La maschera, i vermi e la casa nella prateria

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La maschera, i vermi e la casa nella prateria
2 La maschera, i vermi e la casa nella prateria
1 Nell’atmosfera soffocante della sera il rafál sollevò la testa e fiutò l’aria: immobile, i grandi occhi spalancati, le orecchie e il pelo ritto, si guardò a destra e a sinistra. Dopo un attimo iniziò a correre e un’ombra molto più grande irruppe dal muro di erba alta. “Boone! Qui bello, qui!”. Accovacciata fra steli alti quanto lei la ragazzina sentiva il sudore gocciolare sotto la maschera e lungo il collo. La tensione sul nerbo dell’arco si rilassò quando un muso enorme sbucò dall’erba una decina di passi alla sua sinistra. Ci aveva pensato lui. Sorrise. “Dai Boone, porta alla mamma!”. La bestia trotterellò con calma e lasciò cadere il suo trofeo davanti a un paio di piedi piccoli in mocassini di pelle. Una mano altrettanto piccina gli stropicciò il pelo corto fra le orecchie e quello ne approfittò per saltarle addosso; ricaddero rotolando sul muschio che copriva il terreno, e quando l’animale si strusciò lei rispose con un mu‐
golio assecondando il movimento col bacino. “Vuoi fare i giochini Boone? Vuoi fare i giochini con la mamma?”. In quel momento l’animale sollevò la testa e la ragazzina sentì il suo corpo che si irrigidiva. Sgusciò sotto di lui tornando in ginocchio, cautamente si sporse e dopo un attimo la pistola le comparve in pugno, grossa e pesante come un pezzo di ferro pieno. Tre cavalli venivano. L’animale socchiuse gli occhi e scoprì i denti prima che lei gli cingesse delicatamente il collo. La pi‐
stola era tornata nella fondina. “Buono Boone, calmo e zitto. Facciamo una sorpresa”. Poi, senza dire al‐
tro, afferrò il rafál e iniziò a camminare curva e rapida.
2 “Capo una buona volta, dove stiamo andando?”. Ned si passò la manica sulla fronte scostando una ciocca di capelli impiastricciati. Erano neri ades‐
so, e non potendo tingerli allo stesso modo, i baffi erano spariti sotto la la‐
ma del rasoio già una settimana dopo il colpo; ne erano passate sette da al‐
lora e le avevano trascorse tutte quante in sella, in una marcia a tappe for‐
zate che li aveva visti costeggiare il Mar Redondo e approdare in territorio indipendente col fiato della legge sul collo. Qualcuno dei passeggeri doveva essersi ricordato di lui: e come dimenti‐
carlo un arnese del genere? Ma quello non sembrava preoccuparsene, den‐
tro il suo spolverino nero come il peccato, coi suoi due uccelli dell’accidente sulle spalle e quattro pistole intorno ai fianchi. Per Ned invece le facce del cieco e del negro avevano la forma e la sostanza di una corda insaponata: un promemoria del nuovo conto aperto sugli avvisi di taglia in cui si erano imbattuti anche lungo una pista solitaria come quella. Un appunto sul fatto che da certe strade non si riesce mai a deviare per troppo tempo. Grazie a Dio il suo disegno assomigliava poco all’originale, ma lo stesso la faccenda gli era costata quel bel rosso carota della sua chioma, ridimensio‐
nata per buona misura ad una corta spazzola nascosta sotto un cappello di cuoio marrone. Dozzinale come il resto dell’abbigliamento con cui aveva so‐
stituito il suo completo da giocatore, e che adesso lo faceva assomigliare più a un vaccaro in licenza che a un seduttore di mazzi e femmine. Per col‐
mo di misura anche l’odore era quello: oro o non oro, per uno che amava lavarsi tutte le mattine la cosa assumeva i contorni decisi di una condanna. “A Lonesome Prairie. Da mia nipote”. Sollevò un sopracciglio mentre il cavallo avanzava al passo fra l’erba di quella prateria sconfinata e torrida. A mezza giornata di marcia montagne dalle punte nuvolose interrompevano il mare verde come una gigantesca chiusa. “Acquisita” precisò. Il negro, che cavalcava qualche passo in avanscoper‐
ta, non si girò neppure. “Sono pronto per la tua storia”. “Sei un cuore tenero e curioso”. “Ognuno ha i suoi difetti jefe, riesci a immaginare la noia se tutti sono uguali?”. Ned accennò un sorriso, il volto di pietra del cieco bastò a farglielo morire sul volto. “Sedici anni fa, nella banda di Snake Bill...”. “Momento momento uomo, adesso vieni a dirmi che stavi con Ol’Man Snake?”. “Un capintesta come tanti altri, gli si fa pure un credito eccessivo, ma non è di lui che voglio parlarti. Sedici anni fa nella banda del vecchio Bill c’era un uomo, si chiamava Donny Lance e per me era come un fratello. Eravamo inseparabili, dividevamo tutto, ci siamo salvati la vita tante di quel‐
le volte che manco me le ricordo”. Era talmente fuori posto l’espressione sognante che si dipinse sul volto del vecchio, che i suoi testicoli reagirono riducendosi alle dimensioni di un paio di biglie. Il giocatore annuì aggiu‐
stando le noccioline sulla sella e muovendo la mano in circolo. “A un certo bel punto una donna minacciò di dividerci. Una cantante di saloon, Bon‐Bon La Belle si chiamava”. “L’ho già sentita, dicono che vent’anni fa fosse la pollastra più figa dello stato di Sureste...”. “Il feudo di Sureste, ché a quei tempi, appena buttato giù il Magnifico, il Ring non si era ancora pappato tutta la torta. Ad ogni modo ci combattem‐
mo per quella donna, come possono combattersi due fratelli, e alla fine lei scelse lui”. “Io avrei fatto volare piombo”. “E io non potei, volevo troppo bene al mio fratello di pistola per permettere a una femmina di scavare un solco fra noi. Così, quando mi disse che voleva scorciarla con la vita di strada e ricominciare, io non ci pensai due volte e fui con lui. In due ce ne andammo dalle grazie di Ol’Man, polveri furono bruciate, vecchi compadres morirono per mano nostra e alla fine, con la legge da una parte e Bill dall’altra, riparammo quaggiù”. Una pausa. Il vecchio cercò e trovò al primo colpo la fiasca dell’acqua, da cui bevve un lungo sorso prima di riprendere il suo racconto. Per quel momento ogni traccia di piacevole nostalgia era sparita dalla sua faccia. “Donny e Belle si stabilirono a Perdíz, una boom‐town nell’entroterra dove avevano trovato il rame, e che adesso nemmeno esiste più. Ebbero una figlia l’anno successivo. Lo stesso anno la legge trovò il mio pard e io, che a quei tempi facevo il vagabondo e campavo come potevo, ero lontano. Ancora oggi rimpiango quel giorno, che tu lo sappia, di notte mi sogno la faccia di Donny…e so che ho dimenticato quella di mio padre. Non ero lì quando il mio amigo aveva bisogno della mia pistola, e che il diavolo mi porti e mi tenga per questo!”. Ned accennò senza rispondere, turbato da quel racconto; in quel mo‐
mento il vecchio non sembrava proprio il freddo e infallibile assassino che aveva visto in azione: curvo sulla sella, le rughe come crepacci su un volto arrossato di calura, era soltanto stanco e fragile. Si stupì del suo stesso ge‐
