le pazienti
che con più probabilità beneficerebbero di
uno stretto follow-up post operatorio. l
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COMMENTO
Professor Gaspare Cucinella
Azienda Ospedaliera
“Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello” |
Università degli Studi di Palermo
articolo in oggetto tratta di uno degli
argomenti “più caldi” degli ultimi anni
in ambito ginecologico, ossia i rischi correlati
all’uso di mesh sintetiche in chirurgia vaginale per interventi ricostruttivi sui diversi difetti della statica pelvica.
Negli anni novanta il rischio di recidiva in
seguito a correzione vaginale per prolasso
genitale femminile era stimato tra il 30 e il
50% 1, 2 e al fine di ridimensionare questi
tassi di insuccesso, fu introdotto l’utilizzo delle protesi nel trattamento delle patologie della statica pelvica. Sebbene i vari trials randomizzati che confrontano l’utilizzo delle
mesh con le tecniche ricostruttive vaginali
classiche dimostravano soltanto migliori outcome anatomici, ma risultati sovrapponibili
in termini di outcome funzionale 3, l’utilizzo
delle mesh è stato esponenziale.
Fino al 2008, anno in cui la FdA, ha pubblicato un alert (poi ribadito nel 2011), in cui
sollevava numerosi dubbi sul reale vantaggio
della chirurgia proteica rispetto alla ricostruttiva “tradizionale”, mettendo l’accento
L’
soprattutto sul tasso rilevante di complicanze
da mesh vaginale riportate e raccomandandone l’utilizzo per via addominale 4. da allora, abbiamo assistito in questi anni ad un
vertiginoso incremento delle cause contro i
chirurghi per tali complicanze e inevitabilmente alla contemporanea progressiva riduzione dell’uso delle mesh per via vaginale.
di certo la questione è molto complessa e
vari studi recenti hanno voluto analizzarla
da diversi punti di vista, allo scopo di inquadrare nel nostro panorama chirurgico
attuale “il posto” della chirurgia con mesh
vaginale: chi deve farla, quando e come, al
fine di ottenere un reale beneficio minimizzando i rischi.
Kelly e collaboratori, attraverso uno studio
retrospettivo su un campione particolarmente consistente (5.488 donne operate con impianto di mesh vaginale), hanno voluto fare
il punto della situazione attuale in merito.
Il dato emergente più rilevante e su cui viene
posta maggiore attenzione è il ruolo del chirurgo ricostruttivo, riportando una riduzione
del rischio del 41% delle complicanze da
posizionamento di mesh per via transvaginale quando l’intervento viene effettuato da
chirurghi esperti del settore (che effettuano
più di 13 interventi l’anno).
Sicuramente il ruolo del chirurgo ricostruttivo è centrale in questa discussione, sopratutto perchè sviluppa e attua varie strategie
chirurgiche, alcune facilmente descrivibili
(come il tipo di protesi utilizzata, il tipo di
sutura, la sede delle suture, la possibilità o
meno di eseguire una concomitante isterectomia), e altre squisitamente tecniche, difficili
da quantificare (come l’ampiezza o la profondità della dissezione dei tessuti, la modalità e accuratezza nel controllo dell’emostasi,
l’entità delle tensioni imposte agli organi). E
probabilmente tali piccole strategie sono infine fondamentali nel definire il successo di
un intervento.
Questo articolo quindi, si inserisce in un filone di letteratura volto a riabilitare l’utilizzo
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Note
Surgeon Experience and Complications
of Transvaginal Prolapse Mesh
1
Olsen, Ambre L., et al. “Epidemiology of surgically managed
pelvic organ prolapse and urinary incontinence.” Obstetrics
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2
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4
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with Transvaginal Placement of Surgical Mesh for Pelvic
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5
Barski, D., T. Otto, and H. Gerullis. “Systematic review
and classification of complications after anterior, posterior,
apical, and total vaginal mesh implantation for prolapse repair.” Surgical technology international 24 (2014): 217224.
6
Achtari, Chahin, et al. “Risk factors for mesh erosion after
transvaginal surgery using polypropylene (Atrium) or composite polypropylene/polyglactin 910 (Vypro II) mesh.” International Urogynecology Journal 16.5 (2005): 389-394.
vaginale delle mesh, a condizione che l’operatore sia un chirurgo esperto 5 6.
Sebbene possa sembrare ovvio che una certa
procedura venga eseguita solo da chirurghi
con un’adeguata esperienza, sia in chirurgia
vaginale come in quella addominale, ciò non
sempre purtroppo si verifica.
In generale, poiché non sempre il singolo
chirurgo ha maturato negli anni un’adeguata
preparazione nei diversi ambiti chirurgici, è
preferibile che ciascuno si dedichi agli interventi, e quindi agli approcci chirurgici, che
ha maggiormente approfondito. In tal senso,
probabilmente, la soluzione migliore sarebbe
quella di trattare le pazienti affette da disturbi legati alla statica pelvica in centri in
cui siano presenti più figure con competenze
chirurgiche diverse, in grado di offrire alla
paziente un intervento personalizzato alle
sue esigenze. l
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Ultime novità in Senologia
A Prospective, Single Arm, Multi-site, Clinical
Evaluation of a Nonradioactive Surgical
Guidance Technology for the Location of
Nonpalpable Breast Lesions during Excision
Charles E. Cox, Scott Russell, Vanessa Prowler et al.
