II Documenti ed approfondimenti

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II Documenti ed approfondimenti
rete dei
Sistemi Locali di
Sviluppo Territoriale
della Campania
PROGRAMMA
OPERATIVO
INTEGRATO
CAMPANIA – BASILICATA
IN SERBIA
Progetto 4
Costruzione di reti relazionali per lo sviluppo integrato territoriale
in aree ad economia prevalentemente agricola e rurale
II
Documenti ed approfondimenti
Realizzato a cura di
Gabriele Di Stefano
con la collaborazione di
Luca De Filicaia, Kristina Koprivšek e Laura Novelli
II – Documenti ed approfondimenti - 1
Indice
1. Il Programma Città - Città.
1.1. Un programma per la Serbia e Montenegro.
1.2. Le attività di Città – Città.
1.3. Lo strumento delle LEDA.
3
4
6
2. Alma Mons.
2.1. L’Agenzia della Bačka Meridionale
10
3. Cenni storici.
3.1.
3.2.
3.3.
3.4.
La nascita dello Stato serbo
Dall’Impero ottomano alla II Guerra Mondiale
Dallo Stato socialista ai conflitti nazionalistici
La storia recente
II – Documenti ed approfondimenti - 2
14
15
17
20
1. Il Programma Città – Città.
1.1. Un programma per la Serbia e Montenegro.
1.1.1. Gli Enti protagonisti.
I promotori
Il Programma Città – Città è un’iniziativa promossa dal Governo italiano e dalle Nazioni Unite che intende
sostenere e rafforzare le relazioni di cooperazione decentrata fra Enti Locali, Regioni e attori della società
civile italiani e sette città di Serbia e Montenegro: Belgrado, Zemun, Kragujevac, Nišš, Novi Sad, Panččevo e
Smederevo.
Gli Enti operativi
Il Programma individua
- il proprio Ente Finanziatore nel Ministero degli Affari Esteri italiano – Direzione Generale per la
Cooperazione allo Sviluppo (DGCS),
- il proprio Ente Coordinatore nello United Nations Development Programme (UNDP),
- il proprio Ente Esecutore nello United Nations Office for Project Services (UNOPS),
1.1.2. La missione e i settori di intervento.
La missione
La missione del Programma Città – Città consiste nel favorire lo sviluppo umano a livello locale,
• privilegiando le azioni a sostegno dei gruppi più vulnerabili della popolazione,
• evitando qualsiasi forma di discriminazione (inclusa quella tra rifugiati, sfollati e residenti),
• contrastando l’esclusione sociale.
I settori di intervento
I settori dichiarati di intervento del Programma sono riconducibili a quelli tipici dello sviluppo
socioeconomico territoriale integrato su scala locale, e consistono in
• Good Governance,
• Sviluppo Economico Locale,
• Politiche Sociali e Sanitarie.
Good
Governance
Sviluppo Economico
Locale
Politiche Sociali e
Sanitarie
1.1.3. Obiettivi strategici e specifici.
Gli obiettivi strategici del Programma
Il Programma Città – Città individua i seguenti obiettivi strategici:
• rafforzare le amministrazioni e gli attori locali nell'ambito del processo globale di decentramento,
• collegare le attività dei progetti e le iniziative pilota a livello locale con la strategia globale di riforme a
livello nazionale,
• fornire ai rispettivi Ministeri strumenti addizionali e nuove competenze a sostegno del processo di
riforma istituzionale.
II – Documenti ed approfondimenti - 3
Gli obiettivi specifici
La strategia del Programma è perseguita mediante
• il sostegno e il rafforzamento delle capacità gestionali, tecnico - amministrative e di pianificazione delle
istituzioni locali, promozione della partecipazione attiva dei cittadini alla vita delle comunità locali,
• il sostegno allo sviluppo economico locale, con particolare attenzione all’integrazione nel mercato del
lavoro dei gruppi vulnerabili ed alla promozione delle piccole e medie imprese,
• il miglioramento dei servizi sociali e sanitari a livello locale, con particolare attenzione alle attività di
prevenzione, ai servizi territoriali di base e alla tutela delle fasce più svantaggiate della popolazione,
• il sostegno alle istituzioni locali nella gestione del territorio, con particolare attenzione alla tutela e
valorizzazione delle risorse ambientali, alla pianificazione territoriale ed alla gestione dei servizi
pubblici.
1.1.4. Il quadro istituzionale.
Gruppo di Lavoro Nazionale
Monitoraggio delle attività del Programma
Ministero per gli Affari Sociali
Programma
Città - Città
(controparte nazionale)
Referente politico istituzionale del Programma
Gruppo di Lavoro Cittadino
Partecipazione alla progettazione ed
implementazione delle attività del Programma
1.1.5. La metodologia di implementazione.
Controparte
Ministeriale
serba
Amministrazioni
locali
serbe
Amministrazioni
locali
italiane
1.2. Le attività di Città – Città.
1.2.1 Il partenariato territoriale.
Il partenariato transnazionale (“Partenariato Territoriale”) costituito ed attivato dal Programma Città – Città a
Novi Sad è descritto nella tabella seguente.
II – Documenti ed approfondimenti - 4
Partenariato Territoriale di Novi Sad
Comitato serbo
•
Comitato italiano
•
•
•
•
Novi Sad
Comune di Modena
Comune di Imola
Comune di Livorno
Regione Emilia Romagna
1.2.2 Le attività a Novi Sad.
Novi Sad: attività a livello locale
Partners della cooperazione decentrata
Attività
•
•
Comune di Modena (con il sostegno della
•
Regione Emilia Romagna)
•
Comune di Ferrara
•
Comune di Livorno
•
Comune di Imola (con il sostegno della
Regione Emilia Romagna)
Sostegno alla creazione dell’Agenzia
Sviluppo Economico Locale.
di
Sostegno alla riorganizzazione dei servizi
sociali, con particolare attenzione all’area
minori e portatori di handicap.
•
Donazione di 15 autobus e di 3 veicoli per uso
speciale ad agenzie locali per i servizi di utilità
pubblica.
•
Supporto al processo di integrazione dei servizi
sociosanitari.
•
Sostegno
ai
servizi
sociosanitari
e
rafforzamento degli attori della società civile
tramite attività di formazione.
1.2.3 Le attività a livello nazionale (Repubblica di Serbia).
Le attività in Serbia
Partners della cooperazione
decentrata
Partner di esecuzione
•
Ministero per gli Affari
Sociali della Repubblica di
Serbia
-
• Regione Campania
• Regione Emilia Romagna
• Regione Friuli Venezia Giulia
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Attività
• Sostegno al Fondo per
l’Innovazione Sociale (SIF,
Social Innovation Fund).
• Sostegno alla riorganizzazione
tecnica ed amministrativa del
Ministero per gli Affari Sociali
della Repubblica Serba .
1.2.4 Le attività a livello internazionale.
Attività internazionali
Partners di esecuzione
•
•
Attività
•
Promozione della partecipazione del Paese allo
scambio
di
innovazioni
tramite
la
Cooperazione Sud – Sud (IDEASS).
•
Programma interuniversitario e sviluppo di
curricula post-laurea per studi sullo sviluppo
umano.
Formazione per gli stakeholders locali e
nazionali nel settore dello sviluppo economico
locale.
Istituti di ricerca della Repubblica di Serbia
Università di Belgrado
•
1.3. Lo strumento delle LEDA.
1.3.1 Dall’agenzia di sviluppo alla LEDA.
Cos’è una LEDA
L’azione del Programma Città – Città per Novi Sad ha condotto, tra l’altro, alla costituzione dell’Agenzia
Alma Mons nel dicembre 2001, in qualità di LEDA (Local Economic Development Agency).
Una LEDA è uno dei principali strumenti operativi impiegati nelle attività di Cooperazione Internazionale
dell’ONU per innescare dinamiche territoriali di sviluppo socioeconomico sostenibile,.
Essa consiste in una struttura organizzativa autonoma senza fini di lucro, di diritto privato; è costituita dai
rappresentanti delle istituzioni pubbliche e delle organizzazioni della società civile di un determinato
territorio, con il compito principale di facilitare e realizzare le iniziative necessarie allo sviluppo
socioeconomico dell’area.
I servizi per lo sviluppo erogati dalle LEDA variano in funzione delle caratteristiche dei territori in cui sono
costituite, nell’intento di perseguire gli obiettivi di
• contribuire allo sviluppo equilibrato e sostenibile dell’area,
• facilitare l’accesso delle persone più svantaggiate al circuito economico,
• favorire lo sviluppo di un sistema sostenibile di piccole e medie imprese locali,
• favorire l’internazionalizzazione dell’economia territoriale.
L’evoluzione di un modello
Un primo modello di agenzia, definita “di sviluppo economico locale” si è definito, in Europa, alla fine degli
anni ’50, per risolvere i problemi della rivitalizzazione dei cicli economici in aree affetti da gravi crisi. Esso
si basava sul principio che, attraverso la concertazione degli attori locali e la messa in comune delle loro
risorse, era possibile realizzare le sinergie necessarie a
• ottimizzare le interazioni tra i fattori di sviluppo,
• valorizzare il potenziale endogeno del territorio,
• attrarre investimenti dall’esterno.
