02 frontespizio - Richard e Piggle

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02 frontespizio - Richard e Piggle
D. Lucarelli: Prima della tempesta? La prepubertà: problematiche psichiche e approccio clinico 41
Prima della tempesta?
La prepubertà: problematiche psichiche
e approccio clinico
DANIELA LUCARELLI
“Trouver n’est rien. Le difficile est
de s’ajouter ce qu’on trouve”
Paul Veléry
I. “... Ancora un minuto e Harry avrebbe compiuto undici anni. Tre, due,
uno, bum! Tutta la catapecchia fu scossa da un brivido e Harry saltò su a
sedere di scatto fissando la porta. Fuori c’era qualcuno, che bussava chiedendo di entrare”. Così sta per cambiare totalmente la vita di Harry Potter,
il protagonista ormai conosciuto da tutti, dei romanzi di Joanne K. Rowling,
che ha vissuto i suoi primi dieci anni al numero 4 di Privet Drive, con i suoi
zii “Babbani”, vale a dire persone “senza neanche una goccia di mago nelle
vene”. Harry non sa nulla della sua famiglia di origine: gli è stato raccontato
che i genitori sono morti in un incidente, quando era piccolo, e che lui si è
salvato. È come se l’intensità e la vivezza del suo lontano passato fossero
rimasti occultati “in latenza” ed ora stessero per riemergere, riaccendendolo
di nuova emozionalità alla luce degli avvenimenti che stanno per verificarsi.
Ora, all’arrivo dei suoi undici anni si ripresenta un aspetto della sua realtà
interna, la sua natura di mago: la magia si presenta come la vera vita, mentre il mondo dei ‘Babbani’, i non-maghi, appare monotono e privo di sorprese.
Ho pensato di utilizzare i romanzi di Harry Potter (soprattutto i primi
tre)1 per descrivere, attraverso le rappresentazioni metaforiche che ne ven-
1
Rowling JK (1998). Harry Potter e la camera dei segreti. Milano: Salani, 1999.
Rowling JK (1999). Harry Potter e la pietra filosofale. Milano: Salani, 2000.
Rowling JK (2000). Harry Potter e il prigioniero di Azkaban. Milano: Salani, 2000.
Richard e Piggle, 16, 1, 2008
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gono date dall’autrice, le fantasie, le angosce, i desideri che animano il
mondo interno dei ragazzi e delle ragazze nella preadolescenza, in quanto
essi mi sono apparsi una fonte ricchissima di suggestioni e si può ben comprendere come possano essere divenuti il più grande successo editoriale
della letteratura per ragazzi degli ultimi anni. Come tutti sanno, i romanzi
pubblicati sono sette. Essi narrano le vicende di Harry Potter, a partire dal
suo undicesimo compleanno e giungono fino ai diciotto anni: un libro per
anno. Per tale ragione, ai fini dell’interesse di questo specifico contributo,
considererò prevalentemente i primi tre volumi, dai quali ho tratto alcune
delle situazioni narrate tra le moltissime contenute nei libri, scegliendole
tra quelle che mi sono sembrate più adatte a rappresentare il mondo emotivo e le fantasie dei preadolescenti. I romanzi devono sicuramente la loro
enorme diffusione, oltre allo stile narrativo vivace e avvincente e alla ricchissima fantasia delle avventure narrate, anche alla ricchezza metaforica
con la quale sono espressi l’evolversi delle vicende dello sviluppo emozionale
della preadolescenza e dell’adolescenza. Ben conosciamo l’importanza, per i
bambini e per i ragazzi, del ruolo delle storie inventate per governare i loro
affetti, come sottolineano, tra gli altri, Bettelheim (1975) e Sarnoff (1976).
Un’acuta descrizione sotto forma di metafora, del mondo interno e dei
suoi conflitti offre probabilmente ai giovani lettori preadolescenti e adolescenti la possibilità di identificarsi con il protagonista, condividendone le
inquietudini; lenendo le loro ansie (il percorso da compiere è difficile ma non
impossibile) li fa sorridere delle loro difficoltà sdrammatizzando le paure e
dando sollievo ai sensi di colpa che accompagnano l’emergere di fantasie e
di nuove spinte pulsionali. Attraverso sfide continue Harry ricava dalle
esperienze traumatiche lezioni di sopravvivenza: impara a riconoscere i
segnali di pericolo e ad individuare il tipo di difesa da attivare per agire tempestivamente (Székács, 2004). Il mondo della magia, l’apprendistato da
mago non sono, nei romanzi, intesi nel senso dell’onnipotenza che perde di
vista la realtà, ma anzi rappresentano un mondo che funziona ed è organizzato come quello reale: il gruppo, la scuola, le lezioni, gli esami, il gioco di
squadra che appassiona, il Quidditch, ma tutto con qualcosa in più, la
magia. I ragazzi vivono ad Hogwarts che potrebbe essere un normale college
se non fosse per tutte le magie che lo fanno diventare un luogo imprevedibile e stupefacente. Il mondo della magia ben si presta a rappresentare
quella situazione desiderata e temuta al tempo stesso, che incuriosisce e
crea aspettative, ma che si teme possa essere portatrice anche di pericoli
imprevedibili, di fronte alla quale ci si sente impreparati e sbigottiti, che,
nello sviluppo, è rappresentata dall’arrivo della pubertà con i cambiamenti
interni ed esterni che comporta. Questo indica la voce spaventata di Dudley,
il cugino di Harry, che grida alla mamma, mentre Harry si prende gioco di
lui minacciandolo di fare un incantesimo: “Mamma! Harry sta facendo
quella cosa lì!”, utilizzando la stessa forma espressiva con la quale si riferirebbe alla masturbazione.
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Importante, nei romanzi, è il gruppo, composto da ragazzi e ragazze, tra
i quali si sviluppano rapporti di amicizia, solidarietà, tenera simpatia, ma
anche rivalità e aggressività. Tra i più presenti ne ricordiamo alcuni: Ron, il
piccolo di una numerosa famiglia di maghi, è il preadolescente che deve difendersi dall’atteggiamento troppo protettivo e infantilizzante della madre. Hermione, che viene da una famiglia di ‘babbani’, la ragazzina studiosa, che non
può infrangere nemmeno una regola, evidentemente alle prese con il suo processo di autonomizzazione che comporta l’internalizzazione del Super Io e
l’assunzione delle proprie responsabilità: è apparentemente interessata solo
al libri e all’apprendimento di magie e incantesimi nei quali è espertissima.
Neville, allevato da una nonna strega, con il suo animaletto, il rospo Oscar;
tutti insieme formano un gruppetto molto solidale. Potremmo dire che essi
rappresentano quei ragazzi maggiormente in contatto con gli aspetti più fragili e insicuri, quelli che hanno più facilità a integrare gli aspetti regressivi e
passivi. Draco Malfoy con il suo gruppetto sono, invece, i ragazzi più spavaldi
e aggressivi, continuamente sull’orlo della provocazione e della rissa, che
sembrano rappresentare quelli narcisisticamente più fragili, che mostrano
maggiore difficoltà a fronteggiare le spinte regressive ed a mantenersi in contatto con la loro parte ancora infantile e immatura, nonché con i bisogni di
passività e tenerezza che devono respingere massicciamente con atteggiamenti onnipotenti, diremmo oggi, di “bullismo” (non a caso il padre di Draco
Malfoy era stato legato al mago malvagio Voldemort, di cui parleremo in
seguito). Questo il gruppo dei ragazzi, insieme a Harry Potter protagonisti
delle avventure di Hogwarts, dove si svolge la loro esperienza di preparazione
all’uso della magia, dove vivono la loro preadolescenza con tutte le fantasie,
i desideri, le angosce, le paure, le aspettative che la caratterizzano.
