Insieme con gli altri nella città degli uomini La lezione di Bruno

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Insieme con gli altri nella città degli uomini La lezione di Bruno
Insieme con gli altri nella città degli uomini
La lezione di Bruno Schettini
di Rocco Pititto
Brevi vivens tempore,
explevit tempora multa
Sap 4,13
1.
Tra biografia e storia: il profilo umano di uno studioso
La vita non è stata molto benevola e generosa con Bruno. Spesso è
stata anzi troppo ingenerosa e, a volte, perfino matrigna. È stata,
per questo, vissuta e percepita da lui come una condizione di limite,
un ostacolo, quasi come una “passione inutile”, fonte, per questo, di
forte malinconia e di struggente sofferenza. Costretto a
barcamenarsi tra derive contrapposte, spesso inconciliabili, non
sopportava l’idea di dover combattere una lotta inutile, che
considerava frustante, uno spreco di risorse e di energie, quando
riteneva più necessario dispiegare un impegno maggiore nella
costruzione della città dell’uomo con un’azione più consapevole e
più mirata alla soluzione dei problemi del vivere. La lotta quotidiana
gli impediva di dedicare le energie, di cui era capace, al
raggiungimento di altri obiettivi, che riteneva assai più gratificanti
sul piano personale e sociale. Era consapevole che la sua azione
risultava più frenata
dagli ostacoli frapposti da una serie di
circostanze a lui sfavorevoli, non sempre comprensibili.
Condizionato da scelte imposte da altri e da lui non volute e
nemmeno accettate, Bruno si è trovato negli anni a vivere come
gettato in una specie di “deserto degli affetti”, perché si era
ritrovato privato di quegli affetti che erano venuti a mancargli,
all’inizio di un cammino umano e scientifico, che si annunciava
promettente, carico di attese e di speranze. L’attraversamento nel
mondo è stato così accidentato da togliergli, in qualche momento,
perfino il respiro e finanche la voglia di vivere e di sperare.
Ma, anche nelle situazioni più difficili, non si è dato mai per
vinto, non si è ribellato, non ha accettato compromessi di sorta. È
rimasto sempre fedele a se stesso. Ha solo opposto una forma di
resistenza nel modo come gli era più congeniale, lavorando più
intensamente sul piano scientifico e su quello didattico, amando il
suo lavoro più di se stesso, esplorando i domini dei nuovi saperi, e
costruendo, intanto, una fitta rete di relazioni e di legami con amici
e colleghi attorno a delle idee-guida sull’uomo e sulla società,
collegate a un progetto di umanità di grande respiro. Sono state
delle idee feconde, che avrebbero caratterizzato in tempi non
sospetti il suo impegno di studioso dei processi formativi,
nell’ambito, soprattutto, dell’educazione alla cittadinanza e del
Lifelong learning., di cui è stato un antesignano, un attento
interprete, oltre che un brillante divulgatore . Molte furono le
iniziative scientifiche e didattiche intraprese negli anni, spesso in
anticipo sui tempi, caratterizzate sul piano della formazione degli
individui. Esse evidenziavano, da una parte, un approccio
innovativo con una apertura più orientata ai nuovi bisogni di
promozione
umana,
maggiormente
emergenti;
dall’altra,
esprimevano il richiamo non formale a
una proiezione
internazionale della riflessione educativa, avvertita più che
necessaria nella società globalizzata di questi ultimi anni.
La città dell’uomo costituiva il luogo ultimo della sua azione
politica, sul presupposto che non c’è mai un individuo fuori da un
contesto sociale. Il soggetto dell’educazione, su cui riversare ogni
“cura” e ogni “interesse”, non è mai un individuo astratto, ma
l’essere concreto, colui che vive accanto, il prossimo, il compagno
di viaggio, l’amico sconosciuto, l’emarginato, l’oppresso, il senza
parola, lo straniero. Sono tutti individui in cerca di una visibilità,
perché nel confronto con gli altri possano diventare persone,
soggetti di relazioni umane, gratificanti e significative. Era questo
uno dei compiti che Bruno aveva fatto proprio e che si traduceva in
lui in un ascolto dell’uomo e in una attenzione costante verso i
problemi del vivere. Quella tracciata da lui si costituiva come via ad
una azione formativa più consapevole e più incisiva a favore degli
individui in formazione. Era questo il senso di una educazione alla
cittadinanza, da lui proposta e declinata in forme diverse, alla quale
chiedeva di portare i soggetti dell’educazione a una consapevolezza
maggiore, perché ciascuno potesse diventare un cittadino.
2.