Ann Surg Oncol (2016) 23:3168–3174
A cura della Dottoressa Maria Vittoria Carbone
OBIETTIVO
Fino a oggi, sono state utilizzate diverse metodiche per guidare l’escissione chirurgica di
lesioni non palpabili della mammella.
la localizzazione preoperatoria della lesione
mediante repere metallico è il metodo più comunemente utilizzato nella pratica clinica e
ritenuto come lo standard di riferimento per
i nuovi sistemi sperimentali.
Il problema principale legato all’uso di tale
tecnica è costituito dall’alto rischio di dislocamento, migrazione o di sezionare il filo metallico durante la chirurgia con conseguente
perdita della localizzazione preoperatoria.
Inoltre, la necessità di eseguire tale procedura
nello stesso giorno dell’intervento chirurgico,
complica la programmazione delle sale operatorie e di radiologia che richiedono di un
coordinamento ottimale.
dal punto di vista delle pazienti, si registra spesso insoddisfazione dovuta ai lunghi tempi di attesa tra il posizionamento del repere e il trattamento chirurgico, disconfort dovuto al filo metallico che protrude dal piano cutaneo e rischio
aumentato di sincope vaso-vagale anche legato
al prolungato digiuno preoperatorio.
Un metodo in grado di ovviare a queste problematiche è rappresentato dall’uso di ‘semi’
radioattivi. È un metodo sicuro, facile da eseguire, con bassa percentuale di margini positivi
all’esame istologico dopo escissione chirurgica,
altrettanto bassa frequenza di reinterventi e soprattutto maggiore soddisfazione della paziente.
Inoltre, i ‘semi’ radioattivi possono essere apposti anche qualche giorno prima dell’intervento chirurgico. Studi prospettici hanno dimostrato infatti, una bassa percentuale di migrazione del repere, un miglioramento nella
programmazione dei tempi radiologici e chirurgici con un incremento del 34% nell’utilizzo
degli slot disponibili per le procedure bioptiche,
un risparmio del 50% del tempo necessario
alla programmazione ed una riduzione del tempo di attesa da parte delle pazienti di 4.1 giorni.
Il principale svantaggio di questa metodica è
legato all’uso di materiale radioattivo che richiede procedure di sicurezza aggiuntive
come le licenze, la formazione del personale,
il monitoraggio, la tenuta di registri, e altre
normative.
Una via alternativa per la localizzazione intraoperatoria delle lesioni non palpabili è rappresentata dall’ecografia intraoperatoria. Tale
metodica ha mostrato, soprattutto nei casi in
cui l’ecografia seguiva il posizionamento di
reperi al momento della biopsia diagnostica, u
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Ultime novità in Senologia
A Prospective, Single Arm, Multi-site, Clinical
Evaluation of a Nonradioactive Surgical
Guidance Technology for the Location of
Nonpalpable Breast Lesions during Excision
risultati sostanziamente sovrapponibili all’uso
dell’ago in termini di margini positivi e volume del pezzo operatorio asportato.
Questo studio multicentrico ha lo scopo di
testare il SAVI SCOUT (Cianna Medical,
Inc.), un sistema non radioattivo per la localizzazione delle lesioni non palpabili della
mammella.
MATERIALI E METODI
lo SCOUT utilizza una tecnologia radar a
microimpulsi, emessi e riflessi per localizzare
gli oggetti. Il sistema è composto da una componente impiantabile che funge da riflettore,
un manipolo e una console.
Il sistema riflettente, delle dimensioni di circa
1.2 cm, viene posizionato mediante ago da
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scientifico
16 Gauge sotto guida radiologica in corrispondenza della lesione target.
Il manipolo emette impulsi di luce infrarossa
e radar nel tessuto mammario e riceve indietro
un segnale radar dall’impianto riflettente in
modo da ottenere la direzione e la prossimità
alla lesione in tempo reale.
la console processa il segnale ricevuto e lo
trasforma in uno sonoro e visivo con intensità
differente in termini di frequenza del suono e
numerica a seconda della distanza del rilevatore del segnale dall’impianto riflettente.
Tale tecnologia ha già ricevuto l’approvazione
d’uso da parte della FdA ad agosto 2014 e la
sua sicurezza è stata valutata mediante uno
studio multicentrico pilota eseguito su 50 pazienti e di cui questo rappresenta l’estensione.
le pazienti sono state arruolate da marzo a
novembre 2015 in 11 centri aderenti allo studio. le pazienti con diagnosi di lesione non
palpabile della mammella in attesa di biopsia
escissionale o intervento conservativo sono
state arruolate considerando i diversi criteri
di eleggibilità (vedi Tabella 1).
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Tabella 1 Criteri di eleggibilità
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ficie cutanea (range 0,2-8 cm) e ad una distanza media dalla lesione target di 2,8 mm
(range 0-25mm). l’intervallo di tempo intercorso dal posizionamento del dispositivo all’intervento chirurgico è stato di 7 giorni. la
rilevazione transcutanea post-procedura è avvenuta in 147 casi su 153. In 4 casi è stato
utilizzato un altro metodo di rilevazione della
lesione target prima dell’intervento chirurgico,
in altri 2 casi il marker non era visibile ecograficamente.
la rilevazione prima dell’incisione al momento della chirurgia è avvenuta in 150 casi su
153, in tutti i casi c’è stata l’asportazione del
dispositivo integro (vedi Tabella 2).
aggiornamento
scientifico
Il posizionamento del sistema riflettente, che
prevede l’uso di aghi precaricati, è stato eseguito fino a circa 7 giorni prima della programmazione dell’intervento chirurgico e il
corretto posizionamento valutato mediante
esame radiologico e sistema di rilevazione.
