Una bella tavola resiste ai tempi,Bere bene, spendendo poco,Gli
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Una bella tavola resiste ai tempi,Bere bene, spendendo poco,Gli
Altro cattivo agitare le posate esempio: Ho sempre pensato che uno scrittore di romanzi e altrettanto uno sceneggiatore, nel descrivere i personaggi pongano cura ai loro gesti in quanto caratterizzano la personalità, e pertanto li faccia comportare in un certo modo per collocarli nel loro ambiente e si sa quanto valore abbia l’immagine. Per mia innata deformazione, in tutte le rappresentazioni filmiche (al cinema, in televisione) ho sempre prestato particolare attenzione alle scene attorno alla tavola. Mi piaceva osservare l’apparecchiatura, il modo di servire, di mangiare, di star seduti. Tutto mi sembrava impeccabile, con i commensali dalla schiena ben diritta e non piegata verso il piatto, il tovagliolo sulle ginocchia, l’uomo che versa il vino alla donna, e tanto altro. Tuttavia notavo degli aspetti che non corrispondevano agli insegnamenti che ricevevo in casa. Per esempio, mi rendevo conto come fosse diversa la mia educazione, riguardo al tenere in vista sul tavolo anche la mano “inoperosa”, dai modelli immortalati nei film americani, ove la mano che non usa la posata si tiene accuratamente nascosta, posata in grembo. Va bene, è questione di Galatei, ogni Paese ha il suo, ma rabbrividivo, e ancora mi procura fastidio, vedere, durante le conversazioni, con gran frequenza la mano che impugna forchetta o coltello gesticolata e indirizzata verso qualcuno, nel sottolineare qualche frase pronunciata. Fin troppo spesso tale gestualità viene ripetuta nel corso di cene ambientate in contesti in cui si muovono figure di un ceto medio-alto, manger in carriera, professionisti di varie categorie, insomma quei personaggi che vengono raffigurati, più o meno, come ideali da desiderare di eguagliare. La serie televisiva “Sex in the city” è una fonte di tali condotte. Possibile che i registi facciano adottare dagli attori l’uso comune? O sono essi tanto ignoranti? Non posso credere che siamo solo noi Italiani ad aver codificato come sgarbato e riprovevole il maneggiare le posate a guisa di armi da puntare contro le persone, segno di sfida, di minaccia, di intimidazione. Perché, infatti, così viene inteso sia dal Galateo sia dal linguaggio dei gesti. Al pari del dito indice mosso in direzione dell’interlocutore. Mi auguro queste gestualità non si manifestino in ufficiali ai quali partecipino personalità di sociale, politico, sindacale, perché in tal caso – accesi – esse potrebbero essere davvero scambiate banchetti rilievo, tra animi per come sopra ho enunciato, invece che considerate semplice ignoranza del Galateo. E ci si guardi bene dall’adoperare allo stesso modo le bacchette in ristoranti cinesi e giapponesi o coreani. Agitare o puntare i bastoncini di legno è un gesto riconosciuto in quelle culture come altamente volgare. Sembra che quei popoli tengano alle corrette maniere molto più di noi occidentali. Maura Sacher Guida facile ai piaceri del vino Dopo l’ultimo libro di narrativa, l’eco-giallo di cui abbiamo già dato resoconto in febbraio, Franco Faggiani, fotografo, giornalista, esperto di vino con mille interessi, “venuto al mondo a Roma da padre argentino e madre lussemburghese”, come scrive di sé, ritenendosi un mix di tutto, ha dato alle stampe questa sua nuova opera, la «Guida facile ai piaceri del vino». Su di essa pubblichiamo con piacere la valutazione descrittiva, con le necessarie riduzioni per motivi di spazio, mandataci dall’amico Piero Valdiserra. Un piccolo bijou editoriale, pensato per i neofiti intimiditi o infastiditi dal vino – come li definisce Faggiani – ma destinato a intrigare e incuriosire anche gli