I programmi di Cooperazione Internazionale individuarono, nelle agenzie di sviluppo economico locale, uno
strumento efficace di intervento nel territorio per conseguire e consolidare obiettivi nell’ambito
dell’economia locale sostenibile. E’ poi dal 1990 che i Programmi di Cooperazione Internazionale per lo
Sviluppo Umano delle Nazioni Unite hanno promosso, in molti Paesi in Via di Sviluppo (PVS) e in
Transizione, il “modello LEDA”.
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Questo modello introduce, rispetto a quello dell’agenzia di sviluppo economico locale, significative
innovazioni dovute ai contesti nei quali le LEDA operano: aree di estrema povertà e scarsità di risorse, e/o
uscite appena da lunghi conflitti civili, e/o in difficile transizione economica.
Gli elementi d’innovazione introdotti si riferiscono principalmente alle seguenti caratteristiche:
• operano al servizio della Governance locale (cioè in funzione di strategie di sviluppo territoriale
condivise dagli attori locali) e ne rappresentano la relativa struttura di Government
- garantendo la coerente applicazione delle strategie condivise in termini “tecnici”, di iniziative e
progetti,
- erogando o organizzando l’erogazione di servizi in maniera integrata, per rendere coerenti il
sostegno tecnico, finanziario e formativo,
onde ottimizzare l’impiego delle risorse destinate allo sviluppo, evitandone la dispersione e la
frammentazione;
• finalizzano la loro azione in funzione di obiettivi di sviluppo sostenibile, sia dal punto di vista
economico che sociale e ambientale;
• dedicano particolare attenzione alle fasce di popolazione più svantaggiata, per
- favorire la loro integrazione economica e sociale,
- assicurare equità nell’accesso alle opportunità di sviluppo,
- evitare la diffusione di malessere e conflitti sociali anche latenti;
• in termini finanziari, dispongono di un proprio capitale per facilitare le operazioni di credito,
- per permettere ai piccoli imprenditori di accedere facilmente ai servizi finanziari bancari,
- per consentire la sostenibilità economica dell’agenzia, attraverso gli interessi finanziari guadagnati,
e sono autosostenibili, in modo da evitare la dipendenza dalla pubblica amministrazione o da membri
particolarmente influenti.
Le ragioni del modello
Le LEDA hanno finora fornito un rilevante e riscontrabile contributo alla risoluzione del grave problema
dell’emarginazione economica, di fronte ai fenomeni di crescente globalizzazione, di aree povere o in regime
di transizione.
In queste aree, i problemi cruciali da affrontare sono essenzialmente rappresentati dalla povertà e
dall’esclusione sociale, e impongono necessità di ricostruzione, di riconversione economica, di sviluppo di
piccole imprese e di incremento occupazionale. Vi si sono succeduti, nel tempo, interventi tesi a
• fornire crediti agli imprenditori, e per aiutare la popolazione più disagiata ad accedere al microcredito,
• fornire appoggio a coloro che volessero effettuare in loco investimenti produttivi,
• generare domanda immediata di lavoro attraverso interventi ad alta intensità di mano d’opera (opere
pubbliche),
• formare nuove classi imprenditoriali.
Tali interventi, però, si sono un po’ dappertutto rivelati scarsamente efficaci ed effimeri in mancanza di due
fondamentali requisiti:
• un inquadramento strategico di lungo periodo che rendesse gli interventi sostenibili, e
• un approccio integrato che legasse formazione, servizi di assistenza tecnica e credito.
Le LEDA, pertanto, sono state ideate e strutturate allo scopo di sopperire a tale carenza, e quindi per
costituire lo strumento privilegiato, nelle mani degli attori locali, per sviluppare una strategia di lungo
termine e per organizzare, promuovere e erogare servizi integrati funzionali a tale strategia, considerando
inscindibili lo sviluppo economico e la competitività territoriale dall’inclusione sociale e dalla salvaguardia
dell’ambiente.
Il successo delle LEDA è stato quindi possibile grazie alla capacità di coinvolgere e favorire la coesione dei
diversi attori dello sviluppo locale e di valorizzare le risorse endogene esistenti, attraverso la nascita e il
rafforzamento di un sistema di piccole e medie imprese locali e di un sistema di servizi coordinato.
1.3.2 Le caratteristiche di una LEDA.
I componenti di una LEDA
Partecipano ad una LEDA gli attori locali che hanno un ruolo attivo nello sviluppo economico del territorio:
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•
•
•
•
•
•
Istituzioni pubbliche nazionali attraverso la loro struttura periferica,
Governi ed Organismi locali,
Associazioni corporative e comunitarie,
Organismi non governativi (ONG),
Università e Centri di Ricerca
altre istituzioni private disposte a sostenere lo sviluppo economico in ambito locale.
La dimensione territoriale
Una delle innovazioni delle LEDA è la copertura territoriale, che risponde alle esigenze di:
• utilizzare una massa critica di risorse sufficienti per uno sviluppo sostenibile e competitivo;
• favorire una partecipazione attiva della popolazione nelle decisioni riguardanti la LEDA;
• agevolare le relazioni pubbliche e private, che implicano una dimensione geografica che coincide con
una divisione amministrativa del governo.
Pertanto, una LEDA fa generalmente riferimento alla partizione amministrativa territoriale immediatamente
superiore a quella municipale, specialmente in contesti rurali. Eccezioni si possono presentare nel caso di
aree molto estese o con grandi difficoltà di comunicazione.
I servizi
La tabella seguente illustra i servizi erogati da una LEDA alla popolazione ed alle Istituzioni locali.
1.
Servizi
per l’incentivazione
economica
Servizi
alla produzione
2.
3.
4.
5.
1.
2.
3.
4.
5.
Servizi
per la promozione del
territorio
1.
2.
3.
4.
5.
elaborare diagnosi territoriali per identificare le potenzialità dello sviluppo
economico e contribuire alla pianificazione locale;
promuovere un clima favorevole per creare una cultura imprenditoriale, in
particolare tra le popolazioni con risorse economiche limitate;
promuovere l’associazionismo e l’aggregazione produttiva;
supportare il consolidamento delle istituzioni esistenti;
appoggiare la popolazione con minori risorse nell’accesso alle opportunità
economiche, attraverso l’animazione economica: sensibilizzazione, informazione,
formazione, ecc.
appoggiare l’elaborazione di studi di fattibilità tecnica ed economica;
realizzare la formazione tecnica;
offrire supporto finanziario attraverso la fornitura di crediti o la mobilitazione di
risorse finanziarie di altre istituzioni;
realizzare un sistema di informazione che orienta l’attività produttiva;
promuovere dinamiche che favoriscano l’innovazione e lo scambio tecnologico.
realizzare l’indagine territoriale identificando potenzialità ed opportunità;
realizzare il marketing del territorio;
promuovere la creazione di una banca di progetti produttivi;
implementare progetti che hanno come obiettivo lo sviluppo economico territoriale;
promuovere l’internazionalizzazione del territorio ed i progetti di partnership
internazionale.
L’organizzazione di una LEDA
Una LEDA è generalmente strutturata in base ai seguenti organi:
strategico:
• Assemblea Generale, con le funzioni di direzione strategica e di ratifica amministrativa;
tecnico - esecutivi:
• Giunta Direttiva, con le funzioni di gerenza e di decisione operativa,
• Direttore della LEDA,
• Équipe Tecnica, operativa nei Servizi alla produzione, Servizi di promozione territoriale e strategica,
Servizi per l’implementazione di progetti.
• Sportelli Locali, sportelli decentralizzati in grado di facilitare l’attività dell’Agenzia e le comunicazioni
centro – periferia in zone molto vaste o impervie.
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E’ strutturata in base al seguente organigramma:
Assemblea Generale
Giunta Direttiva
Direttore
Sportelli Locali
Servizi alla produzione
Équipe Tecnica
Servizi di promozione
territoriale e strategica
Servizi per l’implementazione
di progetti
La strategia operativa
La LEDA agisce mediante due linee operative:
• sviluppo imprenditoriale,
• elaborazione ed esecuzione di progetti,
interagenti in coerenza con una strategia di sviluppo territoriale concertata tra gli attori locali, che privilegi
uno sviluppo economico e competitivo senza però creare fratture sociali ed ambientali.
La sostenibilità finanziaria
In accordo con le esperienze sviluppate, una LEDA persegue la propria autonomia finanziaria attraverso
quattro differenti fonti di entrate:
• l’utile derivato dagli interessi sul capitale prestato;
• l’apporto dei membri (in particolare delle istituzioni pubbliche);
• la vendita dei servizi;
• la gestione di progetti di istituzioni nazionali ed internazionali.
Una fonte di sostenibilità si è individuata, di recente, nella creazione di « partenariati territoriali » tra territori
rispettivamente del Nord e del Sud del mondo.
In questi ultimi, spesso, ha sede una LEDA e, allo stesso modo, nel territorio partner ha sede un’agenzia di
sviluppo. Attraverso le due organizzazioni si stabiliscono relazioni durevoli tra i territori gemellati di cui
potranno avvalersi Istituzioni, economia, cultura e società.
Dalla qualità delle relazioni create dipende la sostenibilità del gemellaggio, ma anche della LEDA coinvolta
che avrà modo di fornire servizi utili al buon esito di tutte le iniziative e dei programmi prodotte dal
partenariato transnazionale così costituito.
