applicazioni lineari
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APPLICAZIONI LINEARI Siano V e W due spazi vettoriali, di dimensione m ed n sullo stesso campo di scalari ℜ. Una APPLICAZIONE ƒ : V → W viene definita APPLICAZIONE LINEARE od OMOMORFISMO se risulta, per ogni coppia v1, v2 di vettori di V e per ogni coppia a, b di elementi del campo ℜ: ƒ(a·v1 + b·v2) = a·ƒ ƒ(v1) + b·ƒ ƒ(v2) V è detto DOMINIO di ƒ, W è detto CODOMINIO di ƒ. Dalla definizione segue che ƒ(0) = 0; questa è una CONDIZIONE NECESSARIA, ma NON SUFFICIENTE, perché ƒ sia lineare. L’insieme di tutti i vettori w di W che sono i trasformati, mediante ƒ, di qualche elemento di V è detto IMMAGINE di ƒ e indicato con ƒ(V) o Im(ƒ ƒ). Il trasformato w = ƒ(v) di un elemento v è detto immagine di v; ogni vettore v che venga trasformato in w è detto antimmagine di w. L’insieme di tutti i vettori v di V la cui immagine per ƒ è il vettore nullo di W è detto NUCLEO di ƒ e indicato con Ker(ƒ ƒ). Ker(ƒ ƒ) è sottospazio vettoriale di V. Vale il teorema: dim Im(ƒ ƒ) + dim Ker(ƒ ƒ) = dim V ƒ è detta INIETTIVA se, qualora sia v1 ≠ v2 risulta pure ƒ(v1) ≠ ƒ(v2); ƒ è INIETTIVA se e solo se dim Im(ƒ ƒ) = dim V, (quindi è dim Ker(ƒ ƒ) = 0); ƒ è detta SURIETTIVA se ogni vettore w di W ha almeno un’antimmagine in V; ƒ è SURIETTIVA se e solo se dim Im(ƒ ƒ) = dim W; ƒ è detta BIUNIVOCA (o ISOMORFISMO o TRASFORMAZIONE LINEARE) se è contemporaneamente INIETTIVA e SURIETTIVA; Alcune esemplificazioni negli insiemi numerici. a) Dati gli insiemi A = [1, 2, 3, 4, 5] e B = [8, 9, 10] e l’applicazione ƒ tale che sia ƒ(1) = ƒ(2) = 8, ƒ(3) = 9, ƒ(4)= ƒ(5)= 10, dimostrare che ƒ è suriettiva. Esaminando la rappresentazione grafica, mostrata in figura, si evince che ogni elemento di B è immagine di almeno un elemento di A; il codominio di ƒ coincide con B. Ricordiamo che: una applicazione ƒ di A in B = ƒ(A) B 1 si definisce surriettiva A quando è ƒ(A) = B cioè 8 2 quando ogni elemento di 3 9 B risulta IMMAGINE di 4 10 almeno un elemento di A. 5 Se ƒ è SURIETTIVA, si dice allora che ƒ applica A su B. b) Siano dati gli insiemi A = [1, 2, 3, 4] e B = [1, 2, 3, 4, 5, 6] e l’applicazione ƒ che associa a ogni elemento a∈ ∈A un elemento b∈ ∈B tale che sia: b = a + 1. Studiare l’applicazione. La rappresentazione grafica, mostrata in figura, evidenzia che a ogni elemento di A corrisponde un solo elemento di B; l’insieme A coincide con il “dominio”; il ‘codominio’ ƒ(A) è un sotto insieme “proprio” di B. L’applicazione ƒ esaminata, 1 risulta INIETTIVA: cioè, a 2 A elementi distinti la funzione 2 3 fa “corrispondere” elementi 4 ƒ(A) distinti. 6 3 5 Per l’applicazione vista in 4 figura 2, si osserva anche (figura - 2) che in B sono presenti degli elementi che non sono immagini di elementi di A, cioè l’applicazione NON È SURIETTIVA. Ricordiamo che: un’applicazione ƒ di A in B si dice Iniettiva se a elementi distinti di A associa, o fa corrispondere, elementi distinti di B. 1 c) Consideriamo l’insieme dei numeri relativi Z ed analizziamo l’applicazione che associa a ogni elemento il suo quadrato, cioè: ƒ : [ x → x2 : Z → Z ] Osservando la rappresentazione grafica di figura 3, si evince che l’applicazione introdotta in Z non è iniettiva in quanto sussistono elementi distinti (cioè due interi -3 -2 -1 0 +1 +2 +3 +4 opposti) che possiedono la stessa immagine (lo stesso quadrato) e non è neppure suriettiva poiché un intero qualsiasi non risulta, in generale, quadrato di un altro. Si noti che l’applicazione ƒ’ così -3 -2 -1 0 +1 +2 +3 +4 definita: (figura - 3) 2 ƒ’ : [ x → x : N → Z ] è INIETTIVA ma NON è SURIETTIVA. Come si nota, benché le due applicazioni ƒ ed ƒ’ esprimano lo “stesso procedimento operativo di calcolo”, la differenza del dominio di queste applicazioni implica delle proprietà diverse tra loro. Un’applicazione dell’insieme A sull’insieme B che sia contemporaneamente iniettiva e suriettiva si dice biiettiva. In una applicazione biiettiva di A in B a ogni elemento di A è associato uno e un solo elemento di B e viceversa ogni elemento di B proviene da uno e uno solo elemento di A. comunemente si è soliti dire (figura - 4) B Più r che tra A e B si è posta una a corrispondenza biunivoca. f s A In figura - 4 viene evidenziata la b t rappresentazione grafica di una u e c applicazione BIIETTIVA. w v d Dunque, l’applicazione ƒ è detta una biiezione di A in B se risulta: ƒ(A) = B e da x1 ≠ x2 segue ƒ(x1) ≠ ƒ(x2) qualunque siano gli elementi x1 e x2 di A Si osserva allora che: • la ƒ, poiché applicazione, fa corrispondere a ogni elemento di A uno e un solo elemento di B; • inoltre, poiché la ƒ è suriettiva, ogni elemento di B è immagine di almeno un elemento di A • infine, poiché l’applicazione ƒ è anche iniettiva, ogni elemento di B è immagine di un solo elemento di A Possiamo allora dire che: Fra gli elementi di due insiemi A e B, non vuoti, intercorre una corrispondenza biunivoca, ovvero una biiezione, quando esiste una legge che fa corrispondere ad ogni elemento di A uno e un solo elemento di B, e viceversa, ogni elemento di B è il corrispondente di uno e un solo elemento di A. La corrispondenza biunivoca tra A e B si indica nel modo seguente: A ⇔ B Sia ƒ un’applicazione biunivoca di A in B. In questo caso, come ogni elemento di B è associato ad un solo elemento di A, così pure ogni elemento