Lasciamo, ora, momentaneamente da parte il nostro protagonista Harry
Potter e il suo gruppo per delineare brevemente quale possa essere la situazione psichica ed emotiva nella quale si vengono a trovare i ragazzi e le
ragazze verso il tramonto della latenza. Sappiamo, già a partire da Freud
(1905) come il relativo equilibrio che si era raggiunto nel periodo di latenza
viene interrotto dai cambiamenti biologici della pubertà, nel corso della quale
gli impulsi sessuali genitali si intensificano e le zone erogene vengono ulteriormente subordinate al primato genitale. Ma come si succedono le tappe del
processo evolutivo? Il modo di rappresentarne lo svolgimento è molto cambiato nel tempo. Nel passato, se ne dava una rappresentazione molto rassicurante, quale ritroviamo, ad esempio, nelle stampe popolari francesi di Épinal, un susseguirsi di tappe della durata di dieci anni: l’infanzia,
l’adolescenza, la giovinezza, l’età adulta, ecc. Quelle ingenue illustrazioni
davano l’idea che l’esistenza seguisse il suo corso in modo fisso così come un
treno percorre, senza anticipo né ritardo, sempre la stessa distanza da una
stazione all’altra fino alla meta finale. La nostra visione attuale ci fa, invece,
dire che le cesure e le tappe non sono mai stabilite nel corso della vita e che
né lo sviluppo né l’invecchiamento sono mai fissati in modo definito. AbbracRichard e Piggle, 16, 1, 2008
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ciando, quindi, un’idea dello sviluppo visto come un processo continuo, non
lineare, nel quale ogni fase del ciclo vitale fornisce importanti contributi a
quella successiva (Bonaminio, Di Renzo, 2001), possiamo certo convenire che
una divisione in fasi dello sviluppo è una pura astrazione e che, se essa può
pur esserci utile a semplificare l’osservazione delle caratteristiche di ogni
periodo, se presa troppo alla lettera, rischia di farci perdere l’estrema complessità del percorso di crescita, che non sarà mai lineare e che non può certo
essere costituito da una semplice successione di fasi. Ricorrendo ora, per aiutare la rappresentazione di tale percorso, a una figura metrica, potremmo dire
che, nel processo di sviluppo, si verifica continuamente quello che nella poesia è chiamato un enjambement, cioè la mancata coincidenza della lunghezza
del verso con il nesso sintattico della frase. Vale a dire, che non vi è mai una
completa coincidenza della fase con i processi specifici di essa, in quanto essi
possono essere anticipati o posticipati, a seconda dei casi, protraendosi anche
nella o nelle fasi successive oppure precedendo l’inizio della fase stessa. In tal
modo, se volessimo rappresentare le fasi dello sviluppo come segmenti di
colori diversi, il processo, invece di essere rappresentato da una linea fatta di
tanti colori giustapposti, potrebbe forse assomigliare di più ad una linea dai
colori che si accavallano, si sovrappongono, o in altri momenti si susseguono,
creando un continuum variegato e multicolore. I tratti di passaggio da un
colore all’altro risulterebbero essere proprio quelli nei quali la sovrapposizione è maggiore e nei quali, quindi, la quantità di colori più variegata.
Freud (1905, pag. 515), nel capitolo su “Le trasformazioni della pubertà”
scriveva: “Il punto di partenza e lo scopo finale del processo sono chiaramente visibili. I passaggi intermedi sono per molti versi ancora oscuri. Dobbiamo riconoscere che più d’uno rimane un enigma irrisolto”. Le dinamiche
interne della latenza e dell’edolescenza hanno le loro forme e, in passato, vi
sono state delle idee piuttosto definite sul loro inizio, il loro svolgersi, la loro
fine. Attualmente, la visione si è notevolmente complessizzata e si è visto
che le forme di un periodo possono andare ben al di là dei suoi confini cronologici. Così, da un lato, come F. Ladame (2003), si può parlare di eterni
adolescenti, e, dall’altro, come P. Denis (2001), ci si può riferire al funzionamento “stupido”, il modo in cui gli autori francesi descrivono il funzionamento mentale preadolescenziale, come qualcosa che può accompagnare
tutta la vita. Il tentativo di superamento delle nozioni di periodo o di stadio
ha portato anche alla creazione di concetti come quello di “posizione di
latenza” o di “posizione di adolescenza” adatti a rendere conto delle trasformazioni psichiche che si situano anche al di fuori delle età che li accompagnano abitualmente. Si può, quindi, derivare da tutto ciò che i momenti di
transizione, o quelli che preannunciano una transizione da una fase all’altra, sono quelli forse più complessi da vivere e da descrivere.
Ci troviamo qui, oggi, ad occuparci di quel periodo che unisce (o separa)
la latenza all’adolescenza per cercare di delinearne alcune caratteristiche
principali, consapevoli che l’ambito di cui ci occupiamo è estremamente sfuRichard e Piggle, 16, 1, 2008
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mato e poco definito, anche nel nome. Si parla, infatti, di preadolescenza o
di prepubertà, mettendo l’accento piuttosto su ciò a cui ci si prepara, verso
cui si va incontro, non considerando la fase nella quale ancora ci si trova e
che fornisce il nutrimento psichico ai processi che si stanno avviando. L’attesa è tutta per ciò che dovrà accadere.
Con il termine preadolescenza si descrivono, per lo più, le complesse
sfaccettature psicologiche ed evolutive del periodo cronologico che comprende gli anni che precedono la pubertà, che, a dire dei pediatri, attualmente tende frequentemente a collocarsi in un’età sempre più precoce, con
la preoccupante conseguenza di tempi necessari per l’instaurarsi di un processo di latenza sempre più brevi.
Questi aspetti psicologici ed evolutivi comprendono anche i compiti psicologici implicati nell’adattamento alla maturità sessuale, ma non sono solo
limitati a questi. Molti autori hanno contribuito all’elaborazione del significato delle trasformazioni corporee della pubertà. L’intervento intrapsichico
di questo estraneo è stato sottolineato, ad esempio, ampiamente dai Laufer
(1989) con l’elaborazione del concetto di “fantasia masturbatoria centrale”,
da Cahn (1998) che sottolinea il senso del perturbante legato alla comparsa
del corpo genitale che è inizialmente sentito come “estraneo anche rispetto
alle relative sicurezze della latenza ed estraneo agli adulti che, dopo un
tempo indeterminabile, egli dovrà un giorno, raggiungere”, da J.J. Baranès
(2003), che, ad esempio, intitola un lavoro: “Estraneo a se stesso”, da Gutton
(1991), che parla di ‘ipocondria genitale’. Secondo G. Bayle (2004), inoltre,
la preadolescenza fa riemergere o rinforza le problematiche della latenza in
funzione dell’avvicinarsi del secondo tempo della castrazione. Questo non
annuncerebbe ora la minaccia della presenza fisica di un padre potente e
potenzialmente castrante come avveniva nell’infanzia, ma quella di un
estraneo, quale è vissuto inizialmente un corpo sessualmente e muscolarmente potente: questa è la minaccia che caratterizza la preadolescenza e che
si realizzerà con l’adolescenza. Sappiamo come questa sia un’età, nella
quale, in relazione alle incipienti e annunciate trasformazioni puberali, le
basi narcisistiche possono essere destabilizzate e le problematiche relative
alla rappresentazione di sé possano prendere un posto consistente. La crescita fisica, inoltre, con l’aumento rapidissimo della statura prima della
pubertà – talvolta dieci o più centimetri in un anno – può facilmente generare un sentimento di estraneità a se stessi.