Al momento dell’intervento chirurgico è stata
utilizzata la sonda in grado di rilevare il segnale radar emesso dal sistema riflettente inviandoTabella 2 Localizzazione del sistema riflettente
lo a una console che emette un segnale visivo e sonoro.
dopo l’asportazione è stato eseguito il controllo radiologico sul pezzo operatorio per identificare la
presenza del dispositivo.
l’endopoint primario dello studio è rappresentato
dalla percentuale di posizionamento corretto, localizzazione e recupero
del sistema riflettente.
Gli endpoint secondari includono la percentuale di casi con margini delle pazienti arruolate, 101 sono state sotnegativi per malattia, la percentuale di rein- toposte a quadrantectomia, 52 a biopsia escisterventi, l’esperienza del medico all’uso di tale sionale.
sistema (comparato con la localizzazione con Tra i casi con diagnosi preoperatoria di carago), la soddisfazione della paziente.
cinoma (totale 101), in 86 casi i margini di
resezione risultavano negativi per malattia
RISULTATI
(85%), in 15 casi (14.9%) close e in 15 casi
Sono state arruolate 154 pazienti e in un solo (14,9%) infiltrati.
caso si è verificato un mal posizionamento di queste pazienti, il 16,8% ha subito reindel dispositivo ad una distanza di 2,5 cm dalla tervento per margini positivi o close.
lesione target che ha richiesto poi la localiz- Nei casi di biopsia escissionale solo 10 su 52
zazione successiva mediante ago.
sono risultati positivi per neoplasia, 7 dei quali
I sistemi riflettenti sono stati posizionati ad con margini positivi o close e 5 reinterventi
una profondità media di 2.6 cm dalla super- (vedi Tabella 3).
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È stata effettuata una valutazione del grado
di soddisfazione sia delle pazienti che dei chirurghi. la soddisfazione è stata ottima nel
71% dei casi, solo 3 pazienti hanno dichiarato
di essere state insoddisfatte della procedura e
il 97% ha raccomandato la procedura ad altre
pazienti.
aggiornamento
scientifico
Molte pazienti hanno lavorato lo stesso giorno
della procedura.
Ai chirurghi è stato chiesto un confronto con
la procedura standard dando un punteggio
da 1 a 5 secondo la scala likert (<3 peggiore
della localizzazione con ago, =3 sovrapponibile, >3 migliore); la media di punteggio è
stata 4.4 per la facilità di localizzazione e 4.3
per la facilità di rimozione.
Inoltre è stato rilevato un maggior confort e
minore ansia per le pazienti rispetto ad altre
metodiche con minori tempi di attesa e migliore programmazione delle procedure chirurgiche.
u
Tabella 3 Anatomia patologica
Tabella 4
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CONCLUSIONE
Il sistema SCOUT si è dimostrato sicuro e di
facile utilizzo con alta percentuale di successo
della procedura escissionale e bassa percentuale di reinterventi.
I chirurghi hanno riscontrato una maggiore
facilità di reperimento e rimozione del sistema
riflettente rispetto al metodo del filo metallico
con minore impatto sulla programmazione
sia radiologica che di sala operatoria. la percentuale di riescissione si è dimostrata paragonabile al metodo dei semi radioattivi o con
guida ecografica intraoperatoria, e superiore
rispetto alla guida con filo metallico che ha
mostrato tassi anche del 60%.
l’esperienza nell’uso del sistema SAVI
SCOUT ha permesso di evidenziare la necessità di eseguire movimenti lenti della sonda
per la ricerca del dispositivo. Inoltre, la profondità della lesione potrebbe creare problemi
nella rilevazione, in questo studio però non
era previsto un limite di distanza tra i criteri
di esclusione a differenza dello studio pilota e
sono state localizzate lesioni anche a 8 cm di
profondità.
Infine nei casi di non rilievo del segnale è
stata notata un’interferenza della strumentazione con le luci alogene in sala operatoria,
mentre è nota la non interferenza con altri
metodi di illuminazione come i lEd presenti
nella maggior parte delle sale operatorie moderne. Altro limite riscontrato è stata la disattivazione del segnale dopo cauterizzazione in
sede intraoperatoria a ridosso del pezzo operatorio, senza condizionare il successo dell’intervento (vedi Tabella 4).
Non si sono verificati eventi avversi, né sposizionamento del device. Nonostante tali limiti
il sistema SCOUT si è dimostrato una valida
alternativa ai metodi attualmente in commercio per la localizzazione delle lesioni non palpabili della mammella ed in futuro da poter
utilizzare anche in presenza di lesioni multiple
o per l’identificazione del linfonodo sentinella.