addetti ai lavori. La partizione del volume, con i suoi 8 capitoli, richiama i testi sacri del settore: dalla vigna alla bottiglia, come leggere l’etichetta, acquistare, assaggiare, abbinare, al ristorante, il vino a casa, vino e salute. L’autore ci accompagna amichevolmente, ma al tempo stesso con passo esperto e sicuro, lungo un percorso che è anche il suo percorso: un itinerario di decenni fra vigne e cantine, botti e bottiglie, aziende e locali di ogni tipo e di ogni regione d’Italia. Come si diceva una volta degli inviati autentici, Franco Faggiani ha consumato molte paia di scarpe per poter scrivere questo libro. E il moto perpetuo di Faggiani lo ha portato a creare un mosaico composito, in cui si fondono armoniosamente gli insegnamenti discreti, le raccomandazioni garbate, da quelle più tecniche a quelle di bon ton, gli aneddoti e i ricordi di una vita di degustazioni, di pranzi e di cene, dalle Alpi alla Sicilia. E in coda a ogni capitolo non manca neppure una piacevole sezione, “Buono a sapersi”, che raccoglie curiosità, consigli pratici e trucchi per fare sempre bella figura in società. Anche per il lettore più profano, affidarsi a Faggiani è come intraprendere un viaggio mettendosi nelle mani di una sorta di Ulisse del vino: che alla sagacia (metis) e all’esperienza dell’eroe omerico unisce un tono sempre famigliare e un tocco sempre accessibile e bonario. A lettura ultimata, chiunque saprà destreggiarsi con la comprensione delle etichette, con la temperatura e le modalità del servizio, con gli abbinamenti a tavola, con il corretto comportamento al ristorante; e potrà, se vuole e se già non l’ha fatto, crearsi una piccola cantina personale a casa propria. Ridotta nelle dimensioni (11 x 16,4 cm, 125 pagine, 11,90 euro), la Guida di Faggiani è edita da Endemunde Edizioni di Milano, casa editrice di recente costituzione che presenta testi introvabili, dimenticati o inediti in Italia con l’obiettivo di suscitare e tener vivo il piacere tradizionale della lettura. Maura Sacher • Tenere in mano un calice Sul comportamento c’è una regola generale che dice “se non sai come si fa, guarda gli altri come fanno”, in verità dovremmo scegliere attentamente le persone da prendere come esempio, e non è sempre facile individuare coloro che sono affidabilmente degli “esperti”. È sufficiente vedere la varietà di comportamenti a tavola, e non mi riferisco ai casi di eclatante maleducazione, riconoscibile da ogni persona con un minimo bagaglio di insegnamenti ricevuti in famiglia, quanto piuttosto a diversi tipi di situazioni “stonate” in cui cadono anche i vip. Nella carrellata di questa nuova serie della Rubrica iniziata l’altro mese, il secondo degli esempi che spiccano e che mi piace offrire alla riflessione del lettore, riguarda il modo, anzi, i tanti modi in cui si vedono maneggiare i bicchieri. Sull’euforico sbatacchiamento di calici per il brindisi, ho già espresso il punto di vista del Galateo, oggi parlo di come questi calici vengono offerti e tenuti in mano. Il bicchiere è un oggetto delicatissimo: richiede una cura particolare nel lavaggio e nell’asciugatura, pena il rischio di ritrovare sul vetro le macchioline del calcare o i pelucchi dello strofinaccio, non di meno persino le impronte di chi lo ha avuto per le mani prima di noi che da esso beviamo. Per questo motivo, negli esercizi pubblici stellati il personale indossa dei guanti bianchi quando li ripone o apparecchi le tavole. Io stessa ho i miei guantini per i bicchieri e i piatti dei servizi buoni. È da ricordarsi sempre che i bicchieri non vanno mai toccati sul bordo, chi beve non ha piacere di sapere che altre persone ci hanno lasciato il loro DNA, sì, perché noi perdiamo ogni giorno milioni di cellule morte dalla nostra pelle le quali