di A è associato ad un solo elemento di B. Perciò, se con l’applicazione ƒ si passa dall’elemento x di A all’elemento y = ƒ(x) di B, allora esiste anche un’applicazione g di B in A, che dall’elemento y di B fa ritornare all’elemento x di A; cioè: g(y) = x, che si può scrivere nella forma: g(ƒ ƒ(x)] = x. L’applicazione g viene chiamata B inversa della ƒ e si indica con ƒ-s a 1 . In tale caso si dice, anche, che A t la ƒ è invertibile. Nella figura 5 è b evidenziata la rappresentazione u c grafica tipica relativa ad una v d applicazione biunivoca di A in B. (figura - 5) In figura 6 vengono rappresentate con un diagramma di Eulero − Venn le applicazioni iniettive, suriettive e biiettive. iniettiva biiettiva suriettiva Applicazioni Relazioni (figura - 6) Un’applicazione lineare ƒ : V→ →W viene, come già detto, denominata anche OMOMORFISMO di spazi vettoriali di dominio V ed immagine o condominio W; di solito è indicato con Hom(V,W) l’insieme di tali omomorfismi. Le applicazioni lineari che hanno la proprietà di essere INVERTILI, cioè che sono INIETTIVE e SURIETTIVE contemporaneamente, vengono denominate ISOMORFISMI, ed il loro insieme è solitamente indicato con Iso(V,W). Un omomorfismo per il quale il dominio e il condominio coincidono, di solito, prende il nome di ENDOMORFISMO ed il loro insieme è, usualmente, indicato con End(V,W). Un isomorfismo per il quale il dominio e il condominio coincidono, di solito, prende il nome di AUTOMORFISMO ed il loro insieme viene individuato, solitamente, con Aut(V,W). Premesso le considerazioni teoriche sopra richiamate si propone un approfondimento afferente la matrice associata ad una applicazione lineare e successivamente vengono proposti alcuni esercizi applicativi e di approfondimento degli argomenti trattati. MATRICE ASSOCIATA AD UNA APPLICAZIONE LINEARE Lo studio delle specificità delle Applicazioni Lineari risulta notevolmente facilitato dal ricorso all’utilizzo delle matrici. Infatti la teoria dimostra che ad una assegnata applicazione lineare resta associata un’opportuna matrice. Consideriamo l’applicazione lineare ƒ : V → W e siano rispettivamente n ed m le dimensioni di V e di W, ovvero: dimV = n e dimW = m; inoltre, in V ed in W siano stabilite le specifiche “basi” che vengono indicate, rispettivamente, con: BV = {v1, v2, ….., vn} BW = {w1, w2, ….., wm} In ossequio alla definizione di base di uno spazio vettoriale risulta assodato che ogni vettore v∈ ∈V sarà univocamente determinato da una opportuna combinazione lineare dei vettori costituenti la base BV; parimenti, ogni vettore w∈ ∈W sarà definito anch’esso in modo unico dalla combinazione lineare dei vettori della base BW. Con riferimento alla base BW, proprio rispetto ad essa, ognuno degli n vettori ƒ(v1), ƒ(v2), ...., ƒ(vn), che costituiscono le immagini dei vettori di BV ottenute dall’azione dell’applicazione ƒ, avrà m coordinate che possono essere ordinate e quindi espresse in vettori colonna di Km, come di seguito mostrato: x11 x f (v1 ) = 21 , : xm1 x12 x f (v2 ) = 22 , ....., : x m2 x1n x f ( vn ) = 2 n : xmn La matrice Af, avente come colonne gli n vettori ƒ(v1), ƒ(v2), ….., ƒ(vn) già in precedenza definiti, costituisce e definisce in modo univoco la matrice associata all’applicazione ƒ. Il significato operativo specifico della matrice Af consiste nel fatto che essa esplicita la modalità per determinare l’agito espletato dall’applicazione ƒ sui vettori v∈ ∈V, cioè sui vettori del dominio V. A tale riguardo, osserviamo che una volta stabilita la base BV in V, a ciascun vettore v∈ ∈V resta associata una n-pla di coordinate che rappresentano i coefficienti della combinazione lineare dei vettori della base che conformano il vettore v medesimo, così come espresso dalla relazione di seguito riportata: n v = a1v1 + a 2 v2 + a 3v3 .....+ a n vn = ∑ ai vi i =1 Risulta, allora, possibile associare a v∈ ∈V il vettore colonna le cui componenti sono costituite dai coefficienti ai della combinazione lineare dei vettori della base BV; indicando poi con (v)BV la matrice vettore colonna i cui elementi sono costituiti dalle coordinate del vettore v rispetto alla base BV, si ottengono le due scritture equivalenti di seguito esplicitate: a1 a v → 2 : an a1 a2 ovvero: (v )B = V : a n Attivando l’azione esercitata sul vettore v dall’applicazione ƒ, si otterrà il vettore w = ƒ(v) di W. È tuttavia evidente che in riferimento alla base BW stabilita in W, il vettore w = ƒ(v) sarà certamente esprimibile, in modo unico, mediante la m-pla di coordinate β 1, β 2, … , β m che rappresentano gli m coefficienti della combinazione lineare degli m vettori wj della base BW. Atteso quanto premesso, la matrice Af consente di costruire la m-pla di coordinate di w = ƒ(v) rispetto alla base BW a partire dalla n-pla di coordinate di v rispetto alla base BV. In definitiva, la matrice Af consente di costruire e quindi determinare l’immagine di ciascun vettore del dominio V; ciò avviene per il tramite dell’operazione di prodotto righe per colonne della matrice Af ubicata quale fattore di sinistra del vettore colonna che costituisce le coordinate del vettore v rispetto alla base BV. Esprimendo quanto sopra detto in formule, la m-pla delle coordinate del vettore w = ƒ(v) rispetto alla base BW è fornita dalla scrittura di seguito esplicitata: a1 β1 x11 x12 ..... x1n a1 β1 a2 β 2 x21 x22 ..... x2 n a2 β 2 A ∗ = ⇒ ∗ = {f : : : : ::::: : : : ( m• n ) a β ..... xmn an β m { n 1 1xm 1 4x4 m4 1 224 2m3 4 444 3 { 123 ( n •1) ( m •1) ( m• n ) ( n •1) ( m•1) Come mostrato dalla relazione sopra evidenziata, la matrice Af, proprio per come è stata strutturata, permette di affermare che Af∈Mm,n(K) e, pertanto, nell’ambito del prodotto righe per colonne fra matrici, è conformabile alla sua destra con i vettori colonna di Mn,1(K). La relazione evidenzia poi che il risultato del prodotto definisce un vettore colonna di Mm,1(K), il che fornisce significato alla affermazione in base alla quale tale vettore colonna Mm,1(K) definisce una m-pla di coordinate di un vettore di W. La matrice associata Af(m·n), cioè di tipo (mxn) può, pertanto, essere usata agevolmente per calcolare l’immagine ƒ(v) di ogni vettore v∈ ∈V mediante la relazione che, in forma compatta, di seguito si riporta: A f • [v]Bv = [ w]Bw in cui [v]B v e [ w]Bw sono le coordinate del vettore v e del vettore w nelle rispettive basi. Si deve osservare che la scelta delle basi è essenziale in quanto, la stessa matrice, usata su basi diverse, può rappresentare applicazioni lineari diverse. ESERCIZIO 1. Stabilire quali delle seguenti applicazioni ƒ : ℜ2 → ℜ3 sono da dichiararsi lineari. a + b a f = a b a − b a +1 a f = a b 2b + 5a a + b a f = 0 b a a2 a f = 0 b 2 b a) L’applicazione fornita è: ƒ(a, b) = (a + b, a, a − b). La condizione necessaria è soddisfatta, è infatti ƒ(0) = O. Applichiamo, pertanto, la definizione. ƒ è lineare se è, per ogni λ, µ e per ogni coppia di vettori u = (a1, b1) e v = (a2, b2): λ·ƒ(a1, b1) + µ·ƒ(a2, b2) = ƒ(λ·(a1, b1) + µ·(a2, b2)) Applicando la definizione si ottiene per il primo membro: a1 + b1 a2 + b2 λa1 + λb1 + µa2 + µb2 a1 a2 λf + µf = λ ⋅ a1 + µ ⋅ a2 = λa1 + µa2 b1 b2 a1 − b1 a2 − b2 λa1 − λb1 + µa2 − µb2 e per il secondo membro si ottiene: ( λa + µa2 ) + ( λb1 + µb2 ) a1 a2 λa1 + µa2 1 f (λ + µ ) = f λa1 + µa2 = b1 b2 λb1 + µb2 ( λa1 + µa2 ) − ( λb1 + µb2 Poiché i due vettori ottenuti sono uguali, ƒ È lineare. b) L’applicazione fornita è del tipo: ƒ(a, b) = (a + 1, a, 2b + 5a). La condizione necessaria NON È soddisfatta, infatti ƒ(0, 0) = (1, 0, 0) ≠ O. Il risultato ora conseguito consente, con immediatezza, di dichiarare che ƒ NON È lineare. c) L’applicazione data è del tipo: ƒ(a, b) = (a + b, 0, a). La condizione necessaria È soddisfatta, infatti ƒ(0) = (0, 0, 0) = O. Applichiamo, pertanto, la definizione. ƒ è lineare se è, per ogni λ, µ e per ogni coppia di vettori u = (a1, b1) e v = (a2, b2): λ·ƒ(a1, b1) + µ·ƒ(a2, b2) = ƒ(λ·(a1, b1) + µ·(a2, b2)) Applicando la definizione si ottiene per il primo membro: a1 + b1 a2 + b2 λa1 + λb1 + µa2 + µb2 a1 a2 λf + µf = λ ⋅ 0 + µ ⋅ 0 = 0 b1 b2 λa1 + µa2 a1 a2 e per il secondo membro si ottiene: ( λa + µa2 ) + ( λb1 + µb2 ) a1 a2 λa1 + µa2 1 f (λ + µ ) = f 0 = b1 b2 λb1 + µb2 ( λa1 + µa2 Poiché i due vettori ottenuti sono uguali, ƒ È lineare. 2 2 d) L’applicazione fornita è: ƒ(a, b) = (a , 0, b ). La condizione necessaria è soddisfatta, infatti è ƒ(0) = (0, 0, 0) = O. Applichiamo, pertanto, la definizione. ƒ è lineare se è, per ogni λ, µ e per ogni coppia di vettori u = (a1, b1) e v = (a2, b2): λ·ƒ(a1, b1) + µ·ƒ(a2, b2) = ƒ(λ·(a1, b1) + µ·(a2, b2)) Applicando la definizione si ottiene per il primo membro: a12 a22 λa12 + µa22 a a λ ⋅ f 1 + µ ⋅ f 2 = λ ⋅ 0 + µ ⋅ 0 = 0 b1 b2 b2 b 2 λb 2 + µb 2 2 1 2 1 e per il secondo membro si ottiene: ( λa1 + µa2 ) 2 a a λa + µa2 f ( λ 1 + µ 2 ) = f 1 0 = = b1 b2 λb1 + µb2 2 ( λb1 + µb2 ) λ2 a12 + µ 2 a22 + 2λµa1a2 = 0 λ2b 2 + µ 2b 2 + 2λµb b 1 2 1 2 Poiché i due vettori ottenuti NON sono uguali, se non per particolari valori di λ e di µ e per particolari vettori, l’applicazione ƒ NON È lineare. 2 3 Consideriamo l’applicazione ƒ:ℜ → ℜ definita mediante la relazione ƒ(a, b) = (a + b, 1, 2b). Si verifichi che tale applicazione non è lineare. La condizione necessaria NON è soddisfatta, infatti ƒ(0, 0) = (0, 1, 0) ≠ O. Il risultato ottenuto consente, con immediatezza, di dichiarare che ƒ NON È lineare. ESERCIZIO 2. Si dica per quali valori del parametro reale k risulta lineare l’applicazione ƒ : ℜ3 → ℜ3 tale che: ƒ(a, b, c) = (ka + b, (1 − k)b2 + c, (1 − k2) + a) Verifichiamo che l’applicazione assegnata soddisfa la condizione necessaria. Affinché sussista la condizione ƒ(0, 0, 0) = O deve risultare: a 0 k ⋅ 0 + 0 0 f b = f 0 = (1 − k ) ⋅ 02 + 0 = 0 c 0 (1 − k 2 ) + 0 1 − k 2 2 L’applicazione ƒ può, quindi, essere lineare solo se (1 − k ) = 0, ovvero se k = 1 e k = −1; ma non è detto che per tali valori lo sia, in quanto la condizione è solo sufficiente. Proviamo il caso di k = 1; l’applicazione ƒ diviene: ƒ(a, b, c) = (a + b, c, a). Applichiamo ora la definizione ƒ è lineare se è, per ogni λ, µ e per ogni coppia di vettori u = (a1, b1, c1) e v = (a2, b2, c2): λ·ƒ(a1, b1, c1) + µ·ƒ(a2, b2, c2) = ƒ(λ·(a1, b1, c1) + µ·(a2, b2, c2)) Per il primo membro si ottiene: a1 a2 a1 + b1 a2 + b2 λa1 + λb1 + µa2 + µb2 λ ⋅ f b1 + µ ⋅ f b2 = λ ⋅ c1 + µ ⋅ c2 = λc1 + µc2 λa1 + µa2 c1 c2 a1 a2 mentre per il secondo membro si ottiene: a1 a2 f ( λ b1 + µ b2 ) = c1 c2 λa1 + µa2 λa1 + µa2 + λb1 + µb2 f λb1 + µb2 = λc1 + µc2 λa1 + µa2 λc1 + µc2 Poiché i due vettori ottenuti sono uguali, ƒ+1 È lineare. 