La nozione di preadolescenza non conosce un grande successo teorico: la
si utilizza soprattutto nella clinica. Tra latenza e adolescenza, essa tende a
volte da un lato, a volte dall’altro e sembra, spesso, non essere che un incrocio o un passaggio le cui caratteristiche specifiche vengono riferite o a ciò che
la precede o a ciò che la segue. Così si parla più volentieri di preadolescenza
quando le patologie si riferiscono a dei fallimenti o a delle trasformazioni sia
della fine della latenza, sia dell’inizio dell’adolescenza. Ma vi sono anche
alcuni adulti che potrebbero essere chiamati “preadolescenti” in alcuni
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momenti nei quali il loro modo di funzionare fa pensare a questa età. Attualmente sembra che tutti siano dell’idea che si dovrebbero fare delle distinzioni fra preadolescenza e adolescenza così come fra prepubertà e pubertà.
Pubertà e prepubertà si riferiscono a criteri fisiologici, anatomici e ormonali
della maturazione sessuale. La prepubertà inizia con la comparsa dei caratteri sessuali secondari, compresi quelli non rilevabili visivamente.
Gutton ha, a questo riguardo, utilmente introdotto il concetto di ‘pubertario’ per indicare ciò che per la psiche è l’equivalente di quello che la
pubertà è per il corpo. Vale a dire il lavoro psichico che accompagna le trasformazioni della pubertà che possono essere sentite come traumatiche per
il sentimento di estraneità con il quale vengono percepite le trasformazioni
puberali e, contemporaneamente, per l’emergere di una nuova pulsionalità,
rivolta al “diventare grande”, al “crescere” che altera dall’interno l’equilibrio
narcisistico fin lì acquisito. Se il pubertario – come dice Gutton (2000) – è
nella confusione delle lingue (Ferenczi, 1932), ovvero prende forma dalla
riduzione dello scarto tra la tenerezza infantile e la passione che fino ad
allora era propria degli adulti e che adesso diventa propria, allora “i processi
in corso si pongono tra l’oblio della prima e la scoperta della seconda”.
Potremmo, allora, forse, definire come “prebubertario” la situazione psichica
che accompagna l’avviarsi di questi processi.
Il periodo che precede l’inizio dell’adolescenza può essere caratterizzato
dal timore di ciò che si teme di dover abbandonare, non avendo ancora ottenuto ciò che deve acquisire: vi è la paura di perdere gli equilibri conquistati
nella latenza (fra Super Io ed Io, fra pulsioni e difese) senza la sicurezza di
trovare i vantaggi attesi. Vi è la paura di perdere la tenerezza, i vizi, i giochi
festosi, le sapienti acquisizioni, la vivacità, l’agilità, uno stato sociale privilegiato, la paura di poter non avere accesso alla soddisfazione dei bisogni
della sessualità, del contatto con il proprio corpo sessuato (come funziona?)
e di quello dell’altro/a (come è fatto/a?), la paura dei bisogni che si affacciano
con l’arrivo delle competizioni, con la perdita del gruppo che si era costituito
nella latenza, con il sentirsi soli contro tutti. È un periodo piuttosto breve che
è preparato dai cambiamenti precedenti e che prepara quelli che dovranno
avvenire. Non ha un proprio contenuto ma, potremmo dire con G. Bayle, che
“si articola tra paura di abbandono e paura di castrazione” (2004, pag.325).
Il modo in cui il ragazzo/a affronta l’impatto dell’aumentata secrezione ormonale, dell’accresciuta pressione pulsionale e dell’alterato equilibrio tra le
strutture psichiche è significativamente determinato dal grado con cui,
durante la latenza, l’Io si è integrato, stabilizzato ed è diventato autonomo.
P. Blos (1962), ci ricordano Bonaminio e Di Renzo (2001), considera che ciò
che accade all’Io e con l’Io in latenza determina come verrà sviluppato il passaggio adolescenziale. Il prerequisito per entrare nella fase adolescente dell’organizzazione istintuale e dell’Io sta nel consolidarsi del periodo di latenza,
altrimenti il ragazzo che sta per divenire pubere sperimenta un semplice
intensificarsi delle caratteristiche anteriori alla latenza, mostrando comporRichard e Piggle, 16, 1, 2008
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tamenti infantili tipici di un arresto dello sviluppo piuttosto che di una
regressione (P. Blos, 1959). È utile, quindi, definire quali sono i traguardi
essenziali della latenza che costituiscono una precondizione per un progresso
riuscito verso l’adolescenza. Nel lavoro analitico con i preadolescenti daremo
particolare attenzione a quei deficit della latenza che preludono i conflitti
specifici dell’adolescente. Il periodo di latenza è stato, come sappiamo, negli
ultimi tempi oggetto di nuovi studi e di un recente convegno,2 che ci ha fatto
vedere come esso vada al di là delle definizioni classiche e come i processi che
lo animano non siano poi così tranquilli. La latenza (Bornstein, 1951) inizierebbe con la risoluzione parziale del complesso edipico che dovrebbe condurre, attraverso l’identificazione con gli oggetti edipici alla costituzione del
Super Io. Tutto il periodo è caratterizzato dalla funzione del Super Io, ma le
caratteristiche si modificano nel corso del tempo e se,in una prima fase, i
meccanismi di autoregolazione sono nuovi e poco affidabili, gli investimenti
più mobili e le difese in corso di elaborazione, nell’ultimo periodo le difese
contro le pulsioni divengono più affidabili e cominciano a fissarsi, il Super Io
diviene meno severo e l’Io più forte. Sappiamo che in latenza la pressione
delle pulsioni sessuali non diminuisce e che, quindi, le modificazioni che
sopravvengono si spiegano piuttosto con una modificazione della modalità di
scarica (Sarnoff, 1971). Attualmente osserviamo che i ragazzi si trovano a
dover fronteggiare situazioni che possono rendere più difficile lo svolgersi dei
processi necessari a traghettare dalla latenza all’adolescenza. Infatti, ci troviamo in un’epoca, nella quale i rituali scolastici e religiosi che accompagnavano significativamente, in passato, il passaggio d’età dalla latenza all’adolescenza hanno perso gran parte della loro importanza e nella quale i ragazzi
sono continuamente esposti alla sessualità degli adulti che, attraverso i
media, invade la vita sociale e familiare. Essi sono, quindi, minacciati nei
tempi a loro necessari per lo svolgersi delle trasformazioni psichiche preadolescenziali e si trovano a sentire insufficiente la loro capacità di rimozione
e, a volte, non possono fare a meno di ricorrere alla negazione per contenere
l’eccitazione, con il rischio difensivo dell’inibizione o dell’esibizione.
Nella preadolescenza i compiti evolutivi ruotano intorno alla padronanza psicologica delle trasformazioni fisiologiche che cominciano ad avvenire all’interno del corpo, dei cambiamenti della rappresentazione di sé e
delle modificazioni dei rapporti familiari e con i coetanei. L’Io si trova in uno
stato di forte tensione. Le pulsioni sessuali e aggressive si rafforzano con la
2
Nel giugno 2000 ha avuto luogo il Convegno Annuale del Corso di Psicoterapia Psicoanalitica del Bambino, dell’Adolescente e della Coppia dal titolo: “Latenza: stato psichico o processo? Percorsi trasformativi e considerazioni tecniche”. Molti dei lavori presentati sono pubblicati su: Richard e Piggle 9, 2, 2001. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore.