si attaccano su qualunque cosa, specie quando tocchiamo oggetti. Impressionante, vero? Pertanto, quando offrite un bicchiere, è opportuno maneggiarlo alla sua base. Inoltre, perché il calice si deve reggere per lo stelo, sia nel porgerlo sia nel degustarlo? La risposta scontata è che il vino, in particolare il bianco e lo spumante, per essere assaporato al meglio, non deve alterare la sua temperatura di servizio risentendo del calore delle mani. Aspetto della “cultura del vino” che noto sia poco diffuso tra i consumatori. Non per questo, tuttavia, dobbiamo atteggiarci tutti a grandi intenditori e reggere il calice con tre dita intorno alla sua base! Potremmo sembrare bizzarri, se non siamo nell’ambiente professionale. Fanno eccezione particolari vini d’annata e liquorosi, i quali necessitano, invece, di essere scaldati per esprimersi al meglio. Da ciò, il consiglio d’apertura: se non si è sicuri, meglio osservare il comportamento degli altri, di coloro che hanno l’aria di “affidabili”, e non è detto siano la minoranza! Maura Sacher I misteri delle Marche: una “guida insolita” Una riedizione del volume è stata presentata in occasione della vigilia delle Festività Cristiane di Novembre, periodo che in diverse località italiane ed estere è associata a ritualità e leggende antiche e popolari, e che, senza scomodare l’importata Halloween, celebrata in tutti gli stati di influenza anglofona, conserva forti valenze simboliche, con radici nella mitologia ma anche nella religiosità medievale, intrisa di superstizione. «Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità delle Marche», di Fabio Filippetti ed Elsa Ravaglia, Newton & Compton Editori, Roma, 2002, recentemente ristampato in edizione economica, euro 12,90, scritto a quattro mani da una coppia di medici appassionati cultori della storia locale, offre un viaggio elettrizzante nelle complessità della regione Marche, territorio con una lunga storia di dominio di culture e civiltà diverse, dai Galli Senoni, i Greci, i Romani, ai Bizantini e i Longobardi, per arrivare con altri salti di secoli alla lunga appartenenza allo Stato Pontificio e alla breve dominazione francese con Napoleone. Un mix di pluralismi che hanno plasmato i differenti caratteri delle popolazioni. Inoltre è la stessa morfologia del territorio marchigiano a definire le diversità, favorendo il nascere di racconti ispirati dal mare e altri nati nelle valli e sui monti: storie di marinai, pirati, giganti, santi, streghe, fate e fantasmi. Senza tralasciare gli arcani della Sibilla appenninica, le leggende i Monti Sibillini, il magico Monte Conero, gli enigmi della Fossa del Diavolo e del Lago di Pilato, le campane fantasma di Carpegna. O i mille segreti di Ascoli, i misteri della cattedrale di Ancona e del pentacolo nascosto di Morro d’Alba o delle Grotte di Frasassi. E, infine, i luoghi toccati da Dante, Nostradamus, Cagliostro, Casanova e D’Annunzio. E non dimentichiamo il mistero della traslazione della Santa Casa della Vergine Maria a Loreto. Le Marche offrono ai visitatori non solo paesaggi diversi, tra olivi, vigneti, campi di girasole e di mais, bensì la memoria di un passato storicamente e culturalmente denso, che questo volume vuole raccontare e insieme salvaguardare. E, perché no, far rivivere, come fanno ad Ostra, borgo medievale circondato da mura e torri antiche, dove nelle tre notti dell’ultimo fine settimana di ottobre, viene ricreata un’atmosfera magica, suggestiva e terrificante, dedicata agli “Sprevengoli”, «spiritelli dispettosi che operavano di notte, mentre uno era nel chioppo del sonno, fra l’una e le tre del mattino, saltavano sullo stomaco e premevano, premevano, finché il malcapitato si svegliava zuppo di sudore e in affanno». Per esorcizzare la paura suscitata