2 Proviamo k = −1; l’applicazione ƒ diviene: ƒ(a, b, c) = (−a + b, 2b + c, a). Per la definizione ƒ è lineare se è, per ogni λ, µ e per ogni coppia di vettori u = (a1, b1, c1) e v = (a2, b2, c2): λ·ƒ(a1, b1, c1) + µ·ƒ(a2, b2, c2) = ƒ(λ·(a1, b1, c1) + µ·(a2, b2, c2)) Per il primo membro si ottiene: − a1 + b1 − a2 + b2 a1 a2 λ ⋅ f b1 + µ ⋅ f b2 = λ ⋅ 2b12 + c1 + µ ⋅ 2b22 + c2 = c1 c2 a1 a2 − λa1 + λb1 − µa2 + µb2 = 2λb12 + λc1 + 2 µb22 + µc 2 λa1 + µa2 mentre per il secondo membro si ottiene: λa1 + µa2 − λa1 − µa2 + λb1 + µb2 f λb1 + µb2 = 2( λb1 + µb2 ) 2 + λc1 + µc2 = λa1 + µa2 λc1 + µc2 − λa1 − µa2 + λb1 + µb2 2 2 2 2 = 2λ b1 + 2 µ b2 + 4λµ ⋅ b1b2 + λc1 + µc2 λa1 + µa2 a1 a2 f ( λ b1 + µ b2 ) = c1 c2 La seconda componente dei due vettori è diversa, quindi l’applicazione ƒ-1 NON È lineare. L’applicazione è lineare solo per k = 1. ESERCIZIO 3. Stabilire la dimensione e una base sia per l’immagine sia per il nucleo dell’applicazione lineare ƒ : ℜ3 → ℜ2(x) così definita: ƒ(a, b, c) = (a − 2b − c)x2 + (2a + 2c)x + (b + c) 3 Determiniamo come prima cosa un sistema di generatori per l’immagine. Consideriamo per ℜ la base canonica: e1 = (1, 0, 0), e2 = (0, 1, 0), e3 = (0, 0, 1). Risulta allora: 1 u = f 0 = x 2 + 2 x v = 0 0 f 1 = −2 x 2 + 1 w = 0 0 f 0 = − x 2 + 2 x + 1 1 Dobbiamo quindi verificare se i tre vettori u, v, w sono linearmente indipendenti o dipendenti. A tale scopo, consideriamo la combinazione lineare dei tre vettori; si ha: α·u + β·v + δ·w = 0 ovvero, se per ogni x si verifica che: 2 2 2 α ( x + 2 x ) + β ( −2 x + 1) + γ ( − x + 2 x + 1) = 0 con α, β , γ contemporaneamente nulli, allora tre vettori u, v, w sono linearmente indipendenti altrimenti i tre vettori risultano linearmente dipendenti; si ottiene 2 2 (α − 2 β − γ ) ⋅ x + (2α + 2γ ) ⋅ x + ( β + γ ) = 0 ⋅ x + 0 ⋅ x + 0 che, per il principio di identità dei polinomi richiede la validità delle condizioni seguenti: α − 2β − γ = 0 2α + 2γ = 0 β + γ = 0 α = −γ ⇒ β = −γ Poiché il sistema è verificato per α = −γ, β = − γ, quindi ad esempio per α = 1, β = 1 e γ = −1, i tre vettori u, v, w sono linearmente dipendenti. Sono, invece, linearmente indipendenti i due 2 2 vettori u = x + 2x e v = −2x + 1, infatti: 2 2 λ ⋅ ( x + 2 x ) + µ ⋅ ( −2 x + 1) = 0 ( λ − 2 µ ) ⋅ x 2 + 2λ ⋅ x + µ = 0 ⋅ x 2 + 0 ⋅ x + 0 da cui si evince il sistema seguente: λ − 2 µ = 0 2λ = 0 µ = 0 λ=0 ⇒ µ = 0 2 2 Pertanto i due vettori u = x + 2x e v = −2x + 1 costituiscono una base per l’immagine, che quindi ha dimensione 2, cioè: dim Im(.ƒ) = 2. Per il teorema di nullità più rango risulta: dim Ker(ƒ) + dim Im(ƒ) = dim ℜ3 da cui si deduce quanto segue: dim Ker(ƒ) + 2 = 3 ⇒ dim Ker(ƒ) = 1 3 Il nucleo ha quindi dimensione 1. I vettori del nucleo sono tutti quei vettori di ℜ che hanno 2 come immagine il vettore nullo, cioè il polinomio nullo di ℜ (x). In ossequio alla definizione di nucleo, si perviene alla scrittura di seguito riportata: a f b = 0 c ⇒ (a − 2b − c) ⋅ x 2 + (2a + 2c) ⋅ x + (b + c) = 0 ⋅ x 2 + 0 ⋅ x + 0 La condizione è verificato per a = −c, b = − c, cioè per a = 1, b = 1 e c = −1. Pertanto, si ricava che i vettori del nucleo sono i multipli del vettore n = (1, 1, −1). ESERCIZIO 4. Sia data l’applicazione lineare ƒ : ℜ2 → ℜ2 così definita: ƒ(a, b) =[a + kb, (k −1 )a + 2b]. Stabilire per quali valori di k, ƒ è iniettiva Una applicazione è iniettiva se e solo se la dimensione dell’immagine dim Im(ƒ) coincide con la dimensione del dominio dim Dom(ƒ) che in questo caso è 2. I generatori della immagine sono i trasformati dei vettori di una base del dominio, ad esempio la base canonica o standard. Risulta con immediatezza: 1 1 f (e1 ) = f = 0 k − 1 0 k f (e2 ) = f = 1 2 e la matrice associata all’applicazione, relativa alla base canonica, assume la forma: 1 k A = k − 1 2 ⇒ rango( A) = dim Im( f ) = 2 ⇔ det( A) ≠ 0 Vediamo se esistono valori di k per cui i due generatori sono indipendenti, cioè: dim Im(ƒ ƒ ) = 2. I valori richiesti sono quelli per cui: 1 k det ≠0 k − 1 2 ⇒ − k ( k − 1) + 2 ≠ 0 ⇒ k2 − k −2 ≠ 0 Pertanto, nel caso in cui sia k ≠ 2 e k ≠ −1 i due vettori sono linearmente indipendenti. Quindi, ƒ è iniettiva per tutti i valori di k, esclusi k = 2 e k = −1. ESERCIZIO 5. Stabilire la dimensione ed una base sia per l’immagine sia per il nucleo dell’applicazione lineare (2ƒ−g), in cui sia: ƒ : ℜ2 → ℜ3 e tale che ƒ(a, b) = (a, a−b, 2a) g : ℜ2 → ℜ3 e tale che g(1, 0) = (2, 2, 4) e g(0, 1) = (2, 3, 0). 1° Metodo: considerata per l’applicazione g la base canonica, risulta evidente la posizione di seguito esplicitata: 2 2 2a + 2b a 1 0 1 0 g = g (a + b ) = ag + bg = a 2 + b 3 = 2a + 3b b 0 1 0 1 4 0 4a * Allora, per come è definita la costituzione della definizione dell’applicazione ƒ = (2ƒ − g), si ha: a 2a + 2b − 2b a a a f = (2 f − g ) = 2 f − g = 2 a − b − 2a + 3b = − 5b b b b b 2 a 4a 0 * a * Quindi, il generico vettore dell’immagine Im(ƒ ) = Im(2ƒ − g), definisce un multiplo del vettore x = (− −2, −5, 0) ottenuto ponendo la componente b al valore b = 1. * Risulta, inoltre, evidente che dim Im(ƒ ) = dim Im(2ƒ − g) = 1 ed il vettore x = (−2, −5, 0) rappresenta una base per l’immagine. Dal teorema costitutivo della seguente relazione: dim Im(2ƒ−g) + dim Ker(2ƒ − g) = n si deduce che il nucleo dell’applicazione ha dimensione: dim Ker(2ƒ − g) = n − dim Im(2ƒ−g) = 2 − 1 = 1 Per determinare una base per il nucleo, detto u = (x, y) il generico vettore, dovrà essere soddisfatta * la relazione: ƒ (x, y) = (2ƒ−g)(x, y)=(−2y, −5y, 0) = (0, 0, 0) ovvero y = 0 con x arbitrario. Una base del nucleo è allora costituita dal vettore u = (1, 0) ottenuto ponendo x = 1 ed y = 0. 