È un metodo sicuro ed efficace che non utilizza materiale radioattivo. Inoltre non va sottovalutato il miglioramento della pianificazione degli interventi, delle procedure radiologiche e dei tempi di attesa. l
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COMMENTO
Professor Riccardo Masetti
Professore Ordinario di Chirurgia Generale |
Direttore Centro Interdipartimentale di
Senologia | Fondazione Policlinico Gemelli |
Università Cattolica del Sacro Cuore | Roma
l continuo perfezionamento delle tecnologie di diagnosi delle patologie mammarie
ha determinato un parallelo incremento nella percentuale di lesioni diagnosticate in fase
pre-clinica, quando cioè le lesioni non sono
ancora rilevabili alla palpazione.
per un trattamento chirurgico ottimizzato
di queste lesioni “non palpabili” l’operatore
deve disporre di un qualche sistema di localizzazione e di guida nella escissione. Il sistema di gran lunga più utilizzato è quello
dei reperi metallici (fili guida) che condizionano però l’accesso chirurgico e presentano
problematiche di possibile sposizionamento
e/o sezione del repere oltreché di discomfort
per la paziente. per ovviare a questi inconvenienti sono stati proposti e utilizzati altri
sistemi guida, tra cui ad esempio l’iniezione
perilesionale di sostanze radioattive (ROll–
radiguided occult lesion localization) o l’impiego dell’ecografia intraoperatoria.
In questo articolo vengono presentati i risultati di uno studio multicentrico di valutazione preliminare di un nuovo sistema di
I
localizzazione e guida all’escissione chirurgica di lesioni mammarie non palpabili, denominato SAVI SCOUT che utilizza una
tecnologia non radioattiva a micro-impulsi
radar (MIR).
la metodica SCOUT prevede l’impianto
con un apposito ago 16-gauge di un reflettore di 12 mm nella lesione da escidere.
Utilizzando poi un’apposita sonda guida
manuale, che emette impulsi di luce infrarossa e radar nel tessuto mammario e riceve
indietro segnali radar dal reflettore (visibili
su una console e udibili con intensità diversa), si può avere una guida efficace per
la escissione chirurgica
della lesione stessa.
per validare i favorevoli risultati preliminari emersi
in un iniziale studio pilota
su 50 pazienti, è stato predisposto questo studio
multicentrico, condotto in
11 istituzioni universitarie o ospedaliere negli Stati Uniti con major end-points quelli
di valutare le percentuali di corretto posizionamento, identificazione ed escissione
dei reflettori.
da marzo a novembre 2015 sono stati reclutati nello studio 154 pazienti per le quali
era stata programmata una biopsia escissionale o un intervento di chirurgia conservativa
per lesione non palpabile, benigna o maligna
della mammella.
I risultati dello studio indicano un’alta percentuale di corretto posizionamento del reflettore (153 su 154 casi, 99.4%), sotto guida
radiografica (65 casi) o più spesso ecografica
(89 casi).
delle 153 pazienti nelle quali il posizionamento del reflettore è stato efficace, 52 hanno poi ricevuto una biopsia escissionale della lesione e 101 un intervento chirurgico di
tumorectomia. la identificazione del reflettore dalla cute è stata agevole in 147 casi,
mentre ha richiesto il posizionamento di
un filo guida in 6 casi.
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la escissione è stata completata con successo
in tutti i casi.
Nella valutazione dei 16 chirurghi che hanno
partecipato allo studio, la metodica SCOUT
ha reso più semplice l’accesso chirurgico, la
corretta localizzazione e la escissione della
lesione.
Il 71% delle pazienti intervistate ha espresso
alta soddisfazione per la metodica.
Gli autori quindi concludono che la metodica SCOUT è una opzione sicura ed efficace per la localizzazione e il trattamento
delle lesioni non palpabili.
la mia valutazione critica dei risultati è leggermente diversa. pur apprezzando di questa
metodica il fatto che non utilizzi sostanze
radioattive e che il reflettore possa essere
mantenuto in sede con sicurezza e senza rischio di sposizionamento per un tempo maggiore delle metodiche concorrenziali (fino a
7 giorni in questo studio) riscontro però alcuni dati non perfettamente in linea con le
conclusioni molto positive degli Autori:
• ventidue delle 109 pazienti (20.1%) con
patologia neoplastica hanno dovuto subire
un secondo intervento per l’ampliamento
di margini di resezione che erano risultati
interessati dal tumore o inferiori ad 1 mm.
Si tratta di una percentuale piuttosto alta
d’insuccesso per una metodica ideata per
assicurare una escissione più precisa;
• questo dato diventa ancora più significativo
(in negativo) se si considerano i volumi
medi piuttosto ampi di tessuto rimosso,
41.2 cm3 e 135.1 cm3 rispettivamente per
le biopsie escissionali e le tumorectomie, a
fronte di lesioni piccole (diametri medi rispettivamente di 1.1 e 1.7). Volumi che
non sembrano indicare una particolare ca-
pacità della metodica SCOUT a favorire
escissioni calibrate e che sollevano forti
perplessità sulle possibilità di garantire risultati estetici ottimizzati (a cui non si fa in
alcun modo riferimento nel lavoro).
Infine, non vi è alcun accenno nel lavoro ai
costi di questa nuova tecnologia, che devono
invece essere attentamente considerati per poter esprimere in modo più completo un giudizio comparativo con altre metodiche. l
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Ultime novità in Ginecologia Disfunzionale
Romosozumab Treatment
in Postmenopausal Women
with Osteoporosis
F. Cosman, D. B. Crittenden, J. D. Adachi et Al.
The New England Journal of Medicine 2016
A cura della Dottoressa Giorgia Di Noi
l Romosozumab è un anticorpo monoclonale che lega la sclerostina. Il razionale di
questo studio consiste nel legare e inibire la
sclerostina, in quanto regolatore negativo della
formazione dell’osso secreto dagli osteociti.