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maturità biologica, per cui le difese e le misure adattative della fase precedente possono rivelarsi inadeguate, derivandone, in tal modo, una nuova e
più intensa qualità pulsionale all’attività psichica. Quando la spinta pubertaria squalifica il dispositivo messo in atto nel periodo di latenza, si crea uno
squilibrio nell’economia narcisistica dei ragazzi. I rapidi e continui cambiamenti corporei richiedono una costante revisione dell’immagine corporea e
della rappresentazione di sé. Emergono conflitti narcisistici collegati alle
trasformazioni corporee, dal momento che le immagini ideali di sé possono
non corrispondere alla percezione dei cambiamenti corporei. Di conseguenza
le reazioni affettive al proprio corpo sono molto instabili e possono andare
dall’orgoglio e dall’euforia alla vergogna e al sentimento di inferiorità. La
frequente disarmonia che appare nei ragazzi di questa età, che mostrano
contemporaneamente aspetti ancora infantili insieme ad altri già adolescenziali, corrisponde internamente ad una situazione di particolare subbuglio nella quale gli assetti interni raggiunti nella latenza costituiscono
ancora i punti di forza e di sostegno, ma contemporaneamente cominciano
ad essere sentiti come inadeguati e impresentabili. Le trasformazioni biologiche e la maturazione fisica sono accompagnate, quindi, da un’intensificazione dei preesistenti conflitti. La maturazione fisica è il segno esteriore che
il ragazzo/a sta diventando come il genitore dello stesso sesso. I compiti relativi all’identità di genere emergono contemporaneamente al riemergere di
vecchie identificazioni e idealizzazioni ma il rafforzarsi delle identificazioni
con il genitore può, a volte, accentuare il conflitto interno e minacciare la
ripresa della dipendenza. Tutta una gamma di investimenti molto valorizzati, basati su scambi particolari con i genitori, con la scuola, con le attività
fantasmatiche, si sgretola, mentre il gioco deve essere rapidamente rimpiazzato dalle cose della realtà. Il vecchio sistema di vita perde valore, mentre le soluzioni dell’equilibrio adulto sembrano ancora inaccessibili (Denis,
2001). È un periodo di transizione caratterizzato da una diffusa inquietudine, regressione e instabilità dell’umore e del temperamento, nel corso del
quale gli affetti e il comportamento diventano più fluidi e imprevedibili. In
questa fase un notevole incremento della labilità affettiva e delle oscillazioni
dell’umore, accanto ad un atteggiamento facilmente imbronciato e sulle
difensive, è praticamente universale, a segnalare la tensione psichica che il
processo in corso comporta. Le forze progressive e regressive e le nuove esigenze biologiche e psicologiche producono, infatti, uno squilibrio intrapsichico. In preadolescenza, inoltre, non è ancora possibile individuare un
nuovo oggetto d’amore o una nuova meta istintuale: “i conflitti sono focalizzati prevalentemente su forze pulsionali regressive, bisogni regressivi nei
confronti dei genitori e difese da queste regressioni” (Tyson, 1995, pag. 408).
II. Torniamo ora ai romanzi. Harry Potter è, come dicevamo, un ragazzino di undici anni appena compiuti, che scopre di avere in sé strani poteri
(poteri magici) che all’inizio lo turbano, gli sono estranei e lo fanno sentire
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diverso ed estraneo a se stesso e al mondo circostante. Sono poteri difficili da
controllare e da gestire: inizialmente sono quasi loro a gestire lui, manifestandosi indipendentemente dalla sua volontà cosciente. Gli zii Babbani, che
ne sono terrorizzati, lo considerano anormale: essi sono descritti come persone
piuttosto insulse, conformiste e noiose, oltre che totalmente e irragionevolmente riversate sul loro figlioletto Dudley, che viene narcisisticamente visto
come il più bello del mondo ed è mantenuto in una situazione di onnipotenza
infantile, nella quale viene assecondato per ogni minimo desiderio o capriccio.
La famiglia Dursley sembra rappresentare un universo pregenitale, sessualmente indifferenziato nel quale non vi è traccia di alcuna pulsionalità
edipico-genitale: gli zii rappresentano aspetti genitoriali, che mantengono il
figlio vincolato ad un legame di dipendenza infantile negandogli ogni autonomia interna, sottraendolo e sottraendosi ad una dimensione edipica. In
loro il complesso edipico, piuttosto che essere stato messo in latenza, sembra
quasi non essersi instaurato. Scrive, a tal proposito, P. Denis: “Se il complesso edipico è formulato essenzialmente in termini pregenitali, è questa
formula edipica che verrà messa in latenza; se il complesso edipico non ha
superato una triangolazione di stampo edipico, nella quale i ruoli maschile
e femminile sono poco differenziati, è questa triangolazione che sarà soggiacente al funzionamento mentale successivo” (2001, pag. 68). Dudley, il grasso
e goffo figlio viziato e immaturo dei Dursley, legato a bisogni orali da un’ingordigia intrisa anche di elementi anali, puzze, rutti, può rappresentare quegli aspetti ancorati ad un universo pregenitale, dal quale il preadolescente
non vuole separarsi, mentre Harry esprime gli aspetti più pronti alla
pubertà che sentendo l’arrivo della nuova spinta pulsionale, ne sono attratti
e incuriositi, potendo poggiare su un narcisismo più solido e coesivo. Harry
trova Dudley insopportabile e desidera liberarsene appena possibile, anche
se sembra riuscire anche a sopportarlo più pazientemente, quando viene a
sapere che potrà partire per la scuola di magia di Hogwarts. Harry e Dudley
hanno vissuto insieme, ma il modo in cui vengono trattati nella famiglia Dursley è completamente diverso per i due ragazzi: Dudley, con il quale i genitori sembrano avere un’identificazione narcisistica è iperinvestito e avvolto
da attenzioni, mentre Harry, il figlio della sorella di zia Petunia è l’erede (la
sua ascendenza di maghi e streghe) di aspetti, sentiti come riprovevoli e di
cui vergognarsi, che vengono scissi. Viene a mala pena tollerato e dovrebbe
continuamente comportarsi “come se non ci fosse”. “Io starò in camera mia,
facendo come se non esistessi”, risponde, infatti, Harry allo zio Vernon preoccupato che i suoi ospiti possano scoprire che il ragazzo è figlio di maghi. La
convivenza dei due ragazzi fino a questo momento fa pensare alla coesistenza di aspetti pregenitali e genitali che hanno convissuto in un sufficiente
equilibrio fino a quando l’intensificarsi della pulsione sessuale con l’avvicinarsi della pubertà, dinamizza la loro dialettica in modo più conflittuale.
Scopriamo che in realtà alcuni avvenimenti strani si erano già verificati in
passato, ma Harry non ne era stato consapevole, non sapeva spiegare come
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avvenissero e quindi non avevano avuto per lui grande rilevanza e non lo
avevano fatto sentire diverso da Dudley, come, infatti, accade durante la
latenza quando l’eccitazione sessuale, pur essendo presente, viene vissuta
senza pudore e senza inibizione per via della rimozione della componente
edipica operante che la rende innocua. Ora, alle soglie della pubertà, quando
viene a sapere di essere un mago, Harry acquista via via maggiore forza e
comincia a beffarsi di Dudley, prendendone le distanze. Anche la relazione
con gli zii, Vernon e Petunia, cambia quando essi vedono svelati il segreto
dei poteri magici di Harry e la vera identità dei suoi genitori. È come avviene
nel passaggio dalla latenza all’adolescenza, quando quella sorta di equilibrio
che si era installato negli scambi tra genitori e figli nel quale la sessualità
era ridotta a tenerezza, si rompe. Lo sguardo reciproco tra genitori e ragazzi
cambia e, se i genitori modificano il loro comportamento per via della maturità sessuale dei figli, questi, per le stesse ragioni, mettono le distanze
(Denis, 2001). I genitori morti di Harry, che erano un mago e una strega e
avevano, cioè, poteri magici, rappresentano i genitori edipici: la pulsionalità
verso di loro è stata messa in latenza, è come morta e ora si appresta a riemergere insieme al loro ricordo. Nei maghi, in Harry per primo, si rappresenta l’emergere del rimosso sessuale che si raffigura appunto, come la
magia con i suoi poteri, le formule segrete, gli incantesimi, le singolari figure
che la accompagnano. Harry è vissuto nell’inconsapevolezza per tutti gli
anni precedenti e a lui sono rimasti nascosti, rimossi, i suoi poteri magici.
