Il Go come arte della tradizione

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Il Go come arte della tradizione
Il Go come arte della tradizione
Il Go non è un gioco ma un'arte, nel senso antico e tradizionale del termine. In quanto arte
possiede infatti le qualità proprie del rito iniziatico, dell'accostamento al sacro. Non è certo un caso
se ad esempio il centro del goban (il tavoliere) viene indicato in giapponese con il termine tengen
che significa letteralmente “centro del cielo”. Questo simbolismo cosmologico nel Go è già un
indizio abbastanza evidente del suo carattere rituale simbolico. Carattere che era tipico dei giochi
nell'antichità, quando non esisteva l'idea di gioco fine a sé stesso, e come le arti e i mestieri1 anche i
giochi avevano uno scopo sacrale, iniziatico e educativo. Non stupisce quindi il fatto che il Go
venisse affiancato alla poesia, alla musica e alla pittura come arte, e ancor più alle arti marziali
come un Do, come “una Via per il miglioramento e la crescita dell’essere umano”2.
Un occidentale che si accinga ad apprendere quest'arte può essere attratto inizialmente dal suo
carattere esteriore, cioè dall'aspetto logico matematico, ed è forse questa la ragione per cui molti dei
praticanti occidentali provengono da una formazione scientifica o svolgono lavori tecnici. Ma c'è
anche un ulteriore aspetto, meno evidente, che potrebbe spiegare meglio questa correlazione. Si
tratta della natura profonda di questa arte, che si rivela solo gradualmente, dopo un periodo di
pratica più o meno lungo, in tutta la sua evidenza. Infatti il Go, pur basandosi esteriormente su
fondamenta di tipo logico matematico (le regole3), esige lo sviluppo da parte del praticante di una
serie di facoltà quali l'intuizione e la sensibilità estetica, tipiche proprio delle arti.
Chiunque pratichi il Go per un periodo sufficiente ad acquisirne le tecniche di base, si può
accorgere infatti abbastanza facilmente che il puro calcolo non può in alcun modo bastare per il
conseguimento di un risultato soddisfacente. A riprova di ciò si hanno anche gli scarsi risultati
raggiunti dagli elaboratori elettronici, la cui abilità non riesce a superare quella di un mediocre
dilettante, ad onta della potenza di calcolo impiegata.4
Un matematico sa che dimostrare un teorema è un'arte, che solo al prezzo di una lunga
iniziazione e di una paziente coltivazione di un talento naturale, si possono conseguire dei risultati
di rilievo nella sua disciplina. Parimenti un esperto programmatore informatico sa che trovare gli
errori di programmazione è un'arte, e basandosi sui lavori di Gödel5 e Turing6 è stato dimostrato che
gli elaboratori non possono neanche teoricamente svolgere tale attività al posto di un essere umano7.
Come ulteriore conferma sul piano empirico, si ha che nel campo dell'ingegneria del software,
alcune ricerche finalizzate a migliorare la produzione del codice hanno finito per avvalorare
l'opinione che "la creazione di software autenticamente nuovo ha molto più in comune con lo
sviluppo di una nuova teoria fisica che con la produzione di automobili o orologi in una catena di
1 René Guénon, “Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi” (2001). In particolare alcune delle idee qui espresse
trovano riferimento nel capitolo ottavo intitolato “Mestieri antichi e industria moderna”.
2 Da un'intervista di Luciano Ghelli a Saijo-sensei. [http://www.judo-educazione.it/go/europeigo.html]
3 Per una introduzione si consulti il sito della Federazioni Italiana Giuoco Go. [http://www.figg.org/cos_e_il_go.html]
4 David Mechner, “All Systems Go” (1998),The Sciences, 38:1.
[http://www.cns.nyu.edu/~mechner/compgo/sciences/]
5 Kurt Gödel, “On formally undecidable propositions of Principia mathematica and related systems I" (1931),
Monatshefte für Mathematik und Physik 38, pag. 173. [http://home.ddc.net/ygg/etext/godel/godel3.htm]
6 Alan Mathison Turing , "On computable numbers, with an application to the Entscheidungsproblem" (1937),
Proceedings London Mathematical Society 42, pag. 230. [http://www.turingarchive.org/browse.php/B/12]
7 Per una versione divulgativa, molto semplificata e intuitiva, di tale deduzione si può consultare di Mariella Berra e
Angelo Raffaele Meo “Informatica Solidale” (2001), pag. 126.
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montaggio”8.
L'estetica è particolarmente importante nella formazione di chi si dedica con successo a
discipline come la matematica, alle arti o a mestieri quali la programmazione dei calcolatori, e
spesso i più validi esponenti ne sono perfettamente consapevoli. Eric Raymond, programmatore di
talento e teorico del software libero, ha scritto: “i brutti programmi sono come i brutti ponti sospesi:
sono molto più inclini a crollare rispetto a quelli belli, poiché il modo in cui gli esseri umani (e
specialmente gli ingegneri-umani) percepiscono la bellezza, è intimamente correlato alla nostra
abilità di elaborare e comprendere la complessità. Un linguaggio [di programmazione] che renda
difficile scrivere codice in modo elegante, rende difficile scrivere del buon codice”9.