sto quando sollevò la mano e gliela posò sulla schiena. “Jefe…l’acqua passata non muove più la ruota…”. “La fai facile tu, che ami solo il dinero e le puttane da saloon! Ma ti rin‐
grazio se sei sincero” borbottò dopo un momento, come in imbarazzo. “Lo sono capo. Davanti a Dio lo sono. Poi che accadde?”. “Accadde che tornai appena seppi dell’accaduto, e costruii per la mia donna ormai persa una casa in un posto sperduto. Una prateria ai piedi delle montagne, vicino a un vecchio cimitero dei Viaggianti, lontano dal buco di città dove suo marito fu ammazzato come un cane. Un posto maledetto per la gente e le carovane. Un nido per lei e sua figlia. Lonesome Prairie” esalò in un sospiro. Un'altra pausa. Le rughe si stirarono in un sorriso incerto. “Dovrebbe avere quattordici anni mia nipote, quindici al massimo se ho tenuto bene il conto”. “Quindi stiamo andando a prendere…una bambina?”. “Glielo devo. Ha perso la madre nove anni fa quando è venuta la viruela. Io l'ho saputo dopo quasi due anni e ho fatto l’unica cosa che potevo”. “Quella che avrebbe fatto ogni uomo”. “Tu lo dici. L’ho presa dall’orfanado dove l’avevano rinchiusa e l’ho portata nella casa che costruii per sua madre. L'ho allevata come la figlia che non ho mai avuto. Le ho insegnato tutto quello che so. E adesso voglio tornare da lei per non abbandonarla mai più”. Confuso Ned annuì. “Non ti credevo così sentimentale nonno, io...”. Il cieco sollevò una ma‐
no, quindi il volto. Annusò l’aria. Sorrise. “Lei ci sta guardando, sento il suo profumo. Cotoñera, lo stesso di sua madre”. Il giocatore (che non sentiva nulla) si limitò ad annuire di nuovo. Notò che il negro si era fermato nello stesso istante del vecchio. “Capo non voglio mancarti di rispetto...”. “Allora non farlo. E aspetta di vedere prima di giudicare. So che pensi, sarà una palla al piede. E invece Mask ti sorprenderà”. “Mask?”. “Se l’è scelto lei il nome. La mia piccola si chiama Lena in realtà, Lena Lance, come sua madre. Ma la vita non è stata generosa con lei”. “Non capisco”. “Quando vedrai capirai”. Mezz’ora dopo, il sole già basso, dal mare d’erba spuntò una casa: una baita di tronchi dal tetto di pietre, con un comignolo fumigante e due fine‐
stre. Tende dietro i vetri. E le imposte, notò Ned, avevano ciascuna una sa‐
gomatura a forma di mezzo cuore. Il cieco, silenzioso e sorridente, diede un tocco di talloni e il cavallo au‐
mentò il passo. 3 Altri dettagli si svelarono mano a mano che chiudevano la distanza. Il mare d’erba scemò in un prato regolato con la falce ampio una quarantina di iarde, occupato da un orto sul lato sinistro della casa e una legnaia che si intravvedeva appena sul destro. C’era una panca a qualche passo dal muro, sulle sponde di un guadal che attraversava la radura e spariva fra gli steli dalla parte opposta. Vasi ricavati da tronchi svuotati contenevano fiori di campo a ciuffi. Uno scacciaspiriti mandava il suo trillo all’estremità di una passerella di legno. La porta della capanna era socchiusa e, frammisto a quello di fumo, c’era odore di cibo nell’aria. “Si è sistemata bene questa tua nipote” chiosò il giocatore, appena pri‐
ma che il più grande cane sulla faccia del mondo sbucasse dall’angolo della casa e venisse loro incontro. L’uomo abbassò la mano alla pistola e si ritrovò le dita del cieco intorno al polso. La bestia era grossa come un puledro di sei mesi, il pelame corto, nero e lucido, le zampe lunghissime e una testa grande da sola quanto il fondo di un pentolone, segnalata da un paio di piccole orecchie triangolari. Due coppie di occhi allineate una sull’altra li passarono in rivista sofferman‐
dosi su di lui per ultimo; alla manovra seguì lo spalancarsi di fauci piene di denti ricurvi, sottili e aguzzi fra i quali si srotolò una lingua biforcuta goccio‐
lante di bava. Il verso che la bestia mandò era una via di mezzo fra un guai‐
to e uno gnaulio. Muscoli enormi guizzarono sotto il pelo mentre iniziava a leccarsi. Ned inghiottì, bianco in volto. Il cieco allentò la stretta. “Tanto casino per un perrogato, non ne avevi mai visti? Vivono più a Sud, dove fa freddo e non c’è la legge. Lui è un mutante di sette anni che ho rimediato nei miei viaggi, si chiama Boone...e non l’avresti fermato con quella tua sparaceci!”. Il negro, che sembrava disorientato quanto lui, acco‐
stò il cavallo. L’animale non si mosse. Momenti dopo la porta si aprì e il gio‐
catore realizzò che le sorprese della giornata non erano ancora finite. 4 Quattordici anni poteva bene averli, la figura appena apparsa sulla so‐
glia: una ragazzina vestita di pelli con un mestolo in mano, i capelli lunghi, nerissimi, scarmigliati e lucidi tenuti fermi da una fascia rosa, e una masche‐
ra dello stesso colore che le copriva interamente il volto. L’apparizione ri‐
mase ferma un attimo soltanto, poi lasciò cadere il mestolo sulla panca e si mise a correre verso di loro; il cieco allungò le braccia e quando fu vicina la tirò su stringendosela al petto. Una fondina e un fodero di coltello fecero capolino e sparirono altrettanto rapidamente. “Tio, tio Cuervo!”. La voce era acuta e raggiante, e mentre si godeva in‐
credulo la scena, Ned si accorse che la maschera era un lembo di cuoio te‐
nuto fisso al volto da cinghie legate dietro la nuca. Subito sotto un farsetto di daino era teso da una coppia di seni germogliati da poco, piccoli e sodi. La ragazzina si staccò dall’abbraccio del vecchio e lo fissò. Il serrarsi di ma‐
scelle nascoste, e lo scintillio di occhi duri dietro le feritoie della maschera, lo indussero a riportare lo sguardo sul cane. “Non ti piace essere guardata, lo so zuccherino. Ma questo mio amico ha il sangue caldo dei giovani e appena vede una garota non capisce più nulla!”. Il vecchio rise. La ragazzina non disse niente. L’espressione, registrò con la coda dell’occhio, non si addolcì. “Invoco perdono per lui” disse ancora facendole una carezza. Il suono che il cuoio produsse nel venire sfiorato gli suonò stranamente sgradevole. Il negro fissava la casa, inespressivo. “Ti ho visto che venivi nella prateria” disse la ragazzina dopo qualche se‐
condo. “C’è della carne se ti è gradito, per te...e i tuoi maschi”. L’ostilità fu più che percettibile. “Io e i miei amigos diciamo grazie. E mangeremo senza guardarti”. “Anche io dico grazie per questo”. Il cieco la depose a terra e Ned non poté fare a meno che il suo sguardo ve‐
nisse calamitato da un fior di culetto in movimento, prima che uno scappel‐
lotto gli piovesse fra un orecchio e l’altro. Pur senza più occhi il cieco lo squadrava con piglio severo. “Che ho fatto adesso?” mormorò. “Non posso più guardare?”. “Non lo sopporta, non vuole essere guardata dagli uomini. Se vuoi sbir‐