Percezione perturbante di mutamenti interni, senso di estraneità per i
cambiamenti corporei, difficoltà nella gestione dei propri affetti e spinte pulsionali: sono proprio questi i vissuti dei ragazzi alle soglie della pubertà. In
questo periodo della vita, le spinte pulsionali, più silenti in latenza, riaffiorano
con rinnovata energia, e ciò porta il ragazzo a viversi come portatore di qualcosa di diverso, perturbante, estraneo. Queste spinte non riescono ad essere
dominate ma spesso irrompono nell’azione e nel pensiero. Si sviluppano fantasie che hanno la loro origine in fantasmi inconsci di natura sessuale e aggressiva. Il ragazzo vive anche queste come perturbanti ed estranee, sono anch’esse
poco gestibili e frequentemente il preadolescente si sente in balia di esse.
Alcuni episodi sono centrati sull’utilizzo di magie puzzolenti, oppure i
ragazzi mangiano le caramelle Tuttigusti+1 che sono proprio di tutti i gusti,
come a voler evitare di confrontarsi con la mancanza: quelli semplici come
cioccolato, menta, ma anche fegato, trippa, sapore di toast, di erba fresca,
(qualcuno racconta di averne trovata una alle caccole oppure al gusto vomito).
Anche questo fa parte dell’universo preadolescenziale: si indugia sui piaceri
orali ed anali, mescolati in modo indifferenziato, trattandoli senza riprovazione. Caratteristicamente, dicono i Tyson (1995), la regressione del ragazzo
preadolescente è verso una pregenitalità piuttosto estesa che si esprime con
una recrudescenza di interessi, preoccupazioni e piaceri anali, uretrali e
orali. Harry, come tutti sanno, va a studiare alla scuola di magia di Hogwarts.
Essa sembra poter rappresentare il percorso di apprendimento necessario ad
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D. Lucarelli: Prima della tempesta? La prepubertà: problematiche psichiche e approccio clinico 31
acquisire la capacità di governare le nuove spinte pulsionali. La magia non
può essere, infatti, usata indiscriminatamente, soprattutto dagli studenti più
giovani: se non si impara a governarla, può essere pericolosa! Per partire per
Hogwarts è necessario recarsi alla stazione al binario nove e tre quarti, binario che non si vede, che sembra non esistere fino a quando si trova il coraggio
di non fermarsi e di camminare diritti in direzione della barriera tra i binari
nove e dieci senza paura di andare a sbatterci contro. Come se il percorso
verso la pubertà (tra i nove e i dieci anni? nove e tre quarti!) e la soggettivazione non potesse essere che inimmaginabile, imprevedibile, e non potesse
avvenire se non attraverso il riuscire a tollerare l’angoscia dell’impossibilità
a procedere, del non sapere dove si sta andando e con la fiducia interna che
il percorso si potrà compiere in virtù della presenza di internalizzazioni genitoriali sufficientemente costituite che possano permettere nuove identificazioni. Solo in tal caso, si potranno aprire nuove strade prima impensabili.
Nell’avventurarsi alla scoperta di Hogwarts, il castello in cui ha sede la
scuola di magia, Harry finisce presto in un’aula in disuso e appoggiato al
muro scopre un oggetto che stava lì come se qualcuno ce l’avesse messo per
toglierlo dalla circolazione, così come hanno operato i processi della latenza.
Su di esso un’iscrizione dice, con caratteri scritti specularmente al contrario: “Non rifletto il volto ma il cuore”. Lo specchio non riflette, infatti, l’immagine, ma il desiderio di chi vi si specchia. In quest’età si rientra in contatto con aspetti emotivi profondi, la realtà va in secondo piano rispetto al
riemergere di un’emozionalità che rimette in contatto con bisogni narcisistici primari, con la possibilità di introdurre ‘a posteriori’ quei cambiamenti
dell’organizzazione narcisistica e pulsionale funzionali al procedere del processo di soggettivazione. Il rispecchiamento del desiderio da parte dello specchio sembra un riferimento a quella funzione materna primaria di winnicottiana memoria che anticipa e permette un’integrazione del sé anche
attraverso la capacità di rêverie che permetterà, poi, al bambino di costituirsi come separato, altro da sé, grazie anche ad una funzione asimmetrica
(Algini, 2005) che introduce l’ordine paterno e simbolico. Come in un gioco
di specchi l’essere rispecchiato si trasforma, in questa fase, nel potersi identificare: così la presenza di un narcisismo sufficientemente coeso può favorire il processo di identificazione Così Harry vede apparire nello specchio,
con molta emozione, i suoi genitori che non ricordava più: la madre “era una
donna molto carina. Aveva i capelli rosso scuro e gli occhi... sì, i suoi occhi
sono proprio come i miei, pensò Harry, facendosi un po’ più accosto allo specchio. Occhi verde chiaro... esattamente la stessa forma. Poi però vide che
stava piangendo: sorrideva e piangeva al tempo stesso. L’uomo, magro e con
i capelli scuri che le era accanto la cinse con un braccio. Aveva una chioma
ribelle, di quelle che non stanno mai a posto. Proprio come quella di Harry”
(Rowling,1999). L’emozione derivante dall’immagine affettivamente e femminilmente attraente della mamma, viene subito contenuta dal gesto accogliente del padre che riconferma la coppia a tutela dei riemergenti desideri
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edipici. Harry si riconosce nei tratti di entrambi e può portare avanti quel
processo di identificazione che gli è necessario per una costruzione di sé.
Cahn (1998) ci ricorda che il soggetto nasce a partire dalla perdita dell’oggetto. Il succedersi dei processi di identificazione permetterà, poi, all’Io
di autorappresentarsi come polo stabile d’investimenti. Questi ultimi a loro
volta comporranno gradualmente il suo spazio, il suo capitale e il suo modo
di entrare in relazione, fino a giungere a quel compromesso identificatorio
proprio dell’adolescenza (Aulagnier, 1986) tra ciò che non deve cambiare e
ciò che deve restare modificabile (Cahn, ivi).