II – Documenti ed approfondimenti - 9
2. Alma Mons.
2.1. L’Agenzia della Bačka Meridionale.
2.1.1 Natura e missione dell’Agenzia.
Il nucleo di aggregazione per il Partenariato locale serbo
Le linee progettuali individuano nell’Agenzia Alma Mons, di Novi Sad, il nucleo di aggregazione del
partenariato locale serbo, considerati la natura, la mission, le caratteristiche e il bagaglio di esperienze
maturate di tale struttura.
L’Agenzia trae il proprio nome dall’unica area collinare dei dintorni di Novi Sad, collocata in piena pianura
alluvionale del Danubio (Pannonia). Il rilievo, il cui antico nome latino era “Mons almus” (“Montagna
benefica, portatrice di vita”), trasformatosi nel tempo in “Alma Mons” ed oggi, in serbo, denominato “Fruška
Gora” (“Montagna Fruttifera”), è oggi un’area protetta, sede di Parco nazionale. Ospita un gran numero di
monasteri ortodossi, tanto da essere considerato il “Monte Athos serbo”.
La missione di Alma Mons
La missione dichiarata dell’Agenzia Alma Mons consiste nella creazione di condizioni, opportunità e
strutture per il pieno ed adeguato accesso al circuito economico formale da parte delle Piccole e Medie
Imprese e degli strati svantaggiati della popolazione locale, allo scopo di promuovere lo sviluppo economico
sostenibile del territorio della Bačka Meridionale e della Vojvodina mediante l’impiego integrato delle
risorse endogene e grazie alle potenzialità e agli sforzi collettivi degli attori locali.
Il Programma Città – Città e le LEDA
Alma Mons è stata istituita nell’ambito del Programma Città – Città, il cui scopo è quello di sostenere e
rafforzare i legami di cooperazione decentrata fra le Istituzioni (Comuni, Provincie, Regioni) e gli attori
socioeconomici italiani con sette città della Serbia e del Montenegro.
Il Programma individua
• il proprio Ente Finanziatore nel Ministero degli Affari Esteri italiano – Direzione Generale per la
Cooperazione allo Sviluppo (DGCS),
• il proprio Ente Coordinatore nello United Nations Development Programme (UNDP),
• il proprio Ente Esecutore nello United Nations Office for Project Services (UNOPS),
e persegue l’obiettivo di favorire lo sviluppo umano a livello locale,
• privilegiando le azioni a sostegno dei gruppi più vulnerabili della popolazione,
• evitando qualsiasi forma di discriminazione (inclusa quella tra rifugiati, sfollati e residenti),
• contrastando l’esclusione sociale.
I settori dichiarati di intervento del Programma sono riconducibili a quelli tipici dello sviluppo
socioeconomico territoriale integrato su scala locale, e consistono in
• Good Governance,
• Sviluppo Economico Locale,
• Politiche Sociali e Sanitarie.
La descrizione e l’articolazione del Programma Città – Città sono riportate, nei particolari, in II.1.1 e II.1.2.
L’azione del Programma Città – Città per Novi Sad ha condotto alla costituzione di Alma Mons nel dicembre
2001 in qualità di LEDA (Local Economic Development Agency, cfr. II.1.3).
La forma societaria
Alma Mons è una d.o.o. (društvo sa ograničenom odgovornošću), forma societaria assimilabile a quella delle
S.r.l. italiane.
In base al diritto amministrativo serbo, una d.o.o. è una società di capitale fondata da una o più persone
(fisiche o giuridiche) e dotata di $ 5000 come ammontare minimo della parte liquida del capitale sociale. La
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partecipazione minima per fondatore è pari a $500. Oltre al liquido, il capitale può esser costituito anche da
beni immobili, oggetti e diritti.
Alma Mons è iscritta presso l´Agenzia per la registrazione delle imprese come società d.o.o. a carattere noprofit.
La compagine sociale è mista, pubblico - privata, ed è descritta nella tabella seguente. I soci fondatori, che
hanno firmato il Contratto sulla fondazione e lo Statuto il 18 dicembre 2001, sono contrassegnati con (*).
natura
Soci in Alma Mons
Pubbliche Amministrazioni
Pubblica
Imprese municipalizzate
•
•
•
•
•
•
•
Città di Novi Sad (*)
Municipalità di Bač
Municipalità di Bački Petrovac
Municipalità di Bečej
Municipalità di Titel
Municipalità di Žabalj
Provincia Autonoma della Vojvodina
•
Impresa municipalizzata “Poslovni prostor” (“business
premises”, opera per fornire disponibilità di locali alle
Imprese) (*)
Impresa municipalizzata “Urbanismo” (si occupa della
pianificazione urbanistica della Municipalità di Novi
Sad) (*)
•
Istituti di ricerca
•
•
Università di Novi Sad (*)
Università Aperta di Novi Sad (università per gli
adulti) (*)
Enti finanziari a capitale a
maggioranza statale
•
•
Panonska Banka (non ancora privatizzata)
Vojvodjanska Banka (non ancora privatizzata) (*)
•
Camera di Commercio Regionale (Bačka Meridionale)
(*)
Ufficio di Collocamento Nazionale
Altri Enti Pubblici
Associazioni
Settore finanziario
Privata
Altri Enti Privati
•
•
Associazione degli Imprenditori e di artigiani di Novi
Sad (*)
•
•
•
•
Continental Banka (*)
Metals Banka (*)
Novosadska Banka
DDOR Novi Sad, compagnia di Assicurazioni (*)
•
•
Ente fiera di Novi Sad A.D. (*)
Centro per l’Impresa , l’Imprenditoria e il Management
di Novi Sad (*)
Centro ricerche “Holtech” (*)
•
L’organizzazione
La struttura di Alma Mons si articola sui seguenti organi:
• strategico:
- Assemblea dei Fondatori; costituita dai Soci fondatori, si riunisce due volte l’anno per valutare i
consuntivi e la determinazione strategica;
• di controllo:
- Commissione di Vigilanza; formata da tre membri, vigila sulla regolarità e la legalità delle attività;
• esecutivo:
- Consiglio di Amministrazione; è formato da sette membri, di cui sei designati dai Soci fondatori ed
uno è scelto tra il personale dell’Agenzia; determina l’attività operativa, elabora le proposte da
sottoporre all’Assemblea, nomina il Direttore, etc.;
II – Documenti ed approfondimenti - 11
•
tecnico-operativo:
- Direttore; gestisce l’Agenzia e la rappresenta;
- Personale; è costituito dallo Specialista del Servizio Affari, dal Contabile/Amministratore, dal
Segretario degli affari, dal Project Manager;
- Esperti esterni incaricati, specialisti negli ambiti di interesse.
2.1.2 Le attività dell’Agenzia.
Alma Mons articola la propria attività in armonia con il modello LEDA dell’ONU, cui si rimanda (cfr.
II.1.3).
Animazione territoriale
Eroga attività di
• Analisi territoriale:
- monitoraggio ed analisi quantitativa e qualitativa delle attività economiche locali;
- valutazione e controllo delle strategie di sviluppo;
- contribuzione all’elaborazione di politiche nazionali di sviluppo economico locale;
- elaborazione di una versione digitale della “Mappa delle risorse della regione del Bačka del Sud”,
accessibile in rete, connessa allo sportello informativo.
• Cura del capitale relazionale:
- promozione di partenariati;
- cooperazione con l’Ufficio Nazionale del lavoro di Novi Sad (educazione e seminari per i
disoccupati /nuove imprese);
- supporto alla formazione di gruppi e cooperative di produttori;
- attuazione del Programma pilota per la rivitalizzazione dell’Associazione degli Imprenditori nel
Municipio di Vrbas (prevede anche la formazione del personale locale e la fornitura di attrezzature).
• Promozione territoriale:
- Preparazione della presentazione regionale alle città gemellate con Novi Sad: Modena (I), Norwich
(UK), Dortmund (D), Changchun (Cina), Helioupolis (GR), Budva (Montenegro).
Cooperazione ed internazionalizzazione
•
E’ stata Partner serbo nel Programma di cooperazione decentrata con Promec e CNA di Modena,
finalizzato alla definizione dei settori e delle compagnie individuali per la cooperazione, gli investimenti,
la promozione di import-export, la creazione di joint-ventures, assortimento diretto degli affari, ricerche
di mercato, etc.
•
Partecipa ad ISSER, Programma relativo alla pianificazione strategica regionale della Vojvodina,
realizzato in base al Protocollo di cooperazione dell’aprile del 2003 tra Provincia Autonoma della
Vojvodina e Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.
•
E’ partner nella cooperazione con la Regione Marche, per l’introduzione della forma societaria della
cooperativa agricola nella legislazione della Provincia della Vojvodina.
•
Coopera con American Development Foundation (ADF) (valutazione delle risorse dei Comuni,
progettazione di cooperative agricole).
•
Ha avviato contatti con la Regione Umbria per la cooperazione in ambito culturale (Umbria Jazz
Festival).