ciarla fa’ pure, io per primo so che è una bocconcina niente male, ma non guardarla direttamente. Soprattutto non in faccia”. “Perché?”. “Ha fatto la viruela come sua madre. Belle è morta...e lei ci ha lasciato giù la bellezza. Soffre da una vita per questo, se ne vergogna, io sono l’unico da cui si lascia guardare”. Il cieco diede un tocco di talloni e Ned si affrettò a tenere dietro. Sfilarono in silenzio accanto al cane accucciato che si stava leccando fra le zampe proprio come farebbe un gatto. In mezzo c’era un membro che non avrebbe sfigurato su un cavallo. Il gambler meditò di scusarsi...poi ritenne che sarebbe stato più vantag‐
gioso farlo direttamente con lei. L’interno della capanna era piccolo, accogliente e profumato: la stanza era occupata su un lato da un letto doppio, dalla parte opposta un tavolo fiancheggiato da una piccola madia. Mensole erano appese alle pareti e ospitavano bambole di pezza piccole e grandi, nessuna delle quali aveva oc‐
chi di bottone o punti a croce per bocca. In un caminetto addossato alla pa‐
rete di fondo, sopra uno strato di fiamme basse, sobbolliva una pentola ca‐
piente. L’odore era più che buono. “I tuoi maschi devono darsi una lavata!” disse la ragazzina lasciando ca‐
dere il mestolo nella marmitta. “Non voglio gente che puzza nella nostra ca‐
sa, non sei d’accordo tio?”. “Più che d’accordo piccola”. Mask scantonò verso la finestra e afferrò un tocco di sapone abbandonato sul davanzale. Lo lanciò e il negro lo prese al volo con l’espressività di un tronco d’albero. “In effetti non mando un buon odore” mormorò. Ned scoppiò a ridere. “Nemmeno io camerata!” incalzò decidendo all’istante che si sarebbe mostrato affabile, allegro e ciarliero come una gazza. E soprattutto tigroso, come sempre è opportuno essere dove c’è carne giovane a portata di zam‐
pa. L’occhiata che il colosso gli scoccò fu indecifrabile, ma di nuovo colse quell’indurirsi dei lineamenti di lei sotto la maschera, prima che gli girasse le spalle tornando allo stufato. “Posso fare io per primo? Tu permetti vero?”. Sfilò il sapone dalle ma‐
none del negro, che non si oppose. “Possiamo fare nel ruscello Mask?”. La ragazzina si irrigidì. “Ciancia di meno giovane” si inserì il vecchio, anche la sua voce non riu‐
scì a classificarla. “E non mi fotte dove, ma fila a lavarti”. “Prima di subito capo! E invoco perdono” aggiunse. “Se ti ho mancato di rispetto giovane donna. Più non accadrà io dico”. La ragazzina incassò il capo nelle spalle, e quando riprese a mescolare, lo fece con gesti rabbiosi. 5 Lo stufato era più che all’altezza del suo profumo e tutti quanti lo man‐
giarono in silenzio e rapidamente, le teste chine sul tavolo come da conse‐
gna. Finito che ebbero la ragazzina raccolse i piatti e tirò fuori una bottiglia dalla madia servendosi una generosa razione. Il bordo inferiore della ma‐
schera, ancora sollevato, mostrava uno scorcio di pelle grigia e scagliosa. “Radici e fiori di cajunilla” indagò il vecchio. “La dico giusta?”. “È la ricetta di mamma, lo sai”. Di una voce così dolce un uomo avrebbe potuto innamorarsi, pensò Ned, accostando il bicchiere a quello del cieco che si premurò di versarne per tutti quanti. “Sono stata a Bofedal la settimana scorsa, ho preso qualche bottiglia di puchaça, non...non ho fatto male, vero tio?”. “Cara, sei una donna grande adesso, e puoi bere come i grandi”. “Dimmi che rimarrai!” strillò all’improvviso. Una goccia si staccò dal mento e piovve nel bicchiere. “Sei stato via così tanto tempo, sei stato...qui da sola...gli altri, non...”. Ned vide il cieco alzarsi, accorrere, abbracciarla e stringerla. La ragazzina sussultò in singhiozzi striduli mentre lui le accarezzava i capelli. Il giocatore scambiò un’occhiata col negro il quale, disorientato quanto lui, si strinse nelle spalle: l’effetto fu quello di due lastroni di basalto che scivolavano uno contro l’altro. “Va tutto bene piccola, va tutto bene, sono qui, sono venuto a prenderti, non sarai mai più sola. Verrai con me e noi due staremo sempre insieme”. La ragazzina sollevò il capo. Si sentì il rumore di un naso triste. “Cosa tio? Venire...venire dove?”. “All’avventura bambina mia, con me e i miei amigos. Insieme nessuno potrà fermarci, e alla fine ci sarà denaro per te, così tanto che diventerai una donna potente e nessun hombre oserà mai, mai più prenderti in giro”. L’attimo successivo la mano del giocatore guizzò alla fondina, ma fu solo un riflesso condizionato, che precedette di poco l’odore dolciastro del liquore sparso dal bicchiere di lei. La ragazzina saltò alla gola del vecchio e riprese a piangere. “Il Magnifico aveva dodici colonnelli e sei generali” esordì. Alla luce in‐
certa della candela il volto del cieco sembrava sul punto di trasformarsi in polvere. “I soldati erano comandati a distanza, noi invece eravamo capaci di pensiero indipendente...anche se aveva fatto in modo di guadagnarsi la no‐
stra fedeltà”. “Come?”. “La mamma te l’avrà spiegato giovane, che non si rubano i biscotti dal barattolo!”. Veramente mia madre non era proprio mia madre, lei era una puttana e io me la sbattevo alla grande‐grande cogitò Ned, ritenendo tuttavia oppor‐
tuno tenere la cosa per sé: non voleva rovinarsi la piazza davanti alle even‐
tualità del possibile. Sul davanzale un verme rotolò fuori dal vaso. Lo seguì con lo sguardo. “Per noi era lo stesso, un comando scritto nella testa...qualcosa che non faresti mai, come rubare in chiesa, o tirare su una donna. O spararti nelle palle da solo”. Mask rise, il suono era delicato e musicale e crudele. Ned tornò al vecchio muovendo la mano in circolo. “Nessuno ha pazienza per le ciance di un povero diavolo”. La ragazzina scoccò un’occhiataccia che il gambler si sforzò di sostenere. Inaspettata‐
mente vi riuscì, e fu lei questa volta a battere in ritirata. “Molti colonnelli furono uccisi nelle ultime settimane del Magnifico, così come i suoi generali. Da quel che so ce n’è solo più uno operativo, e se la sta spassando un mondo a razziare e raccogliere scalpi da qualche parte ne‐
gli Stati”. “Andiamo anche noi per scalpi tio?”. “Ho in mente qualcosa di meglio. Caccia fuori la patacca, giovane”. Ned infilò la mano nella scarsella, prese la rondella e la appoggiò al centro del tavolo. “Uno dei generali riparò quaggiù con un carico d’oro, per comprare la ri‐
volta dei peones prima che tutto fosse perduto. Pensava il generale di na‐
scondere il suo tesoro sulla Sierra Negra, e vi riuscì…ma non tornò mai a prenderlo perché, chissà come, i milicianos dell’Alcaldía de Ayahuasca gli misero il sale sulla coda prima che potesse far perdere le sue tracce. Il Ka è una ruota” chiosò spingendo la rondella verso il giocatore, il quale si affret‐
tò a farla sparire di nuovo. “Quell’oro non è mai stato trovato, bazzico queste terre da vent’anni e sarei venuto a saperlo se così fosse. Ottocentomila dollari, uditemi bene, questo è ciò che ci aspetta, la mia pentola alla fine dell’arcobaleno: tanto dinero da rendere ricchi noi, i nostri figli e i figli dei loro figli”. “Io n‐non voglio…avere f‐figli...”. La ragazzina abbassò la testa e iniziò a tremare, quando il cieco appoggiò una mano sul tavolo la ghermì con en‐