Tra le lezioni che si tengono a Hogwarts, i cui temi caratterizzano l’universo preadolescenziale, vi è quella di “pozioni”, tra le quali quella per far
sparire i foruncoli, ma anche la lezione di “trasfigurazione” che “è una delle
materie più complesse e pericolose” come dice la sua insegnante, professoressa Mc Granitt. Quello di una trasfigurazione può essere il vissuto dei preadolescenti di fronte all’emergere delle trasformazioni corporee che fanno sentire il corpo come qualcosa di estraneo che non si domina più e che mette
violentemente in crisi il loro narcisismo, anche per la significativa disarmonia che l’aspetto fisico può acquisire in questo periodo. Cambiamenti sentiti,
quindi, come pericolosi, con i quali è necessario imparare a convivere: essi
possono suscitare sentimenti perturbanti, che accompagnano quello che
diverrà un vero cambiamento di identità. A Hogwarts Harry incontra due
figure importanti e di riferimento: una è Hagrid, il custode delle chiavi di
Hogwarts, che viene descritto come un uomo gigantesco, dall’aspetto selvaggio, ma estremamente accogliente. Era stato proprio Hagrid a depositare
Harry, bambino, davanti alla porta dei Dursley, dopo la morte dei genitori e
sarà lui ad andare a prenderlo per portarlo a Hogwarts e a rivelargli la sua
natura di mago, nonché a fargli scoprire poco a poco le manifestazioni della
sua magia che si erano verificate nel passato e di cui Harry non era stato,
all’epoca, consapevole. Hagrid svolge il compito, potremmo quasi dire terapeutico, di accompagnare Harry nel processo del progressivo venir meno delle
difese della latenza, aiutandolo a prendere contatto con la sua nuova pulsionalità. Hagrid rappresenta una funzione genitoriale con caratteristiche istintuali che non hanno una valenza aggressiva o eccitante, ma sono associate
alla tenerezza ed alla protezione (le sue grandi dimensioni corporee stanno a
indicare, per spostamento, come nei sogni, l’entità del bisogno ma anche l’importanza del corpo), la cui esistenza aiuta a traghettare nella latenza e, poi,
nuovamente, verso l’adolescenza in quei successivi processi separativi differenzianti necessari allo svolgersi del processo evolutivo. Hagrid rimarrà sempre una figura protettiva, alla quale Harry ricorrerà e da cui si andrà a rifugiare quando si sentirà in difficoltà, sicuro della sua accoglienza.
L’altra figura è il preside, Albus Silente, che incarna, invece, le qualità
della saggezza e della giustizia. Potremmo dire che Silente rappresenta per
Harry una nuova figura da ammirare, le cui richieste e i cui criteri normativi gli permettono di arricchire i propri concetti di moralità in un processo
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D. Lucarelli: Prima della tempesta? La prepubertà: problematiche psichiche e approccio clinico 33
di “depersonificazione superegoica” (Tyson, 1995, pag. 411). All’inizio del suo
viaggio verso la scuola di magia, Harry passa con Hagrid, alla Gringott, la
banca dei maghi, dove scopre di possedere un tesoro, una montagna di
monete d’oro, cumuli d’argento, mucchi di ‘zellini’ di bronzo e dove va a recuperare, nascosto in un fagotto tutto sporco, avvolto in carta da pacchi, un
oggetto misterioso che scoprirà, poi, essere la pietra filosofale. La prima
avventura di Harry si incentra, infatti, nella ricerca della pietra filosofale,
che contiene l’Elisir di Lunga Vita, che dà tutti i soldi e tutta la vita che uno
può volere. Uno stregone molto potente e malvagio, Voldemort (il Lato
Oscuro), se ne vuole impossessare. Harry e i suoi amici si impegnano in una
pericolosa avventura per cercare di metterla in salvo. L’avventura si presta
bene a rappresentare come le nuove capacità fisiche e la pulsionalità riemergente possano essere sentite pericolose e come sia molto presente il
rischio del concomitante riemergere di un pericoloso aspetto regressivo, onnipotente, megalomanico, oscuro, improntato al narcisismo primario, rappresentato da Voldemort e dal suo desiderio di impossessamento della pietra, e
come sia necessario porre le nuove emergenti potenzialità in mano a forze
più sane e funzionali quali il costituendo ideale dell’Io. La pietra filosofale,
alla fine, dovrà andare distrutta, perché questa “è la cosa migliore”, anche se
ciò farà sì che la coppia costituita dal mago Flamel e dalla moglie Peronella
(i genitori ideali dell’infanzia) debbano morire. “Per uno giovane come te –
dice il saggio preside Albus Silente a Harry – tutto questo sembrerà incredibile, ma per Nicolas e Peronella è proprio come andare a dormire dopo una
giornata molto, molto lunga”. Harry sta così imparando che “per una mente
ben organizzata, la morte non è che una nuova, grande avventura”. La
distruzione della pietra filosofale rappresenta anche l’accettazione della perdita e della castrazione che permette il sorgere di una conoscenza nuova che
autorizza “a sapere in altro modo” (Gutton, ivi). D’altronde – dicono i Tyson
(1995, pag. 370) – “poiché l’angoscia di castrazione rappresenta un problema
evolutivo così dominante, che emerge in diversi momenti del processo di sviluppo, dovrebbe considerarsi una metafora evolutiva”. Quanto a Voldemort,
anche sconfitto, non se ne va per sempre. È ancora là fuori, da qualche parte,
forse in cerca di qualche altro corpo da abitare... Visto che egli non è veramente vivo, è impossibile ucciderlo: infatti è un fantasma che può sempre
ripresentarsi e sarà necessario tutto il processo adolescenziale per costituire
delle garanzie interne sufficientemente stabili e forti per contrastarlo. Per
riuscire meglio nella sua impresa, Harry riceve in dono un mantello, che era
stato di suo padre, che rende invisibili, di scintillante tessuto argenteo, come
fosse tessuto con l’acqua. Quando lo indossa “l’immagine che gli rimanda lo
specchio era fatta soltanto di una testa sospesa a mezz’aria sopra un corpo
completamente invisibile”. Non è forse questo il desiderio di ogni ragazzino
o ragazzina in più di un’occasione quando l’immagine che proviene da un
corpo che comincia ad essere sentito come estraneo fa sentire in imbarazzo e
fuori luogo? È come se Harry potesse fare ricorso a una funzione protettiva,
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che gli permette di regolare la presenza del corpo e dell’eccitazione che proviene da esso potendone ‘coprire’, ‘velare’ se necessario, l’emergere.
Le angosce e gli strumenti psichici a protezione da esse, presenti nella
preadolescenza, vengono descritte nei romanzi con l’invenzione di varie
figure che metaforicamente le rappresentano. Tra le più interessanti, i Dissennatori di Azkaban, la cui presenza putrefatta emana un freddo mortifero,
irrigidente che si insinua nel cuore e nelle viscere e il cui effetto è di far sentire “come se non si potesse più essere felici, come se ghiacciassero dentro”.