2° Metodo: individuiamo le matrici associate alle applicazioni ƒ e g nelle rispettive basi canoniche di ℜ2 e ℜ3. Si ottiene: 1 1 f = 1 ; 0 2 0 0 f = −1 ; 1 0 2 1 g = 2 ; 0 4 2 0 g = 3 1 0 Ricordiamo che le colonne delle due matrici F e G di ƒ e di g sono i coefficienti della combinazione lineare con cui si ottengono i trasformati dei vettori della base scelta del dominio nella base scelta per il codominio, quindi si ottiene: 1 0 F = 1 − 1 0 2 2 2 G = 2 3 4 0 Allora la matrice F* dell’applicazione ƒ* = (2ƒ−g) è: 0 2 2 0 − 2 1 0 2 2 2 F = 2 ⋅ 1 − 1 − 2 3 = 2 − 2 − 2 3 = 0 − 5 0 4 0 4 0 4 0 0 0 2 * La matrice F*, in seguito alla prima colonna costituita da tutti zeri, presenta rango 1; pertanto la dimensione dell’immagine, in conformità al teorema di nullità più rango, è dim Im(2ƒ ƒ−g) = 1. I vettori generatori dell’immagine sono O = (0, 0, 0) e w = (-2, -5, 0), in cui il primo è ovviamente dipendente dal secondo. Dato che poi la prima colonna è il vettore nullo O, e la prima colonna è il trasformato del vettore (1, 0), ne risulta che tale vettore (1, 0) è una base del nucleo. ESERCIZIO 6. In ℜ3 si considerino la base canonica e la base costituita dai tre vettori u = (1, 0, 1), v = (0, 1, −2) e w = (-3, -1, 0). Si determini la matrice dell’automorfismo di ℜ3 che porti la prima base nella seconda, e si determinino le componenti del vettore (2, 1, 5) nella seconda base. Esiste un vettore che abbia le stesse componenti nelle due basi ? L’applicazione ƒ richiesta, che è un automorfismo, è quella che opera il cambiamento di base, quindi è tale che: 1 1 f 0 = 0 0 1 0 0 f 1 = 1 0 − 2 0 − 3 f 0 = − 1 1 0 La matrice F associata all’applicazione ƒ, rispetto alle basi canoniche, per dominio e codominio, è quindi quella a lato mostrata. Se ora consideriamo un vettore x = (a, b, c) si potrà porre: x = λu + µv + νw, in cui risulta: λ µ = (F ν −1 a ) ⋅ b ; ove si intende: F c −1 − 2 = −1 −1 6 3 3 1 2 1 0 − 3 1 F= 0 1 − 1 0 1 −2 Pertanto, le componenti, nella seconda base, del vettore assegnato y = (2, 1, 5) saranno: λ − 2 y = µ = − 1 ν − 1 * 6 3 2 17 3 1 ⋅ 1 = 6 ; 2 1 5 5 da cui si deduce il vettore y* di: componenti: y* = 17u +6v + 5w Per rispondere all’ultimo quesito, si deve determinare se esiste un vettore x* tale che sia: a − 2 6 3 a x = b = − 1 3 1 ⋅ b ⇒ c − 1 2 1 c * 1 0 0 a − 2 6 3 a 0 1 0 ⋅ b = − 1 3 1 ⋅ b 0 0 1 c − 1 2 1 c ovvero, operando le semplificazioni algebriche dovute, si ottiene anche: − 2 6 3 a 1 0 0 a 0 − 1 3 1 ⋅ b − 0 1 0 ⋅ b = 0 ⇒ − 1 2 1 c 0 2 1 c 0 − 3 6 3 a 0 − 1 2 1 ⋅ b = 0 − 1 2 0 c 0 È immediato verificare che: − 3 6 det − 1 2 −1 2 3 1 = 0 0 − 3a + 6b + 3c = 0 − a + 2b + c = 0 ⇒ − a + 2b = 0 Quindi, non vale il teorema di Cramer. Esistono soluzioni diverse da quella nulla che era ovvia, visto che il vettore nullo ha sempre componenti tutte nulle in ogni base. I vettori richiesti, pertanto, sono i multipli del vettore x = (2, 1, 0). Infatti si ha: − a + 2b + c = 0 2b 2 a = 2b − a + 2b + c = 0 ⇒ c = 0 ⇒ x = b = 1 − a = −2b 0 0 ESERCIZIO 7. Si desidera calcolare la matrice, riferita alle basi canoniche, della applicazione lineare ƒ : ℜ3 → ℜ4 tale che il nucleo Ker(ƒ) sia generato dal vettore x = (−1, 2, 5) e sia inoltre ƒ(1, 2, 0) = (1, 0, -1, 0) e ƒ(0, 1, 2) = (2, 1, 0, -1). Le condizioni poste dal problema proposto dalla traccia si possono compendiare nelle relazioni che di seguito sono riportate: 1 1 0 f 2 = − 1 0 0 2 0 1 f 1 = 0 2 − 1 0 − 1 0 f 2 = 0 5 0 3 Se per ℜ si considera la base costituita dai vettori u = (1, 2, 0); v = (0, 1, 2); w = (−1, 2. 5), e per ℜ4 la base canonica costituita da: c1 = (1, 0, 0, 0); c2 = ( 0, 1, 0, 0); c3 = (0, 0, 1, 0); c4 = (0, 0, 0, 1), la matrice associata all’applicazione ƒ è costituita dalla matrice seguente: 1 0 F = −1 0 2 1 0 −1 0 0 0 0 3 La matrice G dell’automorfismo di ℜ che muta la base canonica (e1, e2, e3) nella base (u, v, w) assume la forma che viene a lato riportata. Pertanto la matrice A, riferita 3 alle basi canoniche di ℜ e di ℜ4, richiesta dal problema, è individuata nonché definita dalla relazione seguente: A = F*G. 1 2 0 1 A= 0 −1 0 −1 1 0 − 1 G = 2 1 2 0 2 5 0 2 3 5 1 0 − 1 2 0 1 2 ∗ 2 1 2 = 0 0 1 −1 0 2 5 0 − 2 − 1 − 2 ESERCIZIO 8. In ℜ3 siano date le due basi definite da (u1, u2, u3) e (v1, v2, v3) e le trasformazioni tra le due basi: v1 = 2 u1 − u2 − u3 v 2 = − u2 v 3 = 2 u2 + u3 Determinare i vettori di ℜ3 che hanno le stesse componenti rispetto alle due basi. 3 Il vettore di ℜ che ha per base (v1, v2, v3) abbia componenti, rispetto a tale base, date da: w = (a, b, c); ciò vuol dire che: w = a·v1 + b·v2 + c·v3 3 Il vettore z di ℜ che ha per base (u1, u2, u3), se deve avere le medesime componenti, (a, b, c), rispetto a tale base, soddisferà alla relazione: z = a·u1 + b·u2 + c·u3 L’uguaglianza delle componenti rispetto alle due basi impone la relazione: a·v1 + b·v2 + c·v3 = a·u1 + b·u2 + c·u3 a·(2u1 – u2 – u3) – b·u2 + c·(2 u2 + u3) = a·u1 + b·u2 + c·u3 ovvero: Tale relazione implica quanto segue: 2a·u1 + (− −a – b + 2c)·u2 + (− −a + c)·u3 = a·u1 +b·u2 + c·u3 Si ottiene pertanto l’insieme delle seguenti condizioni: 2a = a − a − b + 2c = b − a + c = c a = 0 ⇒ 2b = 2c c = c a = 0 ⇒ b = c c = c 3 I vettori di ℜ che hanno tutti le stesse componenti rispetto alle due basi sono tutti i vettori del tipo: w = (0, b, b) ESERCIZIO 9. Sia ƒ : ℜ3 → ℜ3, un’applicazione lineare della quale si conosce la seguente definizione: 1 f (e1 ) = 2 0 0 f ( e2 ) = − 1 3 f (e3 ) = f (e2 ) − f (e1 ) ed in cui e1, e2, e3 indicano i tre vettori della base canonica di ℜ3. Le informazioni fornite dalla traccia consentono di ricostruire la funzione ƒ; infatti si ha subito che: 0 1 − 1 f (e3 ) = f (e2 ) − f (e1 ) = − 1 − 2 = − 3 3 0 3 3 Si può definire la matrice A che rappresenta l’applicazione ƒ in ℜ rispetto alla base canonica: 1 0 − 1 A = 2 − 1 − 3 3 3 0 Si può poi scrivere: u 1 0 − 1 x v = f ( x , y , z ) = 2 − 1 − 3 • y 3 3 z w 0 La matrice A ha rango 2; infatti per il modo con cui è definita la ƒ(e3), la 3ª colonna è una combinazione lineare delle prime due, cioè è ottenuta come differenza fra la 2ª e la 1ª colonna. Pertanto, ricordando quanto asserito dal teorema “nullità e rango”, cioè: dim Im(ƒ ƒ) = rango di A l’Immagine di ƒ ha dimensione 2, cioè: dim Im(ƒ) = 2, e, inoltre, i vettori ƒ(e1) e ƒ(e2) ne costituiscono una base. Di conseguenza la dimensione del nucleo è: dim Ker(ƒ ƒ) + dim Im(ƒ ƒ) = n ⇒ dim Ker(ƒ ƒ) = 3 - 2 = 1 Geometricamente l’insieme immagine di ƒ coincide col piano che passa per l’origine e per i punti ƒ(e1) ed ƒ(e2), di equazione: w = 6u − 3v. Il nucleo Ker(ƒ) è l’insieme delle soluzioni del sistema: 1 0 − 1 x 0 2 − 1 − 3 • y = 0 3 3 z 0 0 x − z = 0 ⇒ 2 x − y − 3z = 0 3 y + 3z = 0 Si tratta di un sistema lineare omogeneo di tre equazioni in tre incognite con la matrice A dei coefficienti singolare e di rango 2; il sistema è equivalente al sistema seguente: x − z = 0 y + z = 0 x 1 che ha come soluzione tutti i vettori: y = k ⋅ − 1 z 1 k ∈R ottenuti ponendo arbitrariamente z = 1; da cui x = z =1 ed y = −z = −1. Dal punto di vista geometrico il nucleo costituisce una retta passante per l’origine. ESERCIZIO 10. Sia ƒ : ℜ4 → ℜ4, un’applicazione tale che: f ([ x , y , z , w]) = [( w − y ),0,( z + y ),( x − y )] Verificare che ƒ è un’applicazione lineare, scrivere quindi la matrice A associata rispetto alle basi canoniche e trovare, poi, una base per il nucleo Ker(ƒ) ed una base per l’immagine Im(ƒ). a) La condizione necessaria è soddisfatta, è infatti verificata ƒ(0) = O. Applichiamo, pertanto, la definizione. ƒ è lineare se e solo se, per ogni coppia di scalari λ, µ e per ogni coppia di vettori u = (x1, y1, z1, w1) e v = (x2, y2, z2, w2) risulta soddisfatta la relazione seguente: λ·ƒ(x1, y1, z1, w1) + µ·ƒ(x2, y2, z2, w2) = ƒ(λ·(x1, y1, z1, w1) + µ·( x2, y2, z2, w2)) Applicando la definizione si ottiene per il primo membro: x1 x2 w1 − y1 w2 − y2 y y 0 0 λf 1 + µf 2 = λ ⋅ + µ ⋅ z z z +y z + y2 1 2 1 1 2 w w x − y x − y 1 2 1 1 2 2 ovvero: x1 x2 λ ⋅ w1 − λ ⋅ y1 + µ ⋅ w2 − µ ⋅ y2 0 y1 y2 λf + µf = λ ⋅ z1 + λ ⋅ y1 + µ ⋅ z2 + µ ⋅ y2 z z 1 2 λ ⋅ − λ ⋅ + µ ⋅ − µ ⋅ w w x y x y 2 1 1 1 2 2 e per il secondo membro si ottiene: x1 x2 y y f (λ 1 + µ 2 ) = z1 z2 w1 w2 λ ⋅ x1 + µ ⋅ x2 λ ⋅ w1 + µ ⋅ w2 − λ ⋅ y1 − µ ⋅ y2 λ⋅ y + µ⋅ y 0 1 2 = f λ ⋅ z1 + µ ⋅ z2 λ ⋅ z1 + µ ⋅ z2 + λ ⋅ y1 + µ ⋅ y2 λ ⋅ w1 + µ ⋅ w2 λ ⋅ x1 + µ ⋅ x2 − λ ⋅ y1 + µ ⋅ y2 λw1 − λy1 + µw2 − µy2 0 = λ λ µ µ z + y + z + y 1 1 2 2 λx1 − λy1 + µx2 − µy2 Poiché i due vettori ottenuti sono uguali, ƒ È lineare. b) Al fine di determinare la matrice A associata rispetto alla base canonica consideriamo, dapprima 4 in ℜ la base canonica: e1= (1, 0, 0, 0), e2= (0, 1, 0, 0), e3= (0, 0, 1, 0), e4= (0, 0, 0, 1). L’applicazione ƒ agente sui tali vettori consente, allora, di relazionare come segue: 1 0 0 0 r= f = 0 0 0 1 0 −1 0 0 0 0 A= 1 1 0 1 −1 0 0 − 1 0 0 0 1 1 0 0 0 0 0 s = f = u = f = v= f = 0 1 1 1 0 0 0 − 1 0 0 1 0 1 La matrice A associata alla base canonica, altro non è che la che si ottiene accostando per colonne i vettori generati 0 matrice dall’applicazione agente sulla base canonica BE = (e1, e2, e3, e4), 0 ovvero la matrice a lato riportata. 0 c) Al fine di definire una base per l’immagine Im(ƒ) ricerchiamo, fra i quattro vettori r, s, u, v, quali sono fra loro linearmente indipendenti. Il rango della matrice A, definendo il numero di colonne linearmente indipendenti fra loro, individuerà anche i vettori della base dell’immagine. Poiché la matrice A presenta una riga costituita da tutti zeri, essa è sicuramente singolare; ne consegue che: det(A) = 0. Osserviamo, che il minore del secondo ordine, mostrato qui in lato, è diverso da zero; pertanto, per il rango della matrice A si può 0 − 1 0 1 asserire che: rango(A) ≥ 2. Orliamo tale minore, secondo quando 0 0 0 0 stabilito dalla regola di Kroneker, con gli elementi della prima A= riga e della terza colonna ottenendo il minore del terzo ordine, 0 1 1 0 diverso da zero, a lato riportato. Ne consegue che rango(A) = 3. 