trambe le sue e se la portò al volto. “Shhh zuccherino, si fa per dire...te li godrai tutti tu allora, si?”. “Tio si io prego! Ma niente figli...piuttosto caramelle, tante caramelle! E pupazzi tio, posso?”. “E caramelle e pupazzi siano. Ma prima dobbiamo trovarli”. “Esiste una mappa?”. “Non che io sappia giovane. Due anni fa, quando Papà Grissom è morto e io mi sono messo in proprio, sono tornato alla Culla Rossa per completare i miei dati e nelle registrazioni di riserva non c’è traccia di un punto preciso. Manca l’ultimo dump”. Non una di quelle parole gli risultò anche solo va‐
gamente comprensibile. Stava per chiedere lumi – a costo di fare la figura dell’imbecille – quando la voce sognante del negro lo prevenne. “La Culla Rossa...colonnello, cosa ne è rimasto?”. “Polvere soldato, polvere e rovine come il sogno del Magnifico. Ed è be‐
ne così io dico: quel loco voleva prendersi il mondo intero, io mi accontento di sistemare la mia famiglia”. “La tua...famiglia?”. Il giocatore guardò il cieco, confuso. Quello sorrise. “Voi giovane. Prima di crepare io voglio assicurare un futuro alla mia pic‐
cola. Voglio regalare una nuova vita a questo compagno d’armi, per ringra‐
ziarlo come si deve d’avermi salvato la buccia a Grady Hills. E magari voglio darti una mano a mettere la testa a posto, non chiedermi perché lo fac‐
cio…”. “Me ne guardo bene. A caval donato non si guarda in bocca”. La risata del cieco, questa volta, fu aperta e allegra. Sotto al tavolo il gattocane sba‐
digliò e Ned sentì il peso di svariate libbre di carne, ossa e (soprattutto) denti calare improvvisamente sui suoi piedi. La ragazzina ridacchiò al suo improvviso sussulto. “Il maschio non si deve preoccupare, Boone è buono, è bravo di lingua e non ti mangia...se non glielo dico io”. Annuì con un sorriso tirato e un rivolo di sudore che gli colava giù per il collo. “E...e quindi? Come facciamo?”. “Domani lo saprai. Adesso sono stanco e mi va di dormire”. “E voi fate tanuccia sul pavimento” aggiunse Mask. “Il letto ce lo pren‐
diamo Tio Cuervo e io!”. 6 L’alba arrivò rapida, e dopo due mesi trascorsi con la schiena al freddo e all’umidità della prateria, anche le tavole dure – ma asciutte – dell’impiantito gli sembrarono comode come un letto di piume. Il rumore tuttavia, quello non era normale. Il giocatore si puntellò sui gomiti e si guardò intorno nella stanza che sapeva di fumo e umanità. Il mostro era allungato ai piedi del letto e russava come un contrabbasso sgangherato. Il cieco e il negro erano poco più silenziosi (quanto il primo tenesse gli occhi chiusi, tuttavia, era materia di dibattito). Ridacchiò al pensiero prima che il rumore si ripetesse. SSSH‐TONK! La piccola non c’era. E quello era un suono che aveva già sentito. Il giovane allontanò la mano dal calcio, scacciò il sonno che reclamava il suo posto e scostò la coperta. Dalle fessure del pavimento era entrato qualche verme. Nella luce incolore del mattino, Mask stava tirando con l’arco. C’era una fila di bottiglie, lattine e ciottoli sopra una panca, dietro la casa, a ridosso di una piccola scarpata: dalla distanza di venti passi li abbatteva uno dopo l’altro scoccando frecce con la rapidità e la precisione di un indio, e il gioca‐
tore non poté fare altro che rimanere fermo a guardarla, i pollici nel cintu‐
rone e gli occhi fissi su quel bel paio di gambe lunghe, affusolate e danna‐
tamente giovani che si muovevano come in una danza. L’ultimo bersaglio era un sassolino di due centimetri e la freccia lo sfiorò facendolo cadere giù. “Oh merda!”. Mask abbassò l’arco, dopo un momento si girò e Ned vide il suo volto contrarsi sotto la maschera. Sudore gocciolava dall’orlo. “Il maschio spia!” ringhiò. “Il maschio vuole prendermi in giro! Meglio per lui che non lo fa!”. “In effetti non voglio farlo”. La ragazzina sussultò come se avesse ricevu‐
to uno schiaffo. “...come?”. “Il ‘maschio’ si chiama Ned prima di tutto. E non voglio prenderti in gi‐
ro”. Il giocatore si staccò dall’angolo della casa e fece un passo verso di lei. La vide incoccare e tendere. Si fermò con le mani alzate. “Non tireresti su un pard di tuo zio. Io e lui siamo amici”. “Tio Cuervo vuole più bene a me che a te!”. “Molto probabile. Ma io sono disarmato. E non si tira su un uomo senza armi, è la legge della strada”. La ragazzina sembrò pensarci su; trascorse mezzo minuto buono, dopo il quale abbassò l’arco. “Posso avvicinarmi?”. “Maschio‐Ned, non mi prenderai in giro?”. Questa qui non ha tutta la settimana completa cogitò. Ma ha un culo da sballo, quindi chissene. “Io non so tirare con l’arco. E tu sei bravissima, metto la parola in pegno. Perché mai dovrei prenderti in giro?”. Nessuna risposta. Si avvicinò. “Sai tirare di pistola?”. La ragazzina sfoderò la rivoltella dall’unica fondina che portava al fianco destro e il gambler sgranò gli occhi: una sei‐colpi come non ne vedeva da una vita, l’arma di un vero pistolero, una di quelle, dicono le storie, con cariche da settantasei grani e la bocca grande come un pozzo di miniera. Indifferente alla sua meraviglia Mask raccolse il sassolino e lo poggiò sulla panca. L’aria era fresca, le note del profumo che portava, gradevoli. Sorrise. “Perché ridi?”. “Non sto ridendo. Sto sorridendo. E non è prendere in giro, che tu sap‐
pia. Noi maschi lo facciamo sempre quando siamo vicini a una chica che sa di buono”. “Buono‐odore è di mamma”. Una pausa. “Da...davvero ti piace?”. “La parola in pegno”. “Tira prima tu, vuoi?”. Il giocatore estrasse la cinque‐colpi impugnandola con entrambe le mani, a braccia distese, come aveva visto fare nelle gare di tiro a Delain. Prese la mira per un secondo, premette delicatamente il grilletto e la pallottola cali‐
bro .30 si piantò nel legno poco sotto il sasso facendolo cadere di nuovo. “Non l’ho preso”. “No, proprio no!”. Di nuovo il volto di lei si mosse sotto il cuoio, ma que‐
sta volta le piccole dune nella parte alta della maschera segnalavano un sor‐
riso. La ragazzina rimise a posto il sasso, tornò a distanza e rinfoderò. Ned la studiò mentre lo fissava, immobile, per almeno dieci secondi. Poi all’improvviso sfoderò e sparò in alzata. BOAM! Il sasso si disintegrò in uno sbuffo grigiastro. “Oca di fiera, oca di fiera!”. Il giocatore, improvvisamente serio, avvertì una fitta d’invidia perforargli il cuore. Subito dopo il rumore di un applauso lo fece girare di scatto. “Brava zuccherino, e così ci hai anche dato la sveglia!”. Le dune degli zi‐
gomi si fecero più pronunciate un attimo prima che si gettasse fra le braccia del cieco, che la strinse e iniziò a roteare. I corvi gracchiarono quello che forse era disappunto staccandosi dalle spalle dell’uomo e posandosi sopra i più tranquilli sostegni dell’orto. Patate, peperoni, fagioli e mais, tutti coi lo‐