Tale proteina, secreta dagli osteociti 1, inibisce
il pathway di segnale del sistema Wnt che svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella funzione delle cellule osteoblastiche 2. l’effetto sarebbe duplice: aumentare la formazione dell’osso e diminuirne il riassorbimento.
I
OBIETTIVO
l’obiettivo principale proposto dallo studio è
stato quello di valutare l’incidenza di nuove
fratture a 12 mesi e 24 mesi in donne in postmenopausa affette da osteoporosi.
l’end-point secondario consisteva nell’individuare incidenza globale di fratture cliniche
(un insieme di fratture non-vertebrali e fratture
vertebrali sintomatiche), fratture non vertebrali, fratture dell’anca, fratture osteoporotiche
maggiori, multiple fratture vertebrali peggiorate o di nuova diagnosi a 12 mesi e 24 mesi.
MATERIALI E METODI
Il FRAME (The Fracture Study in postmenopausal Women with Osteoporosis) è uno
studio internazionale randomizzato (1:1), doppio-cieco, controllato con placebo. Il Romosozumab alla dose di 210 mg o il placebo
sono stati somministrati per via sottocutanea
una volta al mese per 12 mesi, seguiti dalla
somministrazione open-label di denosumab
alla dose di 60 mg (prolia, Amgen) per via
sottocutanea ogni 6 mesi per altri 12 mesi.
Tutte le pazienti hanno ricevuto giornalmente
calcio (da 500 a 1000 mg) e vitamina d3 o
d2 (da 600 a 800UI).
Sono state arruolate a partecipare donne in
post-menopausa, tra i 55 e i 90 anni di età
(età media al termine dello studio 70,9 anni),
con un T-score da -2,5 a -3,5 a livello dell’anca
o del collo del femore.
Sono state escluse donne con storia di frattura dell’anca, con qualunque frattura severa
o più di due fratture vertebrali moderate,
storia di patologie che riguardano il metabolismo osseo, pregressa osteonecrosi della
mandibola, valore della 25-idrossivitaina d
< 20ng/ml, attuale ipocalcemia o ipercalcemia, recente uso di farmaci che influenzano
il metabolismo osseo.
Nel corso di ciascuna visita di controllo prevista sono state effettuate radiografie della colonna vertebrale in proiezione laterale. Il ri- u
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Romosozumab Treatment
in Postmenopausal Women
with Osteoporosis
scontro di fratture in vertebre precedentemente normali o il peggioramento di fratture
preesistenti di almeno un grado è stato considerato come diagnosi di frattura. Sono state
escluse le fratture riscontrate a seguito di traumi severi.
RISULTATI
Sono state randomizzate un totale di 7.180
pazienti, di cui 6.390 pazienti (89,0%) hanno
completato 12 mesi di studio e 6.026 (83,9%)
hanno completato i 24 mesi. le regioni geografiche con il maggior numero di pazienti
arruolati sono state l’America latina e l’Europa centro-orientale.
Il gruppo trattato con Romosozumab è stato
associato a un rischio di nuova frattura vertebrale del 73% inferiore rispetto al gruppo placebo a 12 mesi ( rispettivamente 0,5%, ovvero
16 su 3.321 pazienti vs. 1,8%, ovvero 59 su
3.322 pazienti; p<0,001). Il gruppo trattato
con Romosozumab è stato anche associato a
un rischio di frattura clinica del 36% più basso
rispetto al gruppo placebo a 12 mesi, di cui
la maggior parte (<85%) consisteva in fratture
non-vertebrali; le fratture si sono verificate in
58 su 3.589 pazienti (1,6%) nel primo gruppo
vs. 90 su 3.591 (2,5%) del secondo gruppo;
95% CI, p=0,008).
In un’analisi post-hoc è stata mostrata la differenza per area d’incidenza di nuove fratture, fratture cliniche e non-vertebrali. In
particolare il dato inerente l’America latina,
in cui l’incidenza di fratture non-vertebrali
è risultata dell’1,5% nel gruppo trattato con
Romosozumab rispetto all’1,2% del gruppo
placebo e il rischio di fratture osteoporotiche
maggiori è risultato dell’8,7% in America
latina contro il 17,0% nel resto delle aree
considerate.
aggiornamento
scientifico
Nei successivi 12 mesi dello studio tutti i pazienti hanno eseguito terapia con denosumab.
l’incidenza globale di nuove fratture in 24
mesi è stata minore nel gruppo che ha ricevuto romosozumab (0,6%) rispetto al gruppo
che ha ricevuto il placebo (2,5%), con un rischio minore del 75% nel primo gruppo. d’altra parte non c’è stata una differenza significativa nel rischio di frattura non vertebrale a
24 mesi nei due gruppi (rispettivamente del
2,7% contro il 3,6%).
