L`alfabeto nato tra i nuraghi

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L`alfabeto nato tra i nuraghi
L’ESTATE 2011
L’UNIONE SARDA
Cultura
martedì 12 luglio 2011 - www.unionesarda.it
IX
L’erede di Lilliu tra le rotte degli Shardana e gli studi sul sistema metrico dei protosardi
Giovanni Ugas, docente di Preistoria e Protostoria all’Università di Cagliari e quindi erede della cattedra che è stata di Giovanni Lilliu, ha da poco
conquistato andando in pensione il tempo necessario per dare l’assalto finale al suo saggio sugli Shardana, uno dei temi portanti della sua attività
di ricerca.
Tra i campi della sua indagine vanno segnalati, oltre agli originali elementi alfabetici nati nell’Isola dopo il periodo nuragico, i sistemi ponderali e metrico lineari in uso nella Sardegna dell’antichità, basati sulla ricorrenza del
5,5 (grammi e centimetri) come parametro ricorrente.
Nel contributo che pubblichiamo il professore presenta una breve sintesi
dell’articolo “I segni numerali e di scrittura in Sardegna tra l’età del Bronzo e il I Ferro” nel quale affronta la problematica dei codici numerali e di
scrittura al tempo dei nuraghi. Questo studio uscirà dalle stampe nella collana di Studi Archeologici “Tharros felix” (V) curata da Raimondo Zucca e
da altri docenti archeologi e storici dell’Antichità per conto della casa editrice Carocci di Roma.
L’alfabeto nato
tra i nuraghi
Una “A” indica l’originalità simbolica isolana
di Giovanni Ugas
Professore, che cosa fa pensare che si
tratti di un alfabeto sardo e non di segni
importati da altre culture?
«Erano cominciati da poco gli anni
Settanta quando scoprii i primi segni:
già da quegli elementi era evidente che
si trattava di segni progressivi, disposti
secondo una lettura da sinistra verso destra che portava a un orizzonte greco.
Mi sarei aspettato un alfabeto fenicio e
invece le ricerche dei successivi trent’anni mi confermarono quella prima impressione. E soprattutto mi confermarono che non avevamo a che fare con segni sporadici, elementi grafici usati
esclusivamente per indicare la capacità
di un vaso o l’identità del suo proprietario: no, l’insieme dei segni a nostra disposizione porta a un alfabeto completo,
ad andamento progressivo, e dunque diverso da quello fenicio, dotato di vocali
come greco ed etrusco ma con alcuni elementi grafici in comune con l’alfabeto
fenicio, la maggioranza dei grafemi che
richiamano la scrittura greca e altri ancora adattati alle esigenze proprie della
scrittura sarda» - e qui il professore indica sulla tabella che pubblicherà su
“Tharros felix” un simbolo a forma di
freccia, l’equivalente di una a - . È naturale che l’alfabeto in uso nell’Isola riflettesse i fitti contatti dei sardi con le altre
culture. Ad esempio la diffusione di vocali come u, i, e a indica i rapporti con la
cultura euboica. E qui giova ricordare
che secondo Diodoro siculo (e non solo
secondo lui) gli Iliesi giunsero in Sardegna con i Tespiadi. È interessante perché
Tespi era una cittadina della Beozia: attraverso la prassi greca del dare forma
mitica agli eventi storici si possono leggere le relazioni intrecciate nel periodo
del Primo Ferro».
Possiamo immaginare testimonianze
grafiche di concetti complessi, o comunque più articolati delle misure indicate su
pesi e di lingotti?
«Questo è l’interrogativo più interessante, perché a questo punto non ci sono dubbi sulla struttura e la completezza dell’alfabeto, può esserci tutt’al più
qualche imprecisione nell’attribuire un
fonema a un segno piuttosto che a un altro, mentre ci vuole grandissima attenzione - e direi grande prudenza - per individuare elementi di significato complessi. Il fatto è che per il momento abbiamo a disposizione soltanto sei iscrizioni con più di un segno».
Su queste rare ma preziose iscrizioni
potremo leggere il Sardo più antico.
«Sarebbe difficile e azzardato dire
“questo è il Sardo”, non foss’altro perché
l’Isola era popolata da Iliesi, Balari e Cor-
È
noto che per circa sette secoli, tra l’età del Bronzo
medio e finale (all’incirca
dal 1600 al 900. C.), le popolazioni sarde furono governate dai capi tribù che
risiedevano nei nuraghi mentre il resto
della popolazione dimorava nelle modeste abitazioni dei villaggi. Il commercio
intertribale era aperto alle transazioni
con regioni d’oltre mare e almeno dal
XIV secolo a.C. la Sardegna fu raggiunta
da contenitori in ceramica dipinta, grandi lingotti oxhide in rame, manufatti in
avorio e vetro del bacino orientale del
Mediterraneo, mentre i Sardi navigavano con le loro merci in Sicilia, Grecia e
Creta. É chiaro che, allora, i Sardi frequentavano popolazioni che adoperavano la scrittura e non a caso in 8 lingotti
in rame importati (forse tramite Creta)
sono stati rilevati contrassegni di scrittura lineare egea. Tuttavia, a parte l’esiguo
numero e l’origine incerta di questi marchi, non è attestata nell’isola alcuna iscrizione avente almeno due caratteri sillabici insieme e allo stato attuale delle ricerche non esistono ragioni valide per
sostenere che nella Sardegna del Tardo
Bronzo fosse stato adottato un sistema di
scrittura lineare affine a quello egeo, né
di altra natura.