Servizi finanziari di sostegno
Fornisce assistenza tecnica all’UNOPS nella gestione del Progetto “Fondo di Garanzia”, in associazione con
il Consorzio Fidi (Modena). Il capitale iniziale costituente il fondo
• è stato acquisito attraverso la cooperazione decentralizzata Italia – Serbia dal Governo italiano e da Enti
locali, aziende e banche italiane,
• costituisce un credito rinnovabile,
II – Documenti ed approfondimenti - 12
•
viene impiegato quale garanzia, nei confronti della banca locale, quelli per la concessione di quei crediti
assegnati nel quadro del Financial Agreement tra banca, UNOPS e AM alle PMI, per i loro investimenti.
La concessione della garanzia sul credito è valutata dalla banca erogante e da Alma Mons, e disposta da
UNOPS, in base alla valutazione degli investimenti proposti su criteri quali:
• incremento indotto all’occupazione:
- impiego di disoccupati ed inoccupati,
- impiego di categorie protette (donne, persone a basso livello di scolarità, escluse dai processi
produttivi, etc.)
• impiego di tecnologie innovative,
• sostenibilità ambientale.
Servizi di sostegno non finanziari
Eroga servizi di
• Consulenza e servizi di supporto per l’avvio di attività produttive:
- consulenza amministrativa,
- consulenza legale,
- accompagnamento
- nella produzione di documenti,
- nelle procedure di registrazione,
- nel conseguimento di licenze e permessi.
• Supporto allo sviluppo e al miglioramento delle imprese esistenti
- consulenza manageriale sull’organizzazione dell’impresa e sulla contabilità,
- gestione e certificazione della qualità,
- assistenza nella programmazione di investimenti e nella formulazione di progetti, business plans, etc.
• Consulenza in ingegneria finanziaria
- sugli strumenti finanziari disponibili le condizioni e i termini finanziari correnti,
- sull’accesso alla finanza internazionale e sulle relative informazioni commerciali.
• Consulenza nelle relazioni esterne delle PMI:
- individuazione di contatti esterni,
- pubbliche relazioni,
- intermediazione nelle relazioni internazionali con partners stranieri,
- promozione delle esportazioni,
- assistenza nella partecipazione a fiere, mostre ed esibizioni internazionali.
• Valorizzazione delle risorse umane:
- formazione teorico – pratica, seminari, apprendistato, visite di studio, collettive o individuali, per
- managers,
- personale aziendale,
- in temi specificamente richiesti,
rivolta a
- aziende in start up,
- disoccupati ed inoccupati, incluse categorie protette.
- partecipazione ad altre attività formative regionali.
2.1.3 Il futuro di Alma Mons.
Prospettive future
Ha intrapreso contatti preliminari per possibili future cooperazioni e progetti comuni con
• Agenzia Europea per la Ricostruzione (EU);
• Opportunity International Novi Sad (GB - USAID);
• Ufficio del lavoro di Novi Sad (educazione e seminari per i disoccupati /nuove imprese).
II – Documenti ed approfondimenti - 13
3. Cenni storici.
3.1. La nascita dello Stato serbo.
3.1.1 Gli “Slavi del Sud”.
Le origini
L’area geografica dell’attuale Serbia costituisce una parte dell’antica regione dell’Illiria. A partire dal III
secolo a.C. i Romani intrapresero la conquista di questa regione, occupandola completamente nel I secolo
d.C., ed includendola nelle provincie dell’Impero denominate Pannonia e Mesia. Nel IV secolo d.C. subì le
incursioni dei Visigoti, che nel 376 attraversarono il Danubio sistemandosi nella Mesia; dopo il 395, l’Illiria
divenne parte dell’Impero bizantino.
Tra il VI e il VII secolo i Serbi , una popolazione slava proveniente da quella regione che, in seguito, sarebbe
stata denominata Galizia (comprendente parte delle attuali Polonia ed Ucraina), vi si stanziarono, in
maggioranza nella regione a ovest della Morava, dando così origine al ceppo degli “Slavi del Sud”.
I Serbi erano organizzati in piccoli “feudi”, il cui capo era chiamato župan. La frammentazione non li aiutò a
resistere alle pressioni dei loro potenti vicini; infatti subirono, tra il VII e il XII secolo, dapprima il dominio
dell’Impero bizantino, che riaffermava così il possesso della loro terra, poi quello del bulgaro Simeone, e
infine, nuovamente, quello dei bizantini.
Fu durante questo periodo che cominciarono ad emergere due entità nazionali: la Zeta, che si può collocare
all’origine del Montenegro, e la Rascia (o Raška), che avrebbe originato la Serbia. Entrambi gli embrioni
nazionali si svilupparono sotto l’influenza politica, culturale e religiosa dell’impero bizantino, e rientrarono
nell’ambito missionario di Cirillo e Metodio, i due artefici della diffusione del Cristianesimo presso gli Slavi.
L’alfabeto cirillico
E’ opportuno approfondire rapidamente l’origine dell’alfabeto cirillico che è, oggi, quello più diffuso e
utilizzato in Serbia, e la cui diffusione è legata a quella del Cristianesimo tra i popoli slavi e,
conseguentemente, all’evoluzione dell’attuale cultura.
E’ convinzione abbastanza comune che l’alfabeto cirillico sia stato creato da Cirillo e Metodio.
In realtà l’alfabeto creato da Costantino il Filosofo (detto Cirillo) e dal fratello Metodio nel IX secolo
(sembra nel 863), e destinato a tradurre i testi religiosi in lingua slava, venne chiamato, dai suoi creatori,
“alfabeto glagolitico”, e venne usato fino alla fine del XI secolo.
Questo alfabeto era completante nuovo e piuttosto complicato. Per quest’ultima ragione, cominciò a
svilupparsi, sempre nel IX secolo, un altro alfabeto (alcuni studiosi ritengono ad opera di Clemente d’Ocrida,
allievo di Cirillo e Metodio), molto più semplice, che si rifaceva, nei simboli, al Greco maiuscolo. Questo
alfabeto assunse la denominazione popolare di “cirillico”, in onore di S. Cirillo, e diede l'origine al cirillico
moderno.
A partire dal X secolo il cirillico, molto più semplice e versatile (ad esempio per le incisioni nella pietra o nel
metallo), prese a sostituire definitivamente il glagolitico.
3.1.2 La fondazione dello Stato.
L’unificazione
I serbi furono unificati a opera di Stefan Nemanja, che intorno al 1168 fondò sul territorio della Raška lo
stato di Serbia. Il figlio secondogenito di Nemanja, Stefan I, succedette al padre nel 1196, venne coronato dal
legato papale nel 1217 (per cui la Serbia divenne regno), e governò fino al 1227. Nel 1219 fu istituita una
Chiesa ortodossa serba autocefala, e la religione ortodossa divenne religione di stato.
Cominciò, per la Serbia, un periodo di espansione. Sotto il regno di Stefan Dušan (1331-1355), la nazione
arrivò a comprendere gran parte degli attuali territori di Serbia, Montenegro, Albania e Grecia, vivendo un
II – Documenti ed approfondimenti - 14
periodo di stabilità, durante il quale furono stabilite leggi e fiorirono le arti. Alla morte di Stefan Dušan
scoppiò la lotta tra i nobili, che portò rapidamente alla disgregazione dello Stato.
3.2. Dall’Impero ottomano alla II Guerra Mondiale.
3.2.1 Il dominio ottomano.
“Vidovdan”, il giorno di San Vito
La sconfitta, da parte dei Serbi, nella battaglia del Kosovo del 28 giugno 1389, diede il via alla conquista
della nazione serba da parte dell’Impero ottomano.
Per inciso, si riporta che il 28 giugno, il giorno di San Vito, “Vidovdan”, a partire dal 1389 ha costituito un
giorno topico per la Serbia. In questo giorno, nel 1389, fu persa la battaglia di Kosovo Polje, e gli ottomani
uccisero il principe Lazar, in seguito divenuto santo; il 28 giugno 1914 il serbo Gavrilo Princip, del gruppo
irredentista Mlada Bosna, avrebbe poi ucciso a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e sua
moglie, innescando la I Guerra mondiale; il 28 giugno si sarebbe celebrato, nel 1989, il “giubileo della
battaglia del Kosovo”, a Kosovo Polje, durante il quale Slobodan Milošević dichiarò ad una folla di un
milione di persone che “mai più nessuno avrebbe sollevato una mano contro il popolo serbo”, inducendo le
proteste della popolazione del Kosovo di etnia albanese, e dando inizio alla disgregazione della Jugoslavia di
Tito; infine, il 28 giugno del 2001, Milošević sarebbe poi stato consegnato al Tribunale Internazionale
dell’Aja, e avrebbero avuto inizio i tragici eventi della storia serba più recente.
La presenza ottomana
Tornando al XV secolo, l’invasione turca proseguì con la presa di Smederevo nel 1459 e con quella di
Belgrado nel 1521, arrestandosi a Zemun, oggi municipalità alla periferia settentrionale di Belgrado.
Gli Ottomani non intervennero sulla struttura della società serba, il che contribuì a conservare forte l’identità
nazionale. I Serbi conservarono l'autonomia religiosa - a differenza di Macedonia e Bosnia, le quali subirono
un processo di islamizzazione e l’insediamento di altre popolazioni sui propri territori - ma erano tenuti a
pagare le imposte agli occupanti, nonché a fornire giornate di lavoro gratuito nelle corvée, e uomini da
arruolare nel Corpo ottomano dei giannizzeri. L’occupazione ottomana provocò, inoltre, già dalla fine del
XIV secolo, le migrazioni serbe in direzione dell’Ungheria, della Croazia e della Dalmazia.