dalle misteriose presenze che si aggirano indisturbate per i vicoli del paese con il sottofondo di musiche antiche, in un’atmosfera resa ancora più suggestiva da figuranti, giocolieri, suonatori, mercanti, artigiani in costume, i visitatori possono passare di cantina in cantina per degustare i piatti tipici della tradizione gastronomica marchigiana e sorseggiare un ottimo bicchiere di vino Lacrima di Morro d’Alba. Maura Sacher Gli esempi che spiccano: cominciamo dal brindisi Guardando la televisione, film o sceneggiati o documentari, ma anche spot pubblicitari, avete mai osservato i comportamenti delle persone in scene con situazioni attinenti al mangiare o bere? Avete mai notato nulla di stonato (conoscendo le voi regole giuste)? Gli esempi sono innumerevoli, inizio dal primo che mi viene in mente: il comunissimo brindisi, a inizio o fine pasto o semplicemente come calice d’aperitivo: un continuo euforico sbatacchiamento di calici tra le persone radunate. C’è addirittura uno spot su un detersivo potentissimo che fa sparire le “macchie difficili”, in cui, nell’entusiasmo di trovarsi riuniti a tavola, si pestano i bicchieri l’uno contro l’altro, cosicché schizza fuori tanto di quel vino rosso che macchia la tovaglia, con l’indifferenza della padrona di casa, in possesso della formula magica contro gli aloni vinosi. Capisco la necessità dell’inventiva pubblicitaria, ma per favore, alla televisione un tempo era affidata una funzione educativa, essa era considerata un’occasione per gli italiani per evolversi in cultura … ora siamo agli antipodi. Non solo l’informazione che i mille canali ci propinano è di parte, e attraverso l’indice di gradimento calcolano gli share, percentuali di ascolto, indici di gradimento, che aiutano solo i sovvenzionamenti e la stessa sopravvivenza del format, inculcandoci quello che gli riesce per fare di noi “opinione popolare”, ma anche a ridurci a gregge non pensante. Assorbiamo tutto. Nell’assistere a certi comportamenti trasmessi dai media, una gran parte del pubblico si forma l’idea che quelli sono i giusti, e li replicheranno … perché “l’ho visto in tivù”. Invece no, la regola della levata dei calici di vino non richiede il tintinnio, non è da fare quel “cincin”, tra l’altro per tanto tempo erroneamente spacciato come festoso suono onomatopeico dei cristalli che si toccano (termine che è bene non usare perché o stiamo dicendo una parolaccia in giapponese, nominando una parte anatomica maschile, o un cortese «prego prego» in cinese cantonese). È sufficiente alzare davanti a sé il proprio bicchiere e sorridere al festeggiato e ai commensali, in quasi tutti i paesi del mondo, anche accompagnando il gesto con parole benaugurali. Nella nostra cultura latina non esiste il rito di guardarsi fissi negli occhi mentre si brinda, a meno che non sia in fasi di corteggiamento, mentre questo è un obbligo nella cultura germanica e scandinava, pena il rischio di offendere i padroni di casa e qualche ospite importante. Se proprio vogliamo adottare un’abitudine straniera, riserviamo questo guardarsi negli occhi quando beviamo la birra: in tal caso possiamo anche replicare la ritualità dello scontro collettivo dei bicchieri, ma alla base non al vertice, e poi ribatterli sul tavolo prima di sorseggiare. Consapevoli, tuttavia, che questi gesti non appartengono al nostro Galateo, bensì a quello di altri popoli. Maura Sacher Gambero Rosso presenta la nuova “Guida bar d’Italia 2015” Un appuntamento assolutamente irrinunciabile quello della conferenza stampa di presentazione della nuova Guida Bar d’Italia 2015, tenutasi pochi giorni fa presso la Città del Gusto di Roma. Quest’anno l’ambito premio di migliore bar d’Italia è stato vinto dal Bar Bedussi di Brescia “per la creatività dei