ro canali belli dritti per bagnare, tutti rincalzati e senza l’ombra di un filo d’erba. Con tanti bei vermi grassi che ci guazzavano in mezzo. Gli strilli del gioco cessarono. “Tio, sai che maschio‐Ned non mi ha presa in giro?”. “Né mai lo farà piccola. Lui è un amigo di tio e gli amigos non si prendo‐
no in giro fra loro”. Secondi dopo il mostro arrivò trotterellando e Ned gli scoccò un’occhiata di terrore puro, rendendo grazie del fatto che non si fermasse da lui che per il tempo di una breve fiutata. Mask gli gettò le brac‐
cia al collo e lo baciò. Sulla bocca. La bestia gnaulò sbattendo gli occhi e agi‐
tando una coda lunga un cubito. Grazie al cazzo, sarei contento pure io del trattamento! Brutto sacco di pulci e denti! “Che c’è per colazione?” indagò il negro, ultimo a giungere sul posto. Il vecchio sorrise scuotendo la testa. “Quello che ci serve è la testa del generale”. “Stai scherzando”. “Mai sul lavoro giovane. Il corpo è conservato a Gavilàn City, trecento ruote a Sud‐Ovest da qui. La capitale del Féudo do Nahuabamba”. Ned fece ondeggiare la scodella piena di una broda paglierina che la piccola aveva chiamato ‘tee’. Il negro era già al terzo bis, le briciole accanto alla tazza te‐
stimoniavano il passaggio a miglior vita del filone di pane che aveva fatto fuori. Il giocatore gettò a terra un grosso verme che dal davanzale gli era fi‐
nito in grembo. “Tutti gli ufficiali dell’esercito del Magnifico hanno una...cosa in testa, una magia per quelli come te, che registra tutto ciò che pensiamo, vediamo e facciamo. A intervalli regolari i nostri pensieri venivano inviati alla Culla, e se la Culla non ha traccia del punto in cui l’oro è stato nascosto, significa che il generale è morto prima che i dati potessero essere trasmessi. Quindi sono ancora nella sua testa. Quindi dobbiamo prenderla”. “Assurdo”. “A me piace!” saltò su Mask. “Questa magia, tio...”. “Si chiama chip”. “Chip! Chip‐chip!” rise lei mimando con le mani il gesto di un uccello che svolazzava. “E quando...”. La ragazzina ammutolì vedendo che ogni traccia di allegria era sparita dalla faccia dell’uomo. Il cieco scosse il cappello. Sul tavolo si sparpagliò un pugno di grosse larve bianchicce. “Diòs mio, no...non di nuovo...”. “Capo che cosa...”. Ned vide la maschera contrarsi in una smorfia di disgusto prima che una goccia tiepida gli finisse nell’occhio. Abbassò lo sguardo. Dentro la scodella galleggiava un verme violaceo grosso come un dito. Il cieco scostò la sedia dal tavolo e si alzò pistole in pugno. La sedia cad‐
de a terra e si spaccò. I corvi volarono via fracassando il vetro della finestra. “Colonnello che succede?”. “Fuori Hammer, che stupido sono stato! Fuori, fuori tutti!”.
7 ...è forse un azzardo introdurre ora il Cattivo (che poi Cattivo non è: in realtà sarebbe il Buono, anche se per noi è il Cattivo, perché qui i Cattivi so‐
no Buoni e i Buoni sono Cattivi...dannazione mi sta venendo mal di testa) ma sono sicuro che voi Fedeli – nonché Pignoli ed Esigenti – Lettori perdo‐
nerete il vostro Umile Narratore e non giudicherete il suo tentativo per ciò che non è. In fondo, qui o più avanti, che differenza fa? Sette settimane prima dunque, giorno più giorno meno, il sergente Clin‐
ton stava ripetendo (un po’ impacciato dalle bende alla mascella) per la se‐
conda volta la sua storia; dopo la commissione d’inchiesta militare, che aveva ascoltato con estremo interesse la deposizione dell’unico testimone sopravvissuto all’assalto, adesso era il turno dello sceriffo di Silver Hole. Il quale era molto meno interessato – ma all’apparenza molto più seccato – dell’alto papavero con tirapiedi annessi a cui Clammy Clinton aveva snoccio‐
lato tutta la vicenda. Naturalmente era stato omesso qualche dettaglio: ad esempio la sua incapacità di imporre la disciplina ai sottoposti. L’aver per‐
messo che dell’alcool circolasse liberamente in un trasporto prigionieri. O l’aver fatto il morto mentre i forzati picchiavano, rapinavano e violentavano prima di disperdersi ai quattro venti, aggiungendo i reati di violenza, furto, stupro e danneggiamento di proprietà civili e militari alla lunga lista delle loro pendenze. In gran parte comunque erano stati catturati nei giorni suc‐
cessivi. “Quindi questo...questo cieco...lui sparava?”. “Sul mio onore” biascicò il sergente asciugandosi la fronte. “E aveva due uccelli sulle spalle?”. Annuì asciugandosi il mento. “In effetti alcune testimonianze dei passeggeri concordano su questo punto” si intromise il deputy. Lo sceriffo, un vecchio con uno scopettone di baffi nicotinosi e l’incarnato giallognolo di chi non ha il fegato al massimo della forma, mosse la mano in circolo. Samuel Clinton si asciugò il collo. “Robe dei matti. In quanti erano?”. “In tre signor sceriffo. C’era il cieco, poi uno dei forzati, un negro grosso come un elefante, lo stavamo portando a Carrizo per giustiziarlo...”. “Motivo?” “Omicidio di una guardia carceraria. I due sembravano intendersela alla perfezione. Il negro e il cieco” puntualizzò. Lo sceriffo gli regalò la smorfia di solito riservata allo scemo del villaggio. Il sergente inghiottì. E si asciugò di nuovo la fronte. “Il terzo?”. “Un uomo sui vent’anni, di razza bianca. La testimonianza della soldates‐
sa Aurora Canfield, che è già stata raccolta dalle autorità a cui rispondo, lo descrive di aspetto elegante e ben curato, rosso di barba e capelli. Si è pre‐
sentato come un prospettore minerario dello Stato di New Haven”. “Dunque sergente, fatemi capire: diciassette soldati sono stati uccisi da due uomini, uno dei quali cieco con due uccelli sulle spalle...”. “Gli uccelli mandavano fuoco dagli occhi signore...”. “Sergente, lei è ubriaco o mi sta prendendo per il culo!”. “Signore glielo giuro...”. “Ha ragione mister. È del Ciego che stiamo parlando. Una brutta bestia quello lì”. 8 L’uomo che aveva appena parlato era comparso sulla soglia dell’ufficio senza che nessuno l’avesse sentito arrivare; alto abbastanza da sfiorare il soffitto, era infagottato in un tabarro verde scuro col bavero sollevato, e portava un cappello a tesa larga che gettava un’isola d’ombra su qualsiasi cosa vi fosse sotto. Lo spolverino e i pantaloni che vi sporgevano erano chiazzati di fango secco, mota fresca era sparsa in parti uguali sul pavimen‐
to e su un paio di grossi stivali ferrati. Vermi bianchicci si contorcevano mi‐
sti a mosche e altri insetti. Lo sceriffo sollevò la testa mentre il deputy ab‐
bassava la mano alla pistola. La voce (sarebbe loro venuto in mente più tar‐
di) era quanto di più strano tutti e tre avessero mai udito. “E voi sareste...”. “Un cacciatore di taglie. Mi chiamano Bug, mister, ma tu non hai mai sentito parlare di me. Io lavoro dall’altra parte dei Desierto…come il mio uomo. Una vera piaga d’Egitto, davvero una sfortuna che abbia deciso di venire a rompervi le palle”. L’uomo avanzò nell’ufficio lasciandosi dietro una traccia di poltiglia. Seduto alla scrivania il corpo del sergente Clinton sparse altro sudore mentre gli occhi seguivano il movimento. Il deputy ave‐