Un impegno per l’uomo
Potrà sembrare strano, ma la resistenza di Bruno a quanto gli
era di ostacolo nella vita di ogni giorno e gli impediva di portare
avanti il suo discorso e di essere se stesso è maturata da una
scelta, libera e consapevole, nella confessione sofferta di un
disagio, che lo aveva privato di una dimensione relazionale,
rendendo vano il suo desiderio di “essere di più” nell’incontro con
l’altro. Nel mutare delle cose e degli avvenimenti, rimaneva
confinato nel pudore del suo privato un bisogno inespresso di
tenerezza. Senza venir meno ai suoi ideali e senza mai lamentarsi,
conservando il sorriso sulle labbra, ha continuato a lottare e a
lavorare fino alla fine, come se avesse avuto ancora davanti tutta
una vita intera da vivere e da spendere per gli altri.
Negli ultimi giorni, poco prima di morire, a chi lo incoraggiava
a non mollare rispondeva dicendo di avere ancora tante cose da
fare e che anche questa volta sarebbe uscito fuori dalla malattia
che lo stava divorando. La voglia di fare era tanto più forte su ogni
altra cosa, da impedirgli di fare i conti con una realtà fisica ormai
compromessa, assai lontana ormai dai suoi desideri. La vita stava
per sfuggirgli e lui, imperterrito, ad aggrapparsi ai suoi ultimi
brandelli per costruire nuove relazioni e nuove trame narrative,
aprire altri scenari nella ricerca, esplorare percorsi formativi più
rispondenti alle esigenze della società della conoscenza. Da parte
sua, avvertiva la necessità di non mancare all’appuntamento con la
storia, perché sapeva che, solo andando verso di essa con un
bagaglio di esperienze più ricco, l’insecuritas dell’esistenza poteva
diventare una condizione di securitas, l’inizio di un progetto di
umanità più alto, cui tutti avrebbero potuto partecipare da
protagonisti, non da sudditi. Tutte le sue ricerche e le sue iniziative
andavano in questa direzione. Lo testimoniano i tanti convegni,
organizzati dappertutto, i seminari e gli incontri con i docenti e con
gli studenti, le ricerche e gli studi pubblicati, i progetti a lungo
respiro preparati, il numero e la qualità di collaboratori coinvolti
nella sua avventura intellettuale. Le “settimane pedagogiche”,
proposte a comuni e a enti territoriali, diventavano le nuove
“missioni popolari”, pensate per implementare forme di
partecipazione democratica e di promozione umana. Era tutta una
attività che si andava dispiegando in tutte le direzioni e cominciava
a interessare territori diversi rispetto a quelli tradizionali della
ricerca pedagogica.
L’ultima fatica di Bruno, il convegno La città che si rinnova,
organizzato a Napoli nel mese di ottobre del 2011 con la Facoltà di
Architettura della Seconda Università di Napoli, rappresentava la
conclusione di una svolta maturata nell’ambito di un diverso
approccio alla comprensione dell’uomo, che nella costruzione di un
nuovo umanesimo non poteva non esigere una “contaminazione”
dei saperi. Se l’uomo è un essere sociale, che vive insieme con gli
altri nella città, questa non può essere riserva esclusiva di un
sapere tecnico, perché deve diventare oggetto di interesse e di
studio da parte di architetti, filosofi, antropologi, semiologi,
pedagogisti, psicologi. Discutere sulle condizioni di vivibilità della
città e proporsi di migliorarle significava rendere l’uomo
protagonista del cambiamento. L’incontro dei saperi sulla città
dell’uomo si sarebbe potuto rivelare fecondo, se l’uomo avesse
abitato la città come “cittadino”, facendo di essa la sua dimora, lo
spazio entro cui far maturare la sua identità e riconoscere,
accettandola, la soggettività dell’altro. La conflittualità non può
essere l’ultima parola del nostro orizzonte, che avvelena i rapporti
degli uomini e li rende estranei l’un l’altro. Oltre la diffusa
conflittualità, c’è una solidarietà da costruire, attivando nella città
degli uomini processi educativi più orientati all’incontro, che allo
scontro. Era questa la direzione verso cui si muoveva la riflessione
di Bruno, alimentata da una appartenenza non formale alla
comunità cristiana, di cui era un membro attivo.
Il mondo di riferimento di Bruno non era vuoto, perché era il
mondo
degli uomini vivi in “carne e ossa”, i veri
e unici
interlocutori del suo discorso. Parte decisiva di questo mondo erano,
soprattutto, i suoi studenti, i suoi collaboratori, gli insegnanti, gli
individui delle professioni, gli amici più cari. Era un mondo a lui
familiare, popolato anche dei tanti personaggi, che aveva
contribuito, almeno alcuni di loro, a richiamare in vita dalla
dimenticanza e dall’oblio, e che costituivano il perimetro umano dei
suoi interessi di studio e di lavoro, il pensatoio originale del suo
essere uomo di questo tempo, senza rinnegare le radici del suo
passato. Il dialogo con loro è stato ininterrotto e fecondo e
costituisce una sintesi assai felice di posizioni diverse, convergenti
su una idea di uomo, che Bruno andava disegnando a grandi linee
nella riflessione e nella pratica pedagogica, avendo come punto di
riferimento la grande tradizione dell’umanesimo cristiano
reinterpretato.