Questa intima consapevolezza spesso spinge, forse anche inconsapevolmente, il praticante
occidentale che proviene da una formazione tecnica o scientifica, a cimentarsi nel Go più per
mettere alla prova il proprio talento estetico e intuitivo, che non semplicemente la sua capacità di
calcolo logico deduttivo. Quanto più infatti nella società moderna tali qualità umane sono frustrate,
tanto più gli individui cercano strenuamente l'opportunità di esprimerle. Ma chi padroneggia per
mestiere o per passione le tecniche logico deduttive, ne conosce per istinto ed esperienza anche i più
profondi limiti. Gli altri si tengono volentieri lontani dal Go come da un ennesimo rompicapo
inutile e tedioso.
In un certo senso ciò che attrae alcuni occidentali è proprio la velata irriducibilità del Go a puro
calcolo. In un mondo moderno dominato dallo scientismo, dove la ricerca della neutralità spinge a
“disinfettare ogni linguaggio del suo valore simbolico, trasformandolo da tessuto di metafore in
gergo meramente indicativo prima, e poi in sequenze di equazioni matematiche”10 (al servizio
dell'industria), questa irriducibilità del Go lo fa risplendere di una luce antica, calda e lontana.
L'apprendimento del Go, come della matematica e della musica, ha molto in comune con
l'apprendimento delle lingue: tranne rare eccezioni si impara bene e si raggiungono ottimi risultati
solo se si inizia da bambini o almeno da adolescenti. Forse ciò è spiegato dalla necessità di
assimilare tutto “l'alfabeto di base” fatto di astrazioni logiche in matematica, di suoni e ritmo nella
musica, di forme nel Go, di fonemi e radici semantiche nelle lingue. Un insieme di forme
fondamentali da padroneggiare attraverso un lungo esercizio combinatorio, solo al termine del quale
è possibile giungere a quella maestria che consente di attingere le forme direttamente alla fonte
dell'essere, per intuizione intellettuale.
Attraverso la pratica del Go si acquisisce inoltre, con non poca fatica, la capacità di concentrarsi
profondamente: una capacità propedeutica alla meditazione. Si acquisiscono analogamente molte
antiche verità sorprendenti, appannaggio delle arti tradizionali, come il fatto che “il combattimento
è un modo di unirsi all'avversario, di adattarsi a lui”, o che nella lotta, come altrove, “nulla si può
raggiungere se non attraverso il suo contrario”11.
8 "The creation of genuinely new software has far more in common with developing a new theory of physics than it
does with producing cars or watches on an assembly line". Terry Bollinger, “The Interplay of Art and Science in
Software”, IEEE Computer, Oct. 1997, pp. 128, 125-126.
[http://www.loai-naamani.com/Academics/Concepts/Bollinger, The Interplay of Art and Science.pdf].
Per un approfondimento su questo argomento si veda anche l'articolo di John Peter Lewis, “ Large Limits to
Software Estimation” [http://www.idiom.com/~zilla/Work/Softestim/softestim.html]
9 “Ugly programs are like ugly suspension bridges: they're much more liable to collapse than pretty ones, because the
way humans (especially engineer-humans) perceive beauty is intimately related to our ability to process and
understand complexity. A language that makes it hard to write elegant code makes it hard to write good code. ”. Eric
Steven Raymond, “Why Python?”(2000), Linux Journal n. 73. [http://www.linuxjournal.com/article.php?sid=3882]
10 Elémire Zolla, “Che cos'è la tradizione” (1998), pag. 63.
11 Ibidem pag. 344.
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Ma di tutti gli insegnamenti forse il più sottile e prezioso è che non puoi vincere l'avversario se
non apprendi a dominare anzitutto le tue passioni e i tuoi demoni. Tale situazione è rappresentata
con la naturalezza del gusto giapponese in una immagine12 raffigurante due samurai alle prese con
dei goblins, dei demoni, durante una partita di Go. I veri nemici sono la paura, l'ira, l'avarizia, la
crudeltà, il risentimento, l'invidia: tutti i moti dell'animo più nefasti, contro cui può essere d'aiuto
solo “l'arte di riconoscere gli spiriti”, l'abitudine a sorvegliare i pensieri, poiché “soltanto gli inizi
dei sentimenti sono in nostro potere”13.
Il cammino verso la perfezione richiede dunque, nel Go come in ogni arte iniziatica,
l'acquisizione di uno stato di purezza interiore, di quiete spirituale. “Nello stato primordiale, per
l'uomo conta la quiete interiore non deturpata da passioni personali o collettive, da immagini
arbitrarie o da futilità, poiché per esperienza egli sa che ripulendo l'anima fino a renderla
specchiante si acquista preveggenza, giustizia (quale arte di assegnare a ogni cosa il suo luogo
naturale), indifferenza regale”14.
12 “Goblins Should Not Kibitz When Samurai Play”. [http://www.pandanet.co.jp/English/art/samurai.html]
13 Elémire Zolla, op. cit., pag. 251. Non stupisce che uno degli interessi più profondi di Kurt Gödel, a detta della
moglie, fosse la demonologia. Cfr. Piergiorgio Odifreddi, “Il diavolo in cattedra” (2003), pag. 47.
14 Elémire Zolla, op. cit., pag. 184.
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