Inoltre è stato dimostrato che la densità minerale dell’osso aumenta nel gruppo trattato
con romosozumab e continua a crescere anche durante il trattamento con denosumab.
per quanto concerne i markers di turnover
osseo, si è visto che i livelli di p1Np, marker
di formazione ossea, incrementano rapidamente nel gruppo del romosozumab e tornano al livello basale dai 9 mesi. Al contrario, i
livelli del marker di riassorbimento osseo, il
b-CTX, diminuiscono precocemente e rimango al di sotto dei livelli mantenuti nel gruppo
placebo fino a 12 mesi.
Gli eventi avversi, come l’incidenza di osteoartriti, cancro, eventi cardiovascolari seri, iperostosi, ipersensibilità, sono risultati bilanciati
nei due gruppi. Solo 7 eventi potenzialmente
indicativi di ipersensibilità si sono verificati
nel gruppo del romosozumab. Nello stesso
gruppo si sono verificati due casi di osteonecrosi della mandibola, di cui in un paziente è
avvenuto a seguito di un’estrazione dentaria
con conseguente osteomielite e nel secondo
in un contesto di dentatura patologica.
CONCLUSIONE
l’effetto del romosozumab sul rischio di nuove
fratture vertebrali è stato dimostrato essere
rapido. Considerando che le fratture vertebrali e le fratture cliniche sono associate a
un’aumentata morbidità e a costi sanitari considerevoli, un trattamento che riduca questo
rischio rapidamente potrebbe offrire un importante beneficio. Inoltre, i risultati riguardanti i markers di turnover osseo hanno con- u
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fermato il duplice effetto del romosozumab
nell’aumentare la formazione ossea e diminuire il riassorbimento osseo tramite l’inibizione della sclerostina; questo si traduce in
un largo incremento nella densità minerale
ossea a livello dell’anca e della colonna, clinicamente rilevabile già a 6 mesi.
Gli eventi avversi sono risultati bilanciati nei
due gruppi ed eventuali eventi avversi seri si
sono rivelati non comuni. Gli unici casi di
osteonecrosi della mandibola e di frattura di
femore atipica sono stati osservati in pazienti
con fattori confondenti.
In conclusione, un anno di trattamento con
romosozumab seguito da denosumab può
condurre a un sostanziale guadagno di densità
minerale ossea sulla colonna vertebrale e sulle
anche, che comporterebbe una riduzione del
rischio di frattura in donne osteoporotiche in
post-menopausa. l
Bibliografia
1
Poole KE, van Bezooijen RL, Loveridge N, et al. Sclerostin is
a delayed secreted product of osteocytes that inhibits bone formation. FASEB J 2005;19:1842-4.
2
Li X, Zhang Y, Kang H, et al. Sclerostin binds to LRP5/6
and antagonizes canonical Wnt signaling. J Biol Chem 2005;
280:19883-7.
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aggiornamento
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COMMENTO
Dottor Stefano Lello
Polo Scienze Salute
della Donna e del Bambino |
Fondazione Policlinico Gemelli |
Università Cattolica del Sacro Cuore | Roma
o studio di Cosman et al. sull’uso di Romosozumab in donne in postmenopausa
offre una serie di spunti dal punto di vista fisiopatologico, farmacologico e clinico.
dal punto di vista fisiopatologico, negli ultimi
anni sono stati approfonditi alcuni aspetti di
biologia degli osteoblasti e degli osteociti
dopo che, per lungo periodo, l’attenzione
era stata focalizzata prevalentemente sugli
osteoclasti quali responsabili dell’eccessivo
riassorbimento osseo che porta alla osteopenia e all’osteoporosi. In effetti, nell’ambito
della scoperta del ruolo della via canonica
delle Wnt (glicoproteine che regolano la trasduzione di segnali dall’esterno all’interno
della cellula)/beta-catenina, come pathway
di regolazione della produzione, dell’attività
e della sopravvivenza degli osteoblasti attraverso il legame, a livello di membrana, con
il Frizzled receptor e con la lipoprotein-Related protein-5 (lRp5) o la lipoprotein-Related protein 6 (lRp6), si è scoperto anche
l’agente che modula negativamente questo
meccanismo che sostiene l’attività osteobla-
L
stica, agente che è rappresentato dalla sclerostina (scl). da qui l’idea di produrre anticorpi anti-scl, al fine di aumentare il numero
e la funzione degli osteoblasti, con conseguente aumento della massa ossea e riduzione del riassorbimento osseo nell’ambito
del ciclo di rimodellamento scheletrico.
È su questa base concettuale che si inserisce
il lavoro di Cosman et al, che hanno utilizzato un anticorpo monoclonale anti-scl, il
Romosozumab, in donne in postmenopausa
(età media circa 71 anni) con osteoporosi (Tscore da –2.5 a –3.5 a livello dl femore totale
e/o del collo del femore). Romosozumab è
stato somministrato per via sottocutanea alla
dose di 210 mg/mese nel gruppo di trattamento attivo, e confrontato con un gruppo
placebo per 12 mesi (fase in doppio cieco);
successivamente, tutte le pazienti hanno ricevuto denosumab (dmab, un anticorpo monoclonale con attività anti RANKl, il mediatore della attivazione, della funzione e
della sopravvivenza degli osteoclasti, che
quindi riduce il riassorbimento dell’osso) alla
dose di 60 mg sottocute ogni 6 mesi per ulteriori 12 mesi (fase in aperto). Gli end-points
primari dello studio erano l’incidenza di fratture vertebrali a 12 e a 24 mesi. Gli endpoints secondari comprendevano le incidenze di fratture cliniche (non vertebrali e sintomatiche vertebrali) e le non vertebrali.