A partire dal sec. IX a.C., abbattuti i
nuraghi, le comunità dei villaggi compirono un passo fondamentale verso una
società urbana, sostituendo le residenze
dei capi tribali con organismi collegiali e
costruendo maestosi edifici pubblici, in
particolare sale del consiglio, palestre per
i giovani, terme, templi destinati a divinità celesti e dell’acqua. Le condizioni
economiche e sociali migliorarono e ben
presto i villaggi santuariali accumularono notevoli ricchezze. Allora la Sardegna
fu raggiunta da mercanti fenici (che in
parte vi si stabilirono), greci ed etruschi,
ma non di meno i Sardi lasciarono le
tracce dei loro movimenti (ceramiche e
artistici bronzi) in Etruria e altre regioni
peninsulari, Creta, Africa del Nord e Penisola iberica, mentre qualche Nivola o
Sciola protosardo scolpiva le grandiose
statue di Mont’e Prama. Non c’è da stupirsi se in questo clima di benessere e di
apertura culturale del I Ferro anche in
Sardegna maturarono le condizioni per
la nascita della scrittura.
Oggi si può contare su un complesso di
32 manufatti del I Ferro (sec. IX-VI a.C.),
in particolare vasi, pesi da bilancia e lingotti provvisti di 55 segni di scrittura alfabetica. Spesso i grafemi si presentano
Un guerriero nuragico immaginato dallo scultore oristanese Carmine Piras
isolati per registrare misure di peso o di
capacità, ma talora possono aver segnalato la proprietà o la fabbrica. Le iscrizioni con due e più grafemi finora individuate sono appena sei, ma le stesse e i
segni isolati consentono di definire un
omogeneo e originale sistema di scrittura alfabetica connesso con un codice numerale. Le iscrizioni fanno pensare ad
un fenomeno d’élite, ma l’articolata distribuzione dei segni in ambito regionale porta a ipotizzare un’ampia diffusione;
d’altronde, a oggi, sono assai poco indagati i templi e le sepolture del I Ferro (in
particolare del VII-VI secolo) da cui attendiamo nuove iscrizioni.
Allo stato attuale il sistema alfabetico
sardo consta di 21 lettere: 16 consonanti, di cui alcune problematiche, e 5 vocali. Finora non risultano attestati i grafemi per i fonemi B, D, TH, N, e ciò può dipendere in parte dalla documentazione
ancora carente. Non solo l’aspetto formale, ma anche l’orientamento progressivo dei grafemi (da sinistra a destra) e
l’uso delle vocali inducono ad affermare,
sorprendentemente, che il sistema alfabetico sardo si apparenta al modello di
scrittura greco “rosso” occidentale piuttosto che a quello fenicio. Colpisce la vicinanza formale con i più precoci alfabeti della Beozia e dell’Eubea. Basti richiamare i grafemi della statuetta bronzea
tebana dedicata da Mantiklos ad Apollo
arciere e quelli dell’iscrizione greca su
un vaso di Gabii (Osteria dell’Osa), la più
antica in ambito etrusco-laziale. Questo
legame tra la Sardegna e il mondo beota ed euboico è suggellato da una serie di
elementi in comune: gli ornamenti geometrici delle ceramiche e l’importazione
precoce di vasellame euboico; i templi in
antis sul fronte e sul retro; la relazione etnica tra la Sardegna e la Beozia proposta nel mitico racconto su Iolao e i Tespiadi, che fa retrocedere nell’eroica età
del Bronzo un rapporto certamente vissuto nell’età del Ferro.
Contemporaneamente nel sec. IX-VIII
era diffuso nell’isola un articolato codice
numerale che impiegava segni alfabetici
e geometrici. In 25 manufatti, si riscontrano segni numerici elementari, anch’essi con direzione di lettura progressiva, consistenti in tacche e cerchielli (o
puntini), che avevano la funzione di registrare le misure di peso, unità e multipli. In alcuni pesi da bilancia e lingotti in
piombo la disposizione dei punti e dei
cerchielli per segnalare le cifre 3, 4, 5 e
6, è quella tipica dei dadi e ciò porta a
credere che fosse praticato tra le comunità sarde il gioco dei dadi. Più tardi, a
partire forse dal VII secolo a.C., i Sardi
adottarono un nuovo codice numerale a
base 5 e 10, strutturalmente simile al sistema di numerazione decimale degli
Etruschi e dei Romani.
«Quella lettera
solo nostra»
L’archeologo Giovanni Ugas
si: quando le ricerche avranno fatto molti passi avanti, potremo dire: “Questa era
una lingua dei Sardi”»
Quanto tempo ci vorrà per individuarlo?
«Per ora i dati sono molto limitati: ripeto, abbiamo a disposizione 55 segni
tracciati su 32 manufatti. Non è tantissimo ma sono molto fiducioso: forse ci saremmo aspettati di più da tre decenni di
ricerche ma va detto che trent’anni fa,
per intenderci, nessuno ipotizzava che
avremmo trovato ceramiche nuragiche a
Creta e ceramiche micenee in Sardegna.
L’archeologia, come amo ripetere, è una
scienza giovane e deve fare con prudenza e attenzione il suo percorso, soprattutto se si tiene conto che templi e necropoli del sesto e settimo secolo, cioè i siti
che dovrebbero restituirci le iscrizioni,
sono i luoghi di scavo e di indagine più
penalizzati dall’attività di ricerca che si
è svolta finora. Detto questo, oltre un certo punto noi archeologi cederemo volentieri il passo ad altri studiosi, a cominciare dai colleghi glottologi».
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