Il Patriarcato ortodosso fu sospeso dal 1459 al 1557.
La reazione al dominio ottomano fu costituita dagli hajduk (“fuorilegge”), che opponevano agli ottomani una
guerriglia contadina soprattutto sulle montagne. La loro azione si rafforzò a partire dalla fine del XVII secolo
agli inizi degli scontri tra Austriaci, Russi ed Ottomani per il controllo dei Balcani.
I trattati di Karlovci (Karlowitz) (1699) e di Požarevac (Passarowitz) (1718) determinarono il passaggio
all’Impero austriaco di buona parte del suolo serbo. Comunità serbe colonizzarono gli estremi lembi di
territorio, formando le “krajne” (termine con cui ancora oggi si definiscono le aree croate popolate da
comunità serbe), assumendo così anche la funzione di difesa dagli Ottomani. Alcune aree lasciate libere dai
Serbi vennero occupate da altre comunità; ad esempio, nella regione meridionale del Kosovo, si formò la
presenza di popolazioni albanesi di fede islamica.
La rinascita nazionale
La lotta per l'indipendenza dello stato serbo dall’Impero ottomano cominciò agli inizi del XIX secolo. A
guidare gli scontri, a partire dal 1804 e per i nove anni successivi, fu Đorđe Petrović, detto Karađorđe, ma
nel 1813 l’Impero ottomano riacquistò il proprio controllo sulla regione. Due anni più tardi, Miloš Obrenović
guidò una seconda rivolta, riuscendo a liberare gran parte dei territori serbi; venne riconosciuto principe
ereditario, e alla Serbia, soggetta alla sovranità del sultano, fu concessa un'indipendenza limitata.
Il trattato di Adrianopoli, al termine della guerra russo-turca del 1828-29, concesse alla Serbia un'autonomia
più ampia, e vennero ridotti i presidi turchi sul territorio.
Karađorđe venne ucciso nel 1818, in un complotto partecipato dalla famiglia Obrenović. La rivalità tra gli
Obrenović e i Karađorđević divenne la causa dei frequenti cambiamenti al vertice serbo degli anni
successivi.
II – Documenti ed approfondimenti - 15
Nel 1839 Miloš Obrenović fu costretto ad abdicare in favore del figlio Milan, cui succedette nello stesso
anno il fratello Mihajlo.
Nel 1842 salì al trono il figlio di Karađorđe, Aleksandar, che dotò il paese di nuove istituzioni (tra cui, nel
1844, un Codice civile), stimolò lo sviluppo dell’istruzione, e determinò buone relazioni con le grandi
potenze occidentali, in particolare con la Francia di Napoleone III. Venne tuttavia deposto, nel 1858, e fu
restaurata la dinastia degli Obrenović.
3.2.2 Il dominio austroungarico.
L’espansione austriaca nei Balcani
Il conflitto russo-turco del 1877-78 costituì un’opportunità, per la Serbia, di eliminare definitivamente gli
Ottomani dai Balcani, che venne colta grazie all’alleanza con la Russia. Durante il congresso di Berlino del
1878 fu riconosciuta l'indipendenza dei Serbi, ma la maggior parte del Paese fu di fatto sottomessa all'impero
austroungarico.
Nel 1882 Milan Obrenović, sostenuto dall'Austria, si autoproclamò sovrano e nel 1885 dichiarò guerra alla
Bulgaria, subendone una dura sconfitta e scongiurando un’invasione bulgara solo grazie all'intervento
austriaco.
In seguito a tale sconfitta Milan, nel 1889, abdicò in favore del figlio, Aleksandar Obrenović. Questi,
dispotico e corrotto, fu ucciso nel 1903 dalla “Mano Nera”, un’associazione segreta di ufficiali dell’esercito.
Con lui ebbe fine la dinastia degli Obrenović e venne proclamato re Petar I Karađorđević.
Nel 1908 l’annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell’Austria determinò il deterioramento dei
rapporti tra Serbi ed Austriaci, determinante nell'avvicinamento della Serbia alla Russia. Nel 1912-13 i Serbi
presero parte alle guerre balcaniche, che valsero loro l'annessione del Kosovo, di parte della Macedonia e del
Sandžak (il “Sangiaccato”, oggi enclave a maggioranza musulmana, in territorio serbo, a ridosso del confine
con il Montenegro).
La I Guerra mondiale
Il 28 giugno 1914, nella città di Sarajevo, fu compiuto l'assassinio dell'erede al trono austriaco, l'arciduca
Francesco Ferdinando, e di sua moglie, per mano di un nazionalista serbo. La Serbia fu considerata,
dall’Austria, la responsabile dell’attentato di Sarajevo, anche alla luce della crescente preoccupazione con
cui quest’ultima considerava l'espansione serba. Il governo austriaco, pertanto, dichiarò guerra alla Serbia e
la invase, dando così inizio alla I Guerra mondiale.
Nel 1917 un comitato formato da patrioti serbi, croati, sloveni e montenegrini firmò un documento,
impegnandosi a riunificare i popoli slavi del Sud sotto l’autorità del re serbo Aleksandar I Obrenović.
La sconfitta austroungarica, così, determinò il 1° dicembre del 1918 la proclamazione del Regno dei Serbi,
Croati e Sloveni, rinominato nel 1929 Regno di Jugoslavia.
3.2.3 La II Guerra mondiale.
L’antagonismo serbo-croato
Il nuovo Regno fu presto caratterizzato dal conflitto tra il centralismo dei serbi e l’autonomismo delle altre
nazioni, che determinò, nel 1934 l’uccisione, a Marsiglia, di Aleksandar I da parte di un nazionalista croato.
La II Guerra mondiale fu il teatro in cui si articolò anche il conflitto tra Serbi e Croati.
Nel 1941 fu creato, in Croazia, lo Stato ustascia di Ante Pavelić, sostenuto dalla Germania nazista e
dall’Italia fascista, che si caratterizzò per particolare ferocia e condotta criminale nella regione occupata dalle
truppe dell’Asse. Questo amplificò la spaccatura tra i popoli serbo e croato, e tra i Croati stessi. Una parte
cospicua di questi ultimi si unì alle truppe partigiane del leader comunista croato Josip Broz, detto Tito, che
organizzarono la Resistenza nei confronti delle forze nazifasciste.
L’avvento di Tito
La presenza simultanea, nei Balcani, delle forze dell’Asse, dei partigiani di Tito, degli ustascia e delle milizie
realiste e nazionaliste serbe dei četnici, che raccolsero molti ufficiali dell’esercito monarchico intorno al
generale Draža Mihajlović, e la cui posizione nei confronti degli occupanti è stata spesso contraddittoria,
II – Documenti ed approfondimenti - 16
rendono estremamente complessa e controversa la narrazione e l’analisi storica della II Guerra Mondiale in
Jugoslavia.
La Serbia fu occupata dai nazisti nella primavera del 1941. Fu liberata a partire dal 1944 dall’esercito
partigiano di Tito, che avanzò fino ad occupare, il 1° maggio del 1945, la città di Trieste, dove stabilì per
circa un mese una propria amministrazione, dando così origine alla cosiddetta “questione di Trieste”.
3.3. Dallo Stato socialista ai conflitti nazionalistici.
3.3.1. Lo Stato socialista.
Il governo di Tito
Nel 1945, dopo la sconfitta nazifascista, fu proclamata la Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia. La
Serbia fu una delle Repubbliche costituenti, insieme a Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e
Macedonia, e alle Provincie autonome della Vojvodina e del Kosovo.
Tito, Presidente della Repubblica Federale, sperimentò la costruzione di un modello socialista diverso e
indipendente da quello sovietico. Oltre a caratterizzare in maniera propria il sistema economico nazionale, a
partire dagli anni ’50 mantenne la Jugoslavia al di fuori delle sfere di influenza delle Superpotenze
(occidentali o comuniste), aderendo, tra l’altro, al gruppo dei Paesi non allineati.
L’efficacia di questo modello era strettamente legata alla coesione tra le Repubbliche ed al senso dell’identità
nazionale degli Jugoslavi. Ecco perché Tito perseguì la costruzione di una “cittadinanza” jugoslava,
destinata, nelle intenzioni, a superare le divisioni e i contrasti che fino ad allora erano esistiti nelle relazioni
tra le diverse nazionalità.
Un modello alternativo
Il modello economico e produttivo si mostrò certo più efficace di quello in uso negli Stati del blocco
sovietico, con i quali la Jugoslavia intratteneva comunque relazioni economiche e commerciali, e il prestigio
internazionale della Jugoslavia beneficiò notevolmente della posizione politica indipendente, “non allineata”
del governo di Tito.
Gli anni ’50 e ’60 videro, così, la ricostruzione infrastrutturale ed economica della Jugoslavia, ma il nuovo
sentimento identitario nazionale spesso dovette confrontarsi con il riemergere frequente dei nazionalismi,
specialmente in Slovenia e Croazia.
Alla morte di Tito, nel 1980, la Presidenza della Repubblica Federale passò ad un collettivo di nove membri
eletti che, a rotazione, si alternavano alla guida dello Stato.