va appoggiato la mano al calcio. Quello non sembrò curarsene. “El Ciego si fa chiamare, quel vecchio maledetto. Ed è veramente cieco. E ha due corvi in spalla che lo aiutano a vedere. Non che ne abbia davvero bisogno, ma lo aiutano. Lui è un pezzo di merda come ce ne sono pochi” in‐
calzò. “Assassino a sangue freddo, contrabbandiere, trafficante, bandito e scalpatore. Tutto con trent’anni e rotti per gamba”. Lo sconosciuto afferrò la sedia libera con una mano guantata e prese posto. Il rumore che accom‐
pagnò la manovra fu quello di un risucchio liquido. Odore di muschio e terra umida saturò rapidamente l’aria surriscaldata dell’ufficio. “Gli sto alle calcagna da due anni”. “Per una taglia?”. La voce dello sceriffo era tremula. Lo sconosciuto scosse la testa mandando gocce di fango a schiantarsi su fogli e registri. “Perché animali di quel genere non devono esistere a questo mondo. È un Puro, voi sapete cosa significa?”. “Anche il...il forzato che ha fatto evadere lo era” titubò il sergente. La te‐
sta dello sconosciuto ruotò verso di lui e nel triangolo d’oscurità al posto del volto, Samuel Clinton ebbe la sensazione di vedere cose che si muovevano. Quello sarebbe stato un buon momento per asciugarsi l’intero corpo (aves‐
se avuto una manica abbastanza larga). “Non ne sono rimasti molti, ma uno soltanto è sempre troppo. E voi non avete calibri abbastanza pesanti per occuparvi di lui”. “Tu si invece?” sbottò il deputy. L’uomo accennò. “È il mio lavoro. E non cerco taglie, non ho bisogno del vostro denaro. Solo di una squadra che mi copra le spalle. Possono dividerselo loro”. “Parlate strano voi” borbottò lo sceriffo. “Di grazia scopritevi il volto”. “Ti metteresti a urlare mister. Credimi”. Un verme emerse dal bavero dello spolverino e lo sconosciuto lo afferrò al volo. Il verme scomparve su per la manica. “Volete il mio aiuto o no? Gli andrò dietro comunque, che voi sappiate, anche da solo”. “Sapete dov’è diretto?”. “Ho molti piccoli amici con cui sono in contatto. El Ciego e i suoi compari stanno filando verso Caracòl...ma non è lì che vogliono andare”. “E dove allora?”. “Dagli indipendenti, dove la vostra legge non potrà mai più prenderli. Ma io non presto attenzione a queste cose. Volete darmi l’incarico?”. “Se…se non quella civile, credo che l’a‐autorità militare...”. La testa dell’uomo si voltò verso di lui e il sergente slittò coi palmi sul piano della scrivania. La testa rimase ferma. “...potrebbe considerare...”. Inghiottì. Qualcosa in quell’ombra si muo‐
veva senza fallo. “Maiononpotròveniresonocongedato!” esalò alla fine. “Mo‐motivi di sa‐
lute...”. “Comprendo”. Lo sconosciuto tornò allo sceriffo e aiutante (e il sergente ne approfittò per asciugarsi qualcosa). “Dunque?”. Lo sceriffo sospirò, aprì un cassetto, pescò una stella di riserva e la lanciò in una traiettoria incerta. La mano guantata la prese al volo e a detta di tutti il braccio si allungò per riuscirci. La stella sparì nella tasca dello spolverino. “Se l’autorità militare lo riterrà opportuno, potrà darvi degli uomini. Io sono a corto di gente, tutte le braccia disponibili mi servono per tenere calma la città”. Lo sconosciuto si girò di nuovo verso il sergente Clinton. “Soffri di caldo, ufficiale?”. “Un...un po’. Voi no?”. “Da un bel pezzo non più” disse. La figura si alzò e, di nuovo, a tutti par‐
ve che non avesse fatto nessun movimento per accompagnare la manovra: semplicemente un momento era giù e l’altro era su. “Vogliamo discutere dei miei aiutanti coi tuoi superiori?”.
9 Sette settimane dopo (sempre giorno più giorno meno) il tetto di una casa nella prateria rovinò su sé stesso sotto l’impatto apparente di una va‐
langa di terra: umida e pesante si sparse dalle pietre divelte mentre le travi franavano, portando con sé una pioggia impressionante di vermi e insetti che coprirono il letto, il tavolo e i pupazzi preferiti di una ragazzina in quel momento in lacrime. Le pareti si afflosciarono verso l’esterno subito dopo: tre di quattro caddero subito e altro fango fuoriuscì dagli interstizi dei tron‐
chi e dalle finestre senza più vetri. L’ultima rimase in bilico per qualche se‐
condo prima di precipitare sull’orto. Lonesome Prairie aveva smesso di esistere in esattamente cinquantaset‐
te secondi. Colpi di fucile piovvero sull’uscio scardinato mentre si sparpagliavano in cerca di riparo. “FIGLIO DI PUTTANA! TROIA BASTARDA TUA MADRE!”. Mask sfoderò la Colt e sparò verso la figura ferma oltre il guadal, da cui si staccavano due tracce come gallerie di talpa. Sei palle la attraversarono sollevando scoppi vischiosi di qualcosa che non poteva essere sangue. “Fermi in nome della legge!” urlò una voce con l’arroganza dello sbirro. Altri spari seguirono, disordinati, scintille si sollevarono dalle pietre cadute e il cieco afferrò la nipote per un braccio mentre i corvi svolazzavano come impazziti. La ragazzina si divincolò. Una palla portò via il cappello dell’uomo. “Ai cavalli giovane, portali via!”. Il gattocane aveva le orecchie appiattite e le fauci spalancate. I quattro occhi lampeggiavano. “VOGLIO SCUCIRLO! FIGLIO DI PUTTANA! LA CASA DI MAMMA!”. Ned corse al riparo di un vaso rovesciato, una fucilata gli rasentò la spalla, si get‐
tò a terra. Mask fece lo stesso subito dopo e non per sua volontà. Intorno ai buchi degli occhi la maschera era fradicia di lacrime. “Dobbiamo filare ragazza! Meglio la casa che la pelle!”. Con la coda dell’occhio vide che il cieco stava andando incontro alla figura. Pallottole piovevano in un tiro incrociato e fortunatamente impreciso. Allungò la mano. “Seguimi ti prego, tuo zio lo vuole”. “Casa...casa di mamma…” piagnucolò. Appostato dietro un lembo del tetto il negro stava tirando a bersagli invisibili. Ned la afferrò di mancina, subito dopo un soldato emerse dall’erba alta col fucile spianato. Il gattoca‐
ne gli saltò addosso e gli strappò via la faccia prima di dileguarsi verso le ro‐
vine della casa. Subito dopo, curvi sotto la grandine di piombo, i due si mi‐
sero a correre. Un cavallo era rimasto schiacciato sotto la parete di fondo, gli altri erano spariti. Il giocatore lasciò andare la ragazzina che si afflosciò come un sacco vuoto e lo guardò con occhi affranti. Una pallottola gli fece il contropelo all’orecchio e un’altra gli attraversò la spalla sinistra. Il braccio divenne im‐
mediatamente insensibile. Subito dopo il suolo iniziò a tremare e la sparatoria si arrestò brusca‐
mente. Il giocatore si sentì afferrare da un paio di mani piccole e straordina‐
riamente forti. “Maschio‐Ned non lascia piccola Mask, vero vero?”. Scosse la testa ac‐
cennando un sorriso. Ciò che vide dietro di lei glielo fece sparire subito do‐
po. Un attimo ancora e sei soldati, tutti quanti in borghese e dall’aria non meno sconvolta, sbucarono dall’erba alta con le armi basse. Anche loro sta‐
vano guardando qualcosa a cui si rifiutavano di credere.