dopo 12 mesi, c’è stata una riduzione significativa (p<0.001; riduzione del 73% del rischio relativo) delle fratture vertebrali nel
gruppo trattato con romosozumab rispetto
al placebo; anche le fratture cliniche sono
state ridotte significativamente nel gruppo
romosozumab (p<0.008; –36% del rischio
relativo vs placebo). le fratture non vertebrali non sono state ridotte rispetto al gruppo
placebo, mostrando soltanto un trend verso
la diminuzione non significativo (p=0.10).
dopo 24 mesi,in seguito al passaggio di tutte
le pazienti al trattamento con dmab per altri
12 mesi, le fratture vertebrali risultavano ancora significativamente ridotte nel gruppo
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Romosozumab Treatment
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trattato con romosozuab vs. placebo
(p < 0.001). Quindi, si aveva una riduzione
significativa del rischio relativo di fratture
vertebrali dopo 12 mesi di trattamento con
romosozumab; tale riduzione restava significativa dopo 12 mesi di trattamento con
dmab nel gruppo pre-trattato con 12 mesi
di romosozumab vs placebo.
Questo studio rientra in un approccio concettualmente indicato, nell’ambito della gestione dell’osteoporosi, come “terapia sequenziale”, secondo cui alternando un trattamento di tipo anabolico con uno antiriassorbitivo (o viceversa), si possono ottimizzare
gli effetti sull’osso in termini di mantenimento e/o guadagno di densità minerale ossea
e/o riduzione del rischio di frattura.
In tal senso, si hanno vari esempi riportati
in letteratura. Uno studio di lindsay 1 ha valutato l’impatto, in termini di variazioni di
BMd, della aggiunta del paratormone ad
una terapia ormonale sostitutiva in donne
in postmenopausa con osteoporosi. Il gruppo
trattato con TOS + pTH presentava un aumento della BMd maggiore rispetto alla sola
TOS; inoltre, nel gruppo sottoposto al doppio trattamento si aveva una riduzione del
rischio di frattura vertebrale statisticamente
significativo in periodo di osservazione di 3
anni. Quindi, l’aggiunta di un terapia anabolica (pTH) ad un trattamento antiriassorbitivo (TOS), dimostrava un effetto sinergico
sulla BMd con riduzione del rischio di frattura. Tale dato è importante dal punto di
vista clinico, in quanto in grado di mostrare
effetti significativi sull’end-point principale
di qualsiasi terapia per l’osteoporosi, cioè il
rischio di frattura, ma anche su un end-point
secondario misurabile, cioè la BMd. Altri
aggiornamento
scientifico
COMMENTO
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dati di effetto sinergico sono stati nel tempo
riportati con TOS + Alendronato rispetto a
TOS da sola 2. In altri studi sono stati riportati aumenti della BMd femorale maggiori
con TpTd + raloxifene (un modulatore selettivo, un SERM, il cui principale meccanismo di azione a livello del’osso è di tipo
riassorbitivo) rispetto a TpTd da solo 3.
lo studio di Cosman è, in tal senso, un’evoluzione del trattamento della osteoporosi,
con ulteriori combinazioni terapeutiche per
meglio personalizzare le strategie antifratturative. Soprattutto, questo studio coniuga
due dei trattamenti più recenti nel campo
dell’osteoporosi, il romosozumab e il denosumab, mostrando un effetto sinergico, ancora secondo il concetto della “terapia sequenziale”. l
Bibliografia
1
Lindsay R, et al.Randomised controlled study of effect of
parathyroid hormone on vertebral-bone mass and fracture incidence among postmenopausal women on oestrogen with osteoporosis. Lancet, 350: 550-555, 1997.
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Lindsay R, et al. Addition of Alendronate to Ongoing Hormone Replacement Therapy in the Treatment of Osteoporosis:
A Randomized, Controlled Clinical Trial. J Clin Endocrinol
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3
Deal C, Omizo M, Schwartz EN, Eriksen EF, Cantor P,
Wang J et al. Combination teriparatide and raloxifene therapy
for postmenopausal osteoporosis: results from a 6-month double-blind placebo-controlled trial. J Bone Miner Res
2005;20:1905–1911
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aggiornamento
giuridico
Responsabilità medica da danno
alla persona, genitori risarciti
per la perdita del figlio in relazione
alla sua età al momento della morte
A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo Campellone
Studio Legale Meliadò
a Suprema Corte di Cassazione ha negli
ultimi anni mutato orientamento in materia di risarcimento del danno alla persona;
sono due pertanto i principi che il Giudice
deve prendere in considerazione nella quantificazione e successiva liquidazione del danno: l’evento che ha cagionato un danno è
unico con riflessi sia patrimoniali sia non
patrimoniali; il quantum stabilito dal Giudice deve risarcire integralmente il soggetto
danneggiato, senza arricchirlo.
Nel caso di specie, i genitori di un minore,
deceduto all’età di undici anni, ricorrevano
in giudizio per ottenere l’accertamento della
responsabilità professionale del ginecologo
sia per motivi riconducibili alla conduzione del parto, che alla successiva fase
di assistenza, responsabilità accertata
dai giudici di merito in entrambi i gradi
del processo.