1 − 1 0 0 0 − 1 0 M3 = 0 1 1 1 − 1 0 ⇒ det( M 3 ) = −1 ≠ 0 ⇒ rango ( A) = 3 Si conclude, quindi, che per il teorema di nullità più rango, la dimensione dell’immagine della applicazione è dim Im(ƒ) = 3 ed una base per l’immagine Im(ƒ) è individuata nonché definita dai tre vettori della matrice A relativi al minore M3, ovvero: BIm( f ) = ([ 0,0,0,1],[−1,0,1,−1],[ 0,0,1,0]) d) Al fine di determinare una base per il nucleo Ker(ƒ ƒ) ricordiamo che il nucleo è definito dal 4 sottospazio costituito dai vettori di ℜ che, tramite l’applicazione ƒ, generano il vettore nullo. Inoltre è, da subito, possibile affermare che: dim Ker(ƒ) + dim Im(ƒ) = n ⇒ dim Ker(ƒ) = 4 − dim Im(ƒ) = 4 − 3 = 1 Con immediatezza, ricordando che l’applicazione si identifica nella relazione costitutiva seguente: f ([ x , y , z , w]) = [( w − y ),0,( z + y ),( x − y )] e applicando la definizione di nucleo di un’applicazione, risulta che, se u = (x, y, z, w) è un vettore appartenente al nucleo, allora dovrà soddisfare alla seguente relazione: f ( u) = f ([ x , y , z , w]) = [( w − y ),0,( z + y ),( x − y )] = (0,0,0,0) la quale comporta l’imposizione delle scritture di seguito riportate: w − y = 0 z+ y=0 x − y = 0 w= y ⇒ z = − y x = y , ,−11 ,) ⇒ u = ( y , y ,− y , y ) ⇒ u = y ⋅ (11 Tutti i vettori appartenenti al sottospazio relativo al Ker(ƒ) si ottengono come prodotto dello scalare y per il vettore base ub = (1, 1, -1, 1) ottenuto ponendo y = 1. Si osservi che la base del nucleo può ricavarsi, per definizione di nucleo di una applicazione, impostando la seguente relazione matriciale: A·u = O con u inteso come vettore colonna. ESERCIZIO 11. Sia assegnata l’applicazione ƒ : ℜ2 → ℜ3, definita da: f ([ x , y ]) = [( x + y ), y ,( 3x − y )] Si stabilisca se l’applicazioneƒ è un’applicazione iniettiva e suriettiva. Si ricorda che un’applicazione ƒ: W → V è INIETTIVA se e solo se il nucleo dell’applicazione stessa è rappresentato dal solo vettore nullo ovvero se Ker(ƒ) ={O} ed è SURIETTIVA se e solo se l’immagine Im(ƒ ƒ) prodotta dall’applicazione, ovvero il codominio, coincide con lo spazio V, cioè: Im(ƒ ƒ) = V il che equivale a dire che: dim Im(ƒ ƒ) = dim V. Quanto affermato può riassumersi nello schema di seguito riportato: Ker ( f ) = {O} ⇔ dim Ker ( f ) = 0 Im( f ) = V ⇔ dimIm( f ) = dimV Atteso quanto premesso, si può determinare la matrice Af associata all’applicazione riferita alla base canonica dello spazio W ed alla base canonica dello spazio V; infatti facendo agire l’applicazione sui vettori della base canonica di W si ottengono le scritture di seguito esplicitate: 1 1 f (e1 ) = f = 0 0 3 1 0 f (e2 ) = f = 1 1 − 1 La matrice Af associata all’applicazione è la matrice che ha come colonne i vettori che, tramite la applicazione stessa, costituiscono le immagini dei vettori della base canonica di W; quindi, si ha: 1 1 Af = 0 1 3 − 1 ⇒ rango( A f ) = 2 ⇒ dimIm( f ) = rango( A f ) = 2 Il ricorso all’equazione dimensionale, conosciuta anche come teorema di nullità più rango, che di seguito si ritiene opportuno riscrivere: dim Ker(ƒ) + dim Im(ƒ) = dim ℜ2 consente di ottenere le informazioni necessarie in merito alla natura dell’applicazione stessa; infatti si ottiene, per il caso specifico in esame, quanto segue: dim Ker(ƒ) + 2 = 2 ⇒ dim Ker(ƒ) = 0 ⇒ Ker(ƒ) = {0} Dai risultati conseguiti si possono evincere le seguenti conclusioni: poiché dim Ker(ƒ) = 0 ovvero Ker(ƒ) = {0} l’applicazione ƒ È INIETTIVA. poiché dim Im(ƒ) = 2 e dimV = 3 si ha: dim Im(ƒ) ≠ dimV ƒ NON È SURIETTIVA ESERCIZIO 12. Sia assegnata l’applicazione ƒ : ℜ2 → ℜ3, tale che: f (e1 ) = e1 − 2e2 + e3 f (e2 ) = − e1 + 3e3 Si determini la matrice associata all’applicazione e si stabilisca se l’applicazione ƒ stessa è un’applicazione iniettiva. L’applicazione ƒ è descritta, in questo caso, definendo l’azione da essa esercitata sui vettori della base canonica di ℜ2 al fine di ottenere la loro immagine in funzione dei vettori della base canonica di ℜ3. Considerata, pertanto, la base canonica BE:{e1 = (1, 0), e2 = (0, 1)} di ℜ2, l’applicazione agisce nel modo espresso dalle scritture di seguito riportate: 1 0 0 1 1 f (e1 ) = f = 1 ⋅ 0 − 2 ⋅ 1 + 1 ⋅ 0 = − 2 0 0 0 1 1 1 0 0 − 1 0 f (e2 ) = f = −1 ⋅ 0 + 0 ⋅ 1 + 3 ⋅ 0 = 0 1 0 0 1 3 La matrice Aƒ associata all’applicazione è la matrice le cui colonne sono formate dai vettori della immagine, ovvero: 1 − 1 Af = − 2 0 3 1 ⇒ rango( A f ) = 2 ⇒ dimIm( f ) = rango( A f ) = 2 Il ricorso all’equazione dimensionale, conosciuta anche come teorema di nullità più rango, che di seguito di nuovo si riporta: dim Ker(ƒ) + dim Im(ƒ) = dim ℜ2 consente di ottenere le informazioni necessarie in merito alla natura dell’applicazione stessa; infatti si ottiene, per il caso specifico in esame, quanto segue: dim Ker(ƒ) = 0 ⇒ Ker(ƒ) = {0} Dal risultato conseguito si può concludere che, poiché dim Ker(ƒ) = 0, ovvero Ker(ƒ) = {0}, la applicazione ƒ È INIETTIVA. dim Ker(ƒ) + 2 = 2 ⇒ ESERCIZIO 13. Si consideri l’endomorfismo ƒ : ℜ3 → ℜ3, che risulta associato alla matrice 2 1 t Af = 2 t 2 t + 1 t + 3 4 Si desidera conoscere il valore del parametro t affinché l’endomorfismo dato f sia un automorfismo. Per gli eventuali valori del parametro t per i quali ƒ non è un automorfismo si determini la dimensione ed una base per il nucleo Ker(ƒ). È utile ricordare che un “automorfismo” è costituito da un endomorfismo invertibile. Ciò richiede che, in termini di matrice associata all’applicazione, esista la matrice inversa cioè Aƒ deve essere invertibile e quindi NON SINGOLARE. Questa condizione implica che det(Aƒ) ≠ 0. Calcoliamo, quindi, il determinante della matrice Aƒ che risulterà essere, ovviamente, in funzione del parametro t. Si ottiene: 2 det( A) = 4t + 4(t + 1) + 2(t + 3) − t (t + 1) − 2t (t + 3) − 16 = = 4t 2 + 4t + 