10 “Ancora tu”. “Sempre dove c’è uno di voi!”. Terra si sollevò intorno al cacciatore di taglie e il cieco si gettò di lato evitando per poco l’abbattersi di un pilastro di fango. “Che ti avrò mai fatto, pestifero bastardo!”. Il cieco portò la mano alla bisaccia, ne estrasse una granata e la scagliò, conscio del fatto che non sa‐
rebbe servito a nulla. La figura alzò le mani e una cortina di terra seguì il movimento e lo avvolse. La granata scoppiò senza danno in una nuvola di fumo, erba e frammenti. Il muro di terra ricadde. La figura abbassò le mani. “Vieni con me con le buone o...”. La morte nel cuore, il cieco allargò le braccia e i corvi si posarono. I loro oc‐
chi passarono rapidamente dal rosso della brace semispenta al bianco arro‐
ventato di una fornace mentre convogliavano le loro ultime energie; mo‐
menti più tardi la scarica si abbatté e lo spolverino del cacciatore di taglie volò in alto come una vela bruciacchiata. Al diradarsi della polvere, fra i grumi e gli steli che ricadevano, non era rimasto che un cumulo di mota e vermi striscianti. Il cieco si voltò un attimo prima che i corvi cadessero a terra. 11 “Mani...uh, sulla testa” borbottò un giovane caporale con gli occhi spa‐
lancati e il fucile malfermo fra le mani. Lo scoppio della granata rotolò nella prateria come un tuono. Ned strinse la ragazzina col braccio sano. Di tutte le armi dedicate a loro, non una era allineata nella giusta posizione di tiro. Il giocatore vide il cieco che allargava le braccia, e i suoi uccelli vi si posa‐
vano. Subito dopo uno scoppio chiarissimo. La mano del giovane riguadagnò il calcio della rivoltella. Il cieco corse verso i soldati e quelli alzarono i fucili. Si gettò a terra spa‐
rando, i primi tre stramazzarono con la testa scoperchiata. Il quarto ebbe a disposizione un colpo in più, che si perse verso l’alto quando dalla gola gli spuntò il manico del coltello di Mask. Ned ruotò sul fianco, ignorò la fitta alla spalla e sparò al quinto appena prima che Hammer si gettasse con un ruggito sul’ultimo superstite. Il rumore che seguì fu quello di una zucca spiaccicata. Il giocatore chiuse gli occhi e abbassò la testa. Accanto a lui la ragazzina ansimava terrorizzata. “Tio! Tio!”. Secondi dopo il cieco si avvicinò, le braccia lungo i fianchi, le pistole fu‐
manti. Triste. Il giocatore lo guardò che si accasciava e singhiozzava, guardò la ragazzina che accorreva, li guardò che si stringevano e ritenne utile non dire né fare nulla. 12 Trovarono i cavalli a dieci minuti di cammino, legati al limitare di una ra‐
dura occupata dalle lapidi di un cimitero che la foresta aveva iniziato a re‐
clamare. Ne contarono quindici. I corpi rimasti a terra erano undici in tutto; se i superstiti fossero tornati se ne sarebbero occupati lui e il negro, meditò Ned mentre finiva di spogliare i morti delle loro armi e delle munizioni. Nes‐
suna rivoltella aveva un calibro più massiccio e i fucili erano tutti quanti schioppi semiautomatici che sarebbero valsi qualche soldo alla prima occa‐
sione. Non che si sarebbe aspettato di trovare uno sparasvelto, quella era roba da storie di saloon. “Chi era?”. In ginocchio davanti ai suoi corvi il cieco non diede segno di aver sentito. Mask era raggomitolata sul prato e il mostro uggiolava accanto a lei. Hammer stava ispezionando le macerie della casa. La sua spalla, tolto il proiettile e rappezzata la ferita, era di pessimo umore. “Loro erano macchine, non è così?”. “Fratelli per me. Eravamo...connessi, quando ho detto loro di...”. Il cieco si girò verso di lui, il volto una maschera di cordoglio. “È come chiedere a qualcuno che ami di morire per te. E io li ho sentiti che morivano”. “Le macchine non muoiono, si guastano soltanto”. “E si possono riparare. Ricaricare. Ma non a questo mondo, non più”. “Quell’affare che cos’era? Un altro Puro?”. “Un satanasso, si chiama Bug, non so nemmeno cosa sia in realtà, so so‐
lo che mi sta alle costole da due anni e non ho ancora trovato il modo di ammazzarlo. Sparargli non serve. Farlo esplodere nemmeno. Non prende fuoco. Non affoga. Buttalo giù da una montagna, tiragli con un cannone, fa‐
gli passare sopra una corriera e lui si spiaccica soltanto per tornare più forte di prima. E non so perché, mi vuole morto”. Il vecchio sospirò. “Ma adesso...voglio dire, adesso è lui che è morto...”. “Credici se ti fa dormire meglio! E se hai qualche santo in paradiso tieni‐
lo da conto. Per il momento è solo andato via, l’unica cosa buona è che ci va sempre un po’ prima che torni”. Si alzò in piedi spazzolandosi le mani sui pantaloni prima di accucciarsi accanto a Mask. Ned lo sentì cantare con vo‐
ce dolce, lo vide allungare un braccio e le mani di lei che guizzavano ad af‐
ferrarlo. Il gattocane mandò uno gnaulio lamentoso. “Che cosa facciamo bianco?”. “Vorrei tanto saperlo. Hai trovato roba da...”. Il giocatore si girò e il ne‐
gro gli allungò una bambola dal vestitino rosa e i capelli di corda nera. Sul petto era stata ricamata la parola ‘Lena’ e più in alto un triangolo di stoffa mimava una maschera. Hammer sorrise mostrando riquadri vuoti e denti d’oro. “Dico grazie”. Prese la bambola e si avvicinò. La ragazzina non si mosse. “Mask? Piccola?”. Nessuna risposta. “C’è qualcuno qui per te...non vuoi vedere chi è?”. Agito la bambola e quella si irrigidì prima di ruotare la testa di non più che uno scatto. “Lena? Lena sei tu?”. Il vecchio sorrise. Mask sbirciò da sopra la curva della spalla, pelle butterata faceva capolino dove una delle cinghie si era al‐
lentata. Abbassò gli occhi sentendoli pizzicare senza un motivo. “Maschio‐Ned, perché tieni Lena?”. “Sai, si... si era persa, io l’ho trovata e…lei mi ha detto che voleva tornare da te”. Un momento più tardi la bambola era sparita, insieme col viso della ragazzina, sotto la matassa arruffata dei suoi stessi capelli. Probabilmente fu in quell’istante che si innamorò di lei.