giovani professionisti che hanno innovato il concetto di bar, offrendo al tempo stesso un servizio di elevata qualità, mantenendo un grande rispetto della materia prima”. Ulteriori premi speciali sono stati infine attribuiti ai caffè storici dei grandi alberghi come il Gabbiano e Fortuny dell’Hotel Cipriani e il Winter Garden Bar dell’Hotel St. Regis Florence. Regione leader dei migliori bar d’Italia si conferma il Piemonte (8 locali premiati), seguono la Lombardia con 7, il Veneto con 6, la Sicilia con 5, Emilia Romagna con 3, Friuli Venezia Giulia con 3, Liguria, Toscana, Lazio con 2. Un locale sul podio per Abruzzo, Marche e Puglia. Da quest’anno la selezione di Bar d’Italia, che si rinnova nel formato e nella grafica e dà vita ad un’app al cui interno saranno disponibili continui aggiornamenti, è ancora più rigorosa a cominciare proprio dai cardini fondamentali del bar: la qualità della colazione e del caffè. Riepilogo Dopo cinque anni che scrivo per questa rubrica, iniziando sulla testata di “oliovinopeperoncino” nel settembre 2009, con articoli andati persi nei cambiamenti delle strutturali revisioni ma in parte recuperati e riproposti, e nello sdoppiamento sulla presente testata di “egnews”, ho bisogno di condividere una riflessione. Ho analizzato in lungo e in largo le regole della perfetta “mise en place” della tavola, ideale contorno per ricevimenti che accolgano i commensali in atmosfere avvolgenti, ho esposto le regole basilari per l’accoglienza degli ospiti, in mezzo alle feste natalizie o in piena estate, persino in case di vacanza o in serate al barbecue, offrendo anche consigli su come si mangiano certe pietanze. Ho fatto sunti dei “divieti” di alcuni comportamenti a tavola secondo il Galateo tradizionale, inclusi gli argomenti “vietati” nelle conversazioni. E pure ho raccontato quali sono i modi più eleganti per estendere un invito e rispondere, quali abbigliamenti sono indicati a seconda degli orari dell’evento pasto, e cosa l’ospite può o non deve portare, secondo l’occasione. Il tutto spesso condito con riferimenti storici, al fine di far capire che le “Regole” del buon comportamento a tavola non sono un’invenzione di oggi e nemmeno risalgono al 1500, con la pubblicazione di quel trattato di Monsignor Della Casa, ma hanno radici ben antiche, risalenti ai tempi in cui le civiltà si sono date norme del vivere sociale. Non so se i lettori odierni attingono all’archivio per tenersi informati. Lo spererei, giacché le regole non cambiano con il passare degli anni, e quello che ho scritto in questo tempo rispecchia ciò che è consolidato nei secoli. Secondo la mia opinione, non sarebbe corretto ripescare argomenti ‘vecchi’ e ripresentarli in veste nuova, con altre parole. Ho scritto quasi tutto ciò poteva essere raccontato in merito. Pochissimo resta, ed è marginale. I lettori amici non me ne vogliano, non ho un input diretto delle loro stime per un tema o l’altro, né delle loro preferenze. Per questi motivi la rubrica da quasi settimanale è passata a quasi mensile. Forse è il caso di rinnovare il repertorio piuttosto che attingere a concetti già trattati e offrirli con taglio diverso. Con il prossimo mese, probabilmente ci saranno delle sorprese. donna Maura [email protected] La tovaglietta all’americana Anche chiamarla “in stile americano” evoca sempre l’idea che in America, o meglio negli USA, non conoscano la vera tovaglia e usino solo le pezze individuali su cui posare i piatti, scordando che in Oriente adottano il medesimo tipo di arredo. Retaggio di tante usanze importate? Ricordo che nei primi anni ’70 una mia amica giovane sposina aveva organizzato la sua prima cena per gli amici e aveva sistemato sul tavolo, lungo, di legno massiccio in stile fratino, una specie di stuoia di lino