La loro arma segreta è ‘il bacio del Dissennatore’, arma che usano quando
vogliono distruggere completamente qualcuno. “Immagina che ci siano delle
fauci là sotto, perché le stringono sulla bocca della vittima e..le succhiano
l’anima” … “ma è molto peggio che uccidere, perché puoi esistere anche
senza l’anima, purché il cuore e il cervello funzionino ancora. Ma non avrai
più nessuna idea di te stesso, nessun ricordo... nulla. Non è possibile guarire. Esisti e basta. Come un guscio vuoto”. La descrizione dei Dissennatori
sembra proporre una rappresentazione del pericolo di morte psichica che
minaccia il preadolescente. Ma di quale morte si tratta? P.C. Racamier
(1992) descriveva l’adolescenza come la traversata dello Stige, come il
costeggiare il fiume dei morti. Lo Stige, il cui flutto si impone ad ogni adolescente, sembra essere soprattutto il torrente della sessualità che si deve
affrontare e attraversare senza sapere cosa si sarà divenuti dopo il suo passaggio. Il rischio è quello di affondare psichicamente nei suoi flutti. La paura
è quella della morte psichica, della depersonalizzazione. La morte diviene
figurazione di un controllo assoluto riguardo al pericolo interno e respinge
l’irruzione della sessualità emergente, sentita come disorganizzante fino a
quando non avrà trovato le sue vie di deflusso. Una dimensione sessuale dai
contenuti incestuosi insopportabili è tenuta a bada dal contro-investimento
dell’immagine della morte (Denis, 2001). La sessualità che si comincia ad
affacciare con una forza nuova, gli iniziali cambiamenti corporei, fanno sì
che il ragazzo preadolescente non si riconosca più, che appaiano sentimenti
perturbanti che possono giungere, in alcuni casi, anche ad un vissuto di
depersonalizzazione. Esiste, tuttavia, un modo di difendersi dai Dissennatori: bisogna evocare il Patronus. Il Patronus è, infatti, una presenza protettiva che non si può far apparire quando si ha ancora il desiderio, come
accade a Harry, di riascoltare le voci dei genitori. Per farlo apparire bisogna
accettare che “essi sono morti e che ascoltare i loro echi non li riporterà indietro”. Infatti, finché Harry nutre un segreto desiderio di risentire le voci dei
genitori, il Patronus rimane troppo debole per scacciare i Dissennatori, aleggia solo come una nube semitrasparente. Tuttavia, come dice il professor
Lupin, che manifesta una grande capacità di accoglienza e comprensione,
riconoscendo il bisogno di Harry di sentirsi sostenuto in un delicato
momento di vacillamento del suo narcisismo: “per un mago di dodici anni
anche un Patronus confuso è un gran risultato”. I Dissennatori rappresentano anche la minaccia della potenza delle spinte regressive di stampo orale
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D. Lucarelli: Prima della tempesta? La prepubertà: problematiche psichiche e approccio clinico 35
(il bacio) che rischiano di annientare l’emergere della soggettività. Per
opporsi a queste spinte, è necessario costituire internamente nuove identificazioni che possono instaurarsi a patto che si possa fare un percorso separativo e di simbolizzazione. “Credevo che fosse stato mio padre a far apparire il mio Patronus – dice Harry – voglio dire, quando mi sono visto
dall’altra parte del lago... ho pensato che fosse lui quello che vedevo”. “Un
errore comprensibile – gli dice Silente – credo che tu sia stufo di sentirtelo
dire, ma somigli a tuo padre in maniera straordinaria”. “È stato stupido pensare che fosse lui, voglio dire, lo sapevo che è morto” – risponde Harry, “Credi
che le persone scomparse che abbiamo amato ci lascino mai del tutto? –
aggiunge Silente – “Non credi che le ricordiamo più chiaramente che mai nei
momenti di grande difficoltà? Tuo padre è vivo in te, Harry, e si mostra
soprattutto quando ne hai bisogno. Altrimenti come avresti fatto a evocare
proprio quel Patronus?” L’emozionante dialogo ben esprime la risoluzione
del complesso edipico dove gli investimenti sui genitori sono abbandonati e
sostituiti con identificazioni e dove: “l’identificazione è l’operazione con cui
si costituisce il soggetto” (Laplanche, Pontalis 1967, pag. 215).
Altre figure particolarmente significative sono i Mollicci, dei
‘Mutaforma’. Nessuno sa che aspetto hanno i Mollicci quando sono soli, ma
quando escono fuori diventano immediatamente ciò che ritengono ci spaventi
di più. Ciò che sconfigge un Molliccio sono le risate, accompagnate dal proferire la formula Riddikulus: lo si costringe, così, ad assumere la forma di ciò
che si trova divertente. Così Neville, l’amico di Harry, che teme più di tutto
il professor Piton, lo vede dapprima apparire arcigno, minaccioso e con gli
occhi lampeggianti e dopo aver pronunciato la parola Riddikulus e aver
immaginato i buffi vestiti della nonna, riesce a farlo apparire con un lungo
abito orlato di pizzo, con in testa un alto cappello con sopra un avvoltoio mangiato dalle tarme, mentre agita una grossa borsa scarlatta. Sembra proprio
di essere di fronte alla descrizione di quel sistema preadolescenziale teso ad
assicurare l’equilibrio economico, descritto, tra gli altri, da P. Denis (2001).
Il funzionamento “da stupido” (l’età della stupidità in opposizione all’età
della ragione, come viene a volte definita la latenza per il prevalere di un funzionamento basato sull’organizzazione dell’Io, sulla rimozione della pulsionalità sessuale e sulla costituzione del Super Io) che, infatti, appare come
una sorta di rifugio d’emergenza quando le possibilità per trattare le emozioni sono momentaneamente o più stabilmente sopraffatte. Le condizioni
che favoriscono l’emergere del funzionamento “da stupido” sono quelle che
favoriscono una certa disorganizzazione: cioè tutte le circostanze che possono
avere un valore traumatico, come avviene nel caso dei Mollicci per Harry
Potter. Le ‘cose stupide’ tendono all’inibizione della corrente pulsionale, al
suo disconoscimento e rappresentano un livello elementare di elaborazione
psichica. L’eccitazione pulsionale è allo stesso tempo nascosta e mantenuta;
viene colto un piacere nella sua espressione, è in gioco un livello minimo di
rimozione. Si tratta, quindi, del ricorso, di fronte ad un pericolo emotivo, di
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36 D. Lucarelli: Prima della tempesta? La prepubertà: problematiche psichiche e approccio clinico
un mezzo per trattare l’eccitazione, di una ‘stupidità’ affettiva. Il dominio
stabilitosi nel periodo di latenza sulle pulsioni è, infatti, andato perso e si
cerca di ristabilirlo attraverso procedimenti giocosi già utilizzati nel corso di
quel periodo considerato beato. L’età delle scemenze esprime una nostalgia
della latenza che si manifesta in una sorta di caricatura del funzionamento
di quest’epoca ormai perduta e il riaffacciarsi del rimosso anteriore alla
latenza. Così i ragazzi di Hogwarts, di fronte all’emergere di rappresentazioni inquietanti, ricorrono al Riddikulus, depotenziandone la pericolosità.
III. Desidererei, a questo punto, facendo riferimento a quanto fin qui
detto e messo in luce anche attraverso l’utilizzazione delle metafore narrative di J. Rowling, mettere in evidenza molto brevemente alcuni punti che
possano essere di aiuto nell’approccio clinico in questa fascia di età.
Sono consapevole dei rischi sempre insiti nell’utilizzazione di criteri
generali, in particolare in questo ambito, in quanto i preadolescenti si caratterizzano proprio per la difficoltà che si incontra nel cercare di delinearne le
peculiarità, essendo particolarmente ampie le variabili tra i singoli soggetti,
in relazione alle multiformi sfaccettature del livello evolutivo, sia fisico che
psichico, raggiunto. Mi sembra, tuttavia, che possa essere utile tentare di delineare alcune caratteristiche che servano ad orientarci nell’esperienza clinica.
A partire da una valutazione complessiva del livello del processo evolutivo raggiunto – in quale misura e in quali aspetti esso sia, più o meno, adeguato alla fase – il criterio del sostegno allo sviluppo può essere senza dubbio importante (come sempre, peraltro, in età evolutiva) riferendolo agli
specifici bisogni dell’età, in relazione anche all’avvenuto raggiungimento o
meno delle necessarie tappe evolutive precedenti. Abbiamo già visto l’importanza dell’avvenuto svolgimento dei compiti evolutivi della latenza: un
ampliamento delle acquisizioni cognitive, una strutturazione del Super io,
un’integrazione dell’Io, un consolidamento dell’identità di genere e una riorganizzazione delle difese. Nella prepubertà i ragazzi, potendo fare più o
meno affidamento su tali acquisizioni, fanno ricorso a nuove difese, prime
fra tutte la regressione in relazione all’aumentata intensità pulsionale: questa nuova necessità rimette in primo piano anche le problematiche narcisistiche con i relativi assetti stabiliti nelle prime fasi. Con il progressivo riemergere dei desideri preedipici ed edipici, poi, i conflitti possono iniziare ad
assumere un aspetto particolarmente minaccioso. Questa situazione
interna, che occupa i preadolescenti, può essere portata nelle sedute con
modalità molto varie. Nelle psicoterapie in questa fascia di età si possono,
infatti, porre particolari problemi di tecnica in quanto possono essere
ancora presenti sia il gioco che il disegno, come può anche esservi un atteggiamento più ‘da grande’ nel quale prevale il raccontare, l’ascoltare la
musica, a volte anche lo sdraiarsi sul divano ‘come dallo psicoanalista’. È
molto significativo ed anche teneramente emozionante assistere, nel corso
della terapia, alle trasformazioni, a volte anche molto rapide, dell’uso del
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D. Lucarelli: Prima della tempesta? La prepubertà: problematiche psichiche e approccio clinico 37
setting ed ai relativi cambiamenti nella relazione con il terapeuta ai quali
corrispondono trasformazioni nell’assetto interno del paziente. Spesso, nel
corso delle sedute, a un certo punto comincia a cambiare lo stile della comunicazione: il gioco, il disegno, l’attività perdono forza e lo scambio verbale
diviene sempre più importante. In queste situazioni, suggerisce A. Ferro
(1998, pag. 53): “quanto più l’analista conosce lingue e linguaggi differenti,
tanto più è favorito”, ponendo l’accento sull’importanza di riuscire a condividere il livello comunicativo-emotivo proposto dal paziente.