3.
Nella compagnia degli uomini
Antonio Gramsci, Adriano Olivetti, Paulo Freire, Danilo Dolci,
don Lorenzo Milani, Aldo Capitini, Ettore Gelpi e tanti altri ancora
erano i suoi compagni di viaggio, i
maestri, diventati suoi
interlocutori di studio privilegiati, dai quali riprendeva strumenti
conoscitivi, metodi di analisi, formulazioni di proposte e soluzioni
dei problemi. Nella sua riflessione non era solo, né isolato. Il
cambiamento della società, da tutti auspicato, non poteva
prescindere
dalla riproposta della lezione dei maestri più
accreditati. Dalla riproposta della loro lezione, egli si riprometteva di
disporre di una serie di indicazioni per una migliore comprensione
dei processi culturali in atto nella società complessa di questi anni.
Egli era consapevole che non si poteva dare alcuna soluzione ai
problemi senza una loro comprensione adeguata. I bisogni formativi
diventavano centrali nella società della conoscenza e non potevano
essere disattesi. Forse, per questo, era necessario abbandonare le
aule universitarie e trovare nuovi luoghi di apprendimento per
costruire le piazze del sapere nei luoghi dove vivono e operano gli
uomini. Le scuole, le librerie, i convegni, internet, si prestavano a
diventare le nuove piazze del sapere. L’intuizione coglieva uno dei
momenti centrali della pedagogia sociale di questi anni. Bruno
sapeva che non poteva esserci alcuna altra alternativa a un modo di
fare pedagogia, che prescindesse dal mettere in primo piano questa
esigenza.. C’era in Bruno una lungimiranza, che lo portava a vedere
in anticipo i problemi e a indicare le soluzioni più idonee.
Le vicende della ultima fase della sua esistenza, così dolorose
per lui sul piano più personale, hanno restituito a noi, che con lui
abbiamo vissuto una stagione del nostro sperare e del nostro patire,
la figura di un uomo di grande umanità e di acuta sensibilità,
consapevole di se stesso e dei suoi limiti, disposto a rimettersi in
discussione, eppure sempre presente a se stesso, aperto a ricercare
nuove idee e nuove strade, pronto a costruire nuove storie e a
indicare nuovi orizzonti di studio e di ricerca. Lo animava una
curiosità intellettuale, che lo portava a cercare e a sperimentare
nuove soluzioni. Costruire ponti tra il già e il non ancora, tra il
presente e il futuro, era parte di un programma di vita, che aveva in
mente già da tempo e che arricchiva di nuovi contenuti e di altre
sensibilità. Guardava più lontano di molti di noi, ed era diventato
negli anni, senza nemmeno averlo voluto o cercato, un punto di
riferimento, sempre pronto a dare una mano, a valorizzare il merito,
più che le appartenenze accademiche o familiari.
Nei momenti decisivi della sua esistenza, egli ha dovuto lottare
per conquistarsi uno spazio di libertà e lo ha fatto senza perdere
mai il suo equilibrio e la sua serenità. Senza mai alzare la voce, ma
con fermezza e costanza ha saputo costruire una “casa spaziosa”,
popolata di idee, di progetti, che hanno riempito la sua vita e hanno
dato alla sua ricerca una direzione precisa. Aveva una forza
d’animo, maggiore nelle circostanze più difficili, che lo spingeva a
guardare oltre le piccole o grandi contrarietà dell’esistenza più
immediata, lottando e amando. Lo accompagnava un sorriso,
espressione di uno sguardo che sapeva cogliere nelle vicende
umane ciò che era essenziale da ciò che non lo era. Era un sorriso
velato, tra l’ironico e il malinconico, che tutti accoglieva nel suo
orizzonte, facendo diventare tutti noi suoi amici parte di un disegno
più grande.
La sua vita è stata un dono. È stato per tutti un esempio di
vita, oltre che di sapere. Non aveva soluzioni predeterminate da
offrire, né si mostrava attaccato alle sue idee, da non considerare
quelle degli altri. Pronto a cambiare, quando le vecchie soluzioni si
rivelavano inadeguate e obsolete, ma fermo nel sostenerle quando
era necessario. Lascia una eredità di progetti, di idee, di
insegnamenti, di relazioni e di affetti, difficilmente colmabile. Sta a
noi riprendere parte di questa sua eredità e portare in avanti la sua
lezione, nella consapevolezza che “dare significato alla nostra
esistenza” è il compito, cui ciascuno di noi è chiamato in ragione
anche di una fedeltà alla vita di coloro, come Bruno, che hanno
accompagnato i nostri giorni, rendendoli meno bui e più luminosi.
Grazie, Bruno!