con le frange per ciascuno dei commensali, verde e marrone alternati. Fu allora che io appresi quel nome e da allora non c’è quasi mai stato per una ventina d’anni un Natale che un set di quelle tovagliette, singole o in coppia, non fossero scambiate tra amici e parenti. Ne comperai un paio persino io in montagna, stupende, bianche, con al centro un ricamo rosso di stelle stilizzate. Erano giustE per la colazione del mattino e dotate di un tovagliolo quasi più grande di loro. Le ho ancora, usate solo all’inizio, per non sporcarle, e le utilizzo d’inverno talvolta per coprire un vassoio e servire qualche bibita. Ovviamente la moda e l’industria tessile si sono sbizzarrite nelle forme, più o meno larghe, e nelle stoffe, ce ne sono di seta indiana con ricami bellissimi. Oppure di bambù o vimini, secondo lo stile cinese e giapponese, persino di sughero o rafia. Quelle plastificate è meglio riservarle alla colazione dei bambini! Sono entrate nell’uso e non c’è casa che non le abbia e le esibisca, all’occasione. È evidente, tuttavia, che per apparecchiare in questo modo è necessario o avere un bel tavolo da esibire, con ripiano di cristallo per esempio e gambe scultoree degne di essere contemplate, o un tavolo rustico e resistente alle macchie (gocce di vino o acqua sotto i bicchieri, per esempio). Anche le stoviglie, piatti e bicchieri, devono essere in tono. Tuttavia, per quanto esistano tovagliette individuali molto eleganti, questo tipo di tovagliato può essere usato per occasioni informali e soprattutto mai a pranzo serale (non chiedete a me il motivo, sta scritto…), però non arricciate il naso se vi capita di essere invitati e trovate la tavola apparecchiata in simile modo! Non è un delitto contro il galateo. Qualcuno ritiene che aiuti a delimitare lo spazio a disposizione del commensale, affinché non confonda le proprie posate con quelle del vicino. Ad ogni modo è una delimitazione, frappone una barriera tra i commensali e in senso positivo induce a mantenere l’estetica della mise en place, perché i tuoi bicchieri te li devi tenere sul coperto e non sparpagliarli sul tavolo creando quel disordine che io personalmente detesto. Viene considerata un’idea originale la tovaglietta americana sotto il piatto ad emulare il sottopiatto. Decorativa e intonata alla tovaglia sottostante, versione elegante della apparecchiatura delle osterie e dei self service. Spesso è trendy quello che un tempo era usanza dei poveri. donna Maura I fiori non sono sempre un dono gradito Restiamo in tema di fiori, per definizione, l’omaggio più delicato si possa fare ad una persona, rallegrano l’ambiente e talvolta profumano la stanza, di solito molto graditi in tutte le occasioni, senza differenze d’età e di genere, purché si indovini il tipo “preferito” da chi li riceve. Fuori di dubbio che per un invito in casa l’ospite non si presenta a mani vuote, porta un dono e classicamente la scelta cade su un pensiero floreale, piantina o mazzo. È suggerito dal galateo, specialmente quando si entra per la prima volta in una casa e in tutte le “prime”, per ogni tipo di inaugurazione. È considerato di buon auspicio, purché non ci siano spine su cui pungersi. Non occorre esagerare, una piccola pianta fiorita o un mazzolino anche di campo, sono l’ideale. Avendo confidenza con il destinatario dell’omaggio si può optare per fiori più impegnativi, purché si conosca il loro significato, giacché anch’essi hanno un loro “linguaggio”. Se l’invito è per una cena formale, è meglio far recapitare la pianta o il mazzo di fiori nella giornata stessa, con un bel bigliettino, giacché bisogna dare il tempo a chi li riceve di acconciarli adeguatamente nei vasi e di sistemarli nella posizione più consona. In questo caso, il ricevente dovrà ricordare