3.3.2. La dissoluzione della Jugoslavia.
I contrasti nazionalisti
E’ opinione diffusa che la morte di Tito abbia tolto il freno alle tendenze “centraliste” serbe e a quelle
centrifughe, “nazionaliste” delle altre Repubbliche jugoslave. Più probabilmente, sia la scomparsa di un
personaggio simbolico quale Tito, sia un modello di leadership relativamente “debole” quale quello del
“collettivo” contribuirono ad accelerare un cambiamento di scenario, caratterizzato dalle crescenti
disaffezioni tra le Repubbliche; disaffezioni che si alimentavano dall’interazione tra elementi critici politici,
economici ed identitari.
La prima rivolta si registrò nel Kosovo, nel 1981, ad opera delle comunità albanesi, cui la Repubblica
Federale reagì con durezza. Le tendenze autonomiste dell’etnia albanese indussero, poi, nell’estate del 1986,
alcuni membri dell’Accademia delle Scienze e delle Arti di Belgrado a stilare un “Memorandum”, che
conteneva considerazioni sull’identità nazionale serba, sull’importanza del Kosovo come “culla” culturale
serba e come area strategica per lo sviluppo, e, soprattutto, una forte critica rivolta alla leadership comunista
jugoslava per la gestione dello Stato e per un supposto indebolimento della Serbia nei confronti delle altre
Repubbliche.
Questa pubblicazione “nazionalista-centralista”, e il controcanto di altre “nazionaliste-autonomiste” prodotte
in altre Repubbliche, sortirono l’effetto di alimentare in Jugoslavia una violenta polemica.
II – Documenti ed approfondimenti - 17
Nel 1986 divenne segretario della Lega dei comunisti (il partito unico al potere) Slobodan Milošević, un
personaggio poco conosciuto e da poco entrato in politica. Questi pensò di sfruttare il malcontento generale,
il risentimento serbo e le polemiche nazionali (spesso artificiose e funzionali all’indebolimento della
Federazione) alimentate dalle tensioni in Kosovo per consolidare la sua posizione all’interno del regime.
Nella primavera del 1989 la Serbia incrementò la stretta centralista, revocando l’autonomia alle provincie
della Vojvodina (con significative presenze di etnie ungheresi e slovacche) e del Kosovo (di etnia
prevalentemente albanese). In giugno, poi, nel 600° anniversario della battaglia del Kosovo, Milošević
raccolse più di un milione di persone nei pressi di Priština, rivendicando la sovranità serba sulla regione e,
soprattutto, la centralità, in ambito federale, della componente serba.
Lo smembramento della Federazione jugoslava
Nel dicembre del 1989 Milošević venne eletto alla presidenza della Repubblica serba. Nel 1990, la Lega dei
comunisti aprì il sistema politico al multipartitismo. Le nuove elezioni tenute in dicembre confermarono
Milošević alla presidenza della Serbia.
Preoccupate, tra l’altro, dalla visione della “Grande Serbia” di Milošević, nel giugno del 1991 Croazia e
Slovenia proclamarono l'indipendenza. In un estremo tentativo di scongiurare la dissoluzione della
Federazione, la Serbia inviò le truppe federali nelle due Repubbliche, generando lo sconcerto nelle stesse
Forze Armate, in cui confluivano, ovviamente, anche soldati ed ufficiali croati e sloveni.
In seguito a tale atto l’Unione Europea introdusse delle sanzioni nei confronti di Milošević, nell’intento di
contribuire a scongiurare una guerra civile.
Il conflitto con la Slovenia si risolse nell’arco di un mese, e fu sostanzialmente incruento. In Croazia, invece,
dove si erano accesi dei focolai di guerriglia, il conflitto durò diversi mesi e causò migliaia di vittime, prima
dell’intervento di mediazione da parte dell’ONU e la richiesta del cessate il fuoco nel gennaio del 1992.
La Croazia e la Slovenia furono riconosciute indipendenti dall’Unione Europea. Anche la Macedonia e la
Bosnia-Erzegovina proclamarono l’indipendenza e ne chiesero il riconoscimento alla Comunità
internazionale. Nel giro di pochi mesi La Federazione jugoslava non esisteva più.
3.3.3. L’intervento internazionale.
La guerra in Bosnia
Il 27 aprile 1992 Serbia e Montenegro si costituirono nella “Repubblica Federale di Jugoslavia”, dichiarata
erede legittima della precedente Repubblica, e ne proclamarono la Costituzione. Il nuovo stato, però, non
ottenne il riconoscimento della Comunità internazionale.
Le truppe della Repubblica Federale erano state richiamate nei nuovi confini, ma circa l’80% dei militari
serbo-bosniaci dell’esercito federale era rimasto in Bosnia-Erzegovina, costituendo reparti paramilitari ed
occupandola. La guerra civile continuava, causando in Bosnia il maggior numero di vittime e di atrocità,
delle quali la strage di Srebrenica, nel 1995, sarebbe stato il triste emblema. Nel maggio 1992 il Consiglio di
Sicurezza dell’ONU approvò un ampio pacchetto di sanzioni nei confronti della Jugoslavia, e venne disposto
il pattugliamento dell’Adriatico a tutela dell’embargo.
I mesi seguenti videro un continuo peggioramento della situazione politica ed economica della Serbia.
Milošević mise in atto una politica fortemente autoritaria, imponendo uno stretto controllo sulla stampa e
sulle televisioni, e riducendo al silenzio opposizioni e minoranze. Assicurò, inoltre, il sostegno ai Serbi nella
guerra che, in Bosnia, li opponeva ai Croati e ai Bosniaci musulmani
Nel dicembre del 1992 Milošević venne confermato alla presidenza della Repubblica in seguito ad elezioni
fortemente contestate dalle opposizioni; non riuscì, però, a ottenere la maggioranza dei seggi in Parlamento e
fu costretto a formare un governo di coalizione.
La grave situazione economica e sociale del paese e le pressioni internazionali portarono la Serbia, a partire
dal 1994, a ridurre progressivamente il proprio sostegno ai Serbo-bosniaci; questo fruttò al paese un
alleggerimento delle sanzioni economiche, e consentì l'avvio di trattative di pace in Bosnia, che nel
novembre 1995 approdarono alla ratifica degli accordi di Dayton e alla fine del conflitto bosniaco.
Nel frattempo, nell’agosto del 1995, era stata eseguita da parte dell’esercito e della polizia croati
l’”Operazione Tempesta’’, in cui circa 250.000 Serbi vennero cacciati dalla Krajina, regione della Croazia a
maggioranza serba.
II – Documenti ed approfondimenti - 18
Nell'ottobre del 1996, in seguito agli accordi, le sanzioni internazionali che gravavano sulla Serbia furono
parzialmente revocate.
Alla fine del 1996 fu sottoscritto il trattato di pace tra la Jugoslavia e la Croazia, che prevedeva la
suddivisione della Bosnia tra parte serba e parte croato-musulmana.
La situazione politica interna
Sebbene il territorio serbo fosse stato interessato solo in minima parte dallo scontro militare, il conflitto
aveva causato in Serbia una profonda crisi economica e politica, e una forte opposizione al potere di
Milošević.
Nel novembre 1996 Milošević tentò di annullare le elezioni municipali in cui il suo Partito socialista (l'ex
Lega dei comunisti) era stato battuto, ma questo provocò la rivolta delle opposizioni e della società civile.
Dopo tre mesi di manifestazioni di piazza e una missione dell'OSCE per trovare una soluzione alla crisi, il
regime fu costretto a riconoscere i risultati delle elezioni, che assegnavano il governo di una ventina di città,
tra cui Belgrado, all’opposizione democratica del cartello Zajedno (“Insieme”). Le speranze suscitate dalla
vittoria delle opposizioni durarono tuttavia pochi mesi; infatti, a causa delle rivalità sorte tra i suoi leader, la
coalizione si sciolse.
Nel luglio 1997 il presidente Milošević, non potendosi più candidare alla Presidenza serba, si fece eleggere
alla Presidenza della Repubblica Federale. Nelle elezioni presidenziali serbe di settembre, il candidato del
Partito socialista, Zoran Lilić, fu battuto dal leader ultranazionalista Vojislav Šešelj, ma la consultazione, che
non aveva raggiunto il quorum del 50% dei voti, venne annullata. Nelle contestuali legislative, boicottate
dalle opposizioni, il Partito socialista ottenne solo 98 seggi su 250 e per costituire il governo dovette
ricorrere al sostegno dell’ultranazionalista Partito radicale serbo. A dicembre venne eletto alla Presidenza
della Repubblica serba un membro del Partito socialista, Milan Milutinović.
La crisi del Kosovo
Durante tutti gli anni Novanta la situazione nella provincia serba del Kosovo, a maggioranza albanese, si era
andata progressivamente deteriorando, fino a indurre una parte della popolazione di etnia albanese ad
abbandonare la posizione pacifista sostenuta da leaders locali quali Ibrahim Rugova. La situazione era stata
peggiorata dall’insediamento, seppur contenuto, di profughi serbi della Bosnia e della Krajina, in Kosovo, il
che aveva determinato il progressivo aumento del timore che Milošević volesse utilizzare i profughi per
colonizzare il Kosovo e modificarne, a favore dei Serbi, il rapporto etnico, spegnendo così definitivamente le
ambizioni di autonomia degli albanesi del Kosovo). Tra questi ultimi, pertanto, avevano cominciato a
diffondersi posizioni più radicali, e nel 1996 aveva fatto la propria comparsa un movimento di resistenza
armata, l’Esercito di liberazione del Kosovo (UÇK). Quest’ultimo aveva intensificato dall’estate del 1997 la
propria azione, riscuotendo, nella sua posizione indipendentista, un crescente sostegno tra la popolazione di
etnia albanese.