4 + 2t + 6 − t 2 − t − 2t 2 − 6t − 16 = t 2 − t − 6 Imponendo la condizione det(A) = 0 si determinano i valori del parametro t per i quali la matrice è SINGOLARE. Si ottiene: det( A) = 0 ⇒ t 2 − t − 6 = 0 da cui, risolvendo l’equazione di secondo grado, si ha: t= 1 ± 1 + 24 1 ± 25 1 ± 5 = = = 2 2 2 −2 +3 Si conclude che per t ≠ 2 e t ≠ 3 la matrice Aƒ È NON SINGOLARE e l’endomorfismo ƒ è un automorfismo ⇒ per t = -2 la matrice Aƒ assume la forma seguente: 2 1 − 2 A f t = −2 = 2 − 2 2 ( ) 1 4 −1 Esiste un minore del secondo ordine diverso da zero che consente di concludere quanto segue: ( ) dimIm( f ( t = −2) ) = rango A f ( t = −2 ) = 2 Una base dell’immagine è costituita dei vettori colonna appartenenti al minore del secondo ordine diverso da zero; per tanto si ottiene: BIm (f (t = −2 ) ) = {( 2, − 2, 2),(1, 2, 4)} Ricordando quanto asserito dal teorema di nullità più rango si evince che: dim Ker(ƒ(t=−−2)) + dim Im(ƒ(t=−−2)) = dim ℜ3 ⇒ dim Ker(ƒ(t=−−2)) = 3 − 2 =1 Per la determinazione di una base del nucleo si deve ricordare che il nucleo è l’insieme dei vettori del dominio che hanno come immagine il vettore nullo del codominio; è allora ovvia la scrittura che di seguito si riporta: a 0 A f t = −2 ∗ b = 0 ( ) c 0 da cui si ottiene: 2 1 a 0 − 2 ⇒ 2 − 2 2 ∗ b = 0 1 4 c 0 −1 − 2a + 2b + c = 0 b=a 2b + c = 2a 2a − 2b + 2c = 0 ⇒ 2b − 2c = 2a ⇒ c = 0 − a + b + 4c = 0 Si perviene alla conclusione che tutti i vettori appartenenti al nucleo sono vettori caratterizzati da componenti del tipo v = (a, a, 0); posto a = 1, tutti i vettori del nucleo sono multipli del vettore v = (1, 1, 0) che, quindi, genera tutto il nucleo e di cui ne una base. ⇒ per t = 3 la matrice Aƒ assume la forma seguente: 3 2 1 A f t = 3 = 2 3 2 ( ) 4 6 4 Esiste un minore del secondo ordine diverso da zero che consente di concludere quanto segue: ( ) dimIm( f ( t = 3) ) = rango A f ( t = 3) = 2 Una base dell’immagine è costituita dei vettori colonna appartenenti al minore del secondo ordine diverso da zero; per tanto si ottiene: BIm (f (t = 3 ) ) = {( 3, 2 , 4 ),( 2 , 3, 6 )} Ricordando quanto asserito dal teorema di nullità più rango si evince che: dim Ker(ƒ(t=3)) + dim Im(ƒ(t=3)) = dim ℜ3 ⇒ dim Ker(ƒ(t=3)) = 3 − 2 =1 Per la determinazione di una base del nucleo si deve ricordare che il nucleo è l’insieme dei vettori del dominio che hanno come immagine il vettore nullo del codominio; è allora ovvia la scrittura che di seguito si riporta: a 0 3 2 1 a 0 A f t = 3 ∗ b = 0 ⇒ 2 3 2 ∗ b = 0 da cui si ottiene: ( ) c 0 4 6 4 c 0 3a + 2b + c = 0 3a + 2b = − c 5b = −4c a = c 5 2a + 3b + 2c = 0 ⇒ 2a + 3b = −2c ⇒ 5a = c ⇒ b = − 4c 5 4a + 6b + 4c = 0 Si perviene alla conclusione che tutti i vettori appartenenti al nucleo sono vettori caratterizzati da componenti del tipo v = (c/5, −4c/5, c); posto c = 1, tutti i vettori del nucleo sono multipli del vettore v = (1/5, −4/5, 1) che, quindi, genera tutto il nucleo e di cui ne una base. ESERCIZIO 14. Si consideri l’applicazione lineare ƒ : ℜ3 → ℜ2 la cui matrice associata Aƒ, ∈ M(2,3)(ℜ), riferita alle basi canoniche, è di seguito riportata: 2 5 − 3 A f = ∈ M ( 2 ,3 )(R) 7 1 −4 Si vuole determinare la matrice associata ad ƒ rispetto alle basi BV = {v1 =(1,1,1), v2 = (1, 1, 0), v3 = (1, 0, 0)} di ℜ3 e BW = {w1 = (1, 3), w2 = (2, 5)} di ℜ2. Dato che Aƒ è la matrice associata all’applicazione lineare e riferita alle basi canoniche di ℜ3 e di ℜ2 si può calcolare l’immagine dell’applicazione stessa agente sui vettori della base BV; in relazione alla conformazione istitutiva della matrice Aƒ i vettori trasformati saranno espressi in funzione dei vettori della base BW. Pertanto, in ossequio alla definizione di matrice associata ad una applicazione sono ovvie le relazioni di seguito riportate: f (v1 ) = A f ∗ v1 f (v 2 ) = A f ∗ v 2 f (v 3 ) = A f ∗ v 3 1 1 2 5 − 3 2 + 5 − 3 4 ⇒ f 1 = ∗ 1 = = 7 1 − 4 + 7 4 1 −4 1 1 1 1 2 5 − 3 2 + 5 = 7 ⇒ f 1 = ∗ 1 = 7 1 − 4 − 3 1 −4 0 0 1 1 2 5 − 3 2 ⇒ f 0 = ∗ 0 = 7 1 1 −4 0 0 Come già sopra richiamato, i vettori ƒ(v1), ƒ(v2) e ƒ(v3) sono rappresentati tramite le loro coordinate riferite ai vettori della base canonica di ℜ2. Le coordinate dei vettori trasformati dall’applicazione riferite ai vettori della base BW sono fornite dai coefficienti delle seguenti combinazioni lineari: 4 1 2 f (v1 ) = A f ∗ v1 = = α 1w1 + β1w2 = α 1 + β1 (1) 4 3 5 7 1 2 f (v2 ) = A f ∗ v2 = = α 2 w1 + β2 w2 = α 2 + β2 ( 2) − 3 3 5 2 1 2 f (v3 ) = A f ∗ v3 = = α 3 w1 + β3 w2 = α 3 + β3 (3) 1 3 5 La scrittura (1) implica la validità contemporanea delle seguenti relazioni: α 1 + 2β1 = 4 ⇒ α 1 = −12 3α + 5β = 4 β1 = 8 1 1 La scrittura (2) richiede che siano soddisfatte contemporaneamente le relazioni di seguenti mostrate: α 2 = −41 α 2 + 2 β2 = 7 3α + 5β = −3 ⇒ β = 24 2 2 2 La scrittura (3) trova soddisfazione nella contemporanea validità delle relazioni di seguenti mostrate: α 3 + 2 β3 = 2 ⇒ α 3 = −8 3α + 5β = 1 β3 = 5 3 3 La matrice associata all’applicazione lineare ƒ : ℜ3 → ℜ2 riferita alle basi BV e BW è la matrice le cui colonne sono costituite dai coefficienti della combinazione lineare dei vettori immagine riferiti alla base BW; pertanto, alla luce dei risultato sopra conseguiti, si può asserire che la matrice cercata è così strutturata: Af α1 α 2 ∈ M (R) = ( 2 , 3 ) ( BV , BW ) β1 β2 α 3 − 12 − 41 − 8 = β3 8 24 5