Il cacciatore e la lontra

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Il cacciatore e la lontra
OBIETTIVO
N AT UR A
:
GLI ANIMALI
Dacia Maraini
Il cacciatore e la lontra
TEMI
Quella che stai per leggere è la storia di due lontre. L’autrice l’ha sentita da un amico che una volta usava andare a caccia.
1. canne: canne del fu-
cile.
2. imperlati: bagnati
con piccole gocce.
3. vorace: avida, ingor-
da.
4.
Constata: appura,
verifica.
5. battibeccare: litigare a botta e risposta.
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Una lontra se ne sta sdraiata al sole sulle rive di un piccolo lago di montagna.
Il suo compagno sta pescando nelle acque, un poco più a monte, ai
bordi del bosco di castagni. I due figli, nati da poche settimane, stanno giocando sopra una roccia sporgente coperta di muschio: si danno delle musate, si spingono dentro l’acqua.
La lontra madre ascolta con orecchie distratte le loro voci allegre.
Finché quelle voci stanno a portata d’orecchio lei sa che può starsene quieta a godere di quel sole dolce che le asciuga il pelo bagnato.
Alza un momento le palpebre, ma la luce la ferisce. Arriccia un poco
il muso quasi ridendo di sé e della sua imprudenza, poi abbandona
indietro la testa stendendo le zampe sull’erba.
La lontra non sa che i suoi movimenti sono seguiti a una distanza di
appena una ventina di metri da un occhio curioso e attento. L’uomo
si nasconde dietro un alto cespuglio di campanule selvatiche. La testa dai ricci biondi è coperta da un berretto di pelle nera con un bottone di madreperla gialla appuntato sopra.
L’uomo solleva le canne1. Ma la lontra non si accorge di niente. Il
vento è favorevole all’uomo. Il fruscìo che provoca il suo gesto non
raggiunge la bestiola sdraiata al sole. D’altronde si sa che le lontre
hanno un buon olfatto ma poco orecchio.
L’uomo guarda nel mirino. Il corpo della bestia è al centro delle due
canne: una macchia scura contro l’erba chiara. Basta premere il grilletto. La centrerebbe in pieno. Ma l’uomo non ha fretta. Qualcosa
in quel corpo che si impigrisce al sole lo incuriosisce. La lucentezza
di quella pelliccia bagnata, le piccole zampe che si aprono sull’erba
quasi a nuotare fra le minuscole foglie scintillanti, il grosso muso
schiacciato, quegli occhi chiusi e quei baffi ancora imperlati2 d’acqua
che tremano leggeri... c’è qualcosa in quella bestiola, pensa, di poco
bestiale. La sua grazia, il suo abbandono fiducioso, quel mezzo sorriso fanno pensare a un bambino.
La lontra intanto spalanca la bocca in un enorme sbadiglio. Sembra
felice, pensa l’uomo, di una felicità indiscreta, vorace3, decisamente
stupida, umanamente stupida.
Di colpo l’uomo preme il dito sul grilletto con determinazione. Constata4 con soddisfazione che ha fatto centro. La lontra cade all’indietro morta.
Un attimo di silenzio. I passeri hanno smesso di battibeccare5. Le
due piccole lontre interrompono i giochi e corrono a nascondersi in
Rosetta Zordan, Il Narratore, Fabbri Editori © 2008 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education
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6. anfratto: rientran-
za stretta e profonda.
TEMI
7. cauti: prudenti.
8. zigzagando: proce-
dendo a zig zag, con
una serie di secchi cambiamenti di direzione.
9. stizza: viva irritazio-
ne.
10. nastrino rosso: fi-
lo rosso di sangue.
11. panico: timore, spavento improvviso e intenso.
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12. brandendo: impugnando saldamente.
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qualche anfratto6 della roccia. L’uomo tende l’orecchio. Spera di
non avere spaventato anche la lontra maschio che pesca sulla riva a
cento metri di distanza. Conta sul fatto che le lontre sentono male.
Il ronzìo delle api si fa più ossessivo. Ora gli sfiorano il naso, le orecchie. L’uomo tira su una mano e con una mossa silenziosa, si calca
sulla fronte il berretto nero.
Qualche minuto più tardi ecco apparire la lontra maschio. Forse
preoccupato per il silenzio dei suoi, forse solo deciso a tornare verso casa. Si avvicina a passi esitanti e cauti7 verso il prato dove ha lasciato la compagna a prendere il sole.