Nel tentativo di ripristinare il controllo sul territorio, il regime serbo rispose dapprima rafforzando la sua
presenza militare nella provincia e poi, nel 1998, lanciando un’offensiva armata contro l’UÇK.
L’escalation armata coinvolse pesantemente la popolazione civile, causando centinaia di vittime e la
distruzione di interi villaggi. All’intervento delle truppe ufficiali serbe si aggiunse la criminale operazione di
pulizia etnica di formazioni paramilitari.
Nel marzo 1998, temendo il rischio di una ripresa della guerra e la sua estensione al resto dei Balcani, il
Gruppo di contatto (istituito per vigilare sulla pace nell’ex Iugoslavia e formato da Stati Uniti, Russia,
Francia, Germania, Regno Unito e Italia) impose, con il parere contrario della sola Russia, sanzioni
economiche alla Serbia. Minacciò, inoltre, un intervento militare se Belgrado non avesse ritirato le proprie
truppe ed avviato un negoziato di pace con i rappresentanti della popolazione albanese del Kosovo. In
ottobre fu raggiunto un accordo che stabiliva il cessate il fuoco, e l’invio di 2000 osservatori dell’OSCE nel
Kosovo, ma la tregua subì continue violazioni nei mesi seguenti.
L’incremento del flusso dei profughi, le violenze sulla popolazione civile, gli atti di guerra spesso criminali
condussero ad un’ulteriore iniziativa diplomatica. Tra febbraio e marzo 1999 una bozza di accordo preparata
dal Gruppo di contatto fu sottoposta alle delegazioni del governo serbo e della comunità albanese del Kosovo
convocate a Rambouillet, in Francia; l’accordo prevedeva il rispetto dei diritti fondamentali (politici,
religiosi, culturali ecc.) della comunità albanese e la concessione di una sostanziale autonomia al Kosovo.
Sebbene si fosse prospettata una certa convergenza di massima tra le parti, la prima fase della conferenza di
Rambouillet non ebbe alcun esito; infatti, i rappresentanti della comunità albanese tentavano di ottenere
II – Documenti ed approfondimenti - 19
dall’Occidente l’immediato riconoscimento del Kosovo come Stato indipendente, mentre la Serbia
respingeva le clausole che imponevano al paese l’accettazione incondizionata della presenza di forze militari
NATO sul territorio dell’intera Federazione jugoslava. Inoltre, la Serbia respingeva l’ipotesi di un
referendum da tenersi in Kosovo a distanza di tre anni dall’accordo, che avrebbe reso inevitabile il distacco
dalla Serbia di un Kosovo protetto da truppe straniere. La seconda fase dei negoziati non vide la risoluzione
delle complesse problematiche politiche e diplomatiche e, al termine della Conferenza, i rappresentanti della
comunità albanese dichiararono la loro disponibilità a firmare l’accordo, mentre i Serbi lo respinsero
definitivamente.
In seguito al fallimento della conferenza, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia, sostenuti dagli
altri Stati membri della NATO, concordarono l’intervento militare.
Le incursioni e i bombardamenti degli aerei e dei missili NATO sulla Serbia e sulle truppe serbe in Kosovo
cominciarono nella notte del 24 marzo 1999. Cominciava così uno dei periodi più controversi della storia
contemporanea.
L’operazione “Allied Forces” costituì il primo esempio di intervento militare della NATO effettuato senza
una preventiva autorizzazione delle Nazioni Unite, dall’esistenza del Patto Atlantico. Fu condannata come
“ingerenza” negli affari interni della Serbia, o “aggressione” a uno Stato sovrano, oppure fu auspicata,
giustificata, supportata come un atto di “guerra umanitaria”, a salvaguardia delle popolazioni civili e mirata
ad interrompere un’operazione di pulizia etnica, condotta dai Serbi a colpi di atti considerati crimini contro
l’umanità. A tutt’oggi, un giudizio degli eventi è ancora affidato agli Organismi internazionali e alle opinioni
pubbliche.
Agli inizi di giugno, dopo 78 giorni di bombardamenti, la Serbia accettò una proposta di accordo che
escludeva la presenza di truppe militari straniere sul suo territorio, confermava la sovranità serba sul Kosovo,
ma disponeva l’amministrazione provvisoria della Provincia da parte dell’ONU (UNMIK, United Nation
Mission in Kosovo) e ne riconosceva un’ampia autonomia, garantita da un contingente di sicurezza
dell’ONU (KFOR), costituito da truppe dei paesi del Gruppo di contatto, Russia compresa.
Per il Kosovo le conseguenze del conflitto furono drammatiche. La comunità albanese, vittima inevitabile
degli effetti dell’attacco aereo della NATO che andavano ad aggiungersi a quelli della repressione serba,
abbandonò le proprie case e a cercò rifugio nei paesi vicini (Albania, Macedonia e Montenegro). Al suo
ritorno trovò città e villaggi devastati dai bombardamenti, o saccheggiati e messi a ferro e fuoco dalle truppe
di Belgrado.
La comunità serba, invece, fu sottoposta nei mesi successivi alla rappresaglia albanese (in buona parte attuata
dalle milizie dell’UÇK) e fu costretta ad abbandonare in massa la provincia.
3.4. La storia recente.
3.4.1. La fine del regime di Milošević.
L’incriminazione di Milošević
La Serbia, sottoposta per più di due mesi al bombardamento della NATO, aveva subito gravissime perdite
umane ed economiche; oltre agli obiettivi militari erano stati colpiti ospedali, scuole, numerose fabbriche e la
rete di comunicazione stradale e ferroviaria. Appariva evidentemente improbabile che il regime serbo, fino
ad allora appena in grado di contenere la crisi che lo erodeva da anni, ed ora completamente isolato a livello
internazionale, potesse procedere alla ricostruzione del Paese.
Nel corso del 2000, il Tribunale Internazionale dell’Aja accusò Milošević di crimini contro l’umanità; questi,
così, vide crollare il consenso nei suoi confronti da parte della popolazione serba, stretta da una crisi
economica feroce, nonché il suo sostegno presso interi settori del regime e dell’esercito. Tra la primavera e
l’estate, allora, in un estremo tentativo di arrestare la sua emorragia di potere, impose al Parlamento federale
un insieme di emendamenti alla Costituzione della Federazione, che gli garantissero la facoltà di concorrere
nuovamente alla Presidenza, e indisse nuove elezioni.
Le elezioni presidenziali federali si svolsero a settembre, e fornirono un quadro politico balcanico fortemente
modificato. Milošević si scontrò infatti contro una ritrovata unità delle opposizioni, che coalizzate nel fronte
di “Opposizione democratica”, raccolsero un forte consenso intorno al loro candidato Vojislav Koštunica, e
II – Documenti ed approfondimenti - 20
venne sconfitto da quest’ultimo al primo turno. Milošević tentò allora di invalidare i risultati del voto, ma la
minaccia di un’insurrezione di massa, il 5 ottobre, appoggiata dalle forze armate lo costrinse a riconoscere la
vittoria delle opposizioni.
Si disegnava una prospettiva del tutto inedita. Nelle elezioni legislative della fine di dicembre del 2000 il
Partito socialista subì una nuova sconfitta, pur conquistando il secondo posto con il 14% dei voti e 37
deputati, e il partito di Mira Marković, la moglie di Milošević, fu letteralmente ignorato dall’elettorato. Il
fronte dell’Opposizione democratica, composto da diciotto partiti, ottenne il 64% dei voti e 176 dei 250
seggi del Parlamento serbo.
L’arresto di Milošević
Alla guida del nuovo governo serbo, insediatosi nel febbraio 2001, fu chiamato Zoran Đinđić, leader del
Partito democratico, la componente più filoccidentale del composito fronte anti – Milošević. Đinđić non si
accontentò della sconfitta politica di Milošević e del Partito socialista e diede il via ad una profonda
epurazione.
Nel proprio tentativo di conservare un ruolo nel panorama politico serbo, così, Milošević si scontrò con una
nuova leadership determinata a chiudere i conti con il passato regime. Venne accusato di abuso di potere e di
reati finanziari e, il 31 marzo 2001, dopo giorni di fitte consultazioni fra tutte le istituzioni, in seguito ad una
drammatica trattativa, si consegnò alla Polizia e venne arrestato.
La primavera fu caratterizzata da una violenta contesa tra le istituzioni federali e quelle serbe, o, meglio, tra i
due più importanti artefici della disfatta del vecchio regime e del suo apparato, il Presidente federale
Koštunica e il premier serbo Đinđić. Koštunica, nazionalista, e convinto che la trasformazione della
Federazione dovesse avvenire con gradualità e progressione, era orientata alla mediazione tra le varie
componenti sociali e politiche del paese, per agevolare e soprattutto non compromettere il possibile, delicato
processo di democratizzazione; Đinđić, invece, governava secondo una linea orientata alla rapida
privatizzazione, non sempre sufficientemente condivisa dal popolo serbo, ed era risoluto nello stabilire un
forte legame con i governi occidentali.