Anche se ci dovremo sempre interrogare su quali siano gli specifici bisogni espressi dal paziente in quel particolare momento, vi sono, tuttavia,
come dicevamo, problematiche e bisogni maggiormente ricorrenti in questa
fase, quale spesso il bisogno di riuscire a contenere l’eccitazione, per l’intensificarsi della pulsione sessuale, in relazione ad un apparato psichico non
ancora adeguatamente in grado di farvi fronte e al venir meno delle difese
della latenza oppure al premere di bisogni regressivi con il riemergere di
aspetti anali, uretrali e orali. Funzioni del terapeuta potranno essere quella
di contenitore e di schermo antistimolo, paraeccitatorio, quella di sostenere
le capacità dell’Io, di favorire l’emergere di una parola maggiormente capace
di permettere scambi e meno a rischio di trasmettere stimoli suscettibili di
minacciare l’integrità. Ci si potrà trovare, talvolta, a essere invasi e coinvolti
in uno stato di eccitazione confuso che ci sembrerà difficile contenere senza
essere respingenti, così come ci si potrà trovare coinvolti in giochi apparentemente ‘stupidi’ e infantili, ma anche dall’inequivocabile, per quanto celato,
contenuto sessuale. Oppure si dovrà assistere, con grande interesse e partecipazione, a esibizioni di abilità in giochi ritmicamente ripetitivi dal nemmeno troppo occultato contenuto masturbatorio. A volte ci si troverà ad
interrogarsi sul senso del proprio lavoro con scoraggiamento e difficoltà. Può
essere che, in tali frangenti più che la parola abbia importanza proprio la
funzione integrante di una partecipazione ‘osservante’. Lo sguardo attento e
partecipe del terapeuta diviene, infatti, come dice C. Busato (1994, pag. 148),
“integratore di una situazione in cui è difficile guardarsi quando ancora non
si è, perché il pensiero viene sminuzzato nelle cose che si fanno e ancora non
distanzia. Lo sguardo in questo senso mi appare come un integratore non
intrusivo che non immediatamente vuole risposte o risultati, ma guarda,
osserva, aspetta e ammira. In questo sguardo viene rappresentata la necessità della nascita di uno spazio o di una funzione autoosservante, a volte
tenuta in vita dall’analista stesso fino a quando si iniziano a tessere storie”.
Naturalmente tutto questo porta in gioco la persona dell’analista, la sua
disponibilità emotiva interna a potersi confrontare con il tipo di problematiche che i pazienti di questa età propongono, che non si possono aiutare se
non si possono condividere. Il fatto che ci si trovi in un’età incerta non vuol
dire che le angosce non vi siano e siano anzi, talvolta, anche molto intense.
Esse per lo più non vengono raccontate ma rappresentate con il muoversi
nella seduta che ci informa sul loro livello e sullo stato mentale presente. La
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tempesta piuttosto che dover arrivare, sembra essere già in atto. Il problema
resta quello di ogni analisi: che ciò che il paziente (in questo caso il suo prepubertario) ci comunica possa essere ricevuto, accolto e trasformato dall’analista (e da quegli aspetti del suo funzionamento che rimandano al suo prepubertario) che, in tal modo, offre il proprio funzionamento a sostegno di
quello ancora immaturo o ostacolato del paziente. Si tratterebbe, quindi, di
lavorare su questo ‘campo’ comune e sulle eventuali macchie cieche che vi si
possono incontrare e, piuttosto che preoccuparsi del lavoro interpretativo
dei contenuti, potrà essere, talvolta, importante verbalizzare gli affetti in
gioco. Il transfert sarà presente, ma piuttosto che essere interpretato potrà
essere utilizzato per una migliore comprensione del paziente.
A tale riguardo, ricordo un divertente ed eloquente episodio raccontato
da A. Ferro (1998, pag. 59), relativo a un paziente a cui aveva fatto un’interpretazione di transfert molto satura: “Ho visto in televisione degli esperti
– gli disse il paziente – che tagliavano un uovo a fette per vedere come era
fatto dentro: peccato, così hanno impedito al pulcino di nascere!”. Talvolta i
preadolescenti hanno bisogno, piuttosto che di essere guardati troppo
approfonditamente, di essere aiutati a rimanere, finché necessario, un po’ al
riparo da tutti i cambiamenti che hanno cominciato ad avvenire in loro, un
po’ come con un mantello magico come quello di Harry Potter, fino a quando
“il corpo non possa imporsi alla loro mente” (Busato, ivi, pag. 147).
Permettetemi di concludere con una notizia curiosa: qualche tempo fa i
giornali hanno annunciato che i ricercatori dell’Università di Pittsburgh
hanno scoperto il gene che dà il via ai cambiamenti ormonali che introducono i bambini nell’adolescenza e lo hanno chiamato: “Kiss 1”. Noi abbiamo
qui cercato di percorrere i processi psichici che precedono e accompagnano
l’accensione di questo interruttore molecolare e abbiamo potuto vedere come
essi siano in realtà molto complessi. Ho tentato, con l’aiuto di Harry Potter,
di tratteggiare alcune caratteristiche specifiche di quest’età tutt’altro che
definita, ma carica di tensioni, che separa e unisce la latenza e l’adolescenza,
attraversando la quale si dovrebbe poter arrivare, infine, al ‘primo bacio’,
dopo essere stati in grado naturalmente di evitare, ove necessario con il
nostro aiuto, quello dei Dissennatori!
Riassunto
L’autrice propone una lettura dei primi tre romanzi di Harry Potter di J.K. Rowling come una ricca metafora delle fantasie delle angosce e dei desideri che animano
la preadolescenza. Questa fase dello sviluppo, che non ha un suo ambito definito e
che si colloca tra la pubertà e l’adolescenza, è caratterizzata dalla diffusa inquietudine connessa all’aggiustamento psichico che accompagna le prime trasformazioni
puberali. Il mondo di Harry Potter e dei suoi compagni ben rappresenta le complesse
sfaccettature psicologiche ed evolutive del periodo cronologico che comprende gli
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D. Lucarelli: Prima della tempesta? La prepubertà: problematiche psichiche e approccio clinico 39
anni che precedono la pubertà. Concludono l’articolo alcune considerazioni sull’approccio clinico con i ragazzi in questa fase che pone specifici problemi di tecnica.
Parole chiave: prepubertario, complesso edipico, latenza, zone erogene, identificazione.
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Daniela Lucarelli, Psicoanalista, Membro Ordinario SPI-IPA esperta b/a, Docente del Corso
ASNE-SIPsIA, Socio fondatore SIPsIA.
Indirizzo per la corrispondenza/Address for correspondence:
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Richard e Piggle, 16, 1, 2008