Appena arriva in cima alla collinetta che separa il lago dal prato i
suoi occhi si posano sulla pelliccetta abbandonata. Il suo corpo si
immobilizza con una zampa ancora alzata, le altre tre tese nel movimento dell’avanzata. Solo il naso gli si muove, come scosso da un improvviso furioso annusare.
Che farà la lontra? Correrà a nascondersi o andrà verso la sua compagna colpita?
L’uomo aspetta. È armato di pazienza. Conosce la gioia dell’attesa.
Nella caccia è quasi più importante che sapere sparare.
Ed ecco che la lontra maschio ha preso una decisione: si dirige rapido verso la sua compagna colpita, quasi convinto di poterla ancora
aiutare. Ma corre zigzagando8, come se sapesse di potere essere colpito anche lui. Raggiunge come una freccia la cima della collina. Annusa il corpo della compagna. Poi la afferra per il collo con i denti e
la trascina verso il lago.
Quando fa per superare una piccola gobba di terreno, viene raggiunto da un colpo al fianco sinistro. Ha un sussulto. Cade. Ma non
lascia la presa sul collo della compagna. Anzi, stringe più forte i denti e cerca di rialzarsi e riprendere la corsa.
Il cacciatore fa un gesto di stizza9. Che cretino, si dice, non averlo
ucciso con un colpo solo, che cretino! Devo finirlo, decide. E con
quest’idea esce da dietro il cespuglio.
La lontra intanto ha quasi scavalcato la cima della collina trascinando faticosamente il corpo della compagna morta. Sull’erba dietro di
lui si snoda un nastrino rosso10 splendente.
Intanto le sue piccole lontre al secondo colpo di fucile sono state prese
dal panico11 e, invece di nascondersi in silenzio dietro le rocce, sono
scappate precipitosamente verso la tana inciampando negli stivali del
cacciatore. Lui allunga una mano divertito e quasi riesce ad afferrarne
una per la coda. Ma gli sfugge lasciandogli fra le dita un mucchietto
di peli bagnati. Fa per inseguire i due piccoli ma poi ci ripensa: deve
finire quel maschio che si trascina ferito. Perciò carica il fucile e si avvia
verso il lago seguendo il nastro rosso.
Lo vede vicino all’acqua, che quasi vi si sta immergendo. Spicca la
corsa. Lo raggiunge, brandendo12 il fucile dalla parte delle canne,
colpisce la bestia sulla testa.
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13. fulgore: splendore
vivo e intenso.
14. spicca: stacca.
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Finalmente è morta, si dice. Piega le ginocchia per osservare i due
corpi abbandonati. Allunga una mano per tirare su il maschio e si
accorge che tiene ancora coi denti il collo della compagna. Afferra
la pelliccetta insanguinata e la sbatte contro i ciotoli. Ma sembrano
incollate. Prova a tirare la femmina per le zampe. Sotto le dita sente
il calore della pelle. La lontra maschio respira ancora.
L’uomo prova una improvvisa acuta simpatia per quel piccolo essere tenace che pur ferito a morte continua a tenersi aggrappato alla
sua compagna. Vorrebbe finirlo pietosamente, ma come?
Proprio in quel momento il bel maschio piega la testa su un fianco
con un piccolo singhiozzo. Non respira più. I due corpi ora sono
davvero morti, l’uno addosso all’altro. Le loro pellicce prendono un
fulgore13 rossiccio sotto il sole di mezzogiorno.
Il cacciatore spicca14 una larga foglia pelosa dal tronco tenero di un
giovane castagno, pulisce una piccola traccia di sangue sul calcio del
fucile. In bocca sente qualcosa di amaro: il sapore di uno strazio inutile e perciò crudele. Ma una voce che lui identifica con il buon senso gli dice che la vita è così, cattiva, che la morte è una esperienza
comune e gli uomini forti devono saperla dare e ricevere senza tanti sentimentalismi.
Lega le due bestiole per le zampe e le appende a un gancio che sporge dalla sua cintura. Poi si incammina deciso verso la tana dove sa
che troverà i due piccoli ad aspettarlo.
(da Storie di cani per una bambina, Fabbri, Milano, 1999, rid.)
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