La disparità tra le due linee politiche si manifestò anche sulle decisioni circa la sorte di Milošević, e nel
dibattito sull’opportunità e sulla legittimità di consegnare l’ex presidente al Tribunale penale internazionale
dell’Aja, atto, questo, che condizionava significativamente la concessione alla ex Jugoslavia di aiuti
economici da parte dell’Occidente e, in particolare degli Stati Uniti. Le considerazioni economiche di Đinđić
prevalsero su quelle istituzionali, e il governo serbo scavalcò le autorità federali: con un decreto controverso,
bocciato dalla Corte costituzionale, il 28 giugno 2001 consegnò Milošević al tribunale delle Nazioni Unite.
Nel frattempo, nel sud del paese si era riaccesa l’irrisolta questione albanese. Nella valle di Preševo era
comparso un movimento di guerriglia ispirato all’UÇK, che accettò, grazie alla mediazione della NATO, di
firmare un cessate il fuoco nel giugno 2001.
3.4.2. L’Unione di Serbia e Montenegro.
Politica ed omicidi
Nel 2000 aveva avuto inizio una stagione di “omicidi eccellenti”. Cominciarono ad essere uccisi, in attentati
e per ragioni ancora da approfondire, molti esponenti del mondo politico-istituzionale, dell’esercito e di quel
sottobosco nato dagli intrecci politici, affaristici e criminali che, come inevitabilmente accade in questi casi,
si era generato e sviluppato durante la guerra civile. Apparteneva a questo mondo Željko Ražnatović, detto
Arkan, capo delle “Tigri”, una delle più forti e crudeli milizie paramilitari serbe attive nella guerra in Bosnia,
ucciso il 21 gennaio 2000 a Belgrado.
La tensione tra Đinđić e Koštunica, i due principali leader dello schieramento democratico, comportò che il
Partito democratico di Đinđić si presentasse da solo alle elezioni presidenziali serbe dell’autunno 2002, e le
disertasse dopo il primo turno, in seguito all’eliminazione del suo candidato. Tra ottobre e dicembre si
tennero due diversi turni elettorali, in nessuno dei quali venne raggiunto il quorum del 50% previsto dalla
legge, e fu così vanificata la vittoria di Koštunica. Il pericoloso vuoto istituzionale fu colmato dalla
Presidentessa del Parlamento, Nataša Mićić che, alla fine di dicembre, alla scadenza del mandato del
presidente Milan Milutinović, assunse le funzioni di Capo dello Stato.
Il 2003 vide l’intensificarsi della lotta tra i poteri nuovi e vecchi. Alla fine di gennaio, in seguito a fortissime
pressioni della Comunità internazionale, vennero consegnati al Tribunale dell’Aia Milan Milutinović,
II – Documenti ed approfondimenti - 21
Presidente uscente della Repubblica serba e Vojislav Šešelj, capo del Partito radicale serbo, leader del
nazionalismo serbo più estremo.
Probabilmente quest’ultimo atto intensificò la reazione dei vecchi apparati di regime. E’ ad essi che si
attribuisce l’attentato nel quale, il 12 marzo, il premier Đinđić venne gravemente ferito davanti alla sede del
governo serbo, morendo poche ore dopo; quest’omicidio è ancora incluso nella lista dei crimini controversi
ed insoluti. Nel processo, ancora in corso, i principali accusati dell’omicidio sono appartenuti all’Unita’ per
le Operazioni Speciali (JSO o ‘’Berretti Rossi’’, creata dal Settore della Sicurezza Statale nel 1991, sciolta
subito dopo l’assassinio di Đinđić, attiva nelle guerre in Croazia e Bosnia e sospettata di implicazioni nei
traffici di droga).
L’escalation di violenza portò la Presidentessa Mićić ad assumere i pieni poteri, proclamare lo stato
d’assedio, e lanciare una violenta offensiva contro i settori istituzionali e criminali legati al passato regime.
In poche settimane vennero arrestate più di mille persone: esponenti del mondo politico, della polizia,
dell’esercito e dei servizi segreti. Cominciò, inoltre, una campagna di epurazione, con il congedo di molti
funzionari dello Stato e della magistratura.
La nascita dell’Unione di Serbia e Montenegro (USM, SCG)
Il prevalere della posizione del governo serbo, nel 2001, circa la consegna di Milošević aveva messo in
evidenza la debolezza del ruolo del Presidente federale Koštunica, causando conseguentemente la crisi della
coalizione democratica.
A contribuire ulteriormente all’emarginazione politica di Koštunica era stata, inoltre, la ripresa del contrasto
federale con il Montenegro, il cui Presidente, Milo Đukanović, aveva cominciato a promuovere una linea
politica, largamente condivisa dalla cittadinanza, di separazione definitiva dalla Serbia. In seguito a tale
istanza, nel marzo 2002, fra i rappresentanti delle Repubbliche di Serbia e Montenegro, supportati dalla
diplomazia europea, era stato raggiunto l’accordo di ristrutturare la Repubblica Federale di Jugoslavia,
costituendo una nuova unione di tipo confederale.
L’accordo fu ratificato nel febbraio 2003, e determinò la nascita della “Serbia e Montenegro” (USM, Unione
di Serbia e Montenegro, o, in serbo, SCG, Savez Srbije i Crne Gore). Il 4 febbraio fu approvata la nuova
Costituzione, la settima dal 1918.
La Jugoslavia, “Terra degli slavi del Sud” nata nel 1929, non esisteva più. Entrambe le Repubbliche si
attribuirono l’autonomia politica e in campo economico, doganale e monetario, conservando solo politiche
unitarie estera e di difesa. La durata dell’accordo fu stabilita in tre anni, al termine dei quali ciascuna delle
due Repubbliche dovrà scegliere se confermare l’unione o diventare indipendente.
La situazione al 2004
Le elezioni legislative anticipate serbe del 28 dicembre 2003 risentirono del clima di tensione e sfiducia
determinato dalla grave crisi economica e sociale; ad esse partecipò solo il 59% degli aventi diritto.
Fu clamorosa l’affermazione, al primo posto, del Partito radicale serbo di Vojislav Šešelj, con il 27,6% dei
voti e 82 seggi. Al secondo posto (17,7%, 53 seggi) si piazzò il Partito democratico serbo e al terzo il Partito
democratico (il Partito di Đinđić), con una brusca flessione (12,6%, 37 seggi). Anche il Partito socialista di
Milošević figurò tra gli eletti, al sesto posto (7,6%, 22 seggi).
Koštunica, leader del Partito democratico serbo, dopo complesse consultazioni formò un governo di
minoranza con un partito centrista e uno nazionalista moderato.
In Kosovo la morte di tre ragazzi albanesi, dovuta probabilmente a un fatale incidente, innescò nel marzo del
2004 la crescita di una tensione subsidente, e il conseguente violento attacco contro la residua comunità
serba della provincia. Gli scontri ebbero come centro la città di Mitrovica, e provocarono in pochi giorni la
morte di una quarantina di persone e il ferimento di più di seicento, tra cui una sessantina di soldati della
forza multinazionale della NATO (KFOR). Le violenze causarono anche la distruzione di una trentina di
chiese ortodosse e di una decina di villaggi, con un’ulteriore fuga dei Serbi dalla provincia.
Nelle elezioni presidenziali serbe del giugno 2004 il Partito radicale serbo ottenne un nuovo risultato
clamoroso; il suo candidato, vinto il primo turno, riscosse il 45% dei voti al secondo turno, vinto, però,
grazie a una ritrovata unità dei partiti moderati, dal candidato del Partito democratico Boris Tadić.
Le elezioni legislative kosovare dell’ottobre 2004 furono vinte dalla Lega democratica del Kosovo di
Ibrahim Rugova (45,4%), seguita dal Partito democratico di Hashim Thaci (28,9%), legato all’UÇK. Le
elezioni sono state boicottate dai Serbi, di cui si è recata alle urne solo una piccola minoranza.
II – Documenti ed approfondimenti - 22
I negoziati per l’ingresso nell’UE
Il 29 settembre 2005, a Bruxelles, è stato raggiunto l’accordo dai ministri degli esteri dell’UE per rendere
possibile l’avvio dei negoziati per l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione con la USM.
Il primo passo ufficiale in direzione dell’ingresso nell’UE è stato seguito dalla relazione del 3 ottobre 2005
del Procuratore generale del Tribunale Penale Internazionale dell’Aia, Carla Del Ponte, che ha riferito ai
ministri degli esteri dell’UE sul buon livello di cooperazione della USM col TPI, sebbene ancora non si sia
pervenuti alla cattura dei super latitanti Radovan Karađić e Ratko Mladić.
Sulla base di tale relazione, il 3 ottobre i ministri hanno confermato l’accordo del 29 settembre, e hanno
stabilito l’inizio ufficiale dei negoziati per il 10 ottobre 2005.
La fine dell’USM
Il referendum svoltosi in Montenegro il 21 maggio del 2006 ha decretato, con il 55,5% dei voti,
l’indipendenza dello Stato dalla Serbia e, conseguentemente, la fine dell'ultimo Stato Federale tra
repubbliche ex jugoslave.
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