Tuttavia, in secondo grado la parte
soccombente veniva condannata
a risarcire il danno in
una somma quantificata in maniera minore
in considerazione
L
della breve durata di vita del bambino. Avverso tale riduzione del risarcimento, ricorrevano in Cassazione i genitori sia iure proprio
che iure successionis, rilevando che il risarcimento del danno ingiusto non fosse in alcun
modo influenzato dalla durata della vita del
danneggiato.
la terza sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza numero 19864 del 22
settembre 2014, ha ricordato che “…nel liquidare il risarcimento del danno da responsabilità
medica dovuta a una cattiva gestione del parto e della
successiva assistenza, è possibile operare una riduzione del danno non patrimoniale in considerazione
della vita reale del bambino. Tale riduzione non costituisce una personalizzazione del danno ma un
semplice dato obiettivo “che influisce sul quantum, mentre
altri aspetti di questa vita
menomata possono venire
in considerazione se dedotti
e provati, e non solo
per la vittima primaria ma come danno
parentale”.
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Responsabilità medica da danno
alla persona, genitori risarciti
per la perdita del figlio in relazione
alla sua età al momento della morte
pertanto, secondo la Suprema Corte di Cassazione non si è configurata una restrizione
del principio della personalizzazione del danno nel momento in cui si è tenuto conto
della breve durata di vita del bambino e infatti, nel motivare la decisione, la Corte esplicitamente si è ispirata ad una precedente
pronuncia (la sentenza n. 26973 dell’11 novembre 2008), richiamando il relativo principio di diritto, e cioè che il risarcimento del
danno alla persona deve essere integrale, e la persona
è l’essere vivente che viene leso, anche mortalmente, e
che il risarcimento equo del danno ingiusto non deve
eccedere il danno reale.
Quindi, il soggetto danneggiato (il bambino)
ha subito un danno risarcibile, limitatamente
alla durata della sua vita terrena, poiché a
seguito della sua morte i soggetti danneggiati
restano i familiari e chi provi di aver subito
un danno ingiusto, ovvero, un danno diverso
da quello sofferto dal danneggiato principale,
stimato e liquidato diversamente.
Il risarcimento del danno non patrimoniale,
subito dal bambino e spettante ai genitori
iure successionis, deve essere ridimensionato in
considerazione della durata di vita del bambino, lasso temporale dell’effettivo pregiudizio subito dal danneggiato. l
aggiornamento
giuridico
‘‘
45
Nel liquidare il risarcimento del danno
da responsabilità medica dovuta
a una cattiva gestione del parto
e della successiva assistenza, è possibile
operare una riduzione del danno non
patrimoniale in considerazione della vita
reale del bambino. Tale riduzione
non costituisce una personalizzazione
del danno ma un semplice dato obiettivo
“che influisce sul quantum, mentre altri
aspetti di questa vita menomata possono
venire in considerazione se dedotti
e provati, e non solo per la vittima
primaria ma come danno parentale”.
’’
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Le attività didattiche del primo semestre dell’anno
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gennaio > giugno
DATA
gennaio
12>13
19>20
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CORSO
Medical expert training in tecnologie in Urologia: dalla diagnosi al trattamento
percorso su Chirurgia colonrettale - II modulo
Corso di Chirurgia tiroidea
Master Uroginecologia
febbraio
2>3
6>8
8
14>15
15>17
20>22
20>22
27
Master Uroginecologia
Master Ostetricia
Women’s Health: pelvic Floor Reconstruction
and Female Incontinence Surgery Advanced
Corso di Chirurgia bariatrica
Master Uroginecologia
Met in advanced laparoscopic surgery in Gynecology
Master Ostetricia
Corso Isteroscopia
marzo
2>3
2>3
2>3
6>8
10
13>14
14>15
17
20>21
20>22
22
29>30
Master Uroginecologia
Corso professor Ratto
Medical expert training in tecnologie in Urologia: dalla diagnosi al trattamento
Master Ostetricia
Corso fertility focus / chirurgia tubarica
laparascopia operativa in Ginecologia (livello avanzato)
Corso di Chirurgia tiroidea
Master Uroginecologia
Master Ostetricia
Met in advanced laparoscopic surgery in Gynecology
Women’s Health: pelvic Floor Reconstruction
and Female Incontinence Surgery Advanced
Master Uroginecologia
aprile
3>5
Master Ostetricia
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and Female Incontinence Surgery Advanced
Master Ostetricia
Accademia MITO
5
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28
maggio
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Master Ostetricia
Tecniche in Chirurgia laparoscopica ginecologica
Corso di Resettoscopia
Master Ostetricia
10>11
17>19
22>24
giugno
6>7
Master Ostetricia
Master Ostetricia
Women’s Health: pelvic Floor Reconstruction
and Female Incontinence Surgery Advanced
Met in advanced laparoscopic surgery in Gynecology
13>15
14
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CalenDario 2017 CorSi Di eCografia in gineCologia
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Corso intensivo di ecografia in ginecologia
14>17 marzo
Corso intensivo di ecografia in ginecologia
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Corso intensivo di ecografia in ginecologia
maggio
25>26 maggio
live scanning in ginecologia
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4>7
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luglio
13>14 luglio
accreditamento ioTa
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Corso intensivo di ecografia in ginecologia
12>13 ottobre
live scanning in ginecologia
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live scanning in ginecologia oncologica
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