di ringraziare l’ospite appena varcherà la soglia e di mostrargli dove è stato sistemato il suo presente. Così l’invitato viene rassicurato che il fioraio ha eseguito bene il mandato, non si sa mai. Se all’ospite è venuta la malaugurata idea di far confezionare un mazzo ingombrante sia pure spettacoloso e lo porta a mano, la padrona di casa potrebbe odiarlo! Non tutti possiedono di vasi di varie grandezze, c’è rischio di creare disagio alla signora la quale deve mettersi a rovistare nelle credenze magari senza trovare nulla di adeguato. Ma soprattutto le si fa fare una figura non proprio da manuale di buone maniere costringendola a trascurare gli invitati per questa incombenza. Ad ogni modo una saggia padrona di casa, conoscendo le regole dell’ospitalità e le abitudini dei suoi invitati, si premurerà di dotarsi di alcuni contenitori di varie dimensioni per non essere mai colta impreparata. La foggia migliore per un omaggio floreale è quella del bouquet con roselline o gerbere, anche in stile Biedermeier. A meno di concordare prima, è molto sconsigliato portare un qualcosa che “faccia da centrotavola”, la padrona di casa ci avrà già pensato di suo e, sia pure non avesse già provveduto, comunque il gesto sarebbe visto come alquanto sconveniente, come se l’invitato volesse imporre il proprio gusto. Se succede, la composizione va accettata con un sorriso e posata su un piano bene in vista in sala da pranzo o sul tavolino del salotto dove può tranquillamente fare la sua bella figura. Capita ancora che un corteggiatore, invitando la sua amata alla prima cenetta intima in ristorante, giunga all’appuntamento con un fiore o un mazzolino. Niente rimproveri: si chiede al cameriere di procurare un vaso e si cena godendosi lo spettacolo floreale sulla tavola. Ancora in merito a cenette di coppia, anche cinquantesima, e passasse un venditore di rose signori uomini facciano i cavalieri, cinque euro sorridere estasiata la propria compagna penso siano spesi. fosse la rosse, i per veder soldi ben donna Maura Un viaggio nello “spirito” del nostro Paese “Grappa – Spirito Italiano”, progetto editoriale del Poli Museo della Grappa e del suo curatore, Jacopo Poli, racconta le origini e l’evoluzione del distillato di bandiera attraverso le immagini delle bottiglie. Un’opera unica per tutti gli italiani. “Grappa – Spirito Italiano” di Jacopo Poli, edizioni Rizzoli, racconta le origini e l’evoluzione del distillato di bandiera attraverso le immagini delle bottiglie prodotte dagli inizi degli anni ’30 (quando ne fu regolamentata l’etichettatura), fino alla fine degli anni ’50 (avvento della distillazione industriale). Un’opera unica perché raccoglie 371 grappe rare da collezione, provenienti da 181 distillerie, di cui 122 ormai scomparse. Scorrere le pagine di quest’opera, significa percorrere un viaggio nella memoria di questo Paese, spesso rimossa, un patrimonio scomparso di storie di famiglia, di tecniche produttive, di esperienze professionali, travolte da un falso modernismo dalle gambe corte. La grappa, secondo Poli, è come gli italiani, e bene ne rappresenta pregi e difetti, ma sicuramente non è mai banale perché in tutte le sue espressioni rappresenta perfettamente l’unicità dello spirito italiano. Un’opera unica che unisce nord e sud, isole comprese, nello spirito immortale racchiuso nelle fragili bottiglie che hanno fatto la storia della grappa di questo Paese. Un testo da custodire gelosamente, perché la storia della grappa rappresenta la storia d’Italia, anche se molti ancora non se ne rendono conto. Una veste grafica raffinata, per affidare al futuro di questo Paese una storia minima da ricordare, una goccia di eternità da custodire nella propria biblioteca. Jacopo Poli Grappa – Spirito Italiano €. 32.00 Rizzoli