13 Quella sera un giovane baro, un colosso di negro, un vecchio senza più occhi (e una strana bestia che ne aveva fin troppi) sedettero intorno a un fuoco di bivacco. La quinta componente della compagnia era distesa sulla sua coperta, Ned l’aveva sentita ansimare fino a poco prima, e proprio al culmine la sua voce si era rotta nei singhiozzi di un animale ferito. Ora dor‐
miva raggomitolata, il cappello di uno dei soldati in testa, la bambola stretta al petto e la maschera slacciata che nascondeva solo in parte un volto or‐
rendo. “Lo fa sempre quando è triste. Non ha mai conosciuto un uomo” disse il cieco in un tono che Ned trovò quasi imbarazzato. “Non mi scandalizzo nonno, non sono un prete...e la tua piccola deve avere addosso la sua bella quota di ferite”. Il negro non disse nulla. Il gioca‐
tore attizzò il fuoco nella pausa di qualche secondo. “Non voglio offenderti adesso, non spararmi per questo, ma lei... è giu‐
sta nella testa?”. “Tu lo saresti se avessi perso tuo padre e visto morire tua madre? Se Dio ti avesse rovinato per capriccio? Se gli uomini di buona volontà che Lui ha spedito in terra ti avessero usato sferza e bastone, per anni, per ogni mini‐
ma cosa sbagliata? E se l’unica scelta a tutto questo fosse di vivere con una bestia?”. “Beh se la metti così...”. “Lei lo è. Io posso sentire la rabbia e il dolore che ha dentro, per tutto quello che le hanno fatto, ma la mia piccola ha mente nella scatola, parola in pegno. Le serve solo una famiglia dove guarire le sue ferite, e io, negli ul‐
timi due anni, non ci sono stato molto. E nemmeno prima quando stavo con Grissom”. “Se l’è...cavata da sola per così tanto tempo?”. “Giovane, che tu sappia, ha imparato a stare in sella a sette anni, a tirare d’arco e pistola a otto, a coltivare e cacciare a nove. Ha mani ferme, un cor‐
po pieno di forza e una mente prodigiosa. Ha imparato alla prima lezione tutto ciò che ho potuto insegnarle, e se avesse potuto vivere in una città, se avesse potuto studiare, io credo sarebbe diventata una sapiente. In ogni ca‐
so non era mai veramente sola, con lei c’era Boone...e questa bestiaccia le ha sempre dato una zampa, la dico giusta?”. Il mostro sembrò annuire con mezzo palmo di lingua penzolante fra quei denti simili a chiodi. Ned allungò la mano, l’animale la fiutò e poi offrì la testa. Contro ogni scommessa il pelo era morbido. E le fusa, quando trovò il coraggio di grattare sotto il mento, proprio quelle di un gatto. “Tornavo da lei non appena potevo, ero persino riuscito a convincere Papà Grissom a lavorare da queste parti, così non ero mai troppo distante. Ci eravamo specializzati in corriere e banche, io ero il basista, e pure se non andavo quasi mai in prima linea, il vecchio orso fu un generoso con me”. “Lo hai fatto anche per lei...”. “Solo per lei, ogni soldo, odimi bene! Le ho comprato tutto ciò di cui po‐
teva avere bisogno per vivere, ma non potevo comprarle un padre o un ra‐
gazzo, e gli ultimi due anni li ha passati da sola. Tirami qualcosa”. “Scusa?”. Il negro afferrò un ramoscello e lo lanciò delicatamente verso il cieco, che lo afferrò senza incertezze. Sorrise. “Sembra che io sia ancora di una qualche utilità per voi...”. “Colonnello qual è il piano adesso?”. “Non è cambiato Hammer. Andiamo a Gavilàn City. Prendiamo la zucca del generale. Trucidiamo chiunque si metta sulla strada del Ciego e della sua famiglia. Poi, quando ce l’abbiamo, la apriamo e leggiamo la magia”. “Lei sa come fare?”. “Dogan 99”. La faccia del cieco si distese in una ragnatela di rughe. Ned sentì lo sguardo che si spostava verso Mask. Quando tornò ai compagni il vecchio era girato verso di lui, sorridente, silenzioso. “Quando avremo il chip dovremo andare sulla costa Ovest, rendo grazie di non essere negli Stati perché la traversata sarebbe ben rognosa...e c’è gente perfino peggiore di Bug da quelle parti, che si guadagna da vivere sul‐
la pelle di noi galantuomini. Ai piedi della Sierra Negra c’è un villaggio di miniere, Cienegas è il nome. A sessanta ruote troveremo il Dogan 99, è co‐
me la Culla, soltanto più piccolo. Lì ci sono le macchine in grado di leggere la mente del generale. E l’oro seguirà” stabilì tendendo le mani al fuoco. Ned si alzò e mentre si avvicinava alla ragazzina notò che il cieco lo seguiva con lo sguardo. Non disse nulla tuttavia, né quando sedette accanto a lei, né quando le aggiustò la maschera, con movimenti lievi e impercettibili che avevano alle spalle una lunga storia di casseforti violate. Né per finire quando si coricò sul sacco a pelo. Sembrò soltanto sincerarsi che facesse tutto come si dove‐
va prima di girarsi dall’altra parte per conto suo, spolverino e tutto. Il gatto‐
cane li raggiunse dopo poco e Mask mugolò nel sonno quando il mostro si accucciò e la coprì con una zampa lunga da sola quasi quanto il suo corpo. Gli artigli che si contrassero sull’erba erano come ganci da macellaio. Io non amo solo le puttane da saloon rimuginò allungando una mano e sfiorando quella di lei. La ragazzina mormorò la parola ‘tio’ e la prese. Credo che tu mi piaccia camerata. E spero che non me la stacchi quando scopri che non sono lui. Il giocatore sorrise. Il sonno, stranamente dopo quel pieno di emozioni, almeno per lui non tardò ad arrivare. 14 Cinquanta ruote più indietro, sotto la luce di una luna tonda e piena, da‐
vanti alle rovine della baita vermi emersero dalla terra e si raggomitolarono in una palla fremente al centro di una pozza di fango. Come se fossero state chiamate a raccolta, mosche e zanzare si radunarono in uno sciame che nel giro di pochi minuti assunse le dimensioni di una nuvola. Ragni e millepiedi si arrampicarono e sprofondarono nel viscidume che poco per volta prese la forma di un neonato alla prima settimana di gestazione. La terra si sollevò e lo coprì come un bozzolo. Gli insetti continuarono ad arrivare. PR
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